#da qualche giorno non sto molto bene e non sono andata a lezione
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cerco sempre di essere gentile con tutti ma mi stupisco quando gli altri non lo sono con me
#da qualche giorno non sto molto bene e non sono andata a lezione#ho chiesto sul gruppo delle informazioni su un corso che avrei dovuto seguire (di solito nella prima lezione danno informazioni su materiale#- esame ecc)#purtroppo la mia amica è in viaggio e le altre persone che conosco non hanno scelto questo corso#non ci credo che su un gruppo di più di duecento persone nessuno abbia seguito la lezione di ieri#non mi sembra di aver chiesto la luna ma solo qualche informazione su un corso che se fossi stata bene avrei seguito#io quando posso aiutare lo faccio più che volentieri e mi è capitato di rispondere sul gruppo quando appunto avevo le informazioni per farlo#quanto mi urta (non solo per me ma in generale) quando una persona fa una domanda e nessuno le risponde#ho pure scritto alla profe ma si è limitata ad una risposta minima tipo questa cosa l'ho detta a lezione eh grazie al ca
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5/10/22
Sono passati tre giorni dall’inizio delle lezioni ed è stata estremamente dura
Lo è stata tutta l estate ma oggi hai dato il meglio
Con l occhiolino per salutarmi
Al correre a casa dopo lezione senza fumarti la sigaretta per non prendere la metro con me
Poi ci sono dei lucidi momenti in cui torni in te e mi sorridi e ridi come una volta
Poi ti ricordi che mi odi e ti obblighi a cambiare espressione
Ma io non cedo prima sta volta
6/10/22
Continuano le tue battute del cazzo sulle altre come nulla fosse
Assurdo come scherziamo e ridiamo, poi ci guardiamo e ci ricordiamo che non possiamo essere amici
Dio solo sa quanto fa male
Ti ho visto anche con Giulia al bar, non c’è l���ho fatta a guardavi in faccia
7/10
Oggi non sei venuto, conoscendoti lo immaginavo
Meglio
Ti ho riassunto le info per il lab, spero che tu capisca che la mia gentilezza è genuina
10/10
Oggi stranamente bene, non credevo, magari mi sto mettendo l’anima in pace
11/10
Forse stiamo trovando un equilibrio
Non nego che quando parliamo manca la confidenza
Ma la chimica, quella non se n’è andata
12/10
Ridicolo a livelli altissimi
Scendo a Vinzaglio per fare un pezzo a piedi
Chi prendi per il culo
Pensavo stessero andando meglio le cose
13/10
Giuro che il giorno che ti capisco sarò felice
Ti ho beccato che mi guardi
Vorrei tanto sapere che pensi
14/10
Non so se non mi abbiate visto
Comuqnue è sempre strano però è bello poterti parlare
17/10
Chi ti capisce è bravo, non so sempre come comportarmi
19/10
Ti odio tantissimo, odio i tuoi amici e odio doverti averti in corso
Odio te e come mi hai trattato
Odio te e Giulia
Odio il fatto di esserti stata amica
Vorrei tanto dirti quanto mi hai soffrire
20/10
Chi ti capisce è bravo
Siamo amici o no?
So solo che vorrei aver smesso di provare quello che provo ma non è successo
Nonostante tutto il dolore
Non so gestire tutta questa rabbia e questo dolore provocato da te
Non so neanche se ti rendi conto di quanto dolore ci sia
21/10
Ieri piangevo
Oggi faccio finta di nulla, la verità è che cerco un dolore per farti vedere che sto soffrendo ma quando ti vedo mi scordo di tutto
Sembra assurdo ma non riesco ad essere arrabbiata con te quando ci sei veramente
Riesco solo a distanza
Vorrei staccarmi da te
Sono felice di non vederti per un po’ di giorni
26/10
Questo equilibrio è sempre più precario vediamo tra quanto cediamo
Più ti tratto male, più ti avvicini
Prima dici che non prendi la metro poi appena me ne vado vieni con me
Te ne serve uno bravo
27/10
Oggi ti odio un po’, penso perché tu mi manchi molto
28/10
Gli chiedevo se aveva chiesto a. Fabio di fare gruppo
Lui fa no
Va beh
Detto questo
Mi fa: così magari viene qualche bella figa con noi
Io: smettila con ste battute di merda
E lui mi fa: allora la prossima volta dico bel maschione così sei contenta
Io: minchia tu non capisci proprio un cazzo, le cose che ti dicono tu le dimentichi, sei un cazzo di specchio riflettente
Sei proprio uno stronzo, non ti è bastato giocare e farmi stare male, ci ridi pure sopra
Non so più come farti capire che sono ancora ferita, non so se continuare a dire cattiverie serve
So che l’unica cosa sensata sarebbe semplicemente ignoranti
2/11
Oggi è stato normale
3/11
Quando ridi mi vengono i brividi
9/11
È strano
Non so cosa pensi ma so che io tengo questo equilibrio perché è sicuro, perché continuare a fare finta di nulla è sicuro
Ma so che dovremmo parlarne
11/11
È bello la verità è questa fingere di essere amici è bello
14/11
Non mi hai mai detto che sono bella, in anni di amicizia e lo dici ad alice come nulla fosse
Contnui a parlarmi di Lucrezia come non sapessi che mi faccia male
Sei solo stronzo
16/11
Mi fa molto ridere che ti becco a guardarmi, non ti capisco e fa male a volte tutto ciò
17/11
Sei un pezzo di merda e nonostante te lo dica, non capisci che io sia ancora nera con te
23/11
Non indossi il camice che ti ho regalato
Questa non l’ho capita
13/12
È un po’ che non scrive di te
In verità sta andando tutto bene
Preferirei totale indifferenza
Ti tocco e non ti scansi
Ti sorrido e mi sorridi
Mi manchi
15/12
Vanno così bene le cose, siamo tranquilli e senza astio
Anzi addirritura non c’è più imbarazzo e siamo vicini
Ma fa male, vorrei odiarti ma non posso
17/12
L’idea che tra qualche giorno sarà tutto finito mi fa male
23/12
Avevo dimenticato il cappello e tu me l’hai riportato
Non mi aspettavo venissi nel bar
Me lo mettessi in testa e che nonostante te ne sia andato, quando tornavi a casa ripassassi a salutare
Qualche mese fa non me lo sarei mai aspettato
2023
11/01
Lo so che non dovrei più pensarti ma mi manchi
Vorrei potessimo parlare normalmente ma sembra il tempo voglio
Impedirlo
12/01
Mi manchi
13/01
Allora sei venuto al babalu
Sei venuto a salutarmi
Poi vi abbiamo raggiunto
Simone mi ha detto che ti sono mancata, e so che non me lo dirai mai tu
Ma so che ti sono mancata ed è bello ma so quanto ci sono stata male
E ho paura che tutto torni prima
Come tutto riprenda il sopravvento
È stato bello
Abbiamo avuto una strana conversazione
Hai paura e voglio capire perché
Vorrei avere un momento solo io e te ma so quanto è difficile e forse è stato difficile anche per te
Vorrei tanto parlarti come una volta (come l’altra sera)
La sintonia che abbiamo è così palpabile che è talmente disarmante da chiedermi se forse non essere nulla, nemmeno colleghi perché non sapremo mai gestirla, nemmeno tu
27/01
Ti sei presentato davanti al babalu coi tuoi amici e per la prima volta sei stato li
Io non ti capisco
Marchi il territorio ma perché?
Non sarebbe più facile ignorarsi
2/02
Avevi l’esame e lo sapevo
Ti ho regalato una brioche e ti ha fatto felice
4/02
Non sono andata al babalu
Sei passato e non c’ero e hai chiesto di me
Sei geloso e fai battute
Non so più che pensare
16/02
Ci siamo visti la prima volta da soli dopo tantissimo tempo
È stato bello
Quanto tu sia sempre stronzo
Mi sei mancato
Ma non non ti capisco
Mi hai detto che non ne abbiamo parlato perché avevo il covid
Avrei voluto tagliarti la testa
9/03/2023
Quanti mi manchi in laboratorio
26/06/2023
La verità è che il nostro rapporto fa schifo ma non vogliamo chiuderlo
Hai detto che siamo amici ma che senso ha
13/03-23/07 2023
Qua in mezzo mi sono lasciata con fra
Se solo tu sapessi che ho amato più te che lui
Se solo sapessi che l’ho fatto per avere la libertà di amarti senza timore e finalmente la forza di lasciarti andare
24/06/2023
Non penso che siamo più amici
Ma non penso siamo neanche come gli sconosciuti
Penso che siamo e saremo sempre qualcosa di diverso
Magari in un’altra vita Andrea
Ma ho deciso che voglio lasciarti andare, per sempre
9/08/2023
Ti sto lasciando andare ma è una delle cose più strane e difficili abbia mai fatto
Mi manchi come l’aria
Ma non siamo niente nonostante avremmo potuto essere tutto
Oggi non riesco a non pensarti, oggi mi manchi più del solito
Vorrei tanto parlati come una volta, solo Dio sa quanto mi manchi
18/08/2023
Non credo sia mai stata così tanto tempo senza scriverti
Iniziò a capire quanto ti ho idealizzato
Ma cerco il tuo squadro ovunque
Chissà dove sei e se mi pensi mai
30/08/2023
Non ci sentiamo da quasi due mesi
Non credo mi manchi più
Ma so che qualcosa manca
12/09/2023
Nonostante tutto ciò riprovato
Quando ti ho visto l’altra sera ho realizzato una cosa: non sono mai stata innamorata di te, ma del te che avevo nella mia testa, meglio o peggio non lo so
Mi manchi sempre però
4/10/2023
È da un po’ che non ti vedo, e che un po’ che non parliamo, e mi sto abituando alla tua assenza. Ti penso ancora ma non mi manchi più.
6/10/2023
Certi giorni vorrei cancellarti perché la tua assenza è pensate
28/10/2023
Al mio compleanno ti ho detto che non siamo più amici
Stasera ti ho chiesto un caffè, questa è l’ultima volta e probabilmente sarà anche l’ultima volta che scriverò qua
30/10/2023
Non mi manchi più, ma ti penso ancora
Chissà come sarebbe andata se fossi stato sincero
5/11/2023
Ho rinunciato a noi, ma resterai per sempre il mio “chissà come sarebbe stato”
13/11/2023
La verità è che non fa più male, ma sento la tua mancanza
26/11/2023
Non ci vediamo da un bel po, alla fine ti servivo solo per l’uni, come volevasi dimostrare
12/12/2023
È la prima volta che realizzo che non aspetto più una tua risposta
Oggi ti ho scritto per un cosa e non ho controllato ossessivamente se mi avessi risposto, anzi, non ci ho pensato
Che strano passare ad aspettarti a non ricordare che ti avessi scritto
Ma eri, sei e rimarrei uno dei motivi per cui sono e voglio cambiare, e lo rimarrai
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Voglio parlare di me. Non perché la cosa vi debba interessare particolarmente, ma credo piuttosto che mi faccia bene. Qualche anno fa è finita una mia relazione molto importate, è finita male, dopo anni e anni che stavo con questo ragazzo (lo chiamerò X). Generalmente si inizia a raccontare dall’inizio, ma dato la sto raccontando per me stessa posso iniziare da dove voglio. È finita quasi di punto in bianco; nel senso che un giorno si presenta a casa per il compleanno di mio padre, festeggiamo tranquilli, poi voleva far cose e nemmeno il tempo di finire, inizia a dire che deve andare. Il comportamento di X era sicuramente insolito, ma mentre se ne stava andando ha cercato un po’ in fretta e furia di tranquillizzarmi dicendomi che mi amava (cazzatona enorme), e tutto quello che stava succedendo non era assolutamente colpa mia. Passarono giorni, ripresi la mia quotidianità, andai all’università e ero stra pronta per dare l’esonero di chimica organica (mi ero preparata un botto)… A una certa ricevo un sms della mamma di X in cui mi chiede di chiamarla. Tutta preoccupata non faccio nemmeno pranzo tra una lezione e l’altra e la chiamo, mi dice che X è andato a lavoro, ma ha avuto un attacco di panico e è dovuto tornare a casa, mi spiega che non è la prima volta che gli succede e mi chiede di starli vicino… Decido allora di andare da lui, faccio la valigia, prendo il primo bus, mi perdo, arrivo a casa, preparo una borsa alla rinfusa, prendo la macchina e parto per andare a casa sua. Arrivo e trovo un X totalmente diverso, apatico, perso, dove la mia presenza sembrava quasi destabilizzarlo… indossava la giacca della felpa della mamma e credo che era anche qualche giorno che non vedeva la doccia. Sinceramente vederlo in quel modo in cuor mio mi ha fatto veramente male, sentivo come se le sue ossa potevano spezzarsi da un momento all’altro e il suo cuoricino potesse esplodere. Ma come tutti i miei gradini, ho fatto forza per salire anche quelli con grande solidarietà e amore, gli sono stata accanto come e quando me lo chiedeva, e diciamoci la verità… di giorno praticamente stavamo a sedere perfino distanti a tavola… i film li vedevo tra sua mamma e il compagno di sua mamma perché lui voleva star solo accanto a lei. NON STO GIUDICANDO LA SITUAZIONE, STO SOLO CERCANDO DI DESCRIVERLA. La notte poi, mi abbracciava talmente forte da farmi quasi mancare il respiro e poi prendeva la mia mano e se la metteva sul petto. Io in quel momento ho veramente capito che aveva bisogno di me, ho cercato di far di tutto per restare, ma al mattino, quando lui era a lavoro mi ha mandato un sms dicendomi che preferiva risolvere questa situazione da se, con la sua famiglia, non con me. Ho aspetto e fatto pranzo con lui e sua mamma come mi ha chiesto e dopo di che mi ha detto che potevo andare.. Sono tornata a casa mia, mi ha riscritto quanto mi amasse e che gli dispiaceva un casino della situazione ma io non centravo niente. La storia è andata ancora avanti per un mese, dove però non ci siamo visti, ma i suoi messaggi erano sempre i soliti, piedi d’affetto e d’amore (ad oggi non so se è così); fino a che mi arriva un sms di sua madre in cui c’era scritto -mi dispiace che te e x vi siete lasciati-, il punto è che nel messaggio di cinque minuti prima di x c’era scritto quanto lui mi amasse.. Ero veramente confusa.. senza parole. Ho deciso allora di chiedere delle spiegazioni a X e lui mi ha detto che LA COLPA DEL SUO MALESSERE ERO IO. Il mondo mi è crollato addosso. Pesava tanto e io son stata schiacciata in pieno.
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Tre Manici di Scopa, 19/09
Certo che sono una coppietta stranamente assortita questi due, un po` come lo erano quando erano Prefetti assieme. Guinevere però è diversa, segno che è stato solo il settimo anno quello che l`ha resa scostante e silenziosa, perché è tornata quella di sempre tutta sorrisi e gentilezza. La Tassorosso mancata, sì. Difatti è stata adorabilmente carina sin da quando l`ha salutato. [...] « Sì, vabbè comunque non intendo davvero usarti come psicologo » ci tiene a specificare così di punto in bianco, con quel suo marcato e grezzo accento gallese « Sarei andata al San Mungo, semmai. » e sorride persino « Però grazie di avermi assecondata. » E lo dice così carinamente che è proprio una bambolina.
Generalmente non esce con persone che amano abbigliarsi alla babbana, ma non si può certo dire che sia uno appassionato di caccia allo stato di sangue altrui. Specie quando queste persone sono molto carine, bionde e più grandi di lui. Sembra quasi uno stereotipo, considerando di chi stiamo parlando. «Se ti serve» ghigna sottilmente, inarcando un sopracciglio nella sua direzione «faccio un fischio a qualche altro Medicine.» giusto perché tu sappia che la sanità è tutta a sua disposizione. Si dà una lieve spinta verso il tavolo, posandovi un gomito mentre con la destra rivela ciò che in realtà si stava rigirando tra le mani da un po’: due bustine, ognuna con una cioccolata al suo interno. Una la porge verso di lei, in attesa che la prenda, l’altra se la tiene rivolta verso di lui. «Lo so, sentivi la mia mancanza.» ha sempre avuto quell’aria un po’ da puzza sotto al naso, anche quando usa l’ironia come in questo caso. Ma si può dire che sia rimasto sinceramente stupito dal gufo della ex-concasata.
L’ insinuazione dell`altro la fa ridere, una risata genuina, secca. « Oh sì, lo ammetto » e finisce pure per alzare le mani, fintamente in segno di resa « Mi mancava tanto il mio compagno di spilla. » Però poi Helios le cose se le va a cercare, scudo empatico o meno. Il cuore della gallese perde un battito nel vederlo allungare la cioccorana verso di lei, l`ansia si dipinge sul suo volto pallido perché sembra una cazzata, ma lei è sinceramente terrorizzata dalle cioccorane. « Ah, l`hai fatto davvero. » butta giù un groppo di saliva, mentre le mani vanno a prendere la confezione e a rigirarsela tra le mani. « Come si fa » non è propriamente una domanda, ma torna a guardarlo, tenendo ancora il suo molliccio in formato tascabile tra le mani « Suggerimenti per non morire e disturbare tutta la sala? » o disturbare l`empatia di Helios, certo. « Che finché sta chiusa va tutto bene, è quando salta dalla confezione che fa troooppo schifo. » e lo dice con un tono vagamente troppo giulivo, che quasi cozza col suo essere tutt`altro che quello, e che non porta rispetto a un qualcosa che è molto più profondo.
Il fatto che lei rida gliele fa inarcare entrambe le sopracciglia, quasi perplesso. Non è abituato a sentir ridere davvero alla sua ironia? Probabile, anche perché non la capisce mai nessuno. Ma passato il primo momento di perplessità, si commuove persino a tal punto da regalarle un occhiolino, assieme al ghigno serafico che gli si dipinge sul viso, sbuffando appena tra le labbra. In ogni caso non ci ricama troppo sopra, occhiolino a parte. Sembra piuttosto preso dalla missione che è venuto a compiere con questo appuntamento, se così vogliamo chiamarlo. Non si azzarda ad aprire la sua cioccorana ma, questa volta, bada bene a tenersi molto lontano dalle ansie dell’altra. Gliela può vedere dipinta in viso, certo, lui che è bravo ormai ad interpretare le emozioni prima ancora di percepirle. Ma se ne tiene fuori. Non è in grado, emozionalmente parlando, di manipolare neanche se stesso in questo periodo. Figuriamoci qualcun altro. E’ bravo, però, a celare. Gioca con la carta della sua, ma ancora non la scarta. «Fa un solo salto buono.» le ricorda, snocciolando quelle parole molto chiaramente e con tono ironicamente affilato. E’ serio. «E di questi tempi, non credo che la sala sia disturbata da queste sciocchezze.» però lo lascia sottinteso ciò da cui potrebbero essere disturbati, nell’aria. Molto ben percepibile, come percepibile è ogni giorno di più quell’aria che urla che con i Babbani c’è qualche problema, senza mai dirlo tanto apertamente. Lui non lo direbbe mai ad una come la Cadwalader in ogni caso, ma dovrebbe saperlo da sola, ormai. Si inumidisce le labbra, deposita gli occhi azzurri su di lei e inclina appena il capo; poi, la interroga «Prima io?» proponendosi in maniera molto pavida di farle una dimostrazione pratica
A quanto pare lei comprende la tetra ironia del Medicine, forse perché ne è dotata a sua volta di una molto simile. Helios non ha mai avuto il piacere, chiedete a Jed semmai. Comunque lei ridacchia, quindi va per prendersi un sorso di birra scura. Meglio diluire con l`alcol l`ansietta. « Terzo anno, lezione pratica sui mollicci. Indovina in cosa si è trasformato il mio? » è retorica nella domanda, poiché subito torna a raccontare con quel terribile accento gallese « Un`enorme cioccorana. Immagina le risate della classe, anche il professore faceva fatica a restare serio. » i traumi di una giovane natababbana. « Poi me la dai la tua figurina? » che è l`unica cosa che sembra interessarle e per un momento soltanto, sembra dimenticarsi della sua paura assurda, perché gli rivolge un sorriso luminoso, tutto occhioni azzurri e labbra carnose che dovrebbe quasi invitarlo a dirle di sì per la figurina. Però qualcuno dovrà pur aprirle ste confezioni, oltre che guardarle. « Vai tu, io non ce la posso fare. » non poteva essere altrimenti, difatti la sua viene lasciata sul tavolo e l`attenzione viene posta tutta su Helios.
«Salazar, Guinevere…» esala tra le labbra, trattenendo però a stento una risata a sua volta. Questo, bisogna dirlo, fa più ridere della paura in sé. Solo l’immagine di un molliccio grande quanto una cioccorana è esilarante, anche per chi non è propriamente dell’umore. «Regalamene il ricordo.» richiede, l’aria apparentemente seria e la mano destra che si porta all’altezza del cuore, solenne «Fallo per il mio Patronus.» Non è mai stato granché teatrale nei modi di dire, di fare. Anzi. E’ sempre piuttosto schietto. Quindi no, non sta recitando mica. «Mhm..» sulla figurina, invece, ci pensa. Diciamo che è quel sorriso ad attirare lo sguardo dell’adolescente sulle sue labbra e, poi, farlo risalire lentamente ai suoi occhi. Ma in ogni caso, la risposta rimane la stessa: «Dipende.» non dà mai niente per niente, lui. «Mi dai qualcosa in cambio?» inarca anche un sopracciglio, alzando il mento in un cenno di quelli che contribuisce alla solita faccia da schiaffi, quella che sembra non mancare mai. Specie quando ha a che fare con una bella ragazza. In qualche modo si dovrà pur consolare, no? Non se lo fa comunque ripetere due volte. Annuisce. «Se urli..» lascia la frase in sospeso, mentre porta entrambe le mani ai bordi di quella carta che scricchiola sotto le sue dita e osserva Guinevere di sottecchi; le due estremità della carta si separano, e da essa non esita ad uscire quella cioccorana animata che usa il suo unico salto buono per zompare con le sue lunghe zampette proprio sul tavolo, rivolta verso la ex-Serpeverde. E’ lui a bloccarne l’incedere, quand’è già in volo, posandovi sopra repentinamente l’indice della mano destra solo dopo aver probabilmente fatto prendere un bello spavento alla bionda di fronte a lui che, si spera, nel frattempo non abbia urlato magari presa dalla suspance di quello che potrebbe persino sembrare un incipit per una minaccia. Incipit che si conclude solo dopo questo avvenimento repentino: «..la prossima la lascio saltare.» ma solo se urli. Se sei stata brava e non hai urlato anche senza bisogno della sua manipolazione empatica, nel mentre, tutto a posto. Meglio così. E in tal caso, prenderebbe quella cioccorana tra le mani, per porgergliela, allungando il braccio visto che le sta di fronte.
Quindi è il turno di Helios quello di ridere al suo racconto del molliccio. « Ecco, ti ci metti anche tu » non è un pigolio ma quasi, quanto al ricordo per il patronus « Immagino ne troverai di migliori, che il mio che muoio di ansia e di vergogna per un maledetto molliccio. » Ma le labbra velocemente si stirano in un sorrisetto, pari quasi a quello da faccia da schiaffi dell`altro. « Oh beh... » inizia stringendosi un pochino nelle spalle, prima di sciogliere la postura « Dipende da quello che vuoi. » i serpeverde e i loro giochetti. E ora sta tutto ad Helios. Che sia per la figurina o per la cioccorana. « Te lo prometto, non lo farò » urlare, anche se non sembra particolarmente convincente. Butta giù un altro groppo di saliva mentre gli occhi azzurri si riducono a due fessure mentre la scatolina viene aperta, lo sguardo si volta appena da un lato per non guardarla. « Non sto urlando. » dice, la voce tremola appena, ma la verità è che non la sta nemmeno vedendo. Si volta poco dopo, solo per ritrovarsi un Helios che le porge una cioccorana ormai immobile. Spalanca gli occhi sorpresa, fin troppo, mentre ancora il cuore le va più veloce del solito. « E che dovrei farci? Perché me la porgi? » Nel frattempo allunga prontamente la mancina per tentare di sfilare la figurina dalla confezione, quindi la domanda per Helios è « Ma si muove quando si mangia o no? Sai che non l`ho mai fatto. » giornata di grandi confessioni, poi aggiunge così a caso « Comunque quando ridi o sorridi sei più carino, è un peccato che non te l`abbia quasi mai visto fare. » e lo dice tranquilla, anche se non c`entra nulla, un po` come prima, come se fosse solo un dato di fatto.
Si riserva la facoltà di pensarci, a quello che vuole, lui che non ha mai la risposta pronta e non è neanche un fan della suspance. Però non può fare a meno di notare l’atteggiamento dell’altra, con cui non interferisce, e ringraziare i riflessi pronti che si ritrova se intercetta quel movimento che cerca di sfilargli la figurina dal pacchetto e cerca di far morire il tentativo di furto sul nascere, continuando a reggere la cioccorana ormai stecchita con una mano, mentre con l’altra frenerebbe quella dell’altra, schiacciandola sul tavolo ma senza farle male. E con dei rapidi gesti delle dita, cercherebbe di scivolare tra le dita altrui per impedirle di sottrargli quella figurina del tutto che, intanto, s’è comunque mostrata. Sicuramente per lui è un doppione, ma non è uno che la dà vinta così facilmente. «Visto che non l’hai guardata..» ed era una delle cose che dovevi farci, non manca mica di fartelo notare, snocciolando l’evidenza con una faccia da schiaffi unica «Mangiarla.» gli sembra così ovvio, che neanche smette di porgergliela, mentre se fosse riuscito ad impedire quel furto cercherebbe comunque di accaparrarsi la figurina, e rigirandosela tra le dita la mostrerebbe agli occhi dell’altra. «E un altro appuntamento, al prossimo weekend.» ecco cosa vuole in cambio, furbo, di quella figurina. Niente di impegnativo. Ma questa volta lo chiamerebbe con il suo nome senza fare troppi giri di parole - o di gufi -, sfrontato. C’è pure da aspettare un mese. E non è abituato ai complimenti, ma sono okay. Infondo vanno solo a nutrire il suo ego, facendolo raddrizzare con la schiena con orgoglio. Per quanto la guardi, con gli occhi azzurri che studiano la sua espressione con una velata e molto ben celata diffidenza, non replica e resta in un enigmatico silenzio. Ogni buon ometto, come gli è stato insegnato, dovrebbe almeno rispondere ad un complimento con un altro complimento. E a Guinevere la bellezza non manca di certo. Ma Helios è strano, in uno strano momento. Passa qualche secondo prima che dica «Non quanto te.» che tuttavia ha il pregio di non suonare come una sviolinata, ma parole dette al punto giusto, un po’ oltre il momento giusto «Potresti convincere chiunque ad aprirti una cioccorana con quel sorriso.» non lo dice a caso. Infondo un po’ vittima ne è anche lui. «La tua la apriamo fuori?» propone, infine.
Perciò riesce a sfilare un po` la figurina, quel tanto che basta per vederci Mungo Bonham raffigurato sopra e poi farsi schiacciare la mano dal caposcuola. Pigola appena, prima di mollare la presa sulla figurina e tentare di liberare la mancina per farla tornare al proprio posto. Quindi lontana dalla figurina. « Ho capito, anche meno, Helios. » replica, massaggiandosi la mano offesa. Anche se è più scena che altro, considerando che non dovrebbe averle fatto troppo male. « E sia, a ottobre. » sorride, di nuovo in quel modo luminoso, che a quanto sembra riesce ad abbagliare tutti i serpeverde con cui esce. Non ci ha pensato neanche per un secondo alla risposta sulla possibilità di rivedersi alla prossima uscita ad Hogsmeade. « Ti giuro che se mi salta nella bocca, poi urlo veramente e altro che banshee » minacciosissima, con quel suo accento gallese e gli occhi a fessura, perché no, non si fida minimamente di quella cioccorana che l`altro così gentilmente le porge. « Oh beh, spero sempre in qualcosa di meglio che aprire una cioccorana, ma posso accontentarmi. » e ridacchia di nuovo, in quel modo genuino, per poi soggiungere che « Sì, ma la figurina è sempre mia. » ok, l`altra cioccorana la possono aprire fuori, la guerra delle figurine però resta uno dei fulcri della giornata.
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Direttamente in bella. Sul palco.
Nei miei ricordi non ci sono sono brutte copie. Non ho mai scritto un tema, una lettera o un biglietto più di una volta. Se sbagliavo, ci scarabocchiavo sopra.
È sempre andata così. Modificando il testo avevo paura di rovinare tutto, come quando provi a impacchettare più volte un regalo e l’ultimo tentativo è sempre una ciofeca. Così, anno dopo anno, quest’ansia di spontaneità si è mescolata ad un’atavica pigrizia e ha creato il piccolo mostro che sono io. Ho ampiamente riflettuto sul momento in cui la mia piccola persona ha capito che improvvisare era la cosa che più amavo e ho scoperto che questo amore risale a un tempo molto precedente alla mia prima lezione di impro.
Siamo alla scuola media, io, all’apice del mio egocentrismo prepuberale, ho ascoltato la lezione di storia in classe, letto di sfuggita il capitolo assegnato e raccolto le informazioni fondamentali. Capisco che per evitare di essere interrogata, devo prendere in contropiede la buonanima della Professoressa Buscemi (RIP) e propongo il mio primo format editoriale:
“Giulia racconta il Quadro Generale”
Non so quanto la Prof avesse intuito del mio losco piano per aggirare l’ammissione di una conoscenza nozionistica, ma trattandosi di una panoramica sul capitolo non mi vennero fatte domande e da quel giorno il mio punto della situazione divenne un appuntamento settimanale in cui di fatto introducevo la lezione, non venivo mai colta di sorpresa e facevo anche bella figura.
Adesso, quando penso alle mie lacune, mi sento un po’ una stupida ad aver pensato che fosse furbo giocare a fare i Ted Talk dopo la quinta elementare solo perché avevo ereditato dai miei il gene della saccenteria. Potevo imparare di più, ma la tecnica mi è stata comunque utile anche negli anni successivi. Al liceo, all’università e soprattutto nei colloqui di lavoro. Ovviamente, la mia capacità di spaventarmi a morte quando le persone mi mettono troppa pressione, o pretendono cose che non sento mie, ha egregiamente bilanciato i successi ottenuti relegandomi al perenne stato di impiegata. Ma questa è un’altra storia.
Dicevamo appunto. Del trovare una soluzione immediata. Una piccola recita per portare a casa la giornata. Fino a quattro anni fa, non sapevo che avrei potuto allenare questa mia passione attraverso una precisa scuola di teatro che insegna a vincere le proprie insicurezze e costruire una storia dal nulla, direttamente su un palco.
Quando l’ho scoperto, il mondo è cambiato.
Non era più necessario ballare nuda davanti allo specchio per fare la baccante presso me stessa, non dovevo frenare la mia voglia di inventare canzoni e poesie per la gatta, per i neonati dei parenti, gli\le ex o gli sconosciuti per strada. Non dovevo neanche preoccuparmi che qualcuno mi scoprisse mentre interpretavo finti personaggi nei negozi per sembrare meno povera o realmente interessata ad un acquisto. O fingermi incinta. Quello è sempre stato uno dei miei cavalli di battaglia. Potevo fare tutto questo una volta a settimana, per tre ore. Non avevo un testo. Solo qualche spunto qua e là. Il mio sapere di tutto e di niente, cosa di cui mi sono sempre vergognata, sarebbe bastato perché erano le emozioni a guidarmi.
Ogni martedì è diventato così la gioia più grande che potessi provare. La cura per il lutto che fuori dalla scuola mi faceva solo venire voglia di dormire e non svegliarmi più.
Da allora, tutto ha trovato il suo posto. Sto bene quando sento la fiducia dell’altro ogni volta che guido una scena e sto bene quando mi arrabbio se non va in porto. Sto bene quando supporto i mie partner sul palco e li vedo scintillare. Sto bene quando supero i cliché. Mi fa sentire ad un passo dal cielo. E quelle rare volte che azzardo un contatto fisico con l’altro mi sento così emozionata che il mio cuore non smette più di battere all’impazzata. È così difficile toccare qualcuno spontaneamente senza che questi si senta minacciato. Così delicato. Niente mi appaga come commuovermi durante una scena improvvisata. Quella sensazione lì non la puoi inventare meccanicamente. Lo spettatore lo capisce se quel dolore non lo senti anche tu, laggiù nelle budella dove lo nascondi tutti i giorni della tua vita. Se non vuoi fare Un posto al sole, quel dolore improvvisato deve essere viscerale.
E le risate. È da tutta la vita che le cerco. Come un’aspirapolvere del divertimento che raccoglie gli acari dei cattivi pensieri e li trasforma in aria pulita con una singola e fragorosa sganasciata.
Così, interpretare sempre qualcuno di diverso mi sta aiutando a capire chi sono io. E per quelle tre ore a settimana io sì, beccatevi questa, sono felice.
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“It doesn’t have to make sense.”
A volte bisogna soltanto dare un po’ più di spazio alla spontaneità. Non sono una persona che la fa facile, o che prende decisioni a cuor leggero, ma arriva il momento in cui ti rendi conto che quello che ti piace fare non deve avere per forza senso.
Che a cercare sempre il senso delle cose, il tempo passa.
Che gli altri sì, sono dalla tua parte, ma è sempre bene cercarle un po’ da soli le risposte.
Che a sperare che tutti condividano le tue idee, le cambierai.
Che a far combaciare i programmi, spesso salta tutto.
Diverse persone mi hanno chiesto quale fosse il motivo di questo viaggio, ma la verità è che non esiste. Come per ogni decisione, c’è sicuramente del vissuto, ci sono dei sentimenti e delle idee, ma questi fanno parte della sfera personale. Per il resto, solo una serie di coincidenze: il fatto che io ora abbia tutto il tempo del mondo, che sia riuscito a mettere da parte un po’ di soldi, che sia stato capace di trovare offerte, sconti e bonus, questi sono gli unici motivi.
E probabilmente volevo provare l’ebbrezza di assecondare i pensieri un po’ a ruota libera, che -come vedrete- sarà la forza motrice di tutto questo viaggio.
Devo ringraziare le persone che mi hanno insegnato questa cultura del “Why not?”, che non vuol dire accettare ogni proposta senza pensarci due volte, prendersi rischi inutilmente o fare da parte i sentimenti per potersi divertire. Vuol dire semplicemente che se non trovi un buon motivo per non farlo, probabilmente faresti meglio a farlo.
E sia chiaro che questa deve essere una lotta con se stessi: non dico di farsi convincere ad agire controvoglia, o che non ci siano buoni motivi per rinunciare a qualche cosa, perché i buoni motivi esistono.
Ma dicevo, se non trovi un buon motivo per non farlo, probabilmente faresti meglio a farlo.
C’è una frase che avevo letto un po’ di tempo fa in un travel blog: “It doesn’t have to make sense or seem like a good idea”.
La prima volta che ho applicato questo motto è stato circa sei mesi fa. Avevo trovato un’offerta con Flixbus, per cui potevo acquistare qualsiasi viaggio di andata e ritorno a 20€. Così pensai di andare a Roma in bus, viaggiando tutta la notte. In molti mi fecero notare che non aveva tanto senso, ché a volte anche i treni costano poco e sono molto più veloci. In effetti non aveva senso, eppure quel weekend sono stato a Roma. In bus. Viaggiando tutta la notte.
Non avendo super poteri, quella notte non ho dormito bene. A dirla tutta, mi è servito di lezione per le volte successive: bastano pochi accorgimenti – vedrete più avanti – per riuscire a chiudere occhio, almeno a intermittenza.
Detto questo, quella notte non ho dormito bene. Ma non è nemmeno vero che avrei preferito dormire in un cinque stelle. È una cosa strana, difficile da descrivere. Probabilmente quando sei su un sedile scomodo, ti rigiri continuamente, la testa ti cade, hai male al collo e alle gambe, ti svegli ogni venti minuti, se ti fosse proposto in cambio un hotel, accetteresti volentieri. Ma nel tempo, il ricordo di quell’esperienza viene smussato, fino a diventare quasi dolce. Tant’è che qualche mese dopo ti ritrovi a prenotare di nuovo un viaggio notturno in bus.
Ad ogni modo, sono arrivato al mattino alla stazione e ho passato venti minuti nei bagni pubblici per cambiarmi, lavarmi e rendermi presentabile, per quanto possibile. Ho poi visitato la città tutto il giorno, quasi senza intoppi. Non manco di dire che alla sera sono crollato senza fare cena. Ma preferivo crollare senza cena a Roma, piuttosto che dormire sonni tranquilli a casa.
Scusate la digressione sul mio weekend a Roma.
E così, tornando invece al nostro viaggio, aveva senso comprare dei voli senza conoscere assolutamente la destinazione? E aveva senso visitare delle città perché dalle foto su Instagram sembravano carine? Bah, forse è meglio una meta ben collaudata, come Londra o Parigi!
Io, invece, a Londra e Parigi non sono mai stato. Non perché non mi ispirino, ma perché sto seguendo una mia filosofia di viaggio, di cui parlerò in un articolo dedicato. Non sono mai stato a Parigi, ma in questo tour sono stato a Varsavia, la cosiddetta “Parigi del Nord“, e a Budapest – la “Parigi dell’Est“.
E aveva senso visitare una serie di città solo per il gusto di varcare tre confini in tre giorni? Ma no! Passerai più tempo in bus che altro!
E visitare la Romania per il gusto di utilizzare l’ennesima moneta diversa? Che seccatura cambiare valuta! Poi ti fregano sempre sul cambio!
Tutto vero. Probabilmente nessuna di queste cose aveva senso, ma non c’erano motivi per non farle.
Se fossi stato a casa, per me ci sarebbe qualcosa di lasciato in sospeso, quindi, ad oggi, posso dire di aver scelto la soluzione più conveniente.
PAOLO URGESI
Se siete arrivati fino a qui, posso permettermi di sprecare ancora due parole per ringraziarvi. Grazie per aver letto il mio primo articolo! Ho appena iniziato questo blog, ma se vi sta piacendo continuate a seguirmi! Ogni volta che pubblico qualcosa lo comunico su Instagram. Potete anche iscrivervi, nel caso vogliate ricevere automaticamente gli aggiornamenti! A presto!
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08 giugno 2019
Avete presenti tutti gli impegni di cui vi ho raccontato nello scorso post? Ecco.
AH-HA guess who has just passed a shitty day. Okay, in realtà probabilmente sarebbe potuto andare molto molto peggio. Tipo, in questo momento sarei potuta essere DAVVERO quella festa alla quale sarei dovuta andare. Cioè, dovevo fare una cosa figa per una performance, ma la realtà è ne avevo voglia zero e sarei andata solo per non perdere gli “agganci” con queste persone. Si dà il caso però che l’altra ragazza che avrebbe dovuto lavorare con me “in coppia” abbia dato buca, e che quindi io come scenografia vivente da sola risultassi inutile. Dunque eccomi qua, a bere tè e riflettere sui perché della vita.
Il Florence Fun and Japan? Un mezzo incubo. Non per la fiera in sé, chiariamoci: anche se era piccolissima non si poteva dire facesse schifo (oddio, insomma). Il problema è stato, come al solito, con le altre persone. Essendo una fiera molto piccola non mi interessava in realtà molto per la fiera in sé, quanto perché due ragazze di Arezzo che ho conosciuto tramite il cosplay ci sarebbero andate ed avrei così potuto rivederle. Il problema? Il fatto che una delle due si fosse portata dietro altre sei persone. Che, per carità, erano persone carinissime... ma non è il tipo di situazione che riesco a tollerare. Non riuscivo a sentirmi inclusa, e per quando con Jodie (questa ragazza) io sia stata bene non riuscivo a sentirmi a mio agio. Fossimo state solo io e lei sarebbe stato top, ma così... parlavano di personaggi che non conosco, ship che non conosco. E non è che questo sia malvagio in sé, se solo io fossi la persona che riesce ad interessarsi e chiedere ad esempio di farsi raccontare un determinato manga/anime.
Ma non sono quel tipo di persona. Sono il tipo di persona che in queste situazioni si sente montare l’ansia e si chiude a riccio, quel tipo di persona che vorrebbe essere da tutt’altra parte e che inizia a pensare a dei modi per fuggire che non risultino maleducati. E mi è dispiaciuto un sacco per Felix, che è arrivata invece verso le 14, perché stavo già talmente male che nell’arco di quaranta minuti ho inventato che mio fratello era rimasto chiuso fuori casa e dovevo andare a portargli le chiavi (casa mia sta ad un’ora e mezza dal posto in cui ero, geniale proprio come scusa direi). Inoltre anche lei era con una sua amica, ed io davvero non ce la potevo fare. Non era un semplice disagio, stavo proprio male.
(continua)
Morale della storia: sono andata via un’ora prima. Per fortuna questo non mi ha impedito di passare del tempo con un fotografo che mi ha tipo accalappiata per farmi delle foto in cosplay, e siamo andati in giro per il parco a fare qualche scatto. Posare per le foto è una delle cose che mi piace di più, anche se mi rendo conto che può farmi suonare abbastanza egocentrica e narcisista. Chi mi segue da un po’ sa che sono tutto fuorché quello... però è oggettivo: mi fa sentire bene. Ho provato qualche volta a contattare qualche agenzia per modelle, ma ho sempre beccato fregature che finivano per chiederti dei soldi e non era quello che un’agenzia seria fa. Poi, con l’accademia, ho smesso del tutto di avere tempo e soldi per dedicarmi a questa ricerca. Però se ho un bel cosplay, ecco, non mi dispiace affatto mettermi davanti all’obiettivo. In realtà anche questo potrebbe essere semplicemente un modo per sentirmi apprezzata, ma se vogliamo vedere tutto in un’ottica malata allora finiamo per essere mia madre.
Felix è veramente un tesoro, e tengo tantissimo a lei. Sa del mio problema, perché gliene ho parlato tempo fa in non mi ricordo quale contesto. Anche lei mi ha rivelato un suo segreto: è affetta da alopecia. Questo non mi impedisce di pensare che, nonostante indossi costantemente una parrucca, sia una delle ragazze più belle che io abbia mai visto. Tutti voi che leggete e che avete qualche malattia come vitiligine, alopecia o simili... sappiate che questo non inficia la vostra bellezza. Solo perché qualcosa in voi vi differenzia dallo stereotipo di bellezza socioculturalmente determinato odierno non significa che non possiate essere belle lo stesso. Non posso sapere cosa si provi, ma posso dirvi da osservatrice esterna che se ti interessa conoscere una persona, questi dettagli possono essere anche visibilissimi ma semplicemente smetti di vederli come strani. L’altra persona è solo una persona a cui tieni, punto. Anzi, una persona che puoi anche ritenere molto bella, come Felix per me.
Tornando a me (wow, quanta importanza che mi do), le prossime settimane saranno abbastanza un incubo. Un incubo in positivo ma un incubo, soprattutto nelle prime settimane di luglio.
Mercoledì avrò una lezione aggiuntiva in accademia (e, prima, la visita dal mio psichiatra, yolo). Giovedì avrò l’incontro con una dei tutor della scuola di lingua alla quale mi sono iscritta (e, prima, la visita dalla mia psicologa, yolo). Inoltre ai miei per ora nemmeno ho detto di essermi iscritta. Sono restata sul vago, dicendo che “ci sto riflettendo ma devo valutare alcuni fattori”.
La settimana dopo ho le prove e le riprese di un corto che ho scritto per l’accademia, cosa che fa parte del nostro programma di studi. L'ultimo fine settimana di giugno avrò sia il concerto della mia scuola di musica sia il Chimera Comix ad Arezzo... e poi inizia la parte divertente.
La prima settimana di luglio avrò non solo il workshop in accademia da martedì a venerdì (dalle 10 alle 15 -> sveglia presto tutte le mattine per prendere il treno delle sette e mezza), ma quasi tutti i giorni ci saranno anche le prove e/o le riprese di altri corti (non scritti da me, ma ai quali partecipo come attrice).
Il 6 luglio avrò le riprese di alcune scene della serie che inizieremo a girare con la mia accademia. Una serie professionale, non una cazzata da studenti. Per il momento non vi posso dire molto, ma è ispirato ad un mondo magico ed io sarò la bad girl della situazione (a meno che non decidano di stravolgermi l’arc del personaggio nel corso delle varie puntate). Le riprese inizierebbero alle 9, questo vuol dire che per forza di cose venerdì dovrò fermarmi a dormire a Firenze poiché altrimenti non riuscirei mai ad arrivare in orario... e su un set serio o arrivi in orario o ti cazziano male (se ti va bene, altrimenti ti sostituiscono).
La settimana dopo avrò nuovamente il workshop da lunedì a venerdì... e probabilmente venerdì stesso, senza passare da casa, prenderò il treno e salirò a Novara per il fine settimana. Si tratta di un progetto lavorativo MOLTO importante, del quale però al momento non posso svelare niente. Non manca molto al giorno in cui potrò farlo, ma sono tenuta per contratto a tenere la bocca chiusa. Sappiate solo che è un progetto per il quale sono veramente emozionatissima.
After that l’impegno successivo è il Rimini Comix, al quale andrò da venerdì a domenica (andando via probabilmente domenica mattina). Porterò il cosplay di Nancy della terza stagione di Stranger Things, e non vedo l’ora. Sarò assieme ad un cosplayer abbastanza famoso, che già a Lucca Comics mi ha fatto da Mike. Lui è davvero una personcina preziosissima, e spero tanto di non stare una merda come è successo oggi.
Se ci si fa, il weekend dopo si va alla Festa dell’Unicorno a Vinci. Ed agosto, beh... ciò che farò ad agosto fa parte della big surprise.
Insomma, molti leggendo potranno dire ODDIO CHE FIGATA DI VITA CHE HAI ma AHAHAHAHAHAHAHA magari. Vi ho detto che sarebbe stato un inferno paradisiaco/paradiso infernale, no?
Immaginate una ragazza che soffre patologicamente di ansia. E non “perché lo pensa”, ma perché le sono state diagnosticate ansia e depressione. Mettete questa ragazza in una situazione in cui deve programmare ogni cosa con giorni, se non settimane, di anticipo; una situazione dove potenzialmente ogni cosa potrebbe cambiare e sfuggire dal suo controllo, dove ci sono giorni in cui nemmeno lei sa come farà e programmi che la entusiasmano e terrorizzano allo stesso tempo. Ponetele ora addosso, oltre a tutto, un disturbo alimentare che la limita in qualunque situazione sociale e che talvolta la manda fuori di testa. Un disturbo alimentare prepotentemente radicato, con cui la ragazza è in continuo combattimento ma che non riesce mai a debellare perché lei stessa ha paura che esso se ne vada.
Vi sembra sempre una figata? Perché ammetto che tutte queste bellissime cose mi fanno anche paura. Inoltre ci sono eventi della mia vita “personale” che nemmeno oggi ho scritto (un ragazzo conosciuto mesi fa che si è rivelato un cretino e che si sta rivelando sempre più cretino, quello che la mia psicologa mi ha detto l’ultima volta, varie ed eventuali). Cercherò di scriverlo domani, dato che non ho particolari programmi per la giornata... ed indovinate un po? Pure questo mi mette ansia, perché passare un intero giorno con i miei è una sorta di incubo. Non scordiamoci oltretutto che mia mamma mi ha preannunciato di volermi parlare, frase che mi fa venire voglia di scappare nei boschi ed unirmi ad una famiglia di volpi con cui passare il resto della mia esistenza.
Bene ma non benissimo.
Chiedo perdono se è un po’ lungo. Dato che a quest’ora la maggior parte delle persone normali sono a fare bisboccia (compreso mio fratello, che di anni ne ha cinque meno di me) posterò questa pagina di diario sia adesso che, rebloggata, domani mattina.
Dunque sweet dreams, oppure sweet morning.
Ed ogni volta che ne avrete bisogno, rileggetevi il paragrafo in cui parlo di Felix.
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Che posso dirti? non so nemmeno se mi leggerai, non hai nemmeno risposto su whatsapp ma mi va di farlo anche se non sono cose belle
Diciamo che “Non ce la faccio, non voglio più esistere e non voglio più niente” è stato l’unico pensiero 24/24h in questi giorni e nessuno è in grado di capire quanto sia doloroso vivere quando arrivi a desiderare VERAMENTE solo questo strafregandoti anche di tua madre e tuo padre che si disperano fuori la porta della tua camera chiusa, perchè non hai più un briciolo di energia per fare niente nemmeno di sentirti in colpa. Vuoi solo la pace e non sentire più niente.
La settimana scorsa ho fatto un solo pasto al giorno perchè non avevo forze, questa settimana nessuno, un po’ perchè non ho nessuna voglia ed energia, un po’ perchè forse è l’unico modo per andarmene anche se lungo. Non sono capace di lasciarmi morire in altri modi purtroppo per me, ci ho pensato a come, ci ho provato e non ci riesco nonostante in quel momento sia tutto ciò che voglio. Mi sento sola mi sento inutile e invisibile e mai abbastanza nonostante tutto quello che ho sempre cercato di fare di buono in tutto, di sforzarmi anche quando non ce la faccio, e perchè non ho nessuno su cui contare nella mia vita a parte loro.. che comunque (che io mi sforzi o meno) non fanno niente per creare un ambiente tranquillo in casa, è sempre un inferno, però poi sono io che quando sbrocco sono pazza. Nessuno considera che il peso che porto è diventato troppo grande che non ce la faccio a sforzarmi di stare bene solo perché ci sono loro e gliel’ho detto. Gliel’ho detto che quando loro non ci saranno più io non avrò niente e non ce la farò mai perchè è la verità. Non ho una famiglia, dei fratelli o dei cugini o delle persone che si dimostrano amiche e mi spiace ma non sono io che non l’ho voluto. Io so che è così che ce l’ho sempre messa tutta.
Ho messo via il telefono in un cassetto di un armadio per non prenderlo e non vedere e sentire più niente, pure le cose sui social di sconosciuti non volevo guardare. E così mi sono chiusa in camera per uscire solo una volta durante il giorno per andare in bagno che tanto basta, nemmeno bevo granché e poi la notte quando loro dormono per lavarmi. Mi sono presa le gocce anche quando non avevo l’ansia pur di dormire il più possibile, ma ogni volta che mi sono risvegliata era uno schifo e non si può nemmeno descrivere, ogni volta che mi sveglio è uno schifo indescrivibile.
Sono venuti anche i miei zii più volte e ho sentito dire cose allucinanti con i miei e dai miei che mi hanno solo fatto capire ancora di più quanto nessuno abbia mai capito un cazzo di me. Mi sono dovuta sentire paragonare a quegli stronzi dei miei cugini che sono solo degli sfruttatori ingrati e presuntuosi, per cui i genitori sono sempre stati buoni solo per spennarli e che a più di 40 anni che tengono stanno ancora a fare i capricci.
Ho preso il telefono perché mi serviva (dopo spiego perché) e non perché mi aspettassi qualcosa, posso giurarlo che non mi interessava proprio NIENTE e anzi mi sono addirittura sorpresa sorpresa quando ho trovato 3 notifiche: Un tuo messaggio.. si vabbè per la lezione ovvimente (che sono sincera mi ha fatto anche spuntare un sorriso, perché io ti amo sempre, mica ho smesso solo perché voglio morire? e vederlo mi da comunque una gioia, ma purtroppo devo anche considerare che non era un messaggio di interesse ed è il messaggio di una persona che sceglie comunque di non farsi sentire mai, che ha deciso di andarsene, ha deciso che sono comunque meno di tutti gli altri, come fanno sempre tutti, compresi i miei genitori ma tranquilla non è una colpa e non sono sarcastica è solo una scelta), poi una chiamata di Sara (che mi sa di finto boh perché avrebbe avuto tanti momenti per chiedere come stessi e non lo ha mai fatto da quando sa della situazione, nemmeno quando le scrivevo io per risponderle a qualche cosa nelle storie e cose così, giusto perché non provo mai a fare niente io eh?) e infine il messaggio di una ragazza che abita nel mio parco che mi chiede di un lavoro. Bello vero? Guarda un po’ che cosa ho seminato in tutta la mia vita in cui pensavo di essere stata buona, a cercare di costruire rapporti, di esserci sempre stata per tutti con gioia e con quello che sentivo di fare io certo, ma ritrovarmi fondamentalmente il niente specie quando a stare male ci sono io, anzi appena sto più male del solito scappano tutti via. Guarda un po’. Ma vabbè pace.
Ho preso il telefono perché ho sentito di farlo e perchè mi sono ricordata di aver appeso la dottoressa e di doverle parlare almeno per scusarmi e spiegarle la situazione e dirle che non me la sento di fare più nulla, perché i miei sforzi sono sempre inutili, le ho detto tutta la verità come ho sempre fatto, che non voglio più niente, che non sto mangiando, che non voglio sentire nessuno (vabbe come se poi qualcuno volesse farlo veramente) e non me ne importa niente di niente, che sono stanca distrutta che ci ho provato a sforzarmi a farmi forza da sola ma non mi sento bene e quindi non mi interessa, come non mi interessa se mia mamma si sbatte piange e non vuole mangiare più nemmeno lei! e gliel’ho detto anche in faccia.. sono stronza? NO mi dispiace sono PIENA, piena di dare sempre e soltanto io e nessuno che si accorge di cosa avrei un po’ bisogno io e sia disposto a darmelo. Perchè io sto male da morire, da desiderare di non volermi svegliare più e quindi non ce la faccio a sforzarmi di fingere di stare bene e fare le cose che ci si aspetta se nemmeno per me stessa più lo voglio. Non ce la faccio più.
Cosa mi ha detto la dottoressa? Mi ha ascoltato e ha detto che va bene così.. che sto provando un dolore troppo forte e un peso troppo grande e lo capisce.. che se mi sento che non ce la faccio a combattere o a sforzarmi di fare per forza le cose per reagire non devo per forza farlo, che se non ce la faccio a mangiare o non voglio okay non mangio posso non farlo, perchè se mi sento di fare così è giusto che ascolti i miei desideri e agisca per quello che voglio io e sento di fare io, non perché debba pensare agli altri (tipo farlo per i miei genitori), anche se sono cose non belle se io sento il bisogno di toccare quello, se il mio corpo e la mia mente vuole quello è giusto che io ci stia in quello. Sembra assurdo vero? una pazza questa.. eppure...
So solo che quando ho smesso di parlare con lei anche se in quel momento le ho detto che continuavo ovviamente a sentirmi in quel modo e a non desiderare proprio niente di niente se non di non esistere, poco dopo sono andata a mangiare qualcosa in cucina, dopo 5 giorni (perché è da Domenica che non lo faccio) solo perché ascoltando me stessa in quel momento lo volevo.
E credo sia stato perchè semplicemente mi sia sentita capita e non mi sia sentita andare contro anche se le cose che ho detto non sono belle o quelle di una persona forte. Non mi ha giudicata e non ha avuto da ridire e non mi sono sentita sbagliata in quello che sto facendo perché semplicemente il mio dolore in quel momento è stato capito e probabilmente è questo ciò di cui anche io ho bisogno. Oltre che alla felicità che provo nel farlo per gli altri (che la provo veramente), ne ho bisogno anche io a volte. Non si può soltanto dare, non basta a nessuno e queste poi sono le conseguenze.
Ho mangiato stavolta, ma non ho smesso di pensare a quelle cose di prima, di desiderarle, perché di certo non è cambiato nulla e lei resta una persona che pago profumatamente per farmi sentire “accettata”. E questo per me è sempre una sconfitta.
Ho solo capito per l’ennesima volta quanto basti poco per una come me, quanto il mio problema sia solo dovuto al fatto che io abbia solo bisogno di sentirmi amata e apprezzata per quella che sono, ma che nessuno è e sarà mai disposto o si sentirà mai di farlo veramente (e non è vittimismo perché è la realtà dei fatti) e va bene così non importa sul serio perché io sono stanca stanca stanca con i dolori da tutte le parti dentro e fuori che non ce la faccio veramente più a combattere sempre io da sola per il nulla veramente non ce la faccio più . E arrabbiarsi con me appunto non serve a niente.
Ho pensato e non so se mi sbaglio.. che sei stata l’unica nonostante la situazione forse a “preoccuparsi” in qualche modo di me probabilmente non avendomi visto contattarti per la lezione e mi avrai fatto chiamare tu da Sara (boh perché dubito le interessi altrimenti avrebbe avuto occasioni prima), ma se hai veramente questo pensiero perché non ci parli tu con me? se hai voglia di chiedermi come sto perché non lo fai? se è una cosa che senti perché devi pensare sia sbagliata da fare? perchè stai con una persona che non sa campare con gli altri e quindi solo perché a lei non andrebbe bene non si fa? lei pensa solo a se stessa, e quindi le cose si possono fare o non fare solo se partono dalla sua decisione: se lei decide che puoi scrivere mi scrivi, se lei decide che posso stare in un posto posso starci, sennò guai se solo mi rivolgi parola o passi un po’ più di tempo con me, e questo succede anche con le tue amiche o se vuoi vedere qualcun altro, anche se tu vuoi mettere i paraocchi e dire di no, lei ti da il permesso di starci e sentirle perché lo decide lei, ma quando non le gira è: “se vuoi loro o quella cosa io non ci sono” ma tu questo fai finta che non sia vero perché tanto quando ti da la concessione la maggior parte delle volte tu pensi che lo stia facendo perché è corretta o cambiata (inventandoti che poi il problema sono solo io) e non perché è semplicemente ciò che sta bene in quel momento solo e soltanto a se stessa. E quindi se lei vuole così si fa così sennò no.. senza mettersi a replicare nemmeno! per non fare discussioni. Così se non ci sono discussioni significa che la storia sta andando bene ♡ che qualcosa è cambiato vero?
Mi dispiace molto perchè tu non sei questo e meriti molto di più e potresti averlo veramente (parlo anche a prescindere da me). E solo perchè hai conosciuto sempre solo questo tipo di modo di fare nelle relazioni (e non intendo solo le tue ma anche di quello che hai visto intorno a te fin da piccola) non vuol dire che sia l’unico modo che esista. E quello che hai potuto conoscere un po’ nell’esperienza con me, non è una favola irreale in cui sei entrata così tanto per sognare un po’ e poi tornare alla realtà, quello esiste. Nella realtà esistono quelle relazioni fatte in quel modo, sono speciali ed esistono quando trovi la tua persona al mondo. E credimi tu non meriti nulla di meno di qualcosa così per quello che hai vissuto che sei stata e che sei. E sei talmente speciale che non ci metteresti niente a farti amare veramente dalla persona giusta per quella che sei. Tu riesci a farti amare da tutti Cinzia, tu hai veramente una calamita per le persone quando riesci ad essere completamente te stessa, senza condizionamenti. Ma credimi Federica non ti ama, e non ti ha mai amato veramente anche se ti sembra che io stia dicendo assurdità, lei ha voluto cambiarti fin dall’inizio, non le piace tutto quello che fa parte della te più autentica, e tu pur di accontentare lei ti sei modificata a costo di farti molto male, arrivando a non sapere più chi sei veramente o cosa vuoi veramente nella vita (e lo hai detto tu eh). Quell’amore che credi che lei provi è amore per se stessa Cinzia e per quello che può prendere da te ad ogni sua occorrenza, quanto più può prendere e controllare perché tu glielo hai sempre permesso e lei AMA FOLLEMENTE questo: riuscire a fare di una persona o di più persone se riesce (perché lo fa anche nel rapporto con gli altri) quello che desidera lei in quel momento, sia anche fare una cosa che sembra carina da fare nei tuoi confronti.. è un inganno perché appena non può controllare o non va del tutto come nei suoi piani è la fine e non esiste dialogo, esiste solo l’obiettivo realizzato o meno. E se non è realizzato fai schifo. E comunque anche una volta completato l’obiettivo ne cerca un altro perchè non si ritrova soddisfatta.
Nessun insulto gratuito o gesto irrispettoso va sorpassato così a caso, mai per nessun motivo, solo per non creare una discussione, nessun pensiero che passa nella testa e volerlo esprimere va represso,nessuna voglia di fare qualcosa deve essere repressa solo al pensiero che possa esserci una discussione, perché ogni volta che non “crei una discussione” stai solo creando una finta pace fuori ma stai distruggendo un po’ alla volta te stessa dentro, e vedi un po’ da quanto tempo lo fai. Troppo.
So che in cuor tuo certe cose tu le sai anche se non le vuoi vedere o vuoi continuare a sceglierle nonostante tutto e okay, ma da persona che ti ama tanto e ha a cuore veramente la tua felicità e il tuo sorriso più vero, spero che tu un giorno, prima che puoi, possa capire e scegliere qualcosa di diverso.. perchè meriti di ritrovare chi sei e attirare chi ti accetta e ama proprio per quello e non voglia cambiare NIENTE di te. Tu hai tutte le possibilità, sei troppo speciale e non si può non avere voglia di amarti per quella che sei se si è simili a te. Solo chi non lo è non può capirlo, ma credimi sono molte di più quelle che riescono. Devi solo essere te stessa. Devi smetterla di pensare che non sei niente di che e dover adattarti tu agli altri, perché tu sei meravigliosa e meriti intorno chi ti ricordi sempre che sei così, non solo quando conviene, e non sai da quante persone puoi prenderlo veramente ed essere apprezzata veramente per quello che dai e che sei.
Okay credo di aver messo tutte le energie che avevo per scrivere questo e chissà poi se mai lo leggerai ma okay era quello che sentivo avere la forza di fare e l’ho fatto..
io.. te l’ho detto come sto ed è la verità, so che magari non può essere compreso, e che non lo accetti, ma per quello che vivo e ho vissuto, nella situazione in cui mi trovo, non posso sentirmi diversamente da così, questo è l’unico modo che ho, non ne ho un altro perché il pensare di farmi forza da sola a tutti i costi per “stare bene” che bene poi non sto, perché le situazioni non cambiano e le cose che mi entusiasmano o emozionano vengono pur sempre spente, mi porta a stare solo peggio.. e in questo momento non riesco a sopportare nessun tipo di fatica o dolore perché già ne provo troppo a stare immobile nel letto e perché lo sto incassando da troppo tempo e su tutti i fronti.. per me è così è difficile.. finché non ci si sta dentro non si capisce
vorrei sapessi che ti penso comunque tantissimo continuamente e anche se non conta io ti amo, sempre.
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LP - Life is a journey pt. 3
Intervista Meltingpot 2017 di Petr Vizina (giornalista e batterista)
Hai mai avuto una canzone che ha cambiato il modo in senso profondo di guardare la realtà, sulle relazioni, sul sesso o il mondo? Hai una canzone che ascolti più e più volte, che ti ha cambiata?
Ahm...sai…
O anche un libro se vuoi...
Un libro? Ho letto il libro di James Baldwin “Another Country” [in Italia col titolo: “Un altro mondo”] e in un certo modo ha cambiato il modo di pensare su un sacco di cose, mi sento di essere cresciuta in un mondo che “non accettava molto”…
Puoi essere più specifica per noi?
Oh, mio padre aveva amici di ogni tipo, ma penso che avesse la sua opinione sul razzismo ed il sessismo…
Lo percepivi?
Sì immagino che stesse cercando di perpetuarlo attraverso di me ed io mi sentivo di dover combattere contro queste cose. Penso che gli artisti di cui ho letto i libri e gli artisti che ascoltavo hanno sicuramente cambiato sia questo tipo di cose per me, sia il riuscire ad esporre me stessa. Persino la scelta di ascoltare la black music e non ero per niente cresciuta con nessun tipo di black music in casa mia. Tutto si incentrava principalmente sui bianchi mentre quando ho scoperto l’origine di un sacco di musica americana ero tipo: “Ah!” felice di aver scoperto…
Come il Soul…
Esatto, ho decisamente allargato la mia visione del mondo e ho anche cambiato il modo in cui vedevo le persone. Sai, si cresce con il punto di vista dei propri genitori e credo che la musica abbia decisamente ampliato la mia visione del mondo, grazie a Dio!
Ti ho visto suonare al Roxy con la band e mi chiedevo se ti vedi più come solista, una donna con la chitarra e una compagnia di persone intorno oppure con una band, sai, c’è una cosa buffa sulle band, perché passi la maggior parte del tempo in un bus o sull’aereo, dipende se sei Bob Dylan oppure qualche altra band...Cosa ne pensi?
Ho sempre desiderato una band, ho sempre ammirato così tante band, come i Rolling Stones, continuo a guardare qualsiasi cosa che trovo su di loro, li amo veramente. Mi piacerebbe trovare lo stesso per me ma devo dire, per una cantante donna, non è così facile avere una band.
Dai…
Si perché sento che quando la band è di un ragazzo, si pensa di più a “un mucchio di ragazzi ed intorno un sacco di ragazze” mentre quando la cantante è una donna, è una band con una cantante.Ora mi trovo bene con la mia band, sono i miei compagni ed amo stare insieme a loro, ma se guardo indietro posso dire che non è stato facile. In passato ho avuto ogni tipo di problema anche quando ero sotto contratto con le major, finivo per scrivere pezzi che poi andavano ad altri produttori.
Giusto.
Quindi solo questo, è stato il mio percorso, ora la mia fidanzata ha una band e con la sua chitarrista il legame è solido. Loro stanno firmando un contratto insieme ed io le ho detto: “Se per te è ok, buona fortuna vai!” [RIDE]. Perché’ è dura. Se vai a vedere nella storia della musica, se leggi di alcune band, sembra che alcuni componenti hanno dato più dispiaceri degli amanti…
E’ vero, pensando ad una band di donne mi viene in mente k.d. Lang.
Mm?
Lei aveva una buona band, oppure Sonic Youth aveva una bassista.
Sì
Ma solitamente vedi la cantante donna e i ragazzi attorno a lei, non vedi proprio una band…
Sì e poi ci sono band tipo, per parlare dei Fleetwood Mac quando leggi la loro storia… Hai letto la loro storia? Su tutte le relazioni all’interno della band?
All’interno della band?
Sì
Quindi, dici, hai i fans, hai persone che ti amano ovunque guardi ed invece…
Sì, hai presente Stevie Nicks e il suo chitarrista…non mi viene il nome...
Il chitarrista dei Fleetwood Mac? [CHIEDE AL PUBBLICO]
Si..
Voce fuori campo: Lindsey Buckingham
Lindsay Buckingham, Gesù, ecco! Loro sono stati messi nei Fleetwood Mac come coppia, erano una coppia quando sono entrati nella band e poi, sai, le cose erano veramente difficili, lui era stufo di sfornare canzoni di Stevie Nicks e poi Stevie ha iniziato a fare casino col batterista che era Fleetwood, Mick Fleetwood, o una cosa del genere. Storie interminabili… e poi la donna che suonava il piano, Kristie…ehm…Gesù…OK [RIDE PERCHE’ NON RICORDA E INDICA IL PUBBLICO PER AVERE LA RISPOSTA COME PRIMA]
Tu sei l’uomo Fleetwood Mac [RIFERENDOSI A CHI HA AIUTATO A RICORDARE I NOMI]
Lei stava col bassista, erano una coppia ed è piuttosto strano in una band. Sei in viaggio tutto il tempo…ecco perché ho solo uomini attorno! “Niente donne nella band per me, mai! Sto scherzando… beh, più o meno…
Qual è la routine quotidiana di LP? Intendo quando viaggi, che cosa fai? Scrivi o fai qualcosa regolarmente?
Solitamente mi sento abbastanza creativa di mattina, raccolgo l’ispirazione dalle ore di sonno, ma non sono un tipo troppo salutista (e infatti sono qui a bere birra!).
E’ molto salutare comunque.
Esatto! E poi la birra ceca, oh mio Dio, la migliore!
Buona per la tua salute!
Poi faccio un po’ di Yoga, è la mia gioia, senza non sarei qui seduta a parlare, è incredibile. È una delle cose migliori che abbia potuto fare per me a livello fisico. Poi mi bevo una birra e inizio gli esercizi per riscaldare la voce… [RIDE]
Oh sì, Rock and Roll!...Sei una persona alla quale si può parlare di mattino presto oppure no?
Ah, in genere mi sveglio abbastanza carica, verso…
Verso le 7, 8?
Verso le 8? Sei matto? Se sono da sola quando sono in tour, se non devo alzarmi non mi sveglio fino a mezzogiorno, ma quando sono a casa, ora ho questo piccolo adorabile cane che mi aspetta…
Porti a spasso il cane la mattina?
Sì, è la prima cosa che faccio.
Capisco, ed è la prima cosa che fai?
Sì, so che non stavamo parlando di quando sono a casa, ma sì…
E tornando a quando scrivi canzoni, devi stare tranquilla e da sola per stare concentrata sulle cose che fai? Come fai?
Al contrario, quando creo non lo faccio nella tranquillità.
No?
No, di solito scrivo nel bel mezzo del caos, spesso mi metto a scrivere sul cellulare oppure butto giù robe velocemente, ma essendo una compositrice, mi piacciono anche le strutture. Organizzo del tempo in studio e lo porto a termine e quel giorno non devo sentirmi necessariamente creativa, lo faccio e basta. Non mi metto a pensare “Vado in studio, sono pronta sono ispirata! Al contrario, di solito mi sento tipo “Cavolo, vorrei tanto mandare tutto a quel paese e non fare niente [RIDE]” e poi “No, spiacente, abbiamo lo studio!” e [IMITA NOIA] “Oooh, OK”. E poi ci vado e succede qualcosa di meraviglioso e mi dico “per fortuna che ci sono andata!”. Ecco perché anche quando sono molto vicina a cancellare la sessione in studio mi dico: “Sì, forse dovrei andarci”. Sai, Tightrope è stata proprio la canzone che quel giorno non mi sentivo di scrivere ed invece… io lo chiamo “scrivere su me stessa vedendola da fuori” e sono tipo [IMITA VOCE E SCRITTURA]: “Oh, questa è fantastica, Ok, sì, sì, sì, questa è buona!” e intanto me ne sto andando [RIDE]. Avevo la sensazione di non essere tanto ispirata, beh non intendo che non lo fossi, solo non mi sentivo di scrivere ed invece, ritornando sulla canzone mi son detta “Mmh, questa mi piace veramente!”.
Ho cercato, in tutte le mie interviste qui, che cosa le persone possono imparare e tenere per sè. Mi chiedevo se con te poteva essere il mantra “sei ad una canzone di distanza dal successo”…
Sì.
Io penso che sia un’idea magnifica. Pensi che la possiamo usare anche se non siamo musicisti né compositori di canzoni? Possiamo applicare il metodo LP nelle nostre vite?
Certo, potrebbe suonare come un vecchio ritornello, ma devi continuare a provare. Se scrivi una canzone e diventa un successo, tutti poi ne vorrebbero un'altra: i fans la vogliono, i tuoi manager la vogliono, tu stesso la vorresti! Ma se scrivi una canzone e non diventa un successo, tutti comunque ne vorrebbero un’altra! [RIDE] Quindi, per me è una delle cose più grandi come compositrice e, credo pure nella vita. Le prime volte che ho iniziato a scrivere canzoni, mi dicevo: “Questa è quella giusta…è questa…è questa…no è questa…no assolutamente è questa!” Ora non penso più in questo modo perché ti crea costantemente delle aspettative e non sono mai una cosa buona…
Delusione, forse, sì?
Esatto, scrivi una canzone e sì pensi che sia buona. Nel momento in cui “Lost on you” è stata notata, probabilmente avevo già scritto altre 50 canzoni e non avevo nessun pensiero che quella avrebbe potuto essere una canzone che mi avrebbe fatto sedere qui. Quindi, la risposta per me è semplicemente “lavorare, ancora e ancora”.
C’è una canzone di Lou Reed che dice: “Lavoro, lavoro, ci vuole lavoro”. Quindi questo è per noi [RIVOLTO AL PUBBLICO]: continuare a lavorare senza farsi grosse aspettative e se succederà, un giorno succederà!
Sì, perché riesci a sentirti sempre bene. È molto difficile, siamo tutti esperti nel rimandare le cose, ma se penso a quando lavoro per 6 ore e ho scritto tutta questa roba che non va bene e poi all’improvviso arriva qualcosa di veramente buono, mi rendo conto che non ci sarei mai arrivata senza quelle 6 ore. E’ molto bello. È molto difficile ricordarlo, ma è la cosa più grande che io abbia mai visto per me.
Questa è una lezione pratica, grazie!
[RIDE] Sì.
Ora, tu suonerai stasera qui in Ostrava.
Sì...
Hai una lista solita di brani, già stabilita, oppure no?
Sì, per questo tour ne abbiamo 3 diverse.
Ok.
Perché ci permette di ottenere movimenti più fluidi durante i set…
Quindi, andate a vederla! [RIVOLTO AL PUBBLICO]
Sì, per favore, grazie tante per essere venuti.
Grazie tante.
Lo apprezzo molto, grazie [SALUTA], grazie.
youtube
Traduzione a cura di Sara Bonito e Cinzia Filipponi
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Incontriamo Samanta Leone
Chi è Samanta Leone? Una persona appassionata di disegno e fotografia, che nella vita ha sempre fatto di tutto pur di lavorare a stretto contatto nel campo dell arte. Prediligo la ritrattistica e lo stile realistico, soprattutto lavorando con il bianco e nero, ma ultimamente mi sono avvicinata al colore e da autodidatta sto imparando a dipingere a olio. Che mestiere fai? Sono una tatuatrice, e il genere che tratto è realistico in bianco e nero Da dove vieni? Sono nata a Roma, ma all'età di 25 anni mi sono trasferita ad Asti dove vivo attualmente. Come, quando e perché è iniziato il tuo amore per l'arte? Da piccola, avevo tre o quattro anni mi alzavo al mattino molto presto e chiedevo ai miei se potevo andare a disegnare. Direi che la mia passione per l'arte ce l'ho avuta subito. In famiglia ho diversi zii pittori, probabilmente è nel nostro dna :) Quando è cominciata quest’avventura? Il mio percorso è stato abbastanza tortuoso. Dopo il diploma di Grafico Pubblicitario, ho continuato gli studi specializzandomi nel campo del fumetto di genere Dark. Per circa 10 anni mi sono dedicata completamente al mondo dell'editoria, pubblicando fumetti miei in autoproduzione, il più famoso “Il cimitero dei bambini Addormentati” mi ha dato molte soddisfazioni. Ogni anno ero al Lucca Comics con il mio stand insieme al mio socio sceneggiatore a vendere e soprattutto disegnare davanti al pubblico, centinaia di sketch al giorno. Contemporaneamente in quegli anni lavoravo anche come copertinista per alcune case editrici, e grafica pubblicitaria. Sempre a cavallo con quel periodo intrapresi anche una breve avventura durata tre anni nel campo dei giocattoli: disegnavo peluche e realizzavo le scatole ed espositori dei giochi per bambini per una nota azienda astigiana. Nel 2013 ho definitivamente chiuso con editoria e fumetti ed ho affrontato un nuovo percorso artistico, quello del tatuaggio. Un mondo bellissimo, in cui ho la possibilità di lavorare sempre a idee nuove, rendendo felici persone che decidono di portare per sempre con se, sulla pelle, anche un pezzetto di me stessa.
night butterfly
La regina dei cervi
Donna lupo
Cattedrale
La bimba mangia corvi
Studio per tatuaggio
senza titolo
Adam Cosa hai studiato e dove? ho fatto la scuola di grafico pubblicitario e scuola del fumetto a Roma Cosa ti ha spinto ad entrare nel mondo dell'arte e a seguire studi artistici? La mia grande passione per il disegno, non ho altri motivi Come studente, qual è stata la lezione più importante che hai imparato? Sono nata in una famiglia con diversi zii pittori, e ce ne era uno in particolare che adoravo: dipingeva dei ritratti a olio impressionanti e io volevo diventare come lui. Non lo vedevo sempre perché non abitavamo vicino, ma quelle poche volte che ci veniva a trovare io cercavo sempre di prepararmi dei disegni da mostrargli per avere un suo parere. Avevo 10 anni e disegnai la classica mela con la pera a matita in bianco e nero, arrivò mio zio, gli mostrai il mio disegno e lui mi disse: molto bene Samanta, ora dammi la gomma da cancellare ... gli diedi la gomma e cominciò a cancellare tutta la linea di contorno dei due soggetti, poi mi guardò e disse "ricordati sempre che nella realtà la linea di contorno non esiste" magicamente il mio disegno cambió completamente aspetto. Direi che da lì mi si è aperto poi un mondo. Tornassi indietro avrei scelto liceo artistico, difatti nella scuola di grafica pubblicitaria purtroppo di arte se ne faceva ben poca. Come artista, cosa vuoi condividere con il mondo? Semplicemente la mia passione per l'arte Secondo te, da dove viene l'ispirazione? Dipende cosa provoca forti emozioni in te stesso. Ad esempio io adoro pazzamente le nuvole, e quando guido, ascolto la musica e guardo un cielo pieno di nuvole, si crea x me un mix perfetto x l'ispirazione Qual è l’elemento iniziale che innesca il processo creativo? E cosa ritieni sia più importante? Il concetto, l’idea espressa, o il risultato estetico e percettivo dell’opera? Difficile da dire. Perché non sempre l'idea iniziale coincide con il quadro finito. Durante il processo creativo l'idea è in continua evoluzione, l'importante per me è non porsi paletti (a patto che non ci siano delle direttive x qualche motivo), bisogna fare scorrere nelle vene il proprio estro creativo. Se si disegna con il cuore in mano si corre meno il rischio di concepire opere banali.
Notturno con nuvole
Samanta al lavoro
viaggio nella foschia sul cavalletto
viaggio nella foschia
nubi sulla prateria
Norreno
Salem
Teschio Quale fase dell'arte / creazione ti colpisce di più? Se ci penso bene la parte che mi esalta di più è quella centrale quando il disegno comincia a prendere veramente forma. Perché pittura ad olio? Cosa rende speciale questo mezzo per te? In realtà l'olio come il pastello, la china, il carboncino, sono tutti mezzi speciali per raccontare qualcosa al mondo.
E perché il tatuaggio? Sinceramente non avrei mai immaginato di fare la tatuatrice nella vita, avevo tutt'altro in mente, ma poi ... È difficile lavorare rimanendo in contatto l'arte, è un mestiere difficile ma dopo vari tentativi e fallimenti, ho trovato credo un lavoro che rispecchiava quello che più desideravo: disegnare. Quando sono andata alla mia prima convention di tatuaggi a Milano, è stato amore a prima vista: opere d'arte vere e proprie su tele umane attiravano il mio sguardo dovunque mi giravo. Una esplosione di colori, stili e generi così diversi, tutti in una volta sola non l'avevo mai vista in vita mia. Rimasi sbalordita! Fino ad allora per me un tatuaggio non era che un disegnino su pelle, Ma se hai la possibilità di visitare una convention di livello, entreresti in contatto con una realtà piena di veri artisti. Volevo assolutamente fare parte anche io di quel mondo. Così è cominciata la mia avventura. Sono oramai sei anni che tatuo, e mi sono specializzata nel campo del realismo in bianco e nero. È difficile discorrere d’arte senza parlare di s��. Quanto c’è della tua storia, dei tuoi ricordi, della tua vita intima, nelle opere che realizzi? In ogni opera che faccio c'è tanto di me, è la cosa che mi riesce meglio. Qual è l'importanza di trasmettere la conoscenza artistica alle nuove generazioni? Mio figlio ha due anni, e mi piacerebbe che l'arte facesse parte della sua vita, per se stesso, perché fare arte, essere creativi è una cura che da benessere. E aggiungo che ti fa diventare una persona semplice, ed è bello esserlo. Secondo te qual è la funzione sociale dell'Arte? L'arte è un mezzo di comunicazione come la scrittura, solo che è molto più diretta e arriva più velocemente a tutti, quindi è socialmente un mezzo importante per dire qualsiasi cosa. Usatela bene! Cosa dicono le tue opere? Quali messaggi vogliono comunicare? Non ci sono messaggi in particolare che voglio trasmettere, disegno e dipingo quello che più mi affascina, e quando ricevo complimenti so di aver emozionato qualcuno, e questo mi rende felice.
Quale messaggio personale vorresti lasciarci? Ti ringrazio Alessandro per questa intervista, mi fa piacere condividere la mia storia con chi è curioso di leggerla, magari potrei fornire uno spunto di riflessione e magari una spinta per continuare a inseguire i propri sogni. Grazie Samanta Read the full article
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L’anno scolastico è appena iniziato e Josephine si sta ancora abituando all’idea di gestire una classe tutta sua. È passata soltanto qualche settimana ed è già colma di compiti in classe da correggere, per non parlare di tutto il tempo che richiede il preparare ogni singola lezione per filo e per segno. È un lavoro impegnativo e per molti il gioco non varrebbe la candela. Ma per Josephine non è affatto così. Ama quello che fa e non potrebbe essere più esaltata all’idea di accompagnare questi ragazzi fino al giorno del diploma.
È completamente assorta nella lettura, quando si ritrova il giovane Matthew a pochi centimetri dalla sua cattedra.
«Oh mio Dio, non ti avevo proprio sentito arrivare!»
Esclama la Cooper sobbalzando dalla sedia.
«Ciao anche a te, Joey della “serata dei giochi”!»
«Non lo dici con abbastanza entusiasmo, devo credere che tu non l’abbia gradita?»
«Oh no, assolutamente! Ho adorato batterti a scarabeo!»
Josephine strabuzza gli occhi in seguito alla sua affermazione.
«Rimangiatelo subito. Non mi hai battuta a scarabeo!»
«Quante volte devo ripeterti che “motoschifo” non vale come parola?»
«E “arricciaspiccia”?»
«Non mi risulta.»
«Supercalifragilistichespiralidoso?»
«Se hai abbastanza lettere a disposizione...»
Ribatte scrollando le spalle, continuando a reggerle il gioco.
«Dovremmo creare una versione di scarabeo a tema Disney-Pixar, ti straccerei!»
«Andata. Prepara un regolamento prima di venerdì.»
«Già, a proposito di questo… »
«Sì, hai perfettamente ragione. È per questo che sono qui… Non ho il tuo numero di telefono, e tu non hai il mio indirizzo. Già, mi sento un perfetto idiota...»
Matty comincia a straparlare, mentre si passa nervosamente una mano dietro alla nuca.
«No, figurati, non ti preoccupare!»
Si appresta a rassicurarlo Jo, che trova la sua impacicataggine decisamente adorabile.
«Pensavo di fare per le 8, potremmo ordinare qualcosa da asporto e passare un po’ di tempo assieme, che ne dici? Puoi inventare tutte le varianti di scarabeo che preferisci.»
Esclama il ragazzo tentando di risultare il più convincente possibile, ma Joey sembra ancora piuttosto titubante all’idea di gettarsi a capofitto in questo nuovo rapporto.
«Che c’è? Ho detto qualcosa di sbagliato?»
Domanda Matthew preoccupato, incrociando lo sguardo della professoressa.
«No, no, è solo che… Non è un appuntamento, giusto?»
Matty rimane un po’ spiazzato da quella domanda, e dopo qualche istante di silenzio si appresta a smentire.
«No, no. Certo che no. Che cosa te lo ha fatto pensare? No, no.»
Josephine, in un certo senso delusa da quella risposta, si sposta una ciocca di capelli dietro all’orecchio, un gesto che si ritrova a fare spesso ogni volta che è nervosa o imbarazzata.
«Grande. Temevo che stessi programmando un piano con i controfiocchi per farmi cadere ai tuoi piedi...»
Esclama abbozzando una risata, che spinge il ragazzo a fare lo stesso.
«Assolutamente no, non c’è pericolo. Avevo soltanto in mente di divertirci un po’....»
Aggiunge poco dopo, correggendosi non appena si rende conto del doppio senso di quell’espressione.
«Non “divertirci” in quel senso, “divertirci” in modo ingenuo, giocando... E non a quel tipo di giochi, da quando sono usciti quegli stupidi libri, la gente non fa altro che fraintendere questa espressione. Forse è meglio che sto zitto, che dici?»
«Sai, a volte parli persino più di me.»
Risponde Joey, piacevolmente sorpresa. Matthew è così diverso dai ragazzi che ha frequentato finora… Non ha problemi a mostrarsi vulnerabile e ha il suo stesso senso dell’umorismo.
«Mia madre dice che è colpa della caffeina. A volte incomincio a parlare, parlare, e senza rendermene con—»
«Volentieri.»
«C-come?»
«Ci vengo volentieri a casa tua. Ad una condizione...»
«Spara.»
«I giochi li porto io. Vorrei evitare una svolta alla Christian Grey, non è proprio nel mio stile.»
«Mi sembra giusto.»
«E niente candele. Perchè abbiamo detto che “non è un appuntamento”, giusto?»
«Giustissimo. Ma non presentarti troppo in tiro. O Penny penserà che sia un appuntamento e si ingelosirà.»
«Uhm, la tua fidanzata?»
«Il mio gatto. Ma sa essere altrettanto pericolosa, quando ci si mette.»
«Sembra pericolosa!»
«Tutto è pericoloso, paragonato al tuo cagnolino da guardia.»
«Hey, Barney è molto pericoloso. Prova a tirargli via l’osso, ho ancora i segni dei canini.»
«Dovresti portarlo, così stabiliremmo una volta per tutte chi è il più terrificante tra lui e Penny.»
«Già, dovremmo mangiare una bella bistecca tutti insieme, sarebbe una perfetta uscita a quattro!»
«Stai forse insinuando che il nostro sia un vero appuntamento?»
«No, io non—»
«Bene, perché non lo è.»
Esclama il ragazzo puntandole l’indice addosso. Josephine alza gli occhi al cielo, consapevole di essersi appena fregata con le sue stesse mani.
«Ti odio.»
«“Amami oppure odiami, entrambe le cose sono a mio favore. Se mi ami, io sarò sempre nel tuo cuore. Se mi odi, io sarò sempre nella tua mente.”»
Josephine osserva il ragazzo confusa, ma tutto sembra trovare un senso nel momento in cui il libro riposto sulla sua cattedra attira la sua attenzione.
«Non ti facevo un patito di Shakespeare.»
«“Rinuncia al tuo potere di attrarmi ed io rinuncerò alla mia volontà di seguirti.”»
Josephine si trattiene dallo scoppiare a ridere a crepapelle, mentre Matthew si improvvisa drammaturgo. Senza l’intenzione di dargliela vinta, la Cooper accompagna letteralmente il ragazzo alla porta, costringendolo a lasciare la stanza.
«Che c’è? Sei immune al fascino del poeta?»
«Esci subito da questa stanza, o la serata è saltata.»
Esclama ironica Joey, ma mentre sta per chiudersi la porta alle spalle si ricorda di una cosa. Strappa il cellulare dalle mani di Matthew e compone il suo numero di telefono, per poi riconsegnare l’apparecchio al proprietario.
«Mandami l’indirizzo. E non azzardarti mai più a citare “Sogno di una notte di mezza estate” in mia presenza. Non rispondo delle mie azioni quando un ragazzo cita il Bardo Di Avon!»
«Il chi?»
«Non sei degno. Sparisci!»
Esclama la Cooper dandogli un leggero spintone, per poi richiudersi la porta alle spalle e sorridere come un'ebete. È decisamente un appuntamento e l’idea non la spaventa più.
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05.03.2019, 09:58
Non mi sono mai sentita così giù di morale in vita mia come in questo momento, e non volendo sto allontanando tutti.
Vorrei tanto spiegare alle persone a cui tengo quello che sta succedendo, ma mi aspetterei una conversazione del genere:
“Come stai?”
“Mai stata peggio”
“Oh, e come mai?”
Ecco. Lì il silenzio. La verità è che neanche io so cosa mi passa per la testa.
Ci sono momenti della mia vita in cui mi sento Dio sceso in terra, mi sento al massimo e sono molto affettuosa, molto sinceramente. Adesso sono esattamente al polo opposto, ma dopo tutto sono tranquilla: so che questa fase durerà qualche giorno, come sempre.
Ieri sono stata molto male, ma per la maggior parte del tempo sono riuscita a camuffarlo.. Poi sono scoppiata. Una volta conclusa la lezione di Istologia sono letteralmente scappata a gambe levate, senza dare spiegazioni a nessuno. In questi momenti mi comporto sempre in maniera imprevedibile e senza volerlo ferisco altre persone. Odio ferire le persone, paradossalmente fa stare malissimo me.
Alla fine avevo passato tutta la giornata a piangere, senza motivo apparente, e l’ho fatta concludere il prima possibile.
Oggi ero davvero convinta che fosse un nuovo giorno e che tutto sarebbe tornato alla normalità.
Mi sono svegliata alle 6:40, e come sempre ho bevuto il mio infuso ai frutti di bosco, mi sono fatta la doccia, trucco, parrucco e sono uscita da casa.
Alle 9:45 ero già a casa. Sarei dovuta ritornare a casa alle 18:00.
Il mio programma per oggi era scusarmi con i miei colleghi e fingere che andasse tutto bene, ma non è andata così; non ci sono riuscita.
Forse ho parlato a stento con due persone ed ho evitato tutti. Non è stato intenzionale, sono delusa da me stessa. Domani dovrei seriamente scusarmi.
L’inevitabile è che me ne andassi prima delle lezioni, non resistevo più: sarei scoppiata in lacrime da lì a poco. Così è stato: ovviamente, come sempre, senza un motivo apparente. Ma come spiegarlo, eh?
Passare per una pazza senza capacità di intendere e di volere?
Trovare una scusa da quattro soldi?
A volte vorrei solo addormentarmi e non svegliarmi più.
- E.
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14 Gennaio 2013
Facebook mi ricorda che sei anni fa partivo per Bruxelles. Le mie migliori amiche ad accompagnarmi in aeroporto. L’aereo quasi perso per un pelo, poi la capitale europea ad accogliermi nella neve, nell’inverno più freddo di sempre. Io che trascino due valigie enormi tra i marciapiedi ghiacciati. Apro la porta della mia nuova casa con le vesciche alle mani.
Sono tornata cambiata per sempre, eppure ci ho messo quasi sei anni per ripartire. Sei anni in cui me le sono raccontata tutte, pur di piantare radici. Dovevo laurearmi, e ci sta. Poi buttarmi sul lavoro, da copione. Poi mi sono innamorata (non da copione). Poi mi sono adagiata.
Tutto passava. La voglia di vedermi vestita di un qualche ruolo importante. La voglia di costruire qualcosa insieme a qualcuno. Era troppo presto, e tutto passava. Con il tempo ho capito che non era tempo. No, non era tempo, non mi interessava davvero.
Ho analizzato la parola «ambizione». Ho sempre creduto di essere una persona ambiziosa. Ho sempre lavorato come un mulo. Volevo l’indipendenza, il benessere ed essere «qualcuno» magari riassunto in un paio di parole, in un qualche ruolo, sulla firma di una mail. Era la mia massima ambizione, effettivamente. Avere quelle due paroline magiche con cui presentarmi in ogni occasione: «Io sono, io faccio - tu chi sei? Cosa fai?». Qualcosa attorno cui far ruotare il mio mondo.
C’è voluto tempo per realizzare che l’unica ambizione a cui dovevo aspirare era essere padrona dei miei desideri e delle mie azioni. Slegata da qualunque cosa. Perché dopo gli uomini, ci saranno altri uomini. Dopo i ruoli e le cariche, ci saranno solo altri ruoli e altre cariche. Dopo il denaro c'è ancora denaro. Ma dopo il tempo speso, non rimane che guardarsi indietro e farsi delle grosse domande (sempre se si ha mai avuto il coraggio di farsele davvero, quelle giuste).
Non significa che non metto impegno nelle cose che faccio, non significa che mi accontento. Significa che sono mossa da quello che voglio IO dal mio tempo, consapevole che il bisogno di dover dimostrare qualcosa a qualcuno è solo una gabbia. Realizzando, che tutto quello che posso essere e diventare, è lí fuori. Non certo in due misere parole.
La voglia di partire non è mai passata, fluttuava nei pensieri ogni giorno. A volte era pura sofferenza, ma mi sono tenuta a bada. Ho firmato contratti, tenuto strette le mie chiavi e mi sono presa impegni più o meno grandi. Ho fatto la persona adulta, mi sono auto-sabotata. D’altronde, se tutti agivano da copione, doveva andare bene per forza. Non mi sarei fatta un graffio. Sarei stata bene, felicitá prèt-à-porter.
Eppure dopo 4 anni la mia stanza ancora non sapeva di me, era un luogo di passaggio. I nostri spazi raccontano chi siamo ed io ero incapace di costruirmi un habitat permanente. Dove mi mettevo, mi adattavo, ma non stavo. Quindi mi sono tenuta buona ancora, portandomi da lato all’altro dell’Europa, convincendomi che andava bene così. Che avrei comunque avuto il tempo di viaggiare tra weekend lunghi, ferie ad agosto e vacanze di Natale. Come fanno tutti. E se va bene a tutti, perché non deve andare bene a me? Ringrazia e porta a casa, Alice. Magna e tasi.
Mi sono tenuta costantemente impegnata incastrando la mia vita in un Tetris d’impegni e raccontandomi le solite stronzate: non partire, dai. Ma cosa vai a fare? E tutto quello che hai costruito sino ad ora? Dai che è solo un altro dei tuoi colpi di matto. Tra due mesi ti stanchi e torni a casa con la coda tra le gambe. Le tue solite figure di merda. Come farà la tua famiglia senza di te? Tanto comunque non vuoi vivere distante da casa, perché fai tutto questo casino? Forse dovresti comprarti una macchina nuova e startene buona.
C’è una canzone di Niccolò Fabi che fa: «Io sto bene quando sono lontano da me, dove nessuno sa chi sono e dove niente mi riguarda. Dove l’ignoto ha il suo profumo, io vado incontro al mio destino, seduto accanto a un finestrino. Con in tasca un passaporto e all’orizzonte un nuovo viaggio. Con quella libertà speciale che ha solo l’uomo di passaggio.»
Ecco, io mi sento ambiziosa e invincibile, quando mi sento cosí. Sento di dare il mio meglio. Sono felice. Non è semplice realizzarlo e accettarlo. Qualcuno che (ancora) non ha di meglio da fare si diverte a ricordarmi che mi sto avvicinando ai 30 e che «le mie priorità dovrebbero essere altre». Ecco, intanto io me ne sento 20 freschi freschi, e lo so quali sono le mie priorità. Me le sono scelte. E se proprio dobbiamo dirla tutta sono gli stessi che alla semplicissima domanda: «Come stai?» rispondono: «Se tira vanti...». Insoddisfatti cronici. Non capiscono dove sta l’ingranaggio che non funziona, ma alzano le spalle e tirano avanti. Passerá. Perché l’edonismo di un’immagine svia, addormenta l’impegno. Lo capisco, ma io due domandine in più me le farei. In pausa pranzo magari.
Ogni cosa ha il suo tempo. Dovevo fare quello che ho fatto. Oggi c’è la maturità e la consapevolezza per affrontare questo viaggio. Il rimpianto di non essere partita prima si è dissolto. Impensabile vivere questa consapevolezza se me ne fossi andata a 20 anni. Non so se ce l’avrei fatta.
L’Alice «ambiziosa» di sei anni fa, non si sarebbe mai voluta immaginare, un giorno, in una farm australiana. Mai avrebbe creduto di portare a casa tanti insegnamenti quanti lividi. Ho condiviso casa, lavoro e tempo libero con chi all’inizio era un perfetto sconosciuto e ora si avvicina più ad un libro aperto. Loro, a distanza di quasi quattro mesi, mi conoscono meglio di tante altre persone che mi hanno vista crescere. Esperienza davvero strana, non minimamente paragonabile alla convivenza con dei coinquilini. Quando condividi un tetto, ognuno ha la sua stanza e la sua routine, ci si becca ogni tanto. Vivere e condividere stanza-cucina-bagno-auto-lavoro-noia-sbornie e ormoni 24/7 tira fuori il peggio e il meglio di ognuno di noi. Non c’è nessun posto dove nascondersi. Ti fai guardare dentro e fuori, anche se non lo vuoi.
I miei amici sono molto diversi da me, nessuno mi somiglia. Però ho imparato proprio qui, che amare, voler bene a una persona, significa saperlo fare soprattutto quando questa è diversa. Per arricchirsi. Accettare la parte vulnerabile è tesoro prezioso, non per gli occhi di tutti. L’amore è un verbo, non un sostantivo. Noi italiani lo mettiamo su tutto, come il sale. Lo si vede quando iniziamo a cucinare per noi ma poi prepariamo per tutti. Ho conosciuto tante belle persone, e dietro ogni bella persona c'è sempre l'amore.
14 Gennaio 2019
Lascio Batlow, dopo 102 giorni di farm. Due pezzi di cuore mi accompagnano alla fermata del bus: Heta e Steve. Lei, entrata in casa durante la cena del mio compleanno. Un bellissimo regalo, un’amica da cui non voglio separarmi più. Ci si aspetterebbe il gelo della Scandinavia e invece è un universo fragile e vulnerabile, che vive in un equilibrio tutto suo. Lui, invece, è l’uomo più gentile che io abbia mai conosciuto. Un’inspirazione, indimenticabile. Una grande lezione di vita: le donne e gli uomini indimenticabili mettono sempre i bisogni degli altri al di sopra dei propri e danno più di quanto ricevono. Non per ottenere l’approvazione di nessuno, ma una dimostrazione concreta del desiderio di rendere il mondo un posto migliore.
Ci si stringe come in una morsa, asciugo le lacrime di lei e me le bacio tutte. Io ancora non ho imparato a piangere. Ma sto solo aspettando il mio turno, non vedo l’ora di vederle scendere. È il mio primo arrivederci, ma siamo tutti in viaggio. Diventerá la norma. Allontanarsi è conoscersi.
Mi avete regalato quattro collane e due paia di orecchini. Mi avete guardata, spoglia. E avete scelto l’argento per me. Grazie, siete ricchezza. Ricchezza che è di gran lunga maggiore nella volontà che nelle tasche. Ricchezza che voglio sia l’unica ambizione.
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Dalla valigia di cartone al web: il movimento inverso delle generazioni migranti
Torniamo a proporvi alcuni spunti tratti dalle nostre interviste migranti agli italiani che vivono in Svizzera. La nostra prima curiosità è quella di definire e descrivere le caratteristiche delle tante e per certi aspetti “nuove” mobilità italiane oltre confine. Il fatto sociale è un ritorno numerico importante di cittadini italiani che si trasferiscono in Svizzera per vivere e lavorare. Dopo un periodo di relativa pausa (dalla metà degli anni ‘70 ai primi anni del 2000), la storica comunità italiana è ripresa a crescere in modo costante. Ad arrivare sono persone con profili molto diversi tra loro per età, professione, motivazione dello spostamento, obiettivi e modi di vivere da stranieri all’estero. Chiaramente uno dei motivi di questi nuovi arrivi è la consolidata crisi economica in Europa e in Italia in particolare. Persone che lavoravano stabilmente, soprattutto dal Sud della penisola, hanno perso in lavoro oppure si sono rese conto dell’impossibilità di un avanzamento di carriera o di ottenere condizioni di lavoro migliori. Chi ha studiato anche a lungo, cosa che adesso succede con più frequenza di cinquant’anni fa, si ritrova spesso con una laurea in mano ma poche conoscenze spendibili nel mondo del lavoro, saturo e occupato dalle generazioni precedenti. Il risultato è che queste persone decidono di spostarsi. Non sono in fuga come i rifugiati di guerra e non sono più cervelli di quanto lo siano questi ultimi. Sono persone che hanno la capacità di spostarsi e che grazie allo strabiliante sviluppo dei mezzi di comunicazione digitale degli ultimi venti anni e dei mezzi di trasporto, possono farlo in modo più semplice, economico, veloce, consapevole e informato di qualsiasi altro periodo precedente nella storia dell’umanità. In Svizzera la storia degli italiani è resa ancora più intensa e interessante da alcune peculiarità. La migrazione storica italiana in territorio elvetico (dove gli italiani arrivarono praticamente per primi già dalla fine dell’800 ma in massa a metà del ‘900) rende il percorso degli italiani che arrivano adesso diverso. Non ci muoviamo in un vuoto storico e sociale ma ci portiamo appresso rappresentazioni, storie, stereotipi, traguardi che ci collegano ad alcuni gruppi sociali di cui facciamo parte. In questo caso, quello degli italiani in Svizzera. La ricerca racconta come è cambiato il vecchio migrare nella nostra attuale epoca globale e digitalizzata senza dimenticare l’apporto e la storia di chi si è spostato quando farlo era molto più faticoso e rischioso. Nella storia di Maria, che qui vi proponiamo, la migrazione con la valigia di cartone è legata a quella attuale dalla storia familiare (come spesso capita). Cinquant’anni dopo, la storia si ripete, e si ribalta, in un certo senso.
Maria è in Svizzera, a Würenlos (AG) da un anno e mezzo. Ma ci era già stata sedici anni fa, per qualche tempo. Il rapporto di Maria con la Svizzera, in realtà, parte molto prima. Probabilmente da quando, a soli quattordici anni si innamora di quello che diventerà suo marito.
Conosciuto nel loro paese di origine, San Pietro a Maida, in provincia di Catanzaro, in Calabria, quel ragazzo di qualche anno più grande di lei è nato in Svizzera tedesca, nei dintorni di Zurigo dove il padre si era trasferito con la madre venti anni prima, negli anni ‘50. Come tanti italiani di allora, ha lavorato costantemente come operaio e risparmiato i soldi per comprare casa in Italia dov’è puntualmente tornato nel 1975 quando suo figlio maschio aveva appena tre mesi.
“
lui era arrivato con la valigia di cartone alla frontiera e una cosa che mi ha raccontato e che mi è sempre rimasta in testa è che là, a Chiasso, gli hanno guardato i denti per capire se stava bene ... Ha vissuto qua, ha costruito casa là (in Calabria) e quando sono nati i bimbi è tornato”
In Svizzera è rimasta una parte di famiglia, cognati di Maria e proprio grazie ai contatti con loro, il marito di Maria torna a lavorare in Svizzera dopo essersi diplomato, come elettrotecnico, e aver già maturato qualche anno di esperienza prima nel Nord Italia e poi in Germania. Quando si sposano, nel 2000, Maria raggiunge il marito e con lui vive per tre anni a Regensdorf (ZH). Nei primi anni, però, la coppia non riesce ad avere figli e la decisione è quella di tornare in Calabria
“non riuscivo a rimanere incinta e giù avevamo la casa e la terra, avevamo gli olivi allora ho detto a mio marito torniamocene laggiù”
Ma l’odore del mare e il sole del Sud ha le sue conseguenze positive. Appena tornati in Italia, i due giovani sposi coronano il sogno di sempre e nascono i loro due figli a distanza di pochi anni. Come la generazione dei loro padri, anche per Maria e suo marito la decisione di muoversi è dettata prima di tutto da quello che si pensa sia meglio per la prole. Solo, che il viaggio è nella direzione inversa.
“siamo tornati qua in primis per i miei figli, sono due maschietti, qua si trovano bene, hanno prospettive, possono avere un futuro, parlano già tedesco, la mamma invece no, io per niente. Ora è un anno e mezzo che siamo qua. Il più grande ha dodici anni e il più piccolo otto. Il grande ha preso la licenza elementare in Italia e poi l’ho portato qua, l’altro faceva la seconda e certo portarli da un piccolissimo paese della calabria dove conosci tutti a dove non conosci nessuno, un po’ di paura ce l’hai e il primo giorno di scuola io ho pianto per loro perché soprattutto il grande mi stringeva forte la mano mi diceva che aveva paura che non capiva niente col tedesco, quando sono andato a prenderlo mi ha detto “mamma, è bellissimo qua”. Adesso se per scherzo dico ai miei figli “dai ce ne torniamo giù, mi dicono no mamma se vuoi te ne torni giù da sola”. Se devo dirti che sono felicissima di stare qua, no, non te lo direi, non per me ma per loro si per i miei figli sono molto felice, hanno opportunità, a scuola organizzano tante cose invece in Calabria in cinque anni mio figlio non ha mai fatto una gita a momenti dovevamo portare anche la carta igienica a scuola, così io sono felice di vedere loro che sono felici”
A ben vedere, anche la scelta del “nonno” di tornare in Italia era motivata dalla nascita dei bambini. Negli anni ‘70 in Italia si respirava aria di possibilità, si era appena usciti dal miracolo economico Italiano e si guardava con speranza e ottimismo al futuro. Il sogno dei “vecchi migranti” (in questo diversi da i nuovi viaggiatori di adesso) era il ritorno a casa, in una casa comoda, grande, dove i figli potessero crescere e costruire nel loro paese il proprio futuro. L’Italia era il posto dove tornare e identificarsi. La migrazione era di sola andata o con un ritorno a lunghissimo termine, un ritorno che rappresentava un sogno, l’obiettivo di una vita. Non c’era internet e nemmeno la televisione satellitare, non si comunicava in tempo reale con chi era rimasto altrove, non arrivavano ogni giorno notizie interattive e aggiornate su tutti i luoghi più lontani al mondo, il mondo stesso era più piccolo. Non c’erano le low cost, non c’era il prosciutto e la mozzarella al supermercato, era un viaggio diverso in un paese ancora per certi versi ostile. Ma le motivazioni alla base delle grandi decisioni erano le stesse: il bene dei figli. Solo, che adesso questo “valore aggiunto” è la capacità di muoversi e di spostarsi. Maria fa felicemente sacrifici per l’educazione dei figli che possono studiare le lingue in un sistema scolastico che ha le sue pecche ma che è più ricco di quello italiano e che prepara i suoi studenti ad un mondo del lavoro competitivo ma vivo e vegeto. E questo basta. La scelta del nonno, emigrato con la valigia di cartone di tornarsene in Italia è vista in retrospettiva con un po' di rimpianto ma anche come un monito, una lezione, un’esperienza
Ha vissuto qua (in Svizzera) ha costruito casa là (in Calabria) e quando sono nati i bimbi è tornato…ora la figlia e il figlio sono tornati in Svizzera e pure e un’altra si è spostata in un altro paese e lui dice ora ve ne siete andati tutti e quella grande casa è vuota, adesso dice che doveva restare in svizzera, 41 anni fa! e anche per questo io non penso mai ai miei figli laggiù (in Italia), se vorranno ci torneranno per scelta quando saranno grandi
In questo piccolo riassunto della nostra intervista migrante ci piace lasciare questo spunto di riflessione: come cambiano gli spostamenti e le traiettorie biografiche alla luce del cambiamento dei tempi storici e sociali. Le motivazioni individuali possono essere diverse, tante quante sono le persone e sta al sociologo ricostruirle. Tuttavia, per quanto personali, le nostre scelte avvengono in un contesto sociale che è strutturato in modi diversi a seconda delle contingenze storiche ed economiche. La stessa motivazione può avere risultato “mobile” opposto, date le mutate condizioni sociali.
Vi lasciamo con poche righe scritte da Maria per la nostra ricerca e per la nostra pagine, invitandovi a interagire con noi e ad usare internet in modo attivo e partecipato. La ricerca digitale si fa democratica, se ci aiutate.
Mi chiamo Maria ho 36 anni,sono sposata da 16 anni,ho due bambini a dir poco meravigliosi,vengo dalla Regione più bella che esista al mondo la mia amatissima Calabria,terra di sole,mare e calore umano,dove purtroppo manca una cosa importantissima il "futuro" lo metto tra le virgolette perché è un tema che ancora oggi fa male,la mia Regione è dimenticata dal mondo sul fattore lavorativo,è pieno di ragazzi che non riescono ad abbandonare le proprie origini,io l ho fatto con tanto dolore,e ancora oggi sto male al pensiero di stare 1500 km lontana dalla mia terra amata ma tanto sofferta. Lavoravo al Call center da 8 anni,ma poi è arrivato il declino dell’azienda,e quindi la maggior parte licenziati. L’ unica soluzione era di preparare le valige e andare verso un futuro migliore,non per me ma per i miei figli sicuramente: in Calabria non avrebbero avuto futuro e quindi un domani mi avrebbero lasciata per andare al nord a studiare e sperare di trovare qualche lavoro per mantenersi,per me la Svizzera non è "il paese dei balocchi" che tutti pensano,la Svizzera è frenetica,la Svizzera è lavoro casa,casa lavoro...ci vorrebbe un pó di quel sole calabrese,e poi diventerebbe uno spettacolo.Della mia scelta a volte sono un pó titubante,ma basta pensare e guardare i miei figli che tutto passa,il mio sogno è quello che loro troveranno un futuro pieno di soddisfazione e gioia.
Dalla Valigia di cartone al web ringrazia il tempo che Maria ci ha concesso e si augura che questi piccoli italiani diventino cittadini del mondo con entusiasmo e passione.
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“Intensa, perspicace, strana, bionda, dolce… tra un Martini e qualche nocciolina io e Sylvia parlavamo di suicidio”. Due lettere di Anne Sexton
Pubblichiamo due lettere di Anne Sexton (1928-1974), la formidabile poetessa americana, finora inedite in Italia. In particolare, la lettera a Charles Newman, responsabile di “Tri-Quarterly”, raffinata rivista della Northwestern University, racconta alcuni dettagli del suo rapporto con Sylvia Plath. Cresciute liricamente all’ombra di Robert Lowell, sono morte, entrambe, per scelta, a dieci anni di distanza, la Plath nel 1963, la Sexton nel 1974. Con una leggerezza che appare paradossale a chi non sa di poesia, le due discutono di suicidio e di letteratura mentre bevono Martini, come se i due elementi – il verbo e la morte – fossero consustanziali. Charles Newman, scrittore pluripremiato, pubblica nel 1970 un saggio su “The Art of Sylvia Plath”; poi i suoi interessi si spostano su Nabokov (1971) e Borges (1974). La seconda lettera è inviata a Stanley Kunitz (1905-2006) grande poeta americano, ignoto sulle nostre sponde, per due volte Poet Laureate americano, riconosciuto con un National Book Award (1995) e il Bollingen Prize (1987; lo stesso che andò a Pound), selezionando tra la folla di onori assegnatagli da un Paese che, nel bene o nel male, continua a venerare i suoi poeti.
***
14 Black Oak Road, autunno 1965
Caro Mr. Newman,
Ti prego di scusarmi per i fogli in cui scrivo, ma ho terminato la carta intestata. E ti prego di tenere presente che avrei voluto rispondere con più tempestività alla tua lettera, ma ero impegnata a leggere il tuo numero di Tri-Quarterly su Yeats e inoltre, avendo appena finito un tour di letture, sono tornata alle mie poesie.
Sono proprio contenta che tu stia lavorando a un numero primaverile con una sezione dedicata a Sylvia Plath. Sperando che non ti dispiaccia, mi sono già permessa di trasmettere questa informazione a una ragazza di Chicago che ho conosciuto questa estate, che sta scrivendo un libro sulla vita e le opere di Sylvia e spera di pubblicarlo. Questa ragazza, Lois Ames, magari potrà aggiungere qualcosa, avendo già fatto un po’ di ricerche. Non la conoscevo, ma mi ha contattata appena ha iniziato a lavorare a questo libro. Mi è piaciuta e penso che potrebbe farcela.
Per quel che mi riguarda. Oh cavolo! Non c’è bisogno di altre parole o di altra enfasi. Si potrebbe ben dire che io non abbia alcun contributo da dare… Comunque, presumo che tu abbia visto la poesia, l’elegia che ho scritto per Sylvia in Poetry. L’ho inviata a una rivista americana perché avevo la tua stessa impressione, che qui non l’avrebbe notata nessuno. Spero che tu l’abbia letta e magari ristampi gli articoli inglesi su di lei, quelli di Alvarez, o quelli in The Critical Quarterly. Se non li conosci per favore fammelo sapere. Sono importanti!!!!!!!
È notte fonda e sto scrivendo più che male.
Potrei aggiungere, su Sylvia, solo un piccolo abbozzo, come la mia poesia. La conoscevo da un po’ quando ero a Boston. Siamo cresciute nella stessa cittadina, Wellesley, ma lei è di circa quattro anni più giovane di me e non ci siamo mai incontrate. Ci siamo conosciute solo quando lei ha sposato Ted Hughes ed è andata a vivere con lui a Boston. Dopo di che ha saputo, e George Starbuck ha sentito, che avrei partecipato a un corso tenuto da Robert Lowell alla Boston University. Allora si sono iscritti tutti e due… orbitavamo silenziosamente intorno alla classe e poi, dopo ogni lezione, ci infilavamo nella mia vecchia Ford e sfrecciavamo nel traffico verso il Ritz, o lì vicino. Parcheggiavo sempre davanti a un cartello “Zona di carico” e dicevo loro “Va bene, perché adesso andiamo a caricarci” e ci infilavamo nel Ritz a bere tre o quattro Martini… spesso, molto spesso, Sylvia e io parlavamo a lungo dei nostri primi tentativi di suicidio, a lungo, nel dettaglio, in profondità, tra una nocciolina e l’altra. Il suicidio è, dopotutto, l’opposto della poesia. Sylvia e io discutevamo spesso di opposti. Ignorando Lowell e le poesie lasciate a metà. Dopo uscivamo dal Ritz e andavamo tutti e tre a spendere i nostri ultimi centesimi alla Waldorf Cafeteria, una cena a 70 cents. […] Ted sapeva aspettare Sylvia o non gli importava niente e io dovevo rimanere in città (vivo fuori) per un appuntamento delle 19 con [Dr. Martin]. Un trio curioso. Ho sentito che già da allora Sylvia era determinata a farcela, a essere grande. Al tempo non me n’ero accorta. Ero troppo determinata io stessa. Lowell disse, prima e in seguito, “Mi piace la sua opera. Va dritta al punto”. Non ero d’accordo. Secondo me incalzava il punto con la sua forma e le sue immagini complesse e remote.
Mi sembrava che non stesse davvero creando una sua forma e un suo significato personali. Sapevo che aveva talento. Intensa, perspicace, strana, bionda, dolce Sylvia… dall’Inghilterra all’America ci siamo scambiate qualche lettera. Le ho ancora ovviamente. Lei cita le mie poesie e io le mandavo quelle nuove non appena le scrivevo – non ne sono sicura. I tempi della “zona di carico” erano finiti e noi ci mandavamo aerogrammi da una parte all’altra, ogni tanto. George era a Roma. Non scrisse mai. Divorziò e si risposò lì. Sylvia scrisse di un figlio, l’allevamento di api, un altro figlio, le mie poesie – e poi nel suo silenzio, morì.
Potrei spiegare e scrivere meglio questo abbozzo se vuoi. Aggiungo anche che credo che le sue ultime poesie, il suo secondo libro, sia veramente fantastico. Posso dire che non avrei mai pensato che avesse tutto ciò dentro di sé. Eravamo due compagne di bevute – parlavamo di morte – non di creazione. Le sue ultime poesie, a mio parere, valgono una vita intera.
So che è tutto scritto male, ma ecco a te. Era questo che ti serviva?
Sono rimasta molto colpita dal Tri-Quarterly e non puoi immaginare quanto ti sia grata per avermi spedito quel numero.
Fammi sapere se vuoi che aggiunga qualcosa al racconto dei compagni di bevute… E se ti serve o ti potrebbe servire qualche consiglio. Vorrei aiutare. Mi vergogno dell’America, quando penso alle ultime poesie di Sylvia. Tengo letture a diverse università e mai nessuno accenna alle sue opere. Sono tutti pazzi? Tu no, in ogni caso.
Cari saluti,
Anne
*Da Anne Sexton: A Self-Portrait in Letters. Boston: Mariner Books, 2004
***
17 febbraio 1971
Caro Stanley,
Ho una considerazione speciale per le margherite. Sopravvivono e sopravvivono quanto me e te. Sono il mio fiore preferito. Hanno qualcosa di innocente e vulnerabile, come se ti ringraziassero di apprezzarle. Mi dispiace che tu abbia passato un brutto periodo, ma mi fa piacere che ora sei in via di guarigione.
Grazie per quella frase su Transformations. La leggo ogni giorno per mettermi di buon umore e sono sicura che gli editori ne faranno buon uso, anzi ha già placato i loro dubbi sul valore di questa nuova opera. È strano che tu mi dica che sono “troppo forte” per la mia “fretta bruciante” (questa frase non ha senso, ma tu capisci cosa intendo). Mi dicono tutti che sono forte. Forse perché sono sopravvissuta a così tanto. Dentro mi sento come un broccolo cotto, non come un gambo, che di solito è croccante e saporito. Ma come la testa che si sgretola quando la tagli. Sono forte nella mia mente solo quando una poesia mi invade e sono decisa a conquistarla e a lasciarle vivere la sua peculiare vita. Tutta la mia forza finisce nella mia opera. Difficile, davvero, non sembrare una stupida. Va bene, sto divagando… Non avere fretta di rispondere. Fallo quando ti è più comodo.
Tanti cari saluti Anne il Broccolo
*Da Anne Sexton: A Self-Portrait in Letters di Anne Sexton, Lois Ames, Linda Gray Sexton. Boston: Houghton Mifflin, 1977
**La traduzione italiana delle lettere è di Valentina Gambino
L'articolo “Intensa, perspicace, strana, bionda, dolce… tra un Martini e qualche nocciolina io e Sylvia parlavamo di suicidio”. Due lettere di Anne Sexton proviene da Pangea.
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La comparsa di Dorothy
Mattinata intensa, apro gli occhi e non vedo più niente, nessuna stanza nessuna pavimento, solo buio, fluido, e rumori di sottofondo. Rumori sordi. Mi trovano in un angolo per terra, nell’angolo dove mi trovano sempre, quando migro in un posto lontano senza più argini e confini. Chi mi trova rimane con me, per lo meno ci prova. Piano piano il pavimento ritorna, sono io, Valentina, sono tornata, sono in clinica, va tutto bene. I 20 cm di ustione sull’avambraccio si sono allargati, e parecchio. Mi sono bruciata di nuovo. Ogni volta è peggio. Ogni volta sono più estese. Avevo la fasciatura e non riesco a capire come sia possibile. Eppure è così. Vinco un bendaggio tutto braccio, per la gioia di chi tra di noi ha bisogno di vederle sempre le sue cicatrici, di averle sotto agli occhi. In qualche modo mi raccolgo da terra, bevo il mio the per colazione, e ho un rinoceronte che corre sul petto. Prende la rincorsa. Mi infila la zanna sottople e spinge. Sento che parte il giro medico. Mi spengo di nuovo. Vorrei scomparire. Il medico è un uomo, e io non lo voglio qui dentro. Voglio Mara. Ripenso che se ne è andata e non mi sento più al riparo. Mi viene da piangere. Immagino che sia lei ad entrare da quella porta ma no, lei non c’è. Quando lo psichiatra entra sono immobile e accenno un sorriso. Vattene da qui, per favore. Se ne va, non insiste. Cè una voragine nella mia pancia. Voglio M. La mia M.
Alle 10 e 15 ho appuntamento con la psicologa. Sono in modalità low, mi muovo piano, la gente mi parla mentre sto sui divani e io non sento. La dottoressa arriva un po’ in ritardo, andiamo nello studio che mi piace, quello lontano da tutto. È come un isola segreta, lì dentro posso parlare, affidarle pensieri. Mi rannicchio sulla sedia, non la guarderò negli occhi se non dopo più di un ora di colloquio, quando Vale sarà di nuovo raggiungibile, quando sarà rientrata da una delle sue sparizioni della mattina. Iniziò a parlare e non so chi sono, non so nemmeno che dire, se non che il fatto che Mara sia andata via mi ha dato una spinta gigante in mezzo al petto. “Sapevamo che sarebbe stato un colpo, ce lo aspettavamo.. non è colpa sua, chi funziona come lei ha bisogno di avere molta stabilità nei percorsi, purtroppo non c’era altro modo.. sa, per il periodo.. ma non si deve sentire in difetto o strana per questo.. io ci sarò fino in fondo Vale. Non ci saranno più cambiamenti così.” Poi qualcuno inizia a parlare. Non ho memoria di ciò che ha detto, non mi è rimasto attaccato da nessuna parte, solo a un tratto la dottoressa ha pronunciato il suo nome.. Dorothy.. “forse mi sbaglio, se credo di star parlando con Dorothy?” Ricordo il silenzio. E poi un click. Non lo so, dico. Può darsi. Ma non voglio che stia qui. Non voglio ascoltarla.
“Io credo che sia importante invece, sentire cosa ha da dirci.. proviamo a essere un po’ curiosi a riguardo? Insieme?”
Accenno un si col capo. Ma Dorothy non c’è più, e io ne sono certa. Si è nascosta di nuovo, forse ha raggiunto Nathalie. Luna l’ha di nuovo sedata, dico. Venerdì, quando la dottoressa è venuta a salutarci. Lo sa, avremmo voluto scappare. Valentina avrebbe voluto fuggire via, lasciare qua valigia e tutto quanto. Valentina è seduta su quella sedia e racconta del colloquio di giovedì pomeriggio con la psichiatra, e di come le abbia lasciato dei pezzi di storia, dei pezzi di Luna.. e di quanto Luna di sia arrabbiata poi, arrabbiata tanto da volerci fare male.
“Io non le chiedo i particolari della sua storia Vale, se ne è accorta? Vorrei fare un lavoro sulle parti, ma rispettandole tutte, senza iperattivare nessuno. Ci credo che Luna si sia arrabbiata a sentire Vale raccontare la sua vita.. in fondo, Luna è ancora lì dentro.. raccontare nei dettagli la sua storia è ritraumatizzante per lei.”
Annuisco, ma dico che Valentina ha bisogno di raccontarlo, a volte. E che Vale usa pezzi di storia per capire se chi ascolta sa restare, e come sa restare.
“È una specie di test, quindi.. di test per chi ascolta.”
“Lo sa ho letto molti testi anche della Fisher che parlano di tendere la mano alle proprie parti bambine, prenderle in braccio, rassicurarle.. e io non capisco, perché Luna non ha alcun bisogno di me, non mi vuole, ed è così.. potente.. ha più potere di tutte noi adulte.. decide ogni cosa, e nessuno si mette contro di lei, perché si si occupa di tutto. Poi la vedo così piccola, e non riesco a vederla indifesa, capisce? Quella bambina è una piccola bestia. Si occupa di così tante cose.. e non si lascia avvicinare da me, non così tanto da permettermi di toccarla. Non mi fa avvicinare a Luce, e un po’ lo capisco, ma non mi fa neanche avvicinare a Andrea.. non posso prenderla in braccio, non posso cullarla quando piange..”
“Andrea piange spesso, Vale? Chi la prende in braccio? È molto piccola..”
Solo M. può toccarla. Dopo molti anni Luna un giorno ha fatto entrare M. nel sotto pavimento. Ha passato mesi a buttarle in braccio I corpi delle bambine morte che si tiene la sotto. Ogni volta la stessa cosa. Fino a quando un giorno le ha messo in braccio Andrea. M. la tiene sulla pancia, e lei smette di piangere. Ma ogni volta che uscivamo dallo studio, e rientravamo dopo due settimane, Luna ricominciava da capo con i cadaveri. E allora M. e io abbiamo deciso di non far passare più di una settimana tra una seduta e l’altra.”
“E Cosa fa quando sente Andrea piangere Vale? Cosa può fare per lei?”
“Le racconto di M. Le dico che è tra le sue braccia e che le sta raccontando una storia di bimbi che vengono dal mare, sulle barche. Le dico che è dietro di lei, e che le sta passando una mano sulla testa, a scostare i pochi capelli biondi. Le metto a terra la sciarpa che M. mi ha lasciato. Così Luna ce la può poggiare sopra, e sentirà il suo profumo. L’angoscia non passa sempre, ma ci provo. Anche Luna ci prova.”
“A parte Luna, che non usa la voce, le altre parti parlano? Vi parlate?”
“Non tutte. La Bestia comunica solo con Luna, hanno la loro modalità che non mè mai stato possibile sapere. Laura parla, anche troppo. Così come la Psichiatra. Valentina anche, Dorothy pure, nonostante non la senta. Ma quella con cui c’è un dialogo più fitto è Dalia. Qui dentro, lei non cè. Spesso mi parla così tanto e a lungo da farmi dimenticare l’italiano, se mi parlano nella mia lingua non li capisco.”
“È così tanto estranea da comunicare in un’altra lingua.. da essere straniera..” la dottoressa cambia sguardo, in qualche modo gli occhi le i fanno più fitti.
“Lo sa, sono molto confusa riguardo chi usi l’accendino per mitilarmi il braccio.. mi sveglio e trovo ustioni nuove, ampie. Ma Valentina non ha questa modalità per farsi del male, Valentina si spegne le sigarette addosso, quello sì, e lo fa anche davanti alle altre persone, ma è una modalità diversa, più impulsiva. Mi sono domandata se sia Laura, ma poi mi domando.. perché dovrebbe farmi del male in una maniera così invalidante senza che sia utile a darmi una lezione o a insegnarmi qualcosa? Senza che abbia un senso? Forse è il suo lato sadico, che qui sta uscendo e perde il contatto con ciò che dovrebbe avere un senso? Forse vuole solo divertirsi. Ma non so, non lo capisco.”
Con la psicologa cerchiamo di chiamare le parti e chiedere a ognuna di loro se è lei che usa l’accendino la notte.
Ora sono la Psichiatra, questo genere di cose la attivano. Lei la psicologa la guarda negli occhi.
Vale in qualche modo è presente, non vuole che sua sorella renda tutto eccessivamente chirurgico.
“Potremmo convocarle tutte quante, ascoltare cosa hanno da dire. Una specie di gruppo. Crede di riuscire a chiamarle tutte qui? Magari per i prossimi incontri possiamo prepararci a fare una cosa del genere.. cosa ne dice?”
“Posso provarci”, dico. Racconto di ciò che scrivo, che tempo fa ero riuscita a fare una “Riunione di Condominio”, e che il tema era proprio se lasciare viva o uccidere Dorothy.
È passata un’ora e mezza e sono esausta. La psicologa è molto contenta di come sia andata, io anche. Sono un po’ più tranquilla. Un po’ meno confusa. Un po’ più Vale.
Sono fortunata, penso mentre esco. Con questa dottoressa posso fare un gran bel lavoro.
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