#biografie romanzate
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pier-carlo-universe · 14 days ago
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L'armonia segreta di Geraldine Brooks: Un Viaggio nell'Età del Ferro attraverso la Vita di Re Davide. Recensione di Alessandria today
Un ritratto affascinante e intenso di uno dei leader più enigmatici della storia biblica
Un ritratto affascinante e intenso di uno dei leader più enigmatici della storia biblica Un romanzo che riporta in vita l’epoca antica “L’armonia segreta” di Geraldine Brooks è un’opera straordinaria che si addentra nelle pieghe dell’Antico Testamento, ricostruendo la vita di Re Davide, figura leggendaria e complessa dell’Età del Ferro. Con una scrittura potente e coinvolgente, Brooks combina…
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iannozzigiuseppe · 1 year ago
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"Il male peggiore" di Giuseppe Iannozzi. Rassegna stampa
Il male peggiore. Storie di scrittori e di donne Giuseppe Iannozzi «Quando si ama qualcuno c’è sempre un problema.» Il parere di critici, scrittori, lettori Breve estratto da Il male peggiore. Storie di scrittori e di donne: Chaplin aveva strappato Oona O’Neill dalle braccia di Salinger; e lui, Giacobbe, non era né l’uno né l’altro, ma Liliana si era portata via da lui […] In fondo Salgàri si…
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carmenvicinanza · 2 years ago
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Annemarie Schwarzenbach
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Annemarie Schwarzenbach scrittrice, giornalista e fotografa svizzera ribelle e anticonformista.
Una vita breve ma vissuta intensamente come forma d’arte in tutte le possibili declinazioni.
Fortemente androgina, apertamente lesbica, ribelle e contrastata, è stata una delle protagoniste della vita culturale bohémien mitteleuropea tra la prima e la seconda guerra mondiale.
Ha travalicato frontiere sociali, geografiche e di genere. Aristocratica in conflitto con il suo milieu, viaggiatrice pionieristica tra oriente e occidente, eterea presenza in bilico tra maschile e femminile, tra lucidità e follia, tra vita e morte. Capelli corti, occhi chiari perduti nei paradisi della morfina di cui era dipendente, abbigliata sempre come un uomo per circolare indisturbata e da sola in luoghi inesplorati, è stata molto emulata per il suo grande stile.
Nata a Zurigo il 23 maggio 1908 in una delle più ricche famiglie industriali dell’epoca che aveva forti simpatie naziste, aveva studiato storia a Parigi e poi a Zurigo dove ha conosciuto Erika e Klaus Mann, figli del famoso scrittore Thomas, le cui idee libertarie l’hanno molto influenzata spronandola a intraprendere la carriera di scrittrice.
Nel 1931 ha pubblicato il suo primo romanzo, Gli amici di Bernhard a cui sono seguiti molti altri, scritti durante i suoi lunghi viaggi e mentre si dedicava anche alla carriera di giornalista e fotoreporter in giro per il mondo.
Attiva nella Resistenza contro Hitler, fin dal 1933, ha partecipato a campagne di scavi archeologici in Oriente, soggiornando per lunghi periodi in Siria e in Iran.
Nel 1935, a Teheran, ha sposato Achille Clarac, diplomatico francese omosessuale, forse per proteggersi a vicenda e acquisire il passaporto diplomatico.
Ha anche realizzato diversi servizi giornalistici e fotografici in giro per gli Stati Uniti.
L’avventura rimasta epica è stata quella intrapresa con l’amica etnologa e fotografa Ella Maillart nel 1939. Partite in automobile, per raggiungere l’India, si fermarono a Kabul, in Afghanistan, a causa dello scoppio della seconda guerra mondiale. Da questa incredibile esperienza la sua compagna di viaggio ha tratto il libro La via crudele. Due donne in viaggio dall’Europa a Kabul.
Annemarie Schwarzenbach è morta a soli 34 anni per le conseguenze di un incidente in bicicletta il 15 novembre 1942.
Rimasta nell’oblio fino alla fine degli anni novanta, la sua opera letteraria e giornalistica è diventata oggetto di traduzioni e riedizioni. Alla sua figura sono state consacrate biografie documentarie o romanzate, come quella di Melania Mazzucco in Lei così amata (Rizzoli, 2000).
Nella Biblioteca Nazionale Svizzera di Berna sono conservati i suoi manoscritti, la corrispondenza e i lavori giornalistici sopravvissuti alla distruzione da parte di sua madre e sua nonna oltre a circa settemila fotografie che documentano i suoi diversi viaggi.
La sua affascinante figura ha ispirato vari documentari e film.
Numerosi i suoi libri tradotti in italiano tra cui: I miei occhi sul mondo. Scritti di viaggio, Sybille, Oltre New York. Reportage e fotografie 1936-1938, La notte è infinitamente vuota, Tutte le strade sono aperte. Viaggio in Afghanistan, 1939-1940, Gli amici di Bernhard, Dalla parte dell’ombra, Morte in Persia, Fuga verso l’alto, Ogni cosa è da lei illuminata e La valle felice.
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ivanahimmelreich · 4 years ago
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Die Entdeckung der Unendlichkeit: Eine romantisierte Version des Lebens von Stephen Hawking
Die Entdeckung der Unendlichkeit (2014) ist eine romantisierte Biografie Stephen Hawkings, der renommierte Naturwissenschaftler und Physiker. Der Fokus des Films liegt auf der Romanze zwischen Hawking und seiner ersten Ehefrau, Jane Wilde, die sich während Hawkings Studium an der Cambridge University in 1963 kennenlernten. Während sich der 21-jährige Stephen Hawking mit Phänomen der Zeit und dem Ursprung des Universums beschäftigt und Jane immer näher kommt, erleidet er einen Schicksalsschlag: er wird mit der degenerativen Nervenkrankheit ALS diagnostiziert. Die zuständigen Ärzte geben ihm noch zwei Jahre zu leben. Nach einer anfänglichen Depression schafft es Hawking, durch schiere Willenskraft und mit der Hilfe Janes, kurz darauf seine Ehefrau, den immer größer werdenden körperlichen Einschränkungen zu trotzen und mit bahnbrechenden Forschungen über das Universum in die Geschichte einzugehen. 
Der Film erzählt auf inspirierende Art und Weise von Lebensmut, Weisheit und Liebe, allen Hürden zum trotz. Eddie Redmayne gewann für seine brillante Darstellung Hawkings den Oscar für „Bester Hauptdarsteller“. Hawking starb vier Jahre später, im März 2018. Sein Buch „Eine kurze Geschichte der Zeit“ verkaufte sich weltweit über zehn Millionen Mal.
★ ★ ★ ★ ★ 
 Ivana
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pangeanews · 5 years ago
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“Ogni scrittura è apocrifa. Sono sbalordita nel vedere tanti romanzi inoffensivi nelle librerie, privi del rischio di ardere”: una lezione di Ingeborg Bachmann
Una lezione di Ingeborg Bachmann (1947), dal titolo originario “La febbre e il limite”, in difesa della scrittura apocrifa, perché sia realmente “questione di vita e di morte trascrivere voci”.
*
Signore e signori,
sono qui ancora una volta a parlarvi di scrittura. Non di commemorazioni, convegni, centenari, bicentenari, genetliaci, riscoperte postume, ma della scrittura.
E allora comincerò a dirvi la mia verità: ogni scrittura è apocrifa. Ogni scrittore, in quanto opera nel segreto del suo spirito, è apokriphos, segreto, e il suo apprendistato si esercita con una lingua scritta e consumata nei secoli da altri scrittori, vissuti prima di lui e alla ricerca della loro anima. Cosa significa tutto questo? Che lo scrittore, proprio perché è autentico, si abbevera alla fonte da cui altri hanno già bevuto. Non vi sembra straordinario e contraddittorio? Una sincerità dell’anima che si basa su una forma di vampirismo? A me sembra splendido e assoluto. Dirò di più: inevitabile.
La scrittura, quando espelle i suoi prodotti letterari, diventa quello che deve essere: un’etica del pensiero, una direzione del sentire: una forza che ci strige lì, nel regno della parola a sperimentare, in modo scandaloso, l’inadeguatezza dei nostri strumenti. Ma ognuno canta con la sua voce, indossa la sua maschera, cammina con il suo passo. Ed è osando il proprio tono e non un altro, preso a prestito dalle tradizioni della letteratura, che la scrittura smette di essere inoffensiva e diventa energia pulsante e trasgressiva, diagramma spezzato di una febbre.
Anche un romanzo di successo, con le sue psicologie logore e i suoi paesaggi dèja vus, è apocrifo perché un autore inventa comunque un personaggio altro da sé: comico è il sussiego con cui le azioni e i pensieri del tronfio protagonista sono descritti dall’occhio vanesio dell’io scrivente come tappe esemplari dello sviluppo di una verità. Divagazioni impressioniste, biografie romanzate, cronache giornalistiche, resoconti storici: stupisce la volgare sicurezza con cui la scrittura pretende di dipanare, risolvere, classificare, con l’Autorità della scrittura.
Ma, dentro questa ridicola autorità si può essere scrittori? Si può realmente evitare, nel momento in cui si dice io, l’identificazione allucinatoria con il personaggio che osa dire io? I veri poeti sentono questa folle adesione a una forma di bellezza e scrivono un’opera poetica sempre coerente, non casuali raccolte di versi.
Sono sbalordita nel vedere tanta scrittura dilapidata nelle librerie, inoffensivi esercizi stilistici, trattati di cucina e di ginnastica, pamphlets sulle regole del benessere, e quanto l’utopia della letteratura, il rischio di ardere delle proprie parole, il gettarsi allo sbaraglio con lo scopo di trasformare, influenzare, mescolare passati e futuri, sia considerata solo un’antiquata retorica da “romantici maledetti”.
Non sto parlando, ovviamente, di trasformazioni linguistiche: con la lingua hanno giocato e sperimentato non solo le avanguardie. Riscopriamo alcuni autori barocchi o medioevali e vedremo che il surrealismo è una rivelazione già preannunciata dalle bibbie dei monaci e dai trattati di oniromanzia.
Ma il gesto – quello che determina la scrittura – dove trovarlo? Lo scrittore apocrifo non gioca con la storia, non divaga con i destini, non costruisce biografie: prende una vita umana, consegnata all’erbario delle storie dell’arte, della poesia e della filosofia, e la provoca, la smaschera, la interroga: le fa rivelare sorprendenti segreti, fantasie più vere della realtà, che fanno esplodere tutte le storie e tutti i cimiteri, riconsegnando alla vita quanto di una vita è stato immaginato vivente.
Ecco di cosa ci parla sempre la scrittura apocrifa: di questa scandalosa, calda, insopprimibile vita. La vita di chi ha vissuto o tentato di vivere con l’etica del suo pensiero è ancora tutta da esplorare. Il suo destino terreno si è concluso ma solo in parte. Bisogna perturbare il passato per scoprire le prospettive nascoste da altri destini: ma il compito è immane perché alle nostre spalle non ci sono solo enciclopedie letterarie o biografie romantiche ma anche tutta quella sterminata popolazione di anime ignote che solo nella folle fantasia dello scrittore apocrifo possono ritrovare la voce. Sarà sempre una voce falsa, come sempre falsa è la scrittura, ma di un falso assolutamente vero, sostenuto da una necessità etica: quella di dare forma all’impossibile e pensiero all’impensabile.
Non saprei concepire migliore utopia: scrivete in questo senso, se volete scrivere. Se invece amate l’ars scribendi, crepate pure nei vostri peccatucci lirici. Io vi consiglio di pensare la scrittura come io penso il mio corpo percorso dal sangue. Non godete delle singole immagini, non rendete l’arte una consolazione da femminucce. Pensate che è vostra, nell’arte, se lavorerete come ossessi, la scelta di una traiettoria e di un destino che non vi consentirà scampo, e questo destino è apocrifo: sia che parli di sé, del fratello, del padre, della madre o di un altro personaggio, lo scrittore è condannato a essere apocrifo, a dire quanto sarebbe indicibile, a parlare di quanto varca i confini della parola.
L’atto di scrivere è apocrifo perché la pagina nata dalla volontà dello scrittore parla della sua alienità dalle forme sociali, del suo scaraventarsi verso il proprio destino, oltre le rassicuranti leggi della grammatica del ‘bello scrivere’, derise in modo implacabile e definitivo dal Bouvard et Pecuchet. Ma nella pagina scritta vibra anche tutta la determinazione del gesto che è stato svelato e non ci sono esercizi, favole, generi e nuore letterarie: solo un fuoco che brucia del suo essere fuoco, che scrive e riscrive l’impulso da cui è generato.
In questo secolo gli scrittori si cercano in chi, per somiglianza di passione e di follia, nei secoli passati, ha cercato ciò che loro vanno cercando: una verità etica, un momento in cui il dire, simile al non-dire, espone con ardore il suo tormento. La maschera dell’apocrifo diventa così la via della scelta, la tensione del proprio destino. L’uccello canta o la pianta fiorisce, ma quell’uccello e quella pianta parlano delle stagioni passate e future che giustificano quella presente come la luce le ombre infinite che l’hanno generata.
Ci sono coincidenze che rendono l’immaginazione un povero riflesso che graffia appena la realtà sommersa. C’è sempre un momento in cui la mano che scrive, mozzata dal corpo, non ha necessità di avere un nome che la definisca, un’identità che la giustifichi.
Io ho sempre cercato una lingua universale, la lingua dei perduti e dei giusti; l’ho cercata nel passato, la cerco nel presente, la cercherò nel futuro: ma in realtà non è una lingua, è un gesto costruito dalle unghie della mano, una carezza modellata dalla carne delle dita, una posizione conquistata, una strategia di difesa. È una lingua del tatto, fatta di lacrime e di voci, con cui la sentinella-vedetta esprime il suo lamento.
L’opera è sangue. Ma costrizioni e fantasmi hanno bloccato il fluire naturale della circolazione sanguigna. Allora, per sopravvivere, abbiamo sviluppato le anastomosi vicine, i circoli collaterali, abbiamo ingigantito vasi fragili e sottili, che non potevano sopportare tutta la pressione del flusso, e tuttavia ne abbiamo fatto il nostro regno assoluto, rischiando sempre l’emorragia del delirio, la rottura della parete. Il non senso della morte. Ma siamo ancora qui, oggi, a conservare questi fragili vasi perché il sangue continui, nonostante gli ostacoli, a scorrere. E non solo nei nostri corpi incompiuti ma anche in altri corpi, che hanno condiviso il nostro stesso destino. Per questo vogliamo la scrittura apocrifa: per trovare corpi fratelli in cui il sangue non è circolato abbastanza, per rimuovere i trombi e gli emboli da quelle arterie, per cercare nuove strade al vecchio sangue che non ha mai pulsato come doveva pulsare.
E se la scrittura apocrifa, che tutti suppongono vampira, invece di nutrirsi del sangue dei morti nutrisse lei i morti, trasformando antiche scritture ghiacciate e compatte in diagrammi discontinui e convulsi che cercano, azzerando le differenze fra i secoli, quell’enigma indecifrabile, quell’impensabilità dell’arte che si nasconde sotto la greve superficie dei capolavori e dei monumenti? Chiedo che il paradosso della scrittura sia accettato, tollerato, rispettato, e pertanto non risolto. Ciò che in arte chiamiamo imperfezione non fa che rimettere in moto ciò che perfetto non è. Una volta spenti i riflettori e ogni altra forma di illuminazione, la letteratura, lasciata in pace e al buio, risplende di luce propria, e le sue creature vere, commuovendoci ancora oggi, emanano bagliori. Le opere sono punti morti e punti di luce, frammenti in cui si avvera la speranza della lingua intera, che dirà i mutamenti dell’uomo e i mutamenti del mondo: questa lingua, questa koiné dell’arte nei secoli, è il frammento di confessione che non smette di agitare la lingua del morente per l’ultimo respiro. E il morente è l’esegeta, il traduttore, il posseduto, il camaleonte di questo sospiro: abbandonato dai destini che lo avevano invaso, tace e torna a vegliare, in attesa che l’aria vibri ancora e torni questione di vita e di morte trascrivere voci…
Ingeborg Bachmann
A cura di Marco Ercolani
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mlovesbooks · 6 years ago
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Bücher, die ich bis jetzt gelesen habe...
Ich bin nicht die schnellste Leserin und dank der Schule habe ich leider auch nicht immer so viel Zeit dafür, wie ich gerne hätte, trotzdem habe ich dieses Jahr jetzt schon neun Bücher gelesen, was mich echt stolz macht! Die ersten acht, bevor ich wegen dem neunten diesen Blog machen wollte, würde ich in diesem Post gerne festhalten, damit auch die nicht in Vergessenheit geraten. 
“Der Circle” von Dave Eggers, ★★☆☆☆ Das Buch wurde mir durch den Englisch LK schmackhaft gemacht und von einem Freund beim Wichteln geschenkt, worüber ich mich sehr gefreut habe. Leider hat das Buch meiner Erwartungen so gar nicht getroffen, dabei hatte mir die Thematik doch so gut gefallen... Es war einfach nur furchtbar langwierig und es gab so viele unnötige Passagen, durch die ich mich regelrecht durchschleppen musste.., die Mae (Hauptcharakter) hat mich einfach nur aufgeregt und genervt und ihr Verhalten hat mich eigentlich das ganze Buch über einfach nur gestört. Außerdem tat mir Mercer verdammt leid und ja, vielleicht hätte ich nichts anderes von einer Dystopie erwarten sollen, aber es hat mir alles in allem einfach nicht gefallen. Schade.
“Arbor - Der Weg des Waldes” von Dominic Benjamin, ★★★☆☆ Hatte dieses Buch auf Amazon entdeckt und die Thematik hatte mich mal wieder sehr angesprochen. Überrascht, dass es sich bei dem Buch tatsächlich um ein deutsches Werk handelte habe ich mich also in die Story gestürzt. Am Anfang war das ganze leider auch etwas zäh, aber mit der Zeit wurde es immer spannender und besser. Alles in allem fand ich die Storyline verdammt spannend und vor allem die Annotation am Ende des Autors zu der Geschichte hat mir Gänsehaut verpasst. Außerdem gut hat mir gefallen, wie kurz und doch vollständig und rund die Erzählung war. Nach so einem zähen Brocken wie “Der Circle” konnte ich das gut gebrauchen. Leider waren mir die Charaktere etwas zu flach und ich konnte nicht wirklich irgendeine Art von Beziehung zu ihnen aufbauen. Des weiteren fand ich den sehr gehobenen Schreibstil doch ziemlich ätzend. Hat mich wohl etwas zu sehr an die Literatur erinnert, durch die ich mich so im Deutschunterricht quälen muss.. Dennoch fand ich die Grundidee der Erzählung echt super und die Geschichte selber war spannend und hat mir gut gefallen.
“Harry Potter and the Prisoner of Azkaban” von J.K. Rowling, ★★★★☆ Zu Harry Potter muss ich wahrscheinlich nicht viel sagen, außer, dass ich eine von den vielen Menschen auf diesem Planeten bin, die Harry Potter über alles liebt <3 Deswegen habe ich letztes Jahr endlich damit angefangen die Bücher auch auf englisch zu lesen. Der dritte Band ist mit dem sechsten mein Lieblingsband und es war eine tolle Erfahrung das ganze noch einmal zu lesen und dann auch noch in der originalen Sprache!
“Sommerhaus, später” von Judith Hermann, ★★★☆☆ Auf jeden Fall ein lesenswertes Buch. Judith Hermanns Schreibstil ist wirklich einzigartig und so komisch ich ihre Kurzgeschichten auch finde, so sehr gefällt mir gerade das an ihren Werken. Leider konnte ich die gesamte Zeit über nicht wirklich Zugang zu den Geschichten finden und die meisten fühlten sich im Nachhinein sehr unnötig und inhaltslos an. Das liegt aber wahrscheinlich auch daran, dass ich mehr der Typ für Fiktion bin und vor allem Fantasy gerne lese. Am besten haben wir die Geschichten “Sommerhaus, später” und “Hurrikane” gefallen, an den Rest kann ich mich schon nicht mehr richtig erinnern.
“Der unsterbliche Alchemyst” von Michael Scott, ★★★☆☆ Bevor ich dieses Buch gelesen habe, habe ich Nicholas Flamel für eine Erfindung von J.K Rowling gehalten, aber die wahre Geschichte hinter dem ganzen ist ja so verdammt spannend und cool! Die Charaktere aus dem Buch gefallen mir sehr gut, die Guten, sowie die Bösen und ich finde es echt cool, dass so viele von ihnen einen historischen oder mystischen Ursprung haben und für die Geschichte neu zum Leben erweckt wurden. Leider muss ich sagen, dass der Schreibstil so gar nicht meins ist und ich die weiteren Bände wahrscheinlich nicht mehr lesen würde, wenn mich die Story nicht so interessieren würde. Vielleicht liegt es an der Übersetzung, vielleicht ist es auch einfach Scotts Schreibstil, aber in meinen Augen ist er sehr sporadisch und generell. Gerade bei Fantasy Büchern habe ich gerne eine stark deskriptive Schilderung von Geschehnissen und Szenerien, das fehlte mir bei dem Buch leider die ganze Zeit über, was die Bewertung doch nochmal deutlich verschlechtert hat.
“Dshamilja” von Chinghiz Aitmatov, ★★★★☆ Dieses Buch hat meine Oma mir empfohlen und ich hatte es als netten, kurzen Zeitvertreib in die Hand genommen, ohne wirklich große Erwartungen zu haben, weil das Buch eigentlich gar nicht ansprechend auf mich wirkte. Gerade deswegen wurde es zu meiner größten Überraschung, als ich es doch tatsächlich verdammt gut fand. Beschreibung “Einfache Liebesgeschichte” trifft es wohl ganz gut, aber die Tatsache wie einfach und rein sie ist, macht sie in meinen Augen wirklich wundervoll. 
“BTS Die KPop-Superstars” von Adrian Besley, ★☆☆☆☆ Ja, ich bin KPop-Fan. Meine zweite große Leidenschaft neben dem Lesen. Aber als ich das Buch bei uns in der Bibliothek gesehen habe musste ich fast laut lachen. Ich habe rein gar nichts gutes von dieser “inoffiziellen Biografie” erwartet und diese Erwartungen wurden bestätigt. Als wirklicher Fan - und ich bezweifele, dass viele andere dieses Buch lesen würden - war es eine reine Zeitverschwendung und dazu kamen die furchtbaren Übersetzungen. Wenn man solch ein Buch übersetzt sollte man sich wenigstens etwas mit dem “Fachjargon” auseinander setzen und nicht aus “biased” - “auf jemanden stehen” oder aus der weiblichen Sängerin Moonbyul einen Mann machen. Get your facts together, thanks.
“Wie Monde so silbern” von Marissa Meyer, ★★★★★ Ich liebe dieses Buch! So ein verdammt gutes Buch hatte ich nach den restlichen echt gebraucht! Oh man, ich habe immer noch ein Lächeln auf den Lippen, wenn ich an diese Erfahrung zurückdenke. Alleine die Charaktere sind so verdammt super! Cinder, Prinz Kaito, Iko und Peony, i just love them so much. Erst war ich etwas unsicher, weil mir klar war, das ein Großteil der Geschichte aus der Romanze zwischen Cinder und dem Prinzen bestehen würde, wie in dem Märchen eben auch, aber Meyer hat das so verdammt gut und herzerweichend gemacht. Außerdem hatte das Buch meiner Meinung nach genau die richtige Mischung aus Liebe und Action/Abenteuer und ich habe so mit den beiden mit gefiebert! Die ganzen Bezüge zum Original waren so toll und passend eingebracht und in der gesamten Erzählung hat einfach alles gestimmt, auch wenn mich der Cliffhanger am Ende fast kirre gemacht hätte. Bald werde ich auf jeden Fall den nächsten Band lesen! Resultierend also einfach ein super Buch, mit spannender Action, herzerweichender Liebesgeschichte und tollen Fantasyelementen! 10/10 would recommend ! Alleine Prinz Kaito, mein bub, hätte die fünf Sterne verdient!
Geschaaaafft! Wenn du bis hier gelesen hast, dann herzlichen Glückwunsch, du kennst jetzt ganz viel meiner Meinung zu Büchern! In Zukunft werde ich nicht mehr solche Posts machen, sondern einzeln auf die Bücher eingehen, die ich lese. 
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missbookiverse · 4 years ago
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Monatsrückblick September 2020
So übersichtlich kann der Monatsrückblick nur aussehen, wenn ich mir vornehme, endlich dicke Bücher von meinem TBR zu lesen. Das hat eigentlich ganz gut geklappt, auch wenn ihr hier im Wrap-Up nur zwei davon seht – Die Wolfsfrau habe ich nämlich ganz schnell abgebrochen und mit der Tove Jansson Biografie hadere ich noch (teilweise interessant, aber größtenteils zäh und redundant). 
Die beiden Romances lassen sich nur damit erklären, dass ich bei meiner Online-Bibliothek endlich auf Platz 1 der Warteliste gerutscht bin. Eigentlich greife ich selten zu diesem Genre, aber bei den beiden hat’s ziemlich gut funktioniert.
Beach Read: tolle Mischung aus witzigen Dialogen, ernsten Hintergründen und erstklassiger Knisterchemie zwischen den Figuren
Red, White & Royal Blue: Witzige, süße und v. a. queere Romanze mit mehr S.exszenen als ich sie in meinen Büchern brauche
All Boys Aren’t Blue: Memoire eines Schwarzen, queeren Mannes, dessen Offenheit ich schätze, das mich aber inhaltlich kaum und stilistisch gar nicht packen konnte
Der Bruder des Wolfs: auch beim Reread noch spannend und herzzerreißend
Ship of Destiny: aufregendes Finale der Liveship Traders mit einigen Längen und neben all der fabelhaften Charakterentwicklung und dem  großartigen Weltentwurf auch einer Handvoll Kritikpunkten
East of Eden: überraschend zugängliche Familiensaga, elegant geschrieben und mit einigen dramatischen Momenten
Greek Myths: herrlich illustrierte Grundlage griechischer Mythen, inhaltlich allerdings schlicht und kritiklos gehalten 
Empfehlungen, die keine Bücher sind
Exit Game: Die unheimliche Villa – unbedingt mit Freund:innen spielen, wir haben einen ganzen Abend lang gerätselt
vegane Donuts von Bramibal’s (Berlin)
Tiger Club – komplett veganes vietnamesisches Essen in Berlin, mit erstklassigen Smoothies
Film: Enola Holmes – gemütliches Filmerlebnis mit Sherlock Holmes’ kleiner Schwester, die wesentlich charmanter, aber genauso gewieft ist
Kieferngrün aus Hamburg – Illustrationen von niedlichen Hummeln, Schweinen und co.
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downtobaker · 4 years ago
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Alessandro Zaccuri, La quercia di Bruegel
Alessandro Zaccuri, La quercia di Bruegel
da redazione L’autore del romanzo, Alessandro Zaccuri Un romanziere di scarso successo s’inventa una serie di pseudonimi per continuare a fare della scrittura il suo mestiere. L’eteronimo francese con cui finalmente ottiene qualche riscontro è un autore specializzato in biografie romanzate di artisti famosi e l’ultima opera che mette in cantiere, per volere del suo editore che conosce la sua…
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mariecuriegermanstreaming · 4 years ago
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Filmhandlung und Hintergrund Die Entdeckungen und Forschungen der polnischen Chemikerin und Physikerin Marie Curie (Rosamund Pike) in Frankreich haben bis heute unweigerliche Auswirkungen auf den Alltag der Menschen. Die visionäre Pionierin und zweifache Nobelpreisträgerin hatte aufgrund ihres Geschlechts zeit ihres Lebens mit Widerständen in der männlich dominierten Wissenschaftswelt zu kämpfen. Ihre ausländische Herkunft machte sie derweil zur Zielscheibe der französischen Presse. Eine wichtige Stütze fand sie nur in ihrem Ehemann und Forschungspartner Pierre (Sam Riley), der Liebe ihres Lebens. Neben dem Sexismus ihrer Zeit kämpft Curie dabei auch mit dem Wissen darum, was ihre Entdeckung von Polonium und Radium für die Zukunft der Menschheit bedeuten könnte - neben Fortschritt lauert in der von ihr selbst so benannten Radioaktivität auch Gefahr, denn auch die Gesundheit von Curie ist bereits angeschlagen...
✦ ✧ details ✦ ✧ 16. Juli 2020 / 1 Std. 50 Min. / Drama, Romanze, Biografie Von Marjane Satrapi Mit Rosamund Pike, Sam Riley, Aneurin Barnard Produktionsland Großbritannien ➫ 𝐒𝐜𝐡𝐚𝐮 𝐉𝐞𝐭𝐳𝐭 ➫ die beste Link
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viaggiatricepigra · 6 years ago
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Opinione: Alexis o il trattato della lotta vana, di Marguerite Yourcenar
  Romanzo che nel 1929 segnò l'esordio di Marguerite Yourcenar nella letteratura, "Alexis" ha la qualità propria dei libri che restano nel tempo: una grandezza che si riconosce solo più tardi, come è avvenuto per l'"Opera al nero" e per le "Memorie di Adriano". E' la storia di un giovane che cerca di uscire dalla situazione falsa che mette in scacco il suo matrimonio. Al momento di abbandonare la moglie, egli le scrive le ragioni del suo distacco, chiamandola a testimone della lotta vana che ha condotto contro la propria inclinazione omosessuale. Reagendo a una prova precedente che indulgeva alla moda delle biografie romanzate ("Pindare"), la Yourcenar, ventiquattrenne come Alexis, si concentra qui per la prima volta su una vicenda delimitata, 'intimista', spingendosi in profondità nella psicologia del personaggio. L'omosessualità e il titolo stesso del romanzo richiamano un'opera giovanile di Gide (il "Traité du vain désir") ma si avverte molto più forte l'influenza del Rilke di "Malte Laurids Brigge", a cui sono vicini il tono, gli scrupoli, la religiosità di Alexis, quella tenerezza diffusa che egli emana sulle persone e le cose. Un libro raro, e di quelli della Yourcenar uno dei pochissimi ch'ella non abbia provato a riscrivere, paga di aver detto quanto c'era da dire.
° °   ° ° °   ° °   ° °   ° ° °   ° °
Un'altra lettura grazie allo Swap3.0 (ieri ne ho parlato, nelle prime righe di "Uomini e Topi).
Un libro che MAI avrei scoperto senza questo giro di libri e che è assolutamente fuori dalle mie corde.
  Perdonate le poche righe e mille ripetizioni, sono in crisi su come parlarvene.
  Un libro che si sente che è vecchio, ma (purtroppo!) contiene un tema ancora attuale: l'omosessualità.
E ciò lo trovo davvero triste, poiché non dovrebbe più rappresentare un problema.
Lo stile, come dicevo, è molto lento e, nonostante la trama sia attuale, il modo di esprimersi non è così attuale, cosa che può affaticare la lettura. Estremamente descrittivo e prolisso, a mio parere; infatti, nonostante le poche pagine, ho faticato a finirlo e mi sono obbligata spesso a continuare.
  La storia, non è propriamente una storia. E' più una lunga lettera che Alexis scrive alla moglie per raccontarle la sua vita e spiegarle come mai il loro matrimonio non può continuare, raccontandole della sua "lotta vana", ovvero la battaglia combattuta contro se stesso e la propria omosessualità.
Da ragazzino ci porterà all'adolescenza, fino all'età adulta e al momento in cui conoscerà la donna che diventerà sua moglie. Tutto viene raccontato con maestria e sempre con un velo ("vedo-non vedo"), celando questo enorme segreto fra parole ricercate.
Essendo un romanzo con quasi 90 anni alle spalle, li porta (ahimè) fin troppo bene.
Ripropone un tema che non siamo riusciti ancora ad accettare del tutto nella nostra società.
Un romanzo che fa male a leggerlo, se pensato in questi termini.
  Non so se consigliarlo, semplicemente per lo stile (se come me faticate con alcuni generi, non mi sento di consigliarlo al 100%). Ma ci sono le biblioteche, se vi incuriosisce e volete provare a scoprirlo. 
Invece, a chi piacciono i classici e questo stile di scrittura: fateci un pensiero, potrebbe piacervi molto.
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iannozzigiuseppe · 3 years ago
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Il male peggiore. Storie di scrittori e di donne - Iannozzi Giuseppe - Edizioni Il Foglio
Il male peggiore. Storie di scrittori e di donne – Iannozzi Giuseppe – Edizioni Il Foglio
Il male peggiore. Storie di scrittori e di donne – Iannozzi Giuseppe Un breve estratto da Il male peggiore – Iannozzi Giuseppe – Edizioni Il Foglio […] «È per questo che hai smesso di scrivere.» «Me l’hai già chiesto. Troppi Salinger, Pynchon, Fiztgerald… Troppi incidenti. Ero stanco di loro e di me. Questo lo puoi capire.» «Sì, però è che non mi piace…» «Io ti piaccio? Se sì, allora tutto il…
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cristianoporqueddu · 7 years ago
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I suggerimenti per questa settimana per la pagina Do You Classical Guitar? che gestisco come influencer per Amazon sono quelli che seguono.
Per quanto riguarda le pubblicazioni, segnalo il libro di Angelo Gilardino La Chitarra, edito da Curci, che in un volume raccoglie le biografie quasi-romanzate dei più importanti compositori legati allo strumento a sei corde. A questo aggiungo il capolavoro di Alvaro Company per chitarra sola La Seis Cuerdas nella nuova edizione pubblicata da Bèrben.
Per quel che riguarda la discografia per chitarra, segnalo il CD Set di Brilliant Classics dedicato a Manuel Maria Ponce con le intrpretazioni della musica del compositore messicano a cura del chitarrista francese Gérard Abiton (le interpretazioni sono ottime ma pur riportando complete, mancano all’appello alcune opere). Segue il disco del virtuoso italiano Aniello Desiderio dal titolo Nocturnal della Maestoso Editions. Un compact disc che raccoglie la musica di compositori del XX e del XXI secolo.
La pagina Do You Classical Guitar? è raggiungibile da questo link: https://www.amazon.com/shop/cristianoporqueddu
I suggerimenti della settimana #4 I suggerimenti per questa settimana per la pagina Do You Classical Guitar? che gestisco come influencer per Amazon sono quelli che seguono.
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trevorbmccalli · 8 years ago
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Sci-Fi-Drama "Passengers": "Titanic" im Weltraum
Dienstag, 03.01.2017   10:52 Uhr
In Hollywood mag man griffige Formeln, böse Zungen behaupten sogar, die ganze US-Filmindustrie variiere seit bald 100 Jahren immer wieder nur ein paar bewährte Muster. “Titanic im Weltraum” ist so ein “Pitch”, mit dem jeder Drehbuchautor sich im Handumdrehen eine goldene Nase verdienen sollte: James Camerons Romanze auf dem sinkenden Ozeandampfer ist einer der erfolgreichsten Filme aller Zeiten; und der Weltraum? Beflügelt spätestens seit Kassenschlagern wie “Gravity” und “Der Marsianer” wieder die Blockbuster-Fantasie der Produzenten und Studios.
Das Drehbuch zu “Passengers”, geschrieben bereits um 2007 von John Spaihts, der inzwischen an den Drehbüchern zu “Prometheus” und “Dr. Strange” beteiligt war, stand trotzdem jahrelang auf Hollywoods “Black List”, jener Übersicht von interessanten Skripten, die wundersamerweise niemand anfassen mag. Seit “Passengers” nun tatsächlich mit Starbesetzung und einem oscarnominierten Regisseur verfilmt wurde, ahnt man, warum.
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“Passengers”: Zwangsromanze auf dem Albtraumschiff
Der Film beginnt mit einer zunächst spannenden Science-Fiction-Prämisse: Wie ein riesiges Kreuzfahrtschiff rast die “Avalon” durchs All, auf dem Weg zur Erdkolonie “Homestead II”. An Bord schlummern Besatzung und 5000 Passagiere im künstlichen Tiefschlaf, denn die Reise dauert 120 Jahre. Durch eine Fehlfunktion wird der Mechaniker Jim Preston jedoch zu früh geweckt. Nach anfänglicher Benommenheit, durch die ihn die automatisierten Systeme des Schiffs geleiten, stellt Preston mit Entsetzen fest, dass er der einzige wache Mensch an Bord der “Avalon” ist – auf einer Passage, die noch 90 weitere Jahre dauert.
Hommage an “Shining”
Chris Pratt, spätestens seit seinem zwischen Tollpatsch und Held sympathisch ausbalancierten Part im Marvel-Erfolg “Guardians Of The Galaxy” einer der Stars der Stunde, hat keine Mühe, den ersten Akt des Films mit Slapstick und Tragikomik alleine zu bewältigen: Mit wachsender Verzweiflung versucht der Handwerker zunächst, seine Schlafstation für ein erneutes Versenken in die Transitstarre herzurichten, stellt aber fest, dass dies ohne Hilfe der Crew oder medizinischen Personals nicht möglich ist.
Die komplette Besatzung der “Avalon” aber, so unglaublich man das auch finden mag, pennt ebenfalls, und zwar hinter dicken Stahltüren, an denen selbst schweres Gerät versagt. Der Info-Bot in der riesigen Shopping- und Fress-Mall im Zentrum des Space-Liners, hat auf Jims existenzielle Fragen auch keine Antworten.
Wochen und Monate verstreichen, in denen Prestons einziger Ansprechpartner der Barkeeper Arthur (Michael Sheen) ist. Allerdings ist nur sein Oberkörper menschenähnlich, statt auf Beinen zu laufen, fährt der Android auf einer Stahlkonstruktion auf einer Schiene hinter dem Tresen entlang.
Die Bar-Szenerie ist eine Hommage an “The Shining”: Wie der allmählich durchdrehende Jack Torrance in Stanley Kubricks Psycho-Schocker zeigt auch der vollbärtig-verwahrloste Preston nach einem Jahr Einsamkeit Anzeichen geistigen Verderbens. Noch schlimmer wird es, als er bei seinen Streifzügen durch die “Avalon” an den Schlaf-Pod der jungen Schriftstellerin Aurora Lane (Jennifer Lawrence) gerät, in die er sich sofort verguckt.
Wie ein Internet-Stalker vertieft er sich im Schiffslogbuch in ihre Biografie, wird immer obsessiver, bis in ihm der Wahn wächst, seine schlafende Schöne aufzuwecken – und sie dazu zu verdammen, den Rest ihres Lebens mit ihm auf dem leeren Schiff der Schlafenden zu verbringen, statt auf einem neuen Planeten ein aufregendes neues Leben zu beginnen.
Es ist kein Spoiler, zu verraten, dass er es nach langem Hadern schlussendlich tut: Jennifer Lawrence war bereits im Trailer zu “Passengers” sehr wach und lebendig – und schwamm schwerelos inmitten von Wassermassen in einer spektakulären Swimming-Pool-Szene.
Horror statt Romanze
Spektakulär am weiteren Verlauf des Films ist jedoch nur noch, wie die Story an sich selbst scheitert. Pratts Jim Preston wird als gutmütiger und patenter Typ etabliert, und man möchte gerne verstehen, dass er sich schweren Herzens dazu entschließt, seine Traumfrau zu wecken, um nicht den Verstand zu verlieren und bis zu seinem Lebensende allein zu sein. Trotzdem bleibt es ein infamer, zutiefst egoistischer Mord. Und der ist selbst im Kino nicht zu verabsolutieren, auch nicht durch den überblasen heroischen Akt, den das Finale des Films bereithält.
AP/ Columbia Pictures/ Sony
So ist das emotionale Zentrum der Space-Love-Story “Passengers” bereits erloschen, bevor die beiden sehr attraktiven Stars Pratt und Lawrence überhaupt Gelegenheit haben, ihre gemeinsame Chemie auf der Leinwand im Liebespiel zu entwickeln. Preston lässt Aurora im Glauben, dass ihre Schlafkapsel, ebenso wie seine, einer irren Fehlfunktion unterlag – und wartet ab, bis sich seine Auserwählte orientiert und mit der Situation abgefunden hat – um sich sodann, wie erhofft, in ihn zu verlieben.
Den Schauspielern, die hier alles geben, ist es nicht vorzuwerfen, aber: Das ist nicht sexy, sondern bleibt creepy – bis zur Enthüllung der Untat, die Aurora zu Recht dazu treibt, ihren manipulativen Tyrann mit bloßen Fäusten erschlagen zu wollen. Diese von Lawrence furios dargestellte Gewaltszene ist der kathartischste und ehrlichste Moment des Films.
Passengers
USA 2016
Regie: Morten Tyldum
Drehbuch: John Spaihts
Darsteller: Chris Pratt, Jennifer Lawrence, Laurence Fishburne, Michael Sheen
Produktion: Sony Pictures, Company Films, Start Motion Films, Original Film
Verleih: Sony Pictures
Länge: 114 Minuten
Start: 5. Januar 2017
Die eigentlich schöne Utopie, die in der Story, analog zum Migrantendrama “Titanic”, mitschwingt, gerät dabei jedoch vollends unter die Räder: Dass sich nämlich auf einer Reise in eine gänzlich neue Welt auch soziale Konstrukte neu ordnen können. Und der einfache Mechaniker aus dem Mittelwesten die elitäre Journalistin aus New York nicht nur kennenlernen kann, sondern dass die – wenn auch zwangsweise – Befreiung von allen Herkunfts- Zeit- und Klassenfesseln ihre Liebe ermöglicht.
Doch über das fatale Wörtchen “zwangsweise” kommt “Passengers” weder inhaltlich noch formal hinweg. Regisseur Morten Tyldum (“The Imitation Game”), dem für seine starbesetzte Hochglanzproduktion ein stattliches Budget von 110 Millionen Dollar zur Verfügung stand, traut sich nicht, tiefer in die Abgründe von Spaiths verflixter Story zu blicken, die ja eigentlich keine Romanze ist, sondern ein Horrorfilm.
So muss es zwangsweise zu einer haarstäubend unplausiblen Katastrophen-Zuspitzung der Ereignisse kommen, nach deren Auflösung Aurora keine Wahl bleibt, als sich mit Jim zu arrangieren. So sind die Hollywood-Regeln nun einmal: Wo Männeregos willkürlich walten, müssen sich die Frauenfiguren leider immer noch zu oft in ihr fremdbestimmtes Schicksal fügen. Es bleibt kalt da draußen, sehr kalt.
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Sci-Fi-Drama "Passengers": "Titanic" im Weltraum
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jennyhanniver · 9 years ago
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Quattro sorelle tutte regine
Quattro sorelle tutte regine
di Sherry Jones  La storia vera di quattro sorelle che hanno cambiato il mondo
Intrighi, amori, lussuria: la storia di quattro donne destinate a conquistare il cuore dei re e a cambiare la sorte di intere nazioni
Tra le dolci vallate e i fragranti profumi della Provenza, Margherita, Eleonora, Sancha e Beatrice crescono sotto la severa ma affettuosa tutela della madre, la contessa Beatrice di…
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pangeanews · 6 years ago
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Investigando una vita irripetibile: dialogo con Renato Minore, che ha scritto il libro sull’enigma Rimbaud
Tra sogno e incubo, chi non lo desidera? Essere uno, singolarmente e indubbiamente sé, per ciascuno, in clamorosa corrispondenza. Spezzettati – ma non spezzati – nell’occhio del prossimo, giacere tra i suoi futuri. Arthur Rimbaud ci è riuscito. Rimbaud non è solo il poeta spiazzante, assoluto, che ha cambiato la poesia per rifiutarla, mordendo l’Africa con giaguari nello sguardo. Rimbaud è l’icona della poesia, l’iconoclasta della vita, quello che chiede una intimità fiammata con chi lo legge, il poeta veggente, il “ladro del fuoco”, come scrive a Paul Demeny nel 1871, quello che pratica “commercio d’armi e munizioni” secondo il Signor Fagot (a cui scrive nel 1887), il meraviglioso inquieto (“Mi annoio molto, sempre; anzi, non ho mai conosciuto nessuno che si annoi quanto me”: alla famiglia, nel 1888), il santo, secondo la sorella Isabelle, che tentò di erigerne l’agiografia in contrasto con la vigorosa vulgata – edificata da Paul Verlaine, per cui restò, sempre, il ragazzo “dal volto perfettamente ovale d’angelo in esilio” – del poeta ‘maledetto’, dacché “quelle poesie esprimono idee e sentimenti di cui l’autore fatto uomo, e uomo serio e onesto, provò vergogna e pentimento”, d’altronde, “all’Harar, paese da lui amato appassionatamente, gli indigeni lo chiavano il Santo, per via della sua meravigliosa carità” (così Isabelle a Louis Pieriquin, nel 1891). Insomma, allo stesso tempo, Rimbaud è santo e criminale, volitivo e virtuoso, è voluttà e pietà, è l’estasi di tutte le contraddizioni. “Il commento a Rimbaud è attualmente diventato un genere letterario”, osservava Jean Paulhan: per rendersene conto basta sfogliare una bella antologia curata un tot di tempo fa da Adriano Marchetti, Rapsodia selvaggia. Interpreti francesi di Rimbaud (Marietti, 2008). Lì vi leggiamo i consigli di Victor Segalen (“Non dobbiamo cercare di capire”), le agnizioni di André Gide (“Credo che nella penosa epoca attuale… l’individualismo oltranzista che c’insegna Rimbaud, questo incomparabile fermento, vada tenuto in serbo”) e di Paul Claudel (“fu un mistico allo stato selvaggio”), le orazioni di André Breton (“Trasformare il mondo, ha detto Marx; cambiare la vita, ha detto Rimbaud: queste due parole d’ordine per noi fanno tutt’uno”), gli inni di René Char (“Hai fatto bene a partire Arthur Rimbaud!… Hai avuto ragione ad abbandonare il viale degli oziosi, le osterie dei pisciaversi, per l’inferno delle bestie, per il commercio dei furbi e il buongiorno dei semplici”). Rimbaud sembra l’elettricità della letteratura: ancora nel 2011 Jamie James dedicava a Rimbaud a Giava (in Italia: Melville, 2016) un radioso romanzo-reportage. Anni prima, piuttosto, fu il Rimbaud di Renato Minore a strappare applausi – edito da Mondadori, Premio Campiello nel 1991. Romanzo d’imprevedibile delicatezza – anche in Italia c’è una solida tradizione di esegeti di Rimbaud, dall’Arthur Rimbaud di Ardengo Soffici, siamo nel 1911 – che torna, ora, rivisto, per Bompiani come Rimbaud. La vita assente di un poeta dalle suole di vento. Minore, in effetti, è anche biografo degli specchi, dei messaggi cifrati, delle piste errate, dei Rimbaud rimbambiti dalla contraffazione (la storia del mucchio di versi ‘africani’, “Ma bisogna credere alla luna di Harar? Farebbero comodo quei versi. In fondo risolverebbero l’enigma, e a buon mercato. In Africa, Rimbaud continua a scrivere. Addirittura progetta il ritorno in grande stile nel mondo delle lettere”; o quella del poeta che griffa col suo nome la piramide di Luxor: “Un Rimbaud inciso in pietra, la pietra eterna delle piramidi. È la sua firma lasciata a Luxor, incorniciata a regola d’arte… Tutto semplice. Ma una firma, lasciata come unico segno di un viaggio di cui non si sa nulla, è sospetta. Ne spuntarono fuori altre due nella stessa stele di Luxor: più in basso, di fronte a quella grande. Una abbreviata, semplicemente RIMB, così come il poeta talora firma le lettere nel 1889. Troppe. Si può pensare che siano apocrife, un altro falso per depistare. Sono la prova della ‘stupidità del suo autore’: sentenzia un critico, giudice implacabile. Ma si è proprio stupidi se si deposita sulla pietra un simile prolungamento di sé? Perché giudicare opera da sciocchi quel lampo di bêtise che, folgorando, alimenta un gesto elementare, simile a quello per cui si vede riflessa la propria immagine allo specchio?”). Insomma, Minore va, anche, a caccia di tutti gli ‘altri’ Rimbaud, il poeta dell’Io è un altro, che si è disseminato ovunque, perfino sotto l’amaca della nostra lingua. Così, è inevitabile, per trovare Rimbaud – o l’anatema della sua ombra – andai in cerca di Minore. (d.b.)
Lei ha scritto il romanzo su Rimbaud. E quello su Leopardi. Le immagini di questi due poeti estremi, che hanno rotto codici e forme e formalismi in qualche modo si apparentano, si sovrappongono. Cosa li accomuna, cosa li distanzia?
Forse la protratta condizione “adolescenziale” che li pone di fronte alle grandi domande sulla vita, sull’identità, sul mondo e su queste costruiscono un mirabolante telaio di visioni, sogni, pensieri più o meno ossessivi. Leopardi è più dubbioso, più ragionativo, meno trascinante. Leopardi è Leopardi anche per lo Zibaldone, le Operette Morali: non c’è solo il poeta, c’è un complesso di funzioni e possibilità espressive. Dentro di lui c’è l’assurdo sorriso di chi nella vita non finisce mai di interrogarsi, l’opera – creatura non solo di chi scrive versi, sangue che circola, nervi che captano, cuore che raccoglie, cervello che filtra, spirito che trasforma. Rimbaud no. È il veggente, l’innovatore che stravolge ogni schema. Il poeta come fuoco di conoscenza e verità, trascinante forza di conoscenza e verità. È un segno forte, indelebile dentro la storia culturale e poetica della sua epoca, ma tuttora s’innalza come un faro. Meteora per la brevità dell’azione ma immensa e profonda come durata è la sua influenza.
Ladro del fuoco, veggente, Sommo Sapiente, estremo criminale, colui “che ha in carico tutta l’umanità”: chi è il poeta agli occhi di Rimbaud, che cosa raffigura?
Non esiste altro esempio di poeta così perfetto, sicuro e autorevole con un esordio tanto folgorante che poi scivola nel vuoto assoluto. Un poeta che si fa anche carico di una funzione sociale e sacrale i cui versi vogliono avere un timbro profetico, salvifico. La poesia è spesso un alibi, dici poesia e tocchi (pensi di toccare) un livello a priori di comunicazione superiore, garantita dalla marca. Non è così, ci dice Rimbaud: la poesia come prova, rischio, ricerca costante, continuo riequilibrio del peso specifico della parola è sempre qualcosa che, come la lepre delle favole, puoi continuare a inseguire, puoi anche sfiorarla. E poi, lo sappiamo scompare definitivamente, un fantasma presto dissolto nel nulla. Ma proprio la corsa con cui la insegui ne segna, con il battito del tuo cuore, la necessaria velocità per non perderla di vista.
In una visione romantica sembra che Rimbaud per cinque anni abbia scritto poesie e per il resto abbia vissuto ‘poeticamente’, visitando il ‘mostruoso’ dell’anima, della vita, precipitando nell’ignoto. Lei parla, fin nel titolo, di “vita assente”: cosa intende? Allora la vita. «Il poeta della rivolta, e il massimo», scrisse Camus. Da oltre un secolo si sono accumulate su di lui ciarle d’ogni tipo, rievocazioni scientifiche e fantasiose, biografie romanzate, saggi accademici, film anche mediocri. Il suo abbandono dell’attività poetica alle soglie dei vent’anni ha causato una costernazione più duratura e diffusa di quella determinata dallo scioglimento dei Beatles. Ancora oggi su Internet si diffondono leggende su di lui, uno dei personaggi dall’influenza più distruttiva e liberatoria sulla cultura del secolo che abbiamo alle spalle, e sulla sua carriera. In vita, non solo di poeta con la sua travolgente meteora, ma di esploratore, commerciante, contrabbandiere, cambiavalute, profeta mussulmano. E postuma, come simbolista, surrealista, poeta beat, studente, rivoluzionario, paroliere rock, antesignano gay e tossicodipendente, vagabondo e visionario, Angelo dell’omosessualità, della violazione, della lotta alla borghesia, della ribellione, il primo poeta che seppe ripudiare i miti «dai quali la sua epurazione ancora dipende». L’énfant prodige, il genio ribelle e visionario, il «pederasta assassino» dei Goncourt nella violenta storia d’amore con Verlaine, l’avventuriero, l’uomo d’affari. Sempre in fuga, mai appagato: «Mi annoio molto, sempre. Non ho mai conosciuto nessuno che si annoiasse come me», scrive dall’Africa.
L’interpretazione della vita di Rimbaud (di cui l’opera sarebbe una profezia) e i romanzi su Rimbaud (penso ai libri di Soffici, di Edmund White, di Jamie James, ad esempio) sono diventati dei generi letterari a sé, ciascuno ha il proprio Rimbaud, Rimbaud sembra poter essere di tutti e di nessuno, merito, forse, della sua elusività. Lei in quale posizione si è posto e quale Rimbaud ha scoperto nel suo viaggio verso di lui?
Prendiamo come test le sue lettere. Un epistolario che, in tutta la sua vastità – diviso com’è tra primi attori (Rimbaud e Verlaine) e comprimari, caratteristi e comparse – è la radiografia di una vita chiacchieratissima, esibita e impenetrabile a un tempo, dalle mille sorprese e misteri. Sono sceneggiate le stazioni di un’esistenza, anzi di un’opera-vita da cui provengono misteriosi messaggi spesso contraddittori, in una complessità che, comunque «è pronta ad accogliere ogni aspetto del possibile». Sono i tanti enigmi di un poeta che si fece mercante, cercò ma senza esito di diventare esploratore, vendette armi a Menelik, quelle stesse che furono usate contro gli italiani ad Adua, non fu (al contrario di quanto a lungo si è creduto e scritto) un negriero. Per oltre dieci anni, dal 1880 all’inizio del 1891 quando il tumore al ginocchio lo costrinse a ripartire per Marsiglia, si mosse in uno scenario in cui tutto era davvero possibile: trafficava con l’inconnu tra Aden, Harar, Entotto, cercava di arricchirsi e senza riuscirci, era anche un mercante ingenuo, voleva vendere Bibbie in un paese di analfabetismo totale. Un mito che è anche una trappola infinita di volti, di voci, di specchi e lui stesso ha fatto di tutto per essere duplicato, conteso, frainteso. Non meno carichi di risonanza, e di ambigua luminosità, gli oggetti, le incalzanti reliquie che il Poeta Maledetto ha lasciato: prima fra tutti la valigia dei viaggi in Abissinia, la stampella che accompagnò i suoi ultimi passi, la firma sulle piramidi, le lettere. E poi i disegni, le fotografie chiedendo all’immagine non il segreto che versi e documenti trattengono, ma la ricchezza ammiccante e fissa dell’icona, non solo il presagio di un destino, ma la conferma di un mistero bloccato dal lampo di magnesio e lì rimasto intatto. La leggenda di Rimbaud accomuna le generazioni e, in tutto il mondo, ogni giorno ci sono giovani che scoprono le sue poesie e desiderano possederne una copia. Un dato per tutti: il Mercure de France, che nel 1912 ha pubblicato l’opera completa delle sue poesie, ha venduto fino alla fine dello scorso millennio ben trentadue copie al giorno di quella edizione. Praticamente per molti anni la casa editrice è vissuta dei proventi di quel libro.
Guardo a Rimbaud e viene da pensare che la poesia è tale perché è tesa fino alla rinuncia, al silenzio, alla fuga, al menefreghismo, all’oblio. È così? Cos’è la poesia, di cui Rimbaud è la sfrenata (ormai sfigurata dagli interpreti) icona?
Proprio per rispondere ad una domanda come questa, raccontando Rimbaud non ho cercato la verità di Rimbaud ma la verità in Rimbaud, la verità che un poeta sa illuminare e diffondere, tracciando un percorso nell’invisibile, in quella zona verso cui guardò Arthur, figlio di contadini che disegna la silente e incorporea costellazione che seppe rilevare dal nulla. “Inventarne la storia per ritrovarne il filo”, scrive Artaud. Come qualcosa di diverso, la fatica di conoscere, la dannazione di conoscere, con il file rouge del romanzo che sta nella ricerca indiziaria, nell’investigazione di un’esistenza irripetibile; come un giallo che alla fine non ha soluzione, ma solo la nudità del problema e che in ogni momento corre il rischio di vedere il suo oggetto svaporare nell’ovvietà dello stereotipo, oppure resistere a ogni tentativo di scasso.
*In copertina: Arthur Rimbaud ad Harar, 1883
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iannozzigiuseppe · 3 years ago
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Il male peggiore. Storie di scrittori e di donne – Giuseppe Iannozzi – Il parere di critici, scrittori, lettori
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