#donna scema
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Quello stordimento che i maschilisti chiamano "amore"
Adoro lo stordimento completo che causo negli uomini inetti, alla continua ricerca di una donna da sottomettere (un desiderio che chiamano "amore vero", pensando che esistano ancora donne sceme in giro pronte a credere a tali sciocchezze); gli inetti non riescono assolutamente ad accettare che una donna possa vivere senza l'esigenza di avere un uomo a fianco: per essi, l'unica donna possibile è quella che li consideri "uomini eccezionali", quando non lo sono affatto.
#stordimento#maschilismo#amore#completo#donna#sottomettere#desiderio#amore vero#esistere#donna scema#donne#donne sceme#pronto#credere#accettare#potere#vivere#esigenza#avere#uomo#uomo accanto#uomo a fianco#uomini eccezionali#essere#affatto
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Senti... facciamo che stasera vieni qui e ci facciamo le coccole.
Ce ne rimaniamo abbracciati a chiacchierare di nulla, a ridere di niente, a stare in silenzio, a respirarci vicino.
Vediamo un film o ascoltiamo musica o beviamo un bicchiere di vino o chissenefrega.
Magari mi racconti di quella volta in cui... o fai una battuta così scema da non riuscire a smettere di ridere.
Intanto però... stiamo vicini.
E ci tocchiamo.
Che detta “così” pare roba spinta e invece è solo braccia che cingono, mani che si sfiorano, una carezza sul collo, un bacio a fior di labbra, una gamba sopra le gambe... “dove metto la testa?”, “Vuoi un cuscino?”, Hey... mi si è addormentato il braccio...”, “Sei comoda? Sicuro che sei comoda?”, “Come stai? Sei stanca, vero?”... La fronte si aggrotta, tu ti agiti e ti accendi di pensieri, gli occhi che un po’ si chiudono... “Dormi?”... Già... dormi.
E io non mi muovo... che se ti sveglio mi scoccia.
E la mano rimane ferma sulle tue gambe.
Immobile.
Mi arriva il calore di un contatto tra vestiti.
Tatuaggio di energie.
Ti farei grattini ovunque.
Ti accarezzerei in ogni angolo.
Di anima e corpo.
Ti bacerei di baci leggeri.
Anche senza fare l’amore. Anche senza, per necessità o forza, lasciare che lo stare vicini diventi desiderio o passione...
Mi piacerebbe, a volte, avere più tempo e spazio per coccolarti.
Magari di ritorno da giornate cariche di stanchezza e pensieri.
Perché siamo adulti con bisogni bambini e non c’è intimità più profonda di un uomo e una donna capaci di essere Amanti passionali e complici di tenerezze:
le infinite forme del piacere e del volersi bene.
Senti... facciamo che stasera vieni qui e ci facciamo le coccole.
Ho una storia da raccontarti che comincia così….. ♠️🔥
Letizia Cherubino,
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Non posso nemmeno urlare
E quando non posso neppure dare sfogo all'istinto e urlare per il dispiacere che mi dai, quando mi scrivi che oggi pomeriggio non ci siamo amati perché stasera devi scopare con lei, che in fondo è ancora tua moglie, io che dovrei fare? Io che per te sto quasi divorziando, stupida scema che altro non sono. Vorrà dire che stasera anch'io sarò a mia volta estremamente carina e disponibile con mio marito, tra qualche ora quando saremo a letto. Lo stuzzicherò un po’. Mi farò montare in tutti i modi che vorrà… e ti assicuro che è uno stallone niente male, malgrado l'età.
Che credevi: solo perché tu hai quindici anni di meno pensavi di essere il massimo, per una donna matura come me? Terrò in piedi il mio matrimonio, stasera. Lui sarà piacevolmente incredulo e mi ripeterà che mi adora, l'imbecille e ignaro, povero cornuto. Interpreterò il ruolo della moglie secondo manuale: santa con tutti, vera ed esperta puttana a letto col marito. Non incrinerò la superficie apparentemente placida di un'unione ormai di fatto inesistente. Aaah… rispondi piccato, eh? Ti dà fastidio che io lo faccia godere di me, vero? Be’: lascia che ti dica che anche se sono rosa dalla gelosia, se sei veramente innamorato di me, stasera le concedo solo di farti un pompino rapido.
Tu accusa pure un mal di testa: sbriga la pratica in fretta e sii fedele alla mia fica, al patto solenne che avevi fatto con me di non toccarla più. Ma so che non lo farai, vero? Come tutti i maschi, quando vedi una passera aperta o un ano che pulsa, tu non resisti. Se vedi il suo culo aperto e pronto ad accoglierti, non ragioni più. Lo so perché lei stessa me l'ha confidato: m'ha detto tutta contenta e gongolante che le piace da morire farsi inculare da te e che tu adori il suo culetto rotondo di pigna secca, bastardo che altro non sei. Intanto, sappi che ho già iniziato la danza di seduzione per mio marito.
Ecco, adesso sono passate due ore; durante la serata l'ho provocato; gli ho sorriso più volte, l'ho stuzzicato, strusciato, accarezzato e gli ho fatto capire chiaramente che stanotte voglio essere scopata. In questo momento, per tua informazione e maggior incazzatura, sono a letto nuda, bellissima, profumata e mi sto agitando strategicamente… Lui entrando in camera mi ha vista così, completamente nuda ed è già rimasto senza fiato… tra un po’ poserò il telefono sul comodino, mi metterò nuda completamente e a pancia in giù, con un cuscino sotto i fianchi.
Aprirò un po’ le gambe e aiutandomi con le mani divaricherò le mie natiche davanti ai suoi occhi… Lo farò scegliere: fica o culo. E lui sarà un po’ sorpreso! Anzi: pretenderò di essere prima scopata e poi sfondata nel culo. Gli chiederò rudezza, poveretto: lui che è così educato! Ma prima gli lubrificherò e torturerò per bene l'uccello con quella che tu chiami “quella maledetta lingua: perversa e assassina.” Si, quella che ti fa andare in estasi ma a cui oggi hai rinunciato. Stolto. Villano...
...e cafone. Lui ha già adesso una bella erezione, arretrati inclusi. Lo vedo avvicinarsi…
“Oh, caro: che vuoi? Si, adesso poso il telefono; finisco le due righe che sto scrivendo a mamma…”
Ciao, stronzo: adesso mi faccio scopare, inculare… e godrò, alla faccia tua. Ora… passo e chiudo. Anzi: passera apro!
RDA
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Racconti di viaggio - parte 1
L'India non è per tutti.
È un paese complicato che mette a dura prova te stesso in molti aspetti.
Il primo aspetto è l'igiene. Io non sono affatto una persona schifettosa e igieno-fobica come molte persone del primo mondo sono (anzi faccio cose che solo a dirle molti mi vomiterebbero in faccia), per cui ho un'alta tolleranza alla carenza di igiene e pulizia e la cosa mi è pesato solo in un punto. In India hanno le case mediamente a posto, ma fuori è letteralmente una discarica a cielo aperto: non ci sono cestini, proprio non esistono, e l'immondizia si butta a terra con tutta la non-chalance del mondo, che sia una bottiglia di plastica o un piatto di carta con rimasugli di cibo. Tutto a terra, sempre. Questo ovviamente crea spesso odori molto sgradevoli e una presenza esagerata di insetti e mosche ovunque. La cosa molto triste è anche che ci sono tantissimi animali in giro tra mucche e cani abbandonati (letteralmente centinaia, mai visti così tanti sebbene dove sono cresciuta è sempre stato pieno) che mangiano quella roba e spesso è praticamente plastica. Più dello schifo questa cosa mi ha messo molta tristezza. L'unico punto che proprio non ho tollerato su questo tema è l'assenza di carta igienica. Pensavo fosse una mancanza della casa del mio amico e invece persino nei ristoranti non c'era. Piuttosto mettono sempre una fontana o una mini doccia da usare a mo' di bidet... va bene, perfetto, ma io dall'acqua puoi come mi asciugo? Mistero della fede (ancora oscuro).
Il secondo aspetto è la povertà. Ero nella capitale per cui in teoria ci dovrebbe essere una concentrazione alta di gente che riesce a vivere dignitosamente (e infatti è così perché i miei amici avevano case okay, sebbene i palazzi siano fatiscenti all'esterno), eppure la quantità di gente che vive in delle baracche di fortuna o per strada è allarmante. Manco fossero in guerra come in Palestina. Una volta ho letteralmente visto una madre che faceva il bagnetto in strada a sua figlia con una bottiglia d'acqua. In più, quando la madre del mio amico mi ha detto: "dopo arriva la persona che pulisce per cui chiedile anche di pulire la tua stanza" io mi aspettavo una donna, come da noi, matura o quanto meno adulta... invece mi ritrovo davanti una BAMBINA. Avrà una decina di anni e viene pagata dalla famiglia del mio amico per pulire e lavare a terra (con lo straccio tra le mani, mica con la mazza da scopa), lavare i piatti ecc. Quando me la sono trovata davanti e l'ho vista pulire ho avuto una pietà infinita.
Esiste una parte di India ancora più povera di quella che ho visto, eppure, esiste anche un'India che sa rivaleggiare con il primo mondo. Quando sono andata in ospedale perché la mia amica giapponese scema si è sentita male tra febbre e diarrea, l'ospedale non sembrava affatto fatiscente e anzi non aveva nulla da invidiare a un comune ospedale italiano. Bollywood sa sfornare film di una profondità e di un genio disarmanti. In ultimo, quest'anno sono riusciti ad andare totalmente da soli sulla luna. È un piccolo continente che racchiude in sé i problemi di tutto il globo e, da europea, la cosa è straniante.
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...UNA DONNA...
È fragile ma non scema
È sensibile ma non idiota
È sognatrice ma non codarda
È debole ma non stupida
Soffre ma con il sorriso sulla bocca,
Se viene offesa ma non perde la classe, cade ma quando si rialza si vendica
...AMA...ma quando smette è per sempre... 🤍 💜 🤍
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Mi sarebbe piaciuto fare una diretta ma ho la febbre e non riesco a parlare.
Non è il ceto sociale
Economico
Culturale a stabilire la possibilità di cadere dentro la trappola della dipendenza affettiva e anche dentro quella di un uomo violento o di un carnefice.
Sono i buchi interiori.
Le ferite.
La percezione di se stesse.
Una signora ha scritto : ho conosciuto una donna vittima di violenza con una famiglia perfetta alle spalle che la sosteneva..
Vedete, le ferite infantili si scontano tutta la vita e non hanno nulla a che fare con “il sostegno” che la famiglia fornisce.
La persona si sente comunque sola, bisognosa, insicura, fragile, non autonoma.
Quando mi parlate di famiglie perfette ho sempre un brivido, perché dopo 15 anni di clinica, dove ho raccolto racconti di tutti i tipi, vi posso garantire che se c’e’ un luogo che assomiglia all’inferno, è la famigliarizzo tradizionale che abbiamo vissuto fino a qualche generazione fa.
Luoghi di apparente benessere che celano striscianti violenze, ricatti silenziosi, assenze pesanti, mancanze, che generano una catena senza fine di mostri, mostri come vittime e mostri come carnefici.
Queste poesiole che girano sul web, queste slide “ se ti fa questo vattene” mi fanno ridere e inorridire al contempo: svelano la totale ignoranza sull’argomento.
L’aggancio interiore invisibile è potentissimo, la fantasia di risanare quelle antiche ferite è potentissima, la colpa, l’illusione, la disperazione, lo sono parimenti.
Ci sono donne plurilaureate che hanno un QI da geni che ci cascano.
Perché la falla è EMOTIVA— inconscia ed energetica.
E occorre un grande lavoro per risanarla.
Un lavoro che non procede in modo lienare ma che spesso-ahimè- prevede “ritorni” da chi ti fa del male.
Non giudicate,
Non categorizzate
Non cercate di capire tutto con la mente.
Non è possibile.
Senza contare che alcune faccende inspiegabili sono anche karmiche ( ma questa non è la sede giusta per parlarne)
Ah, una signora ha detto che ho usato il post sulla dipendenza per fare pubblicità ai seminari, ecco sono questi commenti imbecilli che fanno sentire le persone ancora più sole e disperate, perché la mia e‘ una CONCRETA proposta di uscita dalla solitudine non una poesia scema su facebook, senza contare che i seminari sono sold out fino a gennaio, e che non ho fatto nemmeno UNA sponsorizzazione perché ho troppe persone.
I fatti dipingono chi siamo non le cance sui social.
Grazie a tutti
Claudia Crispolti
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Trovo estremamente divertente che una donna scema, diventata madrina di una città veneta poiché "famosa tettona anni Ottanta-Novanta", pochi mesi dopo si ritrovi in ospedale a decidere se asportarsi o meno un seno 😂
C'è una forma poetica di Giustizia in questo avvenimento che mi risuona allegra in una Regione Veneto che non sa manco da che parte stiano impegno, serietà, onestà e Cultura.
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evidentemente so scema io, ma se sapessi che una persona (PERSONA, INDIFFERENTEMENTE UOMO O DONNA) sta con qualcuno non mi ci metterei a fare la stupida (indipendentemente dal fatto che la persona dall'altra parte ci sta o meno). il problema è che le persone oggi non sanno stare al proprio posto, non conoscono la parola rispetto e soprattutto non si sanno comportare. tutto questo perché l'importante è avere attenzioni e sentirsi per un attimo più importante.
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Erano appena le tre e le si era liberata la giornata. Non aveva voglia di ritornare nel suo appartamento, in un anonimo palazzone della sterminata periferia romana. Aveva bisogno d'aria e di camminare per rammendare le idee. Puntò decisa verso Villa Borghese. Quel polmone verde, che dava respiro a tutto quel cemento che lo circondava, le ricordava vagamente la campagna dove era nata. Scelse con cura una panchina e si sedette a fumare e riflettere. Riavvolse il nastro della sua vita, con particolare attenzione a quell'ultimo anno. non le sembrava di avere davanti un bilancio troppo positivo. La linea spezzettata sul grafico, anche se non cadeva a picco, scendeva inesorabilmente verso il segno meno. Solo il lavoro faceva eccezione. Era un'agente immobiliare, vendere case le piaceva e con la gente ci sapeva fare. Aveva chiuso diversi contratti, alcuni molto travagliati e al limite del possibile; ciò le aveva permesso di guadagnare bene, oltre che in vile moneta, anche nella stima dei suoi colleghi. Ci sapeva davvero fare. Ma, tolto il lavoro, cosa le restava? Tolto il lavoro si poteva tranquillamente parlare di disastro. Disastroso il rapporto con i suoi genitori, disastroso il rapporto con gli amici, disastroso il rapporto con gli uomini. Già, gli uomini…ma che razza di bestie erano? Aveva trentaquattro anni, era una bella donna, lo sapeva e ne riceveva conferma ogni giorno. Ancora catturava occhi e sorrisi. Allora come mai si ritrovava da sola? Che fosse colpa sua? Certo, era finita da un pezzo l'epoca dei vent'anni. Col passare del tempo, era diventata molto più esigente ed insofferente. Non aveva voglia di accontentarsi, si rifiutava di accettare ciò che non riusciva a digerire. non voleva saperne degli altrui difetti, quelli che, come tutti dicono, poi impari ad amare. Se ne fotteva. E, soprattutto, non era disposta a cambiare, a cambiarsi. Non poteva condividere i sogni con chi, in ultima analisi, era incapace di sognare. O tutto, o niente. Forse davvero era colpa sua! Era diventata insofferente.
Anche gli uomini, però, ci mettevano del loro. E ne avevano da metterci! Anche quell'Umberto, per esempio, non era male…era un bell'uomo, elegante, curato, pulito, in sporadici casi, anche brillante, ma, come tipico della sua “razza”, demandava troppo spesso il compito di ragionare al suo fratellino più piccolo. Quanto piccolo sarà stato poi? Tale riflessione la fece ridere come una scema, ma riprese subito il controllo, sbirciando in giro a sincerarsi che nessuno se ne fosse accorto. Le venne in mente un brano di Davide Van De Sfroos, La ballata del Genesio, dove cantava: ho dato retta al cuore e qualche volta all'uccello. Centro. Era ciò di cui aveva bisogno: qualcuno che sapesse dar retta al cuore e all'uccello contemporaneamente. Non le sembrava chiedere troppo!
Accese un'altra sigaretta, guardò l'orologio: le cinque e trenta del pomeriggio. Alzò il viso e, solo allora, si avvide dell'uomo che, non più distante di una quindicina di metri, stava puntando dritto verso di lei. Lo soppesò con lo sguardo e decise che non c'era da preoccuparsi. Era decisamente attraente, si muoveva con estrema leggerezza, sembrava scivolare sul terreno come l’acqua; certo che era vestito in maniera del tutto anonima e pensò che fosse un vero peccato. E peccato anche che l'avesse puntata. Voleva starsene da sola e in silenzio. Niente mosconi a ronzarle intorno. Non oggi.
“Mi perdoni, ma avrei bisogno di accendere.” Disse l'uomo senza inflessioni dialettali nella sua voce, sbollando un pacchetto di Pall Mall.
La donna sbuffò infastidita e col tono del “con me non attacca, bello!”, rispose:“ E’ un po’ vecchiotta, forse ti conviene provare altrove.”
“Non importa che sia vecchia, non a me, comunque. L'importante è che abbia ancora voglia di accendersi e di accendere. Mi creda, non desidero altro.”
Lo fissò dritto negli occhi, occhi in moto perpetuo, non inebetiti sulle sue tette. Forse… ma no, l'approccio era stato di una banalità disarmante, così: “Mi dispiace, non ho da accendere” Soffiò fuori in fretta.
“Fa niente, andrò a cercare miglior fortuna altrove. Ma capita anche che le cose siano esattamente come sembrano. Mi perdoni l'intrusione. Le auguro che la sua giornata migliori.” Le disse con un accenno di sorriso e guardandola, per la prima volta negli occhi.
Fu sinceramente colpita da quella sorta di congedo. Lo seguì con lo sguardo e lo vide avvicinarsi ad una coppia di anziani, ottenendo, ormai era evidente, quello che stava cercando. Si era comportata come un qualsiasi idiota. Si era dimostrata prevenuta e scortese, Non le piacque affatto il suo comportamento di poc'anzi e tentò di rimediare.
“Ehi!” Gridò, agitando la mano per richiamare l'attenzione dell'uomo. Lui si voltò, le mostrò la sigaretta accesa, sorrise apertamente e tornò a voltarsi per la sua strada.
“Aspettami!” Disse ad alta voce, alzandosi dalla panchina per raggiungerlo. Non lo avrebbe lasciato andare portandosi via un'immagine di lei così odiosa.
“Non serve che si giustifichi, una brutta giornata capita a tutti.” La anticipò.
Fu di nuovo colta di sorpresa, le parole stentarono ad uscire, ma parlare era parte del suo mestiere, la parte che le riusciva meglio e se lo ricordò appena in tempo.
“Toccata! Mi sono comportata come una stupida. Ti avevo cucito addosso un bel giudizio precotto. Scusami di nuovo e, credimi, di solito non succede.”
“Sono felice per te. Perché, al contrario, di solito, è esattamente quel che succede. Affibbiare etichette sembra essere lo sport nazionale. Altro che il calcio. Forse è come con i cani, che hanno bisogno di marcare il territorio. Allo stesso modo, gli uomini devono orinare sui propri simili per avere l'illusione di saperli riconoscere.”
“Posso farti una domanda?” Non capiva cosa le fosse preso, ma ormai era andata.
“Certo, basta che non implichi il dovere di una risposta.”
“Ho smesso da un bel pezzo di pretendere.”
“Allora puoi andare con la domanda.”
“Di che colore sono i miei occhi?”
“Domanda a doppio taglio. Non è così facile come potrebbe sembrare…”
“Lo sapevo, peccato.” Pensò la donna, ma, ancora una volta, era giunta a conclusioni affrettate.
“Oggi, con questo sole abbagliante, di un bel celeste trasparente, ma direi che il più delle volte potrebbero essere sul verde, con tendenze al grigio nelle giornate di pioggia.” Sentenziò l'uomo, dopo una profonda boccata di sigaretta.
Partì anche la seconda domanda. Partì prima del pensiero, prima che la vergogna per averla fatta le incendiasse il viso:“E le mie tette come sono?”
Lui non si scompose e, senza distogliere lo sguardo da quello di lei rispose: “Dovresti fare più attenzione. Perché, a volte, potrebbe capitare che rubino il palcoscenico agli occhi.”
“Posso offrirti un caffè? Per rimediare!”
L'uomo la trapassò con la vista come una freccia di balestra e trapassò anche tutto quello che c'era dietro di lei, per finire dove nessuno sapeva dove. “Rimediare è un verbo privo di significato.” Disse “Non c'è possibilità di rimediare al passato; per quanto prossimo. Possiamo solo comportarci diversamente.”
“Sarebbe un no?”
“Al contrario, sarebbe un si. Non so se tu ti aspettassi un'altra risposta, nell'eventualità, mi dispiace. Ma io non rifiuto mai un buon caffè.” E sorrise.
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Punti di vista, affari di gusto e olfatto
-Sono brutta. Non mi calcola nessuno. Mi prendono in giro sin da quando ero ragazza.
-Smettila!
-No: sono veramente brutta, nessuno mi si fila…
-Allora oltre che brutta sei scema…
-Aooooh… Che vuoi dire?
-Ma secondo te perché perdo tutto questo tempo con te? Non ti sei accorta che mi struggo di passione se solo mi ti appendi al braccio? Che così mi sento un vero cavaliere medievale e cammino a un palmo dal terreno? Che ti difenderei da qualsiasi drago?
-Ma… che cazzo dici? Sei sposato con una vera Dea; una gnocca che levati… ma che vuoi, da me? Lasciami perdere, per favore. Non mi illudere, che poi ci credo. Vai a quel paese, vai… ma come ti permetti...
L’ho presa per un braccio immediatamente, portata nel magazzino stoccaggio pneumatici della ditta in cui lavoriamo. Poi l’ho inchiodata a una pila di ruote di trattore e l’ho baciata. L’ho girata e le ho messo direttamente una mano tra le cosce, perché non ne potevo proprio più e lei, sgranando gli occhi dalla sorpresa, ma comunque felicissima di essere finalmente desiderata da un uomo, mi ha detto che non potevamo rischiare il licenziamento. Ci siamo ricomposti e siamo tornati ognuno al proprio posto di lavoro.
La sera stessa, con la scusa di un improvviso ritrovato interesse per il calcetto, sono andato dritto a casa sua. Lei non ha neppure fatto a tempo ad aprire e dire: “ciao, non ti aspettav…” che in trenta secondi l’ho spogliata e quindi le ho fatto provare tutto ciò che una donna di quarant’anni deve assolutamente provare, semplicemente perché ne ha diritto. Ogni donna deve poter godere delle gioie che può darle un uomo con gli attributi. L’ho assaggiata, leccata e fatta godere in tutti i modi possibili. Dio, se era felice! E io più di lei.
Mi spiace tantissimo per mia moglie, che da giovane era una fotomodella e ancora oggi è una femmina stupenda. Ma per questa donna piccola, zitella, dal poco seno, naso aquilino, gambe a X e tutti i complessi del mondo nella testa, io ho proprio perso la trebisonda. Il suo sapore mi ha catturato definitivamente. Il suo odore m’è entrato nell’anima. La voglio. Di continuo. Non so neppure io come sia potuto accadere. Boh?!? Perché l’amore è semplicemente un mistero. Una trappola in cui però ognuno vuole assolutamente cadere. Il prima possibile.
RDA
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So’ Giorgia, no?
Dateme un pretesto e ve faccio ’a smorfia che ce vo’. D’artronde, che v’aspettavate? What did you expect?, direbbe Nicole, l’amica mia. Io so’ così, so’ romana e When in Rome, I do as the Romans do, lo canta pure ’a Barbara Streisand, no? Nun ve piace? Me dovete da sopportà p’antri tre anni, armeno, io de qua nun me movo. M’avete eletta voi, che c… volete? Io le smorfie le ho sempre fatte, volevate questo da me. Chi mi dice che so’ patologiche me fa’ ride. Io so’ così, nun ve n’accorgete che ve prendo pe’ i fondelli? Ancora me state al rigore istituzionale? Ma per favore! Avete sopportato tutte le barzellette del sor Silvio, e c’avete pure riso, avete sopportato Romolo e Remolo, e venite a famme tutta ’sta manfrina su ’e faccette e ’e smorfie e ’a giacca? M’avete da piglià come sono, ancora nun l’avete capito, eh? E pure sta pronuncia strascicata che fa tanto Roma de periferia, è la mia interpretazione de ’ndo stamo, no? Un’immensa periferia piena de bburini, pure a piazza Navona, pure ar Testaccio, pure a Trastevere e ai Parioli. È questo che je piace all’americani, quelli stanno ancora a Vacanze romane. Pe’ questo Biden me bacia, so’ l’Italia che loro credono che ce sia.
Aho’, famo a capisse, so’ Giorgia, so’ donna, so’ mamma e so’ pure cristiana. E faccio tutte le smorfie che me pare. Ora me fate pure er body shaming?
Ma voi come reaggireste a tutte ’e fregnacce che me tocca sentì ar transatlantico? I diritti de chi? Dei genitori A e B? Dei migranti? Degli studenti? Ma quanno mai, qui io c’ho la maggioranza e faccio come me pare, ve rode, eh? E ve faccio pure le faccette, i gesti e quello che voglio. So’ Giorgia, so’ donna, eccetera.
’A Santanchè… Daniela è brava, ce sa fa co’ i turisti. Du spaghi a mezzanotte e quelli so’ contenti, c’ha delle idee. E poi i turisti vonno er Colosseo, i centurioni, e i selfie, che state a di’, ’a cultura… E che dd’è ’sta cultura? Er turismo è n’antra cosa, a me che so’ romana me volete insegnà che è er turismo? Seh, vabbè. E poi se ve faccio la smorfia v’inquietate. Ha fatto dei pasticci, Daniela, vabbè, e chi nun ne fa? Poi vedemo come se mette co ’a giustizia, per ora resta là.
Er presidente? Er presidente so’ io, mo’ vedrete co’ ’a legge nova. Seh, ’a Costituzione, ma che volete costituire, è ormai superata. Ancora coll’antifascismo, e basta! E poi ve meravigliate d’ ’e faccette?
Sarvini? Ah, vabbè, quello ormai è spacciato, s’è messo in testa de fa’ er fascista più de me, ma è solo un dilettante, alle prossime elezioni sta fuori. Nun sta mai zitto, è un milanese, deve dì sempre la sua, che volete che capisca de Roma. E poi lassamoje er ponte de Messina che così se diverte e se distrae. E i suoi me li prendo io e la Lega torna a fare il partitino de provincia, che questo è. Io pe’ qquesto ’o lascio fa’, quanta fatica de meno, e che so’ scema? Ar fascismo ce pensiamo poi, nun ve preoccupate, è sempre lì, lo tengo ar callo, piano piano. Che m’o faccio scippa’ da Sarvini? E che so’ scema? Prima cominciamo co’ ’a stampa, tutti ’sti giornalisti, so’ troppi, che vonno? E poi j’arisponno come me pare a me, e se me pare. E poi ve faccio vede’ de cosa è capace Giorgia, dateme tempo e votate pe’ me all’europee, pure se poi nun ce vado, perché lì le mie faccette nun le capirebbero. So’ donna, so’ mamma, eccetera. So’ Giorgia, no? Intelliggente nun lo so, ma voi mica m’avete votata p’ ’a intelliggenza mia, no? So’ furbetta, questo sì, e pe’ governà ’sto paese basta esse furbi, basta solo guardà chi m’ha preceduto. E so’ sgarbatella, che ce volete fa’? Accontentateve e piantatela de rompe co’ ’e faccette.
MASSIMO CRISPI – glistatigenerali.com
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IL PRIMO BACIO (dovrebbe essere un racconto)
Si disse che avrebbe aspettato ancora dieci minuti e poi se ne sarebbe andata. Guardò per la millesima volta il cellulare ma non c’era nessun messaggio. L’ultimo diceva che gli era capitato un imprevisto, sarebbe arrivato in ritardo di qualche minuto. Questo due ore prima.
“Cinque minuti, non di più.”
ripeté decisa e arrabbiata, ma non con quel lui che aveva promesso, giurato e che ora era uno scomodo fantasma; arrabbiata con quel bisogno di qualcuno che l’obbligava a restare li, ferma come una vittima sulla ghigliottina ad aspettare un verdetto che già sapeva
Sentì dei passi sulla sabbia e vide la figura di un ragazzo arrivare. Piena di speranza alzò la testa per vedere meglio. Non era lui. Era più alto di Luigi e con i capelli ricci. Tornò a sdraiarsi mettendo la testa sul cuscino gonfiabile e, fingendo di avere gli occhi chiusi, osservò il nuovo arrivato. Lui stava guardando il cellulare e quando girò intorno alla collina di sabbia che la nascondeva si fermò stupito osservandola. Si guardò intorno indeciso sul da farsi poi continuò nella piccola conca che formava una spiaggetta protetta dal vento e dagli sguardi indiscreti dirigendosi al lato opposto a quello dove lei era sdraiata e, distesa la tovaglia, si coricò senza levarsi la maglietta.
Lei decise che ormai poteva andarsene. Anche se Luigi fosse arrivato non avrebbero avuto quell’intimità necessaria a parlarsi e forse a legarsi per sempre. Ormai, Luigi le aveva fatto capire che per loro non ci sarebbe stato un sempre.
Si mise a sedere cercando qualcosa nella borsa solo per non farsi fregare dalla tristezza e mettersi a piangere come una scema. Il vento soffiò improvviso e feroce, a sottolineare l’amara rabbia che lei provava e col suo soffio cattivo, si portò via il suo cuscino gonfiabile. Lei cercò di girarsi per afferrarlo ma cadde goffamente sulla sabbia e poiché si era messa su una duna, rotolò verso il basso come una pera caduta dal suo ramo.
Quando si fermò era confusa e disorientata, con la testa verso il basso, le gambe verso l’alto, senza riuscire a muoversi da quella ridicola posizione. Si butto su un fianco e cercò di alzarsi senza riuscirci.
“Vuoi una mano?”
Era il ragazzo con i capelli ricci che la guardava dall’alto.
“Si grazie, mi sono incasinata.”
Le spostò le gambe verso il basso e, prese le sue braccia, la tirò su lentamente. Stretto sotto un suo braccio c’era il suo cuscino.
Si drizzò barcollando, levandosi la sabbia dalla testa.
“Hai fatto un bel ruzzolone”
“I disastri sono la mia specialità”
Si levò la sabbia dalle gambe
“Ce la fai a risalire?”
Le chiese preoccupato con un accento che sembrava altoatesino.
“Si, si”
Rispose lei cercando di camminare sulla piccola duna su cui era sdraiata. Lui le allungò il cuscino
“Grazie, grazie nuovamente”
“Prego - Rispose gentilmente facendo un piccolo sorriso – va tutto bene?”
“Si, si, grazie ancora. Grazie”
Rispose velocemente quasi gli desse fastidio e afferrò con malagrazia il cuscino. Il ragazzo fece un altro sorriso di circostanza e tornò a sdraiarsi dall’altra parte della piccola spiaggia concentrandosi sul cellulare e ignorandola.
Lei l’osservò. Sembrava magro ma l’aveva aiutata senza mostrare alcuna fatica ed era stato gentile ed educato, non il solito sciabbacotu (pescatore povero, sinonimo di persona rozza e ignorante) che c’erano nei paesi lungo la costa. Lei al solito si era comportata da zalla. Ormai non poteva evitare di morire vergine, cosa che secondo sua zia Pinuccia era la disgrazia peggiore che potesse capitare ad una donna, ma passare da zalla non le andava. Si alzò e si diresse con cautela dal ragazzo sedendosi accanto. Lui si accorse di lei solo quando se la vide vicinissima, si levò gli auricolari e la guardò interrogativo.
“Eh nenti, prima sono stata un po' sgarbata, volevo chiederti ancora grazie. “
“Non ti preoccupare – la osservò attentamente – va tutto bene? Ti vedo turbata”
“è che tutto mi va a schifiu”
“Cose sentimentali o cose serie?”
“Le cose sentimentali non sono cose serie?”
“Per chi gli vuol dare importanza si, per chi ha un po' gnengu (intelligenza), no”
“Ecco, come finire la serata in gloria, con il sentimental-scettico di turno – pensò lei e continuò ironicamente a voce alta – perché tu non credi all’amore?”
“All’amore si, ma a tutte quelle storie che ci ricamano intorno, no. È un marketing dei sentimenti che mi da fastidio.”
“Che vuoi dire, non ti capisco “
“Scusami, sono con le scatole girate. Oggi ho avuto una giornata di lavoro storta. Ero venuto qui a distrarmi un po'”
“Oh scusa vado via”
“No resta, tu non fai parte della mia giornata ma di questa spiaggia, quindi sei senza peccato”
Lei sorrise e gli chiese
“Che lavoro fai?”
“Lavoro in un laboratorio di analisi mediche. Oggi si son rotte due apparecchiature e ho passato la giornata a cercare l’assistenza tecnica per domani. Ma qui in Sicilia “domani” è un tempo indefinito. E tu che lavoro fai?”
“Lavoro in un asilo, con i bambini.”
“Allora la tua giornata dovrebbe essere stata tranquilla”
“Invece era una giornata piena di aspettative: ero riuscita a farmi dare un appuntamento da un bonazzo che mi piaceva da tanto, e stu strunzu mi da buca! Ma dimmi: Cettina si nu cessu, m’affruntu (mi vergogno) ad uscire con te invece di farmi sperare per niente. Stu strunzu”
Sentì gli occhi riempirsi di lacrime.
“Lo vedi? È questo quello che chiamo marketing dei sentimenti: i sentimenti che creano false illusioni e falsi motivi di auto compatimento per poi cercare altri motivi di autocompiacimento, autostima etc etc, così siamo sempre a cercare di essere apprezzati o di apprezzare per avere in cambio quelle gratificazioni che non riusciamo a trovare nella vita e di cui i sentimenti sono il motore”
Si avvicinò a Cettina
“Ragiona, se non è venuto è un bene! Ti avrebbe riempito di illusioni, false promesse, sogni … e poi sarebbe scomparso nel nulla lasciandoti la sensazione di aver sprecato una vita.”
Si sdraiò sulla schiena
“E poi non si nu cessu, lo sai!”
“Comu no! Ho il corpo a fiasco di vino e questo naso che da solo fa provincia”
E guardò la punta del suo naso con entrambi gli occhi. Lui sorrise di gusto
“Hai fatto una espressione ridicola – si scusò – e poi la bellezza di una donna non è nel solo fisico. È nella sua sensualità, nel suo carattere, nel suo charme. La bellezza rimanda sempre a qualcosa, ad un sentimento, al sesso, al piacere, ad una canzone, una stagione, ad un ideale, ad un’idea di perfezione. Non è qualcosa di assoluto ma di culturalmente e personalmente relativo e nella sua relatività non c’è un più o un meno bello.”
“Si, si – fece lei scettica – intanto quelle con le cosce lunghe, il seno rifatto, magre e bionde hanno sempre nu zitu che le sta dietro ed io resto sempre seduta da parte come na seggia sciancata (una sedia con una gamba rotta) chi nuddu voli. Sula a ittari sangu, ad aspettare che qualche caso umano mi consideri. Tu parli bene, ma a me nessuno mi guarda, perché l’unica cosa a cui culturalmente rimando è un sacco di patate.”
Lui sorrise e si sdraiò sulla schiena chiudendo le palpebre ed aggiunse semplicemente
“esagerata comu tutti i fimmini”
“A si, - fece lei piccata - allora dimmi di che colore sono i miei occhi? Se sono interessante li avrai notati”
Gli disse ironica e se li nascose con una mano. Lui sorrise
“Sono nocciola con dei sprazzi ambrati intorno alla pupilla, hanno una forma a mandorla e sono ben proporzionati nel volto.”
Lei levò la mano sorpresa e pensò
“minchia ma mi ha guardato veramente"
“E tu sapresti dirmi di che colore sono i miei?”
Fece lui e si coprì gli occhi come aveva fatto lei
Ebbe un attacco di panico ma si riprese subito
“Neri … neri scurissimi … e normali, cioè non a mandorla ma normali”
“Hai dimenticato affascinanti e intelligenti ….”
“Si va bene, ha parlato George Clooney”
Fece lei ridendo. Sorrise anche lui e restarono in silenzio qualche secondo
“Lo fai il bagno?”
Lui la guardò
“Ma si dai “
si levò la maglietta mentre lei si alzò e corse sulla sabbia calda entrando in acqua con un tuffo. Lui la seguì entrando in acqua lentamente. Cettina ne approfittò e avvicinandosi, lo bagnò; lui sussulto per l’acqua fredda e si tuffò inseguendola. Lei nuotò via ridendo mentre il ragazzo con grandi bracciate cercava di raggiungerla.
Sentì ad un certo punto un dolore intenso al polpaccio. Lanciò un grido e malgrado cercasse di restare a galla, affondò lentamente. Prima di essere sommersa dall’acqua cercò di respirare più aria che poteva, ma lo fece con la bocca vicino all’acqua e un boccone le scese lungo la gola facendola tossire. L’acqua la sommerse. Si sentì afferrare ai fianchi, percepì il corpo caldo di lui contro il suo e con forza si sentì sollevare finché la testa uscì in superfice. Incominciò a tossire e a sputare acqua. Il ragazzo l’aveva afferrata e lentamente la stava portando a riva.
Lei si appoggio a lui mentre sentiva le sue braccia stringerla e sostenerla
“Un crampo”
Disse tra un colpo di tosse e l’altro. Arrivarono sul bagnasciuga e lui si fermo. Lei in si massaggio il polpaccio dolorante appoggiandosi contro il corpo di lui.
“cerca di stendere il piede.”
Sentiva il corpo del ragazzo contro il suo e il braccio che la circondava.
“ora va meglio aiutami a sdraiarmi.”
l’aiutò a raggiungere la sua tovaglia
“Stai qui al caldo “
e si tuffò di nuovo.
Cettina massaggiandosi il polpaccio si sdraio sulla sabbia calda.
Il ragazzo tornò poco dopo, prese le sue cose e si sdraiò accanto a lei con la schiena al sole e gli occhi chiusi. Cettina aprì di poco gli occhi come se li avesse ancora chiusi e lo guardò. Osservò il naso regolare e il mento largo soffermandosi sulle labbra sottili.
“Oggi è la giornata in cui mi devi salvare”
“Capitano le giornate no, che vuoi fare”
“Meno male che nuoti benissimo”
“La piscina era la cosa più vicina al mare che c’era dove abitavo in Germania. Facevo parte di una squadra di pallanuoto.”
“E hai vinto qualcosa?”
“Dicevano che ero troppo piccolo e magro per stavo sempre in panchina. Ma in realtà non giocavo perché ero italiano.”
Chiuse gli occhi e cercò di farsi scaldare dal sole.
Cettina pensò a quello che lui aveva detto prima del bagno e alla fine si alzò sui gomiti e gli chiese
“Posso farti una domanda personale”
“E fammela …”
“Ma tu l’hai mai avuta una ragazza?”
“No, e non sono gay per rispondere alla tua seconda domanda”
“La mia seconda domanda è “perché”? perché non ci credi nell’amore se non hai mai avuto una ragazza?”
Lui si appoggiò sulle braccia alzando il busto
“Mi è successo che quando avevo sei anni mio padre si è innamorato di una ragazza più giovane di lui e ha lasciato la famiglia. Mia madre non aveva mai lavorato ed è stato un momento molto difficile. Poi siamo andati in Germania dove c’era mio zio che le ha trovato un lavoro. Si è messa poi con uno che sapeva che ogni sabato pensava che doverosamente dovesse ubriacarsi. Io mi sono ritrovato da che abitavo di fronte al mare, a vedere da un giorno con l’altro solo distese di luppolo e pini oscuri, senza capire cosa mi diceva la gente e a sentirmi sempre un diverso, un estraneo sopportato e mai accettato. Quando ho potuto me ne sono tornato qui. Non riuscivo ad amare quel mare di terra e quella gente che ti sorrideva solo se aveva un bicchiere in mano. Per questo sono tornato e per tutti sono un pacciu (pazzo), ma i pacci sono liberi, hanno il diritto di vivere come vogliono. Ho preso in casa mio padre che è stato lasciato dalla sua amante e che a furia di pensare a tutti gli errori che ha fatto è diventato un alcolizzato. L’amore, i rapporti con gli altri sono fregature, legami che devi subire tuo malgrado, che devi accettare anche se non hanno più senso, come la famiglia. Perché legarsi se i legami sono solo temporanei e si usurano con la stessa velocità con cui invecchiano i telefonini?”
Lei ascoltava in silenzio, e quando lui finì di parlare continuò a guardarlo come se stesse ancora ascoltandolo, poi si sdraiò nuovamente sulla pancia.
“Io mio padre non l’ho mai conosciuto. Mia madre non ne parla mai. Qualcuno dice che è o era una brava persona, qualche altro dice che era un mascalzone. Non lo so, forse nessuno mi vuole: perché sono una bastarda. Ma a me la cosa non mi interessa. Mia madre è una donna eccezionale, uno scoglio che nessuna mareggiata riesce a spostare; mi ha insegnato che la vita si deve vivere e amare non “malgrado tutto” ma perché è vita, è la nostra, è l’unica che abbiamo. – restò qualche istante in silenzio - Io lavoro con i bambini e vedo ogni giorno che loro si nutrono d’amore. Ne hanno bisogno per crescere per comprendere, per capire questo mondo che per loro è meraviglioso e spesso terribile. Gli uomini non sono diversi dai bambini, senza amore, morirebbero o sarebbero eternamente ubriachi, per non pensare che sono soli, prigionieri di se stessi.”
Restò qualche minuto in silenzio come se ascoltasse il vento dirle qualcosa
“Quando da bambina ho chiesto a mia madre perché non avesse sposato mio padre mi ha risposto che quando si vuole bene a qualcuno è come quando si va in posta ad aprire in due un libretto dove si conserva tutto l’amore che in quel momento avanza; ci si mette i desideri comuni, le speranze per il domani, i ricordi belli, i momenti felici, baci, carezze, sorrisi, abbracci, insomma, tutto quello che unisce e che rende felici. Quando si ha un momento di difficoltà si va alla posta e si preleva un po' d’amore dal libretto, così si continua a volersi bene. Quando era successo a lei di aver bisogno di quell’amore che mio padre in quel momento non le dava, aveva scoperto che il libretto era vuoto, che mio padre non aveva messo nulla e lei pochissimo. Non serviva a niente tenere quel libretto e lo aveva chiuso e con lui, aveva chiuso anche il rapporto con mio padre. Mi ha detto anche che il suo era una eccezione. Perché l’amore, se ci crediamo, rinasce ogni giorno ed è l’interesse, il guadagno di quello che abbiamo messo nel libretto, così ogni giorno accumuliamo un tesoro. Questo perché è il tempo che giudica l’amore, perché fa la somma di quanto in quest’amore abbiamo messo di nostro e di sincero. Nel libretto dei tuoi forse c’era poco come in quello dei miei e tuo padre ha deciso di aprirne un altro perché come i bambini, tutti noi dobbiamo nutrirci d’amore.”
“E come si fa a mettere la giusta quantità d’amore sul libretto se all’inizio non si sa cosa si dovrà affrontare e siamo presi dalla voglia e dalla paura d’amare”
“conoscendosi e voglia di sapersi. Solo quando sai chi hai davanti puoi incominciare a depositare il tuo amore in più. Ora tu dici, l’amore non esiste! Ma se non lo hai mai provato, se non hai mai aperto un libretto impegnandoti in un rapporto, come fai a dire che non esiste. Io invece sono sempre qua, con il mio libretto in mano in cui nessuno vuole depositare qualcosa!”
Lui sorrise
“Forse dai troppa importanza a quel libretto postale”
“perché non si può ignorare l’amore come fai tu. Ma dimmi la verità, sei felice?”
Lui non rispose ed appoggiò la testa sulle mani vicino alla sabbia.
“nel mio piccolo si”
“si, sei felice come una barca lasciata per sempre sulla spiaggia: hai rinunciato al mare, alla vita”
Lui chiuse gli occhi come per riflettere meglio.
“dipende da cosa intendi per vita, se è la spiaggia sempre uguale o il mare con le sue tempeste e bonacce. Quando hai visto solo naufragi, forse la spiaggia è l’unica soluzione”
Lei pensò alle sue parole. Non stava capendo. Non capiva che quell’amore di cui lei parlava non era un passatempo, un vestito sociale che bisognava indossare, ma un bisogno che tutti quanti avevano, anche lui sentimentalmente ateo. Fu invasa da una velenosa malinconia. Come sentiva che era finita in un altro vicolo cieco dove non c’era nessuno. Questo tirolese spiaggiato non voleva dare all’amore l’importanza che aveva e chissà quanti la pensavano come lui. Lei era l’unica a credere in qualcosa a cui nessuno in fondo dava un vero valore. Luigi era ormai un’ombra come tutti quelli che l’avevano preceduto: già prima dell’inizio era finito tutto. Si era spaventato o si vergognava di lei. Il risultato non cambiava: il suo libretto postale era ormai scaduto e nessun altro avrebbe messo su di esso un sogno, un desiderio, un momento felice perché alla fine, gira che ti rigira, lei restava sempre una senza valore, era solo la figlia della buttana che nessuno aveva sposato, era solo quella che non sapeva neanche chi fosse suo padre.
Le venne voglia di scappare e di fermarsi solo in quel posto lontano e introvabile del mondo dove non esistevano le ingiustizie
“si è fatto tardi – disse fredda e distante – il sole sta già tramontando. Io vado”
Si alzò e con le mani rimosse la sabbia dalle gambe. Incominciò a raccogliere nervosamente le sue cose. Lui la guardò sorpreso. Restò seduto osservandola qualche secondo, poi si alzò velocemente
“Hai ragione, quando il sole va via incomincia a fare freddo”
Raccolse la tovaglia e lo zaino e aspettò che lei finisse di piegare la sua. S’incamminarono lentamente sul bagnasciuga per aggirare il promontorio dietro cui era nascosta la spiaggetta e tornare alla piazzola sulla statale su cui avevano parcheggiato
Dopo alcuni secondi di silenzio lui incominciò a parlare
“Mi piace la tua teoria del libretto e anche quello che hai detto sui bambini …”
Lei camminava senza ascoltarlo, guardando dove metteva i piedi per evitare i sassi più grossi o più appuntiti.
“Poi, è vero, per mettere il giusto valore nel libretto comune, ognuno deve sapere, chi è la persona con cui ha aperto il conto e che cosa rappresenta per lui …”
Lei continuava a non parlare stanca di una discussione senza nessuna conclusione che ormai aveva sentito mille volte ripetuta in mille modi diversi.
“… Penso che alla fine ognuno deve trovare la sua strada ….” Concluse lui con una disarmante banalità detta come se fosse una verità assoluta.
Arrivarono alla piazzola del parcheggio e Cettina vide poco lontano dalla sua macchina una moto di grossa cilindrata con targa tedesca
Lei arrivò alla macchina qualche metro più avanti, l’aprì e si girò per salutarlo trovandolo giusto dietro di lei invece che accanto alla moto e spaventata fece un salto indietro
“Scusa – fece lui sorridendo per la faccia che aveva fatto – volevo chiederti sola una cosa …”
“Dimmi”
Rispose lei riavutasi dallo spavento
“… ti andrebbe di andare a mangiare una pizza con me questa sera … o domani se sei occupata?”
Lei lo guardò sorpresa
“Perché ?
“Per conoscerci meglio … per parlare un po' …. diventare amici….”
Non riuscì a trovare altri argomenti anche se si capiva che li stava cercando
“… tra le tante persone che ho incontrato qui, sei l’unica che dica delle cose sensate … ”
Lei lo guardava stupita, indecisa sul da farsi pensando a cosa volesse dire
“… scusa, è la prima volta che chiedo un appuntamento e non so cosa si dica in questi casi … ma ho lasciato la Germania per il mare … mi scoccia pensarmi abbandonato su una spiaggia”
La guardò intensamente, con i ricci che gli scendevano sugli occhi e le labbra ferme in un sorriso gentile.
Lei pensò a il suo corpo contro il suo nel bagnasciuga, penso ai suoi occhi neri dietro i riccioli che gli coprivano la fronte, ebbe il flash delle sue labbra che le sorridevano senza malizia mentre le dava il cuscino e pensò a quello che le aveva detto, alla sua anima che le aveva mostrato. Sentì che era sincero, diversamente da tutti quelli prima di lui, le aveva mostrato la sua anima ancor prima di conoscerla.
“bhe, penso che stasera potremmo vederci, perché no … dove possiamo andare?”
“io vado sempre al kamelot, ti va bene?”
“ si non è lontano da casa mia alle 21:00 va bene?”
“okei, prenoto io”
Lei lo guardò tutta seria.
“ Non mi darai anche tu una buca?”
“No! io quando dico una cosa è quella”
E sorrise nuovamente
“va bene, a stasera”
Fece lei contenta. Il volto di lui si illuminò. Si voltò e si avviò verso la moto. Lei lo guardò allontanarsi e dopo pochi secondi gli corse dietro
“scusa, … scusa,”
Lui si voltò immediatamente e se la vide arrivare di corsa
“Come ti chiami ? …. Non mi hai detto come ti chiami”
Lui la guardò
“Philipp, Filippo in italiano”
I loro occhi si guardavano come quando si guarda un tramonto o il mare del mattino mentre sorge il sole e lo riveste di luce.
“Ah, Filippo … “
Ripetè lei. Ma non si mosse e non disse nulla. Lui faceva lo stesso quasi a voler leggere ogni suo tratto, ogni più piccolo particolare di lei per ricordarselo per sempre
I loro occhi si fissavano come se le loro anime volessero conoscersi direttamente, senza usare parole, ma solo il loro silenzioso desiderio di sapersi
“minchia baciami, abbracciami, … stringimi …”
Pensò Cettina improvvisamente, sperando che la stringesse come aveva fatto in acqua o come fanno nei film e che premesse le sue labbra sulle sue, perché le labbra sono la penna con cui ogni amante scrive il suo amore sulla pelle di chi ama e lei voleva che lui scrivesse sulla sua pelle quanto per lui, lei fosse importante, quanto la desiderasse e la volesse rivestire di piacere, perché aveva sempre desiderato un bacio rivelatore come quello che non era mai arrivato.
Si vergognò immediatamente dei pensieri che stava facendo
“… a dopo … allora”
E indietreggio per ricordarlo com’era, con i riccioli smossi dal vento, quel sorriso che sembrava quello di un bambino e l’asciugamano rossa sulla spalla.
Sentì che stava arrossendo, si voltò e andò via, salì in macchina e partì. Arrivò a casa senza ricordarsi nulla della strada che aveva fatto, perché pensava solo a lui, a quello che si erano detti, alle sue braccia intorno la sua vita, ai suoi occhi fissi nei suoi. Alle sue labbra che dovevano essere dolcissime, alle sue mani sul suo corpo, alla sua pelle che doveva profumare di fuoco e zagara. Si asciugò i capelli raccogliendoli in una lunga coda, si mise lo smalto nuovo sulle unghie dei piedi e delle mani, si passo sulle gambe la crema per rassodarle e passò parecchio tempo a truccarsi. Lo faceva in modo inconscio, mentre pensava a lui. Si provo due vestiti e scelse il nero con le scarpe basse e una piccola borsa. Restò in dubbio sull’intimo, se dovesse mettersi Victoria Segret o Coin.
“Minchia - si disse - se deve succedere qualcosa, me lo devo ricordare per tutta la vita”
E levò il tagliandino del prezzo a Victoria Segret. Quando guardò l’orologio si accorse che era tardi e corse via sotto lo sguardo severo della madre rimasta a guardarla preoccupata sulla porta di casa. Arrivò con quasi venti minuti di ritardo e all’ingresso del locale lo cercò con ansia e paura tra i tavoli. Lo vide in un angolo che guardava il cellulare. Si diresse verso di lui sicura ed emozionata. Felice di vederlo con i suoi ricci e la sua camicia di lino bianco. Felice di vederlo perché le sembrava di conoscerlo da sempre, di sapere ogni suo segreto e che in verità non l’avesse mai lasciata. Era rimasto dentro i suoi più nascosti desideri a sorriderle, a stringerla e proteggerla come quando l’aveva stretta nel mare. Non era mai andato via, era rinchiuso dentro la sua anima a nutrirla d’amore Quando lui la vide si alzo sorridendo e lei si sorprese perché non lo ricordava così carino e pensò che era naturale che lei fosse lì con lui, che non potesse essere altrimenti, che quel momento per loro due era gia stato scritto da sempre. Per sempre.
“Ciao”
Le disse Filippo guardandola stupito della sua elegante trasformazione mentre aspettava che si sedesse.
“ciao, è tanto che mi aspetti? “
gli chiese preoccupata Cettina.
“da sempre”
rispose e sorrise con un sorriso grande quanto l’orizzonte Lo stomaco le prese fuoco e capì che sarebbe stata la serata più importante di tutta la vita che fino a quel momento aveva vissuto. Si spaventò, per quell’immensa e incosciente felicità che stava provando.
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Non ce la faccio più.
Mi manchi.
Mi manchi come nessun altro in questo mondo strano e pesante.
Mi sembra di spegnermi un giorno alla volta.
E lo so che non è passato molto.
Sicuramente mi diresti "datti tempo", "andrà sempre meglio", "è solo questione di tempo".
Ma non è vero, è una cazzata. Non va meglio, non sta andando meglio. Ho bisogno di parlarti, di sentirti, di chiederti pure la stronzata più insulsa, di sapere cosa fai, che serie tv stai vedendo, che hai mangiato a pranzo, se hai dormito bene o hai fatto un brutto sogno, di sapere la tua opinione su alcune persone, sui miei disegni, sui miei capelli, i miei vestiti, voglio provare i nuovi posti con te, anche semplicemente provare le novità del Mc vedendoti scambiare le nostre bibite perché la tua non la finisci mai.
E lo so benissimo che sembro patetica, che sembro la solita scema che di fare l'orgogliosa non me vuole sapere, ma non ce la faccio.
Mi sembra di impazzire. Impazzisco senza di te.
Ho perso una parte di me che non riesco semplicemente ad accantonare.
E so anche che non succederà nulla dopo aver scritto questo post, che continuerò a non sentirti e la mia voglia crescerà soltanto, portandomi ad un'esasperazione che non darò vedere a nessuno, perché nessuno merita di vedere quella parte così fragile di me che riservavo a te.
Non ti credere, sto provando a distrarmi per quanto mi è possibile, ma la mia mente non smette mai di pensare "questo vorrei dirlo a lei", nessuno capisce i miei problemi come facevi tu, nessuno capisce la mia felicità come facevi tu, nessuno è te.
Io non so come stai. Non so cosa pensi. Non so se anche tu ti senti il cuore dolente e a volte vorresti togliertelo per non sentirlo più e stare un po' tranquilla.
Ogni tanto spero che nella notte tu dica "ora le scrivo, è notte, non mi vede nessuno, è solo un messaggio", e io lo spero, mi addormento sempre tardi sperando in te, anche perché non dormo più bene. Ti ricordi che ti dicevo? "Quando sto male il mio sonno fortunatamente non subisce problemi". Cazzata. Li subisce eccome.
E lo so che sembro una bambina, so che tutti la vedono così "è solo una storia finita, piano piano starai bene", ma non era una semplice storia. Prima di esserlo era un'amicizia cercata e voluta, cresciuta nel tempo, un bisogno di entrambe di aversi, di scambiarsi opinioni e affetto.
E so anche che dovrei smetterla, perché queste mie parole ti faranno solo stare peggio, ma io non voglio che tu ti senta in colpa. Sono solo parole per dirti che non va meglio, per farti sapere che non è facile per niente senza di te, anzi, è la cosa più difficile che abbia mai fatto nei miei pochi, ma tanti, anni di vita fin'ora. Però questo mio male non sarebbe così forte se non ti amassi in questa maniera così incondizionata, questo lo sapevo. Perché più grande è la gioia, più grande sarà il male che proverai quando non ci sarà più. Ma ne è valsa la pena. Rivivrei quei giorni all'infinito, rivivrei ogni giorno degli ultimi 5 anni, ogni litigata, ogni risata e ogni tuo bacio.
E so anche molto bene che la mia non è solo tristezza, a volte sono anche molto incazzata, perché avrei voluto così tanto che le cose andassero diversamente. Avevo già tutto in mente, sapevo già cosa dirti in ipotetiche situazioni future, no forse non lo sapevo bene, ma ci ho pensato tanto. E mi fa rabbia, una rabbia mai provata, perché era tutto così perfetto tra noi, eravamo la compensazione l'una dell'altra, lo siamo state per tanto tempo e ora mi uccide tutto ciò. Mi fa rabbia perché sento che questo finale non ci appartiene. Eppure, è così.
Ma ti ringrazio. Per ogni minuto in cui mi hai amata. In cui mi hai fatta sentire la donna più fortunata al mondo, in cui mi hai fatta sentire la donna più bella al mondo, quando in realtà lo sei tu. Grazie per la tua pazienza e dedizione per me, la tua cura e attenzione.
Ma per ora non riesco ad essere felice, qualunque cosa io faccia, sento la tua mancanza, sento quello che mi diresti, mi manca farti i grattini e sentire i tuoi brividi, mi manca sentirti arrabbiata con quel tuo broncio così carino ma spaventoso allo stesso tempo, mi mancano quei tuoi lunghi capelli alla Taiga, quei tuoi occhioni che vedevano tutto di me, quella tua schiettezza sia nel dire cose belle che cose brutte, mi manca il tuo essere stronza ma irresistibile, mi manca il tuo profumo dolce, quelle tue ciglia così belle da far invidia a tutte, mi manca il tuo corpo, quelle tue forme che odi tanto ma che io morderei dalla mattina alla sera, mi manca persino l'odore della tua sigaretta, perché chissà come, era unico anche quello, mi manca quel tuo essere così sexy senza nemmeno accorgertene, mi mancano le tue canzoni, a volte un po' trash, che mettevi in macchina e mi manca la tua voce. Mi manca che mi chiami.
E io so che ti amo. Non riesco a non farlo. Ma so che anche tu tieni a me. So che hai fatto di tutto per il bene di entrambe. Ma io non riesco ancora a vedere quel bene.
E lo so che tutto questo ti risulterà un pó smielato e imbarazzante, infatti non sarei mai riuscita a dirtelo di persona, volevo solo che sapessi che avevo ragione (come sempre) quando te lo dicevo:
Una volta che ti si conosce e ama, non si vive più affatto bene senza di te.
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Ci sono donne che sposano un rocker, e poi c'è una donna che ne ha sposato due.
Pattie Boyd era una bionda, ragazza dagli occhi da cerbiatta del sud-ovest dell'Inghilterra. Dopo aver trovato il successo nella moda, fu scritturata nel famoso film dei Beatles del 1964 ''A Hard Day's Night ''. Recitò la parte di una scolaretta la cui unica battuta era "Prisoners". Per quanto piccolo potesse essere stato quel ruolo, fu abbastanza per far sì che George Harrison la notasse.
Alla pausa pranzo, lui le chiese di uscire con lui, o più specificamente, gli chiese: "Mi vuoi sposare?" Boyd aveva un ragazzo al momento, e rifiutò.
"Ma sei scema? Lascia subito quel ragazzo'' gli disse un amica, così Boyd lo scaricò.
Pattie e George diventarono una coppia iconica. Lui era il timido Beatle, lei la modella di Vogue . Quando alla fine si sposarono nel 1966, Boyd disse: "Ero così felice che pensavo di poter scoppiare".
Il loro matrimonio fu segnato da diverse pietre miliari. La più famosa fu "Something", la canzone dei Beatles scritta per Boyd da Harrison. Fu lei a introdurre Harrison alla meditazione, gestendo il viaggio altamente pubblicizzato dei Beatles in India nel 1968.
Nonostante l'eccitazione, Boyd affermò che dopo il ritorno dall'India la spiritualità di Harrison lo rese sempre più isolato. Trascorreva ore da solo a cantare e meditare.
Nel frattempo, Harrison era diventato un buon amico di Clapton, che spesso frequentava la loro casa. Boyd capì presto che Clapton era interessata a lei.
Cominciò così l'ultimo triangolo amoroso rock and roll. Mentre Boyd si sentiva trascurata da Harrison, Clapton la riempì di attenzioni e complimenti. Non era solo un flirt leggero. Clapton si era infatuato di lei.
Come racconta Boyd, Clapton la invitò nell'appartamento di Londra che condivideva con i suoi Derek and the Dominos. Voleva farle sentire una canzone su cui stava lavorando. "Era una canzone incredibile", disse. Riguardava un uomo completamente affascinato da una donna, che la supplicava di essere sua. Si chiamava "Layla"
Ci fu una festa quella stessa sera. Boyd, Harrison e Clapton erano presenti. Ad un certo punto, Clapton andò con nonchalance al suo amico e disse: "Devo dirti una cosa. Sono innamorato di tua moglie. "
Harrison diventò furioso, disse a Pattie di andarsene con lui. Invece no, lei rimase con Harrison per altri tre anni. Ciò che alla fine convinse Boyd a lasciarlo fu la scoperta della relazione che Harrison stava avendo con Maureen Starr, la moglie di Ringo Starr.
Boyd e Clapton andarono a vivere insieme e si sposarono il 27 marzo del 1979.
Il che negli anni ruggenti degli anni sessanta, potrebbe essere anche considerato un lieto fine. Se non fosse per il fatto che il loro rapporto fu anche pieno di infedeltà e disordini: presunti amanti da entrambe le parti, le tendenze sempre più alcoliche di Clapton e infine un bambino avuto da Lory Del Santo, provocò una separazione nel 1987 e un divorzio nel 1989.
Per quanto drammatica fosse la situazione, l'amicizia di Clapton con Harrison sopravvisse. Harrison disse una volta: "Preferisco che lei stia con Eric piuttosto che in compagnia di qualche droga"
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S'era detto di non fare.
Di non dire.
Di non esagerare.
E invece abbiamo esagerato.
Abbiamo detto.
Ma più di tutto abbiamo fatto.
Le mie paure non ti sopportano.
Gli sei antipatica.
Dicono che con i tuoi sorrisi
non si vince mai.
Ho perso le parole
troppe volte
insieme te.
Le ho ritrovate tutte
e c’ho scritto questa qua.
Che non so se è una canzone
o una poesia
non so se a forza di baciare
le mie fantasie
sei diventata scema.
So soltanto che
se sei tu la soluzione
io voglio essere il problema.
Se sei tu la rivoluzione
io voglio essere il sistema.
S’era detto di non fare.
Senza specificare cosa.
Ed è un errore madornale
perché così ti ho fatta mia
e sopra ad ogni tuo respiro
adesso
c’è la mia calligrafia.
S’era detto di non dire.
E infatti non l’ho detto.
D’aver pianto l’altro giorno
per quanto ero felice
d’averti insieme a me
nuda dentro al letto.
S’era detto di non esagerare.
E invece a carnevale
mi hai detto vestiti da donna
e poi mi hai chiesto di scopare.
C'è una statistica che dice
che più ti penso forte
più ti tengo sveglia.
E allora preparati.
Che stanotte
io e te
non si chiude occhio.
A restar vivi
dentro ai sogni
si rischia sempre grosso.
Non lo sai mai
quello che succederà.
Questa notte
va così.
Resta viva
insieme a me
poi, tutto il resto si vedrà.
Andrea Zorretta
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Alla Meloni e compagnia critico una marea di cose, fra cui il totale menefreghismo e la completa inadeguatezza dimostrati in riguardo alle drammatiche vicende in Emilia-Romagna, infatti, il fatto stesso che 'sta scema non abbia fatto immediatamente inversione di rotta dal Giappone all'Italia per supportare la popolazione in balia degli eventi è una mancanza gravissima. Tuttavia, non posso che essere contenta per l' ulteriore stretta sulla maternità surrogata, perché questo schifo in un Paese che voglia definirsi anche solo vagamente civile non dovrebbe mai esistere. La gestazione provoca cambiamenti e danni enormi al corpo di una donna, che non possono essere compensati con del denaro, per non parlare poi del punto di vista etico, dato che qui si tratta di letterale compravendita delle abilità riproduttive femminili (con conseguente sfruttamento delle donne appartenti ai ceti più poveri e fragili) e, di fatto, traffico di esseri umani (non so come dirvelo, ma anche i bambini sono esseri umani e comprarli mi pare tutto men che accettabile). Quindi sì, almeno su questa cosa, non posso che dirmi a favore, nonché felice di recapitare un sonoro "vaffanculo" a Zan e compagni di metende, che hanno più o meno velatamente tentato di dipingere la schiavitù riproduttiva femminile come un diritto.
EDIT: btw, qui nello specifico si andrà a colpire la GPA (Gestazione Per Altri 🙄), ossia una forma di maternità surrogata gratuita, ma detto sinceramente non sono così scema da credere che una donna affronti 9 mesi di sofferenze + il parto per poi donare gratuitamente il figlio che ha portato in grembo. Oltretutto, non credo che regalare umani sia poi tanto meglio eh. Quindi, almeno a mio parere, il concetto di GPA altro non è che una maternità surrogata pagata sottobanco che va giustamente sanzionata come quella standard. Fatta questa precisazione, quanto scritto sopra rimane ovviamente valido.
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