#cerimonia insediamento Trump
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Jeff Bezos e Mark Zuckerberg: Donazioni Milionarie per l’Insediamento di Donald Trump
I grandi nomi della tecnologia sostengono la cerimonia presidenziale negli Stati Uniti.
I grandi nomi della tecnologia sostengono la cerimonia presidenziale negli Stati Uniti. Un gesto significativo da parte dei giganti tech. Negli Stati Uniti, il proprietario di Amazon e del Washington Post, Jeff Bezos, ha annunciato una donazione di un milione di dollari per la cerimonia di insediamento del presidente eletto Donald Trump. La notizia, riportata dalla Cnn, segue quella della…
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Il New York Times ha raccontato che il comitato organizzatore della cerimonia di insediamento di Donald Trump, prevista per il 20 gennaio, ha smesso di vendere i biglietti per la cerimonia e gli eventi laterali previsti in quei giorni che stati messi a disposizione dei grandi donatori e delle aziende. Secondo quanto riferito al quotidiano, il comitato ha raccolto oltre 170 milioni di dollari, la cifra più alta mai raggiunta per questo evento nella storia degli Stati Uniti.
È una condizione molto diversa da quella in cui Trump si trovava nel 2017, all’inizio del suo primo mandato da presidente, quando quasi nessun artista o celebrity voleva associarsi a lui e il suo comitato per la cerimonia inaugurale raccolse “appena” 107 milioni di dollari, quasi il 40 per cento in meno. Peraltro la cifra destinata alla cerimonia inaugurale fa parte dei circa 250 milioni di dollari che Trump ha raccolto dal giorno dell’elezione, avvenuta il 5 novembre 2024.
Negli Stati Uniti è del tutto normale che aziende e individui che vogliono in qualche modo ingraziarsi i favori del nuovo presidente donino molti soldi al comitato inaugurale: quello che è inusuale è che lo facciano personaggi come Jeff Bezos e Mark Zuckerberg, i proprietari di Amazon e Meta, che hanno da anni un rapporto ambiguo e a tratti apertamente conflittuale con Trump, e sono stati a lungo vicini ad ambienti progressisti, come buona parte del settore tecnologico statunitense.
Oggi invece sia Bezos sia Zuckerberg hanno donato un milione di dollari ciascuno al comitato inaugurale, comprando sei biglietti per i sei eventi previsti a partire dal 17 gennaio, fra cui la cerimonia di inaugurazione e una molto ambita cena con Donald Trump e sua moglie Melania, prevista per il 19. Meta non aveva donato al comitato inaugurale di Trump nel 2017 – né a quello di Biden nel 2021 – mentre Amazon aveva donato 58mila dollari a Trump nel 2017, e aveva trasmesso in diretta l’inaugurazione di Biden nel 2021 su Prime Video. Farà lo stesso per quella di Trump.
A Bezos e Zuckerberg si aggiungeranno anche il CEO di OpenAI, Sam Altman, ma anche quello di Uber, Toyota, General Motors, e moltissime delle più importanti aziende statunitensi. Sembra che Ford abbia aggiunto a una donazione in denaro anche una serie di propri veicoli in regalo alla nuova amministrazione.
Il desiderio di mostrare il proprio sostegno a Trump – che come noto apprezza queste occasioni di gratificazione personale – è comunque forte a tal punto che, anche una volta esauriti i biglietti, alcuni donatori hanno deciso comunque di donare un milione di dollari senza ricevere per ora nulla in cambio: sono stati messi in una lista d’attesa per la cerimonia e gli eventi laterali, che però sono al completo e difficilmente avranno delle defezioni.
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"Sembra un vecchio signore molto felice che guarda verso il suo brillante e meraviglioso futuro. Fa piacere vederlo cosi'!". Lo ha scritto Greta Thunberg, la leader del movimento dei giovani per il clima, in un tweet in cui ha condiviso la foto del presidente uscente Donald Trump mentre sale a bordo dell'Air Force One, diretto in Florida a poche ore dalla cerimonia di insediamento del suo successore Joe Biden.
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Lui c'è, non ci fa
Trump ha annunciato che non potrà partecipare alla cerimonia di insediamento di Joe Biden perché impegnato alla Casa Bianca con faccende presidenziali. Tuttavia si è detto disponibile a riceverlo più in là, dietro appuntamento.
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Eyes on the world #14
È stata una settimana lunghissima, questa prima di novembre. Un evento l’ha monopolizzata, come potete immaginare, ma c’è stato anche dell’altro, piuttosto rilevante.
Non perdiamoci in chiacchiere, c’è molto da dire. Buona domenica a tutti, benvenuti all’Eyes on the world, capitolo 14 👇
🇺🇸 Una vera e propria maratona ha portato il Democratico #JoeBiden a diventare il 46° presidente degli #StatiUniti d’America. Il verdetto ha richiesto ben quattro giorni, e mentre scrivo il conteggio non si è ancora concluso in diversi stati, ma il risultato è stato reso ufficiale grazie al raggiungimento di un numero sufficiente di #grandielettori. In USA, infatti, non trionfa chi conquista più voti totali, ma si vince in base a quanti “grandi elettori” si ottengono. Ogni stato ne possiede un numero fisso e, chiunque ottenga la maggioranza numerica in ognuno di questi, se ne aggiudica una parte (sui 538 totali). Va da sé che, per ottenere la presidenza, ne bastano 270. JB, in questo momento, è a quota 279, con la vittoria nello stato della #Pennsylvania a sancire il superamento della soglia minima. #DonaldTrump diventa il quarto presidente della storia americana a non riuscire a farsi rieleggere. Anche dal punto di vista numerico, JB ha ampiamente superato DT con 75 milioni a 70,6 finora. Si tratta dell’elezione americana più partecipata di sempre, merito anche della modalità di voto via posta utilizzata a causa della pandemia in corso. Anche per questo, Biden è il presidente più votato nella storia delle presidenziali americane. Il suo successo assume contorni ancora più rilevanti se pensiamo alle vittorie ottenute dai Democratici in stati Repubblicani da decenni. La sua vicepresidente sarà #KamalaHarris, la prima donna nella storia a ricoprire questa carica.
🇺🇸 (2) Non è stato un percorso semplice. Donald Trump ha cercato in ogni modo di influire l’esito delle votazioni con discorsi – spesso prematuri – ai limiti dell’imbarazzante, con tantissime emittenti televisive costrette ad interrompere la programmazione a causa del quantitativo di fake news dette dall’ormai ex presidente: dai brogli senza alcun tipo di prova agli inviti a fermare il conteggio, presto diventati veri e propri meme. Ah, e non dimentichiamo le numerose dichiarazioni di vittoria, con ancora milioni di schede da contare. Anche #Twitter ha avuto il suo bel da fare per limitare il più possibile i suoi tweet fuorvianti. DT ha comunque annunciato l’avvio di numerose cause legali negli stati in bilico, continuando a sostenere – senza prove – presunte irregolarità, voti illegali o spogli truccati. Spesso e volentieri ha sostenuto di non accettare un’eventuale sconfitta. Joe Biden prenderà pieni poteri dal 20 gennaio 2021, quando a #WashingtonDC si terrà la cerimonia di insediamento. Fino ad allora, il presidente continuerà ad essere Donald Trump, e ci sono parecchi dubbi su un passaggio di consegne tranquillo. Nel frattempo, arrivano i complimenti al neo presidente eletto da parte di tutto il mondo: dall’Italia all’India, dalla Germania alla Francia. Tantissime persone in diversi stati (in barba al divieto di assembramenti, ma comprendiamo) sono scese in strada a festeggiare l’avvenimento, convinte del fatto che questo cambiamento possa risollevare le loro sorti. È proprio questo il dilemma più grande: cosa fare adesso? La lista è lunghissima, le emergenze tante. C’è il coronavirus da sconfiggere, un vaccino da trovare, una situazione instabile a livello sociale e un’economia da risollevare. Le prossime date chiave saranno: l’8 dicembre (data ultima in cui gli stati possono certificare il risultato del loro voto); il 14 dicembre (quando i grandi elettori si incontreranno per confermare la scelta); il 6 gennaio (giorno in cui l’attuale vicepresidente Mike Pence comparirà in Senato ad elencare stato per stato i voti dei grandi elettori) e il già citato 20 gennaio. La sfida è ardua, ma se c’è qualcuno che può farcela, al momento, è Joe Biden. Congrats!
🇮🇹 Settimana intensa anche sul fronte coronavirus. In #Italia aumentano le restrizioni, con il nuovo #dpcm emanato dal governo #Conte che ha diviso le regioni italiane in 3 fasce in base alla gravità della situazione epidemiologica. Il territorio è stato suddiviso seguendo 21 parametri tra i quali rientrano l’indice RT, il numero di ricoveri e la % di tamponi positivi su quelli effettuati. Le limitazioni sono entrate in vigore venerdì 6 novembre e le più stringenti riguardano Calabria, Lombardia, Piemonte e Valle d’Aosta (identificate con il colore rosso). La “zona arancione” (livello medio di rischio) coinvolge attualmente la Sicilia (sigh) e la Puglia, mentre il resto d’Italia è considerato “zona gialla”. Nella rossa, le misure sono molto vicine a quelle di un #lockdown vero e proprio, con gli spostamenti consentiti solo all’interno del proprio comune di residenza e per attività strettamente necessarie. Sospese le attività commerciali al dettaglio, eccetto per gli alimentari e beni di prima necessità, mentre restano aperte librerie, farmacie e parafarmacie, tabaccai, edicole, barbieri, parrucchieri e lavanderie. Bar e ristoranti chiusi; per loro solo asporto (fino alle 22) o consegna a domicilio. Il trasporto pubblico proseguirà con capienza dei mezzi ridotta al 50%, mentre tutte le scuole utilizzeranno la d.a.d. tranne quelle per l’infanzia, le elementari e la prima media. Misure più morbide (niente obblighi – nello specifico – ma forti raccomandazioni) per ciò che riguarda le zone arancioni e gialle. Queste misure saranno valide fino al 3 dicembre. Nel frattempo, è stato approvato anche un “decreto ristori bis”, con aiuti economici per venire incontro alle categorie colpite dalla nuova stretta. In Europa, novità ci giungono dalla #Grecia, che proprio ieri (e per le prossime 3 settimane) sarà ufficialmente in lockdown.
🏳️🌈 Alla Camera dei deputati è stato approvato il disegno di legge contro discriminazioni e violenze in base a orientamento sessuale, genere, identità di genere e persone disabili. È più conosciuto come #ddlZan, e ha ricevuto 265 voti a favore, 193 contro e un astenuto. Dovrà adesso passare al Senato, nella speranza che non ci siano grosse modifiche e venga approvato in via definitiva. L’inizio di questo iter cominciò ad agosto, quando le opposizioni fecero oltre 800 emendamenti, probabilmente al fine di ostacolarne l’approvazione. Dopo ulteriori rinvii, si è arrivati finalmente alla giornata di mercoledì. La Commissione Affari Costituzionali ha fatto chiarezza non solo su alcune terminologie utilizzate, al fine di non fare confusione, ma anche su precisi emendamenti, tra cui la libera espressione che non dovrà mai sconfinare nell’istigazione all’odio o alla violenza. In aula, diversi esponenti dell’opposizione hanno parlato di legge “bavaglio” o “liberticida”, lasciandosi andare a dichiarazioni ben più che discutibili. La legge interviene contro una vera e propria emergenza, dal momento che siamo uno dei pochi paesi europei a non avere una legge che difenda adeguatamente i membri della comunità #LGBT+. L’European LGBTI Survey 2020 ha evidenziato come in Italia più del 50% non fa pressoché mai coming out e ben 9 su 10 ritengono che l’Italia non faccia nulla per combattere intolleranza e pregiudizio. Ad aggiungere ulteriori polemiche anche la CEI, la conferenza dei vescovi cattolici italiani, fortemente contraria al decreto.
🇦🇹 Una serie di attentati ha scosso #Vienna nella giornata di lunedì. 4 persone sono state uccise e altre 22 ferite, con un attentatore ucciso dalla polizia e la ricerca di possibili complici durata giorni. Il centro della capitale austriaca è ancora presidiato da numerosi agenti di polizia e dei corpi speciali. Alle 20 di giorno 2 novembre, nei pressi della sinagoga di Stadttempel, un uomo armato di fucile d’assalto e svariate pistole ha iniziato a sparare contro i passanti, spostandosi in almeno 6 zone del centro città. La polizia lo ha ucciso dopo pochi minuti, senza però evitare che 2 uomini e 2 donne perdessero la vita. Secondo le ricostruzioni, l’aggressore è un 20enne di nazionalità macedone e austriaca, già stato condannato a 22 mesi di carcere nell’aprile del 2019. Aveva infatti tentato di andare in Siria per unirsi all’ISIS, ma era stato liberato dopo pochi mesi. Tuttavia, a “fare chiarezza” sull’identità dell’assassino è intervenuto lo stesso Stato Islamico (aka l’ISIS), rivendicando l’attacco e riconoscendo in lui un “soldato del Califfato”. 16 persone sono state fermate e 6 di queste sono state arrestate, con l’accusa di aver contribuito/preso parte all’organizzazione di un gruppo terroristico. 2 moschee legate all’Islam radicale sono intanto state chiuse dal ministro degli interni austriaco Nehammer. Sale il pericolo attentato in tutta l’Europa, con il Regno Unito che ha inasprito il livello di allerta antiterrorismo a “serio”, aspettandosi un attacco “imminente” anche nei propri territori.
🇪🇹 Non c’è pace in #Etiopia, dove Amnesty International ha reso noto che gli scontri etnici non si sono placati. Oltre 50 persone facenti parte del gruppo Amhara (2° più grande del paese) sarebbero state uccise dopo essere state trascinate fuori dalle loro abitazioni e portate in una scuola. Gli artefici? Membri di un gruppo armato separatista noto per rapimenti e attentati. Il primo ministro etiope #AbiyAhmed vinse il premio Nobel per la pace l’anno scorso, dopo aver stretto accordi di pace con l’Eritrea e cercato di democratizzare il paese con delle riforme. Tuttavia, il suo intento non sembra avere ancora portato i frutti sperati, anzi. Il rischio guerra civile è altissimo, dal momento che lo stesso Ahmed ha ordinato all’esercito etiope di attaccare militarmente una delle dieci regioni della nazione, il #Tigrè, dopo che forze fedeli all’esecutivo locale hanno colpito diversi soldati del governo federale. Il tutto è avvenuto nella caserma principale di Macallé, capitale del Tigrè. I primi attacchi aerei sono iniziati giovedì scorso. Le tensioni tra le parti risale ai tempi dell’ascesa al potere dello stesso Abiy Ahmed, che escluse dal governo federale il partito dominante della regione, da decenni una delle forze più influenti della politica etiope.
Non solo elezioni americane insomma, come potete vedere, ma non abbiamo concluso. Menzioni d’onore 👇
- Hashim Thaçi, presidente del #Kosovo, ha annunciato le proprie dimissioni dopo essere stato incriminato per aver compiuto crimini di guerra e contro l’umanità. Si tratta di fatti risalenti alla guerra di indipendenza combattuta contro la Serbia nel 98/99, tra cui: sparizioni forzate, torture e uccisioni nei confronti di serbi, albanesi kosovari e oppositori politici. - Secondo Valery Solovei, ex professore universitario e politologo illustre, #VladimirPutin potrebbe dimettersi a breve per motivi di salute. Certi dettagli sugli ultimi movimenti del presidente russo non sarebbero passati sotto traccia, ma il classico muro eretto dal Cremlino (che ha smentito tutto) rende difficile comprendere quanto di vero ci sia nelle parole di Solovei. Egli afferma che i piani per la successione sarebbero pronti per gennaio.
- Ennesimo caso di possibili brogli elettorali, stavolta in Georgia. Il partito Sogno Georgiano, in carica dal 2012, ha vinto le elezioni legislative con il 48% dei voti proporzionali e grandi contestazioni da parte dell’opposizione, che ha invitato il popolo a ribellarsi. Anche secondo diversi osservatori locali ci sono state parecchie irregolarità. Discorso simile anche in Costa d’Avorio, con Alassane Ouattara eletto per la terza volta con il 94% delle preferenze e le opposizioni che hanno boicottato le elezioni tenutesi sabato scorso. - Sembra finito l’incubo coronavirus in #Australia: la scorsa domenica, nella regione più colpita del paese (oltre 90% dei contagi totali) non è stato registrato nessun caso/decesso per la prima volta dopo quasi cinque mesi. - 7 esponenti dell’opposizione (tra i quali 4 parlamentari) sono stati arrestati a #HongKong nell’ambito delle proteste dello scorso maggio nel parlamento locale. In quella circostanza, si è cercato di impedire la nomina di un politico molto vicino al governo cinese come presidente di una commissione deputata a decidere quali leggi dovessero essere discusse in parlamento. - Dopo un cammino partito a febbraio e interrotto a causa della pandemia, si è concluso il 6 Nazioni di rugby. Vittoria per l’Inghilterra (per differenza punti) e ultimo posto – senza vittorie né punti – per l’Italia. - Associated Press ha riportato come sia in atto la moderazione di alcune leggi islamiche in vigore negli #EmiratiArabiUniti. Le coppie non sposate potranno vivere assieme e saranno meno severi i divieti riguardo consumo, possesso e vendita di alcolici. È probabile che queste modifiche siano dovute a una maggiore apertura al turismo, in virtù anche dell’EXPO 2021 che andrà in scena nella capitale Dubai. - Muore a 72 anni Stefano D’Orazio, storico batterista dei Pooh. È stato Roby Facchinetti ad annunciarlo. - L’ISIS colpisce Kabul (Afghanistan). Almeno 22 persone sono morte durante un attacco terroristico nella più grande università dello stato. Uno dei 3 autori si è fatto esplodere, mentre gli altri due sono stati uccisi dalla sicurezza.
- Attraverso un referendum popolare, lo stato dell’Oregon (USA) ha depenalizzato il possesso e il consumo di piccoli quantitativi di droghe come eroina, metanfetamina, cocaina e LSD. Adesso si rischia una multa da 100$ o di dover seguire un programma di recupero. L’obiettivo è ridurre le conseguenze penali per i piccoli consumatori ed evitare di intasare il sistema giudiziario americano. - La #Danimarca ha annunciato che presto saranno uccisi tutti i #visoni di allevamento del paese dal momento che, tra essi, si è sviluppata una mutazione del coronavirus (già trasmessa a diverse persone). Parliamo di milioni di esemplari, che si pensa possano interferire con l’efficacia dei futuri vaccini, e del secondo paese al mondo per esportazioni di pellicce di questo genere. - Sale a oltre 150 morti il bilancio causato dalle forti tempeste tropicali in #Guatemala. Eta, come è stata ribattezzata, ha provocato frane e inondazioni, intrappolando persone all’interno delle loro case. Si teme che adesso possa raggiungere Cuba e, in seguito, la Florida. - La #F1 sbarca in Arabia Saudita. Nella stagione 2021 sarà Gedda ad ospitare un Gran Premio “cittadino” in notturna nel mese di novembre. - Lo scorso mercoledì, #DiegoArmandoMaradona è stato operato al cervello a La Plata (Argentina) per rimuovere un ematoma subdurale, provocato presumibilmente da un incidente domestico. La leggenda del calcio ha da poco compiuto 60 anni. - La Cina ha rinunciato, al momento, a quotare in borsa l’azienda Ant Group, come avevamo annunciato la settimana scorsa. Il motivo? Una segnalazione fatta al proprietario Jack Ma da parte della borsa di Shangai riguardo “cambiamenti normativi della tecnologia finanziaria”. - Ora è ufficiale: la stagione 20/21 dell’NBA partirà il prossimo 22 dicembre. - Nuovo capitolo della querelle #JohnnyDepp – Amber Heard. L’attore ha dichiarato di aver rinunciato (su richiesta della Warner Bros) a prendere parte ai prossimi film della serie Animali Fantastici, dopo aver partecipato ai primi due capitoli. L’invito della Warner arriva dopo la causa persa dallo stesso Depp per diffamazione contro il Sun, che lo aveva accusato di violenza sulla ex moglie.
Alla prossima 👋
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"L'Inauguration Day" tra polemiche e tradizione
“L’Inauguration Day” tra polemiche e tradizione
Quest’oggi, 20 gennaio, Donald Trump diventerà a tutti gli effetti il presidente degli Stati Uniti d’America. L’evento è strettamente legato alla cerimonia di insediamento che come ogni anno, oltre a svariati eventi, prevede un giuramento da parte dell’eletto. L’insediamento del presidente degli Stati Uniti è una cerimonia indubbiamente ricca di significati storici, ma anche di sfarzo e…
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per noi Deploraball only
se desiderate seguire live la cerimonia di insediamento di Trump (orange is the new black), è qui: https://www.youtube.com/watch?v=SjxV44KjTbc -
astenersi informatissimi intelligentoni pol.corr a rischio travaso di bile (o addirittura di vedere la faccia schifida dell’odio che si portano dentro, se qualche protestante emergesse o peggio)
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Cosa pensa davvero Trump di rinnovabili e ambiente
Cosa pensa davvero Trump di rinnovabili e ambiente
Non era ancora terminata la cerimonia di insediamento del presidente Trump, che dal sito della Casa Bianca era sparita la pagina dedicata al cambiamento climatico realizzata dalla precedente amministrazione ed era comparsa la nuova strategia energetica americana: “An America First Energy Plan”.
Qui la parola “America” è ripetuta 11 volte su un totale di 366 parole. Si dice chiaro e tondo che le…
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La cerimonia di insediamento di Donald Trump è stata accompagnata da imponenti marce femministe e antisessiste. La settimana successiva, dopo la decisione di bandire l’ingresso ai cittadini di alcuni stati a prevalente religione musulmana e quella di sospendere l’accoglienza ai profughi, manifestazioni di protesta si sono svolte nei principali aeroporti statunitensi. Il “muslim ban” prevede il blocco per almeno 90 giorni degli ingressi da paesi giudicati tout court a “rischio terrorismo islamico”: Siria, Sudan, Libia, Somalia, Yemen, Iran e Iraq. Iran e Iraq hanno replicato attuando un provvedimento analogo nei confronti dei cittadini statunitensi. L’Arabia Saudita, il paese da cui provenivano quasi tutti gli attentatori dell’11 settembre, è invece stata esclusa dalla bad list del presidente. Stretta pesante anche sul programma di accoglienza per i rifugiati: un blocco di 120 giorni dei visti, definiti dalla Casa Bianca “necessario per riesaminare” (in senso restrittivo) i meccanismi di accoglienza. Le proteste hanno attraversato il paese da New York a Los Angeles fin sotto alla Casa Bianca con lo slogan “no al bando no al muro”. Il “muro” è la nuova barriera che Trump vuole realizzare al tra Usa e Messico. La protesta ha invaso soprattutto gli aeroporti di 57 città Usa dove decine di migliaia di persone hanno espresso solidarietà alle centinaia di viaggiatori che sono stati bloccati dal mandato esecutivo di Trump, che, avendo decorso immediato, ha incastrato negli aeroporti moltissime persone prese alla sprovvista. Donald Trump è riuscito a catalizzare un vasto fronte di opposizione sociale che aveva disertato le urne, ma non intende disertare le piazze. Anzi. Il licenziamento del ministro della giustizia, ribelle alle imposizioni di Trump in materia di immigrazione, e la nomina di Steve Bannon, un suprematista bianco al consiglio di sicurezza del presidente, sono le ultime mosse di un uomo deciso a realizzare a testa bassa il proprio programma protezionista, di chiusura delle frontiere, di guerra aperta alle libertà femminili, di discriminazione nei confronti delle forti minoranze non bianche del paese.
Ascolta la diretta dell’info di radio Blackout con con Robertino, un compagno che conosce bene la situazione e i movimenti negli States, che ha tracciato un quadro delle forze politiche e sociali scese in campo in questi primi dieci giorni di presidenza di “The Donald”. Di seguito un articolo di Robertino uscito sul settimanale Umanità Nova
#DisruptJ20
Sabato 21 gennaio il primo giorno della presidenza di Donald Trump è stato salutato dalle proteste di milioni di persone che hanno partecipato alla “Marcia delle donne”. La manifestazione principale è stata quella di Washington a cui hanno partecipato almeno 250mila persone secondo la polizia (ma più di mezzo milione secondo le organizzatrici), ma ne sono state organizzate altre 672 in tutto il mondo, di cui più di cinquecento solo negli Stati Uniti, con tra l’altro più di 150mila manifestanti a Chicago e più di 100mila a Boston. Settantacinque ci sono state in Europa, con cortei che hanno raccolto decine di migliaia di persone a Londra, a Parigi, a Berlino, a Madrid e ad Amsterdam. A Sydney sono state circa 3mila le persone che hanno marciato dal parco di Hyde fino al consolato americano, mentre in Nuova Zelanda, si erano raccolte dinanzi al consolato americano e nelle strade di Auckland circa 2mila persone. Anche una squadra di ricercatori che attualmente si trovano nell’oceano Antartico ha aderito alla Women’s March. La Marcia Delle Donne è stato solo l’ultimo atto delle proteste che hanno accompagnato l’elezione di Trump da quando il miliardario ha annunciato la sua partecipazione alle primarie repubblicane. Le proteste si sono naturalmente intensificate dopo la sue elezione a presidente con decine di manifestazioni grandi e piccole che si sono tenute praticamente ogni giorno nelle località più disparate degli Stati Uniti. Leggendo gli annunci pubblicati sui siti, non si poteva non notare che la maggior parte delle proteste locali erano organizzate da piccole coalizioni di “movimento” che comprendevano sezioni sindacali, associazioni ambientaliste e per i diritti civili, attivisti di Black Lives Matter e dei movimenti per il salario minimo e per la legalizzazione della cannabis e gruppi anarchici e della sinistra radicale, qualche volta i Verdi mentre quasi mai i Democratici, le associazioni più vicine a loro o i loro “alleati”. Dal giorno dopo le votazioni le proteste non si sono mai interrotte fino all’Inauguration Day del 20 gennaio quando il passaggio di consegne alla Casa Bianca è stato accompagnato da scontri ed azioni di protesta contro il corteo presidenziale poco partecipato, ma super protetto dalla polizia che ha caricato duramente i manifestanti col lancio di migliaia di candelotti lacrimogeni ed ha effettuato 257 arresti. I democratici si sono fatti rivedere alla manifestazione di Washington della Marcia Delle Donne dove sul palco hanno parlato le icone della cultura progressista Made in Usa come il regista Michael Moore, ma anche la sindaca di Washington Muriel Bowser tutti indossando, come moltissimi altri uomini e donne, un berretto fucsia chiamato pussy-hat (cappello-figa) che è diventato il simbolo della protesta anti-Trump. Per chi crede ai poteri dei social network e a quello che scrivono i giornali, l’idea della marcia sarebbe stata di Teresa Shook, avvocato delle Hawaii in pensione, che aveva lanciato l’appello su Facebook: “E se le donne marciassero a Washington durante l’investitura?”. Insomma, una cornice abbastanza pop e buonista che ha permesso di farsi rivedere in giro anche ai Democratici che nei due mesi che hanno separato l’elezione di Trump dal suo arrivo alla Casa Bianca hanno accettato il risultato senza fare uno straccio di ricorso, a differenza di quello che era successo nel 2000 con Al Gore che aveva perso contro Bush pur avendo preso mezzo milione di voti in più: E, sopratutto, non hanno fatto nulla di quello che avrebbero potuto fare per contrastarlo (ad esempio, nonostante un appello firmato da 6 milioni di persone, i senatori democratici negli ultimi giorni in cui avevano la maggioranza al Senato si sono rifiutati di nominare un nuovo giudice progressista alla Corte Suprema).
Donald Trump, che il 20 gennaio è diventato il presidente degli Stati Uniti (in teoria l’uomo più potente del mondo), come ha detto Stephen King, è “la perfetta rappresentazione di un incubo diventato realtà”. Misogino, autoritario, miliardario figlio di miliardario, costruttore colluso con la mafia italo-americana, amico di Putin e ammiratore del presidente-killer filippino Duterte, talmente famoso per le sue sfuriate e per perdere il controllo che è diventato il protagonista di un talk show televisivo in cui lo spettacolo era lui che alla minima occasione faceva le piazzate. Dopo aver tentato una carriera da attore che gli ha fruttato solo decine di piccole e piccolissime parti in film da lui stesso finanziati, per diventare Presidente degli Stati Uniti ha avuto l’appoggio di un’inedita alleanza di estrema destra che va dai complottisti e dai negazionisti del clima ai suprematisti bianchi, dai sudisti del Ku Klux Klan agli intellettuali scimmiottatori della destra europea di Zero Hedge e della National Policy Foundation (dove l’elezione di Trump à stata festeggiata a colpi di Sieg Heil e saluti romani). Ha preso quasi tre milioni di voti in meno della sua avversaria (che, come avevano puntualmente previsto i sondaggi, ha vinto il “popular vote” col 2,5% in più), ma ha vinto le elezioni dopo aver conquistato la maggior parte degli Stati. Alcuni giorni dopo la vittoria di Trump, il New York Times ha pubblicato “The Map of Two Americas” che fotografa spietatamente contea per contea quella che il quotidiano newyorkese definisce “la più grande divisione politica all’interno degli Stati Uniti dalla fine della Guerra Civile”. Le aree dove ha vinto Trump corrispondono al 85% del territorio americano. Nelle aree dove ha vinto la Clinton, però, vi vive il 54% della popolazione statunitense e vi viene prodotto il 72% della ricchezza nazionale con un reddito medio di 55-60mila dollari l’anno contro i 36-42mila dellaTrump’s America. Trump è un presidente impopolare che nel giorno del suo insediamento ha subito anche l’onta di venire accompagnare alla Casa Bianca dal corteo presidenziale più striminzito di sempre, peraltro dopo aver annunciato ai quattro venti che sarebbe stata la più grande manifestazione della storia americana. Al tempo stesso è, però, forte dell’appoggio di un’estrema destra aggressiva e militante dentro e fuori degli Stati Uniti che ha l’occasione di riassettare l’orologio della storia. Per questo oggi, ad essere in prima fila nelle proteste contro Trump non ci sono tanto gli elettori della Clinton (se non in parte alle educate manifestazioni della Women’s March) quanto i movimenti. A partire dalla seconda metà degli anni negli Usa è iniziato un lungo e ininterrotto processo di radicalizzazione che è partito dalle delusioni per la presidenza Clinton (che avrebbe dovuto chiudere l’era reaganiana e che invece ha segnato la sua presidenza coi trattati internazionali neoliberisti, la guerra del Kosovo e la legge dei tre colpi che condanna all’ergastolo i responsabili recidivi di reati minori) e che ha affrancato i movimenti dalla politica istituzionale. A partire da Seattle nel ‘99 gli Stati Uniti sono stati attraversati da mobilitazioni di massa come Occupy Wall Street e Black Lives Matter, ma anche da una miriade tanto di lotte locali per fermare lo scempio ambientale, quanto di vertenze di lavoro e sindacali e di iniziative incentrate su singoli temi come il movimento per la legalizzazione della cannabis o quello per il salario minimo di quindici dollari l’ora. Negli anni molte di queste lotte hanno prodotto anche dei risultati importanti, di cui la più recente e significativa è stata quella degli attivisti Sioux che dopo tre mesi di scontri durissimi a Standing Rock sono riusciti ad ottenere il blocco dell’oleodotto Dakota Access Pipeline. Nella stessa notte in cui Trump ha vinto le lezioni sono stati approvati i referendum per la legalizzazione della marijuana ad uso ludico in California, Maine, Massachusetts e Nevada, mentre in Florida, Arkansas, North Dakota e Oklahoma sono state approvate quattro proposte per rendere legale la produzione e l’accesso alla cannabis ad uso terapeutico. In California e nell’Oregon sono stati approvati invece referendum sul salario minimo che grazie a scioperi e mobilitazioni è già in vigore in molti stati e contee. Tutte queste conquiste con l’arrivo di Trump potrebbero facilmente saltare. Il Dakota Access come altri oleodotti è stato bloccato con decreti dell’amministrazione Obama che possono essere facilmente annullati dalla nuova amministrazione Trump. Allo stesso modo Trump può intervenire contro gli Stati dove ora la marijuana è legale, visto che per le leggi federali è ancora proibita. Trump promette inoltre di fare una legge federale che proibisca accordi sul salario minimo a livello locale o per contratto nazionale. Per far capire di che pasta è fatto, nel suo primo giorno da presidente Trump ha fatto sparire dal sito della Casa Bianca le pagine sui diritti civili, il cambiamento climatico e i diritti Lgbt. La sezione sul cambiamento climatico è stata sostituita da An American First Energy Plan, in cui non si parla di clima e si afferma che il presidente “è impegnato a eliminare le politiche non necessarie e dannose come il Climate Action Plan”. La pagina sui diritti civili è stata rimpiazzata dalla sezione Standing Up for Our Law Enforcement Community, in cui i timori su come la polizia agisce vengono sostituiti dalla richiesta di aumentare il numero delle forze dell’ordine.
Alla fine del 1983 la rivista americana High Times (all’epoca la più importante pubblicazione del mondo dedicata alla cannabis culture) ripubblicò col titolo “One Million Of Prisoners Ago”, cioè “Un milione di detenuti fa”, l’editoriale con cui nel marzo del 1982 aveva commentato le dichiarazioni del Presidente Reagan in cui aveva annunciato una nuova fase della “war on drugs” segnata da una politica di “tolleranza zero” nei confronti di tutte le sostanze proibite ed in particolare della marijuana. Secondo High Times, questa politica sarebbe stata un fallimento anche e semplicemente perché questo avrebbe significato raddoppiare il numero dei detenuti e nelle carceri americane (che alla fine del 1981 ospitavano poco meno di 400mila persone) non ci sarebbe stato posto per così tanta gente. La realtà, però, superò presto le peggiori previsioni e a settembre dell’anno dopo c’erano un milione di persone in più in galera e, visto che le prigioni erano sovraffollate erano state riaperte quelle che erano state chiuse, i vecchi manicomi e in Texas e in Arizona persino i campi di concentramento utilizzati durante la Seconda Guerra Mondiale. Così High Times decise di ripubblicare l’articolo originale a monito di quanto sia sbagliato sottovalutare le minacce anche quando potrebbero sembrare improbabili. L’articolo di High Times è stato spesso citato nei siti e nelle pubblicazioni “di movimento” statunitensi in queste settimane dopo l’elezione di Donald Trump che per la sua presidenza ha promesso di fare molto di peggio di quello che ai suoi tempi era riuscito a fare Reagan. Per non riportare indietro un’altra volta l’orologio della Storia, i movimenti statunitensi stanno scendendo in campo contro Trump in uno scontro di cui non è possibile prevedere l’esito ma che comunque sarà fondamentale per il futuro degli Stati Uniti e non solo.
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Sgarbi e le sue performance di insulti
Le performance di Vittorio Sgarbi funzionano, eccome se funzionano. Ed il suo mood è trasversale.
Va alla grande sul web dove prende di mira personaggi a vario titolo, va alla grande in Tv senza mai cambiare rotta. Attente analisi di situazioni accadute e poi valanghe di insulti. Memorabile l’attacco al trio de “Il volo” definiti dal critico d’arte “tre coglioncelli inutili” a seguito, a detta di Sgarbi, di un fantomatico invito rifiutato dal trio per l’insediamento del nuovo presidente Americano Donald Trump. Da questa vicenda ne è nato un botta e risposta in cui sembrerebbe – perchè fatto pervenire dal gruppo musicale ad una TV – esistere un documento in cui si attestava l’invito ad esibirsi alla cerimonia di insediamento di Trump, inviato dallo staff del futuro Presidente americano. Qualcuno però ha sostenuto si tratti di un documento fasullo. E via con la polemica…
Ultima vittima in ordine di tempo Virginia Raggi. Vittorio Sgarbi si cimenta in questo specifico caso in una delle sue memorabili performances televisive a base di sfottò e turpiloqui vari. Stavolta come detto, il suo obiettivo è la prima cittadina romana, alla quale non risparmia proprio nulla. Che non sia Sgarbi un suo sostenitore era ormai assodato, e lo si capisce da alcuni video circolati in facebook sempre con protagonista il critico d’arte in veste di mattatore, ma che ne facesse la caricatura è una novità. Sgarbi, ospite della trasmissione ‘Piazza Pulita‘ (La7), è tornato ad attaccare la sindaca di Roma Virginia Raggi con il suo consueto piglio polemico. Dopo aver soprannominato la Raggi “la nuova Ambra Angiolini“, Sgarbi ha poi improvvisato in studio una sua imitazione lasciandosi scappare anche un insulto: “Una che, appena fa una cosa, dice: ‘L’ho comunicato a Beppe, l’ho detto a Beppe’, ma vaff…“.
Occhi puntati quindi sul critico d’arte ed al suo prossimo obbiettivo da bersagliare a colpi di sfottò ed insulti vari, perchè nonostante tutto, Vittorio Sgarbi pare funzionare solo così.
#critico d'arte#il volo#insulti#la7#movimento 5 stelle#ospite#Presidente americano#sindaco di roma#trump#virginia raggi#Vittorio Sgarbi
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George W. Bush, problemi con la mantellina all'insediamento di Donald Trump
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CNN ha realizzato una foto interattiva da 1 gigapixel per l'insediamento di Trump La cerimonia di insediamento del nuovo Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, è stata immortalata dalla CNN in una serie di scatti utilizzati per comporre un'immagine fuori dal comune.
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Caitlyn Jenner: "Sì, parteciperò alla cerimonia di insediamento di Donald #Trump" - https://t.co/IV5pP6xBvF via @gayit
Caitlyn Jenner: "Sì, parteciperò alla cerimonia di insediamento di Donald #Trump" - https://t.co/IV5pP6xBvF via @gayit
— Gay.it (@gayit) January 13, 2017
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Jackie Evancho: la cantante di Donald Trump
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Il 20 gennaio segnerà un traguardo importante per questo nuovo anno, di sicuro per Jackie Evancho. Si terrà infatti la cerimonia di insediamento in cui l’attuale presidente in carica Barack Obama passerà il testimone al neo eletto Donald Trump. Tra preparazioni e vari progetti però, il vero focus di questo evento è stato incentrato sui vari artisti che hanno negato e declinato la partecipazione…
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Sgarbi contro il Volo: Non cantano per Trump? Teste di c...
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Vittorio Sgarbi torna a pubblicare uno dei suoi ormai celebri video di polemica. Nel mirino questa volta c'è il trio canoro il Volo, reo di essersi rifiutato di cantare per la cerimonia di insediamento del presidente eletto Usa Donald Trump, definito "xenofobo e razzista" (guarda il filmato)."Li ho conosciuti da piccoli e avevano solo il desiderio di diventare famosi – ringhia il critico su…
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