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Una ragazza d’altri tempi di Felicia Kingsley: Romanticismo e avventura tra passato e presente. Recensione di Alessandria today
Un viaggio nella Londra del 1816 che mescola amore, mistero e uno sguardo ironico sulla società.
Un viaggio nella Londra del 1816 che mescola amore, mistero e uno sguardo ironico sulla società. Introduzione all’opera:Felicia Kingsley, già autrice del bestseller Due cuori in affitto, torna con Una ragazza d’altri tempi, un romanzo che unisce il fascino del Regency alla modernità di una protagonista brillante e fuori dagli schemi. Pubblicato il 5 settembre 2023, questo libro è una commedia…
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Le parole sono importanti (cit.)
Terzo Installment
La frase detta così è da sinistri, cioè non vuol dire nulla: valori “assoluti” di per se le parole come gli atti non hanno. Importante delle parole è comprenderne e condividerne il SIGNIFICATO (da signum fero: porto un segnale, un emblema). Qui si va a cercare radici e significati autentici, non quelli cangianti della narrativa corrente manipolati dalla neoligua imposta alle masse.
DESTRA-SINISTRA
Cos' la destra/cos'è la sinistra? si domandava il grande Gaber. Rispondeva contrapponendo preferenze, tic e comportamenti di tutti i giorni (vasca vs. doccia, culatello vs. mortadella), differenze così normali da risultare banali, cangianti ma radicate, personali, POLARIZZANTI. Personalmente trovo si tratti di una ottima risposta a domanda profondamente sbagliata.
Destra-Sinistra, si tratta di un modello dello spettro delle posizioni politiche: una semplificazione della realtà, nomina nuda tenemus. Come sempre, ocio ai modelli, sia scientifici o no come questo: succede che li confondi con la realtà.
Il modello si radica ai tempi della rivoluzione francese: nella Assemblea Nazionale Legislativa del 1791, i nobili monarchici costituzionalisti si riunivano alla destra del presidente, alla sua sinistra i borghesi Giacobini (in mezzo stava la cd. Palude).
Notare come nel Parlamento attivo più antico, quello inglese, i seggi non siano disposti linearmente ma contrapposti in due sezioni distinte. Il pragmatismo del modello è esplicito: o governi o sei all'opposizione. Invece Destra-Sinistra, teoricamente un segmento continuo dove collocare posizioni diversificate, fatalmente incentiva la polarizzazione tra alternative: è il nome stesso. Tant'è, ci sono cascate anche persone serie come Norberto Bobbio. La fede nei modelli al posto della realtà è il motivo per cui gli intellettuali sono pericolosi quanto gli ignoranti.
Oggi molti individui e gruppi non si riconoscono più in uno spettro semplicistico Destra-Sinistra: é superato, dicono. Però cambiano solo l'asse ovvero gli estremi; la tendenza alla dicotomia e alla polarizzazione rimane, fatalmente tornando allo schema Destra-Sinistra a loro insaputa.
Ricordiamo tutti la retroguardia clericali-anticlericali; poi ci fu il tempo dei NeoCon "esportatori di democrazia" interventisti vs. isolazionisti e quello, tramontate o stelle un giorno l'Ucraina vincerà, del pacifismo senza se e ma, "colombe" vs. "falchi". Oggi ci si divide manco lungo assi, direttamente sugli estremi:
libertà: chi difende la libertà individuale da ogni interferenza, chi invece definisce "libertà positive" diritti per certe categorie che sono obblighi per altri (es.: no libertà di parola);
partecipazione: democrazia vs. aristocrazia, solo gli istruiti "non deplorabili", solo la scienza, no chi va "formalmente deprogrammato" (cit. Hillary Clinton questa settimana);
multiculturalismo vs Identità (eppure i primi sono quelli che la Diversità è patrimonio da preservare).
Occhio infine al rigurgito (cfr. Ultima Generazione) dei mai defunti luddisti decrescisti: quelli che distinguono ciò che è bene per l'ambiente vs. sviluppo, forza distruttiva nei confronti della Terra.
C'è pure di peggio: quelli che fascismo- antifascismo, i più laidi arretrati reazionari non scusabili di tutti, lo sanno pure loro. E' polarizzazione viscida strumentale o adolescenziale decerebrata, in ogni caso ricorda l'antiebraismo in quanto a livore cieco disumano.
La polarizzazione indotta dal modello è il vero tarlo che sta divorando dall'interno la civiltà - che è solo Occidentale, spiaze. Ciò nella inattività impotente della Palude conformista centrista in via di estinzione, la quale prima di tutti riforgiò il modello senza cambiarlo, mutandolo in Moderati vs. Estremisti tutti, fonte del conformismo trasformista.
Mitigazione del danno
Dagli oroscopi ai cambiamenti climatici, il problema è sempre scambiar modelli per la realtà. Il danno può solo essere mitigato, non estirpato, verificando costantemente i modelli con quel che succede nella realtà (metodo scientifico sperimentale).
Un primo improvement, per portare i politologi almeno al livello dei Terrapiattisti è passare a modelli bidimensionali. Il primo a due assi é del 1964: aggiunge all'asse destra-sinistra un asse verticale autoritarismo vs. democrazia, già aiuta. Poi arriva il classico del libertario David Nolan, base di successive evoluzioni tipo Political Compass: sull'asse x "libertà economica": libero mercato, meno stato e spesa pubblica, privatizzazioni; sull'asse y le "libertà personali": i "vecchi" diritti civili, droghe, aborto, eutanasia, da completare oggi con quelli "nuovi" che fanno incazzare i Woke e i WEF: privacy, novax, no tracciamenti, proprietà, mobilità individuale, autodifesa.
La politica vista come punti su un piano elimina le domande chiuse (o di qua o di là) e stempera la tendenza alla polarizzazione; inoltre ciò aiuta a comprendere filosofie politiche ben evolutesi nei tempi recenti, in particolare anarchismo e dottrina libertaria; si dà anche conto, per contiguità, dell'apparente conundrum "opposti estremismi" (già Franco Freda si definiva "Nazi-maoista") e della prossimità tra anarco-capitalisti con la V di Vendetta, libertari e conservatori. Etc.etc.
Fermiamoci qui. Le parole sono importanti, le etichette e dove si mettono, anche.
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10 Marzo nasce Nancy Cunard
10 Marzo nasce Nancy Cunard
Nancy Clare Cunard nasce in Gran Bretagna il 10 marzo 1896 in una famiglia della ricca borghesia ed aristocrazia inglese. Il bisnonno Samuel era stato il fondatore dell’omonima compagnia di navigazione (il transatlantico Titanic, per esempio, apparteneva alla linea Cunard), la madre, Maud Alice Burke, e il padre, Sir Bache, sono due esponenti dell’aristocrazia e della borghesia, amanti della…
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Essere al servizio degli dèi significa comprendere che nessuna verità è definitiva, perché ciò che apparentemente è stato superato è lì pronto a ritornare. Nel corso dei secoli le caste barbariche hanno di norma generato una nuova aristocrazia, tintinnante di monili vistosi; al tempo dell’high-frequency trade e della globalizzazione istantanea nessuna aristocrazia di sangue è più possibile, ma solo quella dell’acume e dell’audacia; la matematica abolisce la democrazia perché la democrazia è contro natura. La democrazia svilisce tutto perché tutto appiattisce al livello della maggioranza; il tiranno si accontenta del corpo, la democrazia pretende anche l’anima; il tiranno ti opprime, la democrazia ti fa sentire sbagliato, traccia un cerchio invalicabile intorno al pensiero. A comandare è la piazza, a salsicciaio salsicciaio e mezzo. L’individuo non è più il “soggetto qualificato” di cui parlava l’empirismo inglese; proprio il delirio informativo (cui nessuno ha il coraggio di sottrarsi) rende chimerica per i privati qualunque decisione consapevole sul bene comune. Se finisce l’individuo moderno, nemmeno il suo corollario cioè la democrazia ha più senso – malgrado la si continui stancamente a praticare durante le feste comandate, intorno al feticcio dell’urna elettorale. La democrazia è il dio morto della modernità che sopravvive come idolo di cartapesta; la balbuzie dei politologi tradisce l’imbarazzo per un rito funebre che non si può celebrare – per questo si aggrappano agli ultimi fuochi di democrazia insurrezionale, nelle zone del sottosviluppo o nel cuore delle nostre metropoli; ma la democrazia non può essere (non più) un poema di massa. Le oligarchie implicite devono uscire allo scoperto, il progresso economico non è obbligatoriamente legato all’uguaglianza dei diritti né la solidarietà presuppone l’assenza di sovrani. La disuguaglianza si sta riprendendo il proprio ruolo grazie alla tecnica che diffonde l’opportuno tasso di apatia; quello che importa ormai non è l’uguaglianza ma la disponibilità dei beni possibili al proprio livello. Il consumismo diffuso a pioggia (con la connessa illusione ottica di omologazione delle classi sociali) è un velo pietoso che si sta squarciando; si riallarga la forbice naturale tra i detentori dell’oggetto-sapere e le “genti meccaniche”. La folla si accontenta dell’umiliazione periodica di qualche incauto e superbo provocatore. Dopo l’infatuazione della rivoluzione industriale, durata un paio di secoli, anche l’Occidente dovrà riassestarsi in caste relativamente stabili – il sogno di un governo popolare sfuma come una generosa illusione di irraggiungibile maturità; anzi come una digressione, un inciso.
Walter Siti, Resistere non serve a niente, Rizzoli, 2013⁹; pp. 279-81.
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Nancy Cunard
https://www.unadonnalgiorno.it/nancy-cunard/
Amo la pace, la campagna, la Spagna repubblicana e l’Italia antifascista, i neri e la loro cultura afroamericana, tutta l’America Latina che conosco, la musica, la pittura, la poesia e il giornalismo. Ho sempre vissuto in Francia da quando mi è stato possibile, nel 1920. Odio il fascismo, lo snobismo e tutto quello che gli sta attorno.
Nancy Cunard poeta e militante antirazzista e antifascista, è stata una importante figura della poesia europea e ispiratrice di innumerevoli grandi artisti e letterati. È stata editrice, giornalista, inviata di guerra e traduttrice per la resistenza. Una storia incredibile la sua, fatta di coraggio e determinazione tali da travalicare ogni barriera culturale, sociale e morale del suo tempo.Nacque il 10 marzo 1896 in una famiglia della ricca borghesia e aristocrazia inglese. Il suo bisnonno Samuel aveva fondato l’omonima compagnia di navigazione di cui il transatlantico Titanic fece parte. I suoi genitori, ricchi e viziati, erano amanti della bella vita e del dolce far niente.
Trascorse l’infanzia nel castello di famiglia in campagna, tra l’ipocrisia e la superficialità dell’alta aristocrazia inglese della fine del diciannovesimo secolo. Un mondo che cominciò a detestare molto presto e che ne determinò il suo anticonformismo morale, sessuale e politico.
A quattordici anni, quando i genitori si separarono, si trasferì con la madre a Londra, frequentò vari college tra Francia e Germania.
Al suo debutto in società, come si conveniva tra le ragazze del suo rango, fu l’erede al trono, il principe di Galles, a farle da cavaliere. Sembrava, insomma, proiettata a un destino regale mentre scelse tutt’altra vita, assecondando le sue passioni e pulsioni.
Frequentò artisti, musicisti e intellettuali come Ezra Pound, Aldous Huxley e Leonard e Virginia Woolf, che come lei volevano mettere in discussione e decostruire le soffocanti tradizioni dell’epoca vittoriana, il puritanesimo anglosassone e l’impero colonialista. Fumava, beveva, vestiva in maniera eccentrica e destava scandalo con i suoi numerosi amori omo e eterosessuali.
Nel 1916 sposò un famoso giocatore di cricket da cui divorziò dopo un paio di anni.
Negli anni ’20 si trasferì in Francia, dove iniziò a scrivere e a pubblicare poesie frequentando esponenti delle avanguardie artistiche del surrealismo e dadaismo. Iniziò una importante storia d’amore col poeta Louis Aragon.
Nel 1927 si trasferì in Normandia dove fondò la sua casa editrice, The Hours Press, dedicata principalmente alla poesia contemporanea, artisti come Man Ray e Yves Tangui realizzarono le copertine dei libri. Per prima ha pubblicato Samuel Beckett.
Nel 1930 ha partecipato alla diffusione del film surrealista L’Âge d’or di Luis Buñuel, che venne fortemente ostacolato e censurato e di cui lei organizzò con ostinazione anche una proiezione a Londra.
In quel periodo iniziò anche a dare vita alla sua collezione di arte non occidentale; restano celebri i numerosi bracciali africani in avorio, presenze quasi immancabili nelle fotografie che la raffigurano.
Alla Biennale di Venezia nel 1928 conobbe e si innamorò di un musicista jazz afroamericano, Henry Crowder. Questo incontro la avvicinò alle condizioni dei neri americani e subì di riflesso le discriminazioni rivolte nei confronti del suo compagno. La loro storia fece scandalo provocando insulti e illazioni violente che evidenziavano il razzismo sistemico della società. Fu in quella circostanza che nacque l’impegno politico che la accompagnò per tutta la sua vita e che la portò a concepire e pubblicare la sua opera centrale. Divenne un’attivista politica antirazzista e si interessò alle questioni riguardanti i diritti civili negli Stati Uniti.Nel 1931 scrisse alla madre un testo durissimo, che venne successivamente pubblicato con il titolo Black Man and White Ladyship che era un tenace attacco al razzismo. Seguì Negro: An Anthology, del 1934, un volume in sette sezioni (800 pagine, 400 illustrazioni, 150 contributi), una vera e propria enciclopedia sociale, politica e culturale della “negritudine” nel mondo a favore della diversità culturale e del diritto all’autodeterminazione di ogni individuo.Negro Anthology è un’opera di importanza epocale, per la prima volta nella storia della lotta al razzismo, si diede diritto di parola e replica alle stesse vittime di discriminazione: le persone nere. L’opera rappresentò un’azione culturale militante, raccontava, con approccio documentaristico, la lunga e ricca storia culturale e sociale delle persone nere d’America, Africa e Europa, per mostrare e dimostrare che il pregiudizio razziale non poggia su alcuna giustificazione.
Riuscì a mettere insieme 150 autrici e autori neri, bianchi, più o meno politicamente impegnati, sportivi, giornalisti, antropologi, storici, scrittori, poeti, musicisti, cantanti, universitari e militanti e il risultato fu un’opera densissima.
Un capitolo intero venne dedicato al processo dei Scottsboro boys del 1931, in cui 9 giovani di colore in Alabama vennero ingiustamente accusati di stupro; un processo emblematico che provocò mobilitazioni su scala internazionale a cui Nancy Cunard prese parte attiva.
Negro Anthology era un’opera scomoda e incredibilmente coraggiosa che fu oggetto di pesanti minacce e pressioni che ne limitarono la diffusione. Le copie stampate, infatti, furono pochissime.
Partecipare alla lotta contro razzismo e nazifascismo fu per lei un dovere improrogabile fin da quando aveva messo la sua penna al servizio dell’impegno politico. Fu in Spagna come giornalista inviata per il Manchester Guardian, scrivendo bellissimi reportage sull’esodo repubblicano e sui terribili campi di concentramento che accolsero gli esuli spagnoli nella Francia del Fronte popolare. Portò sostegno ai profughi anche a guerra terminata. Per la sua partecipazione attiva alla causa anti franchista venne accusata di attività cospiratrici e arrestata.
Nel 1937 Left Review pubblicò Authors Take Sides on the Spanish War, un resoconto sul rapporto tra gli scrittori europei e la guerra in Spagna.
Durante la Seconda guerra mondiale, da Londra, lavorò come traduttrice per conto della Resistenza francese, si prodigò talmente tanto per la causa da arrivare a un vero e proprio logoramento fisico e psichico, praticamente, si consumò. Franco e il fascismo divennero una vera e propria ossessione che le arrecò crisi depressive e problemi mentali che la portarono ad avere comportamenti autodistruttivi. Dopo la guerra, indebolita nel corpo e nello spirito e attanagliata da difficoltà economiche e dai troppi abusi, visse anni difficilissimi.
Dopo uno scontro con la polizia londinese venne anche ricoverata in manicomio, la sua salute peggiorava sempre di più, arrivò a pesare 27 chili.
È morta in completa solitudine all’Hôpital Cochin il 17 marzo 1965.
Nancy Cunard, da una condizione di assoluto privilegio ha avuto il coraggio e l’ostinazione di trasformare la propria vita in un inno alla libertà, alla ribellione, alla lotta contro le ingiustizie e contro la stupidità umana.È stata un’icona e un punto di riferimento per intere generazioni. Ha ispirato Ernest Hemingway che ne fece una delle eroine di
Fiesta, Aldous Huxley la raccontò in Punto contro punto, Eveliyn Waugh in Resa incondizionata. In Aspettando Godot di Samuel Beckett il suo nome risuona sei volte, è presente nei Cantos di Ezra Pound, così come nella prima versione della Terra desolata di T.S. Eliot. Louis Aragon le è debitore di due libri, Blanche ou l’oubli e Le Con d’Irène, Tristan Tzara di una commedia, Mouchoir de nuage, Pablo Neruda di una raccolta poetica, Waltz. Il primo bestseller da un milione di copie dell’epoca, The Green Hat di Michael Arlen, l’ha vista protagonista. È stata scolpita da Constantin Brancusi, fotografata da Man Ray e Cecil Beaton, dipinta da Oskar Kokoschka e disegnata da Wyndam Lewis.
Al cinema, nel 1929, è stata interpretata da Greta Garbo nel film Destino che, come recitava la prima didascalia che accompagnava le immagini mute, era la storia di una donna coraggiosa e forse insensata.Nancy Cunard ha segnato un’epoca, libera e folle, appassionata e intelligentissima, il suo stile originale travalica mode e epoche. È una donna che la storia dovrebbe ricordare con molto più entusiasmo e rispetto.
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Medieval Piedmontese cities and their cultural relevancy
*This thing’s fantastic. I’ve never seen the like. Especially in a website devoted to “future cities.”
L`aristocrazia militare del territorio di Asti: i signori di Gorzano, in "Bollettino storico bibliografico subalpino", LIX (1971), pp. 357-447; LXX (1972), pp. 489-543.
Un`attiva minoranza etnica: gli Alamanni del comitato di Asti, in "Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken", LIV (1974), pp. 1-57.
Una valle di transito nel gioco politico dell`età sveva. Le trasformazioni del potere e dell`insediamento nel comitato di Serralonga, in "Bollettino storico bibliografico subalpino", LXXIII (1975), pp. 109-179.
Società e potere in Asti e nel suo comitato fino al declino dell`autorità regia, in "Bollettino storico bibliografico subalpino", LXXIII (1975), pp. 357-349.
Per una`archeologia medievale in Piemonte: un insediamento bassomedievale a Piea (Asti), in "Bollettino storico bibliografico subalpino", LXXIII (1975), pp. 223-234.
Paesaggio, possesso e incastellamento nel territorio di Asti fra X e XI secolo, in "Bollettino storico bibliografico subalpino", LXXIV (1976), pp. 457-525.
L`"erudito avvocato" De Canis e la sua opera innovatrice: un contributo del primo Ottocento al progresso degli studi sul medioevo astigiano, in "Bollettino storico bibliografico subalpino", LXXIV (1976), pp. 239-309.
Lo storico G.S. De Canis e la sua "Descrizione statistica della provincia di Asti, Asti, Cassa di Risparmio di Asti, 1976.
Andar per castelli. Da Asti tutto intorno, Torino, Milvia, 1976.
La città e il suo "districtus" dall`egemonia vescovile alla formazione del comune di Asti, in "Bollettino storico bibliografico subalpino", LXXV (1977), pp. 535-625.
Proposta per una lettura della "Corografia astigiana" dell`avv. G.S.De Canis, Asti, Cassa di Risparmio di Asti, 1977.
Una metodologia per le storie locali, in Atti del I convegno sul Canavese, Ivrea, 1979, pp. 97-100.
La genesi della classe politica del comune di Asti, in "Bollettino storico bibliografico subalpino", LXXVII (1979), pp. 33-151.
Lo sviluppo delle relazioni personali nell`aristocrazia rurale del Regno Italico, in Structures féodales et féodalisme dans l`Occident mediterranéen (Xe-XIIe siécles). Atti del Colloquio intern. dell`Ecole Française di Roma (10-13 ottobre 1978), Roma, Ecole Française, 1980, pp. 241-249.
Assestamenti del territorio suburbano: le "diminutiones villarum veterum" del comune di Asti, in "Bollettino storico bibliografico subalpino", LXXVIII (1980), pp. 127-177.
Città e territorio nell`alto medioevo. La società astigiana dal dominio dei Franchi all`affermazione comunale, Torino, Deputazione subalpina di storia patria, 1980 (Biblioteca storica subalpina, CC).
Spunti archeologici nelle descrizioni erudite fra Sette e Ottocento, in Medioevo rurale. Sulle tracce della civiltà contadina, a cura di V. Fumagalli, Bologna, Il Mulino, 1980, pp. 139-154.
Lo sviluppo delle relazioni personali nel territorio del comitato di Bredulo: "domini, milites, pagenses", in “Bollettino della Società per gli studi storici, architettonici e artistici della provincia di Cuneo”(= Atti del Convegno "Agricoltura e mondo rurale nella storia della provincia di Cuneo", Fossano 23-24 maggio 1981), 1981, pp. 315-323.
Tema cittadino e "ritorno alla terra" nella storiografia comunale recente, in "Quaderni storici", XVIII (1982), 52, pp. 255-277.
Medioevo americano. Modelli iconografici e modelli mentali, in “Quaderni medievali”, 13 (1982), pp. 130-150.
Introduzione a Torino nel basso medioevo: castello, uomini, oggetti, a cura di R. Bordone e S. Pettenati, Torino, Musei civici di Torino, 1982.
Il "famosissimo marchese Bonifacio". Spunti per una storia delle origini degli Aleramici detti del Vasto, in "Bollettino storico bibliografico subalpino", LXXXV (1983), pp. 587-602.
La società urbana nell`Italia comunale, Torino, Loescher, 1984 (ried. 1998)
Medioevo all`inglese. L`esperienza pre-raffaellita tra neogotico e art nouveau, in "Quaderni Medievali", 18 (1984), pp. 82-112.
"Già parrocchiale, ora campestre e minacciante rovina..." Tracce romaniche per una storia del popolamento dell`Astigiano medievale, ne Le chiese romaniche delle campagna astigiane. Un repertorio per la loro conoscenza, conservazione, Tutela, a cura di L. Pittarello, Asti , Provincia, 1984, pp. 7-11.
Un problema di memoria collettiva, ne "Il Platano", IX (1984), pp.228-233.
"Civitas nobilis et antiqua". Per una storia delle origini del movimento comunale in Piemonte, in Piemonte medievale, forme del potere e della società. Studi per Giovanni Tabacco, Torino, Einaudi, 1985, pp. 29-61.
La "convenientia" tra Novi, Genova e Pavia del 1135 alla luce dei più recenti orientamenti di storia comunale. Alcune considerazioni preliminari, in "In novitate", I (1985), pp. 2-6.
Medioevo illustrato. Carlo Nicco e il revival medievale torinese, in "Quaderni medievali, 20 (1985), pp. 150-190.
Nascita e sviluppo delle autonomie cittadine, ne La Storia, II, Il Medioevo, a cura di N. Tranfaglia e M. Firpo, Torino, UTET, 1986, pp. 427-460.
La riscoperta di una scoperta. Vent`anni di storiografia subalpina sul revival neomedievale ottocentesco, in "Bollettino storico bibliografico subalpino", LXXXIV (1986), pp. 559-568.
Storia urbana e città medievale: prospettive di ricerca, ne La storiografia contemporanea. Indirizzi e problemi, a cura di P. Rossi, Milano, Il Saggiatore, 1987, pp. 303-321.
I comuni italiani nella I Lega Lombarda: confronto di modelli istituzionali in un`esperienza politico-diplomatica, in Kommunale Bündnisse Oberitaliens und Oberdeutschlands im Vergleich (Atti dell`incontro di Reichenau, 11-14 ottobre 1983), Sigmaringen, Thorbecke, 1987, pp. 45-61.
Il controllo imperiale del castello di Gavi, ne Il Barbarossa e i suoi alleati liguri-piemontesi (Atti del convegno di Gavi, 8 dicembre 1985), Gavi 1987, pp.29-40 (rist. anche in Luoghi di strada nel medioevo fra il Po, il mare e le Alpi occidentali, a cura di G. Sergi, Torino 1996, pp.93-102).
La città comunale, in Modelli di città. Strutture e funzioni politiche, a cura di P. Rossi, Torino, Einaudi, 1987, pp. 347-370.
La società cittadina del Regno d`Italia. Formazione e sviluppo delle caratteristiche urbane nei secoli XI e XII, Torino, Deputazione sub. di storia patria, 1987.
L`aristocrazia: ricambi e convergenze ai vertici della scala sociale, ne La Storia, I, Il Medioevo, a cura di N. Tranfaglia e M. Firpo, Torino, UTET, 1987, pp. 145-175.
Introduzione, ne L`evoluzione delle città italiane nell`XI secolo (Atti della Sett. di studi di Trento, 8-12 settembre 1986), a cura di J.Jarnut e R.Bordone, Bologna, Il Mulino, 1988, pp. 15-24.
Memoria del tempo negli abitanti dei comuni italiani all`età del Barbarossa, ne Il tempo vissuto: percezione, impiego, rappresentazione (Atti del seminario di Gargnano, 9-11 settembre 1985), Milano, Cappelli, 1988, pp. 47-62.
Equilibri politici e interessi familiari nello sviluppo dei monasteri urbani del Piemonte, in Dal Piemonte all`Europa. Esperienze monastiche nelle società medievali (Atti del Congresso storico subalpino, Torino 27-29 maggio 1985), Torino, Dep. subalp. di stori patria, 1988, pp. 229-248.
Le élites cittadine nell`Italia comunale, in "Mélanges de l`Ecole française de Rome", 100 (1988), pp. 47-53.
Le città italiane e l`impero nell`XI secolo. Spunti per una riflessione, in Cultura e società nell`Italia medievale. Studi per Paolo Brezzi, Roma 1988, pp. 131-147.
Affermazione personale e sviluppi dinastici del gruppo parentale aleramico: il marchese Bonifacio "del Vasto", in Formazione e strutture dei ceti dominanti nel medioevo (Atti del I convegno di Pisa: 10-11 maggio 1983), Roma 1988, pp. 29-44.
Il castello di Belotto: processi di trasformazione del territorio del comune di Asti nel basso medioevo, in "Rivista di storia arte archeologia per le prov. di Alessandria e Asti", XCVI-XCVII (1988), pp. 47-89.
L`istituzione del Comune, in Civiltà di Lombardia. La Lombardia dei Comuni, Milano, Electa, 1988, pp. 7-32.
Fonti relative alle fabbriche medievali: riferimenti e metodologia di analisi, ne Il restauro architettonico per le grandi fabbriche, a cura di C. Bartolozzi e M.G. Cerri, Torino 1989, pp. 91-98.
Asti capitale provinciale e il retaggio di uno "stato" medievale, in "Società e storia", 12 (1989), 44, pp. 283-302.
Medievismo romantico e neomedievismo nell`immaginario moderno e contemporaneo: il castello da Walpole a Hearst, ne Il medioevo: specchio ed alibi, a cura di E. Menestò, Ascoli Piceno 1989, pp. 81-104.
La figura di Niccola Gabiani nel contesto culturale e amministrativo della città, in Fascismo di provincia: il caso di Asti. Atti del Convegno storico (Asti 18-19 novembre 1988), Cuneo 1990, pp. 131-143.
Prospettive di ricerca e di metodo per una storia del territorio, in "Alba Pompeia", XI (1990), pp. 65-68.
L`amministrazione del regno d`Italia, in "Bullettino dell`Istituto Storico Italiano per il Medio Evo", 96 (1990), pp. 133-156.
La città nel X secolo ne Il secolo di ferro: mito e realtà del secolo X (Settimane di studio del Centro italiani di studi sull`alto medioevo, XXXVIII), Spoleto, CISAM, 1991, pp. 517-563.
La codificazione dell`eclettismo alla fine dell`Ottocento, in Milano fin de siècle e il caso Bagatti Valsecchi. Memoria e progetto per la metropoli italiana, a cura di R. Pavoni e C. Mozzarelli, Milano, Guerini, 1991, pp. 191-199.
Le aristocrazie militari e politiche tra Piemonte e Lombardia nella letteratura storica recente sul Medioevo, ne Lo spazio alpino: area di civiltà, regione cerniera, a cura di G. Coppola e P. Schiera, Napoli, Liguori-GISEM, 1991, pp. 114-131.
Il passato storico come tempo mitico nel mondo cittadino italiano del medioevo, in "Società e Storia", 14 (1991), 51, pp. 1-22.
Medioevo alla sabauda. Carlo Alberto e il sogno del Medioevo, in "Quaderni medievali", 33 (1992), pp. 78-96.
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Il romito del Cenisio, i Longobardi e Carlo Magno alla Chiusa: spunti romantici di un itinerario in Valle di Susa, ne I Longobardi e le Alpi, Atti della giornata di studio “Clusae Longobardorum, i Longobardi e le Alpi”, Chiusa di San Michele, 6 marzo 2004, Susa, Segusium, 2005, pp. 67-84.
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Sopravvivenza medievale e innovazione nella cucina piemontese tradizionale, ne La cucina medievale tra lontananza e riproducibilità, a cura di B.Garofani e U. Gherner, Torino, Musei Civici, 2006, pp. 66-8.
Chiese di villaggio nel paesaggio medioevale astigiano, ne Il paesaggio del Romanico Astigiano, a cura di F. Garetto e M. Devecchi, Asti, Cassa di Risparmio di Asti, 2006, pp. 12-18.
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Bianca Lancia di Agliano e i suoi parenti, in “Tabulae del Centro studi federiciani”, XIX (2007), pp. 87-119.
Moasca nel medioevo. Le singolari vicende di un castello di confine, in Moasca tra Medioevo e Ottocento, Moasca, Comune di Moasca, 2007, pp. 21-41.
Cavalleria e romanticismo, ne La civiltà cavalleresca e l’Europa. Ripensare la storia della cavalleria, a cura di F. Cardini e I. Gagliardi, Atti del I Convegno internazionale di studi, San Gimignano, 3-4 giugno 2006, Pisa/S. Gimignano, Pacini/Comune di S. Gimignano, 2007, pp. 243-256.
Carlo Magno dopo Carlo Magno. La fortuna alpina di un mito, in Carlo Magno e le Alpi, Atti del XVIII Congresso internazionale di studi sull’alto medioevo (Susa-Novalesa, 19-21 ottobre 2006), Spoleto, CISAM, 2007, pp. 413-439.
Colline e castelli, campi e vigneti nell’iconografia dell’Astigiano fra il Basso Medioevo e la prima Età Moderna, ne Il paesaggio dipinto. Astigiano, Monferrato e Langhe, a cura di Osservatorio del Paesaggio-O. Coffano, Asti, Cassa di Risparmio di Asti, 2007, pp. 59-71.
“Per lancia e spada a ogni sangue, su campo franco”. Tradizione e storicità nell’ Ettore Fieramosca di Blasetti, in Ettore Fieramosca. Segreti e passioni secondo Blasetti, a cura di F.Prono e E.Nicosia, Torino 2007 (I quaderni degli archivi, 4), pp. 37-42.
I confini della comunità. Incertezza territoriale e assetto insediativo tra medioevo ed età moderna in Piemonte, in Città e territori nell’Italia del Medioevo. Studi in onore di Gabriella Rossetti, a cura di G.Chittolini, G. Petti Balbi, G. Vitolo, Napoli, GISEM-Liguori, 2007, pp. 55-73.
Carlo Giambattista Cacherano Malabaila d’Osasco. Un aristocratico muratoriano alle origini della storiografia astigiana moderna, ne “Il Platano”, XXXII (2007), pp. 82-94.
Cinema e medioevo, in Lezioni sul Medioevo, a cura di D. Romagnoli, Guastalla, Comune di Guastalla, 2007, pp. 79-84.
Postfazione, in Neomedievalismi. Recuperi, evocazioni, invenzioni nelle città dell’Emilia-Romagna, a cura di M.G. Muzzarelli, Bologna, CLUEB, 2007, pp. 287-296.
Un`effimera ‘villanova’ duecentesca. Nascita e decadenza della prima Villafranca d`Asti nel riordino del territorio politico astigiano, in “Bollettino storico-bibliografico subalpino”, CV (2007), pp. 393-458.
Una Lobby finanziaria internazionale?, introduzione a Dal banco di pegno all’alta finanza. Lombardi e mercanti-banchieri fra Paesi Bassi e Inghilterra nel Trecento, a cura di R. Bordone, Asti, Centro studi sui Lombardi, sul credito e sulla banca, 2007 (= “Quaderni/Cahiers del Centro Studi sui Lombardi, sul credito e sulla banca”, II), pp. 9-25.
Rapport de synthèse: Les mémoires dwa villes, in Villes de Flandre et d’Italie (XIIIe-XVIe siècle). Les enseignements d’une comparaison, ed. E. Crouzet-Pavan/E. Lecuppre-Desjardin, Tournhout, Brepols, 2008, pp. 165-172.
La nobiltà e l’Impero nello sviluppo del pensiero dantesco, in Gerione - Incroci danteschi. Dante e la storia medievale, Milano, Unicopli, 2008, pp. 49-84.
“Asta facta est quasi nova”. Il rinnovamento edilizio di fine Duecento e i “benefattori” della nuova Cattedrale gotica, in Ricami di pietra. Una scultura medievale del museo lapidario di Asti, Asti, Rotary Club Asti, 2008, pp. 31-46.
“Hic me aportavit Bonefacius Rotarius civis Astensis”. Bonifacio Roero tra il Piemonte e le Fiandre, in Rocciamelone. Il gigante di pietra, a cura di A. Zonato, Susa, Centro Culturale Diocesano, 2008, pp. 37-60.
I Roero in Europa, in Piemonte e in valle di Susa, in Alpi da scoprire. Arte, paesaggio, architettura per progettare il futuro, a cura di A.De Rossi, G. Sergi, A. Zonato, Borgone Susa, Edizioni del Graffio, 2008, p. 49.
“Une tres noble jouste”, in TOMMASO III DI SALUZZO, Il Libro del Cavaliere Errante (BnF ms. fr. 12559), a cura di M. Piccat, Boves, Araba Fenice, 2008, pp. 27-35.
Un paesaggio da mangiare. Incidenza degli usi alimentari sulla formazione storica del pasaggio dell’ Astigiano, ne Il paesaggio astigiano. Identità, valori, prospettive, a cura di M. Devecchi e M. Volpiano, Asti, Cassa di Risparmio di Asti, 2008, pp. 61-73.
Una “villanova” di frontiera fra Asti e il Monferrato, in Castell’Alfero. Otto secoli di arte e storia, Castell’Alfero, Comune, 2008, pp. 23-43.
«La forest de longue actente ». Maria di Clevès, duchessa d’Orléans e signora di Asti (1465-1482), ne “Il Platano”, XXXIII (2008), pp. 201-223.
La battaglia di Cossano (24 Marzo 1274), in Trasformazioni di una comunità di Langa. Cossano Belbo, a cura di R. Grimaldi, Canelli, Fabiano Editore, 2008, pp. 75-88.
La medievalizzazione del tempo festivo, ne Il Teatro della Vita. Le feste tradizionali in Piemonte , a cura di L. Nattino-P. Grimaldi, Torino, Omega Edizioni, 2008, pp. 97-106.
Il tempo e il denaro, in Tempus mundi umbra aevi. Tempo e cultura del tempo tra medioevo e età moderna, a cura di G. Archetti e A. Baronio, Brescia, Fondazione Civiltà Bresciana, 2008, pp. 339-346.
Trasformazioni della geografia del potere tra Piemonte e Liguria nel basso medioevo, in "Bollettino storico-bibliografico subalpino", CVI (2008), pp. 445-463.
1500 anni di invasioni e dominazioni straniere. Dai territori costruiti dai comuni al 1861, ne La cultura italiana, diretta da L.L. Cavalli Sforza, I, Terra e popoli, a cura di L.L. Cavalli Sforza e A. Piazza, Torino, UTET, 2009, pp. 426-433.
(con G. SERGI), Dieci secoli di medioevo, Torino, Einaudi, 2009.
The Lady of Shalott. Di telai e di tele, di amore e di morte nel medioevo vittoriano, ne Dal mito alla contemporaneità. Tessere la vita. Telai e arte della tessitura a 360o. Per un percorso interattivo interdisciplinare, a cura di C. Gutermann, M.G. Imarisio, D. Surace, Moncalieri 2009, pp. 160-166.
L`attivita` tessile nel medioevo, ibidem,pp. 27-30.
Caratteristiche sociali e attività economiche del primo gruppo dirigente comunale, in Storia di Fossano e del suo territorio , I, Dalla preistoria al Trecento, a cura di R. Comba, R. Bordone, R. Rao, Fossano, Co.re Editrice, 2009, pp. 134-149.
"Ius primae noctis" alle origini di Fossano?, ibidem, pp. 175-178.
Commenda di Santa Maria del Salice, ibidem, pp. 214-217.
I cavalieri di San Giovanni dalle origini a Malta, in Cavalieri. Dai Templari a Napoleone. Storie di crociati, soldati, cortigiani, a cura di A. Barbero e A. Merlotti, Milano, Electa, 2009, pp. 91-103.
Le pretese di Bonifacio, in Bonifacio di Monferrato e il Comune di Asti. Scontri e confronti alla fine del secolo XII, a cura di E.C. Pia, Asti, Comune di Asti, 2009 (Atti della Tavola Rotonda, Asti, 6 ottobre 2007), pp. 35-51.
Attività e presenza territoriale dell`Ordine Gerosolimitano in Piemonte, in Cavalieri di San Giovanni in Liguria e nell`Italia settentrionale. Quadri regionali, uomini e documenti, a cura di J. Costa Restagno, Genova-Albenga, Istituto intern, di Studi Liguri, 2009 (Atti del Convegno, Genova, 30 settembre-2 ottobre 2004), pp.313-330.
La difficile attribuzione del santo Patrono: il caso di Villafranca d`Asti, ne “Il Platano”, XXXIV (2009), pp. 106-131.
The survival of medieval knighthood over the centuries: a journey through the culture and taste of the Occident in reverse, in"Imago Temporis Medium Aevum", 3 (2009), pp. 293-309.
Suggestioni neomedievali alla Mandria. Rosa Vercellana e il Castello dei Laghi, in "Bollettino storico bibliografico subalpino", CVIII (2010), pp. 143-155.
Chieri nel medioevo: insediamento e organizzazione politica, in Archeologia a Chieri. Da Carreum Potentia al Comune bassomedievale, a cura di G. Pantò, Torino, Soprintendenza per i beni archeologici del Piemonte, 2010, pp. 33-37.
http://win.cittafutura.al.it/web/_pages/detail.aspx?GID=32&DOCID=5457
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T.E. Lawrence: il decalogo per sabotare le condizioni ostili e vincere le avversità
Dopo aver girato la Francia in cerca di castelli, certo, forse, che la regalità non ha tempo e che la ricerca del Graal è lecita, ovunque, sempre, T.E. Lawrence, è il 1909, vaga per la Siria ottomana, studiando le rocche crociate. Torna in UK con uno studio sui Castelli dei crociati (recentemente ripubblicato da Castelvecchi) e una predilezione quasi profetica per il Medio Oriente. In ogni caso, dal 1910 comincia a scavare a Karkemis, sull’Eufrate, poi è a Beirut, ad Aleppo, nel 1912 a Tarkan, in una necropoli egiziana. All’epoca tra archeologo e agente in terra straniera la distanza è minima, si scovano i reperti del passato vigilando sugli interessi di oggi: Lawrence conosce in Egitto Gertrude Bell, archeologa, grande esperta di mondi arabi e ottomani, autentica stratega della “rivolta araba”. Arruolato tra le fila della British Army con il compito di mappare il deserto del Negev, alle dipendenze dell’ufficio del Cairo, Lawrence, che credeva a Erodoto non meno che a Churchill, iniziò così la sua azione in Arabia. Nel 1916, dopo una serie di rapporti speciali, è proprio lui a essere incaricato di affiancare lo Sceriffo Hussein durante la rivolta. Il resto è storia, pardon, mito e letteratura: la guerriglia contro gli ottomani, la presa di Aqaba, nell’estate del 1917, le azioni di sabotaggio, la conquista di Dar’a, l’ingresso a Damasco, il 4 ottobre del 1918. Quando T.E. Lawrence non era ancora “Lawrence d’Arabia” – lo sarebbe diventato nel 1918 in seguito al servizio del giornalista e attore americano Lowell Thomas, che fiutò ‘la storia’ – né il grande, oceanico scrittore dei Sette pilastro della saggezza, il 20 agosto del 1917, su “The Arab Bulletin”, T.E. Lawrence scrisse alcuni “articoli”, o meglio, “regole” utili per operare in territorio straniero, tra gli arabi. Sono giorni e mesi importanti per Lawrence. In giugno compie alcune ricognizioni in incognito nel nord della Siria e nell’Hawran – per l’inglese la vittoria passa attraverso una meticolosa mappatura del luogo alieno. A fine mese, Aqaba, dopo un paio di battaglie, è presa: il 6 luglio Lawrence passa il Sinai e Suez per chiedere aiuto inglese nel consolidare la conquista. Tra settembre e ottobre compie alcune scorribande lungo la ferrovia dell’Hegiaz, dando alla guerra ‘partigiana’ un valore autentico. Gli arabi lo chiamano ‘Lawrence il demonio’. Al netto del momento ‘particolare’, in verità, Lawrence detta consigli generali per vincere un nemico ostile e per convincere amici sospettosi. Ad esempio: adottare i costumi degli alleati, studiare i loro modi e metodi, mai abbassare la guardia, far credere di soccombere mentre si reagisce, preferire la pazienza alla violenza, fare di un disagio una situazione di forza, mai abbattersi. Insomma, le regole per vincere le resistenze dei capi sono le stesse che possono servirci per avere ragione di ogni giorno.
***
Le note seguenti sono espresse in forma di regola per maggiore chiarezza. Sono, tuttavia, le mie personali conclusioni a cui sono giunto, gradualmente, operando nell’Hegiaz, ora messe su carta come cavalli da guerra per principianti negli eserciti arabi. Sono destinati a essere applicati tra i beduini; cittadini o siriani richiedono un trattamento completamente diverso. Ovviamente, non sono adatti alle necessità di qualsiasi persona né vanno applicati invariabilmente a seconda delle situazioni particolari. Mobilitare gli arabi dell’Hegiaz è un’arte, non una scienza, con diverse eccezioni e senza regole certe.
1. Nelle prime settimane, procedi con cautela. Un inizio errato è difficile da espiare, e gli arabi fondano i propri giudizi su aspetti esterni che ignoriamo. Quando hai conquistato la cerchia interna di una tribù, puoi fare ciò che vuoi di te stesso, con loro.
2. Apprendi tutto ciò che puoi sul tuo Sceriffo (Ashraf) e sui beduini. Conosci le famiglie, i clan, le tribù; gli amici e in nemici, i pozzi, le colline, le strade. Fai tutto ciò ascoltando, tramite una indagine indiretta. Non fare domande. Impara a parlare il loro dialetto arabo, non il tuo. Fino a quando non sei in grado di comprendere le loro allusioni, evita di implicarti in una conversazione. Sii rigido, all’inizio.
3. Tratta solo con il comandante dell’esercito, con il gruppo in cui presti servizio. Non dare ordini a nessuno, riserva istruzioni e consigli al comandante. Il tuo compito è consigliare. Fagli capire che questa è la tua concezione del dovere: eseguire i piani comuni, condivisi.
4. Conquista e mantieni la fiducia del tuo leader. Rafforza il suo prestigio a spese del tuo prima degli altri quando puoi. Non rifiutare i compiti che potrebbe proporti, ma assicurati che in prima istanza ti vengano affidati in privato. Approvali sempre, e dopo le lodi, modificali in modo insensibile, facendo sì che ogni suggerimento sembri provenire da lui, finché non sia allineato alle tue opinioni. Quando raggiungi questo punto, tienilo saldo, conferma le tue idee, spingile in avanti, con fermezza, ma segretamente, in modo che nessun altro (e mai troppo chiaramente) sia consapevole del tuo lavoro.
5. Rimani in contatto con il leader nel modo più costante e discreto possibile. Vivi con lui, affinché nell’ora dei pasti e nelle udienze tu sia nella sua tenda. Le visite formali per dare consigli non sono così buone quanto i discorsi occasionali, dove l’attenzione è meno vigile. Quando gli sceicchi stranieri fanno ingresso per giurare fedeltà e offrire servigi, esci dalla tenda. Se la nostra impressione resta quella di stranieri in confidenza dello Sceriffo, gli Arabi ci saranno ostili.
6. Evita rapporti stretti con i subordinati durante la spedizione. Il rapporto continuo con loro ti renderà impossibile non andare al di là delle istruzioni del capo, date su tuo consiglio: in questo modo, rivelerai la debolezza della sua posizione e distruggerai completamente la tua.
7. Tratta i sottoposti con leggerezza. In questo modo ti manterrai sopra il loro livello. Tratta il tuo capo con rispetto. Lui ricambierà i tuoi modi e sarete eguali. La precedenza è importante tra gli arabi, devi ottenerla.
8. La tua posizione ideale: presente ma invisibile. Non essere né troppo intimo né prevaricante o serio. Evita di essere identificato troppo a lungo con uno sceicco, anche se è il capo. Il tuo lavoro ti obbliga a essere al di sopra delle gelosie e perderai prestigio se ti leghi troppo strettamente a un clan e alle sue inevitabili faide. Vendette di sangue e rivalità locali costituiscono l’unico principio di unità tra gli Arabi.
9. Sviluppare la concezione degli Sceriffi come naturale aristocrazia tra gli Arabi. Le gelosie intertribali rendono impossibile a qualsiasi sceicco di raggiungere una posizione di comando, l’unica speranza di unione tra gli arabi nomadi è che l’ashraf sia universalmente riconosciuta come classe dirigente. Gli Sceriffi sono per metà cittadini, per metà nomadi, e hanno l’istinto al comando. Il mero merito e il denaro non sono sufficienti: la venerazione araba per il pedigree e per il Profeta dà speranza al successo dell’ashraf.
10. Gli stranieri e i cristiani non sono popolari in Arabia. Per quanto amichevole possa essere il tuo atteggiamento, ricorda che lavori su fondamenta di sabbia. Agita uno Sceriffo davanti a te e nascondi la tua mente, la tua persona. Se ci riesci, avrai centinaia di miglia di paese e migliaia di uomini ai tuoi ordini.
11. Aggrappati al tuo senso dell’umorismo. Ne avrai bisogno ogni giorno. Un’ironia asciutta è quella più utile, che raddoppierà la tua influenza sui capi. Il rimprovero, se avvolto in un sorriso, agisce più a lungo e in profondità di un discorso violento. Il potere della mimica e della parodia è prezioso, ma usalo con parsimonia perché la saggezza è più dignitosa dello humour. Non far ridere uno Sceriffo se non tra Sceriffi.
12. Non mettere mai le mani su un Arabo: ti degradi. Potresti pensare, in questo modo, di aumentare il rispetto esteriore verso di te, ma ciò che hai fatto edifica un muro tra te e il loro io interiore. È difficile tacere quando le cose vengono fatte male, ma meno perdi la pazienza, maggiore sarà il tuo vantaggio.
13. Sebbene siano difficili da guidare, i beduini non sono difficili da dirigere: se hai la pazienza di sopportarli. Meno evidenti sono le tue interferenze, maggiore sarà la tua influenza.
14. Non cercare di far troppo con le tue mani. Meglio un lavoro tollerabile compiuto dagli Arabi di uno tuo, pur perfetto. È la loro guerra, tu devi aiutarli non vincere per loro. In verità, nelle ambigue condizioni dell’Arabia il tuo lavoro pratico non risulta così buono come credi.
15. Se puoi, senza essere troppo generoso, prevedi dei regali. Un regalo azzeccato è spesso efficace per conquistare uno sceicco sospettoso. Non ricevere mai regali senza ricambiare, non lasciare che ti chiedano cose o servigi: l’avidità farà credere loro che sei soltanto una vacca da mungere.
16. Il travestimento non è consigliabile. Sei un ufficiale britannico e cristiano. Allo stesso tempo, indossare vestiti arabi quando si è con una tribù ti permetterà di acquistare la loro fiducia, di essere in intimità con loro. Tuttavia, non ti concederanno nulla di speciale se ti vesti come loro. Le violazioni delle norme imputate a uno straniero non ti sono condonate in abiti arabi. Sarai come un attore in un teatro straniero, recitando la parte per giorni, notti, mesi, senza tregua, verso una incerta posta in gioco. Il successo completo – quando gli arabi dimenticano la tua estraneità, parlano con naturalezza, considerandoti uno di loro – è forse ottenibile solo con il carattere.
17. Se indossi abiti arabi, indossa i migliori. Gli abiti sono importanti tra le tribù e devi indossare quelli appropriati, per apparire a tuo agio.
18. Se indossi abiti arabi, vai fino in fondo. Lascia amici e usanze inglesi, ripiega sulle abitudini arabe. Alla pari con loro, è possibile per l’europeo vincere l’arabo: siamo più ostinati nell’azione e ci mettiamo più cuore. Eppure: la fatica di vivere e pensare in una lingua straniera e compresa a metà, il cibo inatteso, i vestiti strani, la completa perdita della privacy e della quiete, l’impossibilità, per mesi e mesi, di allentare l’attenzione, producono sulle ordinarie difficoltà una tensione più forte.
19. Le discussioni religiose saranno frequenti. Con i beduini, l’Islam è un elemento onnipervasivo e c’è poco riguardo verso l’esterno. La religione è parte della natura, per loro, quanto il sonno o il cibo.
20. Se l’obbiettivo è buono (un bottino) i beduini attaccheranno come demoni, sono splendidi avventurieri, la loro mobilità è un vantaggio, e i cacciatori di gazzelle sono ottimi tiratori. Se c’è prospettiva di saccheggio, vincerai. Non sprecare i beduini – non sopportano le perdite – attaccando le trincee o difendendo una posizione, perché non possono stare fermi. Non giocare in sicurezza.
21. L’allusione è più efficace di una chiara esposizione logica: non amano le espressioni troppo concise. Le loro menti funzionano come le nostre, ma con premesse diverse. Non c’è nulla di irragionevole, incomprensibile, imperscrutabile nell’arabo.
22. Evita di parlare liberamente con le donne. È argomento complesso, come la religione: le loro norme sono così diverse dalle nostre che l’innocua azione di uno straniero può apparire loro sfrenata.
23. L’inizio e il termine del segreto per trattare con gli arabi è osservarli, incessantemente. Stai sempre in guardia, non dire mai una cosa inutile; osserva te stesso e i tuoi compagni tutto il tempo; ascolta ciò che accade, interpreta quello che succede sotto la superficie; leggi il loro carattere, scopri i loro gusti e le loro debolezze e tieni tutto per te. Il tuo successo sarà propiziato dalla quantità di sforzo mentale che dedicherai ad esso.
Thomas Edward Lawrence
*In copertina: T.E. Lawrence nel 1935, fotografato nello Yorkshire da R.G. Sims; è febbraio, il grande avventuriero e scrittore sarebbe morto tre mesi dopo
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“Miss Bee e il cadavere in biblioteca” di Alessia Gazzola: un giallo brillante e sofisticato nell’aristocrazia britannica (Altri libri e prossime uscite). Recensione di Alessandria today
Un viaggio tra misteri, intrighi e amore nella Londra degli anni '20.
Un viaggio tra misteri, intrighi e amore nella Londra degli anni ’20. Biografia dell’autrice.Alessia Gazzola è una delle autrici italiane più amate, nota per il suo mix unico di humor, mistero e personaggi femminili forti. Nata a Messina nel 1982, è un medico legale di professione e scrittrice di grande successo. È diventata celebre con la serie L’Allieva, da cui è stata tratta l’omonima fiction…
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Il tè nella letteratura
Il tè nella letteratura – le origini Pensate al tè e immaginate le porcellane di Dresda, i pasticcini imburrati e le chiacchiere da salotto di un'aristocrazia più snob che reale? Pure io. Le origini però sono, come quasi sempre, altrove. L'Oriente, lontano e misterioso Oriente, fumerie di oppio, geishe lussuriose, samurai dediti alla morte persino auto inflitta e lo zen, servito insieme al tè. Anche il tè nella letteratura inizia da qui. Nel 780, il venerabile Lu Yu scriveva Cha Ching – una guida per servire il tè –, eppure il tè orientale nulla ha a che vedere con quello occidentale. Avete mai visto una piantagione di tè a terrazze? Il verde asfissiante, l'infinita ripetizione di linee sinuose che delimitano i gradini ricoperti di tè, la sensazione che il mondo inizi e termini lì, l'assenza di orizzonti che non siano altre montagne ricoperte di tè... Forse è da questo che deriva la meditazione, l'elevazione dell'io oppure dello spirito – appurato che ci sia una differenza –, o la “riconquista del gioiello della vita”. Tutte cose a noi lontanissime. Infatti la citazione non è mia, ma di Okakura Kakuzō, che, nel suo libro, The book of tea, scritto in inglese nel 1906, continua persino meglio: “Beviamo, nel frattempo, un sorso di tè. Lo splendore del pomeriggio illumina i bambù, le sorgenti gorgogliano lievemente, e nella nostra teiera risuona il mormorio dei pini. Abbandoniamoci al sogno dell’effimero, lasciandoci trasportare dalla meravigliosa insensatezza delle cose.” Se nella vostra teiera risuona o no il mormorio dei pini, non lo so. Ma, la prossima volta sarebbe bello ascoltarlo, mentre “Oriente e Occidente, come due draghi scagliati in un mare agitato, lottano invano per riconquistare il gioiello della vita”.
Il tè nella letteratura – l’epoca vittoriana e il romanticismo Ebbene, il rigore mentale, l’abdicazione dell’io e la visione zen del mondo non sono sopravvissuti all’attraversata oceanica, attraversata conclusasi banalmente con un poco interessante scarico merci sulle luride banchine dei porti d’Inghilterra. L'avvento delle colonie ha portato non solo altra gloria a Sua Maestà la Regina, ma anche le foglie di tè. E, da buoni occidentali che siamo, abbiamo immediatamente provveduto a trasformare il rito del tè nel rito del... perdere tempo. Come dite? Che ne è del suo grazioso fascino romantico? Cosa ne ho fatto del suo aristocratico seppur lezioso girare intorno alle parole? Dov’è andata a finire la raffinata seduzione che traspare appena nella traslucena di una tazza di bone china, o nelle porcellane di Meissen o di Limoge (qui una breve storia della porcellana)?! Ci arriviamo. “Dalle cinque alle otto corre talvolta una piccola eternità che, nel nostro caso, non poteva essere che un’eternità di piacere.” Queste le parole di Henry James in Ritratto di Signora, questo il mio incipit per addentrarmi nella mia poco ortodossa teoria dell’importanza del tè nella letteratura inglese. D’accordo, Henry James era americano e siamo agli sgoccioli dell‘800, ma questo rafforza ancor di più il mio pensiero sull’anglosassone rito del tè.
Il tè nella letteratura inglese – la vacuità perfetta Dalle cinque alle otto... Ripeto il lasso di tempo indicato da James come eternità di piacere solamente per imprimere meglio nella mente (mia per prima) il preciso arco temporale in cui si svolgeva il rito del tè. Del 5 o’clock tea ne abbiamo sentito tutti parlare, che inizi alle cinque lo sappiamo, ma che duri più o meno tre ore ve lo aspettavate? Neanch’io. Ovviamente capitano anche tè più brevi, ma il momento (chiamalo momento) del tè pomeridiano si può prolungare fino all’ora di cena, sostituendosi direttamente a essa. Abitudine nata nei palazzi reali frequentati dall’alta aristocrazia, la moda di servire il tè pomeridiano si propaga velocemente fra tutte le classi sociali inglesi. Donne strizzate nell’abito migliore, tintinnio di porcellane, uomini con bastone e cilindro, chiacchiere a tempo perso, teiere bollenti, tempo perso in chiacchiere, piccoli tramezzini, sguardi galanti, dolcetti imburrati, parole sussurrate, confetture, educazione, latte, attesa. Jane Austen fa prendere il tè ai suoi personaggi in Orgoglio e Pregiudizio, Ragione e Sentimento, Emma, e cos’altro può fare, d’altronde? Le mamme devono tastare il terreno per trovare il miglior partito alle figlie, le figlie devono sorridere e nascondere sguardi lunghi, i rivali in amore devono poter rivaleggiare con eleganza... Dove farlo, dunque, se non dietro a una tazza da tè? Kim Wilson né ha fatto addirittura un libro: Un tè con Jane Austen. Charles Dickens è costretto a far incontrare Pip e la sua amata Estella di Grandi Speranze in un ristorante dove servono il tè e non poteva essere altrimenti: lei è talmente snob che non lo avrebbe incontrato altrove e lui, dopotutto, ha grandi speranze. Sorseggiano il tè nei libri delle sorelle Brontë e in quelli di Oscar Wilde – divertentissimi i quiproquo a suon di zollette di zucchero ne L’importanza di chiamarsi Ernest –, organizza sfarzosi tè uno dietro l’altro Mrs. Dalloway nell’omonimo romanzo di Virgina Woolf – e cos’altro potrebbe mai fare la viziata protagonista di questa storia che scava nelle profondità del suo essere, senza però scoprire di possedere un essere vuoto, annoiato e che ha rinunciato all’amore vero? Una società con tanto tempo libero e il terrore di dover affrontare i propri sentimenti, una società di apparenza e noia dove quelli che devono costruirsi una vita camminano sulle uova per timore che la vita lo venga a sapere e quelli che invece una vita ce l’hanno già, ma capiscono che non è quella che volevano, sono troppo codardi per constatarlo con loro stessi. Entrambe le categorie affogano nel tè la loro disperazione.
Nel tè, certo. Non possono farlo mica nell’assenzio, come i dissoluti francesi (qui una bellissima panoramica sull’argomento) o nella vodka, come i nostalagici russi. Loro hanno bisogno di una bevanda accomodante, senza carattere e slanci improvvisi. Il tè è una bevanda così anonima, scialba quanto i loro anemici caratteri: semplicemente acqua bollita versata su foglie secche, non per niente Monsieur Hercule Poirot, il famoso detective nato dalla penna di Agatha Christie, aborriva ogni qualvolta glielo propinavano: il tè non era una bevanda degna di questo nome, il cioccolato caldo lo era, oppure il sirop, o qualche liquorosa bevanda alcolica. Infatti Poirot è belga. Tornando alle origini, il tè è una bevanda semplicemente pura, specchiandosi nella sua raffinata trasparenza si può vedere l’anima, ci si può interrogare sul superfluo e meditare sull’universo. Non sia mai. La trasparenza viene subito annullata da un goccio di latte – raccapricciante abitudine nata a quanto pare per evitare di macchiare la lucentezza della porcellana (altro lampante esempio di forma che viene prima di qualsiasi contenuto) – che trasforma completamente la natura stessa del tè. Nato da un miracolo geologico e uno vegetale, liquido limpidissimo e dal raffinato sapore di leggerezza, il tè viene abominevolmente contaminato da un grasso animale che muta completamente la sua anima, trasformandolo in un miscuglio di dubbio colore, consistenza e sapore. Il peggio è che tutto avviene come se niente fosse, la nuova sostanza non ha anche un nuovo nome, non ha una nuova vita, continua a essere semplicemente tè, quando tutto è, tranne che quello. Il latte nel caffè diventa caffellatte, se il latte è poco, caffè macchiato, se è poco il caffè è un latte macchiato, tutto ha un nome diverso, perché diversa è la bevanda, tutto tranne che il tè. Non basta il latte nel tè, affoghiamolo pure di panna, dolcetti al burro, tartine al salmone, scones variegati, tramezzini all’uovo, purifichiamoci con il tè dimenticando i problemi su un vassoio di pasticcini, anzi, no: non affrontiamoli proprio, i problemi, si sta bene seduti su sedie foderate di seta a servire elegantemente tè colorato di latte e sguardi colorati di forse, disquisendo con grazia del più e del meno. Generalmente del meno.
Il tè nella letteratura - oltre il romanticismo e oltre la Manica Anche se, appena si nomina il tè, il primo pensiero rimanda alla cara, vecchia Inghilterra e ai suoi romantici romanzi, sarebbe riduttivo confinare il tè al genere romantico. Nei polizieschi di Agatha Christie si beve continuamente il tè, vuoi per riprendersi dall’aver trovato un cadavere, vuoi per elencare gli indizi, ma Miss Marple in fondo in fondo un po’ romantica lo è. C’è molto meno tè in Sherlock Holmes di Arthur Conan Doyle: l’intrepido detective di Baker Street predilige bistecche e oppio a cena, roba da uomini, altro che romanticismo! Uno dei miei tè letterari preferito è quello della divertentissima gita organizzata da Jerome K. Jerome in Tre uomini in barca. Molto meno cerimonioso rispetto a tutti i suoi simili – date le ovvie difficoltà del servirlo sulla barca – il tè di Jerome è come il suo libro: un capolavoro di humor inglese servito insieme a piccole perle di saggezza. Ed eccovi un infallibile sistema per far bollire l’acqua velocemente: “Mettemmo l'acqua per il tè a bollire sulla prua e ce ne andammo a poppa con la decisione di non occuparci più del bricco e pensare alle altre cose necessarie. Questo è l'unico sistema perché un bollitore serva al suo scopo sul fiume. Se si accorge che state aspettando con impazienza l'acqua bollente, non comincerà mai più a cantare. Il meglio da fare è di andarsene e cominciare a mangiare come se non voleste prendere il tè. Meglio non voltarsi nemmeno a guardarlo; vedrete che allora comincia subito a schizzar acqua bollente, matta per la voglia di diventare tè. Quando poi vi capita di avere molta fretta potete fare anche meglio: vi mettete a parlare ad alta voce l'uno con l'altro dicendo che non volete il tè, che non lo prenderete. Vi avvicinate al bricco, in modo che possa sentire, e gridate: – Io il tè non lo prendo; e tu, George? – al che George urla: – No, il tè non mi piace, berremo invece una limonata... il tè è indigeribile. State sicuri che il bricco mette a buttar fuori tanta acqua bollente che spegne il fornello. Adottammo questo trucco innocuo e il risultato fu che, prima che tutto il resto fosse pronto, il tè già aspettava.” Celebre invece il tè servito in Le avventure di Alice nel paese delle meraviglie di Lewis Carroll, anche se, ai tempi di #metoo, l’interrogativo su di lui si pone più che mai e il fascino dell’autore cala in modo direttamente proporzionale alla veridicità dei sospetti. Concentrandoci solamente sull’opera (non stiamo forse sfuggendo anche noi alla realtà affogando di panna la verità?), interessantissima la chiave interpretativa di questo estratto: “C'era un tavolo apparecchiato sotto un albero davanti alla casa, e la Lepre Marzolina e il Cappellaio vi prendevano il tè: tra loro c'era un Ghiro profondamente addormentato, e se ne servivano come di un cuscino appoggiandovi i gomiti e parlando sopra il suo capo. "Molto scomodo per il Ghiro", pensò Alice; però, visto che tanto dorme, non gli dà fastidio". Il tavolo era grande, ma i tre stavano pigiati in un angolo. "Non c'è posto! Non c'è posto!" si misero a gridare quando videro Alice farsi avanti. "Ce n'è moltissimo invece!" disse Alice indignata, e si sedette in una grande poltrona a capotavola. "Prendi un po' di vino", disse la Lepre Marzolina in tono incoraggiante. Alice si guardò intorno dappertutto, ma non vide altro che tè.” L’imperialismo inglese impersonato dalla Lepre Marzolina e dal Cappellaio, i popoli sottomessi nella figura del Ghiro che dorme, le conquiste colonialiste – il tè, appunto –: la società cresciuta dunque sulle debolezze dei popoli addormentati. E poi l’egoistica sete di potere, la paura di dover dividere i frutti: “non c’è posto, non c’è posto!”, una politica internazionale menzognera e ingannevole: “Prendi un po’ di vino”, questa la denuncia di Carroll camuffata dal quadro giocoso e quasi bucolico. Molto più secco e decisamente più diretto il quesito di Arthur Dent nella Guida galattica per autostoppisti di Douglas Adams: “Arthur sbatté le palpebre fissando i monitor accesi e sentì che mancava qualcosa di importante. Improvvisamente si rese conto di quello che mancava. “C’è un tè su questa astronave?” chiese.” Inverosimile infatti che una macchinetta costruita per poter produrre qualsiasi cosa non sappia fare il tè. Anche i francesi bevono tè nei libri, lo fa Proust in Un amore di Swann (e qui lo trovate abbinato alle sue madeleines) e lo fa Verlaine, il genere cambia ancora, sempre nel romanticismo, ma con la sofisticatezza francese: “L’ora del tè fumante e dei libri chiusi, la dolcezza di sentire la fine della sera, la stanchezza incantevole e l’adorata attesa dell’ombra nuziale e della dolce notte.” Ne beve sensualmente��D’Annunzio nel Il piacere, offrendo al lettore una panoramica sul ruolo femminile e la posizione di predatore dell’uomo – panoramica più o meno piacevole, dipende dalla prospettiva interpretativa, immagino. Bevono tè nero con pane nero i russi, altro genere ancora: il tè serve per fortificare lo spirito e temprare l’anima, ne bevono I Demoni di Dostoevskij, così come tutti gli altri personaggi dei grandi romanzi russi, è un tè forte però, servito da un samovar grosso come la Grande Madre Russia, fornisce quell’energia rapidamente immalinconita da un bicchiere di vodka e dall’animo russo. E non può essere altrimenti. “L’estasi è una tazza di tè e un dolce di zucchero in bocca.” Alexander Puskin Per concludere Non esiste altra bevanda che più si associa alla letteratura come il tè e non esiste altra bevanda che meglio si associa alla lettura. Tirate dunque le vostre conclusioni, spirituali, romantiche o amene che siano. Importante è riflettere. Con una tazza di tè. Annabelle Lee Read the full article
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“Ai sogni che hanno imposto il caos alla materia”: il nostro editoriale è una poesia ritrovata di Iosif Brodskij, “Cartolina da Lisbona”
Le prime pagine dei giornali dovrebbero essere adornate di poesia. Una poesia come editoriale. Per dare suggestione altra, alta, alla cronaca, per esigere una poetica dalla politica. Figuriamoci. Ci pensiamo noi, allora. L’editoriale, oggi, è una poesia di Iosif Brodskij, finora inedita in Italia. Pubblicata in origine nel 1991 sul “Times Literary Supplement”, s’intitola Postcard from Lisbon ed è stata tradotta dal russo all’inglese da Brodskij medesimo. La poesia, riproposta dal TLS in questi giorni, è introdotta da una breve didascalia, questa: “Di solito, si ritiene che Iosif Brodskij (1940-1996) sia un poeta costretto all’esilio dall’Unione Sovietica, ma per certi versi preferì l’esilio prima di compierlo in modo definitivo. Dopo che il padre fu rimosso dal ruolo in Marina perché era ebreo, Brodskij abbandonò la scuola praticando lavori insoliti, inclusa la partecipazione a un gruppo di ricerca geologica nell’Asia centrale. I suoi testi attrassero interesse: egli coltivò la propria arte sotto la tutela della grande poetessa russa Anna Achmatova. Ventenne, la sua vocazione di poeta lo portò in conflitto con le autorità sovietiche, fino a finire carcerato in un campo di lavoro. Gli fu ‘fortemente consigliato’ di emigrare nel 1972 e lui non tornò più in patria. Dopo il trasferimento negli Stati Uniti, le poesie di Brodskij sono state tradotte in diverse lingue, naturalmente in inglese, spesso dal poeta. Considerava le sue traduzioni troppo fluide e ritmiche rispetto alla schietta robustezza dell’originale”. ‘Carcerato’ nelle edizioni Adelphi, Brodskij, icona di una aristocrazia della lirica, di una poesia onnivora, carnale & mentale, si può leggere splendidamente. Le poesie, però – al di là di Fermata nel deserto, edito Mondadori, il resto, cioè Poesie (1972-1985), Poesie italiane, Poesie di Natale, E così via è in catalogo Adelphi – chiedono altro trattamento. Brodskij è un genio poetico: la sua opera integrale va raccolta in un volume, finalmente.
*
Cartolina da Lisbona
Monumenti a fatti che non hanno avuto luogo: al sangue senza che sia combattuta guerra; a frasi ardenti divorate durante l’arresto; a un corpo nudo fuso con le conifere, il cui volto è quello di San Sebastiano; agli aviatori che si librano su pianoforti alati per un duello di nuvole; all’inventore di reattori che invalidano l’invasione usando memorie scartate come combustibile; alle mogli dei marinai chine su omelette dall’occhio ciclopico; a Giustizia la sensuale che attende i seduttori e a Repubblica carnale; alle comete che si sono smarrite nella loro bruciante ricerca d’infinito – i cui caratteri riecheggiano spesso nei panorami locali (purtroppo, più foto- genici che abitabili); alla scoperta di Infartide – un quartiere sconosciuto nell’altro mondo; al lungomare piastrellato di rosso di un villaggio che ha schivato il gergo cubista per quasi un secolo; al suicidio per un amore non corrisposto – del Tiranno; al terremoto accolto da lontano da troppi (così dicono gli annali) che gridarono “È un affare!”; alla mano che non ha mai accarezzato denaro, per non dire dell’organo riproduttivo; al pregiudizio del coro di foglie verdi contro gli spietati solisti che pretendono l’ultima ovazione; alla felicità; e ai sogni che hanno imposto il loro caos alla materia, con la furia del popolo.
Iosif Brodskij
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“Questa caccia al traditore è una delle cose moralmente più disgustose che ci lascia in eredità la guerra”: George Orwell difende Wodehouse e Pound (e scrive a Henry Miller)
Orwell è il santone da citare in ogni occasione, su in Albione. Però dovrebbe entrare nel gergo di chi pensa liberamente anche qui da noi. Per dire: in una lettera del 23 febbraio 1946 al suo agente letterario Leonard Moore Orwell usa calde parole per il pubblico italiano.
“Ti spedisco il contratto de La fattoria degli animali per l’Italia, firmato per bene. Se nel prosieguo dovesse saltar fuori qualche difficoltà per il cambio lira-sterlina, cioè un avanzo netto, non far pressione in Italia. È importante che il libro sia tradotto in questa lingua, e nel caso potessero pagarci solo in lire potrei trovare il modo di spendere il denaro in Italia. E dovesse essere questo il caso, ti rimborserei la commissione. Per la traduzione in polacco invece non voglio compensi (…). Per la tua opzione dell’editore USA non so se possiamo contare sul pubblico di laggiù, non credo che potrebbero afferrare. Ricorda che quando mandai il manoscritto della Fattoria a Dial Press nel 1944 me lo spedirono indietro dicendo brevemente che ‘è impossibile vendere storie di animali negli Stati Uniti”.
E ditemi se in definitiva non è un elogio per il nostro popolo, che di democrazia ne aveva vista poca, da parte del più libero e democratico degli scrittori inglesi. In definitiva, non sono solo le istituzioni a rendere saggio e civile un paese: l’Italia se esce a testa alta.
C’è altro. Per capire la libertà di uno scrittore bisogna vedere come scrive di pornografia. Ancora una volta Orwell non si smentisce, ecco un’altra lettera sinora inedita in italiano. È del 26-27 agosto 1936.
*
Caro Miller,
Molte grazie per la tua lettera. Mi ha fatto sentire piuttosto male dopo tutto, perché avevo voglia di scriverti le scorse settimane e non ce l’ho fatta. Bene, Primavera nera è arrivato sano e salvo e in parte me lo sono goduto, specialmente i capitoli di apertura, però penso (e lo dirò quando ti recensisco) che un libro come Tropico del cancro che tratta di eventi accaduti o che potrebbero accadere nel nostro mondo reale tridimensionale – è molto più nella tua linea. Mi piacque Tropico del cancro specialmente per tre motivi. Uno: la qualità ritmica particolare del tuo inglese. Due: come hai trattato fatti ben noti a ciascuno ma mai nominati e messi a stampa (esempio: quando il tipo sta per far l’amore con la donna ma sta morendo perché gli scappa da pisciare). Tre: come ti incammini in ogni tua fantasticheria dove le leggi della realtà quotidiana scivolano pian piano sul fondale. (…) Ora però nel tuo ultimo libro ti sei allontanato da questo mondo carnale e sei entrato in una sorta di universo di Mickey Mouse dove le cose e le persone non devono obbedire a regole di spazio e tempo. Oso dire (forse sbaglio e non vedo il tuo schizzo iniziale) che ho una sorta di attitudine a starmene rasoterra e mi sento scomodo quando mi portano via dal mondo reale dove l’erba è verde, le pietre belle dure ecc. Lo so, ora ti senti dire che hai scritto una cosa diversa dalla prima e vieni ripreso per non esserti ripetuto. Ma non voglio che tu pensassi questo, Primavera nera mi ha divertito, la qualità della prosa è molto elegante e soprattutto il punto sullo sterco e gli angeli. (…) Devo andare a mungere la capretta qui fuori ma continuerò questa lettera appena rientro. (…) Il mio ultimo libro, Fiorirà l’aspidistra, sono certo che non sarà pubblicato in America perché è qualcosa di domestico, un soggetto tutto inglese e il pubblico americano ormai è restio verso quel che chiama ‘delicatezza britannica’. Ho notato, poi, lavorando in libreria, che è davvero molto difficile vendere libri americani in Inghilterra. Le due lingue si stanno spaccando come separate da una faglia.
E sì, sono d’accordo sulla povertà inglese. Orribile. Recentemente ho viaggiato nelle peggiori zone carbonifere in Lancashire e Yorkshire – ci sto facendo un libro – e mi fa pena vedere gente che è finita a terra e ha perso la sua roba negli ultimi dieci anni.
Scrivi se o quando ti senti portato a farlo,
Tuo
Eric A. Blair
*
Ora si può fare il salto nel cerchio infuocato. Difendere un ‘traditore della patria’. Bene. Orwell lo fece, naturalmente il saggio In difesa di Wodehouse non è mai stato tradotto in italiano e, no wonder, messo sotto il tappeto anche dalla Penguin.
Il saggio è del 1946 e non compare nella classica raccolta di lettere, saggi e pezzi giornalistici In front of your nose 1945-1950. Lo leggete qui.
Perché questo pezzo sarebbe un problema? Ma perché lo scrittore Pelham Wodehouse (1881-1975), autore di romanzi da camera con protagonista Jeeves, aveva avuto una defaillance in favore del terzo-impero-crucco nel 1941, risiedeva nella Francia occupata e sparlava della madrepatria. Il fatto è che a Vichy erano stati posti i germi della censura che poi gli intellò comunisti avrebbero praticato con gioia a guerra finita.
Insomma, Orwell la pensava così: “Mi dicono che gli editori francesi siano comandati a bacchetta da Aragon e altri quando non vanno pubblicati i libri non-desiderati (per dirne uno, Per chi suona la campana). I comunisti non hanno giurisdizione in materia, ma fosse per loro metterebbero a fuoco la sede di una casa editrice in connivenza con la polizia. Non so per quanto andrà avanti. In Inghilterra senza dubbio sono cresciuti i sentimenti contro il Partito Comunista. In Francia, un anno fa, ho avuto l’impressione che manco un diavolo si preoccupa per la libertà della stampa. Mi pare che l’occupazione abbia schiantato tutti, anche i trotskisti: o magari la decadenza intellettuale era cominciata già prima della guerra”. (Lettera a Philip Rahv del 9 aprile 1946)
L’argomentazione di Orwell in difesa di Wodehouse è tanto semplice quanto corrosiva e onesta: primo, Wodehouse in confronto ad altri colpevoli della destra inglese è poca cosa. Secondo, lo scrittore, sia questi Wodehouse o Pound, non lo si può mettere spalle al muro perché sarebbe una sconfitta immediata per la civiltà. Terzo e ultimo. Se il Regno Unito tratta male Wodehouse finirà che questi si prende la cittadinanza americana – cosa che successe nel 1955. Ma Orwell non fece in tempo a soffrire questa delusione.
Andrea Bianchi
***
In difesa di P. Wodehouse
In Qualcosa di nuovo (1915) Wodehouse scoprì le possibilità comiche insite nell’aristocrazia inglese, con tutta la sua trafila di baroni ridicoli e, salvo in pochissimi casi, pure disprezzabili, insieme a conti e chi più ne ha più ne metta. I suoi libri avevano l’effetto, abbastanza curioso, di rendere Wodehouse, se visto fuori dall’Inghilterra, come un penetrante satirista della società inglese. Di qui la considerazione di Flannery per colpevolizzarlo: si sarebbe “fatto gioco dell’uomo inglese”, cosa che probabilmente è avvenuta tra tedeschi e forse anche tra americani. Qualche tempo dopo le registrazioni di Wodehouse da Berlino (“che vincano o no gli Inglesi”) mi trovavo a discutere il fatto con un giovane nazionalista indiano il quale difendeva caldamente Wodehouse. Dava per scontato che Wodehouse avesse “superato” il nemico e dal suo punto di vista indiano la cosa gli pareva corretta. Ma quel che mi interessava fu scoprire che per lui Wodehouse era scrittore anti-britannico e aveva fatto un lavoro utile mostrando nei suoi colori esatti l’aristocrazia britannica. Errore che un vero inglese non commetterebbe, ed esempio curioso del modo in cui i libri, specialmente quelli umoristici, perdono le loro nuance più fini quando raggiungono l’audience straniera. Perché è abbastanza chiaro che Wodehouse non è anti-britannico, e nemmeno contro i ceti alti. Al contrario, una snobberia innocua, vecchia maniera è percepibile nel suo lavoro. Proprio come un cattolico intelligente è in grado di vedere che le blasfemie di Baudelaire o di James Joyce non sono veramente dannose per la fede cattolica, così un lettore inglese riesce a notare che quando crea personaggi come Hildebrand Spencer Poyns de Burgh John Hanneyside Coombe-Crombie, 12esimo Conte di Dreever, Wodehouse non sta realmente attaccando la gerarchia sociale. Infatti, nessuno che genuinamente disprezzasse i titoli scriverebbe così tanto su di loro. L’attitudine di Wodehouse verso il Sistema sociale inglese è la stessa che mantiene verso il codice morale della public-school – tutto facezie morbide per coprire un’accettazione non ragionata delle medesime. Il Conte di Emsworth è divertente perché un Conte dovrebbe comportarsi con più dignità, e la dipendenza senza freni di Bertie Wooster dal maggiordomo Jeeves è divertente in parte perché il maggiordomo non dovrebbe essere superiore al suo signore. Un lettore americano può far confusione su questi punti, e altri simili, e prendere l’insieme come una caricatura perché è già incline a essere anglofobo e questo insieme corrisponde alle sue idee preconcette di aristocrazia decadente. Bertie Wooster, con il suo battibecco, col suo bastone da passeggio, è l’inglese tipico, da pedana. Ma, come può avvertire qualsiasi lettore inglese, Wodehouse lo intende come figura simpatetica, e il reale peccato di Wodehouse è stato presentare i ceti alti come composti di persone carine, quando in realtà così non è. Attraverso tutti i suoi libri alcuni problemi sono costantemente evitati. Quasi senza eccezione i suoi giovani danarosi sono senza pretese, di mente aperta, mai avari: il loro tono è quello di Psmith, il quale si ritiene superiore alla sua stessa categoria ma poi crea un ponte verso gli altri chiamando tutti Comrade, compagno, camerata.
Ma c’è un altro punto circa Bertie Wooster: è fuori dall’epoca. Concepito nel 1917, o in quei dintorni, Bertie davvero appartiene a un’epoca ancora precedente. Uno scrittore umoristico non è obbligato a mantenersi aggiornato e, una volta trovata una vena buona (o due), Wodehouse continuò a sfruttarle con regolarità – e questo non era mica facile giacché non mise piede in Inghilterra nei sedici anni precedenti al suo internamento a opera dei nazisti [1924-1940]. La sua immagine della società inglese si era formata prima del 1914 ed era naïve, tradizionale, in fondo un ritratto pieno d’ammirazione. I suoi libri non miravano, si capisce, a un’audience intellettuale ma a quell’insieme di persone istruite in modi consueti. Nella sua intervista alla radio con Flannery, Wodehouse si domandava se “il genere di persone e d’Inghilterra di cui scrivo vivrà dopo questa Guerra”, senza capire che costoro erano già dei fantasmi. Dice Flannery pensando agli anni Venti che “Wodehouse viveva negli anni Quaranta come fosse negli anni di cui scriveva”. (…)
Nelle circostanze disperate del tempo era scusabile essere arrabbiati per quel che Wodehouse faceva, ma continuare a denunciarlo tre o quattro anni dopo – e anche più, per lasciare impresso che aveva agito consapevolmente da traditore – non è scusabile. Poche cose in questa guerra sono state più moralmente disgustose dell’attuale caccia a traditori e imitatori di Quisling. Nel migliore dei casi si tratta di punizione di colpevoli a opera di colpevoli. In Francia ogni genere di topi zoccola – ufficiali di polizia, giornalisti al centesimo, donne che andavano coi soldati tedeschi – sono inseguiti senza eccezione, mentre i veri ratti di fogna scappano via. In Inghilterra le tirate più severe contro i vari Quisling sono pronunciate dai conservatori (quelli dell’appeasement del 1938) e dai comunisti (avvocati dei conservatori nel 1940). Ho tentato di mostrare come il pessimo Wodehouse – solo perché il successo e l’espatrio gli consentirono di rimanere mentalmente nell’età Edoardiana – sia diventato il corpus vile all’interno di un esperimento di propaganda, e vorrei suggerire che ora è tempo di considerare l’incidente come chiuso. Se Ezra Pound è catturato e fucilato dalle autorità americane, l’effetto sarà di stabilire la sua reputazione di poeta nei secoli a venire; e anche nel caso di Wodehouse, se lo induciamo a stabilirsi negli Stati Uniti rinunciando alla cittadinanza britannica, finiremo per vergognarcene orribilmente. Nel frattempo, se realmente vogliamo punire chi ha indebolito il morale della nazione nei momenti critici, ci sono altri colpevoli più vicini a casa nostra e che davvero si meritano di essere rintracciati.
George Orwell
* la traduzione è di Andrea Bianchi
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La Prada S.p.A. è una holding italiana (che possiede azioni o quote di altre società) che opera nel settore della moda. Originariamente nota come Fratelli Prada, la casa di moda fu fondata nel 1913 dai fratelli Mario Prada e Martino, i quali aprirono un atelier di prodotti in cuoio, borse, accessori da viaggio e di lusso nella Galleria Vittorio Emanuele II a Milano. Ben presto, grazie all’alta qualità dei prodotti, la boutique divenne un punto di riferimento per gli acquisti dell’alta borghesia e aristocrazia europea, divenendo nel 1919 fornitore ufficiale della Real Casa di Savoia.
Nessuno dei figli maschi di Mario volle partecipare all’impresa, così fu la figlia Luisa ad entrare nell’azienda e, dopo la morte del padre avvenuta nel 1958, a diventarne la proprietaria. Nel 1971 un’altra donna, Miuccia (Maria Bianchi), figlia di Luisa, entra nell’azienda, diventandone proprietaria nel 1978. Diplomatasi al Liceo classico Giovanni Berchet di Milano nel 1971, dopo essersi laureata in scienze politiche all’Università degli Studi di Milano e aver studiato recitazione al Piccolo Teatro di Milano, è entrata a lavorare da Prada. Alla fine degli anni settanta, quando Miuccia salì alla dirigenza, il giro d’affari del marchio si aggirava intorno ai 450.000 dollari; uno dei primi passi mossi dalla nuova presidente, abile stilista, ingegnosa e determinata, ma poco esperta nel campo economico e gestionale, fu siglare un accordo con un imprenditore conosciuto un anno prima, Patrizio Bertelli, proprietario della società I pellettieri d’Italia (IPI), un’azienda attiva nel mercato del cuoio: la collaborazione combinò la fantasia della stilista e la capacità imprenditoriale dell’industriale. L’alleanza durò fino al 2003, anno in cui l’IPI venne definitivamente incorporata nel marchio Prada.
La sinergia del loro lavoro in azienda portò Miuccia e Patrizio a sposarsi nel 1987; dal punto di vista professionale la creatività della stilista unita alle capacità imprenditoriali di Bertelli, portarono il marchio a riemergere dal periodo di stallo con una serie di borse ed accessori innovativi, ed ad un’adeguata campagna pubblicitaria. Agli inizi degli anni ’80, disegna una collezione di borse nere in fine nylon che diventarono presto richiestissime in tutto il mondo. La prima sfilata del marchio avvenne nel 1988, all’interno della collezione autunno/inverno 1988; cinque anni dopo, nel 1993, Miuccia Prada fonda Miu Miu, con il quale distribuisce capi femminili più sperimentali e moderni. Nello stesso anno esce anche la prima collezione Prada Uomo. Nel 1993 Miuccia e Patrizio istituiscono il progetto PradaMilanoArte. Il progetto promuove inizialmente, attraverso mostre ed esposizioni, opere di scultura contemporanea. In seguito il progetto si è riversato nella Fondazione Prada. Ogni anno vengono organizzate mostre dedicate alle opere di arte contemporanea di artisti internazionali, alle quali vengono dedicati alcune pubblicazioni.
Risale invece al 1997 la prima collezione Prada Sport. A ottobre 1999 acquisisce il 75,3 % delle azioni dell’azienda inglese Church’s (produttrice di calzature), divenendone azionista di maggioranza e nel 2006, Prada acquista definitivamente il marchio inglese. Nei primi mesi del 2007 è stato lanciato il Prada Phone, un telefono cellulare nato dalla collaborazione tra il marchio Prada e LG Electronics. Nel 2009 la seconda generazione del cellulare LG Prada (KF900) è stata lanciata in Europa, che è possibile collegare con gli orologi del marchio aziendale dotati di dispositivo bluetooth. La produzione di orologi iniziò nel 2007 poi fu sospesa nel 2012. Uno dei primi modelli, chiamato Special Edition Prada Watch, fu prodotto in mille esemplari numerati sul fondello. Altri modelli alquanto celebri sono quelli della linea Prada the link; questi orologi, sincronizzati ai telefoni Prada tramite tecnologia bluetooth, offrono notevoli funzioni quali: segnalare le telefonate in arrivo e mostrare i messaggi quindi senza aprire il cellulare nonché informare l’utente, attraverso l’allarme, se il telefono dovesse essere fuori dal raggio di ricezione.
Dal 2000 Prada è lo sponsor ufficiale di Luna Rossa, barca a vela partecipante all’America’s Cup. Nel porto olimpico di Valencia è stato progettato dal famosissimo architetto Renzo Piano la sede dell’equipaggio e un monumento a Prada, sponsor dell’equipaggio. Nel 2005, vicino alle città di Valentine e Marfa, in Texas, il duo artistico scandinavo Elmgreen & Dragset ha realizzato Prada Marfa, una colossale scultura “camuffata” da boutique Prada. Nel 2006 è stato inaugurato il Waist Down, una mostra interamente dedicata alle creazioni più belle di Prada.
Nel 2009 Il Gruppo Prada si quota sui mercati finanziari, collocandosi nella borsa di Hong Kong. Nel 2010 amplia ulteriormente il suo portafoglio di marchi con l’acquisizione della Car Shoes di Alberto Moretti.
Nel 2010 Lady Gaga partecipa al Galà del Moca, con una delle sue fantastiche performance, con i costumi Prada. Nel 2011 è stata inaugurata la sede veneziana della fondazione nel palazzo Ca’ Corner della Regina sul Canal Grande. Il 14 marzo 2014 Prada annuncia l’acquisto dell’80% della storica pasticceria milanese Marchesi.
Il marchio Prada, grazie ad una capillare catena di boutique monomarca o tramite la grande distribuzione organizzata, distribuisce i propri prodotti sull’intero territorio mondiale. Fra i principali architetti ad aver disegnato le boutique del marchio si possono citare Rem Koolhaas e Herzog & de Meuron. In particolare Rem Koolhaas ha realizzato i negozi di Prada a New York e Los Angeles. È una delle marche più vestite dai vip, una delle più famose in scala mondiale e una delle più ricche.
Fra i volti noti ad aver prestato la propria immagine alle campagne pubblicitarie Prada si possono ricordare Linda Evangelista e Léa Seydoux.
Fra le modelle che hanno aperto le sfilate Prada invece si possono citare Daria Werbowy, Gemma Ward, Suvi Koponen e Sasha Pivovarova.
Fra le celebrità che si sono dichiarate clienti Prada ci sono le attrici Cameron Diaz, Salma Hayek, Maggie Gyllenhaal e lo stilista Azzedine Alaïa.
Autore: Lynda Di Natale Fonte: prada.com e web
Prada #prada #creatoredistile #creatoredellamoda #perfettamentechic #felicementechic #lynda La Prada S.p.A. è una holding italiana (che possiede azioni o quote di altre società) che opera nel settore della moda.
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