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"Il Rosso col Pesce" di Matteo Nepi: Un viaggio tra ironia e riflessione. Recensione di Alessandria today
Un romanzo che racconta l’Italia rurale attraverso un’avventura unica e imprevedibile.
Un romanzo che racconta l’Italia rurale attraverso un’avventura unica e imprevedibile. Introduzione:Con “Il Rosso col Pesce”, Matteo Nepi ci offre un romanzo capace di fondere umorismo e introspezione. Ambientato in una pittoresca valle italiana, il libro segue le vicende di un protagonista fuori dagli schemi, alle prese con un viaggio che si trasforma in una scoperta personale. L’autore esplora…
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Napoli, la manutenzione delle piste ciclabili sarà curata da mecenati. Via Nuova Agnano-viale Kennedy affidata alla KLM
Napoli, la manutenzione delle piste ciclabili sarà curata da mecenati. Via Nuova Agnano-viale Kennedy affidata alla KLM Con la simbolica consegna della ciclovia via Nuova Agnano-viale Kennedy alla KLM - Royal Dutch Airlines ha preso il via "Adotta una ciclabile", progetto di mecenatismo voluto dal Comune di Napoli per garantire la manutenzione del percorso in un'ottica di potenziamento dei percorsi dedicati alle bici. La compagnia aerea olandese si occuperà della sistemazione e della cura del tratto che da via Nuova Agnano, di fronte alla Porta del parco, arriva a piazzale Tecchio, correndo tangente all'Università Federico II, alle stazioni della Cumana di Agnano, Edenlandia e Mostra, e lambendo la Mostra d'Oltremare. All'iniziativa erano presenti, questa mattina, il sindaco Gaetano Manfredi, l'assessore alle Infrastrutture e alla Mobilità Edoardo Cosenza e Lucia Impiccini, direttore marketing KLM - Air France per il Sud del Mediterraneo. Il progetto di mecenatismo consentirà di effettuare la manutenzione delle piste ciclabili, più che mai necessaria in considerazione del fatto che la realizzazione dei primi tratti risale ormai a 11 anni fa. Sicomincia da via Nuova Agnano-viale Kennedy con un intervento che riguarderà non solo la sistemazione del fondo ma anche la segnaletica orizzontale e verticale. Oltre che per l'urgenza dei lavori, la scelta è caduta su questo tratto perché si inserisce in una rete di ciclabili che da Fuorigrotta si ricollegherà con il percorso di via Caracciolo e con quello da realizzare nell'ambito del parco urbano di Bagnoli. Grazie ai finanziamenti del Pnrr, entro il 2026 Napoli avrà 60 chilometri di tracciato destinati alla mobilità in bici con nuovi tratti tra Fuorigrotta e Soccavo, a Scampia e a San Giovanni. "Abbiamo un programma molto ampio di espansione delle piste ciclabili, ma è anche importante manutenere e gestire quelle che già state realizzate. Questo accordo con KLM – ha evidenziato il sindaco Manfredi – è un passo significativo. In passato con le piste ciclabili sono state fatte delle scelte piùideologicheche pratiche. Per poter avere delle ciclabili che siano veramente utilizzabili in sicurezzaabbiamo lanecessità di realizzarle in maniera tecnicamente valida. Napoli è una città complessa in cui la mobilità su due ruote non è semplice, ma con l'impegno di tutticercheremo di realizzare anche questa componente importante della mobilità dolce di cui la cittàbisogno". "Realizzeremo 38 chilometri di nuove ciclabili distribuiti nelle aree Est, Oveste Nord. Abbiamo già aggiudicato gli appalti integrati – ha annunciato l'assessore Cosenza –. Per realizzare questi interventi bisogna essere attentie operare in maniera coordinata perché ogni ciclabile occupa 2 metri e mezzo di strada, quasi un'intera corsia per auto. Anche per questo occorre incrementare sempre più il trasporto sotterraneo su ferro: quante più macchine togliamo dalla strada, tante più ciclabilipotremo fare". "Abbiamo trovato una grande disponibilità da partedelle istituzioni a collaborare ad un percorso che per noi è soltanto all'inizio – ha spiegato il direttore marketing Lucia Impiccini –.Napoli, infatti, è la prima città italiana nella quale saremo impegnati nellamanutenzione delle piste ciclabili. Cominceremo con i primi due chilometri di questo percorso, poi chiederemo anche alla città di partecipare, pedalando. Se la cittàrisponderà in massa noi, faremo la manutenzione di altri chilometri". Le forme di mecenatismo per la tutela e la valorizzazione del patrimonio pubblico hanno ricevuto nuovo impulso dal regolamento sulle donazioni dei cittadini, approvato nel dicembre dello scorso anno dal Consiglio comunale al link. Grazie all'impegno dell'associazione "Friends of Naples onlus" è stato restaurato l'obelisco meridiana nella Villa Comunale; l'associazione Mecenati per le Arti, il cinema e lo sport sostiene il restauro delle otto statue poste sul fronte d'ingresso della Villa comunale, lato piazza Vittoria; l'associazione Giffas ha donato le attrezzature sportive installate nel lido comunale di Bagnoli.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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«Qual è il sintomo principale di Ange Duroc? Si tratta di un rituale che ordina la sua vita sessuale. Pur essendo sposato da quasi dieci anni, mantiene il proprio matrimonio “bianco”. Un rituale si ripete, monotono, prendendo il posto del rapporto sessuale assente: tiene sua moglie vicina a sé nel letto eccitandosi della sua presenza, ma evitando di consumare l’atto sessuale. Il suo godimento consiste nel tenere in stallo il proprio desiderio e nel negare ferocemente quello della moglie. La natura inconscia del suo godimento è nell’esercizio programmato della sua ritenzione. Avviene anche con le feci che tratteneva senza evacuare sin da bambino (“Provava il bisogno d’andare di corpo, di spingere le materie fino al bordo del margine anale sensibile, prima di ritenerle in extremis”). In questo rituale si accontenta di contemplare la sua erezione senza scambiare nulla con la propria partner, avvicinandosi all’atto sessuale senza mai compierlo, trattenendolo, differendolo infinitamente. Il primo ricordo traumatico che concerne la sua vita sessuale riguarda la prima notte d’amore con una collega di lavoro che, sorprendendo Duroc, si rivela più intraprendente del previsto arrestando l’iniziativa dell’uomo che letteralmente, di fronte al desiderio particolarmente brioso della donna, si congela. La pietrificazione del desiderio è un tratto caratteristico della nevrosi ossessiva, che non a caso Leclaire evoca nel nome stesso che sceglie di dare al suo paziente: Duroc, “di roccia”, appunto. Ma questo primo ricordo si rivela come un ricordo di copertura di un altro ben più antico e decisivo che è all’origine del suo bizzarro rituale:
Ha tre anni, ancora figlio unico; la madre è proprio all’inizio di una gravidanza che condurrà alla nascita di una sorellina. Questa madre, poco tenera e meticolosamente pulita, ha una gran cura della sua igiene intima. Regolarmente si dedica al rito dell’irrigazione; viene celebrato nella cucina dove depone per terra una larga coperta; gli strumenti vengono ordinati, ella conduce allora il principale, il figlio, perché non potrebbe, pretende lei, restare solo nella stanza vicina. Si stende stringendosi vicino il piccolo Ange e l’operazione comincia nell’immobilità di un godimento silenzioso. Lui conserva il ricordo di una effusione che si espande, del piacere ineffabile di un contatto avvolgente con l’esclusione specifica di ogni emozione propriamente genitale.
[...] L’assenza di penetrazione rivela la presenza dell’interdizione simbolica: egli può godere solo astenendosi dal godere, facendo dell’astensione dal godimento il suo stesso, e più profondo, godimento. Di qui l’angoscia permanente di sentirsi violato nelle proprie barriere; verso le ferite, gli aghi, la carrozzeria della sua auto. E di qui anche il suo “culto del muro”, il suo farsi roccia, pietra impassibile, come se avesse trovato la soluzione difensiva di fronte al rischio di un desiderio dell’Altro troppo invadente e incestuoso. La sua passione fondamentale è infatti quella di impedire il contatto erigendo continue barriere che dovrebbero separarlo da questo godimento consumatosi nell’assenza del padre: della madre verso di lui e del suo verso la madre.»
– Massimo Recalcati Le mani della madre
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Lo stigma sociale che circonda la depressione e i disturbi psichici in generale inibisce tutt’ora il processo di normalizzazione delle malattie mentali, con le conseguenze sanitarie che ciò comporta. Può capitare, infatti, che chi soffre di depressione maggiore ricerchi un consulto specialistico solo dopo molto tempo dall’esordio della patologia, magari sottovalutando le proprie problematiche psichiche o ritenendole indegne di cura (auto-stigma). [...] Soffrirne non è affatto segno di debolezza o, peggio, di pigrizia: pertanto non può essere gestita con puri atti di volontà (il “devo essere forte” e il “devo farcela da solo”). [...]
Bisogna rompere quel muro di vergogna, paura, diffidenza e isolamento sociale che attanaglia il «depresso» che sente di non corrispondere più al modello culturale competitivo moderno, che non riesce a mantenere dei rapporti costruttivi con le persone importanti della propria vita e incappa in enormi difficoltà nel gestire lo stress relazionale sul luogo di lavoro. [...]
Cosa fare quando ci rendiamo conto che una persona a noi vicina soffre di depressione?
Anzitutto dimostrare comprensione e attenzione alle problematiche esposte; poi, con delicatezza, invitarlo a parlarne con uno specialista. Mai dire: “Dai, non è nulla, passerà…”, “Reagisci!”, “Guarda a chi sta peggio di te…”, “I problemi veri sono altri: tu hai il lavoro, la salute, sei giovane. Cosa ti manca?”. Equivale a dargli una simbolica pacca sulla spalla e minimizzare.
Confidarsi con qualcuno di fidato, anche se chiaramente non è un atto risolutivo, quanto incide positivamente su chi è affetto da depressione o disturbi dell’umore?
Incide positivamente solo se quel qualcuno è una persona che “comprende” queste malattie.
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I governi cambiano, la scure repressiva contro le lotte resta
La caduta del governo Conte Uno avvenuta lo scorso agosto e la contestuale nascita del Conte Bis “desalvinizzato”, avevano ingenerato in un settore largo della sinistra e dei movimenti sociali un sentimento diffuso di attesa per un cambiamento di passo in senso democratico.
Un attesa dettata non tanto dalla possibilità che il nuovo esecutivo “giallo-rosa”, nato in nome e per conto dell’Europa del Patto di Stabilità e del Fiscal Compact, potesse imprimere un vero cambiamento nelle politiche economiche o un reale miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori e degli oppressi, quanto dalla speranza che l’esclusione della Lega dal governo potesse mettere almeno un freno all’ondata di odio razzista e all’escalation di misure e provvedimenti restrittivi delle cosiddette “libertà democratiche”.
Le prime dichiarazioni degli esponenti del PD (con a capo Zingaretti) e di LeU non appena insediatisi al governo, alimentavano questa speranza, nella misura in cui individuavano nei due Decreti Sicurezza- Salvini al tempo stesso il simbolo e il cuore dell’offensiva reazionaria guidata dalla Lega, dichiarando solennemente che queste misure andavano abrogate o, quantomeno, radicalmente mutate.
A quattro mesi di distanza dall’insediamento del Conte bis, appare evidente che quella speranza si sia ancora una volta tradotta in una pia illusione, e che anche stavolta ci siamo trovati di fronte alla classica “promessa da marinaio” ad opera dei soliti mestieranti della politica borghese.
Il decreto Salvini- Uno
Dei due decreti- sicurezza targati Lega e convertiti in legge grazie al voto favorevole dei 5 Stelle si è parlato e si parla tanto, ma il più delle volte per alimentare in maniera superficiale una presunta contrapposizione tra “buonisti democratici” e “cattivisti destorsi” che per analizzare (e fronteggiare) la portata reale delle misure in essi contenute.
Già il primo DL, che si concentrava quasi esclusivamente contro i richiedenti asilo e i lavoratori immigrati (imponendo una stretta feroce sugli sbarchi e sulla concessione dei permessi di soggiorno, eliminando gli SPRAR e assestando un colpo durissimo all’intero sistema dell’accoglienza facendo strumentalmente leva sulle contraddizioni e sul business che spesso ruota attorno agli immigrati) in realtà puntava già molto oltre, mettendo nel mirino l’esercizio di alcune di quelle libertà che a partire dal secondo dopoguerra venivano dai più considerate “fondamentali” e costituzionalizzate come tali in ogni stato che si (auto)definisce democratico: su tutte la libertà di sciopero e di manifestazione pubblica e collettiva del dissenso.
Nella versione originaria del Decreto, quasi mimetizzato nel mezzo di una lista interminabile di norme per il “contrasto all’immigrazione clandestina” utili a soddisfare le paranoie securitarie di un’ opinione pubblica lobotomizzata dal bombardamento mediatico a reti unificate sulla minaccia dell’“invasore immigrato brutto sporco e cattivo”, ci si imbatteva nell’articolo 23, una norma di neanche dieci righe recante “Disposizioni in materia di blocco stradale”, nella quale, attraverso un abile gioco di rimandi, modifiche e abrogazioni di leggi precedenti tipico del lessico istituzionale, in maniera pressoché imperscrutabile si introduceva la pena del carcere fino a 6 anni per chiunque prendesse parte a blocchi stradali e picchetti, fino a 12 anni per chi veniva individuato come organizzatore e con tanto di arresto in flagranza, vale a dire che se a protestare sono degli immigrati, alla luce proprio di quanto previsto dal medesimo decreto, una tale condanna si sarebbe tradotta nel ritiro immediato del permesso di soggiorno e quindi nell’espulsione dall’Italia.
Dunque, in un piccolo e apparentemente innocuo trafiletto si condensava un salto di qualità abnorme contro le lotte sindacali e sociali, con pene esemplari, contro ogni forma di manifestazione di strada e ogni sciopero che non si limitasse ad un’astensione dal lavoro meramente formale e simbolica (dunque innocua per i padroni): un idea di “sicurezza” che poco avrebbe da invidiare al Cile di Pinochet se è vero, come giustamente evidenziato dall’avvocato Claudio Novaro del foro di Torino1, che ad esempio, per i partecipanti ad un’associazione per delinquere il nostro codice penale prevede sanzioni da 1 a 5 anni di reclusione, per i capi e promotori da 3 a 7, per un attentato ad impianti di pubblica utilità da 1 a 4, per l’adulterazione di cose in danno della pubblica salute da 1 a 5. Per Salvini e i compagni di merende il reato di picchetto e di blocco stradale è considerato uguale a quello di chi recluta o induce alla prostituzione dei minorenni, di chi commette violenza sessuale contro un minore di 14 anni o di chi compie violenza sessuale di gruppo ed è addirittura più alto di quello del reato di sequestro di persona, della rapina semplice e della violenza sessuale su un adulto.
Tradotto in soldoni: per la Lega interrompere anche solo per qualche ora il flusso di merci e degli “affari” a beneficio dei padroni e contro l’ordine costituito (magari per reclamare il rispetto di un contratto collettivo nazionale di lavoro, impedire un licenziamento di massa, protestare contro la devastazione dei territori o contro megaopere nocive per la salute e l’ambiente o per denunciare il dramma della precarietà e della disoccupazione) rappresenta un “pericolo per la sicurezza” più grave e penalmente più rilevante che commettere uno stupro o far prostituire minorenni!
Il fatto che l’orda reazionaria rappresentata dalla Lega, FdI possa giungere a tali livelli di delirio non sorprende più di tanto: a meravigliare (non per noi) alcuni della sinistra politica e sociale è stato invece il silenzio assordante della quasi totalità degli organi di stampa, dell’opposizione “democratica” e dei sindacati confederali CGIL-CISL-UIL, dalle cui fila non una sola parola è stata spesa per denunciare il colpo di mano dell’articolo 23, ne tantomeno per chiedere la sua immediata cancellazione: un silenzio pari o forse ancor più rumoroso dei tamburi di guerra leghisti tenendo conto che se una norma del genere fosse stata varata nella seconda metà del secolo scorso, essa si sarebbe tradotta in anni e anni di carcere, ad esempio per migliaia di iscritti e dirigenti sindacali (compreso il tanto osannato Giuseppe Di Vittorio) che in quegli anni conducevano dure battaglie sindacali all’esterno delle fabbriche o in prossimità dei latifondi agricoli, e laddove la Cgil e la Fiom di allora facevano ampio uso del picchetto e del blocco stradale quale strumento di contrattazione (fatto storico, quest’ultimo che gli attuali burocrati sindacali, epigoni di quella Cgil, preferiscono occultare, accodandosi in nome di un ipocrita legalitarismo all’ignobile campagna di criminalizzazione del conflitto sindacale…).
Un silenzio che, d’altra parte è stato quantomai “eloquente”, se si pensa che tra i principali ispiratori della prima versione dell’articolo 23 vi era Confetra, vale a dire una delle principali associazioni imprenditoriali del settore Trasporto Merci e Logistica, la quale già il 26 settembre 2018 (quindi più di una settimana prima che il testo del decreto fosse pubblicato in Gazzetta Ufficiale) per bocca del suo presidente Nereo Marcucci si precipitava a dichiarare alla stampa che tale norma era “un ulteriore indispensabile strumento di prevenzione di forme di violenza e di sopraffazione di pochi verso molti. Certamente non limita il diritto costituzionalmente garantito allo sciopero. Con le nostre imprese ed i nostri dipendenti contiamo molto sul suo effetto dissuasivo su pochi caporioni”2.
All’epoca di tale dichiarazione il testo del decreto era ancora in fase di stesura, tanto è vero che nella suddetta intervista Marcucci indica la norma antipicchetti come “articolo 25”: lasciando così supporre che i vertici di Confetra, se non proprio gli autori materiali della scrittura dell’articolo, ne fossero quantomeno i registi e gli ispiratori…
Ma chi sono quei “pochi caporioni” che Marcucci tira in ballo confidando nell’effetto dissuasivo del DL Salvini a colpi di carcere e codice penale? E che ruolo ha avuto Confetra in tutto ciò?
Il bersaglio di Marcucci, manco a dirlo, era ed è il possente movimento autorganizzato dei lavoratori della logistica rappresentato a livello nazionale dal SI Cobas e, nel nord-est, dall’ADL Cobas, che a partire dal 2009 ha operato un incessante azione di contrasto delle forme brutali di sfruttamento, caporalato, evasione fiscale e contributiva, illegalità e soprusi di ogni tipo a danno dei lavoratori, rese possibili grazie all’utilizzo di un sistema di appalti e subappalti a “scatole cinesi” e dell’utilizzo sistematico di finte cooperative come scappatoia giuridica: un azione che nel giro di pochi anni, attraverso migliaia di scioperi e picchetti (dunque riappropriandosi di quello strumento vitale di contrattazione abbandonato da decenni dai sindacati confederali integratesi nello Stato borghese ed oramai finito in disuso anche per una parte dello stesso sindacalismo “di base”) e potendo contare solo sulla forza organizzata dei lavoratori, ha portato ad innumerevoli vittorie, prima attraverso l’applicazione integrale del CCNL di categoria in centinaia di cooperative e ditte appaltatrice, e poi finanche alla stipula di ben 3 accordi-quadro nazionali di secondo livello in alcune delle più importanti filiere facenti capo all’organizzazione datoriale Fedit (TNT, BRT, GLS, SDA) e con altre importanti multinazionali del settore.
Questo ciclo di lotta ha portato nei fatti il SI Cobas e l’Adl a rappresentare nazionalmente la maggioranza dei lavoratori sindacalizzati della categoria, ma che ha dovuto fin dall’inizio fare i conti con una pesantissima scure repressiva: cariche fuori ai cancelli dei magazzini, fogli di via, divieto di dimora, sanzioni amministrative, arresti e processi a non finire, licenziamenti discriminatori e finanche l’arresto del coordinatore nazionale del SI Cobas Aldo Milani nel gennaio 2017 con l’accusa infamante di “estorsione” come conseguenza di un’ondata di scioperi che dalla logistica aveva contaminato l’”intoccabile” filiera modenese delle carni3. Confetra e le aziende ad essa associate si sono col tempo dimostrate le principali “teste d’ariete” di questa strategia, e cioè una delle controparti maggiormente ostili, refrattarie al dialogo e propense a trasformare il conflitto sindacale in un problema di “ordine pubblico” anche di fronte alle forme più intollerabili e plateali di sfruttamento e di caporalato.
E non è un caso se proprio Confetra risulta essere la parte datoriale “amica” di Cgil-Cisl-Uil, come dimostra non solo una condotta decennale tesa ad escludere i cobas dai tavoli di trattativa nazionali, ma anche la vera e propria comunione d’intenti, al limite della sponsorizzazione reciproca da essi operata sia dentro che fuori i luoghi di lavoro (appelli comuni alle istituzioni, eventi, convegni, biografie dei dirigenti Confetra in bella mostra sui siti nazionali dei confederali, “tavoli della legalità”, ecc.).
Una tale condotta da parte di Cgil-Cisl-Uil, che ha da tempo abbandonato il conflitto (seppur per una politica tradeunionista) per farsi concertativa e infine a tutti gli effetti consociativa, non poteva di certo tradursi in una qualsivoglia opposizione alle misure “antipicchetto” ideate da Salvini su suggerimento di Confetra…
Discorso analogo per l’intero panorama della sinistra istituzionale, del mondo associativo e della “società civile”, per le ragioni che vedremo in seguito.
Dunque, nell’autunno del 2018 gli unici ad opporsi coerentemente, organicamente e radicalmente al primo DL Salvini sono stati, ancora una volta, il sindacalismo conflittuale con in prima fila il SI Cobas, i movimenti per il diritto all’abitare (in particolare a Roma e Milano), alcuni centri sociali e collettivi studenteschi, la parte tendenzialmente classista, estremamente minoritaria, del mondo associativo e della cooperazione, alcune reti di immigrati col circuito “no-border”, i disoccupati napoletani del movimento “7 novembre”, qualche piccolo gruppo della sinistra extraparlamentare comunista, antagonista o anarchica, i No Tav e poco altro.
Buona parte di queste realtà hanno aderito all’appello lanciato dal SI Cobas per una manifestazione nazionale che si è svolta il 27 ottobre 2018 a Roma riempendo le vie della capitale con circa 15 mila manifestanti, in larghissima maggioranza lavoratori immigrati della logistica e non solo. Ma non si è trattato di un evento isolato: a latere di quella riuscitissima manifestazione il SI Cobas, supportato al nord da centri sociali e studenti e al centrosud da disoccupati e occupanti casa, ha indetto una numerose altre iniziative nazionali e locali, fino ad arrivare al vero e proprio assedio all’allora vicepremier 5 Stelle Luigi di Maio nella sua natìa Pomigliano d’Arco con una contestazione promossa da licenziati FCA e collettivi studenteschi il 19 novembre 2018.
E ancora una volta si è avuta la riprova che “la lotta paga”, due settimane dopo, all’atto della conversione in legge del DL- Sicurezza, la norma persecutoria prevista dall’articolo 23 è stata cancellata e ripristinata la norma precedente che in caso di picchetto o blocco stradale non prevede alcuna pena detentiva bensì una sanzione amministrativa da 1000 a 4000 euro (come si vedrà nel caso delle lotte alla Tintoria Superlativa di Prato, questa misura, disapplicata e di fatto finita in desuetudine per decenni, verrà rispolverata con forza e con zelo durante tutto il 2019 contro operai in sciopero e disoccupati). Ad ogni modo, le proteste autunnali hanno probabilmente ricondotto a più “miti consigli” almeno una parte dei 5 Stelle, già all’epoca dilaniati dalla contraddizione insanabile tra le aspettative suscitate nella componente operaia del suo elettorato e le imbarazzanti performance governative fornite dai suoi vertici finiti a braccetto prima con la Lega di Salvini, poi col tanto vituperato PD.
Alla luce di questo parziale ma preziosissimo risultato, ottenuto con la mobilitazione di alcune decine di migliaia di manifestanti, qualcuno dovrebbe chiedersi cosa sarebbe rimasto del DL-Salvini se quelle organizzazioni sindacali confederali che tanto sono “maggiormente rappresentative” sui luoghi di lavoro, se non fossero ormai integrate nello stato a difesa degli interessi capitalisti si “ricordassero” quale dovrebbero essere il loro ruolo e fossero scese in piazza contro questa legge reazionaria e razzista: con ogni probabilità (e come sta insegnando in queste settimane il movimento francese contro la riforma pensionistica di Macron), quel decreto sarebbe divenuto in poche ore carta straccia…
Lega, 5 stelle e padronato ritornano alla carica: il Decreto Salvini- Due
Come insegna l’intera storia del movimento operaio, le conquiste e i risultati parziali strappati con la lotta possono essere difesi e preservati solo intensificando ed estendendo le lotte stesse.
Purtroppo, l’esempio tangibile dato dal SI Cobas e dai settori scesi in piazza contro il primo Decreto-Salvini non è riuscito a smuovere sufficientemente le acque e a portare sul terreno del conflitto reale quel settore di lavoratori, precari, disoccupati, studenti e immigrati ancora legati ai sindacati confederali e al resto del sindacalismo di base, ne è riuscito a coagulare attorno a se quel che resta dei partiti e dei partitini della sinistra “radicale”, dai comitati antirazzisti e ambientalisti spalmati sui territori, i movimenti delle donne come NUDM ( in realtà, queste ultime attive e con un seguito importante sulle tematiche di loro specifica pertinenza, ma incapaci di sviluppare un opposizione a tutto campo e di collegarsi alle lotte sui luoghi di lavoro e alle principali emergenze sociali).
E, inevitabilmente, l’offensiva di governo e padroni è ripartita in maniera incessante, prendendo la forma del “Decreto-sicurezza bis”.
Il canovaccio è stato grosso modo identico a quello del primo DL: immigrazione e “ordine pubblico” restano le due ossessioni di Salvini. A cambiare è tuttavia il peso specifico assegnato a ciascuna emergenza: il Dl bis “liquida” in soli 5 articoli il tema- immigrazione prevedendo una pesante stretta repressiva sugli sbarchi e “pene esemplari” per chi viene ritenuto colpevole di favorire l’immigrazione clandestina (dunque in primo luogo le tanto odiate ONG, i cui comandanti delle navi possono essere condannati a multe fino a un milione di euro), per poi concentrarsi con cura sulle misure tese a schiacciare sul nascere ogni possibile sollevazione di massa in chiave antigovernativa.
E così si prevede, negli articoli 6 e 8 un forte inasprimento delle pene per l’uso dei caschi all’interno di manifestazioni, per i reati di resistenza a pubblico ufficiale e finanche per l’uso di semplici fumogeni durante i cortei.
Il decreto, entrato in vigore il 15 giugno 2019, viene definitivamente convertito in legge l’8 agosto, dunque a pochi giorni dalla sceneggiata del Papeete Beach e della fine anticipata dell’esecutivo gialloverde.
Va peraltro notato che in questa occasione, contrariamente a quanto avvenuto col primo decreto, durante l’iter di conversione le pene previste, sia in caso di sbarchi di clandestini sia riguardo l’ordine pubblico alle manifestazioni, vengono addirittura inasprite: il tutto con il voto favorevole dell’intero gruppo parlamentare pentastellato!
Il resto della storia è noto come abbiamo accennato all’inizio dell’articolo.
Nel corso dei primi mesi di insediamento del Conte Bis, lungi dall’assistere a un ammorbidimento della stretta repressiva, abbiamo assistito invece ad un suo inasprimento: a partire dalla primavera del 2019 ad oggi gli scioperi nella logistica e i picchetti sono quotidianamente attaccati dalle forze dell’ordine a colpi di manganello e gas lacrimogeni, ma soprattutto si moltiplicano le misure penali, cautelari e amministrative e addirittura le Procure tirano fuori, come per magia, procedimenti pendenti per manifestazioni, scioperi e iniziative di lotta svoltesi anni addietro e tenute a lungo nel cassetto. La scure colpisce indiscriminatamente tutto ciò che sia mosso nell’ultimo decennio: scioperi, movimento No-Tav, lotte dei disoccupati, occupazioni a scopo abitativo, iniziative antimilitariste, e persino semplici azioni di protesta puramente simbolica.
Tuttavia, per mettere bene a fuoco il contesto generale che portano a questa vera e propria escalation bisogna fare un passo indietro e tornare al 2017.
E’ in questo periodo, infatti, che il governo Gentiloni a guida PD vara il Decreto- sicurezza Minniti, contenente gran parte delle norme e delle pene di cui si servono le Procure per scatenare questa vera e propria guerra agli sfruttati e agli oppressi.
Il DL Minniti-Orlando
Roma, 25 marzo 2017: in occasione del vertice dei capi di stato UE per celebrare i 60 anni dei Trattati, le strade della capitale sono attraversate da diversi cortei, tra cui quello del sindacalismo di base e dei movimenti che esprimono una radicale critica alle politiche di austerity imposte da Bruxelles. Ancor prima dell’inizio della manifestazione avviene un vero e proprio rastrellamento a macchia di leopardo per le vie di accesso alla piazza: 30 attivisti vengono fermati dalla polizia e condotti in Questura, laddove saranno sequestrati per ore e rilasciati solo a fine corteo. Questo controllo “preventivo” ha come esito l’emissione di 30 DASPO urbani per tutti i fermati: la loro unica colpa era quella di indossare giubbotti di colore scuro e qualche innocuo fumogeno. In alcuni casi gli agenti pur avendo potuto appurare la mancanza di precedenti penali, decidono di procedere ugualmente al fermo in base all’“indifferenza ed insofferenza all’ordine costituito con conseguente reiterazione di condotte antigiuridiche sintomatiche”.
I suddetti Daspo urbani rappresentano la prima applicazione concreta del DL Minniti, varato dal governo Renzi il 17 febbraio 2017 e definitivamente convertiti in legge il successivo 12 aprile contestualmente all’approvazione di un secondo decreto “Orlando-Minniti” sull’immigrazione. Tale misura, che prende a modello anche nel nome gli analoghi provvedimenti già sperimentati sulle curve calcistiche, nelle dichiarazioni di Minniti si prefigge di tutelare la sicurezza e il decoro delle città attraverso l’allontanamento immediato di piccoli criminali o di semplici emarginati (clochard, viandanti, parcheggiatori abusivi, ambulanti), con ciò svelando fin dal principio la una visione securitaria analoga a quella della Lega. Ma i fatti di Roma dimostrano in maniera chiara che il bersaglio principale del DL Minniti è il dissenso sociale e politico: la linea guida è quella di perseguire le lotte sociali in via preventiva, non più attraverso le leggi e le norme del codice penale ad esse preposte e per i reati “tipici” riconducibili a proteste di piazza, bensì attraverso l’uso estensivo e per “analogia” di fattispecie di reato ascrivibili alla criminalità comune: a sperimentarlo sulla loro pelle saranno ad esempio i 5 licenziati della FCA di Pomigliano d’Arco, che l’11 ottobre 2018 si vedono rifilare un Daspo immediato da parte della Questura a seguito di un’iniziativa simbolica e pacifica su un palazzo di piazza Barberini in cui si chiedeva un incontro col l’allora ministro Di Maio.
In realtà il Daspo urbano codifica ed accelera un processo che è già in atto e che nelle aule di Tribunale ha già prodotto numerosi precedenti: su tutti basterebbe pensare alla feroce repressione abbattutasi nel 2014 contro decine di esponenti del movimento dei disoccupati napoletani, incarcerati o condotti agli arresti domiciliari per diversi mesi con l’accusa di “estorsione” associata alla richiesta di lavoro, o al già citato caso di Aldo Milani, condotto agli arresti con la stessa accusa il 26 gennaio 2017 a seguito di un blitz delle forze dell’ordine a un tavolo di trattativa sindacale in cui si stava discutendo di 55 licenziamenti nell’azienda di lavorazione carni Alcar Uno e della possibilità di interrompere le agitazioni nel caso in cui i padroni avessero sospeso i licenziamenti e pagato quanto dovuto ai lavoratori…
In secondo luogo, il Daspo urbano va ad affiancarsi a un già ampio ventaglio di misure restrittive e limitative della libertà personale: fogli di via obbligatori, obblighi e divieti di dimora, avvisi orali, sorveglianza speciale, ecc.: riguardo quest’ultima, il caso forse più eclatante è rappresentato dalla sentenza del 3 ottobre 2016 con cui il Tribunale di Roma ha imposto un rigido regime di sorveglianza speciale a carico di Paolo Di Vetta e Luca Faggiano, due tra i principali esponenti del movimento romano per il diritto all’abitare (questa misura è poi diventata, negli ultimi anni, il principale strumento repressivo teso a colpire il movimento anarchico in varie città). D’altra parte va evidenziato che rispetto alle misure sovracitate, il Daspo Urbano si contraddistingue per la tempestività di attuazione in quanto diviene immediatamente esecutivo senza dover attendere l’iter processuale.
L’approvazione nello stesso giorno della legge Minniti, intitolata “Disposizioni urgenti per la tutela della sicurezza delle città” e della legge Minniti- Orlando intitolata “Disposizioni urgenti per l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale e per il contrasto dell’immigrazione illegale” non è casuale, bensì risponde a una precisa strategia tesa ad associare l’“emergenza-sicurezza” con l’“emergenza immigrati”, presentandole agli occhi dell’opinione pubblica come due facce della stess medaglia. D’altrone, le norme contenute nella legge immigrazione voluta dal PD, per il loro tenore discriminatorio e repressivo non si fanno mancare davvero niente. Al suo interno sono previsti, tra l’altro: l’ampliamento e la moltiplicazione dei centri di espulsione (ribattezzati CPR al posto dei CIE creati dalla Bossi-Fini) che da 5 passano a 20; l’accelerazione delle procedure di espulsione attraverso l’abolizione del secondo ricorso in appello per le richieste di asilo; l’abolizione dell’udienza (il testo del decreto, poi modificato, prevedeva addirittura la creazione di tribunali speciali ad hoc, vietati dalla Costituzione) e l’introduzione del lavoro volontario, cioè gratuito, per gli immigrati. Contestualmente, nelle stesse settimane il governo Gentiloni siglava un memorandum con il governo libico in cui veniva garantito il massimo supporto in funzione anti-Ong alla guardia costiera libica, cioè a coloro che sono universalmente riconosciuti come responsabili di violenze e torture nei campi di detenzione. Non è un caso che questa legge abbia ricevuto dure critiche persino dall’ARCI e dalle ACLI (senza però mai tradursi in mobilitazioni concrete per la sua cancellazione).
Da questa ampia disamina dovrebbe dunque apparire chiaro come i due decreti- Salvini siano tutt’altro che piovuti dal cielo, e men che meno il semplice frutto di un “colpo di mano” ad opera di un estremista di destra: al contrario, Salvini e i suoi soci hanno camminato su un tappeto di velluto sapientemente e minuziosamente preparato dai governi a guida PD.
Il messaggio di questi provvedimenti è sostanzialmente analogo: se sei italiano devi rigare dritto e non osare mai disturbare il manovratore, pena il carcere o la privazione della libertà personale; se sei immigrato, o accetti di venire in Italia, come uno schiavo non avrai alcun diritto e sarai sfruttato per 12 ore al giorno in un magazzino o in una campagna a 3-4 euro all’ora, oppure sarai rimpatriato.
L’escalation repressiva degli ultimi mesi contro il SI Cobas
Avendo a disposizione un menu di provvedimenti tanto ampio, nel corso del 2019 lo stato concentra ancor più le proprie attenzioni contro le lotte sindacali nella logistica e i picchetti organizzati dal SI Cobas col sostegno di migliaia di lavoratori immigrati.
Ancora una volta la città di Modena diviene il laboratorio di sperimentazione del “pugno di ferro” da parte di Questure e Procure. La ribellione delle lavoratrici di ItalPizza, sfruttate per anni con contratti-capestro non corrispondenti alle loro mansioni e discriminate per la loro adesione al SI Cobas, diviene il simbolo di una doppia resistenza: da un lato ai soprusi dei padroni, dall’altro alla repressione statale.
La reazione delle forze dell’ordine è durissima: lacrimogeni sparati ad altezza-uomo, responsabili ed operatori sindacali pesatati a freddo, lavoratrici aggredite mentre sono in presidio. Addirittura si mobilitano a sostegno dei padroni le associazioni delle forze di polizia con in testa il potente SAP.
Ad ottobre si arriva addirittura a un maxiprocesso a carico di ben 90 tra lavoratori, sindacalisti e solidali. Ma la determinazione delle lavoratrici è più forte di ogni azione repressiva, e nonostante l’azione congiunta di padroni, forze dell’ordine e sindacati confederali, la battaglia per il riconoscimento di pieni diritti salariali e sindacali è ancora in corso.
Ma Modena è solo la punta dell’iceberg: nella vicina Bologna, una delle principali culle del movimento della logistica, ad ottobre i PM della Procura della Repubblica tentano addirittura di imporre 5 divieti di dimora per alcuni tra i principali esponenti provinciali del SI Cobas, compreso il coordinatore Simone Carpeggiani, accusati di minare l’ordine pubblico della città per via di uno sciopero con picchetto che si era svolto un anno prima (misura alla fine respinta dal giudice).
Nelle stesse settimane alla CLO di Tortona (logistica dei magazzini Coop), dopo un innumerevole sequela di attacchi delle forze dell’ordine al presidio dei lavoratori a colpi di manganelli e lacrimogeni, il 25 novembre la Questura di Alessandria decide di intervenire a gamba tesa ed emette 8 fogli di via contro lavoratori e attivisti.
A Prato, città attraversata da più di un anno da imponenti mobilitazioni operaie nel settore tessile, dapprima (a marzo 2019) vengono emessi due fogli di via nei confronti dei responsabili SI Cobas locali; poi, a dicembre, nel pieno di una dura vertenza alla Tintoria Superlativa di Prato (in cui tra l’altro i lavoratori pachistani denunciano un consolidato sistema di lavoro nero e sottopagato), si passa ai provvedimenti amministrativi, con la Questura che commina 4 mila euro di multa a 19 lavoratori e due studentesse solidali con le proteste.
Il 9 gennaio il gip di Brescia emette otto divieti di dimora nel comune di Desenzano del Garda a seguito delle proteste del SI Cobas contro 11 licenziamenti alla Penny Market.
A queste e tante altre analoghe misure restrittive si accompagnano altrettanti provvedimenti amministrativi tesi a colpire economicamente le tasche dei lavoratori e del sindacato.
Intanto, i PM del Tribunale di Modena sono ricorsi ( seppure la macchina amministrativa giudiziaria sia intasata da milioni di processi non compiuti) in appello, contro la sentenza di assoluzione piena avvenuta in primo grado nei confronti di Aldo Milani nel già citato processo sui fatti in Alcar Uno.
E’ evidente che un azione talmente incessante e sistematica da parte di Questure e Procure risponde a un organico disegno politico: neutralizzare e decapitare un sindacato combattivo e in continua espansione serve ad assestare l’ennesimo colpo al diritto di sciopero e all’esercizio della libertà di associazione sindacale, entrambi già gravemente compromessi nella gran parte dei luoghi di lavoro e ulteriormente ridotti all’indomani dell’approvazione del Testo unico sulla rappresentanza del 10 gennaio 2014, grazie al quale il riconoscimento sindacale diviene un privilegio ottenibile solo in cambio della rinuncia sostanziale allo sciopero come arma di contrattazione.
L’oramai più che decennale processo di blindatura da parte dello Stato verso ogni forma di dissenso e di conflitto è in ultima istanza il prodotto di una crisi economica internazionale che, lungi dall’essersi risolta, si riverbera quotidianamente in ogni aspetto della vita sociale e tende ad alimentare contraddizioni potenzialmente esplosive e tendenzialmente insanabili.
Le leggi e i decreti sicurezza, i quali, una volta scrostata la sottile patina di colore ad essi impressa dai governi di questo o quello schieramento, mostrano un anima pressoché identica, rappresentano non la causa, bensì il prodotto codificato e “confezionato” di questi processi, a fronte dei quali il razzismo e le paranoie securitarie divengono forse l’ultima “arma di distrazione di massa” a disposizione dei governi per occultare agli occhi di milioni di lavoratori e di oppressi una realtà che vede continuare ad acuirsi il divario sociale sfruttatori e sfruttati, capitalisti e masse salariate.
Alla luce di ciò, è evidente che ogni ipotesi “cambiamento” reale dell’attuale stato di cose, ogni movimento di critica degli effetti nefasti del capitalismo (razzismo, sessismo, devastazione ambientale, guerra e militarismo, repressione) può avere concrete possibilità di vittoria o quantomeno di tenuta solo se saremo capaci di collegare in maniera sempre più stretta e organica il movimento degli sfruttati. Unire le lotte quotidiane portate avanti dai lavoratori, dai disoccupati, dagli immigrati, dagli occupanti casa, di chi difende i territori sottoposti a devastazione ambientale e speculazione ecc.
Come dimostra anche la storia recente, affrontare la repressione come un aspetto separato rispetto alle cause reali e profonde che generano l’offensiva repressiva, significa porsi su un piano puramente difensivo e alquanto inefficace.
L’unico reale rimedio alla repressione è l’allargamento delle lotte sociali e sindacali, così come l’unico antidoto agli attacchi alla libertà di sciopero sta nel riappropriarsi dello strumento dello sciopero. Ciò nella consapevolezza che a fronte di un capitalismo sempre più globalizzato diviene sempre più urgente sviluppare forme stabili di collegamento con le mobilitazioni dei lavoratori e degli sfruttati che, nel silenzio dei media nostrani, stanno attraversando i quattro angoli del globo (dalla Francia all’Iraq, dall’Algeria all’India), il più delle volte ben più massicce di quelle nostrane sia per dimensioni che per livelli di radicalità.
Senza la ricostruzione di un vero e forte movimento politico e sindacale di classe, combattivo e autonomo dalle attuali consorterie istituzionali e dai cascami dei sindacati asserviti, saremo ancora a lungo costretti a leccarci le ferite.
Nell’immediato, diviene sempre più necessario costruire un fronte ampio contro le leggi-sicurezza, per chiedere la loro cancellazione immediata e costruire campagne di informazione e sensibilizzazione finalizzate a fermare la scure repressiva che sta colpendo migliaia di lavoratori, attivisti, giovani e immigrati.
Per tale motivo una delle iniziative che vogliamo fare è quella di mettere in campo un’assemblea l’8 febbraio a Roma per un fronte unico di tutti quelli che si battono contro le politiche anti proletarie e repressive borghesi.
SI Cobas
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Mi dici che vuoi fare un origami per me e regalarmi tutto ciò che è alla portata dei tuoi organi di senso. Dici anche di aver paura di sembrare appiccicosa, lo fai dopo quasi due anni in simbiosi. Io penso invece questa vicinanza sia necessaria e naturale, di essere stanca delle alte e basse maree altalenanti. A me servono baci alati nelle curve in discesa dei colli e anche tra i viali alberati e i colori autunnali ai lati della strada che porta al mio nuovo appartamento in affitto, quelli pronti a subire la trasformazione inarrestabile della loro struttura, in inverno. Ma mentre lo scrivo, è a noi due in aprile che penso, in auto verso casa di Francesca con il sole caldo sulla pelle, il profumo del tepore della terra nelle narici e Dimartino che salta in loop dagli altoparlanti dell'autoradio.
Voglio anche la fotografia onesta. Sopravvivo a queste giornate aspre imparando come catturare, da un obiettivo, dualità degli opposti e ritmo compositivo. Pieno e vuoto, luci ed ombre.
Sono sempre più stanca delle lotte giornaliere in famiglia e vorrei non avere più nessuno da scacciare, ma nemmeno svanire in un vortice obliante. Voglio la carica evocativa e simbolica della vita, il deus ex machina, sentirlo battere ad ogni pulsazione e nelle zone limitrofe al mio corpo.
Voglio scintille e detriti di stelle da conservare in tasca e voglio poi soffiarteli sulle labbra per farti brillare, al momento giusto. Aspetto con trepidazione la primavera e le fioriture, specialmente quelle interne, ma più di tutto i nasturzi selvatici lungo le strade e nei pressi del mare. Mi manca farmi spiazzare dalle canzoni scoperte per caso o innamorarmi di una pellicola come in un colpo di fulmine. Se ci penso, non succede davvero da un bel po'. Però ieri sera ho rivisto Frida, per la duecentomilionesima volta, e ho sorriso moltissimo non appena essermi resa conto di un dettaglio sfuggitomi per tanto tempo, ovvero che la bellissima donna con la quale Salma Hayek si abbandona in un sensualissimo e saffico tango, altro non è che la cinematografica rappresentazione di Tina Modotti, la prima fotografa sociale di fine anni '20 e del movimento muralista messicano.
Provo a fare ordine tra questi desideri essenziali in contemporanea al disordine mentale altrui, che riecheggia violentemente da più di un'ora dentro casa e per questioni futili ma ingigantite all’inverosimile. Non credo di voler più sperare in un cambiamento, in un miglioramento dello stile relazionale di questa famiglia intossicata. Quel che è certo, però, è che voglio anticorpi che mi proteggano e rendano libera da questa -loro- confusione mentale.
Rivoglio, sì, con ansia la primavera vera, la sua versione metaforica e le calle bianche che piacciono ad entrambe, proprio come quelle fotografate e amate dalla Modotti, così dolcemente fuse con lo sfondo a sottolinearne contorni e forme sinuose, morbide e struggenti, cariche di contrasti e così simili a noi.
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Progetto Costellazioni: a Roma un nuovo murale mangia smog.
Nella stazione ATAC metro di Pietralata approda il progetto di Negroni, a sostegno della riqualificazione urbana del quartiere. Il giovane artista napoletano Giovanni Anastasia ha realizzato un'opera green, nel segno della creatività sostenibile e dell’innovazione.
'USAWA', che nella lingua africana swahili significa 'equilibrio', é un dono fatto alla città di Roma, in linea con le keyword 'rispetto ed equilibrio', scelte da circa 600 ragazzi italiani.
Il nuovo murale, realizzato con le eco-pitture Airlite, rientra nell’ambito del progetto Costellazioni di Negroni, nato per offrire spazi di condivisione e collaborazione ai giovani e per favorire iniziative e ricadute positive sui vari territori e comunità locali.
Anastasia é anche autore, insieme al francese Zoer, di Nuru ('giorno di luce' in swahili), murale realizzato a Borgo Universo (Aielli – AQ).
I due murales sono in grado di neutralizzare lo smog come farebbe un'area di oltre 100 mq, coperta da alberi ad alto fusto.
Lo smog assimilato corrisponde alle emissioni quotidiane di circa 22 auto benzina euro 6.
'Per questo primo anno di Costellazioni – ha dichiarato Claudia Ferrari, responsabile Marketing Salumi Negroni – abbiamo scelto due luoghi che, per la loro valenza simbolica, esprimono al meglio i concetti di valorizzazione e di rinnovamento che stanno alla base del progetto. Da una parte, il piccolo Borgo Universo rappresenta uno straordinario esempio di rinascita grazie all’arte e all’astronomia; dall’altra, Roma è ormai una delle grandi capitali di riferimento mondiale per la street art, diventata negli ultimi anni un forte driver di riqualificazione soprattutto delle periferie capitoline. Anche la scelta degli artisti non è casuale: per il piccolo borgo abruzzese abbiamo scelto uno street artist di fama internazionale come Zoer, che ha lavorato a quattro mani con Giovanni Anastasia; per la grande metropoli, invece, un giovane emergente dell’arte di strada, Anastasia appunto”.
Per info: www.negroni.com
#street art sostenibile#street art#roma#progetto costellazioni#murale mangia smog#rispetto#equilibrio#ambiente#art#arte#costellazioni#Negroni salumi
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Più cerco di rialzarmi e più mi buttano giù (E il cielo io lo vedo grigio ma mi dicono che è blu) Più guardo questo posto e più non lo riconosco ma il telegiornale ha detto (Vai tranquillo è tutto a posto) Più cerco di rialzarmi e più mi buttano giù (E il cielo io lo vedo grigio ma mi dicono che è blu) Fisso allo specchio il mio volto decomposto e brutto Questo è quello che succede quando sei disposto a
Tu li hai chiamati e li chiami "membri del parlamento" Invece io li chiamo "parlamento di membri" Fuori, per minorenni e donne con il membro Anzi donne con il cazzo così sei più contento Non c'è problema per le troie sopra il jet presidenziale Il problema è che dopo le candidano alle primarie E le TV che trasmettono malattie ereditarie E questa è la mia Nazione e le sue persone straordinarie Qui tutto resta fuori Qui tutto resta in gioco Ma la gente protesta solo se non c'era il fuorigioco Non ho mai avuto dei valori perché il mio Paese è vuoto Qui giorno dopo giorno non vedremo il giorno dopo Sono tutti zitti e sottomessi perché Non ti sporchi le mani finché Non toccano i tuoi interessi E il capodanno in cui senti gli spari al posto dei petardi Forse ti sveglierai ma sarà già troppo tardi
Più cerco di rialzarmi e più mi buttano giù (E il cielo io lo vedo grigio ma mi dicono che è blu) Più guardo questo posto e più non lo riconosco ma il telegiornale ha detto (Vai tranquillo è tutto a posto) Più cerco di rialzarmi e più mi buttano giù (E il cielo io lo vedo grigio ma mi dicono che è blu) Fisso allo specchio il mio volto decomposto e brutto Questo è quello che succede quando sei disposto a tutto
Non esiste Dio dentro a questo mondo ipocrita Perciò a cosa cazzo serve la chiesa Cattolica? Giusto per raccogliere fondi Una cifra simbolica E la TV rincoglionisce come la dama alcolica E pensa solo a te, pensa solo carpe diem E pensa a non farti allacciare come le scarpe mie Pensi ad avere sempre il posto in prima fila Ma in guerra i primi a morire sono i primi della fila E ora la puttana scegli di chiamarla diva Solo perché ora c'ha il Porsche e non l'Opel Meriva Entra nella stiva nel paese niente riva Dove qui tutto traballa come un mondo in gelatina Questi sono contenuti fuori dagli schemi Fuori dalla fama Fuori da ogni rapper che si auto-acclama Se questo è il panorama Della scena rap italiana Beh preferisco il disco di Hanna Montana
Più cerco di rialzarmi e più mi buttano giù (E il cielo io lo vedo grigio ma mi dicono che è blu) Più guardo questo posto e più non lo riconosco ma il telegiornale ha detto (Vai tranquillo è tutto a posto) Più cerco di rialzarmi e più mi buttano giù (E il cielo io lo vedo grigio ma mi dicono che è blu) Fisso allo specchio il mio volto decomposto e brutto Questo è quello che succede quando sei disposto a tutto
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La Polizia di Stato a “Più libri, più liberi”, la Fiera nazionale della piccola e media editoria.
La Polizia di Stato a “Più libri, più liberi”, la Fiera nazionale della piccola e media editoria. Roma. Per il 1° giorno della Fiera nazionale della piccola e media editoria Più libri, più liberi, al Convention center La Nuvola, Poliziamoderna ha accolto le scolaresche e i visitatori con le sei indagini de “Il commissario Mascherpa”, Big game, in lingua inglese e il nuovo volume Fuoco di Natale, VI episodio della graphic novel della Polizia di Stato. Saranno ospiti, presso lo stand L31, alcune delle Specialità della Polizia di Stato presenti nel fumetto: la Polizia Scientifica, impegnata nel fotosegnalamento e nelle impronte digitali del pubblico che farà visita allo stand; la Polizia Postale e delle Comunicazioni, che spiegherà ai giovani l’uso dell’app Youpol e i pericoli del Web donando le copie di Cuori connessi, l’ultima edizione in collaborazione con Unieuro; la Polizia Stradale che accoglierà scolaresche e visitatori con il gioco Alkomat, il percorso stradale con lo speciale visore che simula lo stato di ebbrezza; mentre gli ”stradalini”, in collaborazione con i colleghi del X corso vice ispettori, proporranno Instradando, una sorta di “gioco dell’oca”, sulle regole del codice della strada, con una doppia versione, in cui si cimenteranno i visitatori: quella stradale per i “patentati” e quella dedicata alla “green mobility”, per i più giovani. I giochi si svolgeranno alla presenza degli che ogni giorno risponderanno anche alle domande più insidiose del pubblico sul codice della strada, mentre allo stand si potrà sfogliare Polizia e motori – La lunga strada insieme, un volume dedicato alle auto e alle moto della Polizia di Stato. Dal primo giorno in Fiera, il “Mago Pino” ha intrattenuto, con la sua simpatia travolgente, i giovani delle scolaresche con i numeri di prestidigitazione e i quiz sull’educazione stradale. Inoltre allo stand, ci sarà anche una unità cinofila, il poliziotto a 4 zampe Fester e il suo conduttore. Nell’area espositiva torna il libro di grande successo Cani Eroi - Storie di poliziotti dal fiuto speciale, una photostory dedicata ai nostri compagni di lavoro. Oltre alle Specialità, il primo giorno della Fiera farà visita, allo spazio espositivo, la nuotatrice paralimpica delle Fiamme oro Giulia Ghiretti, autrice del libro Sono sempre io. L’incidente, il nuoto, la mia rivincita, (edito da Piemme nel 2023), sulla rinascita simbolica dopo l’incidente che ha portato l’atleta cremisi a vincere 23 medaglie internazionali tra Paralimpiadi, Mondiali ed Europei e a battere record su record, grazie alla forza della positività e della tenacia.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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CASE A 1 EURO: LA VALLE D’AOSTA RIAPRE LE PORTE
Gli immobili abbandonati del piccolo paesino di Oyace, in valle d’Aostya saranno ceduti per la cifra simbolica di 1 euro.
Appena la notizia si è diffusa, i telefoni degli amministratori locali e del Comune sono diventati bollenti. "Abbiamo ricevuto oltre 50 richieste, via telefono e social", spiega il sindaco, Stefania Clos. "Ci hanno scritto dall'Argentina, dalla Sicilia, da Lecco, Como, Milano". L'obiettivo del progetto, il primo del genere in Valle d'Aosta, è il recupero di immobili abbandonati, sia nel capoluogo sia nelle frazioni, favorendo l'insediamento abitativo di famiglie, attività turistico-ricettive, negozi e botteghe artigianali. "Spesso gli immobili in disuso o fatiscenti entrano nel dimenticatoio dei proprietari, che in alcuni casi sono anche numerosi. Vogliamo aiutarli a disfarsene, vendendoli al prezzo simbolico di un euro. Allo stesso tempo, miriamo a riqualificare il Comune", spiega Clos. Il paese sorge a poco meno di 1.400 di metri di quota nella Valpelline, a circa 20 minuti di auto da Aosta, ed è circondato da boschi e pascoli.
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Fonte: ANSA - 5 febbraio 2021
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La ragione della follia
In questo mondo unificato dalla parola COVID ci sono tanti lockdown. Ci sono quelli che recludono e quelli che confinano, quelli che selettivamente aprono o chiudono e quelli che isolano. Il mondo globale è stato ripartito, immaginato nuovamente in fette e sezioni, aree colorate e zone di rischio che si affannano a ripercorrere le linee divisorie della geografia politica, come se a un virus interessi davvero la "nazione” del suo vettore. Il bisogno di protezione dal contagio ha quindi anche ricongiunto, connesso e costruito ponti tra persone e governi virtuosi o irresponsabili, falsi o trasparenti, come se il suo vaccino sia una questione di blocchi e raggruppamenti geopolitici. Le relazioni internazionali cercano affannosamente di ri-assestarsi su equilibri “atlantici” ma il Pacifico preme, sempre piu’ centro di interessi e storie troppo sottovalutate. In questi giorni in cui le governamentalità mostrano un chiaro movimento verso regimi clinici e biotecnologici, mi chiedo se non stia prendendo forma un nuovo mondo iper-connesso coordinato dalle società farmaceutiche e dalle banche centrali\commerciali, quelle capaci di gestire la “leva monetaria”. L’economia globale dei prossimi anni sarà forse ordinata intorno alle biotecnologie e le periodiche crisi saranno scandite da guerre batteriologiche, contro nemici invisibili. Sarebbe erroneo però accettare analisi economiche centrate unicamente su un prima e un dopo “epocali”. Il Capitale si espande rizomaticamente abbandonando settori e sentieri senza piu’ sbocchi. Che si stia assistendo ad una accelerazione poderosa della conversione produttiva dai pilastri economici degli ultimi 100 anni, metallurgia e combustibili fossili, verso tecnologie per lo stoccaggio energetico (come le batterie a base di litio) e forme di egemonie a controllo molecolare, è altrettando discutibile. Bisogna far passare la tempesta per provare analisi sulle temporalità non troppo influenzate dagli umori mediatici e politico-governativi. Certamente il percorso che si intravede non è iniziato con il Covid, eppure nei paesi governati da etnie “bianche” si parla già dei primi vincitori, le imprese farmaceutiche tedesche, americane e forse inglesi, e di alcuni vinti, l’industria del turismo, i vettori di persone e forse la Cina. Vinti e vincitori continueranno però ad emergere per essere dimenticati come in ogni storia di mercato neoliberale. Dalle loro sorti dipenderanno anche molti dei governi che si trovano a gestire la crisi economica quasi magicamente, scommettendo il debito pubblico sui cavalli che arriveranno primi.
Ci sono poi dei “vincitori” sconosciuti, se vogliamo chiamarli così, che il virus non l’hanno vissuto clinicamente e la cui economia non internazionalizzata è rimasta inalterata, piccola come già era perchè definita intorno all’utile e non all’astratto. Le macro statistiche del mondo raccontano di un’umanità sempre piu’ urbanizzata, di genti e popoli che convergono in città e megalopoli che sono ormai gli ecosistemi centrali per lo sviluppo della vita nel terzo millennio. Ci sono però anche luoghi minoritari ancora scarsamente integrati ai regimi dell’iperconnessione antropomorfa del vivente. Sono spesso territori impervi, o non ancora profittevoli, o, come nel caso del Laos rurale, dove la storia e la geografia ne hanno decelerato la connessione “meccanica”. In questo contesto, in prossimità dei margini panepidemici, quasi ogni giorno mi chiedo, come se avesse un qualche senso, quale sia la mia personale posizione dentro ai rinnovati paridigmi della performace e del successo del mondo COVID. Sono un vinto o un vincitore?
Dal 31 marzo 2020, da quando cioè ogni movimento di persone da e verso il Laos è stato praticamente vietato, non ho piu’ accesso ad una fonte di reddito oltre ad una piccola rendita “italiana” che mi fornsice un riparo da angosce maggiori. Per scelta condivisa con la mia compagna abbiamo dismesso l’idea di riprodursi e, dentro questa crisi, il non avere figli sembra rappresenti un vero spartiacque tra chi può permettersi qualche svago-negazione e chi forse ha bisogno di tutti i sensi per non soccombere. Da un punto di vista finanziario quindi, poter sopravvivere con 360 euro mensili, affitto incluso, ha tutti i connotati di un bel privilegio, che mi posiziona, redditualmente, tra il segmento piu’ ampio della popolazione di Luang Prabang senza avere però una famiglia sulle spalle e senza debiti con le banche (mutui e rate per acquisto auto). Seguendo Herzog potrei allora essere non lontano da una vita accettabilmente libera, seppur individualizzata dagli eventi del mondo. Piuttosto che analizzare la mia condizione in termini di disoccupazione cerco allora di osservarmi dentro alle dinamiche quotidiane in cui riesco comunque a produrre valore: facendo pulizie, occupandomi malamente del giardino, preparando caffè e frullati, rivedendo piccoli testi in inglese o semplici conti economici e, a volte, sedendo dietro a un bancone per far fare la pausa pranzo alla mia compagna e alla sua collega durante i mercatini delle pulci cui partecipano con i loro prodotti artigianali.
In questa quotidianità abbastanza semplificata ho dovuto poi prendere alcune importanti decisioni. Tra queste c’è senza dubbio la scelta di un’assenza. Esiste, infatti, in città un sistema di relazioni sociali e di scambi commerciali che chiamo “cammino circolare” e che riguarda soprattutto la classe medio-alta e piu’ internazionalizzata. La scelta è dovuta sia a valutazioni economiche per cui la mia partecipazione avrebbe prodotto principalmente un’estrazione di risorse già scarse, sia a valutazioni socio-politiche in cui il cammino circolare evidenzia alcune dinamiche neo-coloniali di cui vorrei discutere ora. Per spiegarlo in forma introduttiva userò una metafora calcistica. Bisogna immaginare una squadra il cui gioco principale è fare melina, come direbbe Brera, passandosi continuamente il pallone (un fantomatico fondo paracadute ad esempio) evitando che altri possano toccarlo, o che lo tocchino dentro un sistema gerarchico e di regole consolidato che non consente comunque di superare l’area di rigore. L’obiettivo è il raggiungimento dello 0 a 0 per rimanere campione. In maniera piu’ concreta ciò significa organizzare e coordinare eventi dentro bolle di socialità create da partecipazioni circolari del tipo “io da te e tu da me”, in venues varie piu’ o meno esclusive di cui la classe medio-alta è spesso proprietaria, che gestisce o su cui riceve affitti. In alcuni casi, l’evento si spinge fino a giustificare l’immissione di ulteriori fondi dalla cooperazione allo sviluppo internazionale dentro la voce “cultural activities�� o “activitè culturelle” che coprono diversi costi di gestione degli eventi.
Per cercare di intepretarlo in maniera accurata mi sono spinto fino a raffrontarlo al sistema di scambio di oggetti Kula nelle isole Trobriand, reso famoso da uno dei mostri sacri della British Anthropology, Bronisław Malinowski. In Papua Nuova Guinea, gli oggetti scambiati hanno una natura puramente simbolica e seguono un cammino preciso il cui scopo è la creazione di un vincolo rituale tra il donante e il ricevente dentro una catena perpetua di doni che serve per rafforzare relazioni e gerarchie tra gli abitanti delle isole. Nel “cammino circolare” l’oggetto rituale è però la presenza stessa, senza alcuna mediazione, in una sorta di esserci incrociato che attiva lo scambio di capitale sociale e politico. Qui si permette certamente alla “moneta” di muoversi attraverso catene di eventi in cui si invertono continuamente le parti del pagante e del ricevente. Tuttavia l’aspetto interessante, è che la circolazione di “moneta” che, tecnicamente, non cambia mani ma si limita a muoversi da una all’altra, non rappresenta la vera ragione del cammino. L’obiettivo non mi pare tanto, o non solo, l’arricchimento o il profitto in quanto tali. Piuttosto il cammino circolare costruisce un incantesimo sociale, una sorta di rituale prolungato che deve essere riattivato periodicamente presenziando un happening. La sua funzione, cioè, è il mantenimento e il consolidamento di rapporti di potere, di referenti e business senza i quali in città di fatto non può accadere nulla di nuovo. Se una delle critiche fondamentali del funzionalismo di Malinowskyi era l’assenza concettuale del cambiamento, il cammino circolare ha come scopo esattamente l’ibernazione di ruoli e funzioni attraverso una bolla di socialità che li visibilizzi e ribadisca continuamente. A ben vedere, però, ciò ha anche una spiegazione comprensibile.
In Laos ci troviamo nella strana situazione di un paese di 7 milioni di abitanti abituatosi negli ultimi 10 anni a ricevere annualmente circa 5 milioni di visitatori condensati per lo più tra Novembre e Febbraio. Siamo cioè in un luogo capace di “ospitare” una popolazione fluttuante quasi pari a quella stanziale. In questi giorni accade quindi che in spazi di solito presi d’assalto dai turisti di ogni latitudine regni ora l’assenza. A rimanere in vita è l’infrastruttura ricevente (inclusi camerieri, cuochi, autisti, muratori etc.) insieme a coloro che la gestiscono. Spesso allora accade che gli spazi del turismo siano oggi dedicati a bambini e giovani delle scuole d’élite o che si trovano in un qualche cammino circolare prodotto da degli “expat”. Si cimentano in attività artistiche mentre i loro genitori si compiacciono del mondo arcadico che sono riusciti a costruire loro intorno, vista l’eccezionalità della situazione. Dal lockdown e dall’isolamento forzato del Laos come unica soluzione disponibile per il problema sanitario, l’assenza ha quindi permesso di dare forma a un sogno a tempo, costruito grazie al cammino circolare, in cui ad alcuni pare di vivere in un paese delle meraviglie cui non sono ammessi lupi cattivi o uomini neri. Le mura di protezione dividono il sogno dal resto del mondo e mantengono anche una certa discrezione sugli eventi oltre che la stessa immagine di circolarità dello scambio tra isole, in attesa che il mondo torni a scorrere come un tempo e nella speranza che l’effetto trickle down del “ri-circolo” sia sufficiente a tenere lontani le belve feroci della foresta.
Questa magia UNESCO ai tempi del COVID sta per ora permettendo di assorbire emozionalmente la riduzione di quasi il 90% dei flussi turistici di una città come Luang Prabang, area economica speciale per il turismo, come mi fu definita un giorno, e dove probabilmente circa il 70% del PIL è prodotto dall’indotto turistico. L’incantesimo ha così nascosto ad alcuni che la vita economica della città è basata sulla creazione di un sogno che, oggi, non può purtroppo essere vissuto da molti. Alcuni sono tornati nei loro villaggi. Altri sono rimasti in zona arrabattandosi alla bellemeglio e ad altri ancora, ogni tanto, si permette un lavoretto, “chiudendo un occhio”, come mi segnalò quel presagio mattutino raccontato nel post precedente. Coloro che possono permettersi il sogno invece vivono a tutti gli effetti dentro una bolla neo-coloniale che, a me, sta generando una certa angoscia esistenziale (in senso lacaniano).
Fiera del suo isolamento ma anche terra di conquista del Capitale pronto a farne meta esclusiva e lussuosa, Luang Prabang si sta mostrando infatti come un luogo di relazioni duali, dove mai emergono una posizione o una prospettiva solide come fossero una radice o un punto gravitazionale. E’ sempre pronta ad adattarsi ai flussi finanziari che la trapassano, perfettamente delueziana nelle sue dinamiche fondative. E’ abbracciata alla capitale Vientiane mentre strizza l’occhio a Bangkok. Attende l’arrivo del treno ad alta velocità dallo Yunnan ma è profondamente anti-cinese. Al tempo stesso, in epoca di crisi, la sua dualità la fa emergere come una città intimamente divisa tra i mondi fantastici dell’UNESCO e delle sue architetture coloniali e quelli di chi vive di località e di vicinato. Questi margini sono innegabili e alla vista di tutti. Il loro rifiuto mostra invece un’atavica negazione o oblio della storia stessa della città descrivibile ampiamente attraverso le negoziazioni, gli accordi e le alleanze prodotte dalle forze economiche della regione che da sempre competono per garantirsi una maggiore influenza su questo spicchio di Mekong.
La bipolarità di Luang Prabang appare quindi come un residuo mai rimosso della guerra di liberazione prima e della post-guerra fredda dopo. Si palesa, manco a dirlo, proprio sulle frontiere dell’isola patrimonio culturale dell’umanità. A nord, intorno alla casa piu’ antica, reperto archeologico di un’urbanità non piu’ esistente perchè sostituita dalle case coloniali, c’è la modernità dei gusti e dei suoni, il villaggio globale un pò hipster, un pò provinciale, popolato dal meticciato internazionale expat, dedito a periodiche grandi abbuffate e a feste semi-clandestine da cui deriva un certo stato di goduria per una città paradossalmente piu’ disponibile. L’ideologia dominante pare quella di un generale progresso di sinistra ordinato dai principi democratici, l’ambientalismo e i diritti umani. Spesso però risulta fatta di slogan vuoti o voluti dai donors che rientrano in trovate commerciali con cui si seguono i trend di mercato piuttosto che convinzioni radicate. Si congifigura cioè un vero e proprio caso di “fake left” accomunato essenzialmente da sentimenti anti-cinesi che ho cercato di osservare per almeno due anni. Dopo indagini piu’ approfondite ho infatti scoperto che molti degli esponenti di questa “fake left” sono legati a tutti gli effetti a reti di sette religiose oppure a collaboratori dell’intelligence anglofona o sud coreana o appartengono o sono appartenuti a partiti di destra cosiddetta “sociale” e\o estrema, dal lepenismo francese al leghismo italiano. Alcuni, in forma quotidiana e probabilmente non strategica, hanno sviluppato affinità elettive con i gruppi nazionalisti locali e di buddismo strettamente religioso fino a sfiorare cinesi in diaspora, discendenti dei vecchi seguaci di Chiang Kai-shek scacciati dai maoisti.
Nella zona sud dell’isola, invece, c’è un mercato del cibo permanente fatto delle cucine economiche ambulanti di chi ha dovuto chiudere ristoranti e chioschi, o di chi da sempre lavora sui bordi della strada. Negli ultimi mesi ho trascorso, comparativamente, molto piu’ tempo qui perchè semplicemente mi sentivo piu’ a mio agio. Pur essendo lo spazio controllato e di proprietà della maggiore famiglia della città, che è di origine vietnamita e con un passato rivoluzionario, e pur essendoci alcuni problemi che potrebbero essere risolti solo attraverso forme di concertazione collettiva, è evidente come questo mercato del cibo abbia in poco tempo assorbito tutta una serie di relazioni tra diversi settori della popolazione cittadina ai margini dell’economia del turismo. Il dopo lavoro è il momento in cui si chiudono i chioschi e ci si beve una birra ascoltando musica su tavoloni allargati dove partecipa chiunque si trovi a passare di lì. Bambini e viandanti ricevono i resti di cibo e, in generale, si respira un bel senso comunitario e di apertura. Infatti, mentre il primo settore si autosostiene attraverso il “cammino circolare”, il secondo lavora a tempo pieno attraverso l’economia cittadina e alla folla che quotidianamente si raduna intorno ai suoi tavoli. Se quindi il primo settore risulta abbastanza vuoto e spento oltre “gli eventi ad hoc”, il secondo raccoglie molta della vitalità disponibile nella Luang Prabang senza turisti.
Ecco allora spiegata la ragione della follia. Le mie competenze specifiche in questa finestra economica semi-autarchica ordinata dall’utile insieme ai diversi tentativi di mantenere lo status quo degli ultimi 20 anni, generano forme piu’ o meno sottili di espulsioni o di auto-esclusioni camuffate. E’ probabile che da ventenne avrei riparato in qualche villaggio, imparato alla perfezione il dialetto locale e tentato discussioni politiche sulla nozione socio-economica di “recupero” di spazi e di attività produttive, di voci e di desiderio di raccontare. Da quarantenne invece ho iniziato a soffrire maggiormente le scissioni e le partizioni, come una forma di malattia sociale che poco a poco si fa malattia del corpo e della mente. Un germe paranoico è penetrato poco a poco nei mei gangli neuronali generando periodiche ma necessarie ricerche di cure alternative. Per questa ragione, ho deciso di cavalcare Angela fino ai limiti estremi del mondo COVID, non necessariamente per lottare contro il sogno di una bellezza esclusiva ed escludente, ma per cercarne dell’altra, che superi a sinistra e da sinistra la Repubblica di Zubrowka.
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Palestina libera (senza stronzate)
“Do - you - love - me? Do you love me? Do - you - love - me? Do you love me? Do - you - love - me? Like I love you?” (Nick Cave, 1994 ) Se per vostra disgrazia siete ancora impelagati nell’universo scolastico saprete bene che in questo periodo dell’anno - fine novembre primi di dicembre - scatta il toto spettacolo di Natale. C’è chi se ne frega e scuole che poi non mettono in scena nulla per paura di offendere gli studenti di altre religioni. La cosa curiosa è che in queste discussioni non c’è mai un mussulmano (un ebreo, un indù, un buddista o un sikh…) che si dica lontanamente offeso da qualsivoglia decisione venga presa. Il corpo docenti delle scuole è spinto a prendere queste decisioni mosso da un timore tipico del secolo: urtare la sensibilità. E’ una volontà simbolica e un input totalmente irrazionale ma, visto che oggi nel mondo sembra ci sia un bordello di persone che trovano offensivo “qualcosa” o “qualcuno”, ha una sua bizzarra logica. Tutti i giorni sui social le persone che sostengono di essere state offese sono talmente tante che la vastità di internet fatica a contenere i loro sentimenti feriti.
Nell’arte il risentimento di alcuni e la paura di offendere di altri influenzano le vite di molti - oltre che i dibattiti virtuali. C’è il pieno di fuffa, e per trovare “quel maledetto di Cattelan”, come lo chiama il critico Francesco Bonami, hai voglia a personaggi fuffa. Nella musica, gli artisti evitano di parlare di violenza, sesso e stupro perché qualcuno potrebbe essere turbato. Riducendo così i testi a una serie di storielle per menomati. C’è di che imbarazzarsi: dalla manza alla donna-oggetto, dalla femme-fatale alla donna stilnovistica, tutto viene trattato in modo frugale, con semplicistico dis/interesse per chi e per come.
Con la politica è anche peggio. La granaiola è all’ordine del giorno. A volte a ragione, molto spesso (me)no. Ne sa qualcosa Morrissey. Ne sa qualcosa in più da qualche giorno Nick Cave. Lapidato per due concerti a Tel Aviv in vent’anni, ha trovato questo atteggiamento così insensato da precisare: “Ai miei occhi è diventato importante prendere posizione contro chi cerca di censurare, usare prepotenza e ridurre al silenzio i musicisti”. E allora giù tutti a postare impettiti (o forse offesi). Dalla Palestinian Campaign for the Academic and Cultural Boycott of Istrael a Thurston Moore, passando per il fruttarolo sotto casa che magari tifa Lazio e trova gli adesivi di Anna Frank “goliardici” ma pretende che tre ore di concerto risolvano settant’anni di conflitto israelo-palestinese.
A detta delle pittrici e dj israeliane Nil & Karin Romano: “Il pubblico di Cave qui è di sinistra, metterlo a tacere avrebbe voluto dire auto-punirsi e fare un favore a chi non vuole questo tipo di adunanze”. Del resto Tel Aviv non è Spinaceto e non si fatica ad immaginare che tra i suoi 5OO mila abitanti (ma sono 8 milioni in tutto lo Stato) ce ne siano di non concordi alle porcate di Netanyahu & Co.. Come del resto basta sentire un disco a caso dell’australiano per comprendere l’amore tragico per gli ultimi, il senso turbato di morte imminente, la redenzione allucinata esperita solo grazie all’amore. Ma che intendesse soltanto sostenere i propri fan e magari ribadire l’importanza del dialogo attraverso l’arte (o magari fare 2 date importanti in più per un tour breve rispetto alle 85 date di 5 anni fa) non è stato percepito. Ad essere avvertita benissimo è stata invece l’offesa ai palestinesi. Tanto forte da arrivare a Londra, a New York e pure a Pinerolo.
E’ da questa estate che la venue Israele va parecchio di moda per sentirsi punti nel vivo. In concomitanza con l’uscita del nuovo disco di Roger Waters che, lo si sa, come vede un muro si ricorda di quando vendeva 4O milioni di copie in una botta sola. Il leader dei Pink Floyd scazzò per lo stesso motivo con i Radiohead e da allora suonare a Israele è tornato a essere un tabù. Ma diversi personaggi pubblici negli anni hanno deciso di boicottare vari paesi sparsi per il Mondo. Ci sono stati i Wilco che, senza bisogno di scomodare il gran Rabbinato, due anni fa cancellarono le date in Idiana per protestare contro una legge che discrimina i negozianti in base agli orientamenti sessuali della propria clientela, ritenendo che acquirenti gay offendessero l’integrità degli altri. Indietro nel 2O1O chi non boicottava l’Arizona era decisamente out. L’ex frontman dei RATM, Zack de la Rocha, ritenne offensivo che passasse una legge che desse alla polizia libertà d’azione sui controlli contro gli immigrati, in un lampo Cypress Hill, Sonic Youth, Conor Orbrest, Wu-Tang, Kanye West e Alecia Moore, detta P!nk, cancellarono le loro date e in Arizona pare che quell’anno ci suonò soltanto Gigi D’Alessio.
Ai miei tempi, se qualcuno andava a suonare in Sud Africa in piena apartheid c’era il rischio concreto che perdesse una bella fetta di pubblico (io stesso ce l’ho ancora con i Queen, anche se non lo do a vedere), ma a distanza di anni nessuno ricorda a memoria la lista dei circa 4O artisti (tra cui Miles Davis, Bob Dylan, Run DMC, Bruce Springsteen, Lou Reed, George Clinton, Ringo Starr, eccetera) che si rifiutarono di esibirsi là o dà merito a uno solo di loro della liberazione di Mandela. Semplicemente la storia ha fatto il suo corso, una volta tanto andando nella direzione giusta. E - a sua volta - Mandela non mi pare abbia apostrofato Tina Turner per aver fatto un concerto durante gli anni della sua prigionia o Bono per non averlo fatto e, anzi, nel 2O13 si è fatto pure un giro in carrozza con la Regina Madre. Ovviamente allora non c’era internet, che è lo spazio preferito per sostenere che abbiamo subito un’offesa, per chiedere che qualcuno o qualcosa venga messo all’indice o per mandare dei messaggi aggressivi a chi non può essere messo all’indice. Ma forse non sono solo dei canali. Non è che in parte sono anche la causa di offese e offendersi? Molte persone vanno su Facebook, Twitter o qualsiasi altro sito e, dato che lì lo fanno tutti, sentono di dovere mettere a nudo ogni giorno le loro emozioni, dire se sono tristi o felici, esprimere le loro simpatie e antipatie. Raccontano a tutti i dettagli della loro vita, quindi sono portate a vedersi come le star del loro melò personale. Di più. Al pari delle star diventano più egocentriche e ipersensibili. E uno dei modi in cui cercano di dare lustro alla loro immagine quale è? Quella di dimostrarsi virtuose esprimendo la reazione emotiva a tutto quello che succede o dicendo quanto si sentono offese da pensieri, parole, opere e omissioni (per vostra colpa, vostra colpa, vostra grandissima colpa) di chi che sia.
Trovo questa suscettibilità strana. Sarebbe strano il contrario. Se qualcuno fa qualcosa di incomprensibile secondo quelli che sono i miei mezzi culturali o la mia educazione, analizzo le ragioni che lo hanno spinto a quel gesto e, solo se non le trovo da nessuna parte, penso che sia stupido o forse schiavo di una cultura sbagliata. Non resto offeso né per il gesto né per la persona che l’ha fatto. Al massimo sconvolto. Tutt’al più mi incazzo. Ma a quanto sembra sono un caso anomalo: c’è moltissima gente capace di sentirsi offesa diverse volte al giorno. Roberto Saviano o Roberto Spada, la differenza per qualcuno è assai relativa. Aggiungeteci tutti i mememaniaci, i troll psicotici, i tuttologi, quelli che seguono qualunque moda, gli agitatori da salotto sempre pronti a lanciare un nuovo #hashtag e avrete tutti gli ingredienti per creare l’enorme pressione online da applicare contro un qualsiasi Nick Cave a merenda. Oggi le persone possono scegliere di comunicare solo con chi la pensa come loro o con quelli con cui condividono una qualche identità costruita che sono stati incoraggiati a considerare fondamentale per determinare le loro reazioni a qualsiasi cosa (vi basti pensare ai vegani, Morrissey e chi li detesta). Nei casi peggiori, e nel web spesso accade, queste persone possono costituire un’antitesi al confronto. Serrano i ranghi e limitano le menti, e alla lunga producono il fascismo tipico di chi è intellettualmente isolato, di chi non riesce a vedere a un palmo dal proprio naso e del bicchiere vede solo la metà che rafforza il proprio personaggio. Pure se (all’apparenza) per una giusta causa, come la libertà della Palestina.
#scuola#religione#società#spettacolo#musica#integrazone#israele#palestina#guerra#tel aviv#cattelan#arte#smiths#morrissey#nick cave#roger waters#thurston moore#pink floyd#radiohead#wilco#cypress hill#conor orbrest#sonic youth#kanye west#wu-tang clan#p!nk
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L’alchimista – Paulo Coelho
Una frode assoluta. Questo romanzo è mal scritto, finto virtuoso, paternalistico, pedante e peggio ancora, il finale è moralmente ambiguo. Tutte le favole e le storie sono rubate da qualche altra parte, le idee religiose e la spiritualità sono mal mischiati e tutto è scontato.
Il romanzo insiste sull’attingere dall’Anima del Mondo, dal Linguaggio del Mondo, sull’unica vera via e altre stronzate. L’idea di base è che se veramente vuoi qualcosa e “ascolti il tuo cuore”, l’universo intero ti aiuterà a raggiungerlo, basta cercare i presagi. Un’idea discutibile in un mondo in cui la gente non vuole più lavorare sodo e raggiungere il proprio obiettivo da solo.
Sembra un libro di auto-aiuto veramente scarso scritto per bambini di otto anni travestito da parata simbolica. Leggendo moltissimo, posso dire con sicurezza che questo è uno dei romanzi più scarsi che abbia mai letto. L’unico punto a suo favore è la sua brevità.
Voto: 2/10
- F
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Forza Nuova lancia marcia su Roma per il 28 ottobre (95 anni dopo Mussolini). Si chiama Marcia dei patrioti. Forza Nuova ha organizzato un corteo a Roma “contro un governo illegittimo, per dire definitivamente no allo Ius Soli e per fermare violenze e stupri da parte degli immigrati che hanno preso d’assalto la nostra Patria“. L’iniziativa del partito di estrema destra ha una data simbolica: il 28 ottobre, lo stesso giorno che nel 1922 vedeva sfilare per le strade della Capitale 25mila camicie nere del Partito nazionale fascista. La manifestazione cade nell’anno del 95esimo anniversario dell’evento che ha poi aperto le porte al Ventennio mussoliniano. Pd, Sinistra italiana e Possibile chiedono ufficialmente al ministro dell’Interno Minniti di bloccare l’iniziativa. La sindaca Virgina Raggi ha twittato: “La #MarciaSuRoma non può e non deve ripetersi”. “Bandiere, striscioni, auto, pullman, benzina”, è stato l’appello ai “patrioti” lanciato su Facebook dell’organizzazione di ispirazione fascista. L’invito ha collezionato già moltissimi like. Si rivolge al “compatriota” e chiede un “sostegno concreto“. “Non si può mancare stavolta” si legge tra i commenti, “marciare per non marcire!” scrive un utente. “ ... (il fatto quotidiano)
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Esercito: "Cerimonia di giuramento per 88 allievi della Scuola Militare "Nunziatella"
Questa mattina in piazza del Plebiscito, alla presenza del Sottosegretario di Stato alla Difesa On. Angelo Tofalo e del Capo di Stato Maggiore dell'Esercito Generale di Corpo d'Armata Salvatore Farina, si è svolta la cerimonia di giuramento del 232° corso della Scuola Militare "Nunziatella", dinanzi alla gloriosa Bandiera d'Istituto, decorata con la Medaglia di Bronzo al Valore dell'Esercito. All'evento hanno preso parte numerose autorità civili, religiose e militari tra cui il Presidente della Regione Campania Dott. Vincenzo De Luca, il Prefetto Dottoressa Carmela Pagano, il Generale Rolando Mosca Moschini e la Medaglia d'Oro al Valor Militare, Generale di Corpo d’Armata dei Carabinieri Rosario Aiosa, ex allievo della scuola e padrino del 232° corso. Hanno fatto da cornice agli 88 allievi, di cui 25 donne, numerosi Labari delle Associazioni Combattentistiche e d'Arma, i Gonfaloni della città metropolitana di Napoli e della Regione Campania e le migliaia di ex-allievi accorsi per stringersi intorno ai giovani giuranti. #gallery-3 { margin: auto; } #gallery-3 .gallery-item { float: left; margin-top: 10px; text-align: center; width: 33%; } #gallery-3 img { border: 2px solid #cfcfcf; } #gallery-3 .gallery-caption { margin-left: 0; } /* see gallery_shortcode() in wp-includes/media.php */
Nel corso del suo intervento il Sottosegretario di Stato alla Difesa Tofalo ha sottolineato “Le Scuole militari sono una realtà portante della Difesa. È qui che nasce la classe dirigente del futuro. Cari ragazzi, avete fatto una scelta che vi impegnerà per tutta la vita. Onoratela. Giurando fedeltà alla Repubblica, siete cittadini italiani ancora più consapevoli e la vostra stella polare resterà sempre l’interesse nazionale e il bene del Paese. Ai familiari dico di esser orgogliosi dei propri figli per la scelta che hanno fatto. La Difesa lo è. Io lo sono”. Il Generale Farina durante il suo discorso, ha ringraziato i familiari degli allievi, gli ex allievi e tutta la cittadinanza napoletana e successivamente, rivolgendosi ai giurandi, ha ricordato che “le parole del giuramento pronunciate poco fa saranno da oggi la stella polare che guideranno il vostro cammino. Il loro significato è quello di affrontare lo studio, il lavoro e la vita, di petto, con coraggio e determinazione ma anche con generosità, abnegazione e altruismo”. Il Capo di SME ha poi evidenziato il progetto sulla Grande Nunziatella Europea volto a promuovere il ruolo del Rosso Maniero anche nel futuro trasformando l’istituto secondo le più moderne concezioni, tanto dal punto di vista didattico quanto da quello infrastrutturale e funzionale, facendolo diventare un polo innovativo e al passo con i tempi, aperto anche ad altre nazioni. Momento saliente della Cerimonia è stata la simbolica consegna dello spadino ad un Allievo del primo anno da parte di un Allievo del terzo anno; lo spadino, emblema di appartenenza alla Scuola Militare “Nunziatella”, rappresenta l’importante passaggio di consegne, tradizioni e valori che vengono tramandati alle nuove generazioni. Cornice unica dell’evento è stata la monumentale Piazza del Plebiscito, gremita da familiari, parenti ed ex-allievi, giunti per l’occasione da ogni parte d’Italia per assistere alla cerimonia, rimarcando così la solennità del momento e accompagnando, idealmente quasi per mano, gli Allievi in questo momento di crescita. Il Reggimento di formazione, così costituito, agli ordini del Comandante della Scuola Militare "Nunziatella", Colonnello Amedeo Cristofaro, ha visto tra le proprie fila la Banda dell’Esercito e la Batteria Tamburi della Scuola. La Scuola Militare "Nunziatella", fondata il 18 novembre 1787 come Reale Accademia Militare, con sede sulla collina di Pizzofalcone a Napoli, nello storico edificio che la ospitò fin dalla sua fondazione, è uno dei più antichi istituti di formazione militare d'Italia e del mondo. Per il ruolo svolto nei tre secoli di attività nel settore dell'alta formazione, quale motore accademico, sociale ed economico per l'Italia e per tutti i Paesi del Mediterraneo ad essa legati, è stata dichiarata "Patrimonio storico e culturale dei Paese del Mediterraneo", da parte dell'Assemblea parlamentare del Mediterraneo. La scuola fin dalle origini è stata luogo di elevata formazione militare e civile, da cui il motto "Preparo alla vita e alle armi", e ha avuto tra i suoi professori ed alunni personalità di elevato valore, riconosciuti sia a livello nazionale sia internazionale. Read the full article
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29 febbraio 2016
ALEJANDRO IÑARRITU E IL CINEMA SUPER – REALISTA
Un’indagine comparata su Birdman, The Revenant e il concetto di super-realismo
Il penultimo film di Alejandro G. Iñarritu, Birdman, è stato un evento eccezionale nella cinematografia del regista messicano. The Revenant ne è la conferma. Formalmente, entrambi i film nascono da una sfida artistica, un duello tra l’uomo e la realtà, in cui trionfa l’immagine, come vittoria del primo sulla seconda e come suo superamento. Criticare Iñarritu e i suoi film per essere “solo cinema di superficie, o una questione di forma, di immagine per l’immagine”, “senza filosofia, senza metafisica, senza storia”, vuol dire abbattere il punto di forza di un regista, che è proprio nel potere delle sue immagini. Un critico dovrebbe essere un grande amante, allo stesso modo in cui un artista ama la sua opera – e il senso di un’opera è tutto nel gioco con la superficie.
Ciò che distingue Birdman da The Revenant, e dalla sua cinematografia, può essere spiegato proprio attraverso un’immagine: lo sguardo di Emma Stone che si rivolge verso l’alto alla fine del film. Non è tutto qui; Birdman non è solo un film su un super-eroe, sul superomismo, sulle turbe psicologiche di un attore in declino, sulla messa in scena della messa in scena. C’è la magia di un lunghissimo piano-sequenza, delle carrellate lente per i corridoi del teatro, della batteria jazz che entra ed esce dalla scena; a renderlo così vivo sono anche i livelli di pensiero che si creano al suo interno, lo ispessiscono, lo quadrimensionalizzano, lo fanno quasi uscir fuori dalla tela dello schermo. C’è meta-cinema, meta-critica e auto-critica in Birdman. La più importante definizione che sia stata data su questo film è all’interno del film stesso: super-realismo.
La direzione dello sguardo di Emma Stone nell’ultima scena è talmente decisiva per l’economia del film, da rendere, da sola, Birdman il film più positivo di Iñarritu; l’unica vera pars construens della sua opera, come 2001: Odissea nello spazio fu per Stanley Kubrick. Entrambi i film si concludono con uno sguardo e, quasi, comunicano tra loro: vediamo il bambino delle stelle che guarda la Terra alla fine di 2001, e la figlia di Riggan con lo sguardo rivolto al cielo alla fine di Birdman (Dave Bowman-Starchild = Riggan Thompson-Birdman)
Per tutto il film ci chiediamo se i poteri di Riggan siano immaginari o reali; c’è almeno una scena in cui intuiamo che è solo immaginazione, e non è sbagliato affermare che si tratti di una proiezione del suo enorme ego. È una chiave di lettura che dà accesso a uno dei livelli di pensiero del film, quello psicanalitico per intenderci. Ma per entrare nel livello di pensiero super-realista, dobbiamo dimenticare tutto quello che sappiamo sulla psicologia e sulla letteratura – ecco, l’imprevedibile virtù dell’ignoranza.
Semmai, può esserci d’aiuto un po’ di filosofia del cinema. Un tipo di narrazione lineare, realista, concluderebbe il film con la morte di Riggan. Al contrario, se fossimo in un contesto fantascientifico, o surrealista, vedremmo Riggan fluttuare in aria davanti a tutti. Ma qui vediamo solo Sam, la figlia, che guarda verso l’alto. Il senso del super-realismo è, quindi, in uno spostamento di prospettiva delle strutture che determinano la nostra realtà. Non è più la realtà a determinare ciò che è possibile, ma l’uomo. Non siamo più noi, spettatori, a vedere Riggan volare; lo schema binario “Riggan in volo/Riggan morto” perde di senso, o meglio, viene destituito di valore. Ciò che conta è il “testimone”, che con il suo sguardo toglie la realtà dal suo stato di “fatto” e la riconsegna al mondo del possibile, così superandola.
Per capire che cos’è super-realista, bisognerebbe dare un’occhiata alle esposizioni dell’artista russo Peter Rostovsky: il concetto principale è quello di una grande tela, spesso circolare o ovale, raffigurante un paesaggio mozzafiato, di fronte cui viene posizionato un piedistallo con in cima la sagoma di un uomo che guarda verso il dipinto. Anche da qui, si evince l’importanza del “testimone” come ponte tra lo spettatore e l’immagine; attraverso la sua figura, noi partecipiamo all’estasi dell’immagine. In una delle sue opere, vediamo aprirsi un interminabile paesaggio di montagna di fronte a due figure umane, presumibilimente due scalatori. Allo stesso modo, Hugh Glass (Leonardo Di Caprio) percorre il lungo viaggio attraverso le montagne in The Revenant. Seguendo la logica, dovremmo partecipare con lui all’estasi dell’agonia, dell’abbandono, della lotta per la sopravvivenza e, infine, della vendetta.L’idea di “super-realismo” è strettamente connessa all’idea di “iper-realtà” di Jean Baudrillard. Il filosofo francese, infatti, partendo da una parabola neo-marxista finì con il rovesciare il materialismo storico decretandone la fine, e arrivando a una visione estrema del mondo contemporaneo in cui scompare la realtà e con essa il soggetto. Come ogni grande filosofo, dunque, Baudrillard partì da una base di presupposti teorici condivisi, quelli della critica marxista, per superarli e approdare a una visione originale e positiva del mondo in cui viviamo oggi, fatto di schermi, immagini, icone, copie della realtà, simulacri. Seguì il sentiero tracciato da Nietzsche a colpi di martello e dinamite, quando al vecchio schema dualista di platoniana memoria, che opponeva il mondo vero delle idee a quello apparente, sostituì un mondo dove esistono solo l’apparenza e il segno, e “il virtuale è diventato più reale del reale”. La conseguenza più interessante del suo pensiero è che – tutto è arte. L’artista-uomo è passato dall’altra parte della tela, così annullandosi in essa. Nel mondo trans-estetico di Baudrillard non c’è più posto neanche per l’uomo. Anch’egli è divenuto segno tra segni, immagine tra le immagini, specchio tra gli specchi; la vecchia idea di “soggetto” non esiste più in questo mondo. L’idea del super-realismo parte da dove Baudrillard era approdato, cioè da quando si lasciò alle spalle tutto il dualismo della vecchia guardia, per giustificare ancora una volta, insieme a Nietzsche, il mondo come fenomeno estetico: “giacché solo come fenomeni estetici l’esistenza e il mondo sono eternamente giustificati”. Ma, in un certo senso, il filosofo francese rimase sempre un nostalgico, ancorato a uno sguardo critico della società in via di trasformazione. Il film che ha saputo dialogare meglio con lui è stato certamente The Matrix (1999). Infatti, il film dei fratelli Wachowski dovette creare due mondi separati per rappresentare l’idea di “iper-realtà”: The Matrix fu concepito all’interno di una struttura di pensiero dualistica, dominante dal pensiero antico fino alla modernità, da Parmenide a Platone, dalle religioni monoteiste fino a Cartesio; ma non più nel contemporaneo, non nel post-moderno, dove persino la critica e l’arte, il soggetto e l’oggetto, si fondono nel tutto-arte e nel tutto-oggetto. Perciò il significato del super-realismo è in questo “superamento”, dell’arte e del soggetto: l’arte è uscita dalla sua tela, facendosi mondo; il soggetto ha superato le vecchie categorie imposte dal pensiero antico e moderno per partecipare all’estasi del creato. Neanche la pura contemplazione è sopravvissuta alla catastrofe dei vecchi paradigmi.Baudrillard vedeva l’uomo schiacciato dal virtuale, come vittima di una società consumistica produttrice di mostri. Il super-realismo esce da questa trappola e fa un passo avanti nella comprensione del mondo in via di trasformazione: è l’uomo a creare il virtuale. Se il principio di realtà viene meno, ogni uomo ha il potere di creare da sé il suo mondo sopra il mondo, la sua rete sopra le reti, la sua super-realtà. Per questo, il super-uomo è diventato non solo filosoficamente possibile, ma necessario. Riggan sta volando di fronte agli occhi della figlia. Questa è la scelta simbolica fatta da Iñarritu. Andrea Donini
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