#barattolo dei pensieri
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Oggi ho fatto riempire questo barattolo dei pensieri ai ragazzi del centro: dentro va riposto tutto ciò che si vuole lasciare, che pesa troppo, che a volte si fa fatica a trovare il coraggio di affrontare.
Ho pensato che il mare, per me, è un po’ come quel barattolo, raccoglie tutto ciò che gli lascio e mi restituisce quel respiro di leggerezza che a volte mi manca.
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Ho una giara di biscotti. Ok forse è un barattolo ma la parola giara mi piace di più, ha più fascino. Io amo i biscotti e amo inzupparli un pochetto nel latte a fine colazione. Mai più di tre, più di tre è peccato e vuol dire che qualcosa sta andando storto nella mia vita. Tre è il numero perfetto di biscotti. Vuol dire che sono bravo a fingere che tutto stia andando bene. Compro diversi pacchi di biscotti ogni volta che ne trovo qualcuno interessante e che non ho mai provato. Poi li apro e li riverso nella giara. Mi piace guardarli da fuori (ovviamente perché non credo di riuscire a potere mai entrare nella giara, anche se mi piacerebbe molto restringermi a tal punto da entrarci) e da fuori è come osservare i vari strati dell'evoluzione del mio appetito. Sono una di quelle persone che non riesce a finire le cose, soprattutto i biscotti. Se li mangio tutti poi smetteranno di esistere (non ritengo plausibile l'andare a comprare nuovamente lo stesso pacco) così lì lascio depositare sul fondo. Sono i superstiti, quelli che ho risparmiato. Si accalcano e fanno salotto nelle profondità della giara e accolgono i nuovi arrivati. Così ora ce n'è uno per specie. Quello al cioccolato saluta il compagno alla mela che parla con una gocciola che sta vicino a un pan di stelle che trae ispirazione da un cookie triplo caramello che è attratto da uno all'avena dalle proprietà snellenti. Mi piace molto la mia giara. Una volta facevo la stessa cosa con le persone. Cioè no, non ho una giara piena di cadaveri umani. Nemmeno una cantina. Intendo con le storie passate. Non volevo finissero mai e le lasciavo a depositarsi nei fondali dei miei pensieri. Dare l'ultimo saluto mi sembrava una brutalità. "Metti che poi torna? Io lascio la porticina aperta..." pensavo mentre tutto restava spalancato. Storia dopo storia la metaforica giara si riempiva e non era possibile quasi far entrare niente di nuovo, per questo poi mi toccava sempre dire "Scusate, siamo pieni, provate a passare più avanti". Poi non so cosa è successo, è come se il passato abbia fatto la muffa o forse sono stato io a decidere che era ora di sgomberare e ho fatto piazza pulita. Sempre nella mia testa però, non c'era bisogno di andare ad avvisare che avevo chiuso, cioè vi immaginato se dopo mille anni torna uno e vi dice "Sappi comunque che ora ho chiuso!" e tu sei lì che cerchi di ricordarti chi era sto qua. Ho evitato brutte figure. Dovevo chiudere per me stesso e l'ho fatto e la giara ora è vuota. Quella delle persone del passato eh. Quella di biscotti non potrà mai essere vuota perché io amo i biscotti come finale di colazione. Sempre tre. Mai più di tre. Tre è il numero perfetto di biscotti e poi se hai più tipologie di biscotti puoi mangiarne tre per tipo! È così che funziona, fidatevi di me, io sono un esperto.
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Ok, ok I'm not dead (yet 😅)
I wanted to contribute to the creative month of October with prompts for writing or drawing, good for the Writober / Inktober (both in Italian & English).
I created prompts on: Star Wars, Pokémon, Hellaverse ( Hazbin Hotel / Helluva Boss)
But you are totally free to use it without the main context, it's not mandatory 😁
Use them as you please : fanfiction and / or drawings and please tag me (if you can) because I really love to see other people's art 💙💙
ENJOY!💙
STAR WARS
1. - Lo Strano Cristallo (The Weird Crystal)
2. - La Lettera ritrovata (The rediscovered Letter)
3. - Miti & Riti (Myths & Rites)
4. - Dietro Occhi Artificiali (Behind artificial Eyes)
5. - Ritrovamenti Archeologici (Archeological Remains)
6. - Un Nuovo Caccia Stellare (A New Starfighter)
7. - L'Antenato/Il Fondatore (The Ancestor/The Founder)
8. - Il Potere dei Nomi (The name's power)
9. - L'Ultima Trasmissione (The Last Transmission)
10. - Sotto Copertura (Undervocer)
11. - L'Empire Day (The Empire Day)
12. - Una Specie Sconosciuta (An Unknown Specie)
13. - Un nuovo luogo di potere (A new place of power)
14. - Usanze Deviate (Deranged customs)
15. - Ballo Politico (Political Ball)
16. - Crossover / AU (Crossover / AU)
17. - Grigio Imperiale (Imperial Grey)
18. - Echi dalla Forza (Echoes from the Force)
19. - Lealtà Miste (Mixed Loyalties)
20. - In mostra (On Show)
21. - Le conseguenze della Sconfitta (The Consequences of Defeat)
22. - Perchè quel colore? (Why That Color?)
23. - Come Preparare una Trappola (How to Set a Trap)
24. - La Luna Solitaria (The Lonely Moon)
25. - Immortalità Inattesa (Unexpected Immortality)
26. - Attizzare le Braci (Igniting Embers)
27. - La gabbia dei Pensieri (The Cage of Thoughts)
28. - Un Studio in Blu Marino (A Study in Navy Blue)
29. - Il Viaggio Iperluce (The Hyperlight Journey)
30. - In Fuga dal Futuro (Escaping the Future)
31. - Un Insegnamento dal passato (A Lesson from the Past)
POKÉMON
1. Fiducia (Trust)
2. Grotta (Cave)
3. Esplorazione (Exploration)
4. Attacco (Attack)
5. Notte (Night)
6. Aspettativa (Expectation)
7. Lento (Slow)
8. Piccolo (Little)
9. Sensibile (Sensitive)
10. Fiducia (Trust)
11. Leggenda (Legend)
12. Avventura (Adventure)
13. Errore (Error)
14. Debolezza (Weakness)
15. Vittoria (Victory)
16. Crossover / AU (Crossover / AU)
17. Tracce (Tracks)
18. Allenamento (Training)
19. Regalini (Treats)
20. Accessorio (Accessory)
21. Mattina (Morning)
22. Sussurro (Whisper)
23. Elemento (Element)
24. Ferita (Wound)
25. Ritrovamento (Finding)
26. Pozione (Potion)
27. Stelle (Stars)
28. Palestra (Gym)
29. Fuga (Escape)
30. Sconfitta (Defeat)
31. Amicizia (Friendship)
HELLAVERSE (HAZBIN HOTEL / HELLUVA BOSS)
1. "Ti prego, perdonami!" ("Forgive me, Please!")
2. Fatta la legge, Trovato l'inganno (Every Law has a Loophole)
3. Una Vittoria immeritata (An Undeserved Victory)
4. Il Prezzo da pagare (The Price to Pay)
5. Nella tela del Ragno (In the Spider's Web)
6. "Ora Basta!" ("That's Enough!")
7. Una firma di valore (A Valuable Signature)
8. Il Barattolo (The Jar)
9. Un Giorno felice all'Inferno (A Happy Day in Hell)
10. La Piuma Rubata (The Stolen Feather)
11. Un Gioco fin troppo Reale (An All Too Real Game)
12. Missione (quasi) Impossibile (Mission Impossible (ish) )
13. L'Amico Ritrovato (The Rediscovered Friend)
14. "Se fossi un overlord" ("If I were an Overlord")
15. Leggere tra Le Righe (Reading Between the Lines)
16. Come Sfidare una Profezia (How to Defy Prophecy)
17. Crossover / AU (Crossover / AU)
18. Armi Troppo Pericolose (Too Dagnerous Weapons)
19. La Scuola di Demonologis (The School of Demonlogy)
20. Aria Viziata (Stale Air)
21. "Ora ho tutto il tempo del mondo" ("I have all the time in the world now")
22. La Trappola Nascosta (The Hidden Trap)
23. Un'opportunità Inattesa (An Unexpected Opportunity)
24. Memorie di un passato Lontano (Memories of a Distant Past)
25. IMP-possibile (IMP-possible)
26. Raccogliere i Cocci (Picling up the Pieces)
27. Urlando al Paradiso (Screaming to Heaven)
28. "Se tu fossi in me..." ("If you were me...")
29. Il regalo sbagliato (The Wrong Gift)
30. Una vita per una vita (A life for a life)
31. Non è tutto oro ciò che luccica (All that glitters is not gold)
~~~~~~~~~~~
P.s.
I LOVE to write, but I am too ashamed to publish my stuff. If you do not feel comfortable sharing your work, I totally understand. 😅
Have fun!
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Tendo a lasciar fare alle persone quello che vogliono: con la mia vita, i miei pensieri, con tutto. Non so impostare dei limiti dentro i quali sentirmi al sicuro. Ma i limiti all'interno di una relazione (d’amicizia, sentimentale, genitoriale, etc.) sono fondamentali. Penso che verrò apprezzata meno, amata meno solo perché chiedo che qualcosa venga rispettato, ma in realtà è il contrario.
Io ero proprio così, sempre a cercare, inconsciamente, relazioni con persone che avevano un bisogno disperato di me. È vero, all’inizio, è stato difficile, tanto. Avevo dubbi su tutto perché era un tipo di relazione del tutto nuova per me ma ne è valsa la pena.
Impostare dei confini è importante (e sbagliare provandoci è fondamentale): per non lasciare che i tuoi genitori ti manovrino col senso di colpa, che l’ennesimo uomo o donna si rapporti a te per convenienza, per non farti sfruttare da chi incontri sulla tua strada. Ma sopra ogni cosa: non chiedere a te stesso qualcosa che tu non sia pronto a dare. Questo è come dovresti misurare l’altezza e la distanza dei paletti: la misura di ciò che puoi fare e dare senza sentirti un barattolo vuoto. Per non sentirti più il solito straccio buttato a terra.
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L' officina dei pensieri.
Un paese ci vuole
.....Qualche giorno fa, il caso ha voluto che mi recassi nella parte vecchia del mio paese, Castelnuovo della Daunia. Realizzai in quel momento che, non ci andavo da decenni, fui preda di ricordi. Incantata dal luogo mi addentrai nei vicoletti, giù per le scale, mi fermai in una piccola piazzetta, con al centro un grande albero frondoso, sotto al quale c'erano delle panche, messe lì dagli abitanti della strada. È evidente che servono per sedere all' ombra nelle calde giornate d'estate, un tavolino abbandonato in un angolo, mi fa immaginare dei vecchietti che siedono al fresco per giocare a carte nelle afose sere d'agosto. La mia attenzione viene attratta da un arco, lo attraverso e.....mi ritrovo in un cortile. All' interno una scala di pietra che porta all'ingresso di una vecchia casa, un portoncino smaltato di verde, come usava un tempo. Chiuso! La terra portata dal vento ha creato dei mucchietti, sui quali sono nate sparute piantine. Sulla facciata di pietra cresce la parietaria l'erba dei muri, così la chiamavamo da bambini. Questa pianta, tra l'altro urticante, ha le foglie che, attaccavamo sulle nostre magliette. Facevamo a gara a chi attaccasse le più belle. Gli infissi verdi delle finestre, come il portone erano rovinati dagli anni e dalle intemperie, oramai all' abbandono come il resto del cortile.
Una mi ha attratta!
Piccola,dietro ai vetri oramai opachi, una tendina di pizzo che, ricordava tempi migliori, sostenuta da una cordicella, uno stretto davanzale dove si poteva sistemare un solo vaso.
C'era un vaso.
Un grosso barattolo di alluminio, uno di quelli dove una volta si mettevano le alici salate, ancora evidente tra la ruggine un disegno che mostrava una scena di pesca, con una barca di pescatori in un mare blu. La meraviglia non fu solo questa, bensì la pianta di garofani che ci " viveva dentro".
Certo! viveva.
Dopo anni ed anni di abbandono, non mi spiego come possa vivere e ri-fiorire questa pianta di garofani. Tra qualche foglia secca ed altre verdi, erano fioriti radi garofani rossi. Da tempo immemore, non vedo più quel genere di garofani sui balconi del mio paese. È una pianta che raggiunge una bella dimensione, coltivata nei vasi, non ha vegetazione eretta, tende ad essere cascante, come certi gerani, i fiori , stranamente crescono verso l'alto. Hanno uno stelo lungo, diritto diritto c'è il fiore, qualche volta più di uno.
Le meraviglie della vita!
In quel cortile dove tutto è abbandonato e vittima della incuria, una pianta sopravvive e fiorisce.....
Il ricordo del paese come era, come si viveva, della mia fanciullezza mi assale, ma viene ostacolato dallo scorrere del tempo che, inesorabilmente ci allontana da quella età felice. Tutto è cambiato,nello stesso centro storico, c'è un fiorire di cemento,infissi in alluminio, vasi di plastica, c'è una sorta di gara a chi li mette più grandi e più belli... Si può dire belli?
Che bella quella solitaria tinozza di zinco con un piccolo nespolo.
Allora mi chiedo..... Dove eravamo quando hanno-abbiamo distrutto il fascino delle case, dei vicoli, delle piazzette, delle scalinale?
Quel fascino che sembra sopravvivere solo in quel piccolo cortile ricco di storia. Di quella storia che abbiamo perso nel tempo. Perso una identità che, ci collocava come paese più bello del Subappenino, dove esisteva la banca, piccole aziende e negozi .
Una buona economia.
La scuola, palazzi padronali, una biblioteca, il teatro, il cinema.
La cultura.
È già..... Abbiamo perso anche quella!
Senza cultura non c'è più neanche la capacità di sperare e, di credere in una rinascita di questo nostro paese. Ci resta il ricordo che,diventa un conforto, inevitabile con i cambiamenti subiti dalla realtà.....
<< Un paese ci vuole , non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non
essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c'è qualcosa di tuo, anche
quando non ci sei resta ad aspettarti.....>>
La luna e i falò, CESARE PAVESE.
Edito da CONTATTO
20 Aprile 2014
Ida Andrilli
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SUGLI INGLESISMI E SULLA LINEA DELLA MORTE
Sono le 5:20, io sono sveglia dalle 4:30 perché uno dei due gatti voleva assolutamente dei croccantini e quando sono tornata a letto non sono più riuscita a dormire, nonostante il sonno. Così mi sono messa sul divano per non svegliare Angelo.
Ho iniziato a pensare, non so perché, alle parole. Soprattutto alle parole che diciamo quando siamo al (preposizione articolata) lavoro, ma a dire il vero, non solo.
Ma quante parole inglesi diciamo durante la giornata, e non solo perché sono utili, ma per farci fighi? Un sacco. E quante rendono veramente l'idea dello stato d'animo che vorremmo provare, plasmare? Dipende dalla persona, comunque per me non si va oltre un 50 e 50. Le parole danno forma ai pensieri e i pensieri sono quello che costituisce il nostro umore. Dobbiamo stare attenti alle parole che diciamo e pensiamo, perché a volte ci complichiamo la vita da soli.
Se posso, alcune parole le dico o le penso in italiano, ma non per un qualche motivo nazionalistico. No, proprio perché per me, nella mia lingua, hanno un significato meno ansiogeno. Così, mentalmente le cambio, nel tentativo di provare meno ansia.
Tipo, io detesto quando qualcuno mi parla o mi scrive della "timing" di un progetto, e mi maledico quando a usare quella parola sono anch'io. Timing mi sa di clessidra con la sabbia quasi finita o di orologio con la lancetta dei minuti che gira all'impazzata. Se invece dentro di me penso a "pianificazione del tempo" mi vedo vestita da esploratrice, in mezzo a una giungla ostile, con nient'altro che bussola e mappa per uscirne viva. Non so, a me dà il senso di avere ancora una possibilità, un minimo di controllo sul lavoro e sulla vita, almeno ho una bussola, almeno posso farmi venire in mente un piano. Timing mi fa sentire spacciata.
Un altro termine molto in voga ora, che io profondamente odio, che non ha a che fare col lavoro e che anche amiche insospettabili hanno iniziato a usare, è "triggerare". Mamma, come lo odio. Significa non semplicemente "dare fastidio", ma provare fastidio perché a monte di quel fastidio c'è un trauma. Mi sa di film horror, di pazzo che ti punta un trapano al cervello. Che ansia, ma anche che paura, no? Io preferisco pensare che una cosa "mi urta". Come quando sei in metro, e il tipo alto davanti a te che non si è tolto lo zaino si gira di scatto e rischia di darti una "zainata" in faccia. Oppure come quando sbagli manovra con la macchina, vai contro a un palo e righi la carrozzeria. Ecco, dire che una cosa mi urta non mi dà solo l'idea del fastidio che mi provoca, ma pure delle Madonne mentali che tiro alla cosa o alla persona che mi ha dato fastidio. È liberatorio.
C'è però una parola che vorrei mentalmente tradurre in italiano, ma non riesco. Più ci penso, più vorrei farlo, e meno ci riesco. Quella parola è deadline. In italiano, alla fine, è così "carina", così tranquilla. "Scadenza": sa al massimo di yogurt andato a male nel frigo. Di barattolo di piselli comprato 7 anni fa e rimasto in fondo alla dispensa. Di Moment da buttare nel bidone dei farmaci appunto scaduti (che poi, a casa mia, il Moment non scada MAI, è un altro discorso). È tanto carina, la parola scadenza. Eppure deadline rende molto di più l'idea di come mi fa sentire avere la mia serie di scadenze sovrapposte quotidiane. "Linea della morte": lo sapevate che l'etimologia nasce durante la guerra civile americana? E che indicava quella linea tracciata sul terreno oltre la quale era lecito sparare per esempio ai prigionieri? Ecco, io come mi giro mi giro, vedo linee tracciate sul terreno ovunque e l'urgenza di non superarle perché ne va della mia vita.
Vorrei immaginare tanti yogurt dimenticati in frigo, che magari (anzi, di sicuro!) sono buoni anche dieci giorni dopo, invece non ci riesco.
Però penso che valga la pena continuare a fare lo sforzo. Ne vale la pena. Perché se le parole plasmano i nostri pensieri, dobbiamo continuare ad avere noi il controllo di quello che diciamo e pensiamo. E forse, forse, se la cultura del lavoro è diventata così tossica, se non riusciamo a staccare anche quando dovremmo e poi proviamo così tanta ansia quando non riusciamo a finire un lavoro in tempo è anche perché pensiamo troppo alle linee della morte da cui siamo circondati e troppo poco allo yogurt in frigo.
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L’altro giorno stavamo raccogliendo cose da inviare ai profughi di guerra, quelli ucraini almeno, e al supermercato ad un certo punto L. mi si piazza davanti con un barattolo di cetriolini sott’aceto e poi con dei pacchetti di cioccolata e io tutte le volte che mi proponeva di inviare cose che per me non sono essenziali un po’ mi irrigidivo perché mi chiedevo cosa fosse essenziale e cosa no per un popolo in guerra, nel senso, fino che limite è ammesso il vizio? Se inviamo infinite scorte di acqua e immagino ci saranno tantissime scorte di acqua, latte, carta igienica, assorbenti, biscotti, fagioli e tonno in scatola, è chiaro che si spera che arrivino più o meno a tutti, ma se inviamo qualche tavoletta di cioccolato chi è che ne beneficerà, quante tavolette di cioccolato verranno inviate? Inevitabilmente non abbastanza, e quindi come le dividono le scorte di cioccolata? A chi prima arriva? Ma poi mi son detta se L. vuole prendere della cioccolata che le prenda, ma che pensieri sono? Il mondo funziona così anche senza una guerra, allora funzionerà così ancora di più in una guerra, no? Del resto loro stanno scappando da una guerra e io sono qui in mezzo ad un supermercato ad analizzare cosa è prioritario e cosa no. Mi sono vergognata di arrivare a dei pensieri così futili però ho anche fatto di peggio. Ero a casa e stavo mettendo via i vestiti invece e mi è capitata fra le mani una giacca di lana ormai vecchissima, ma sempre stata caldissima e che ho usato fino pochi anni fa, ma non avevo mai avuto il coraggio di dar via o buttare. Ha una storia travagliata nel senso che la persona che me la passò fu per me una persona importante con cui ho avuto una storia travagliata finita male e però alla giacca io ci ho sempre tenuto e quindi stava lì ad occupare spazio e prendere polvere finchè non ho deciso di mandarla via ieri col pacco per gli ucraini. Voi capirete che l’Ucraina per me in questi giorni è stata solo un pretesto, certo non a livello di Putin che l’ha innalzata ad unico scopo, ma l’ho usata anche io, per disfarmi, per prendere coraggio di chiudere definitivamente un ricordo, adesso qualcuno, spero che qualcuno, chiunque esso sia, utilizzerà quella tua giacca che era e spero sia tuttora davvero calda. Io sono fatta così, la gente parla di guerra e io analizzo il contorno.
Vorrei parlarvi della marvelization di questa guerra, che in America la stanno seguendo come uno spettacolo televisivo (internettiano più che altro) e la vivono come se non morisse davvero della gente, ma in America hanno più o meno sempre trattato tutto così e ad oggi il presidente ucraino anziché un uomo che rischia la vita per il suo popolo è visto come un supereroe alla stregua di Capitan America. È giusto? Sono i tempi baby. I tempi dell’estetica internettiana, forse adesso più che mai, il linguaggio è dettato dall’estetica e quindi la guerra viene veicolata anche attraverso i meme, i miliardi di meme che caricaturizzano la realtà e la distorcono fino a non farci capire cosa sia vero e cosa no, l’epoca del postmodernismo in cui non ha senso nemmeno più parlare di fake news. Finchè lo facevano con la politica o con la società in generale potevamo pure farci due risate, ma farlo su una guerra come la mettiamo? Non la mettiamo, il posto più popolato del mondo, ovvero internet, non ha ideologia, viene guidato dall’estetica e l’estetica è visualizzazione, attrazione per immagine e si fa anche e soprattutto in tempi di spettacolarizzazione mondiale, cosa meglio di una guerra?
Per fortuna il mondo iperconnesso porta anche dei vantaggi, chiaramente, però al momento io sto studiando la memestetica (e le backrooms, ma quella è un’altra storia), quindi questo vi beccate. Solo che gente, a chi sto parlando?
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Durante un esperimento, un topo è stato messo in cima ad un barattolo pieno di chicchi di riso.
Era così felice di trovare così tanto cibo intorno a sé che non sentiva più il bisogno di andare in giro a cercarlo.
Ora può finalmente vivere la sua vita senza pensieri e senza sforzi.
Dopo qualche giorno di godimento, quando il riso è finito, è arrivato sul fondo del barattolo.
A quel punto, si è accorto di essere intrappolato e di non poter uscire.
Ora dipende completamente da qualcuno che gli metta dei granelli nel barattolo perché sopravviva.
Ora non ha altra scelta che mangiare quello che gli verrà dato, se glielo daranno...
1) I piaceri a breve termine possono portare a trappole a lungo termine.
2) Se le cose vengono facili e ti metti comodo, ti stai intrappolando in una DIPENDENZA.
3) Quando non stai utilizzando le tue abilità, perderai più delle tue abilità.
Perdi la possibilità di SCEGLIERE e il tuo LIBERO ARBITRIO.
4) La libertà non si conquista facilmente ma si perde rapidamente.
Uno schiavo si crea da solo
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Durante un esperimento, un topo è stato messo in cima ad un barattolo pieno di chicchi di riso.
Era così felice di trovare così tanto cibo intorno a sé che non sentiva più il bisogno di andare in giro a cercarlo.
Ora può finalmente vivere la sua vita senza pensieri e senza sforzi.
Dopo qualche giorno di godimento, quando il riso è finito, è arrivato sul fondo del barattolo.
A quel punto, si è accorto di essere intrappolato e di non poter uscire.
Ora dipende completamente da qualcuno che gli metta dei granelli nel barattolo perché sopravviva.
Ora non ha altra scelta che mangiare quello che gli è verrà dato, se glielo daranno...
Uno schiavo della situazione che si è creato da solo.
Alcune lezioni da imparare da questa esperienza sono:
1) I piaceri a breve termine possono portare a trappole a lungo termine.
2) Se le cose vengono facili e ti metti comodo, ti stai intrappolando in una DIPENDENZA.
3) Quando non stai utilizzando le tue abilità, perderai più delle tue abilità.
Perdi la possibilità di SCEGLIERE e il tuo LIBERO ARBITRIO.
4) La libertà non si conquista facilmente, ma si può perdere rapidamente.
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Capitolo Tre.
L’Anoressia va in una sola direzione, che è verso il baratro più profondo della tua mente.
Quello in cui speravo non era certo di essere ricoverato nel centro per la cura di disturbi alimentari del dottor Mangiacarne e della dottoressa Rudolf, ma così è stato. I miei genitori cercavano di salvarmi la vita. All’epoca gli portavo molto rancore, ma ora ne sono felice.
La dottoressa Rudolf aveva un’idea sua di come combattere la malattia, di cui la guarigione divideva in tre fasi: la prima molto soffocante per me, che poi andava sempre più affievolendosi fino alla terza. Pensai che forse aveva colpito nel centro, paragonando la malattia al suicidio e suddividendola in tre fasi. Perché, vedete, anche il suicidio va in tre fasi, e la prima la definirei come “apatia”, che comprende perdita di autostima, frequenti pensieri negativi sulla propria persona; la seconda la definirei “progettazione”, in cui i pensieri si fanno più forti, e si inizia a pensare che forse sarebbe meglio farla finita, per il non farcela più; la terza fase la definirei “attuazione”, in cui si inizia effettivamente a progettare la propria fine ed eventualmente attuarla.
L’anoressia va un po' così. E la guarigione, forse funziona al contrario, passo dopo passo bisogna riavvolgersi come una pellicola.
Parlai con entrambi i dottori e dopo aver attestato che pesavo trentasei miseri chili fui ricoverato con l’etichetta “malnutrizione grave” e “anoressia”, come se le parole dei dottori mi avessero segnato come un barattolo di sottaceti con la scritta, appunto “sottaceti” per renderlo più riconoscibile ai più cechi. Più interessante fu invece, l’etichetta “ricovero forzato.”
Mi cadde il mondo addosso. Quando tornammo a casa inveì contro i miei rabbioso per quello che mi aspettava: un altro anno scolastico perso e solitudine. Oltre a mettere peso, ovviamente.
Riconoscere l’anoressia su sé stessi, con gli altri, è dura. Fa male. Non avevo problemi ad aprirmi con le mie vicine di stanza, o con persone gentili che, se finivo una sigaretta, me ne offrivano una in cambio della mia storia.
Iniziai a fare miglioramenti. Fisicamente e con il cibo, s’intende, ma non d’autostima. Essere lì mi faceva sentire come se avessi un mostro dentro, che era necessario esorcizzare, mi dicevano, per vivere.
Ogni tanto pensavo al mio primo giorno là, a come si era sviluppata la situazione.
‘Vuoi pesarti?’
Feci spallucce. Pensai, a posteriori, che dovevo dire di no, custodire il mio preziosissimo segreto.
Mi sentivo vuoto dentro e come se non mi rimanesse più nulla.
Comincia tutto con l’essere etichettati, poi è tutto un dolore, una rabbia di fronte alla propria impotenza di fronte alle cure e alle regole imposte dai medici.
Io… ero ancora io in quel momento?
Mi guardavo nello specchio e iniziai a dimenticare pian piano la mia identità, la etichettai come malvagia. Fissai gli occhi del mio riflesso.
Ed eccolo, il lampo che dimostrava che c’ero ancora, lurida carcassa in questo corpo.
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Ci sono dei mostri
- sai -
che mi riempiono
le palpebre;
io cammino
e cammino,
eppure
sento ancora i rumori
dei loro respiri,
le nuvole di fiato
che mi si addensano
attorno ai pensieri,
e soffoco
- ogni tanto -
mischiando
le loro paure
alle mie.
Ci sono dei mostri
- sai -
che mi riempiono
la gola,
grattano
dall'interno
e pian piano
ledono
i tessuti;
ormai la mia lingua
è quella del
silenzio
ed i miei
occhi
sono
bianco arcobaleno,
c'è troppo da vedere
e da sentire
ed i miei mostri
colorano
tutto di colori
troppo accesi
e troppo spenti
e troppo forti
e troppo chiari,
trasparenti
ed io vedo troppo
e troppo poco.
E gli altri non hanno mostri.
Per gli altri non c'è
troppo rumore
troppa emozione
troppi suoni
stordenti
e parole
e sentimenti
che viaggiano
dentro la pelle
e c'è troppo dolore,
troppa confusione
e loro continuano
a camminare
anche se
c'è un cane
ed è triste
e c'è un barattolo
solitario
in un supermercato,
fuori posto.
Instagram: una_goccia_di_pioggia
(non repostare, per favore; rebloggare è okay)
#poesia#poesiaitaliana#ansia#stress#depressione#parole#pensieri#paura#mostri#autismo#disturbo dello spettro autistico#poeti#scrittori#diario#personale#nuovi blog#nuove pagine#nuove poesie#parole belle#compagnia#solitudine#abbandono#tristezza
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mi mancano i pomeriggi d'estate trascorsi alla stazione, quei profondi discorsi sul futuro sperperati chiaccherando sedute guardando i treni, desiderose di prendere il primo che capitava verso un mondo tutto nostro. mi mancano le giornate invernali a casa tua, quando gustavamo una tazza di cioccolata calda insieme a tuo fratello, che spesso ci faceva sorridere dopo un brutto weekend. mi manca rifugiarmi nelle tue braccia ai giardini, nelle fredde giornate di Gennaio, che diciamoci la verità, accanto a te cosí gelide non erano affatto. ricordo ancora quando, mano nella mano stavamo a pattinare in una pista da ghiaccio al coperto, quei momenti in cui ti raccontavo del mio amore non corrisposto, successivamente persistito per circa un anno. é brutto, sai? é brutto perché la cioccolata calda senza di te sa di acqua ribollita, gli abbracci non sono accoglienti come quando eri accanto a me e andare in piscina una volta al mese significa esclusivamente monotonia, ed é strano perché noi due ci andavamo ogni giorno insieme e non mi annoiavo mai. ti ricordi quando la tua autostima era cosí sottoterra da non riuscire a toglierti il felpone in piscina, in pieno giugno? in ogni caso, personalmente ci penso spesso. penso spesso a come ho provato a convincerti di quanta arte tramandassi attraverso il tuo corpo, ma non riuscendoci, mi sono messa anche io la maglietta, pur di non farti sentire pazza o cose del genere. 'siamo le piú originali di tutto il circolo' pensavo tra me e me, cercando di farti sentire piú a tuo agio possibile. non voglio dimenticare nemmeno di tutti gli attacchi di panico che ho cercato di farti abbattere attraverso un barattolo di crema pan di stelle, e di tutte le lettere ausilianti che a vicenda ci siamo dedicate, e che tu hai restituito al termine del nostro legame. vorrei che tu sapessi che, nonostante tutto ciò che è successo, farai sempre parte di me, in un modo o nell'altro, certe persone sono legate da uno spesso filo intorcibile incapace di sciogliersi, e, anche se non lo vorrai, tu farai per sempre parte di me, ed io per sempre parte di te. se mai avrò dei figli, sarai in ogni insegnamento che darò nei loro confronti. se mai dovessi diventare una scrittrice sarai in ogni mio libro ed in ogni mia nota se dovessi cantare su un palco. e se invece dovessi diventare una psicologa, cercherò di aiutare le altre persone spiegando loro quanto una persona possa salvarti e distruggerti la vita in pochi anni.
i miei pensieri urleranno il tuo nome fino al mio ultimo respiro.
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mi sento così male, così fragile, così usata.
non trovo una via di fuga in questo universo.
l'unica cosa che riesco a fare è scappare dalla realtà e sperare di restare nel mio mondo per sempre.
non voglio tornare a casa.
non voglio tornare nella realtà.
non voglio affrontare i miei demoni che ogni giorno mi sviscerano fino a farmi scomparire e aspettano che il giorno dopo la mia carne si riformi per mangiarmi nuovamente.
avvoltoi nella mia testa mi mangiano i pensieri, ma hanno lasciato per ultimi i traumi che non riesco a cancellare, non riesco a scrivere, non riesco a dire, non riesco.
non sento più nulla e vorrei solo ritornare ad essere viva, ma non mi sento affatto viva, sto solo sopravvivendo, non sto vivendo, non sto vivendo nulla.
non sento il sangue scorrere, non sento il mio respiro nè il battito del mio cuore.
non percepisco niente, mi guardo solo intorno cercando qualcosa che mi possa tirare su di morale.
ma è un benessere che non durerà a lungo, è un benessere apparente.
non ho memoria.
non ricordo dove mi trovo, nè dove mi trovavo prima.
mi guardo intorno ma non riesco a vedere nulla, solo il vuoto che mi inghiotte e mi penetra come hai fatto tu con le tue dita sporche di desiderio e quello sguardo che non voglio più rivedere nei miei sogni.
mi penetra le ossa, penetra fino in fondo, mi penetra fino alla mia femminilità, strappandomi l'ingenuità che avevo tempo prima e lasciandomi marcire fino a guastarmi del tutto, proprio come te.
non voglio più essere quella che sono.
voglio scappare.
ricominciare.
sentirmi una persona nuova, diversa, viva.
una persona.
una persona reale, con sentimenti reali e desideri reali.
vorrei provare di nuovo desiderio per un ragazzo ed esserne attratta a tal punto da concedermi a lui senza sentire i tuoi gemiti in sottofondo e senza rivedere i tuoi occhi che mi scrutavano aprendomi in quattro parti.
vorrei essere trattata bene.
con delicatezza.
essere accarezzata, amata, desiderata ma con dolcezza, calma, passione.
vorrei essere tranquillizzata e preparata con amore. vorrei che qualcuno si dedichi a me, tranquillizzarmi, vorrei che qualcuno mi dicesse che non è "lui" e non vuole farmi del male e che le cose stavolta andranno diversamente, che non vuole solo usarmi e gettarmi via come carta piena di bozze tirata via da uno scrittore in crisi, sul cestino dei rifiuti.
vorrei solo contenere le mie lacrime in un barattolo e aprirlo solo quando non mi vede nessuno, vorrei raccogliere il senso di colpa che mi assilla ormai da mesi e strozzarlo fino a fargli mancare il respiro.
vorrei morire.
per poi rinascere nuova.
una nuova bambola di porcellana, pronta all'uso.
una bambina di cera, troppo facile da incendiare e troppo fragile per resistere e incapace di reagire.
vorrei essere vetro, spaccato per terra, consumato. minuscoli triangolini taglienti che potrebbe ferirti almeno un minimo di quanto tu hai ferito me scavandomi ferite ben più profonde di una lama, ma fatte di vetro.
vorrei disinfettare queste mie ferite ma ti sto ancora dando modo di lacerarmi la pelle sperando che un giorno riuscirai a curarmela.
vorrei che cicatrizzassero e in effetti lo hanno fatto, ma sono solo ferite ipertrofiche, aperte all'interno che ancora bruciano e bruciano finché il dolore diventa insopportabile e inizio a non sentire più niente, anestetizzato.
vorrei urlare a tutto il mondo che la colpa non è stata mia, la colpa non è stata mia.
la colpa non è mia.
la colpa.
vorrei urlare al mondo come mi sento e che mi accascerei volentieri per terra perché il dolore è così forte, che è difficile rimanere in piedi e in equilibrio.
è difficile scaldarsi all'interno, con acqua calda che piove sui miei capelli neri colorando la vasca di un colore più oscuro.
è difficile sentire qualcosa quando dentro di me i campi di grano sono diventati aridi e secchi.
sono diventati terreni incapaci di offrire qualcosa, incapaci di partorire bionde coltivazioni di granturco.
la terra è marcia, arida, secca, andata ormai.
nessun fertilizzante la farà rinvigorire.
nessun ragazzo mi farà sentire meglio.
nessuno mi farà più sentire.
sono sorda, una viola che strilla ma senza le corde, un controsenso.
una viola che non riesce a produrre musica ma riesce solo ad ascoltare il rumore del silenzio emesso da sé stessa, sentendosi un tutt'uno con esso.
silenzio.
ciò che mi ha ucciso davanti a te quel giorno.
sono stata incapace di parlare, di reagire, di dirti che non ne avevo voglia, che non mi andava.
avevo gli occhi gonfi di lacrime, avrei voluto urlare in quel momento ma dalla mia bocca non uscì nemmeno un sussurro.
volevo solo che quel momento finisse presto, quell'incubo finisse presto.
volevo solo.
che non fosse mai accaduto.
volevo solo essere stata forte abbastanza di averti denunciato, parlato, essermene andata, urlato.
avrei voluto guardarti negli occhi e dirti che non mi avresti avuta più, mai più.
che non mi avresti mai più rivisto.
che ormai tutto si era spezzato.
invece continuai a stare zitta, giorno dopo giorno e quando ebbi finalmente il coraggio necessario per poterti dire di fermarti.
tu continuasti.
hai continuato fino a che il tuo respiro da calmo non diventò affannoso.
fino a che non riempissi la mia femminilità di cose sporche e parole appiccicose.
fino a che il tuo sguardo ritornò in te, al vecchio te che ho amato per anni.
tremavo, tremavo quel giorno e fissavo il vuoto in attesa che quell'incubo passasse in fretta, tremavo indifesa con la mano sul petto e le lacrime che trasbordavano dagli occhi.
quel tempo mi sembrò un decennio, o forse tanti decenni messi insieme in modo che potessi scontare le mie pene attraverso la tortura per tutti quegli anni.
mi baciasti, non avevi più il sapore del mio amore.
non avevi più nessun sapore.
eri diventato per me una terra arida, incoltivata
come me.
non avevo più amore nei tuoi confronti.
non avevo più nulla.
ero rimasta a mani vuote.
mi avevi salvato da me stessa e mi hai salvata dalla mia malattia che mi avrebbe trascinato in quel vortice di numeri senza fondo se tu non mi avessi salvato, ma mi hai trascinata in un buco più profondo, senza luce e pieno di voci che mi ricordano te e cosa mi hai fatto.
vorrei davvero fingere che non sia successo ma non riesco, non ce la faccio.
il dolore mi apre in due come le ante del mio armadio quando esco ancora una volta con te e mi lascio usare.
il dolore mi ha lasciato gli occhi vuoti, spenti, senza colore.
il mio bel castano scuro che ti piaceva tanto non è più vivido.
il colore è caldo ma non ho niente di caldo io, sono ghiacciata all'interno, sono ghiaccio incapace di sciogliersi e galleggiare sull'acqua, affrontare la mia vita e questo trauma.
sono incapace di dimenticarti e incapace di non amarti più.
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-TRATTO DAL DIARIO DEL DOLORE
In genere scrivere mi fa bene. Ma non so se ancora è così. Non scrivo da tanto, ho paura di non ricordarmi come si fa.
Mi sono persa un po' in questo periodo, le mie amiche dicevano "non sei tu, non ti abbiamo mai vista così". Io mi piacevo com ero. Sarò cambiata oppure sotto sotto sono ancora io? Io sento che sotto questo vuoto e questo peso che sento dentro ci sono ancora io. E sono io quando sono con i miei amici. E non mi sento me quando invece sono da sola.
Non dovrebbe essere il contrario? Non so in che direzione andare, che strada devo prendere.
Perché ti sto aspettando ancora?
Dopo tutto il dolore che mi hai dato senza nemmeno rendertene conto. Avrei voluto buttartelo in faccia, per farti capire. Sono ancora due settimane, pensavo fosse passato più tempo, forse perché ho troppa voglia di dimenticare. Dicevi di essere una persona empatica, proprio come me, ma non lo sei mai stato. Mi fai schifo. Tantissimo, giuro. Eppure ancora ti voglio, ancora ti cerco nei pensieri. Ancora immagino di guardare la Polaroid sotto a tutte le cose che mi hai regalato e che ho buttato nell angolo della stanza. Le foto incastrano i ricordi, e quando ci scattammo quelle foto ero felice. Felice perché mi sembrava che quella foto in qualche modo potesse davvero "intrappolare" qualcosa, una parte della mia vita che mi sembrava in qualche modo piena e completa. Sentivo che quella foto in qualche modo potesse essere una piccola cosa che stava diventando una costante. Una parte della mia vita su cui potevo contare e stare tranquilla.
E la guardavo costantemente, e quando studiavo la guardavo, sorridevo e continuavo a ripetere. Mi faceva sentire un po' completa. Come se per una volta nella mia vita non fossi stata ancora solo io e me stessa. Sentivo in qualche modo di essere legata a qualcuno, e mi sentivo estremamente bene. Mi sentivo bene solo al pensiero che una persona che amavo aveva me nei suoi pensieri e a cuore il mio bene.
Ma in realtà non era così, e ti sei rivelato diverso, eri Tu solo scena e superficie. Quella foto fa male, anche solo al pensiero di avere una foto così bella con una persona così orribile. Non trovo modo per descriverti in una sola parola. Ci ho pensato parecchio e alla fine ho scritto orribile. Ma avrei voluto scrivere il dolore che provo. È passato troppo poco tempo per essere arrabbiata con te. Perché penso al tuo viso, al tuo sorriso, ai tuoi occhi quando li guardavo e mi piaceva pensare che guardassero solo me. Quando guardo quella foto con l'occhio della mente mi sembra ancora che ci sia qualcosa. Che non tutto sia finito.
In questo periodo ho messo da parte troppe cose. Ho messo al primo posto lo studio. Giravo per la stanza ripetendo le frasi e i concetti dei libri cercando di tenere solo quelli in mente. E quando camminando per sbaglio abbassavo lo sguardo verso quell'angolo e tutto mi saliva velocemente, cercavo di trattenere. Provavo a disinnescare. Cercavo di tenere chiuse con forza in quel barattolo le emozioni che avevano bisogno di uscire, come quando la valigia è piena e non si chiude, e tu ti ci siedi sopra perché entri tutto fino a chiudere la zip. E invece ingoiavo sempre un boccone amaro e facevo un gran respiro, "okay", continuando a ripetere per quell'esame. E ho fatto bene. Non mi pento. Già per colpa tua ho saltato una data in cui potevo dare quest'esame. Perché mi facevi stare male, e facevo finta di niente con te, e invece passavo i pomeriggi a piangere. Ti ho dato troppo. Mi hai prosciugata. E più ti davo più tu prendevi, e più cercavo di continuare a tenere con me quella me che amavo tanto nei suoi modi di essere. Penso sia giusto scavare dentro di sé.
Oggi ho dato questo esame, e speravo di tirare un sospiro di sollievo e liberarmi di quel peso che sentivo costante.
Invece non so se è per il voto che non mi ha soddisfatta, ma non penso, quel peso è ancora lì. È ancora qui con me.
È il peso di tutto quello che ho accumulato, è il peso dei bocconi amari che ho ingoiato in tutto questo tempo ogni volta che guardavo quell'angolo e decidevo di non pensarci. E adesso è il momento di lasciare che quel tappo si alzi e che quel barattolo di svuoti.
La cosa che più mi frena, che non mi lascia andare avanti è la speranza. Una speranza nutrita dai bellissimi ricordi che ho con te, di quelle bellissime ultime giornate che abbiamo passato insieme che mi facevano sentire libera, e che adesso mi bruciano forte addosso, fuori e dentro. Perché quando guardo a quei ricordi mi sembra di averli vissuti con una persona diversa, una persona che non sei tu. Non il tu che eri con me. Mi sei sembrato un'altra persona. Ecco perché ho speranza. Perché spero che quella persona che conosco torni da Livorno e venga da me. E vorrei vederti e dimenticare tutto quello che mi hai fatto e tutto quello che mi stai facendo ogni giorno. Vorrei vederti come niente fosse successo. Vorrei che mi abbracciassi come solo tu mi abbracciarvi e vorrei mi stringessi forte a te facendomi sentire solo tua, e tu solo mio. Ma vorrei che da me venisse quel bravo ragazzo che ho salutato prima che partisse, quello a cui ho portato l'Oki per il mal di testa e una fetta di torta pan di stelle. Vorrei lui. Perché io il ragazzo che mi ha fatto tutto questo non lo conosco.
Vorrei odiarti, vorrei davvero odiarti ma non ci riesco. E spero che un giorno lo farò. Voglio odiarti a tal punto da non volerti nemmeno più sentire se un giorno tornerai con i sensi di colpa, quando potrei sentire viva la soddisfazione sulla pelle che alla fine sei davvero tornato. E invece vorrei così tanto odiarti e provare una tale e reale indifferenza da accennare un minimo di sorriso e continuare dritto nella mia direzione.
Io mi sento una bella persona, ma mi sento svuotata. E ho bisogno di riempirmi. Penso che sarà il tempo a farlo, e non il cercare qualcuno che colmi quello che devo colmare da sola.
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Sacrifice, Chapter 11
PAIRING: Wanda Maximoff & James Bucky Barnes
Quella sala d'aspetto la sapeva a memoria, anche il minimo dettaglio. Erano passati cinque anni da quando mise piede qui per la prima volta e tranne per il colore delle pareti, tutto è rimasto uguale. Persino i manifesti pubblicitari per offrire a chiunque una visita dall'otorino gratuita.
"Hai fatto colazione?"chiese sua mamma che l'accompagnava.
"Si, mamma non cercare di ripetermi sempre le solite cose"
Sua madre non le rispose, fece solo un sospiro abbastanza profondo, segno che neanche lei, così come Wanda, non aveva voglia di discutere. Niente sarebbe servito per fare in modo che Wanda non avrebbe avuto l'ennesimo richiamo da parte del suo medico curante, questo lo sapeva. Ma lei non ci pensava più di tanto, anzi non voleva pensarci.
La sua vita, da quando è stata infestata da questo mostro, perché così che le piaceva chiamarlo, era perfetta. Passava ogni giorno nella sala prove della sua scuola di danza, danzava, ruotava e faceva cosi tante belle cose che avrebbe stregato tutti. Quando arrivò il mese di marzo, nella sua scuola delle medie c'era la serata dei talenti. Lei si era iscritta solamente al primo anno e in quella stessa occasione aveva scritto una canzone, non era un granché ma quella le era servita per potersi guadagnare un bel terzo posto mentre sua mamma e suo papà le fecero un bel applauso.
Ma non fu l'unico, anche due mesi dopo, durante il saggio di fine anno della sua scuola di danza, vide i suoi genitori orgogliosi di lei e della bella performance che aveva fatto.Però ora, quella scena era solo una delle tante che si ripeteva nei suoi sogni e che non si sarebbe mai realizzata di nuovo. Suo padre appena scoprì la sua malattia se ne andò di casa e non tornò più e sua madre si arrese. Certo, per lei era difficile mantenere due figli senza aver mai fatto un lavoro prima e affidandosi solo a quella persona che poteva permetterti tutta la stabilità e l'amore del mondo.
Fu quando incontrò Clint che la vita di sua mamma cambiò e forse con quella anche la sua. Lui le propose di continuare i suoi studi a casa, essendo i primi anni di manifestazione della malattia, era molto difficile per Wanda doversi spostare. Forse deve tanto a Clint, ma non riusciva ancora ad ammetterlo. Forse era anche invidiosa di sua madre, circondata dall'amore di un uomo e lei sperava anche che questo male potesse andare via al più presto.
Dopo due anni di studio in casa, iniziò il liceo.
E per quattro anni andò tutto per il meglio, fin quando all'inizio del suo ultimo anno si sentì di nuovo male. Come ogni mattina era solita svegliarsi, ma proprio quel giorno non riuscì ad alzarsi dal letto, con la schiena bloccata, con le gambe completamente addormentate e con la testa che le girava come una giostra. Medici, infermieri e paramedici le invasero la stanza nel giro di dieci minuti e subito dopo il buio avvolse tutto il resto.
Si svegliò in una stanza di ospedale con sua madre al suo fianco che dormiva su una sedia di plastica, collegata ad una flebo che le consentiva di ricevere le stesse energie che avrebbe assunto se avesse mangiato. Ma da quel momento Wanda non aveva fatto più nulla. Continuava con la sua vita, questo era certo ma aveva imparato a convivere con la sua malattia nel modo più negativo che ci fosse. Detestandola da un lato e dall'altro vedendo che quella era l'unica soluzione per poterle permettere di stare bene solo andandosene via per sempre.
"Signorina Maximoff..."la voce del suo medico curante, il signor Strange la distrasse dal suo cumulo di pensieri e girò la testa verso sinistra dove lo vide poggiato sullo stipite della porta.
Fece un respiro profondo e si alzò dalla sedia nella sala d'aspetto, andò verso di lui che chiuse la porta e la fece sedere sul lettino con le mani che stringevano il cellulare.
"Allora...come va?"
"Come può andare secondo lei?"chiese schietta e subito il signor Strange fece un sorriso di chi la sapeva lunga.
"Tua madre mi ha detto cosa è successo questo fine settimana..."
"Beh, mia madre crede che possa fare qualsiasi cosa per potermi aiutare con la mia malattia, ma non è così..."
"Si, sua madre crede quello ma non esiste che lei non collabori..."
"Senta, dottor Strange lo so. Lo so che non sono il massimo e che non faccio nulla ma non provi a mettersi nei miei panni, lei non sa come sto..."
"Certo che lo so. So che se continuerà a non mangiare resterà per sempre paralizzata e non ci sarà nessun modo per poterla salvare. Non posso aiutarla se lei non si fa aiutare..."disse lui con un leggero fastidio nella voce.
Wanda sapeva delle conseguenze, sapeva che se non avrebbe fatto nulla sarebbe andata a finire male ma lei voleva che finisse cosi.
"E se...se quello che voglio io sarebbe quello che voi tutti temete di più?"
"Intende la morte?"chiese lui di getto e lei ebbe il coraggio di annuire.
"Non sono uno psicologo, ma so bene che quello che lei ha, è quello che lei non ha mai voluto. Ha rovinato i suoi piani, ha rovinato quelli che sono gli anni più belli della sua vita, lo so. Ma lei cerchi di viverli come ha sempre voluto...non so, non ha qualcuno per cui vorrebbe vivere?"
Non ha qualcuno per cui vorrebbe vivere?
Wanda non aveva nessuno, tranne la sua famiglia.
"E loro? E James?"si chiese nella sua testa.
Certo non sapevano ancora cosa lei era costretta a passare ogni santo giorno, dalla mattina alla sera ma lì vedeva come una ragione in più per poter continuare, anche solo per poco, a vivere.
"Si..."disse e il suo cellulare vibrò fra le sue mani, segno che era arrivato un nuovo messaggio.
"Bene, allora lo faccia per loro. Si sforzi e vedrà che alla fine sarà felice anche lei..."
Lei annuì e lui iniziò a muoversi prendendo dei guanti in lattice e una siringa, la procedura era sempre la stessa. Un prelievo del sangue e check up generale e solo dopo due minuti si staccò da lei.
"La circolazione del sangue è buona, ma non troppo. È quella che serve a te, se non c'è finirai per restare ferma a letto anche per più di un giorno, e per questo che ti somministro ulteriori antidolorifici e dei medicinali che stimoleranno la tua fame e regoleranno la circolazione del sangue ma non fare lo stesso troppi sforzi. Per il resto, già conosci le regole e sai cosa fare..."disse lui e lei scese dal lettino e sistemando la manica del suo maglione, per coprire il cerotto che copriva l'ovatta.
Prese la ricetta che il dottor Strange le consegnò e con il suo cellulare si diresse alla porta ma la voce del suo medico curante la fermò di nuovo.
"Signorina Maximoff..."disse di nuovo lui e lei si girò.
"Mi dica"
"Pensi a quello che le ho detto. Non si faccia scoraggiare e lo faccia per loro..."disse lui ribadendo il discorso che aveva già detto prima.
Lei guardò in basso, verso le sue scarpe e poi si soffermò sul suo cellulare che stavolta sì illuminò, rivelando un secondo messaggio.
Capitano Barnes 🏀
2 messaggi
"Va bene...lo farò, grazie"disse lei con un sorriso sincero e uscendo da quella stanza per la prima volta un po' sollevata.
"Farmaci che stimoleranno la tua fame? Siamo sicuri che mangerai?"
"Mamma!"
"Va bene, va bene la smetto. Mi fido di te e spero che questa volta andrà bene"disse sua madre mentre teneva gli occhi fissi sulla strada e la mano destra sul cambio marce.
Wanda aveva la testa rivolta verso il finestrino e appena sua madre si zittì la guardò.
"Scusami per ieri sera, non volevo sembrare acida..."
"Wanda, tesoro, non preoccuparti. Capisco come ti senti, ma io sarò sempre con te"
"Lo so, ma è brutto litigare con te mamma..."
"Anche se litigheremo mille volte io ti vorrò bene altre diecimila, centomila, cinquecento mila, un milione di volte in più okay? Tu sei la cosa più cara che ho, capito amore della mamma?"disse lei mentre prendeva la sua mano e le baciava il dorso.
"Si, lo so ma amore della mamma glielo dici a Pietro"
"Va bene se ti chiamo acida come un limone?"chiese lei e Wanda rise.
"Dalla tua risata mi sa di sì, acceleriamo sennò trovo la folla al Walmart"
Le bastò proseguire per un bel tratto e poi girò verso destra in un grande parcheggio. Le due entrarono e iniziarono a girare per i vari scaffali, prendendo roba che sarebbe servita per la cena di questa sera e per i prossimi giorni.
"Hai preso tutto tu?"chiese sua madre e lei aprì la sezione delle note del suo cellulare, dove aveva segnato una piccola lista della spesa.
"Manca solo il burro d'arachidi per Pietro. Vado a prenderlo"disse lei e subito si diresse alla corsia dove si trovava il burro d'arachidi.
Ma ancora una volta il suono della notifica di un messaggio la distrasse. Decise di aprire il messaggio e di rispondere.
Capitano Barnes 🏀
Come mai non sei qui?
Il professor Stark ha chiesto di te...tranquilla, gli ho risposto io.
Almeno dammi un cenno, ci sei?
Wan🌸
Grazie...giornata impegnativa,ricordi?
Capitano Barnes 🏀
Vero...scusa me ne sono dimenticato.
Lei sorrise ancora aggraziata del gesto che il ragazzo dietro lo schermo aveva fatto per lei. Si avvicinò allo scaffale prestabilito e si accorse che il burro di arachidi era messo troppo in alto. Si allungò ma purtroppo era troppo alto e troppo difficile doverlo prendere. Non doveva fare troppi sforzi e per quando la soluzione migliore fosse quella di dover richiamare sua madre, lei testarda provò una seconda volta a prenderlo da sola. Saltò anche, fin quando una mano prese lo stesso barattolo che aveva fra le mani e lo abbassò alla sua altezza cosicché lei potesse prenderlo facilmente.
Era una mano davvero curata, di una carnagione molto chiara e con delle unghie dipinte di un color nude e con due anelli alle dita.
"Grazie..."disse Wanda appena si rese conto che stava fissando da troppo tempo il barattolo.
"Tranquilla tesoro, ero qui per prenderlo visto che mio marito è preso da altro..."disse lei facendo un cenno verso un uomo alto e con i capelli grigi che era a telefono e che era alla fine del reparto.
"Beh, credo lo sappia meglio di me...voglio dire sono uomini"
"Oh cara, hai proprio ragione!"
"Grazie ancora"disse Wanda alzando il barattolo e la signora dai capelli neri e occhi azzurri le sorrise.
Sorriso che Wanda ricambiò e che rimase fisso sul suo viso per l'ennesimo messaggio da parte di James. Questa giornata era iniziata decisamente col piede giusto.
#alternative universe#black widow#brock rumlow#captain america#falcon#james barnes#maria hill#marvel#natasha romanoff#pairing#writing#wanda maximoff#scarletwitch#steve rogers#sam wilson#the winter soldier#sharon carter#stevenat#romanogers#scarlet soldier#winterwitch
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Dei miei pensieri vorrei si dicesse che assomigliano a cucchiaini, sai come sono i cucchiaini rimescolano.
Un caffè durante l'incontro, la tazza di latte del bimbo ancora assonnato, si immergono nel dolce di un compleanno dei tuoi amici più cari, pensa che al tuo primo boccone avevi un cucchiaino.
Portano alle labbra i sapori più teneri, gli inizi, un frattempo.
Si agitano quando qualcosa è troppo densa, equilibrano le differenze unendole, rilasciando al giudizio delle labbra le essenze, un gelato...
I cucchiaini accolgono, rilasciano sapori a volte ad occhi chiusi come dopo un tuffo nel barattolo della nutella.
Dei miei pensieri vorrei si dicesse assomigliano a cucchiaini sempre utili a riconsiderare la vita.
@ RossellaRò (skinofmysoul)
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