#domani si corre
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mynameis-gloria · 1 year ago
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Stamattina mi ero pesata e pesavo 1 kg in più rispetto a due giorni fa, così proprio stasera sono andata a cena con colleghe in questo pub/pizzeria (tornata ora ora) decidendo di mangiarmi: patate rustiche nell'attesa della pizza, spritz, pizza zola e prosciutto, altro spritz, salame al cioccolato per concludere in bellezza e dare il colpo di grazia. (Così domani aggiungiamo pure due brufoli sul viso!). Domani mattina corsa obbligatoria :)
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ambrenoir · 6 months ago
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Perché la canzone si chiama "Bohemian Rhapsody"?
Perché dura esattamente 5 minuti e 55 secondi?
Di cosa parla realmente questa canzone?
Perché il film dei Queen è stato rilasciato il 31 ottobre?
Il film è stato rilasciato il 31 ottobre perché il singolo è stato ascoltato per la prima volta il 31 ottobre 1975. La canzone è intitolata così perché una "Rapsodia" è una composizione musicale libera, composta da diverse parti e temi apparentemente non correlati tra loro. La parola "rapsodia" deriva dal greco e significa "parti assemblate di una canzone". La parola "bohemienne" fa riferimento a una regione della Repubblica Ceca chiamata Boemia, luogo di nascita di Faust, il protagonista dell'opera di Goethe. Nell'opera di Goethe, Faust è un anziano molto intelligente che sa tutto tranne il mistero della vita. Non comprendendolo, decide di avvelenarsi.
Proprio in quel momento, suonano le campane della chiesa e lui esce. Al ritorno, incontra un cane che si trasforma in una sorta di uomo: è il diavolo Mefistofele, che gli promette una vita piena in cambio della sua anima. Faust accetta, ringiovanisce e diventa arrogante. Incontra Gretchen e hanno un figlio, ma la moglie e il figlio muoiono. Faust viaggia attraverso il tempo e lo spazio, sentendosi potente, ma invecchiando di nuovo, si sente nuovamente infelice. Non avendo rotto il patto con il diavolo, gli angeli si contendono la sua anima. Questa opera è fondamentale per comprendere "Bohemian Rhapsody".
La canzone parla dello stesso Freddie Mercury. Essendo una rapsodia, ci sono 7 parti diverse:
Primo e secondo atto A Capella
Terzo atto Ballata
Quarto atto Solo di chitarra
Quinto atto Opera
Sesto atto Rock
Settimo atto "Coda" o atto finale
La canzone parla di un ragazzo povero che si chiede se questa vita sia reale o una sua immaginazione distorta. Dice che, anche se smettesse di vivere, il vento continuerebbe a soffiare senza la sua esistenza. Così fa un patto con il diavolo e vende la sua anima. Dopo aver preso questa decisione, corre a raccontarlo a sua madre e le dice: "Mamma, ho appena ucciso un uomo, gli ho messo una pistola alla testa e ora è morto. Ho buttato via la mia vita. Se non torno domani, continua come se nulla importasse..." Quell'uomo che uccide è se stesso, Freddie Mercury.
Se non rispetta il patto con il diavolo, morirà immediatamente. Si congeda dai suoi cari e sua madre scoppia in lacrime, lacrime che si riflettono nelle note di chitarra di Brian May. Freddie, spaventato, grida "Mamma, non voglio morire" e inizia la parte operistica. Freddie si trova su un piano astrale dove vede se stesso: "Vedo una piccola silhouette di un uomo" e chiede "Scaramouche, vuoi fare una lite?" Scaramouche è una piccola disputa tra eserciti a cavallo (i 4 cavalieri dell'Apocalisse del male combattono contro le forze del bene per l'anima di Freddie) e continua dicendo "Fulmini e saette mi spaventano molto". Questa frase appare nella Bibbia, precisamente in Giobbe 37: "il tuono e il lampo mi spaventano: il mio cuore batte nel mio petto". Sua madre, vedendolo così spaventato per la sua decisione, supplica che venga salvato dal patto con Mefistofele. "È solo un povero ragazzo... Perdona la sua vita da questa mostruosità. Ciò che viene facile, facile se ne va, lo lascerai andare?" Le sue suppliche vengono ascoltate e gli angeli scendono per combattere contro le forze del male. "Bismillah" (parola araba che significa "Nel nome di Dio") è la prima parola che appare nel Corano, il libro sacro dei musulmani. Così Dio stesso appare e grida "Non ti abbandoneremo, lascialo andare".
Di fronte a tale confronto tra le forze del bene e del male, Freddie teme per la vita di sua madre e le dice "Mamma mia, mamma mia, lasciami andare". Dal cielo gridano di nuovo che non lo abbandoneranno e Freddie grida "no, no, no, no, no" e dice "Belzebù (il Signore delle Tenebre) potrebbe aver messo un diavolo con te madre". Freddie rende omaggio a Wolfgang Amadeus Mozart e Johann Sebastian Bach quando canta "Figaro, Magnifico" riferendosi a "Le Nozze di Figaro" di Mozart e al "Magnificat" di Bach. Finisce la parte operistica e inizia la parte rock. Il diavolo, collerico e tradito da Freddie per non aver rispettato il patto, dice "Pensi di poter insultarmi in questo modo? Pensi di poter venire da me per poi abbandonarmi? Pensi di potermi amare e lasciarmi morire?" È sconvolgente come il signore del male si senta impotente di fronte a un essere umano, di fronte al pentimento e all'amore. Persa la battaglia, il diavolo se ne va e si arriva all'ultimo atto o "coda" dove Freddie è libero e quella sensazione lo conforta. Suona il gong che chiude la canzone. Il gong è uno strumento utilizzato in Cina e nell'estremo oriente asiatico per curare persone sotto l'influenza di spiriti maligni.
La canzone dura 5 minuti e 55 secondi. A Freddie piaceva l'astrologia e il 555 in numerologia è associato alla morte, non fisica, ma spirituale, la fine di qualcosa dove gli angeli ti proteggeranno. Il 555 è legato a Dio e al divino, una fine che darà inizio a una nuova fase. La canzone è stata ascoltata per la prima volta la vigilia di Ognissanti. Una festività chiamata "Samhain" dai celti per celebrare la transizione e l'apertura all'altro mondo. I celti credevano che il mondo dei vivi e dei morti fossero quasi uniti e il giorno dei morti entrambi i mondi si unissero permettendo agli spiriti di transitare dall'altra parte. Nulla in "Bohemian Rhapsody" è casuale. Tutto è molto misurato, lavorato e ha un significato che va oltre l'essere una semplice canzone. È stata votata a livello mondiale come la miglior canzone di tutti i tempi. Questo tema ha rappresentato un cambiamento radicale per i Queen, come se davvero avessero fatto un patto con il diavolo, ha cambiato le loro vite per sempre e li ha resi immortali.
rubato dalla pagina Facebook
*Il Rock è la miglior musica del mondo*
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ross-nekochan · 1 year ago
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Spossatezza e senso di vuoto, ormai appuntamento costante.
Diamo per l'ennesima volta la colpa al preciclo, che perdura da ormai più di una settimana senza nessun cenno delle ovaie di far finire questa messinscena.
Diciamo vabbè ma non va bene per niente, perché è da tempo che non ci sto capendo più niente. Eppure qualche anno fa, tipo a Venezia, era diventato un orologio svizzero talmente preciso che stentavo a crederci. E infatti non è durato. Ma tanto è inutile pensarci perché pure a ragionare sui possibili motivi non si arriva mica a sapere la verità. E quindi amen.
Siamo ad Ottobre, quarto mese in cui mi sono trasferita. Come corre il tempo anche se allo stesso tempo sembra già passato mezzo secolo.
Quattro mesi di tante settimane vuote. Vivere senza stimoli e obiettivi �� sfiancante. Ora che mi ero preparata una sorta di tabella mentale per prendermi almeno le certificazioni linguistiche, ecco che oggi ho di nuovo ricevuto una proposta di lavoro e domani avrò il colloquio. Siamo a quota quattro o cinque. Come ogni volta sono lì che non so se sperare che mi prendano oppure no: la vita in casa è comoda, sebbene piatta e senza stimoli... ma avere un lavoro, a parte qualcosa da fare, cosa mi darebbe? Una volta divenuto loop quotidiano, non sarebbe niente altro che la stessa asettica vita con aggiunto lo stress del lavoro e del viaggio della speranza di ogni mattina che aggiungono ore lavorative non retribuite e rubate alla salute mentale.
In ambo le situazioni comunque non sono contenta. Ma quando mai lo sono, proprio io che so vedere solo il marcio delle situazioni in cui mi trovo.
Ah quanto era bella l'università: sempre piena di stimoli e di obiettivi (ovvero gli esami). Sì, ho sofferto e ho pianto, ma in fondo che vita è se non si soffre mai?
Chissà che fine faremo.
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empito · 1 month ago
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Le ragazze si scattano continuamente foto perché sono belle, semplicemente. Catturano in uno scatto la luce che danza sui loro volti, l'ombra leggera delle ciglia sulle guance, il sorriso che sfiora appena le labbra. Non è vanità, è desiderio di fermare un istante, di trattenere il tempo che sfugge come sabbia fra le dita. Ogni fotografia è un frammento di vita, un ricordo che un giorno guarderanno con occhi velati di nostalgia. Perché la bellezza è effimera, ma l'immagine rimane. Con un gesto rapido, immortalano il battito del cuore, la risata improvvisa, lo sguardo che brilla al sole. Le ragazze sanno di vivere un'età sospesa, in bilico tra sogni e realtà. Le loro foto raccontano storie che ancora devono scrivere, speranze che coltivano in silenzio. Così, dietro ogni autoscatto si nasconde il desiderio di essere viste, comprese, amate. Non è solo il volto che mostrano, ma l'anima che traspare attraverso gli occhi. Cercano se stesse in quei riflessi, esplorano le sfumature della propria identità. Scattare una foto è un modo per dire: "Eccomi, sono qui, esisto". E mentre il mondo corre veloce attorno a loro, le ragazze fermano il tempo con un click. Non per essere ricordate dagli altri, ma per non dimenticare se stesse. Perché un giorno, riguardando quelle immagini, possano ritrovare il coraggio, la gioia, la semplicità di quel momento. Le ragazze si scattano continuamente foto perché… la vita è un mosaico di istanti preziosi, perché la bellezza non è solo nell'aspetto ma nell'essenza che sanno cogliere. E in fondo, scattare una foto è come abbracciare il tempo, sfiorare l'eternità con la punta delle dita. Così, continuano a sorridere all'obiettivo, a giocare con le luci e le ombre, a esplorare il mondo attraverso il proprio sguardo. E ogni foto è un pezzo del loro viaggio, una traccia del cammino che le conduce verso il domani. Le ragazze si scattano foto perché sono belle, semplicemente. E perché in quella bellezza c'è tutta la forza, la fragilità, la speranza di chi sta imparando a conoscersi, a vivere, a sognare.
Empito
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scrivosempreciao · 3 months ago
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Sabbia sulle cosce
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Sabbia sulle cosce. Gratta, gratta, a volte fa male, ma è così piacevole! L'ho sempre adorata. Stare lì, così, accovacciata nella buca sabbiosa che ho ricavato tra una sdraio e l'altra, mi fa sentire un animale. Una creatura del mare, tipo una foca, o un granchio. Una primitiva. E, oh mamma, quanto mi piacerebbe esserlo davvero. Un ammasso di cellule, ciccia, ossa e muscoli con nessun altro scopo se non quello di vivere.
E giocare, ovviamente. Selvaggia, rumorosa, sufficiente a me stessa. Invece ho dieci anni e quando questa estate cederà il posto all'autunno inizierò la scuola media. Ne ho una gran voglia, a dire il vero! È roba da grandi, un salto verso il domani, un'idea bellissima e nuovissima. Qualcosa che fa un po' paura, sì, ma che mette a disagio solo perché ancora non la conosco. Ne sono certa. Come quella sera di qualche mese fa, quando i miei stavano guardando "The Village" e io sarei già dovuta essere addormentata, al sicuro nella mia cameretta. Solo che non lo ero. Avvolta nel pigiamino blu, ero scivolata silenziosa come un furetto dal mio letto al corridoio; da lì, avevo provato a fare capolino dalla mezza parete che si affaccia sulla sala. Era tutto buio, ma le facce di mamma e papà erano illuminate dalla luce rossastra del film.
Mi ero messa sulla punta dei piedi per vedere lo schermo anch'io. Ed eccolo lì, il mostro di "The Village"! Era sbucato all'improvviso proprio mentre mi stavo sporgendo per curiosare. Ero tornata nel lettino con la coda tra le gambe, spaventatissima. Ma in realtà non avevo visto chissà cosa, giusto uno scorcio. Un microsecondo di quel mostro prima di scappare via. Mi aveva spaventata, molto, e mi era rimasto in testa per tutta la settimana, con quel suo mantello rosso, gli artigli e le zanne.
L'avevo anche disegnato, a un certo punto, da tanto era forte il bisogno di buttarlo fuori dalla mia mente! Mamma aveva visto il disegno e se n'era accorta. Mi aveva chiesto se per caso volessi parlarne e rivedere quella scena insieme a lei e papà, per far andare via la paura. Avevo detto sì e così avevamo fatto. Wow, a vederlo bene quel mostro non faceva per nulla spavento. Anzi, mi era sembrato quasi carino. Avevo sempre avuto un debole per le creature bizzarre. Sicuramente poteva venirne fuori un bel costume di carnevale per l'anno successivo.
Ecco, sono sicura che andare alla scuola media sarà proprio così. Mi sento nervosa e preoccupata, ma solo perché devo abituarmi e guardare tutto da vicino per la prima volta. Sarà fantastico; una cosa da grandi.
Sabbia sulle cosce. Mi metto a sedere e continuo a scavare, a giocare con la poltiglia sabbiosa che mi si forma nelle mani che ho appena immerso nel secchiello. Stravaccato sulla sdraio più vicina, c'è il nonno. Legge il giornale, borbotta qualcosa che non sento — c'è talmente tanto rumore lì, tra coccobello e la musica sparata a tutto volume dalle casse dei bagni 52. Sull'altra sdraio, la nonna. Si abbronza, i grandi occhiali da sole leopardati le coprono quasi tutta la faccia.
Sono loro i miei compagni di vacanza a Riccione. Mamma e papà sono ancora a casa, ci raggiungeranno più avanti. Mi mancano un po', ma diventare grandi è anche questo, no? Cavarsela da soli. Come una primitiva. Come una foca, o un granchio.
E, in fondo, non è per nulla male. Anche se…
Gratta, la sabbia gratta. Ora un po' più di prima, la sento sfregare sulla pelle delicata dietro le ginocchia: mi dà fastidio. La mia schiena è sudata. Da quanto tempo sono lì tutte quelle goccioline di sudore? Boh. Ma quanto rumore!
Pusch mi, en den giast tuch me, til ai chen ghet mai, satisfachton, satisfachton…
Quella canzone tutta agitata e dal suono che mi ricorda un po' le caramelle acide mi piace anche, parecchio, ma è tipo la quinta volta che oggi la mettono su e adesso inizia a trapanarmi le orecchie come non aveva mai fatto prima, mi entra giù nel collo e mi fa tremare le spalle. È troppo.
Quella sensazione pulsante corre da lì fino alla pancia e poi un po' più in basso, verso un punto a cui non penso quasi mai, se non per gioco o quando guardo i documentari sugli animali e a un certo punto il narratore spiega come avvengono gli accoppiamenti e le nascite dei cuccioli. Una piccola fitta proprio al centro, poi quel dolore sconosciuto si sdoppia e si sposta verso i fianchi. Ma come è possibile? Non mi era mai successo prima che il mio corpo avesse male in più punti contemporaneamente, non in quel modo.
Oh. Forse ho capito.
"Nonna?"
"Che c'è, Martinina?"
"Devo andare in bagno, posso? Mi scappa la pipì."
"Vai, vai."
Ma non è vero che mi scappa la pipì. Le toilette sono all'ingresso della spiaggia, proprio vicino agli spogliatoi e alle cabine dove William il bagnino mette tutti gli oggetti smarriti che ritrova sulla spiaggia dopo l'orario di chiusura. Entro in quella libera: dentro c'è odore di caldo, sabbia bagnata, sudore e acqua sporca. Non è certo gradevole, ma non direi che sia una puzza brutta; fa anche quella parte dell'estate e di Riccione. Mi abbasso la parte sotto del costume e mi siedo sul gabinetto. È tutto così buio, ma un po' di sole filtra in linee sottili dai tagli verticali della porta verniciata di bianco: guardo l'interno del costume.
Sangue. Sangue? Una macchiolina tutta rosa, pallida, sembra quasi un gioco di luce. Ma non è un gioco, è sangue vero. E il rosso sulla carta igienica che uso subito dopo me lo conferma. 
Le mie cose. Urrà! Viva! Wow! Sono felicissima! Che emozione! Sono appena diventata una signorina. Mamma me ne aveva parlato. E anche nonna, anche se in un modo un po' da persona vecchia. Non sono impreparata, ho più o meno capito di che cosa si tratta e che cosa significa quando arrivano. Sapevo che le avrei avute anche io, prima o poi, ma mi sembrava una cosa fin troppo da ragazza grande: un'idea lontana, distante dalla mia vita di bambina che ancora gioca con il secchiello e fa le vocine per dare vita ai suoi pupazzi a forma di cavalli e draghi. E, invece, eccole lì, nelle mie mutandine. Sono una piccola donna.
Plic, plic. Un'altra scossa tiepida mi strizza la pancia e altro sangue scivola via da me, cadendo nell'acqua del water. Oh, ma allora è proprio una roba seria, qui c'è da dirlo a qualcuno. Mi pulisco come posso, tiro su il costume e torno dai miei nonni; felice, orgogliosa, con il cuore che mi batte a mille.
Ci affrettiamo a tornare in hotel, manco stessimo scappando dall'arrivo di un tornado. Nonno viene spedito prontamente a comprare degli assorbenti in farmacia — tornerà più tardi con quattro confezioni di marche diverse, due da me inutilizzabili, una troppo ingombrante, l'altra più o meno adatta; e anche dei cioccolatini.
Nonna si occupa di me. Mi dà un ricambio, mi spiega come lavarmi, mi chiede se sto bene. E io sto bene, eccome. Questa è una giornatona, è appena successa una cosa talmente importante che non riesco ancora a crederci. Chiedo a nonna di poter usare il cellulare per chiamare la mamma e dirglielo. Però, quando la voce di mamma tocca le mie orecchie e sento la curiosità elettrica di mia nonna agitarsi sopra la mia testa, in attesa che io mi sbrighi a dare la notizia, la mia euforia viene meno.
C'è qualcosa che non va. Qualcosa che non quadra. Io voglio dirlo alla mamma, ma le mie guance diventano tutte rosse e calde. Sento una sensazione spiacevole pizzicarmi la nuca, gli occhi e la gola. Non mi è estranea, l'ho già provata prima, quando le maestre mi rimproverano per qualcosa davanti a tutti o gli zii chiedono che io reciti la poesia di Natale davanti a tutti subito dopo aver mangiato gli struffoli e prima di scartare i regali. Imbarazzo. Vergogna. Che strano, non mi ero mai imbarazzata per qualcosa che riguardasse il mio corpo. Mai. E poi, perché nonna continua a darmi dei colpetti di gomito, esigendo che io dica quello che è successo? Che fastidio! E se non volessi dirlo? E se volessi che sia una cosa solo mia? Perché non può essere solo mia? Cos'è, se una cosa esce da te allora diventa di tutti?
Beh, comunque glielo dico, ovvio.
"Oggi ho ripassato le tabelline. Ho fatto un po' di matematica con nonna. Ah, e… e… emisonovenutelemiecose, ciao!"
"COSA?!"
È divertente, in fin dei conti. Sento mia madre inchiodare con la macchina — sta tornando a casa — e balbettare qualcosa, tutta agitata ed emozionata. Seguono un po' di coccole fatte a voce, parole di conforto, congratulazioni, domande e qualche lacrima. Mamma è buona, non vuole sottrarmi quel momento importante che, a voler ben vedere, appartiene solo a me. Ma certe cose deve dirmele, è così che funziona il mondo. Deve dirmi che sono diventata signorina. Deve dirmi che ora ogni mese sarà così. Deve dirmi che è tanto, tanto felice per me. Deve dirmi che sono entrata nel club delle ragazze grandi. Deve, e lo fa con dolcezza.
Ed è bello sentirsi così speciali, grazie a quelle parole. Ma l'imbarazzo non se ne va.
Quel pomeriggio non andiamo al mare. Nonno se ne sta nella hall, a leggere il giornale e chiacchierare. Nonna e io ce ne stiamo in piscina. O meglio, siamo sedute a un tavolino vicino alla piscina. Lei beve un caffè, io un succo alla mela. La pancia mi fa un po' male, ma non è per nulla insopportabile. Anzi, mi fa quasi piacere sentire un dolore nuovo: quei pizzicotti che arrivano dall'interno mi ricordano che tutto sta funzionando proprio come dovrebbe e mi incuriosisce scoprire tutte queste sensazioni che il mio corpo di signorina può provare.
"Martinina," fa mia nonna, "ora sei una donnina, lo sai, sì?"
"Certo!"
"Ora sei diversa. E stai attenta, perché anche gli uomini sanno che sei diversa."
"Eh?"
"Ora puoi avere figli. E gli uomini ti vedono."
Ma in che senso? La guardo aggrottando le sopracciglia, con i baffetti sporchi di succo. Lei si sporge per pulirmi con un tovagliolo e fa un gesto generico verso gli altri tavolini vicini al nostro.
"Mah, tipo quello, quello ti guarda."
Quello è un uomo, in effetti. Un signore che non ho la minima idea di quanti anni abbia, potrebbe averne trenta come anche sessanta, per me sono tutti uguali, con quei pantaloncini del costume sempre blu o grigi, i nasi un po' scottati e le gambe pelose. L'ho già visto prima, è un ospite dell'hotel e gli piace stare in piscina. Mi sta guardando, è vero. E non è la prima volta, ora che ci penso. Mi ha guardata anche ieri, e l'altroieri. Mi guarda quando aspetto che le crepes siano pronte a colazione. Mi guarda quando rido alle battute degli animatori la sera. Mi guarda quando gioco nell'acqua della piscina. Ma, ehi, che problema c'è? Anche io guardo le cose attorno a me.
Ma adesso è diverso. Mi guarda. E io lo guardo. Lo guardo e vedo il nemico. Vedo il pericolo. Ed è un nemico diverso da quelli che nascono durante i giochi di fantasia che faccio ancora con i miei amici al parco o nel cortile della scuola. Quelli sono finti, iniziano e finiscono quando voglio. Dietro di essi ci siamo solo noi, i bambini, e noi ci conosciamo, ci fidiamo della bontà dei nostri compagni. Io mi fido di loro. I "facciamo finta che" funzionano, in fondo, perché so che Matteo, Samira o Anna non vogliono farmi male per davvero. Farsi male non è divertente e mette nei guai. È un gioco, solo un gioco. Mi fido di te, tu ti fidi di me, e i nemici sono solo una maschera spaventosa da mettere e togliere tra mille risate.
Ma quello è un nemico diverso. È un nemico vero. Non finisce e non inizia. Non finge. Non gioca. Non ha maschere. È, semplicemente è, un pericolo. Lo sento.
È stato risvegliato dal mio sangue, come una bestia magica? L'ho creato io, quel pericolo, con la macchiolina rosa nel mio costume, o è sempre esistito? Se fossi ancora senza macchia e senza sangue, sarebbe diverso? Non lo so, io davvero non lo so.
"Non dare confidenza, sai, agli uomini che non conosci. Non puoi, ora."
"Ok."
Di nuovo, imbarazzo. Vergogna. Torno a dare attenzione al mio succo alla mela. Sento una gocciolina umida scivolare sull'assorbente. Più quel sangue esce, più ho la sensazione che un velo si stia alzando. Mi sembra di vedere le cose in modo diverso, un po' come quando mi diverto a mettere e togliere e mettere e togliere gli occhiali da sole leopardati di nonna: quelli hanno le lenti rosate e il mondo sembra fatto di zucchero filato e sciroppo quando li indosso. Poi quando li tolgo tutto torna normale, tendente al grigio. Ecco, è così: è come se avessi cambiato le lenti. Ora tutto sembra più vero, concreto, reale, presente. Io sono presente, lui è presente. Il mio corpo è reale, il suo sguardo è reale.
"Nonna, sai che non ho ricoperto la buca con la sabbia? L'abbiamo lasciata tutta aperta."
"Vabbè, Martinina, ci pensa William."
"Magari domani la trovo ancora lì, per giocare."
"Certo."
E spero davvero sia così. Spero che la buca sarà ancora lì. Così potrò accovacciarmi, come una creatura del mare, tipo una foca, o un granchio. Una primitiva. Oh mamma, quanto mi piacerebbe esserlo davvero. Un ammasso di cellule, ciccia, ossa e muscoli con nessun altro scopo se non quello di vivere. Sufficiente a me stessa
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elperegrinodedios · 2 years ago
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youtube
La pesantezza del lunedì, ma non siate tristi che domani è già venerdì, il tempo corre veloce, non si ferma mai e allora godiamoci tutto il bello ed il buono che ci viene incontro. Sorridiamo alla vita e all'amicizia, all'amore e alla passione e viviamo le emozioni, che ogni giorno ci alleggeriscono la mente e ci accarezzano l'anima e il cuore. Dio ci ha regalato un mondo perfetto e ha fatto l'uomo di poco inferiore agli angeli dunque sta a noi ora recuperare e mantenere tale bellezza sulla terra.
lan ✍️
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libero-de-mente · 1 year ago
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Rose e Jack
- Papà...
- Dimmi Gabri
- Questo fine settimana Rebecca starà da noi tre giorni, arriverà venerdì
- Uh, qual è il motivo? Ultimi giorni di ferie prima della scuola e volete passare più tempo insieme?
- Non proprio, domenica sarà un anno che siamo insieme
- Oh, che bello e cos'hai in mente?
- Le farò una sorpresa
Gabriele, figlio 2 quello che spesso sembra il più freddo dei due. Quando vuole mi sa sempre stupire con attenzioni inaspettate.
Per tutta l'estate si è trovato un lavoro part-time per racimolare quattro soldi ed essere indipendente.
Cerca sempre di non farle mancare nulla con molte attenzioni.
In alcuni momenti mi sembra Jack, il personaggio del film Titanic di James Cameron.
Quando lei gioca alla Nintendo collegata alla TV in sala e lui abbracciandola da dietro l'aiuta con il controller nel gioco.
Sembrano Rose e Jack sulla prua del Titanic.
Un destino crudele quello di Rose e Jack del Titanic, nel mare hanno trovato un destino avverso.
Già il mare. Gabriele ha deciso di portarla a Genova città di mare, a visitare l'acquario di quella città uno dei più belli che abbia visto. Pieno di creature del mare.
Quando Rebecca viene ospitata a casa lei e Gabriele dormono in salotto. Un letto gonfiabile moto alto e comodo viene affiancato al divano, hanno la stessa altezza e così uno su divano e l'altra sul materasso a una piazza e mezza dormono vicini.
Sabato sono partiti presto e vuoi la fretta di non perdere il treno, il controllare gli zainetti e prepararsi i panini hanno fatto si che il materasso fosse lasciato gonfio e incustodito.
Così mentre io passavo la mattinata in giardino scoprendo che qualche ora dedicata alla pulizia del verde corrisponde a una donazione all'AVIS (zanzare di merd*), e che le cimici che da ottobre utilizzano il bucato steso come cavallo di Troia per entrare in casa, durante l'estate vivono una vida loca tra le fronde degli alberi. Nutrendosi e copulando come se non ci fosse un domani.
Ecco mentre io osservavo tutto ciò, il gatto Alvin decideva che quel materasso era molto figo e spassoso. Così un suo artiglio è riuscito a forare il materasso.
Un forellino. Quando me ne sono accorto ho rimediato subito con una colla per PVC e toppe speciali per riparare i materassini. Le istruzioni davano 24 ore di tempo per la massima resa.
Io 24 ore non le avevo così la sera quando i due naufraghi dell'Acquario di Genova, erano stanchissimi, dopo una breve cena ho gonfiato il materasso e il buco riparato teneva alla grande.
Peccato che dall'altra sponda del materasso Alvin aveva lasciato un altro ricordino, un forellino non visto, più piccolo ma inesorabile nel far sgonfiare il materasso.
Guardo Gabriele lui guarda me, io guardo Rebecca e Rebecca guarda me, guardo Alvin e Alvin fa finta di nulla fischiettando in gattese.
- Beh ragazzi, questa sera dormirete separati. Tu Gabri torni nel tuo letto vicino a tuo fratello e lei dormirà sul divano che ci sta comoda.
- Ma no pa' si sgonfia piano, magari mi regge per una notte. Ci sto sopra io tranquillo.
Sembrano Rose e Jack, lei sulla tavola in legno sicura e lui nel mare insicuro. Si addormentano subito, tenendosi per mano come i protagonisti del Titanic.
Il Titanic affondò nella notte alle 2:20 circa. Io verso le 3:00 colto da un senso di protezione mi alzo e vado in sala.
La scena è da Titanic, il materasso oramai è quasi del tutto sgonfio, Gabriele per cinque centimetri non è ancora sul tappeto della sala. Dorme e tiene la mano di lei. Della sua Rose.
Mi avvicino e lo sveglio. Gli faccio capire che deve abbandonare la scialuppa. Cioè il materasso sgonfio, che non può dormire sul tappeto. Così mezzo rintronato si lascia convincere e va nel suo letto.
Non è finita come nel Tianic, appena sveglio Gabri-Jack corre da Rebecca-Rose e la raggiunge sul divano. Abbracciandosi e stendendosi insieme.
In quel momento realizzo che se Rose avesse fatto posto a Jack nel film Titanic, Jack si sarebbe salvato. Cacchio se ci stavano sicuri in due sulla tavola in legno. Cameron dovrebbe rifare quella scena cribbio.
L'amore è un mare, a volte calmo a volte in tempesta. Auguro loro di non affondare mai, di non annegare nelle lacrime. Comunque andrà manterrò sempre il ricordo del mio Jack che teneva la mano a Rebecca, mentre affondava con un materasso forato dall'iceberg Alvin.
Quando vorrò ricordare al mio cuore cos'è l'amore mi ricorderò di quella notte. E ricorderò.
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rebelandoutlawrock · 5 months ago
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Per noi, il tempo è limitato. Lui corre veloce, è rapido e fugge via. Da sempre, è solo qui e ora. Ieri ero ragazzo, oggi sono uomo, domani sarò vecchio. Dunque, mi resta solo oggi, lo userò e lo sfrutterò attimo dopo attimo goccia a goccia come l'elisir che si vorrebbe non finisse mai.
lan ✍️
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petalidiagapanto · 5 months ago
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«Non ti scrivo, d’improvviso guardo il cielo,
quella nuvola che passa...
e forse tu nel tuo lungomare
guarderai una nuvola...
e quella è la mia lettera,
qualcosa che corre indecifrabile…
e pioggia.
E so molto bene che non ci sarai.
Non ci sarai nella strada,
non nel mormorio che sgorga di notte
dai pali che la illuminano,
neppure nel gesto di sc,egliere il menù,
o nel sorriso che alleggerisce il “tutto completo” delle sotterranee,
nei libri prestati e nell’arrivederci a domani.
Nei miei sogni non ci sarai,
nel destino originale delle parole,
né ci sarai in un numero di telefono
o nel colore di un paio di guanti, di una blusa.
Mi infurierò, amor mio, e non sarà per te,
e non per te comprerò dolci,
all’angolo della strada mi fermerò,
a quell’angolo a cui non svolterai,
e dirò le parole che si dicono
e mangerò le cose che si mangiano
e sognerò i sogni che si sognano
e so molto bene che non ci sarai,
né qui dentro, il carcere dove ancora ti detengo,
né la fuori, in quel fiume di strade e di ponti.
Non ci sarai per niente, non sarai neppure ricordo,
e quando ti penserò, penserò un pensiero
che oscuramente cerca di ricordarsi di te»
(Julio Cortázar)
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canesenzafissadimora · 6 months ago
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Posso anche dire che l’amore è eterno,
che dura sempre se sta acceso dentro
e vale anche l’amore di domani
e quello che chiamammo ieri amore.
Ed è amore andarsene in un treno
incontro al cielo che si veste d’ombre,
il vento che respira nelle foglie,
archi di luce a una festa lontana.
Ed è amore la voce nel telefono,
il ricordo improvviso che dispare,
il gesto, il giuramento che non vale
se tutto corre, muta, si tramuta.
Così ripeto che l’amore è eterno
perché ognuno ha bisogno d’amore,
mai smette di cercarlo il desiderio,
lo chiama nell’attesa che non cede:
amore che ogni giorno ci accompagna.
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Elio Pecora
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aigiornileggeri · 11 months ago
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sempre più convinta di voler diventare mamma.
arriva Rita con al seguito la sua ciurma: Pietro, Isa, Checco.
Checco mi vede e allunga quelle braccine piccole che si ritrova da piccolo puffo per venire in braccio.
lo prendo, ride e un po’ di bene al cuore inizio a sentirlo.
entriamo a casa, Isa e Pietro vedono Mulan e Priscilla e subito: “babau”.
io: “Isa è gatto, miao”.
Isa: “mamao?”
Pietro corre al camino e inizia a fare aria con la scopina per fare il fuoco, mi guarda e ride perché per lui è una scoperta: se fai aria, il fuoco riprende.
viene in braccio. è il momento di andare via, Rita prova a prenderlo per metterlo nel seggiolino e mi abbraccia, strofina il suo naso sul mio e mi sorride: non vuole andare.
Rita: “mamma se ne va”
Pietro le fa ciao con la mano e mi accarezza le guance con entrambe le mani, sorride ancora e gioca con le mie collane.
allora io: “vuoi rimanere a dormire qui?” e lo riempio di baci.
lui ride, io rido. quanta felicità in un solo pomeriggio.
Rita lo prende con una scusa, lo mette in macchina.
mi sorride ancora e mi fa ciao con la mano.
ci vediamo domani.
sta diventando sempre più raro vedermi sorridere così.
sta diventando sempre più raro vedermi stare bene così.
sta diventando sempre più raro.
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about-me2072 · 1 year ago
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“Ben oltre le idee di giusto e sbagliato c’è un campo. Ti aspetterò laggiù”-Rumi-
Nel corso di una vita, le parole che leggiamo ci scivolano addosso sfiorandoci la pelle e la mente. Alcune, però, si fermano, s’incastrano in punti che pensavamo aver nascosto e lì rimangono, come oasi a cui far ritorno quando il mondo fa paura. Lo so, questa introduzione vuol dire tutto e niente. Ma per entrare dentro ad un verso di questa caratura si possono solo usare parole leggere, trasparenti, che punteggiano i limiti e non si azzardano ad essere maleducate.
-Ben oltre le idee di giusto e sbagliato-
Questo verso è enorme, gigantesco.
A leggerlo con calma, mi vengono le vertigini. Vedo queste parole che si alzano, impennano e diventano vette insondabili.
E poi si uniscono, prendono le sembianze di una punta.
Questo verso è un cacciavite appoggiato sul cranio che entra dentro la mente allentando la logica, schiantando ciò a cui siamo abituati.
I pensieri si proiettano talmente veloci in avanti che manca il respiro. Rumi, per me, ce lo dice così: il nostro modo di vedere il mondo è solo una grande illusione.
Sempre, perennemente in giudizio. Sempre, perennemente con l’arma puntata, la gabbia pronta ad ingarbugliare qualsiasi evento.
Giusto e Sbagliato. I due grandi calderoni dove buttiamo ogni cosa.
Incapaci di tenere un pensiero, un’emozione tra le mani, ce ne liberiamo immediatamente.
Non riusciamo a rimanere nella sfumatura, ad osservare le cose nella loro interezza e il dubbio ci mette così tanta ansia che preferiamo appallottolarlo e lanciarlo nel primo cestino disponibile.
Troppo facile, davvero troppo facile dire che senza il giusto e lo sbagliato tutto andrebbe allo sbaraglio. Troppo facile semplificare il casino che non sappiamo gestire dividendolo in due macro-categorie.
Cos’è il giusto? Cosa è sbagliato?
Il tempo, la cultura, l’educazione e tutte l’altro migliaia di cose che cambia dall’oggi al domani decidono tutta la posta in gioco?
Davvero vogliamo prendere una consapevolezza sulla base di quel che ci hanno impiantato?
Non mi interessa -e forse non interessava neanche a Rumi- entrare in un pippone filosofico e prettamente mentale, ma il Giusto e lo Sbagliato sono due cancelli che, se non proviamo a scardinarli, ci lasceranno sempre al di fuori di quel che di vero può esistere.
O, a me, così pare.
-C’è un campo-
Un orgasmo sensoriale. 3 parole: un’esplosione di cui non se ne poteva fare a meno.
Dopo averci presi per mano a mille all’ora, dopo averci condotto là dove la mente fatica ad arrivare, eccolo: un campo. Se ne aveva bisogno.
Se si legge lentamente, sentendo le parole sciogliersi sulla lingua, si avverte un’esigenza fisica di questo campo. E, ad ognuno, è data la scelta di vederne i colori, la profondità, la strada sterrata che ci corre nel mezzo come una riga tra i capelli.
C’è un campo, e lì, ora, ci possiamo rilassare.
Non c’è più bisogno di acciuffare la realtà, di metterle un vestito consono, di indirizzarla a seconda del nostro gusto o, ancor peggio, di quello degli altri.
Ora ci si può stendere a terra, si può iniziare una corsa a perdifiato, si può, magari, anche stare in silenzio.
Quello che l’idea che il giudizio, il parere, l’opinione sia sempre necessaria ci ha fatto perdere.
Come se, per vivere, fosse necessario sempre buttare fuori il nostro intreccio di pensieri.
C’è un campo. Sì, esiste qualcosa oltre il giudizio.
È come un abbraccio, questo verso.
Mi sembra che Rumi ci sussurri all’orecchio di non aver paura; ci ripete che si può abbandonare questi stupidi pesi e, finalmente, salpare verso ciò che non conosciamo.
Rumi ce lo dice chiaramente, senza mezzi termini: il campo è là, oltre quello che siamo soliti fare.
Applicato in altri spazi, questo campo potrebbe rappresentare la ricompensa per chi osa a fare quei passi diversi, dentro o fuori da se stesso.
Osare nella gentilezza della forma e del contenuto.
Essere eretici, sconsacrare, smantellare ciò a cui per forza bisogna assoggettarci.
Fa paura, fa tanta, tantissima paura.
Ma si può avere la consapevolezza che è possibile intraprendere un sentiero diverso e che le paure, i timori, le difficoltà saranno solo momenti di riposo tra un passo e l’altro.
-Ti aspetterò laggiù-
Non ci si dovrebbe vergognare delle lacrime.
Non ci si dovrebbe spaventare se, arrivati a questo punto, la gola si stringesse in un nodo bestiale.
È la magia della parola scritta.
Dopo aver superato i cancelli, le paure e i giudizi; dopo essere arrivati in un campo infinito di possibilità ecco che si conclude il verso col picco più alto in assoluto.
No, non siamo soli. C’è qualcuno ad aspettarci sull’altra sponda.
La connessione tra gli uomini, la sensazione che facciamo parte di questa rete invisibile molto, enormemente più grande di noi. C’è un po’di tutto questo, no?
Forse è proprio Rumi che ci aspetta laggiù, seduto all’ombra di una quercia con gli occhi semichiusi ad osservare le ultime ore del giorno.
La sera che sta arrivando e le ombre che, a questa ora precisa, si allungano e sembrano la chioma compatta di tanti cipressi.
Non lo so se è Rumi. Mi viene da pensare che, nel momento stesso in cui uno legge queste parole, il viso di un’altra persona sgorghi dal pensiero e si metta lì, in bella mostra, al centro della testa.
O, banalmente, penso che potrebbe aspettarci il riflesso di noi stessi.
Come se, una volta superata la grande tenaglia del giudizio, ci potessimo incontrare esattamente così come si è.
Perché, alla fine, la pistola è sempre puntata contro noi stessi.
Contro le nostre scelte, i nostri presunti errori, le nostre paure, i nostri difetti.
Non ci concediamo mai la possibilità di sbagliare, di non essere quello che vorremmo, o di essere imperfetti.
Non lo so chi ci sta aspettando in quel campo.
Ora addosso sento solo la gioia di intraprendere il percorso, la mente libera ed il cuore pieno di queste parole:
“Ben oltre le idee di giusto e sbagliato c’è un campo.
Ti aspetterò laggiù”🌻
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thegianpieromennitipolis · 2 years ago
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Da: FUOCO GRIGIO - di Gianpiero Menniti 
RICORDO
Anticamente, il cuore racchiudeva la memoria. Ri-cordare (re-cordis) era attingere ai palpiti. Solo l’emozione possedeva la chiave per rievocare il passato. L’emozione nel vedere, nel toccare, nel sentire. L’accaduto ancora presente. Il gesto che ritorna. Le mani veloci di sapienza e il volto rassegnato. La vecchia sedia accanto alla finestra per godere la luce e farsi segnare il tempo. I gomitoli di filo bianco nella piccola cesta di vimini. E le parole con l’amica di sempre, quel chiacchierare ovattato di pregiudizi rassicuranti, l’ordine conservato delle cose che mutano. E poi gli ultimi bagliori a rintoccare l’ora di cena, mentre il fuoco lento di un fornello profumava l’appetito. Il giorno finiva. Domani si vedrà cosa corre. La sera annunciava il silenzio del riposo e il miracolo dei sogni. Quelli da raccontare. E quelli che per sempre rimarranno sepolti. Assieme ai tanti pensieri non detti. Rimasti intrecciati tra i nodi di uno scialle.
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corrilibero · 1 year ago
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Questo è quello che mi fa stare bene.
Il primo e unico ultratrail che avevo corso prima di domenica 28 Gennaio era stato “Translagorai Classic” e, per dovere di cronaca, è stato per ora, il mio miglior DNF.
Che poi non c’è niente di male, capita e, anzi, non aver terminato TLC è un’ottima scusa per tornare a Trento, rivedere un po’ di amici e tentare nuovamente la traversata del Lagorai per portarmi a casa l’adesivo più desiderato della storia dell'Ultrarunning italiano.
In quell’occasione mi ritirai al rifugio Cauriol (non ringrazierò mai abbastanza Letizia e Chiara per avermi recuperato), letteralmente svuotato di ogni energia dopo circa 50km e più o meno 3000 D+ (che i più esperti mi correggano) ma, non lo saprò mai con certezza perché il mio GPS pensò bene di abbandonarmi dopo 12 ore (più o meno tra i laghetti di Lagorai ed il Cimon de la Sute).
Ma torniamo a noi e ai dubbi che mi assalgono la sera di sabato 27. Dopo aver viaggiato, ritirato i pettorali e cenato insieme a Dario, Marco e Carletto, arriva il momento di andare a letto ed è lì che mi aspettavano i dubbi:”Ma domani, ce la farò? Sul Lagorai sono arrivato più o meno al 50° km con circa 3000 D+, distrutto e dopo una quantità di ore che nemmeno ricordo bene. Ricordo però che dopo 12 ore quando il GPS si spense, ero sì e no al 41° o 42° km e forse il dislivello era simile a quello che mi aspetta domani… saranno 45 km e 2300 D+ ed il tempo limite sarà di 10 ore. Sono più allenato, forse… certo non ho mai corso su dei dislivelli simili… ma ho tentato di fare del mio meglio…”
Per fortuna non sono il tipo che si fa togliere il sonno dai dubbi e così arriva finalmente il momento che aspettavamo.
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Siamo lì, tutti e quattro schierati sulla linea di partenza, visibilmente felici ed eccitati, maglia del Team, zainetto contenente tutto il materiale obbligatorio che nessuno ha mai controllato: cappellino, guanti, collo e manicotti. Ci guardiamo, ci scambiamo un doppio cinque ed un “in bocca al lupo” promettendoci di rivederci alla fine e… cinque, quattro, tre, due, uno VIAAAAAAAAAAAA! Si parte, ed è come al solito una grande emozione.
Dopo poco più di un km ci siamo già persi di vista, ma fa parte del gioco e ci va bene così, l’obiettivo è quello di rivederci al traguardo. In fondo “non importa a nessuno quando si va forte, l’importante è soffrire tutti allo stesso modo” (cit. TRC).
I primi km sono tra le strade del paese, mi sento bene. anzi, mi sento in gran forma! Dei dubbi della sera prima nemmeno l’ombra e va benissimo fino al terzo km, quando sento un dolore intenso dietro la coscia sinistra. Dario che era con me si rende conto che qualcosa non va e mi chiede se voglio fermarmi. Cammino qualche secondo, qualcosa dev'essere successo ma no, non voglio fermarmi, non posso ritirarmi ora al terzo km, non se ne parla. Arriviamo al primo ristoro, poi si vedrà.
Da lì in poi è tutto un tira e molla, prima è avanti Dario poi sono avanti io e via così fino al 21° km attraverso paesaggi fantastici e correndo su terreni di ogni tipo affrontando salite, sentieri tecnici di roccia, salite, single track nel sottobosco, ancora salite, forestali fangose, sempre salite, canyon di roccia e di nuovo salite.
Sono stupito. nonostante il dolore che mi porto dal km 3 sto andando bene, non mi sento particolarmente affaticato e quando sono quasi al trentesimo km, ecco davanti a me il ristoro che dovrebbe trovarsi tra il km 29 ed il km 30. Sono lì che inizio a tirar fuori il bicchierino da trail, quando dal sottobosco esce un cane, anche lui corre verso il ristoro, peccato che non mi veda ed infilandosi tra le mie gambe mi fa volare a terra.
Per fortuna non è niente di grave (un livido e qualche escoriazione), vengo immediatamente soccorso dai volontari del ristoro ed in 5 minuti sono di nuovo in strada. Ancora qualche km e mentre sono lì a ragionare sul dislivello che manca e i km che devo ancora percorrere prima di raggiungere il traguardo, entro in una sorta di trance senza rendermi nemmeno conto di percorrere altri 7 km. Torno al presente e sono al 37° km, sono passate poco meno di 5 ore, non manca molto, circa 8 km e 500D+, sono un po’ stanco, ripenso al Lagorai ed ho voglia di riscatto. Con questo pensiero tiro dritto ignorando il dolore che mi porto dal terzo km, la fatica che inizia a farsi sentire ed i quadricipiti che ormai mi insultano per lo sforzo a cui sono sottoposti (sia in salita che in discesa).
Arriverò al traguardo in 6h11’31” felice come un bambino che ha passato una giornata nel miglior parco giochi del mondo e come se non bastasse scopro che qui, alla Ronda Ghibellina, hanno un’usanza diversa dal solito: al posto della solita medaglia da finisher ti danno un boccale di ceramica, pieno di birra!
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Non mi resta che sedermi vicino all’arrivo, sorseggiare la birra ed aspettare i miei compagni per festeggiare il loro di arrivo.
Il primo ad arrivare sarà Marco, seguito da Dario ed a chiudere il gruppo, Carletto.
Queste sono le avventure che ci piacciono, questo è quello che mi fa stare bene.
Al netto del mio non saper scrivere, mi rendo perfettamente conto di quanto, questo breve racconto non possa rendere giustizia all’avventura che abbiamo vissuto, che si è completata nel preciso momento in cui stanchi, sudati ed ammaccati ci siamo abbracciati subito dopo aver oltrepassato la linea del traguardo.
Mi chiedo se abbia senso tentare di trasmettere ciò che ho sentito e vissuto in questa giornata. Ho corso, questo è poco ma sicuro, ma forse la vera essenza, la bellezza di quello ho sentito, non può essere rccontata a parole. Resterà tutto custodito dentro di me, nei miei muscoli, nei miei tendini, nel mio cuore e nei miei polmoni ma, di una cosa sono sicuro e questa ve la posso dire:”è in giornate come queste, passate fuori a correre e a faticare che riesco a far pace con la vita”
Ci vediamo lungo la strada!
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gcorvetti · 1 year ago
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Buongiorno...
buon pomeriggio, buona sera? Non so neanche che ore sono, le 12:05. Stanotte alle 5 e più o meno 20, la gatta con i pantaloni ha iniziato a chiamare come se avesse visto un fantasma, con un'insistenza che sembrava dovesse esplodere con tutti i suoi bisogni, la mia compagna non sente neanche lei stessa che russa figuriamoci la gatta, allora mi sono dovuto alzare, apro la porta e corre fuori come una matta, contemporaneamente entra il gatto-tigre che inizia a strusciarsi perché è affamato, gli do una scatoletta ma non gli piace, gli metto le palline quelle che fanno venire la fame, si mangia le palline e lascia il resto, allora uso l'arma segreta i croccantini, funzionano sempre, che cazzo però nel frattempo mi era passato il sonno, faccio il caffè. Mi siedo al pc e guardo gli appunti, controllare la musica del tipo americano della performance di lunedì, ok, Kole Galbraith, si chiama così, allora cerco veloce e trovo che è di Washington, lo stato non la città, vicino Seattle, ah, trovo il suo bandcamp e inizio ad ascoltare, fa musica drone, un tipo di musica concettuale che usa pochi suoni o spesso un suono solo prolungato per un tot di minuti. Ascolto qualcosa e mi viene la curiosità di vedere se c'è qualcuno che fa qualcosa e la spiega, trovo un musicista che spiega che strumenti usa, le sue tecniche e un pò di storia del genere e come mai è nato. Interessante nel frattempo mi è venuto sonno, ottimo, 7,30. Mi metto a letto e mi raggiunge la tigre che vuole le coccole, poi ad un certo punto quando sto per prendere sonno, il maledetto infame cane dei vicini inizia ad abbaiare, ma che cazzo di giorno è oggi, 31 che se lo guardi al contrario...ho detto tutto, mi tocca anche andare a lavoro, anche se ieri sono uscito prima per mancanza di clienti e quindi di lavoro, spero oggi sia lo stesso, domani e dopo domani purtroppo no, perché dovete sapere che il primo settembre qua iniziano le scuole, tutte, dall'asilo all'università, ma proprio il primo è una sorta di festa che vede studenti e genitori prima passare un paio di ore nell'edificio scolastico, la solita cerimonia esagerata, per poi popolare tutti i possibili locali per mangiare una cosa, una sorta di arrembaggio dove chi lavora in prima linea, i camerieri, sono bombardati di richieste di ogni tipo per ore, ho dei ricordi assurdi, ma meglio non pensarci. Dopo aver dormito forse un'ora svegliato dalla mia lei che fa casino per prepararsi per andare a lavoro, c'ho scritto anche una canzone su sta cosa, guardo il gatto e mi alzo. Ora sono qua che scrivo alle 12:13 e il cane maledetto dei vicini ha ripreso ad abbaiare, che dire...
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lunamarish · 2 years ago
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Corre l’indice sull’ultima mappa rimasta.
L’indice (il dito della sapienza, dell’orgoglio) striscia alla ricerca del suo oggi e del suo domani fugge dal suo passato alle volte è incerto cerca il suo sonno il suo trionfo il suo percorso e poi fu notte si alzò un vento agro le città intorno ai monti spensero i lumi si accese un’alba verde gialla promise sorprese.
Il dito sulla mappa continua a cercare cercare cercare indica fiumi foreste frontiere.
Roberto Roversi
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