#Roberto Roversi
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Corre l’indice sull’ultima mappa rimasta.
L’indice (il dito della sapienza, dell’orgoglio) striscia alla ricerca del suo oggi e del suo domani fugge dal suo passato alle volte è incerto cerca il suo sonno il suo trionfo il suo percorso e poi fu notte si alzò un vento agro le città intorno ai monti spensero i lumi si accese un’alba verde gialla promise sorprese.
Il dito sulla mappa continua a cercare cercare cercare indica fiumi foreste frontiere.
Roberto Roversi
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oggi, 1 dicembre: una giornata per roberto roversi, a catania e a pieve di cento
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#Antonio Bagnoli#art#arte#Catania#giornata roversiana#libri#mostra#Pieve di Cento#poesia#reading#Roberto Roversi#Roversi#spettacolo
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Scelto da https://www.tumblr.com/maripersempre-21
Non posso tenerti per mano e allora ti tengo nel cuore. Ed è lì che sei e sarai presenza, eterna. Ed è quello il posto più bello che ho.
Mi diranno che non posso toccarti. Vero, ma nel cuore io ti sento.
Mi diranno che non posso vederti. Vero, ma gli occhi ricoprono le distanze e nel cuore non c'è distanza.
Mi diranno che non posso udire la tua voce. Vero, ma io ti ascolto e in me fai rumore! Mi diranno che non posso parlarti. Vero. Ma cosa servono le parole, tu mi fai battere il cuore. E se il cuore è l'organo della vita, anche se io non ti tengo per mano, non ti vedo e non ti parlo, faccio molto di più, ti tengo nel cuore...
io ti tengo nella mia vita."
F. Roversi
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(2) da 25 poesie autografe di Roberto Roversi
Roberto Roversi (Bologna, 1923 – 2012) è stato scrittore, poeta, paroliere, giornalista, libraio e, in gioventù, partigiano. Dal 1948 al 2006 gestì la libreria Palmaverde a Bologna. Ha fondato e diretto le riviste Officina e Rendiconti. Alcuni versi del poeta sono diventati testi di canzoni, messe in musica ed eseguite da artisti come Lucio Dalla e Stadio; con il primo realizzò tre album…
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Dalla e Battisti, i due Lucio uguali solo nella nascita....
Difficile trovare due così grandi e così distanti: tanto il Lucio bolognese era estroverso, teatrale, dentro le cose, così il Lucio reatino era spinoso, diffidente, chiuso. Ma che artisti! E che canzoni...
Si sono celebrati gli ottant'anni potenziali dei due Lucio, Battisti e Dalla, potenziali perché se ne sono andati entrambi da gran tempo. Troppo tempo, come per quelli che ti invadono la vita, te la incidono. Coetanei nel giro di una manciata di ore, il che dimostra come l'oroscopo sia un bel gioco e niente più: due persone, due artisti pi�� diversi sarebbe impossibile trovarli. Battisti, il burino reatino, spinoso, orgoglioso, allergico alla gente, “Lei dice che sono Battisti, eh già, me lo dicono tutti, mi spiace”, retrattile al sistema, allo stesso successo, “Tu credi che se volessi tornare a fare un disco da un milione di copie non saprei come si fa?”, ed è già nella fase finale, dei dischi bianchi, criptici---
Dalla, il bolognese, “e i bolognesi sono dei bonari figli di puttana” osservava Giorgio Bocca in una memorabile intervista per l'Espresso, Dalla che della gente ha bisogno, per giocare, per perdersi nel centro di Bologna, lui eterno bambino e non è un modo di dire, lui era di quelli depressi dentro che combattono l'ombra del vivere con continui scherzi e bugie mentre l'altro non aveva tempo per sofismi esistenziali, tutt'altro che superficiale, anzi, semplicemente bastava a se stesso. Dritto aperto logico, ma di una logica che puntava all'emozione, capace di melodie insuperabili: tra gli ammiratori, David Bowie e Paul Mc Cartney, tanto per dirne due. Ma è troppo pigro per provare davvero a sfondare all'estero.
Accomunati dal destino dello stesso nome – “Lucio” – e dalla nascita a un solo giorno di distanza – 4 marzo 1943 Lucio Dalla, 5 marzo 1943 Lucio Battisti – i due cantautori sembrano in realtà avere carriere e vite piuttosto distinte. Non hanno mai collaborato tra loro, intanto. Per lunghi anni hanno inciso per etichette rivali (RCA Dalla, Ricordi Battisti) e non ci è dato sapere se si conoscessero o stimassero (di Dalla, generoso nel rilasciare interviste, sappiamo che apprezzava i dischi del Battisti più sperimentale.
Due musicisti che hanno rinnovato profondamente la canzone italiana, influenzando inevitabilmente tutti coloro che sono venuti dopo. Battisti lo ha fatto in modo più personale, scegliendo di non apparire sulle scene per diversi anni, evitando i concerti e formando con Mogol (autore dei testi di gran parte delle sue canzoni) un sodalizio che resterà nella storia della musica italiana; Dalla, autore estroso capace di scrivere testi eccezionali, è stato meno solitario duettando con i più grandi artisti di fama nazionale e internazionale e addentrandosi con curiosità ed eclettismo nei più diversi generi musicali.
Separati da una notte di 80 anni fa, quella che intercorre fra il 4 marzo 1943, data di nascita di Lucio Dalla, e il 5 marzo dello stesso anno, giorno in cui nacque Lucio Battisti: a unirli, oltre al nome di battesimo che richiama la luce, l'identico destino artistico di cantautori, assegnati di diritto all'Olimpo della musica leggera italiana di qualità. Uniti ma mai vicini, mai una esibizione insieme sul palco e neanche in uno studio discografico di registrazione.
Del resto, le melodie e i testi delle loro canzoni - nel caso di Battisti da riferire in gran parte a Mogol, nel caso di Dalla prima al duo Bardotti-Baldazzi, poi al rapporto con il poeta Roberto Roversi - non erano assimilabili: uno, il sabino, più 'intimista' e romantico; l'altro, il bolognese, più proiettato nella società che ci circonda. Il mare valga da esempio generale.
Nella 'Canzone del Sole', Battisti canta: "Ma ti ricordi l'acqua verde e noi? Le rocce, bianco il fondo... Di che colore sono gli occhi tuoi? Se me lo chiedi non rispondo. O mare nero, o mare nero, tu eri chiaro e trasparente come me". Mentre in 'Com'è profondo il mare', Dalla intona: "E' chiaro che il pensiero dà fastidio, anche se chi pensa è muto come un pesce e come pesce è difficile da bloccare perché lo protegge il mare. Com'è profondo il mare! Il pensiero è come l'oceano, non lo puoi bloccare, non lo puoi recintare. Così, stanno bruciando il mare, stanno uccidendo il mare, stanno umiliando il mare, stanno piegando il mare".
Gli interrogativi di Battisti - "Come può uno scoglio arginare il mare?" - sono invece più 'filosofici' di quelli più 'prosaici' di Dalla (testo condiviso in questo caso con Francesco De Gregori) - "Ma come fanno i marinai a fare a meno della gente e a rimanere veri uomini, però?" - e mentre per la fine di un amore in 'Fiori rosa, fiori di pesco' Battisti confessa: "Credevo di volare e non volo, credevo che l'azzurro di due occhi per me fosse sempre cielo: non è!", Dalla al contrario canta "Così come una farfalla ti sei alzata per scappare, ma ricorda che a quel muro ti avrei potuta inchiodare, se non fossi uscito fuori per provare anch'io a volare".
Grandi numeri per entrambi: Lucio Battisti ha inciso 17 album tra il 1969 e il 1994; Lucio Dalla in studio ne ha registrati 22 tra il 1966 e il 2009. Impossibile abbozzare un censimento completo dei loro brani di successo, c'è sempre il rischio di perdersi per strada qualche pietra miliare.
E se poi il primo vanta storici duetti televisivi con Mina, il secondo altrettanto storici concerti con De Gregori e con Morandi. Foulard al collo per Battisti, baschetto di lana per Dalla come note iconografiche, da associare alle note musicali di brani che per tantissimi italiani, dall'adolescenza con le chitarre e i falò in spiaggia alla maturità e oltre, hanno fatto da colonna sonora alla propria vita.
In comune qualcosa ce l'avevano però. Quel fondersi nella musica, quel vivere di musica che hanno pochi, rari artisti. Dalla nasce dalle cantine, dal jazz e dalla Bologna militante, i primi tentativi puntualmente fraintesi, snobbati e lui ci mette del suo, non sa adeguarsi, può passare delle mezze giornate nell'ascensore della Rai con un'arancia in testa, uno gnomo bonario, figlio di puttana e preoccupante, finché trova la chiave ed esce, ha bisogno di chi mette le parole sulle sue composizioni e lo trova in due poeti impegnati, prima Paola Pallottino, poi Roberto Roversi che è di quelli impegnati a tempo pieno e vuole stare in mezzo alle cose che succedono, è un narciso. Anche Lucio è un narciso, ma di grana diversa: vede, capisce che nel '77 tutto si rimescola, i compagni che si mettono a fare i borghesi, i borghesi che tirano su il pugno, e in mezzo il gran casino della sovversione giovanile e allora sparisce, si chiude in casa e si sfilaccia anche il rapporto con Roversi: pare la fine, è invece la sua fortuna perché decide di fare tutto da solo, anche le liriche e nascono gli album epocali, eponimi: “Lucio Dalla”, poi “Dalla”, e quelle canzoni che non vanno più via. Anche se di episodi fondamentali ne aveva già avuti, “E non andar più via”, “Quale allegria”, perfino, qui il folletto malizioso si scatena, il Disperato erotico stomp dove si racconta alle prese con l'autoerotismo, “e gliela fanno cantare anche alla Festa dell'Unità” annota Bocca, non si sa se più esterrefatto o ammirato.
Battisti è il contrario. Costruisce la sua ascesa con metodica spietata determinazione, il paroliere Mogol, che è già un padrone del business musicale, lo incontra, lo ascolta e gli dice: non mi sembri granché. Sono d'accordo, risponde Lucio e raddoppia gli sforzi. Quando parte con “Dolce di giorno”, “Per una lira”, ha già le idee chiare, quando porta a Sanremo “Un'avventura”, prima ed unica concessione al Festival; la svolta psicologica è arrivata al Cantagiro del '68 con “Balla Linda”: scende da palco e a Maurizio Vandelli dell'Equipe 84 dice: “A Maurì, ho capito che so' er mejo, nun me ferma più nessuno”. Ha ragione. Arriva “29 settembre”, affidata proprio alla Equipe, arrivano le “Acqua Azzurra, Acqua Chiara”, le “Dieci Ragazze”, “Mi ritorni in mente” ma il meglio è da venire ed è un meglio imparagonabile, che non patisce confronti. “Emozioni”, incisa in una volta sola, “Il tempo di morire”, mettici tutte quelle che vuoi, fino a quell'accoppiata pazzesca nel 1972, “Umanamente uno: il sogno” e “Il mio canto libero”, e poi l'Anima Latina che due anni dopo ridefinisce il concetto di progressive, uno degli album più belli e più sofisticati di sempre e per sempre. Anche lui non si adegua, ma per scelta, non per genetica. Nati all'inizio di marzo, corrono strade parallele e le disseminano di piccoli enormi capolavori popolari: non è esagerato dire che senza questi due l'Italia sarebbe stata diversa e meno Italia.
Dalla sta in mezzo al suo tempo, è un cantautore, è di sinistra ma coglie il senso del grottesco della politica e del tragico della vita, da correggere con l'ironia: siete dèi, fate il cazzo che volete, ma io resto divino anche in un bacio, anche in un amico “che c'ha una mira che con un sasso ti stacca la coda di un cane se lo tira”; Battisti è talmente fuori dalla politica che gli danno del fascista, a lui che al massimo scrive tenerissime lettere a Marco Pannella: ma un giorno, dice la leggenda, scoperchiano un covo delle Brigate Rosse e dentro ci sono tutti i suoi dischi, anche quei terroristi, quei guerriglieri sempre rintanati, sempre con la pistola per ammazzare ogni tanto tirano il fiato, si ricordano di essere umani, si affidano alla quotidianità ammiccante di Battisti e di Mogol, a quelle canzoni che sono più che canzoni, sono documenti di coscienza collettiva e sono colonne sonore delle giornate di ciascuno.
Ma finisce lì. Dalla si lascia fruire, e ne gode, Battisti non si cura di chi lo fruisce: a un certo punto molla anche Milano che è una fucina inesauribile di suggestioni, via da Largo Rio de Janeiro che sta sul limitare di Città Studi e si rintana al Dosso, nella Brianza Velenosa da cui non uscirà più. Dalla piglia la patente nautica e gira il mare a bordo del suo catamarano chiamato “Catarro”, dove ha messo su un piccolo attrezzato studio di registrazione. Roba impensabile per Battisti che d'altra parte a 40 anni scopre la vela, scopre il Windsurf e ci fa una canzone. Lucio di Bologna a un certo punto patisce anche, un po', il tempo che cambia tutto, cambia i gusti, gli eroi, scarica in Italia la pletora dei nuovi romantici inglesi, e allora prima escogita quel pezzo di romanza popolare che è “Caruso”, ruffiana sontuosa, poi si dà allo sperimentalismo come per tirarsi fuori dai giochi; Lucio di Poggio Bustone se ne frega anche della temperie, finito il lungo periodo con Mogol prima fa un disco per conto suo, poi aspetta 4 anni e nel 1986 se ne torna con “Don Giovanni che è una sorta di classicismo sintetizzato. Da lì, più che assorbire le nuove tendenze, il synth pop, la new wave, immagina un mondo tutto suo, elettronico e ricamato dalle sciarade di Pasquale Panella: un altro modo per uscire dall'intronata routine del cantar leggero.
Potevano incontrarsi quei due, coetanei paralleli diversi? Dalla, che per queste cose ha una fissazione, ci prova, anche se i due non si prendono, gli propone un tour, “I Due Lucio”: l'altro neppure si scompone e recita la frase lapidaria che, tutti lo sanno, chiude ogni discorso: “Non si può fare”. Forse è meglio così: Dalla è un egolatrico aperto, invasivo, Battisti nel suo sottrarsi a livelli patologici tradisce un'altra sorta di egocentrismo e si sa che due narcisi che si considerano i migliori, gli inarrivabili, insieme non ci possono stare. Tanto hanno fatto abbastanza per restarci dentro a vita e oltre la vita. Battisti se ne va 25 anni fa dopo lunga e segreta malattia, Dalla giusto dieci in modo proditorio, un colpo secco. Quando succede io mi trovo a casa di uno dei suoi amici più grandi, il compositore, arrangiatore e direttore d'orchestra Piero Pintucci, quello che ha scritto cose come “Il carrozzone”, “La Tua Idea”, “Il Cielo” con Renato Zero. Non sappiamo ancora niente ma Piero è agitato, sente qualcosa; gli arrivano dei messaggi e si rifiuta di aprirli, teme la consapevolezza del dolore. Però quando siamo a tavola e parte il telegiornale, è impossibile sfuggire: Lucio Dalla è morto. Pintucci abbassa la testa sul piatto. Nessuno ha più voglia di mangiare. Più voglia di niente. Lui continua solo a mormorare: “No, Lucio, no...”. Poche volte io ho visto una sofferenza più viva, più disperata, poche volte ho capito come può mancare qualcuno che va via. Mandano un filmato d'epoca, c'è Dalla a Sanremo e lo sta accompagnando, con la chitarra, Pintucci. Lì io temo il crollo e invece l'angoscia si declina in dolcezza, si schiude nel sorriso e c'è dentro tutto, la vita nella morte. Quella io la ricordo come una delle giornate più difficili e più belle, senza mezzi termini, della mia vita. No, non sto parlando di “me e Lucio”, non c'è nessun me e Lucio, figuratevi, sto parlando dei due Lucio che ti restano dentro, anche morendo, che ti fanno bene anche ferendoti, che non smettono mai di starti nel sangue, nella fantasia, anche dopo la milionesima volta che li ascolti hai ancora un film da immaginare, un sogno da spremere, sei di nuovo ragazzo perso nella Milano caotica, pericolosa e stordente, e romantica, e suggestiva dove tutto sembra vivere solo per te.
Ancora oggi i due Lucio sono amatissimi anche dai più giovani, che li scoprono nelle playlist di giorno in giorno: dal 2019 – per fortuna – c’è anche Battisti, che fino ad allora non era presente nei cataloghi della musica digitale per volere della vedova. Negli anni Ottanta ci fu la fugace possibilità di un incontro sul palco, di un progetto assieme. L’idea fu di Dalla, che provò a coinvolgere Battisti con una proposta: «Lui non si esibiva in pubblico dai giorni dei concerti con i Formula Tre, roba dei primi anni Settanta, così pensai fosse venuto il momento di sottrarlo all’isolamento» raccontò in seguito. «Fu molto gentile. Accettò l’invito al ristorante e dopo aver parlato del passato gli esposi cosa mi frullava per la testa. Un grande show itinerante che si sarebbe chiamato “I due Lucio”». Ma il miracolo non si concretizzò mai: «Mi ascoltò con attenzione, per un attimo sperai di averlo convinto. Ma alla fine, con grande garbo, mi rispose che non era il caso: “Sai, ormai faccio cose diverse, mi piace sperimentare…”».
Se ne sono andati entrambi troppo presto, ma le loro canzoni acquisiscono col tempo sempre più valore
Vasco Rossi ricorda Lucio Battisti e Dalla: «Due giganti senza tempo. Mi sento discepolo ed erede» 23 FEBBRAIO 2023
Quella volta che Dalla e Morandi…
Poi Rossi ricorda quella volta che Lucio Dalla insieme a Gianni Morandi si presentò a casa sua per conoscerlo. «Aveva ascoltato “Vita spericolata” e aveva detto “come hanno fatto questi a scrivere una cosa così bella?”. Si riferiva a me e a Tullio Ferro». Di Dalla Vasco apprezza soprattutto «la sua voce. Anche lui è un genio assoluto. Mi fulminò al primo momento. Avevo 15 anni, ero in collegio, ci facevano vedere Sanremo. Apparve lui sul televisore con 4.3.1943. Fu quella volta lì. Al tempo Lucio faceva parte del giro dei cantanti, era stato quello il recinto degli anni Sessanta, fino a poco prima. La cosa incredibile è che sia riuscito a diventare un cantautore, dapprima facendosi aiutare dal poeta Roberto Roversi, in seguito azzardando da solo la scrittura di testi immensamente belli. Un caso unico, nella storia della musica italiana».
Cosa ci manca di Lucio+Lucio
Chiaro che le cose sono cambiate, e ormai San Siro o l’Olimpico lo riempiono anche i dilettanti, ma oggi ricordare Battisti e Dalla è un esercizio di maieutica, di memoria collettiva e di confessione religiosa. Da un lato perché occorre ogni tanto tirar fuori dai meandri nascosti della coscienza artistica del nostro Paese qualcosa che abbia un suo senso evidente e indiscutibile e non unicamente modaiolo. Dall’altro perché in questa “evidenza” scopriamo il non-detto: che abbiamo anche noi degli eroi e degli dei nel paradiso delle sette note. Dei da ricordare, da venerare, finanche da pregare. Cosa ci manca dunque di Lucio+Lucio?
i Battisti si potrebbe dire che manca l’incredibile vastità e qualità della scrittura musicale, la capacità di fare dello sporchissimo blues come in “Insieme a te sto bene” (Insieme a te sto bene, Fra le braccia tue, così, Adesso non parlare, Anch’io, sai, non ho avuto più di quel che ora tu mi dai) e dare subito dopo vestito orchestrale a “Io vorrei, non vorrei, ma se vuoi” (quella di come può uno scoglio, arginare il mare…..). La magia della collaborazione con Mogol (fino a Una giornata uggiosa, 1980), paroliere perfetto, ad un certo punto (con il breve interludio dei testi della moglie con pseudonimo Velezia) lascia il campo agli equilibrismi letterali di Pasquale Panella: ed anche qui Battisti dimostra di poter musicare qualsiasi cosa, come si ascolta stupiti nell’immenso arrangiamento trovato per A portata di mano (E tutto il tempo è vicino, A portata di mano, Sul tavolino, sul ripiano, Su quanto ti è più caro). Non c’è musica oggi, e invece c’è musica ovunque, in Battisti. Questo ci manca. Come l’aria. Come il sole dopo un inverno cupo. Come un amore vero dopo storie sfigate. C’è grande musica in ogni canzone di Lucio Battisti: questo ce lo rende così importante.
A ricordare i due giganti della musica sono poi due persone che li conobbero bene: il teologo Vito Mancuso - intervistato da Emanuela Giampaoli - visse a casa di Dalla e parlarono di vita, morte, religione; Mogol racconta a Giandomenico Curi la sua lunga collaborazione con Battisti, interrotta bruscamente nel 1980: "L'ho voluto io".
Uno squarcio necessario
E cosa invece ci manca di Dalla? Inutile parlare della qualità delle sue storie (“4 marzo”: Così lei restò sola nella stanza, la stanza sul porto, con l’unico vestito, ogni giorno più corto….) o della visionarietà dei suoi racconti (da “l’Ultima luna” a “Tutta la vita”, quella in cui Tutta la vita, Senza nemmeno un paragone, Fin dalla prima discoteca, Lasciando a casa il cuore o sulle scale, Siamo sicuri della musica? Sì, la musica, ma la musica). Anche con Dalla, come con Battisti, siamo di fronte ad una produzione artistica che fa impallidire per quantità, qualità, freschezza, originalità ed ampiezza. Il Lucio di “Caruso” (Potenza della lirica, Dove ogni dramma è un falso, Con un po’ di trucco e con la mimica, puoi diventare un altro) con i suoi brividi melodrammatici, è agli antipodi dello sberleffo onanistico di “Tragico Erotico Stomp” (Sono uscito dopo una settimana Non era tanto freddo, e normalmente, Ho incontrato una puttana, A parte i capelli, il vestito, La pelliccia e lo stivale, Aveva dei problemi anche seri, E non ragionava male). E ancora: l’acquarello metropolitano di “Piazza Grande” (Dormo sull’erba e ho molti amici intorno a me Gli innamorati in Piazza Grande, Dei loro guai, dei loro amori tutto so, sbagliati e no, A modo mio avrei bisogno di carezze anch’io, A modo mio avrei bisogno di sognare anch’io) naviga su coordinate lontanissime da “Il motore del 2000” (con il testo del poeta Roberto Roversi), sguardo mistico sul futuro degli umani e delle loro meravigliose ed inutili prospettive cibernetiche (Noi sappiamo tutto del motore, Questo lucente motore del futuro, Ma non riusciamo a disegnare il cuore, Di quel giovane uomo del futuro, Non sappiamo niente del ragazzo, Fermo sull’uscio ad aspettare, Dentro a quel vento del 2000).
Ecco cosa ci manca di Dalla: della sua grandezza ci manca uno sguardo ed uno squarcio che erano solo suoi e che ci portavano le sue domande ed il suo senso del mistero. Ci manca il grande tutto che si apre immenso e sconosciuto in “Com’è profondo il mare”. Ci manca il cuore del ragazzo del Duemila appena citato, ignoto a noi che sappiamo tutto delle invenzioni futuribili. L’immensa risposta che c’è nella finestra che si apre sulla spiaggia e a cui si affaccia Maria, la donna sognata dall’ergastolano di “La casa in riva al mare”, un po’ Beatrice, un po’ Marilyn Monroe e un po’ Madonna. L’assurdità delle finte risposte di “Quale allegria” (Facendo finta che la gara sia arrivare in salute al gran finale). Ci manca il cocciuto e popolare coraggio di guardare avanti, che è la costante di tante canzoni perfette, da “Futura” ad “Anna e Marco”, da “L’anno che verrà” all’ “Ultima luna”. Quest’ultima, poi, è una storia che pare presa dai racconti horror di Ray Bradbury, e conclude nella speranza del bambino appena nato, l’unico che vide la luna finale, bimbo che Aveva occhi tondi e neri e fondi, E non piangeva, Con grandi ali prese la luna tra le mani, tra le mani, E volò via e volò via, Era l’uomo di domani l’uomo di domani.
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Le Orme & Friends
28 gennaio 2024 – Largo Venue – Roma doppio spettacolo ore 17,30 e ore 20.00
Il progetto “Le Orme & Friends” , nato da un intuizione di Enrico Vesco nell’estate del 2022, trova in Michi Dei Rossi e Tony Pagliuca validi alleati per raggiungere un obiettivo ambizioso: riunire i musicisti più importanti della storia del gruppo per realizzare il primo doppio album di inediti della loro storia.L’impresa è riuscita quasi completamente e il risultato di questo “incontro” ha dato degli esiti sorprendenti:Doppio 33 giri (vinile Gold), realizzato da Le Orme attuali con l’apporto di Tony Pagliuca (tastierista e membro storico con Michi Dei Rossi e Aldo Tagliapietra), Tolo Marton (coautore dell’album Smogmagica, 1975), Francesco Sartori (in formazione fino al 1997), Fabio Trentini (2009/2018) e Jimmy Spitaleri (frontman dei Metamorfosi e voce de Le Orme nel 2011/2012).Una citazione particolare e ricca di commozione per la partecipazione di Germano Serafin (1956-1992), con Le Orme dal 1975 al 1981, che compare con una sua interpretazione dell’epoca.Triplo Cd (sempre Gold), contenente il materiale dei due vinili più i brani di alcuni dei più importanti gruppi prog italiani, che in diversi modi e tempi hanno collaborato con Le Orme:Osanna, il cui leader/cantante, Lino Vairetti, sarà presente in molti dei concerti del tourThe Trip (Pino Sinnone, batterista storico, e Nico Di Palo come guest)Divae Project (guest Gianni Nocenzi)Mangala Vallis (Gigi Cavalli Cocchi, Bernardo Lanzetti, Roberto Tiranti ecc)Moongarden (Cristiano Roversi ecc)Alex CarpaniMonkey Diet (ospiti Eric Gales, uno dei più importanti chitarristi americani, e Donella Del Monaco, cantante ed elemento storico degli Opus Avantra)Sezione FrenanteLe Folli ArieTal NeunderSicuramente è un lavoro artisticamente ricco, che sicuramente soddisferà l’attesa degli appassionati prog anche a livello internazionale… tre ore di musica che esplorano diversi mondi artistici, come è nel DNA del gruppo fin dagli esordi. L’album è destinato ad avere una posizione di rilievo nella discografia de Le Orme.In concomitanza con l’uscita di Le Orme & Friends è iniziato un lungo tour, che si concluderà il 10 febbraio 2024 ad Alessandria e, (udite…udite…) non è prevista nessuna replica.Le Orme & Friends è uscito il 13 ottobre e mai arrivato nei negozi perché le copie stampate sono state esaurite in prenotazione. Il 1 dicembre è uscito un nuovo cd e vinile “ Le Orme & Friends – Collection – Volume 1” ( distribuzione Warner Music) che contiene, oltre ad una selezione di canzoni dell ‘album, anche una traccia inedita che non era stata presentata nel progetto originale.È sicuramente l’ultima occasione di vedere sul palco tanti degli artisti che hanno fatto entrare questo gruppo nella storia della musica in assoluto.Le Orme & Friends Tour 2023/2024Doppio Concerto del 28 gennaio a Roma al LARGO VENUE (orario ore 17,30 e ore 21,30 – prevendite su Ticket One e su www.sonnyboystore.it). Possibilità di cena su prenotazione scrivendo a: [email protected] Dei RossiTony PagliucaTolo MartonMichele BonE poi ancora:Luca SparagnaAligi PasqualettoOspiti speciali:Lino VairettiJimmy SpitaleriLe Orme & Friends Ultimo appuntamento con la storia!!!!
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Torna "Modena Viaemili@contest": il contest online dedicato alle scuole di cinema
Torna "Modena Viaemili@contest": il contest online dedicato alle scuole di cinema. Modena. Proiezione di documentari ma anche spazio alle proposte di giovani registi e autori internazionali: al Modena Viaemili@docfest tornano il contest online dedicato alle scuole di cinema nazionali e internazionali e il concorso “Meglio Matti che Corti” che racconta la salute mentale con sette cortometraggi, uno italiano e sei di produzioni europee, tra i quali anche il vincitore del Premio Oscar al miglior cortometraggio 2023 “An Irish Goodbye” di Tom Berkeley e Ross White. Giunto alla nona edizione, il concorso “Meglio Matti che Corti” si conferma uno degli appuntamenti più attesi di Màt, Settimana della Salute Mentale in programma a Modena dal 22 al 29 ottobre 2024. L’obiettivo del progetto è promuovere una cultura di inclusione, di sensibilizzazione e di lotta al pregiudizio, indagando il mondo della salute mentale e le storie di chi lo abita. Quale modo migliore di utilizzare il linguaggio cinematografico per dar voce ai cittadini e a tutti gli operatori che ogni giorno si impegnano per ridurre la sofferenza e migliorare la qualità di vita di chi accede ai servizi? Oltre cento autori da tutto il mondo hanno inviato la propria opera per il concorso e la selezione dei sette film finalisti è stata curata da Ennesimo Film Festival (ennesimofilmfestival.com ). La Giuria tecnica composta da Fabrizio Starace, Roberto Roversi e Leonardo Gandini assegnerà al miglior cortometraggio il Premio Vittorio Saltini, dedicato alla memoria di Vittorio Saltini (1947-2014), dirigente politico, impegnato nel mondo dell’associazionismo e della cooperazione sociale nonché presidente di Arci Modena. Una personalità di spicco della società modenese, attento ai bisogni e alle trasformazioni sociali, attivo promotore di iniziative e proposte per l’innovazione del nostro sistema di welfare. Il pubblico presente in sala la serata del 17 novembre potrà invece votare il proprio corto preferito tramite scheda voto assegnando così il Premio del pubblico. Il progetto è promosso e organizzato da Arci Modena e Azienda USL di Modena. Il contest Viaemili@docfest ha invece ricevuto 21 opere da scuole di cinema, di cui tre da scuole estere, che è possibile votare online fino al 15 novembre, per assegnare il premio del pubblico web, che insieme al premio della giuria e quello D.E.R. compongono i riconoscimenti che verranno assegnati sabato 18 novembre alle 20 al cinema Astra di Modena, durante la serata di premiazione. Nella selezione di opere sono trattate diverse tematiche di attualità: integrazione, il racconto dei confini, un raffinato racconto di un laboratorio tutto al femminile in cui cinque artiste condividono le proprie esperienze, un documentario sulla Montagnola di Bologna e poi ci sono dei ritratti più intimi, come il rapporto con una nonna morta in lockdown, raccontato con le pellicole e le foto di famiglia, e un percorso sul cinema D’Avorio di Roma. Per fare parte della giuria del web e visionare i documentari si deve consultare il sito www.modenaviaemiliadocfest.it , dove si trova il programma completo del festival.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Il frullo del passero 1988 Ornella Muti Philippe Noiret
TONINO GUERRA
LUCIO DALLA - COLONNA SONORA PREMIATA
ROBERTO GIANNINI .... IL GIORNALISTA
ROMAGNA . DOPO LA MORTE DELL' AMANTE SILVANA CONOSCE GABRIELE, AMICO DEL MORTO CHE LE PROPONE DI MANTENERLA A PATTO DI ASCOLTARE TUTTE LE SUE STORIE D' AMORE GIOVANILI. LEI PROVA AD INNAMORARSI DI UN RAGAZZO CONOSCIUTO PER CASO, MA NON CI RIESCE PERCHE' CAPISCE DI ESSERE INNAMORATA DI GABRIELE CHE L' HA FATTA INNAMORERA' SENZA NEMMENO SFIORARLA, MA CON LE SUE BELLISSIME PAROLE
Gianfranco Mingozzi Sceneggiatura Roberto Roversi, Tonino Guerra e Gianfranco Mingozzi Distribuzione in italiano Medusa Distribuzione Fotografia Luigi Verga Montaggio Janette Kronegger e Alfredo Muschietti Musiche Lucio Dalla, Mauro Malavasi Scenografia Nello Giorgetti Costumi Lia Morandini Interpreti e personaggi Philippe Noiret: Gabriele Battistini Ornella Muti: Silvana Nicola Farron: il giovane Chiara Argelli: la moglie di Gabriele Claudine Auger: la vedova di Dino Sabrina Ferilli: la donna delle stelle Rosa Di Brigida: la donna del palco Myriam Axa: Eva Beppe Chierici: Il parroco Claudio Del Falco: Adamo Giuseppe Mauro Cruciano: Un figlio di Gabriele Claudio Rosini: L'altro figlio di Gabriele Roberto Giannini: Il giornalista Bruno Rosa: Dino Doppiatori italiani Riccardo Cucciolla: Gabriele Battistini
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Nuovo post su Atom Heart Magazine
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"Arrivederci, Berlinguer!" in anteprima a Cinemazero il 2 aprile
La musica di Massimo Zamboni e il girato di alcuni tra i maggiori cineasti italiani: “Arrivederci, Berlinguer!” unisce questi ingredienti in un cineconcerto in anteprima assoluta a Cinemazero, per il gran finale della XVI edizione del Pordenone Docs Fest, domenica 2 aprile 20:45. I quasi quarant’anni dalla morte di Enrico Berlinguer, avvenuta nel 1984, sono l’occasione per ricordare la sua assenza, senza eccesso di nostalgia, e consentono di ripensare e raccontare la figura di un politico capace di parole pesate e dense, partecipato e partecipante. Produttori del film-spettacolo, per la regia di Michele Mellara e Alessandro Rossi, sono lo stesso festival e l’Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico, in collaborazione con Mammut Film. Sul palco, accanto a Zamboni, alla voce e chitarre, ci saranno Erik Montanari e Cristiano Roversi.
“L’addio a Enrico Berlinguer“, il film corale sui suoi funerali, realizzato all’epoca, tra gli altri, da Bernardo e Giuseppe Bertolucci, Silvano Agosti, Roberto Benigni, Carlo Lizzani, Luigi Magni, Giuliano Montaldo, Ettore Scola e Gillo Pontecorvo, è stato rimontato e attualizzato, arricchito di materiali inediti, per mostrare il rapporto umano, caldo e vivo, che il politico riuscì ad avere con le masse popolari. Nella nuova versione, è un film che guarda in avanti, che non vuole celebrare ma dare spunti: per riflettere su cosa significa fare politica, viverla come comunità e in prima persona: oggi urgenza quanto mai necessaria.
«L’umanità della figura di Berlinguer restituisce dignità, integrità e forza alla politica. Lo raccontiamo a partire dalla grande partecipazione popolare al suo funerale, – spiegano i registi. – Nel nuovo assemblaggio, a intervallare i tempi espansi della lunga cerimonia, abbiamo inserito alcuni suoi interventi che riguardano i temi che ci sembravano più vicini all’oggi: generazioni, donne, famiglia, questione morale, lavoro, e su cui ebbe parole ancora di estrema attualità, che continuano a farci riflettere».
Le immagini, provenienti dall’Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico, sono state girate per lo più in pellicola, tra le fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Ottanta, soprattutto durante convegni e appuntamenti pubblici a cui prese parte Berlinguer. Mostrano l’uomo politico, nella sua veste istituzionale, concedendo poco al privato. Il leader viene rappresentato sempre – forse, a volte, con una dose di serietà eccessiva – nei momenti ufficiali, nell’impeto oratorio di un comizio, nell’incontro di sezione con i militanti del partito. A questi filmati, però, se ne aggiungono alcuni che lo ritraggono nella vita privata, più caldi, momenti che restituiscono, almeno in parte, l’umanità e le fragilità dell’uomo.
Il montaggio del nuovo film, “Arrivederci, Berlinguer!”, è pensato in chiave emozionale, per coinvolgere il pubblico poggiandosi sulle composizioni musicali e la chitarra di Massimo Zamboni: la reiterazione del gesto, le folle, la commozione delle donne, dei politici, delle masse operaie, degli ultimi e dei capi di stato, i pugni alzati: tutto questo diventa sinfonia visiva e musicale allo stesso tempo.
Dopo la prima a Pordenone, il cineconcerto inizierà il suo tour in altre sale italiane e il film, con le musiche di Zamboni, verrà distribuito il prossimo anno.
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Solitudini di Grazia Verasani
La solitudine dell’artista SOLITUDINI di Grazia Verasani è uno degli ultimi nati della casa editrice Oligo. In questa bella intervista, l’autrice ci racconta come e perché è arrivata a parlare di solitudine e solitudini. Il libro, che si legge tutto di un fiato (poco meno di 50 pagine), è un concentrato di spunti e riflessioni su argomento che non ha tempo: la solitudine. Grazia Verasani è riuscita meravigliosamente a cogliere la solitudine nei suoi diversi aspetti, raccontandoci quella di alcuni scrittori famosi per veicolarci che, spesso, la solitudine è una condizione ricercata e non sempre, necessariamente, sofferta. Con grande delicatezza, l’autrice ripercorre la propria concezione di solitudine attraverso quella di grandi scrittori come Ovidio, Katherine Mansfield, Emily Dickinson, Robert Walser, Schopenhauer, a volte abbracciandone la visione, altre volte allontanandosene. La lettura di SOLITUDINI di Grazia Verasani sarà certamente un grande stimolo alla riflessione, non solo sulla nostra vita, ma anche su quella degli altri. SOLITUDINI di Grazia Verasani: intervista all’autrice Com’è nata la scelta di trattare l’argomento della solitudine? L’amico scrittore Davide Bregola mi ha proposto di scrivere il libricino preannunciandomi l’argomento. Ho accettato subito, avevo letto altre pubblicazioni di Oligo, provavo stima per il loro lavoro, e poi un trattatello sulla solitudine era stimolante, sapevo di poter dire la mia sul tema, ero felice di dare un contributo. Che rapporto c’è, secondo lei, tra scrittura e solitudine? E’ un rapporto molto stretto, direi inestricabile. Per scrivere occorre isolamento, silenzio, almeno per me. Non scrivo mai con musica di sottofondo, proprio per cercare una mia musicalità. La magia della scrittura è che nonostante tu sia fisicamente solo nell’atto, nel gesto di scrivere, in realtà sei in compagnia dei tuoi personaggi, delle tue storie, e quindi la solitudine viene meno. Creare è questo. Un “prodotto” della solitudine che rende meno soli sia chi lo realizza che chi ne usufruisce. In “Solitudini” lei cita uno scrittore che amo molto, Robert Walser. Può raccontare ai lettori perché ha scelto di parlarne? Ho conosciuto letterariamente Robert Walser grazie al mio mentore Gianni Celati, che trovava similitudini tra la mia scrittura e quella del magnifico, disperato autore svizzero. Ho letto tutti i suoi libri, e anche saggi e biografie. Una delle mie bibbie è il suo “Jakob von Gunten”. Walser era un grande solitario, un camminatore solitario, proprio come Celati, ma amava la natura ed era curioso delle persone, dell’arte, della vita semplice. Il suo valore letterario purtroppo è stato riconosciuto post mortem, e la sua è stata una lunga vita manicomiale. Un genio assoluto. Molti scrittori hanno delle vere e proprie “ossessioni”, temi intorno ai quali scriveranno per tutta la vita, lei ne ha? Sì, devo dire che quasi tutta la mia narrativa ruota intorno al tema del suicidio. Ho dovuto fare i conti col suicidio da ragazzina, un trauma che mi ha segnato e ha inevitabilmente centralizzato i miei scritti. Da “Quo vadis, baby’” a “Tutto il freddo che ho preso”, da “From Medea a “Lettera a Dina” il suicidio è spesso, volente o nolente, protagonista o comprimario. Un’ossessione in cerca di catarsi. Progetti per il futuro? Sta già lavorando a qualcosa in particolare? Sì, sto scrivendo un romanzo, breve e denso, e un po’ distopico, un ritratto della nostra epoca e dei rischi morali che stiamo correndo. Può essere definito “nero”, ma io non amo le etichette. Cerco sempre di scrivere liberamente e sono quando ho un’idea che mi convince, che mi smuove, e che sento in qualche modo necessaria. Grazia Verasani vive a Bologna. Ha iniziato a scrivere incentivata da Gianni Celati, Roberto Roversi, Tonino Guerra e Stefano Benni. Dal suo noir d’esordio Quo vadis baby? (Mondadori 2004) il regista premio oscar Gabriele Salvatores ha tratto l’omonimo film e prodotto la serie tv Sky. Sono seguiti libri di successo per Feltrinelli, Giunti, La Nave di Teseo e Marsilio, che ha pubblicato Come la pioggia sul cellofan (2020) e Non ho molto tempo (2021, memoir dedicato all’amico Ezio Bosso). Tra le opere teatrali segnaliamo From Medea-Maternity Blues (Sironi, film nel 2012 per la regia di Fabrizio Cattani, presentazione alla Mostra del Cinema di Venezia, premio per la miglior sceneggiatura al BIF festival, Nastro d’argento e due Globi d’oro) e tra le collaborazioni TV la sceneggiatura della docufiction Amati Fantasmi (Rai5, 2021). Read the full article
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A ROBERTO ROVERSI C'è un buco nel portico della città di Bologna come l'inferno inghiotte i giovani poeti Un diavolo benigno li travia. Escono trasfigurati, gridando i loro versi al sole Se fuori c'è la nebbia da quella libreria si vede alla finestra (per qual diavoleria) il cielo azzurro I libri parlano anche se sono chiusi beato chi sa ascoltarne l'ostinato sussurro (Stefano Benni) IL POETA (Stefano Benni) Il poeta è un uccello che becca le parole sotto la neve del normale viene sul davanzale e scappa, impaurito se lo vuoi catturare Il poeta è femmina Il poeta è gagliardo ha qualcosa, nello sguardo che tu dici: è un poeta Spesso è analfabeta ma è meglio è più immediato il poeta è un ammalato colitico, fegatoso, asmatico il poeta è antipatico, scontroso ombroso: guai chiamarlo poeta è una cometa che annuncia un mondo nuovo è assolutamente inutile è un fallito è un pappagallo di partito è organico, no, è fatto d'aria ha nella penna tutta intera la rabbia proletaria è sopra la politica è sopra il mondo il poeta è tisico e biondo il poeta è sempre suicida il poeta è un furbone il poeta è una sfida alle banalità del mondo il poeta è assolutamente del tutto normale il poeta è omosessuale il poeta è un santo il poeta è una spia poi un giorno va via in un isola lontana o anche a puttana e lascia un gran vuoto nella poesia la sua il poeta è il titolo di questa mia. (Stefano Benni) #ravenna #booklovers #instabook #igersravenna #instaravenna #ig_books #consiglidilettura #librerieaperte #poesia #stefanobenni (presso Libreria ScattiSparsi Ravenna) https://www.instagram.com/p/CojVa87I5HT/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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1 dicembre: una giornata per roberto roversi, a catania e a pieve di cento
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Sette inediti di Roversi per Dalla interpretati dagli Zois
“Testi Per Dalla”, c’è scritto sopra: è una cartellina piena, spessa, testimone della longeva collaborazione che ha legato Roberto Roversi e Lucio Dalla. Sette inediti di Roversi, storico paroliere di Dalla per la trilogia de ‘Il giorno aveva cinque teste’, ‘Andride solforosa’ e ‘Automobili’ (1973-76), prendono vita in ‘Etilene per tutti’, il nuovo Ep degli Zois, in uscita il 27 gennaio su…
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Ogni Due Agosto
Ogni Due Agosto, provo una tristezza infinita. Tutti sembrano aver dimenticato a parte i parenti delle vittime e i feriti mai guariti. Il grande poeta bolognese Roberto Roversi scrisse la poesia intitolata Notizia nei giorni immediatamente successivi alla strage: il testo fu pubblicato sul quotidiano Paese Sera mercoledì 6 agosto 1980. Notizia BOLOGNA 2 AGOSTO ORE 10.20 il cielo è un forno di…
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La cosa più triste è che ci eravamo promessi che saremmo stati vicini per sempre. La cosa più triste è che, quando ce lo siamo detti, ci credevamo per davvero. La cosa più triste è che le lacrime, i litigi, le chiacchierate che durano ore, l’allegria, le promesse, a volte non bastano. E non è triste ? Lo è. E’ triste sapere che, certe volte, volersi bene non basta.
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"Nessuno è mai solo con un libro in mano"
Cit. Roberto Roversi
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