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Fine settimana a Lisbona, eventi 24-26 gennaio 2020
Fine settimana a Lisbona, eventi 24-26 gennaio 2020
Il fine settimana è alle porte e come ogni giovedì eccoci alla rubrica settimanale dedicata ai miei consigli sugli eventi imperdibili a Lisbona lungo il fine settimana. Pronti a selezionare cosa fare?
Cosa fare questo fine settimana?
Veleggiare sul fiume Tago con aperitivo
Brunch dai sapori portoghesi (sabato)
Brunch con al Drag Queen (domenica)
Imparare a cucinare il pastel de nata(sabato)
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alcune cose come:
la prima volta che mi hai preso la mano, nel sonno, e io ci ho fatto una foto;
comprare al mercato i pomodori e poi tagliarli insieme;
tu che controlli quanto è cresciuto il basilico;
guardarsi un po’ di traverso, la testa appoggiata sul cuscino, prima di andare a dormire alle 11 di mattina;
i pavoni in quel giardino a Lisbona;
il signore ubriaco che ci ha scattato la fotografia;
stupirsi insieme della bellezza di questa città;
quando mi hai scritto che le cascate sono un modo di dire che va bene così – che quella è la forma dell’acqua, il salto (e dopo hai scritto: “ecco ora mi manchi tantissimo / sto sospirando nel bar”);
tutte le volte che abbiamo ballato in maniera stupida e complice e felice;
una foto che ho di te in cui sei bagnato di luce;
parlare per ore di cosa comprare prima di andare a fare la spesa;
leggerti ad alta voce i racconti, i libri, le frasi – ma soprattuto quando una volta, dopo aver vomitato, mi hai chiesto le tredici vite e mezzo del capitano orso blu;
quando ti ho portato alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna la prima volta e stava per chiudere e ti ho fatto correre tappandoti gli occhi fino al quadro di Pelizza da Volpedo e tu ti sei commosso;
fare l’amore a V. in quella stanza minuscola col letto scomodo, prima o dopo aver guardato insieme il mare dal terrazzo? (prima e dopo aver guardato insieme il mare dal terrazzo). tu che mi dici che sono così bella – incredibile, hai detto, sei incredibile –, addormentarmi prima di te, io che ho il labbro spaccato;
i dieci anni dal terremoto, tornare a casa, abbracciarti nel letto mentre piangi;
qualche giorno fa, mentre sentivo un personaggio di una serie tv ormai brutta dire: her body is my body – pensare che conoscevo quella sensazione, con te.
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Domingo do leão
Questa domenica mi sveglio con l’idea di spendere la giornata girando attorno le strade del centro e quelle più importanti di Lisbona. Vivo qui in Portogallo da due giorni, trasferitomi a Lisbona per lavoro, e devo fare qualche premessa prima di cominciare a raccontare. Quando sono arrivato, ho notato alcune similarità con la mia città natale, ovvero Palermo. Certe espressioni dei portoghesi, certi modi di fare, alcune somiglianze architettoniche. Due delle cose che più mi rimangono impresse sono: - l’arte dell’ “abbanniare” (arte sicula consistente nel sopraelevamento dei decibel per esprimere qualsiasi concetto di qualsiasi natura, molto usata sopratutto per le attività commerciali) - l’accento e parte del lessico. Una volta, attraversando la strada, sento una signora anziana esclamare ad un’altra (spero di scriverlo giusto) “comprace na vouta!” che al mio orecchio, a prima botta, suonò come “comprasse na voitta!” Apparte questo, son contento del viaggio di oggi, in quanto ho avuto modo di esorcizzare l’impressione infelice avuta i primi due giorni, ma questo perchè la stanza dove mi han collocato sta in una zona industriale e la percezione mi è arrivata un po’ sballata. Fortuna che la mia curiosità mi guida.
19/02/2017 Nel mentre scrivo, quasi giunta mezzanotte, ho deciso di farmi accompagnare dagli instrumental di Clams Casino ed il suo downtempo onirico quanto surreale, servendomi delle sue liquide e fumose atmosfere, le voci (campionate) allucinate e quel pizzico di arroganza hip-hop che ben edulcora i suoi brani. Scelgo di scendere verso le 12 circa e, vista la mia posizione distante rispetto al centro di Lisbona, scelgo una strada propostami da Google Maps, incurante di quanto ci avrei messo (un’ora e mezza). Tralascio la parte percorsa per arrivare lì poichè, apparte qualche cosa bizzarra incontrata per strada (tipo un cavallo solitario vicino la strada.) non succede granchè. Il tutto davvero comincia quando raggiungo l’Alfama, uno dei quartieri più caratteristici e storici di Lisbona, lì dove dicono si incontri la vera gente del posto, lì dove il vero calore portoghese esce e si mette in mostra, a disposizione dei turisti e dei viandanti. Intuendo di essere arrivato lì dove volevo, nel volto più autentico di Lisbona, decido di spegnere il mio lettore mp3 e di dedicarmi totalmente ai suoni e alla quiete di quei posti, facendo come fecero i Red Hot Chili Peppers. Let’s go get lost, let’s go get lost - Road Trippin, Red Hot Chili Peppers, Californication (1999) Vista l’ora di pranzo giunta a quel punto di percorso, scelgo il primo bar all’aperto, situato in una piazza con di fronte il “Museo do Fado”e mi siedo. Aspettando che mi portino da mangiare, colgo l’occasione e mi metto a scrivere, uscendo di zaino un bloc notes mezzo eroso dalla pioggia, una penna e un libro (Lettere d’amore del profeta, di Khalil Gibran a cura di Paulo Coelho). Scrivo testi, solitamente, oppure pensieri sparsi, o anche appunti per questo di testo. Nel mentre scrivo noto la piazza volgere l’attenzione ad un ragazzo con la chitarra ed una ragazza col tamburo. Si presentano e presentano le loro canzoni, musiche tradizionali portoghesi dall’anima malinconica. Lì per lì penso sia quello il famoso “Fado” e, alla prima buona occasione, con i complimenti spesi ai due ragazzi ne approfitto per chiedere se quello fosse il Fado di cui tutti parlano. La ragazza mi dice di no e mi spiega che quel che hanno suonato è una musica tradizionale del nord del Portogallo (probabilmente anche quella denotata come Fado per via delle note malinconica ma lei teneva a far bene la distinzione), mi dice che questa ha uno stampo più politico impegnato e mi consiglia di cercarmi un’artista chiamato José Manuel Cerqueira Afonso dos Santos, in arte Zeca Afonso. Le chiedo poi di spiegarmi cosa fosse quella percussione quadrata che suonava. Si chiama adufe ed è uno strumento a percussione tipico portoghese. Li ringrazio e faccio loro di nuovo i complimenti e torno stavolta a leggere con un buon caffé davanti ed una pipa caricata. Leggendo il libro di Gibran, curato da Coelho, mi colpì un passo che diceva:
Le cose molto grandi possono essere viste solo a distanza
Successivamente si presentò un altro distinto signore di colore, con in mano una chitarra e una buona voce; cantava brani in portoghese ed in spagnolo, attraendo simpatie e applausi dai clienti seduti ai tavoli.
Per le quattro e mezza circa decido di alzarmi e di continuare la mia camminata per le vie e comincio a notare come molte pareti degli edifici siano adornati da mattonelle con decorazioni geometriche e di stile musulmano, sia per colori che forme. Le adoro! Tutte quelle che trovo! Di fatti, se vedrete poi le foto fatte, noterete che una buona percentuale riguardano proprio queste mattonelle, la cui arte viene denominata azulejo.
Una coppia di signori, dandomi indicazioni per la Baixa, mi spiega che tale arte è stata tramandata sia dai musulmani (probabilmente nell’ottavo secolo) sia dalla tradizione Valenciana, che ha esportato la ceramica con questi colori di prevalenza azzurrina. Mi spiegano anche che c’è un museo di tali ceramiche a Lisbona.
Mi sono già segnato il posto: è chiaro che finirò lì dentro
a rubare le ceramiche.
(Queste ceramiche, specie i modelli a mattonella quadrata, mi han fatto venire in mente un progetto artistico, tra l’altro. Ne riparleremo, magari.)
Proseguo per la strada indicatami dai due gentili signori, non prima di fermarmi in una pasticceria e chiedere al tizio quale fosse un tipico dolce portoghese da mangiare. Mi indica il brigadeiro, dolce il cui nome è preso da una famosa università. Un orgasmo fatto di cioccolato. Arrivo in una piazza enorme e piena di negozi e ristoranti (Praça do comércio) per poi spostarmi verso le banchine e ammirare altri artisti di strada tra artigiani della sabbia ed altri musicisti.
Anche con questi attacco bottone e vengo a sapere che loro si chiamano i Nôs Ra��s, progetto musicale nato a Capo Verde e che vanta di un ensemble di otto elementi con strumenti vari ed una cantante, italiana a quanto ho capito. A spiegarmi tutto è stato Mauricio, il frontman, un buontempone dall’aria del sempre preso a bene, che abita in Olanda e che spesso viene qui a Lisbona, vivendo di sola musica. Chiedo anche informazioni riguardo uno strumento a corda simile ad una piccola chitarra. Mi spiega che è simile ad un ukulele e si chiama cavaquinho.
Promettiamo di rivederci, non solo perchè parlare con lui mi ha messo una certa allegria ma anche perchè vorrei comprarlo davvero il loro cd (per ascoltarlo non so dove visto che il lettore cd del mio portatile è rotto ma fottesega). Più vado avanti nella Baixa, più vedo altra gente esibirsi, altri musicisti e altra gente presa a bene.
Se penso al lavoro che devo fare qui e allo stipendio che prima o poi mi tocca, penso che, una volta avuto, ogni mese una percentuale di esso finirebbe per:
- Comprare vinili e cd alle “feira do vinile”
- Campare gli artisti di strada
- Libri antichi
- Mattonelle azulejos
- Sono sicuro c’è dell’altro che ancora non ho visto e che vorrei comprare di sicuro.
Ad un certo punto mi imbatto nel Mercado de Ribeira e decido di fare un salto al Time Out Market che si presenta come un enorme spazio gestito da tante attività culinarie, ognuna con i suoi prodotti tipici. Questo mi ricorda un altro posto, il Copenaghen Street Food, un posto molto figo dove fare le stesse cose, forse un po’ più grande, ma che non mi suscita bellissimi ricordi: Ci ho lavorato. E’ giunto il momento di raggiunge il Bairro Alto, quartiere giovanile, pieno di locali e musica dal vivo e scopro sin da subito che il Bairro... ..è veramente alto! Ogni volta che chiedo indicazioni, la risposta è “en cima, en cima” ed è davvero così. E’ un continuo salire fino ad arrivare ad un punto panoramico davvero magnifico, affollato di ragazzi d’ogni genere che si intrattengono tra chiacchiere, musica improvvisata, balli euforici e foto con il tramonto alle spalle. Qui decido di fermarmi e godermi altre boccate di tabacco prima di proseguire per i dintorni del Bairro. Incontro i Misticu e la loro musica reggae, incontro un gruppo di ragazzi dell’accademia di belle arti, tutti vestiti in tutù e che suonavano per strada. Tra l’altro una di loro si avvicina a me e mi guarda sorridente, io le dico “Boa Tarde!” e lei arrossisce e scappa via. Nel migliore dei casi, lo ha fatto perchè ha inteso come fossi indecente col taglio di capelli che attualmente mi ritrovo. Nel migliore dei casi. Incontro anche altri due ragazzi musicisti, uno ucraino (Andrej) ed uno brasiliano (Diego) e anche con loro è chiacchiere e musica (appagante la loro esibizione di Feel Good Inc. dei Gorillaz assieme ad una cantante che si è aggiunta poco dopo.) Decido di tornare e ripercorro la strada a ritroso. Mi fermo all’Alfama in un piccolo locale dove mi han servito dell’ottima zuppa verde (e ho fatto la cazzata di bere acqua subito dopo. Pirla.) e decido di fare il ritorno costeggiando il rio, tirandomi sul cappuccio della felpa e somigliando ad un incrocio tra una mucca pezzata ed un dalmata abbandonato. Un’altra ora e mezza mi aspetta e stavolta ad accompagnarmi ci sono i Subsonica. Con grande gaudio aspetto i prossimi due loro progetti. Tutto questo, mi ha portato a dire una cosa, benefica come non mai. “Lisbona mi piace!”. Con i suoi colori, i suoi tram, la sua movida, la sua malinconia nascosta tra le nuvole e la sua quiete tra i viali. Con le sue piazze vaste e gremite e i suoi artisti che affollano le strade, con la sua lingua musicale e i suoi azulejos, con i suoi continui dislivelli (di certo ci vogliono buoni polpacci per scegliere di non prendere alcun mezzo di trasporto...) e la gentilezza dei suoi abitanti. E ora finisco di chiudere questo diario. Credo sia un diario. L’unica cosa certa che so e che domani mi aspetta il primo giorno del nuovo lavoro. E già la mia mente è persa alla prossima occasione per tornare all’Alfama, alla Baixa, al Bairro Alto, al Chiado, al Mercato de Ribeira, al centro di Lisbona. Ora posso cominciare a vivere Lisbona.
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“Fernando Pessoa sente le cose, ma non si smuove, nemmeno interiormente”
Se parli di Fernando Pessoa è come ingravidare un prisma. Un lato rimanda all’altro e poi all’altro, dio è un crocevia di specchi, le identità esistono per scomposizione. In un libro appena pubblicato da Quodlibet, Teoria dell’eteronimia, utilissimo – sono raccolti i testi che Pessoa dedica ai suoi eteronimi e i saggi in cui gli eteronimi parlano tra loro, dando avvio a un labirinto di relazioni fittizie – ho contato, nell’elenco in appendice, 46 eteronimi. In un libro pubblicato nel 2013 da Jéronimo Pizarro e Patricio Ferrari, Eu sou uma antologia, invece, gli eteronimi risultano 136. Balocco coi numeri: chi sono quei 90 spettacolari spettri rimasti fuori dalla somma italiana? Amici di amici immaginari, giù, fino a un cavalcavia di nebbie. In effetti, cosa sogna un eteronimo? E se nel sogno di un eteronimo un eteronimo sogna Pessoa?
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Pessoa ha risolto l’egotismo in un polline di identità diffuse. Ha assopito l’io in una caffettiera, per definire i propri indecifrabili io. Mette a servizio la personalità per evacuare le persone che la abitano. Pare un esercizio mistico: al posto di annullare l’ego, decimando la sua autonomia, esiliarlo in sproporzionati alter ego. “Dare a ogni emozione una personalità, a ogni stato d’animo un’anima”, scrive, il creatore, nel 1930.
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Pessoa è un genio tanto particolare – incardinato nella sua Lisbona, a sorseggiare i racconti di Poe – da apparire universale. New Directions ha appena pubblicato The Complete Works of Alberto Caeiro, per la traduzione di Margaret Jull Costa, super esperta di letteratura portoghese (ha tradotto nei mondi inglesi tutta l’opera di José Saramago, tra l’altro). La sua introduzione, ricalcata su “The Paris Review” – e pubblicata qui sotto – gioca a bocce con gli eteronimi, rievoca gli anni di “Orpheu”, il trimestrale fondato da Pessoa con Mário de Sá-Carneiro nel 1915, durato due numeri, emblema di un’epoca in cui si faceva avanguardia nei cafè, negli spazi d’ozio, tra le ombre di una copisteria.
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Di Alberto Caeiro sappiamo quasi tutto. Nato a Lisbona nel 1889, “morto prematuramente nella stessa città, nel 1915, come assicura Ricardo Reis” (cito dal libro Quodlibet), l’anno in cui Pessoa si forza a fondare “Orpheu”. “Di statura media, fragile, anche se in apparenza meno di quanto lo fosse realmente, biondo e con gli occhi azzurri… della sua vita dimessa si sa che è orfano, che non ha quasi ricevuto istruzione, che vive di piccole rendite”. Caeiro fu maestro di Ricardo Reis e di Álvaro de Campos, che ne scrive così: “Il mio maestro Caeiro non era pagano: era il paganesimo… lo stesso Fernando Pessoa sarebbe pagano, se non fosse un gomitolo ingarbugliato dall’interno”. La sua insoddisfazione soddisfatta (“All’improvviso chiesi al mio maestro, ‘è soddisfatto di se stesso?’, e rispose, ‘no: sono soddisfatto’”) era una forma di speculazione mistica. Morì felice: “Non ho mai visto triste il mio maestro Caeiro”.
*
Gli eteronimi di Pessoa sono raffinatissimi pupi in attesa del puparo. Certe didascalie di personaggi meno nitidi, irrisolti, intendo, sembrano i blocchi di partenza di un romanzo. Friar Maurice, ad esempio, “mistico senza Dio, cristiano senza credo”, probabile alter ego di Alexander Search, “il più prolifico eteronimo di lingua inglese” di Pessoa, autore di raccolte come Death of God e Documents of Mental Decadence. Oppure Dr. Gervásio Guedes, che appare per darci una caustica descrizione del popolo inglese, “sonnambuli che camminano verso il precipizio… bambini che giocano a barchette di carta in un pitale”. Oppure il Barone de Teive, figura apocrifa, suicida, invalido – gli mancava la gamba – aristocratico; si ammazzò nel 1920, dal suo manoscritto (“La professione dell’improduttivo”) Pessoa stralciò qualche passo per inserirlo nel Libro dell’inquietudine, il cui autore più importante, tuttavia, è Bernardo Soares, che con Pessoa “condivide lo stesso lavoro, gli stessi posti della città, la stessa solitudine, la passione per lo scrivere… la coincidenza di cenare entrambi alle nove e mezzo di sera”. Insomma, sogno una città di nome “Pessoa” abitata da tutti gli eteronimi del sommo portoghese, desidero un editore visionario che affidi a differenti romanzieri, a casaccio, uno per ciascuno, uno degli eteronimi di Pessoa dicendogli, di questo tizio, ora, scrivetemi la biografia. Immagino la delizia.
*
La cosa curiosa sarebbe assemblare i giudizi e le opinioni che gli eteronimi hanno del loro creatore, Pessoa. Uno pseudonimo non fa che esagerare il nostro ego – un esercito di eteronimi è quasi un esercizio di cannibalismo. “Fernando Pessoa sente le cose, ma non si smuove, nemmeno interiormente”, scrisse di lui, nel 1931, Álvaro de Campos. Questo forse è il carisma di tutti i creatori, una audace, immotivata indifferenza: parlano, e dalle labbra appare un volto, poi una vita in miniatura. (d.b.)
***
La vita di Fernando Pessoa si divide in tre periodi. In una lettera al “British Journal of Astrology”, l’8 febbraio del 1918, lo scrittore ammette che sono solo due le date che ricordi con precisione: il 13 luglio 1893, la data della morte del padre per tubercolosi, quando aveva solo cinque anni, e il 30 dicembre del 1895, il giorno in cui la madre si è risposata, evento che coincide con il trasferimento a Durban, dove il patrigno era stato nominato console portoghese. Nella stessa lettera Pessoa segnala una terza data, il 20 agosto del 1905, il giorno in cui lasciò il Sudafrica per tornare definitivamente a Lisbona.
Il primo breve periodo fu segnato da due perdite: la morte del padre e del fratello minore. La terza perdita fu Lisbona, l’amata. Nel secondo periodo della sua vita, a Durban, Pessoa imparò a parlare con agio in francese e in inglese. Non era uno studente comune. Un suo compagno di scuola ha descritto Pessoa come “un piccolo uomo dalla testa enorme. Decisamente brillante, intelligente, piuttosto arrabbiato”. Nel 1902, sei anni dopo essere arrivato a Durban, vinse un premio per aver scritto un saggio sullo storico britannico Thomas Babington Macaulay. In effetti, passava il tempo libero a scrivere o a leggere, aveva già iniziato a forgiare i suoi alter ego immaginari, o meglio, come li definì più tardi, eteronimi, per i quali è famoso e con cui ha scritto racconti e poesie: Karl P. Effield, David Merrick, Charles Robert Anon, Horace James Faber, Alexander Search… In uno studio recente, Eu sou uma antologia, Jéronimo Pizarro e Patricio Ferrari elencano 136 eteronimi, fornendo biografie e bibliografie di ogni autore fittizio. Di questi eteronimi, nel 1928, scrisse Pessoa, “Sono esseri con una vita propria, con sentimenti che non mi appartengono e opinioni che non accetto. I loro scritti non sono miei, ma a volte lo sono”.
Il terzo periodo della vita di Pessoa iniziò a 17 anni, quando rientrò a Lisbona senza fare mai più ritorno in Sudafrica. Per vari motivi – problemi di salute, scioperi studenteschi, tra gli altri – abbandonò gli studi nel 1907, divenne un visitatore abituale della Biblioteca Nazionale, leggeva di tutto: filosofia, sociologia, storia, in particolare letteratura portoghese. All’inizio visse con le zie, dal 1909 in camere prese in affitto. La nonna gli aveva lasciato una piccola eredità, nel 1909 usò quei soldi per comprare una macchina da stampa necessaria per creare la sua casa editrice, Empreza Íbis. La casa chiuse nel 1910, senza aver pubblicato un solo libro. Dal 1912, Pessoa iniziò a collaborare con varie riviste, nel 1915 fondò la rivista “Orpheu”, insieme a un gruppo di artisti, tra cui Almada Negreiros e Mário de Sá-Carneiro, entrando a far parte dell’avanguardia letteraria di Lisbona, coinvolto in movimenti letterari effimeri come l’Intersezionismo e il Sensazionalismo.
Faceva il traduttore commerciale freelance di inglese e francese, scriveva per i giornali, ha tradotto La lettera scarlatta di Hawthorne, i racconti di O. Henry, le poesie di Edgar Allan Poe. In vita pubblicò poco: un esile volume di poesia in portoghese, Mensagem, e quattro saggi sulla poesia inglese. Quando morì, nel 1935, all’età di 47 anni, lasciò nei suoi bauli fatali (almeno un paio) un tesoro di scritture – circa trentamila pezzi di carta – ordinati grazie all’aiuto di amici e di studiosi, che ne hanno esaltato il genio.
Pessoa viveva per scrivere e scriveva su qualsiasi supporto: pezzi di carta, buste, volantini pubblicitari, sul retro di lettere commerciali, nelle pagine bianche dei libri che leggeva. Attraversò tutti i generi – poesia, posa, teatro, filosofia, critica, politica – sviluppando un profondo interesse per l’occultismo, la teosofia, l’astrologia. Ha elaborato oroscopi non solo per se stesso e i suoi amici, ma anche per molti scrittori, per celebri morti come Shakespeare, Oscar Wilde, Robespierre, oltre che per i suoi eteronimi, un termine adatto – rispetto a pseudonimo – per descrivere con maggiore accuratezza l’indipendenza stilistica e intellettuale di queste creature dal loro creatore. Talora gli eteronimi interagivano tra loro, criticando o traducendo uno il lavoro dell’altro. Alcuni erano semplici abbozzi, altri scrivevano in inglese e in francese, i tre eteronimi lirici – Alberto Caeiro, Ricardo Reis, Álvaro de Campos – hanno scritto in portoghese, producendo, ciascuno, un’opera autonoma, autentica.
Margaret Jull Costa
*In copertina: Fernando Pessoa nel ritratto di José de Almada-Negreiros (1954), tra i cofondatori di “Orpheu”
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All’inizio degli anni 90, il Município da Cidade commissionò a Wim Wenders un documentario sulla città di Lisbona; il regista decise di trasformarlo in un film e nel 1994 uscì Lisbon Story, dedicato a Federico Fellini, che era scomparso l’anno prima.
Io lo vidi l’anno successivo, quando fu presentato al Festival di Cannes 1995, con la mia amica Annapaola. Nel frattempo avevo letto il magnifico libro di Antonio Tabucchi, “Sostiene Pereira” e già da tempo avevo imparato ad amare Pessoa e grazie a questi avevo iniziato a conoscere la Città della Luce.
Ricordo ancora che, quando uscii dalla sala con le note di “Alfama” e la bellissima voce di Teresa Salgueiro, che ancora mi suonavano nelle orecchie, giurai a me stessa: “l’anno prossimo sarò a Lisbona”. La vita mi ha poi portato ad altre scelte e la mia personale Lisbon Story ho potuto viverla solo nel 2018.
Arrivammo in una mite serata di febbraio nell’appartamento che avevamo affittato nel quartiere Mouraria, il cuore multietnico di Lisbona, un quartiere di quelli che si possono trovare solo in una città di mare e di porto; un quartiere speciale, reso perfettamente da Céu da Mouraria, un altro brano della colonna sonora del film, eseguito anch’esso dai Madredeus.
Mouraria, che deve il suo nome al fatto che, in quella parte della città, vivevano gli arabi, o per meglio dire i Mori; è sempre stato considerato una zona popo,lare (per alcuni malfamata ma non sono assolutamente d’accordo), è un quartiere genuino, che non fa l’occhiolino ai turisti e si mostra con le sue rovine e le sue bellezze ed è capace di raccontarsi con scene di vita quotidiana pura e mai falsata.
La mattina iniziamo ad esplorare il nostro quartiere. Ci troviamo in un dedalo inestricabile di terrazze, passaggi angusti, scalette che si inerpicano; i murales che colorano le strade sono bellissimi e intensi, tanti negozietti di merci improbabili si susseguono lungo le stradine disconnesse e i panni, stesi sui balconi, rendono il tutto familiare, casalingo. Procediamo a zonzo senza una meta precisa, perché il primo giorno in una città che non conosciamo deve essere così: dobbiamo annusare il territorio, conoscerlo e farlo nostro; solo dopo, quando sentiremo di farne parte, potremo dedicarci ai siti più famosi e ai monumenti. Come il protagonista di Lisbon story (ma senza il grande microfono) giriamo per le stradine, ne catturiamo odori e rumori: il cigolio del tram, un balcone che si apre, urla di ragazzini che giocano.
Percorrendo rua da Farinhas ci fermiamo a comprare delle empanadas, da Union, le mangeremo alla panchina de Largo São Cristóvão, dove iniziano le scalinate con lo stesso nome. A meno di 200 metri dalla panchina c’è il Castelo de São Jorge, ma oggi non è giornata di musei o castelli, così decidiamo di scendere la scalinata, che è piena di murales bellissimi da fotografare.
Gradino dopo gradino, colore dopo colore, arriviamo in fondo e sotto l’arco ci accoglie la più piccola libreria del mondo.
È la Livraria Simao, circa 3000 libri contenuti in uno spazio di quattro metri quadrati. Il proprietario si chiama Simao Carneiro, è un enologo e chimico appassionato della lettura. Nella libreria c’è posto per una sola persona e per entrare occorre aspettare in fila, ma ne vale la pena: dentro si possono trovare libri di ogni genere, comprese molte guide turistiche, in varie lingue e un intero scaffale dedicato a Pessoa. Il suono delle pagine sfogliate aggiunge una nuova melodia alla nostra Lisbon Story
Ci sono tante bellezze a Lisbona, ma paradossalmente non saranno queste a rimanere nel cuore quando la si lascia; saranno i colori dei murales le stradine che si inerpicano verso angoli improbabili, gli odori, l’intensità della luce del sole e questa minuscola meravigliosa libreria.
Il viaggiatore procede per i vicoli tortuosi, dove le case da un lato e dall’altro quasi si toccano, e lassù dove il cielo è una fessura tra le gronde separate a stento da un palmo o per queste piazzette inclinate dove due o tre scalini aiutano a vincere il dislivello, e vede che alle finestre non mancano i fiori, né le le gabbie con i canarini. (José Saramago)
Una libreria piccolissima nel cuore di Lisbona All’inizio degli anni 90, il Município da Cidade commissionò a Wim Wenders un documentario sulla città di Lisbona; il regista decise di trasformarlo in un film e nel 1994 uscì …
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Fine settimana a Lisbona, eventi 9-11 agosto 2019
Fine settimana a #Lisbona, #eventi 9-11 agosto 2019
Benritrovati a tutti! Rieccoci al nostro consueto appuntamento del giovedì con i miei consigli sugli eventi imperdibili del fine settimana a Lisbona. Prima di cominciare volevo comunicarvi che giovedì 15 e 22 agosto la rubrica non sarà pubblicata perché anche il blog ha bisogno di andare in vacanza. Riprenderò con i consigli giovedì 29 agosto.
venerdì 9 agosto
Cominciamo tranquillamente…
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Fine settimana a Lisbona eventi 1-3 febbraio 2019
Fine settimana a Lisbona eventi 1-3 febbraio 2019
Benvenuto febbario e bentrovati a voi! Siamo giunti ad un nuovo appuntamento con la rubrica settimanale del blog dove condivido con voi alcuni consigli sugli eventi imperdibili del fine settimana a Lisbona. Pronti a prender nota?
venerdì, 1 febbraio
Direi di cominciare con un consiglio goloso, torna il festival del cioccolato nell’arena più famosa della città. O Chocolate em Lisboa si chiama e…
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A Lisbona apre la Libreria Solidale ma non si tratta appena di libri
A Lisbona apre la Libreria Solidale ma non si tratta appena di libri
Lisbona è una città ricca di librerie, vi ho già scritto di quella specializzata in libri di viaggio e della più antica al mondo ancora in attività (leggete qui), giusto per citarne alcune. Oggi però voglio parlarvi di un nuovo progetto sociale, la Livraria Solidária a Carnide. ENGLISH – PORTUGUÊS – FRANÇAIS – ESPAÑOL – DEUTSCH Immaginate una villetta in rua General Henriques Carvalho n.3…
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