#antonio croce
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Note di cultura italiana. La scienza e la cultura.
“ Le correnti filosofiche idealistiche (Croce e Gentile) hanno determinato un primo processo di isolamento degli scienziati (scienze naturali o esatte) dal mondo della cultura. La filosofia e la scienza si sono staccate e gli scienziati hanno perduto molto del loro prestigio. Un altro processo di isolamento si è avuto per il nuovo prestigio dato al cattolicesimo e per il formarsi del centro neoscolastico. Così gli scienziati «laici» hanno contro la religione e la filosofia più diffusa: non può non avvenire un loro imbozzolamento e una «denutrizione» dell’attività scientifica che non può svilupparsi isolata dal mondo della cultura generale. D’altronde: poiché l’attività scientifica è in Italia strettamente legata al bilancio dello Stato, che non è lauto, all’atrofizzarsi di uno sviluppo del «pensiero» scientifico, della teoria, non può per compenso neanche aversi uno sviluppo della «tecnica» strumentale e sperimentale, che domanda larghezza di mezzi e di dotazioni. Questo disgregarsi dell’unità scientifica, del pensiero generale, è sentito: si è cercato di rimediare elaborando, anche in questo campo, un «nazionalismo» scientifico, cioè sostenendo la tesi della «nazionalità» della scienza. Ma è evidente che si tratta di costruzioni esteriori estrinseche, buone per i Congressi e le celebrazioni oratorie, ma senza efficacia pratica. E tuttavia gli scienziati italiani sono valorosi e fanno, con pochi mezzi, sacrifici inauditi e ottengono risultati mirabili. Il pericolo più grande pare essere rappresentato dal gruppo neoscolastico, che minaccia di assorbire molta attività scientifica sterilizzandola, per reazione all’idealismo gentiliano. (È da vedere l’attività organizzatrice del Consiglio Nazionale delle Ricerche e l’efficacia che ha avuto per sviluppare l’attività scientifica e tecnologica, e quella delle sezioni scientifiche dell’Accademia d’Italia). “
Antonio Gramsci, Quaderni del carcere [Quaderno 14 - 1932-35; par. 38], Einaudi, 2007, pp. 1694-95; edizione critica dell’Istituto Gramsci, a cura di Valentino Gerratana.
#Antonio Gramsci#Quaderni del carcere#XX secolo#leggere#Benedetto Croce#letture#libri#citazioni#scienziati#saggi#Giovanni Gentile#scienze naturali#scienze esatte#filosofia#intellettuali italiani del XX secolo#cattolicesimo#due culture#Valentino Gerratana#dibattito culturale#prestigio#idealismo#Storia d'Italia del '900#laicità#neoscolastica#nazionalismo#pensiero scientifico#Accademia d’Italia#progresso#sviluppo#antifascismo
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[Quaderno di statue e di vento][Giorgio Ghiotti]
"Quaderno di statue e di vento" di Giorgio Ghiotti è una raccolta di poesie che dialogano con i collage di Antonio Veneziani. Un viaggio intimo tra amori del passato e paesaggi della campagna pontina, tra concretezza quotidiana ed evanescenza poetica.
Giorgio Ghiotti e Antonio Veneziani: un dialogo tra parole e immagini in “Quaderno di statue e di vento” Titolo: Quaderno di statue e di ventoScritto da: Giorgio GhiottiEdito da: Croce LibreriaAnno: 2024Pagine: 70ISBN: 9788864025162 La sinossi di Quaderno di statue e di vento di Giorgio Ghiotti Quaderno di statue e di vento è una raccolta di poesie, scritte in dialogo con i collage di Antonio…
#2024#Antonio Veneziani#Croce Libreria#gay#Giorgio Ghiotti#Italia#Italian poetry#LGBT#LGBTQ#libri gay#poesia#Poesie#Quaderno di statue e di vento#Yasmina Pani
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Fun Facts. !00% verified.
The man who inspired Jim Croce's "Bad, Bad LeRoy Brown" was actually a humble mailman who once delivered a package addressed to Croce to the wrong house.
Charles Darwin kept a pet turtle he named Lord Alfred.
A Pennsylvania business group representing Sheetz gas stations has vowed to construct a "Sheetz-themed casino in Las Vegas by 2028".
Vlad III of Wallachia (the inspiration for Bram Stoker's Count Dracula) often said "the secret to happiness is laughter".
An angry letter to Paul Newman that said "As a race car enthusiast you should know better about the ethics of staying in your lane" was penned by Chef Boyardee,

Saint Cypriot on the San Antonio Riverwalk.
#San Antonio#riverwalk#saint cypriot#paul newman#chef boyardee#dracula#sheetz#pennsylvania#charles darwin#jim croce#fun facts
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Gramsci critica l’inadempienza della rivista alla propria stessa vocazione rivoluzionaria
Poeti d’oggi, con la quale si inaugura l’antologia d’autore italiana, esce nel 1920 a cura di Papini e Pancrazi. Scorrendo l’indice, si nota che questa raccolta contiene anche testi in prosa: ad esempio uno dei Trucioli di Sbarbaro, appena pubblicati da Vallecchi. Cinque anni prima è uscito l’Almanacco della Voce (Firenze, Edizioni della Voce), che comprende poesie in versi, poesie in prosa, ma…

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#1920#Angelo Romanò#Antonio Gramsci#Benedetto Croce#Claudia Crocco#Giovanni Boine#La Voce#ligure#modernismo#poesia#prosa#Riviera#rivista#Romano Luperini
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Gramsci critica l’inadempienza della rivista alla propria stessa vocazione rivoluzionaria
Poeti d’oggi, con la quale si inaugura l’antologia d’autore italiana, esce nel 1920 a cura di Papini e Pancrazi. Scorrendo l’indice, si nota che questa raccolta contiene anche testi in prosa: ad esempio uno dei Trucioli di Sbarbaro, appena pubblicati da Vallecchi. Cinque anni prima è uscito l’Almanacco della Voce (Firenze, Edizioni della Voce), che comprende poesie in versi, poesie in prosa, ma…

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Revolt in Aspromonte - An early 20th century's tale of hopeless poverty in Southern Italy's Calabria
Gente in Aspromonte (which was translated in English as Revolt in Aspromonte) written in 1930 by Italian journalist and novelist Corrado Alvaro, is a short but powerful novel of peasant life in Southern Italy's Calabria and is recognized by Italians as one of the classics of their modern literature.

Gente in Aspromonte is the story of the shepherd Argirò and his family––of their struggle for survival, and some shred of dignity, against the degrading oppression of the feudal family which controls their village. In his despair, Argirò believes that if only he can educate his youngest son, Benedetto, to be a priest he will achieve status and revenge on those who have wronged him. To this end, he sacrifices himself and the gentle older brother, Antonello. A simple tale––but told with a poetry of style which gives it a somber beauty.

Corrado Alvaro (San Luca, 15 April 1895 – Rome, 11 June 1956) was an Italian journalist and writer of novels, short stories, screenplays and plays. He often used the verismo style to describe the hopeless poverty in his native Calabria.
Gente in Aspromonte, which examined the exploitation of rural peasants by greedy landowners in Calabria, is considered by many critics to be his masterpiece.

He was born in San Luca, a small village in the southernmost region of Calabria. His father Antonio was a primary school teacher and founded an evening school for farmers and illiterate shepherds. Alvaro was educated at Jesuit boarding schools in Rome and Umbria. He graduated with a degree in literature in 1919 at the University of Milan and began working as a journalist and literary critic for two daily newspapers, Il Resto del Carlino of Bologna and the Corriere della Sera of Milan.

He served as an officer in the Italian army during World War I. After being wounded in both arms, he spent a long time in military hospitals. After the war, he worked as a correspondent in Paris (France) for the anti-Fascist paper Il Mondo of Giovanni Amendola. In 1925, he supported the Manifesto of the Anti-Fascist Intellectuals written by the philosopher Benedetto Croce.
In 1926 he published his first novel L'uomo nel labirinto (Man in the Labyrinth), which explored the growth of Fascism in Italy in the 1920s. A staunch democrat with strong anti-Fascist views, Alvaro's politics made him the target of surveillance of Mussolini's Fascist regime. He was forced to leave Italy and during the 1930s he travelled widely in western Europe, the Middle East, and the Soviet Union. Journeys he later recounted in his travel essays. L'uomo è forte (1938; Man Is Strong), written after a trip to the Soviet Union, is a defence of the individual against the oppression of totalitarianism.
Alvaro is noted for his realistic, epic depictions of the Italian poor. His later work portrayed the contrasts between a yearning for the simple, pastoral way of life, and the aspiration to achieve material success that attracts people to the city. He died in Rome in 1956.
Follow us on Instagram, @calabria_mediterranea

#gente in aspromonte#corrado alvaro#italian literature#calabria#italy#italia#south italy#southern italy#letteratura italiana#letteratura#literature#authors#aspromonte#peasants#peasant life#1930s#1930#1930's#poverty#poor#san luca#mountains#antifascismo#antifascism
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MERCATINI DI NATALE
Tanta Solidarietà, Arte, Cultura e Volontariato nella domenica che ha allietato i solbiatesi in attesa delle prossime festività natalizie.
Infatti, durante la giornata, si è potuto sostenere le tante associazioni solbiatesi presenti: PRO LOCO, ALPINI, AVIS, AIDO, Protezione Civile, Comitato Genitori, G.S. Solbiatese, MastrArtisti, ANPI e Croce Rossa Italiana, ricevendo in cambio tante prelibatezze.
Si è potuto anche rivivere la storia bicentenaria del Cotonificio di Solbiate attraverso i nuovi pannelli posti sulla cinta di un altro racconto della storia solbiatese l'ex Asilo, oggi sede del Gruppo Anziani Solbiatesi, dove oltre al bellissimo albero realizzato con al tecnica della "mattonella", nella Sala Verde nuova Mostra collettiva degli Artisti Solbiatesi: Laura Mior, Gianluigi Cremona, Alberto Castelnuovo, Giuseppe Catone, Antonio Filippini, Massimo Ranieri e Pasquale De Marchi. Mentre nella suggestiva cornice della chiesa detta del Sacro Cuore si è svolta la personale di Marco Roncari, l’ex sindaco di Fagnano Olona dopo i tanti impegni è ritornato alla sua passione per la pittura. Senza dimenticare la suggestiva musica dei Christmas Quartet Crazy Jazz degli Angels Gospel Choir.
Grazie a Tutti!

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Morti Famosi
Uno dei ricordi più nitidi che ho della mia infanzia è che mio nonno, il giorno del Venerdi Santo, non apparecchiava la tavola, come in Chiesa si tiene l’altare senza tovaglia, senza croce, senza candelieri. Non si suonano le campane né si accendono le candele. Eppure non era uomo di Chiesa, sebbene devoto a suo modo.
Su ciò che accade dalla Coenia Domini (la cosiddetta Ultima Cena, di Gesù con gli Apostoli prima della cattura e dell’arresto), passando per la Passione e la Morte, alla Celebrazione della Resurrezione di Pasqua, lo lascio da parte, con il rispetto che io metto sempre in queste questioni, in pieno spirito laico.
Esistono tanti esempi di, secondo gli antichi, “morte apparente”, che per tutta una serie di autori si doveva alle pratiche magiche che si insegnavano in Egitto: per la cronaca, uno dei primi autori critici sul Cristianesimo, Celso, nel suo Discorso di Verità (Alethès lógos, di cui tra l’altro non ci è rimasto nulla e in parte ricostruito solo da una confutazione successiva proposta da un altro filosofo, Origene) sosteneva proprio che Gesù, figlio di una donna adultera, fosse andato in Egitto a imparare le arti magiche che poi sarebbero passate per miracoli.
Quelle però che mi piacciono di più sono legate ad un famoso medico, Asclepiade di Bitinia: vissuto intorno al I secolo a.C., famosissimo, era contrario all’idea ippocratica degli squilibri umorali, e si rifaceva all’atomismo di Democrito. Tra i suoi rimedi per le malattie, l’uso modico del vino. Si narra che camminando per tornare alla sua città, si imbatté in un funerale. Curioso per la folla, si avvicinò per capire chi fosse il morto. Asclepiade lo guarda, gli sembra di notare in lui certi segni di vita latente, lo palpa e esclama: Quest’uomo è vivo! Tra lo stupore generale e la rabbia di chi lo prese per pazzo, il medico riuscì a portare il corpo a casa, dove con i suoi metodi riuscì, come dichiarò,“a riaccendere in lui lo spirito vitale e a richiamare l’anima, che si nascondeva in qualche recesso del corpo” (D. Baldi, Morti Favolose Degli Antichi, Quodlibet).
Divenne ricchissimo, famoso (tra i suoi assistiti Cicerone, Crasso e Marco Antonio), fece carriera politica e fondò la scuola medica detta “metodica”, che si prefiggeva di enfatizzare il trattamento delle malattie piuttosto che la storia del singolo paziente. Secondo la tradizione, fu il primo che divise le malattie tra acute e croniche, e secondo uno degli allievi più famosi della scuola medica metodica, Celio Aureliano (vissuto però molto più tardi, nel V secolo d.C.) fu il primo a utilizzare una tracheotomia.
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Custodi di arte e fede: Basilica di Santa Croce a Firenze

Il cuore della storia della città del Medici e una delle chiese più amate del mondo… La Basilica di Santa Croce è da sempre la chiesa dei fiorentini, infatti fu proprio la cittadinanza a finanziare i lavori di costruzione alla fine del Duecento. Alle origini collocata fuori dalle mura cittadine, la basilica venne edificata su una chiesa francescana, molto probabilmente su progetto di Arnolfo di Cambio. Se la facciata, in stile gotico rivisitato, risale alla metà dell’Ottocento, l’interno della chiesa ospita la cappelle riccamente affrescate dedicate alle prestigiose famiglie che ne finanziarono la costruzione e molti monumenti funebri di illustri fiorentini. Fra le tante opere della Basilica la più importante è il Crocifisso di Donatello, causa di una disputa fra l’artista e Brunelleschi che, trovandolo “rozzo e contadino”, ne fece uno più bello. Altre importanti opere sono l’Annunciazione Cavalcanti di Donatello e il Pulpito di Benedetto da Maiano, oltre a una Cappella Medici, opera di Michelozzo. La Basilica di Santa Croce,luogo di sepoltura di benestanti cittadini di Firenze, divenne dall’Ottocento un vero e proprio Pantheon di artisti e letterati, con nomi come Michelangelo, Galileo, Leon Battista Alberti, Vittorio Alfieri, Ugo Foscolo che riposano nella chiesa. Fu progettato un grandioso monumento per il più grande dei poeti della città di Firenze, Dante Alighieri, ma la sua salma restò nella città di Ravenna dove era morto in esilio. Da vedere sono il Monumento funebre di Carlo Marsuppini, realizzato da Desiderio da Settignano, la tomba di Michelangelo disegnata dal Vasari, il Monumento funebre di Vittorio Alfieri di Antonio Canova, il Monumento a Niccolò Machiavelli, un esempio di neoclassicismo fiorentino. Il Museo dell’Opera di Santa Croce è parte integrante del complesso della chiesa e dei chiostri adiacenti, fu istituito nel 1959 in spazi precedentemente occupati dal convento e accuratamente restaurato dopo i danni provocati dall’alluvione del 1966, e ospita splendide opere d’arte di scuola fiorentina. Capolavoro assoluto della storia dell’arte è il Crocifisso di Cimabue collocato nel Refettorio trecentesco, simbolo del passaggio alla pittura moderna, mentre gli interventi cinquecenteschi alla chiesa avevano coperto splendidi affreschi di Taddeo Gaddi e dell’Orcagna, che ora è possibile ammirare nel museo. Arricchiscono il patrimonio di Santa Croce una collezione di terracotte invetriate dei Della Robbia, una scultura in bronzo dorato raffigurante San Lodovico di Tolosa di Donatello, alcuni dipinti e arredi lignei. Gioiello architettonico del complesso è la Cappella Pazzi realizzata da Brunelleschi, un gioiello rinascimentale che vanta anche decorazioni di Desiderio da Settignano e Luca e Andrea della Robbia, cui si accede dallo splendido chiostro trecentesco del convento. Read the full article
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Ecco la Croce del Signore,
fuggite parti avverse,
Ha vinto il Leone della tribù di Giuda,
la Radice di Davide! Alleluia, alleluia!💕
Sant' Antonio di Padova
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Per chi abita in… Corso dei Tintori


Corso dei Tintori va da piazza Cavalleggeri, su cui si apre la Biblioteca Nazionale, a via de' Benci. Sulla destra a circa un 1/3 della via si apre via Antonio Magliavecchi che porta in Piazza santa Croce. Sulla sinistra a circa a 2/3 della via si apre Volta dei Tintori, una stretta stradina che prende il nome dalla volta che sovrasta il suo ingresso da Corso Tintori, e che arriva sino al Lungarno delle Grazie. In origine la strada si strutturò appena fuori dalla Porta ai Buoi, presente nella prima cerchia delle mura, a cominciare dall'anno 1100. Prendeva il nome di Borgo dei Tintori, mantenuto per 70 anni dopo l'inizio della sua formazione per poi passare al definitivo nome di Corso dei Tintori al momento che fu inglobata nelle mura di Arnolfo. Più precisamente assunse questo nome quando 1331 fu organizzato per la prima volta il "palio bianco", ripetuto poi ogni 12 giugno per la festa di Sant'Onofrio. Ovviamente il palio bianco è meno conosciuto del Palio alla Lunga o alla tonda, ma possedeva una sua dignità e vi gareggiavano non solo i cavalli, ma anche gli asini e i muli, cioè quelle bestie che giornalmente erano impiegate dai tintori per trasferire in città i loro tessuti.

Ovviamente il nome della via nasceva dalla presenza di un'intensa attività di tintori che sfruttavano la vicinanza dell'Arno sia per l'approvvigionamento idrico, sia per liberarsi di prodotti di scarto della lavorazione. Consideriamo che prima della realizzazione del Lungarno delle Grazie Corso dei Tintori era raggiunta da prese d'acqua strutturate in cateratte e canaletti che raggiungevano la via, e altrettanti rivoli, macchiati dalle più varie tinte, si ributtavano in Arno. Fu nel 1300 che si arrivò alla massima concentrazione di queste botteghe che tingevano lane e sete. Ovviamente l'aria non era certo salubre in quel periodo dato l'uso dell'urina per il fissaggio dei colori, l'odore si diffondeva ovunque ed era un fetore nauseabondo.

Nella pianta di Stefano Buonsignori del 1594, qui sulla destra, si può apprezzare Corso Tintori già strutturata per come è ancora oggi, senza ovviamente la Biblioteca Nazionale che sarà costruita a partire dall'anno 1911. Al posto della Biblioteca Nazionale nel 1280 era presente uno 'spedale con relativo oratorio intitolato a Sant'Onofrio (che poi si sposterà in via dei Malcontenti) di cui si occupava la Corporazione di Tintori. La corporazione nasce proprio per l'importanza che questo lavoro rappresentava per Firenze, la produzione di tessuti di cui la città era famosa. Si sviluppò fino a raggiungere il suo massimo splendore nel 1378. Nella stessa area nei primi anni del 1500 vi era una casa, oggi ovviamente scomparsa, dimora del Rosso Fiorentino. Fu in questa abitazione che progettò il cartone dell'Assunzione di Maria nel chiostrino dei Voti della Santissima Annunziata. Dal 1500 in poi le botteghe dei tintori cominciarono a chiudere per l'evoluzione del "mestiere" e delle tecniche e il corso cominciò una riqualificazione che portò anche alla realizzazione di palazzi di prestigio. Al civico 3 ritroviamo Palazzo Guasconi la cui famigli ricoprì svariati ruoli pubblici nell'amministrazione della città.

Sul canto tra Corso dei tintori e via Magliavecchi si staglia Palazzo Doni, eretto alla fine del 1400 per il matrimonio celebrato tra Agnolo Doni con Maddalena Strozzi. Su questo palazzo ci sarebbe molto da scrivere, se non altro per l'attività artistica di personaggi come Raffaello e Michelangelo, senza tralasciare i Fenzi, che restaurarono l'edificio. Una parte di restauri ci furono anche quando il palazzo passò al giornalista Raffaello Foresi che non solo vi lasciò il famoso aforisma: “Amici, nemici - parenti, serpenti - cugini, assassini - fratelli, coltelli.” ma anche le targhe di riconoscimento agli artisti suddetti.

Una chicca particolare sul palazzo, sempre opera di Foresi, ci è stata fatta notare da Riccardo Posarelli e si trova sugli architravi delle finestre che si affacciano su Corso Tintori. Osservandoli da sinistra a destra vi sono rappresentati dei volti che a seguire sono, un satiro, una divinità classica con ali, un uomo con maschera, un uomo baffuto con turbante, un uomo con baffi, un uomo egiziano, ed in fine un uomo con occhiali. Al civico 6 vi è Palazzo Corsini ai Tintori, eretto nel 1867. Al civico 7 Palazzo Jennings Riccioli, nota pensione tra 800 e il 900. Al civico 19 e 21 troviamo Palazzo Bombicci Pontelli costruito alla fine del 1400. Al civico 23 e 25 si riconosce Palazzo Ricasoli Scroffa. Al 29 Palazzo Bargagli attuale sede della Confcommercio di Firenze.

Una attenzione particolare riservo al civico 33, Casa dell'eremo di Camaldoli, un edificio in vero piuttosto modesto, caratterizzato dalla Volta dei Tintori, e che nel 1700 era pertinenza dell'Eremo di Camaldoli. Lo testimonia lo stemma costituito da due pavoni che bevono dallo stesso calice posta sopra il bandone del fondo. L'attenzione deriva da due puntualizzazioni, una pubblica ed una privata. La prima è che il palazzo è menzionato da Vasco Pratolini nel romanzo "Metello", la seconda è che il garage, oggi Florence Parking Tintori, era in tempi passati lo stallaggio della mia famiglia, quando il mio bisnonno Pasquale Cioni, fiaccheraio, affittava cavalli e carrozze per uso pubblico e privato. Un incendio prima e una infezione dei cavalli poi lo costrinsero a ricostruire la sua vita senza più lo stallaggio. Al civico 35 ritroviamo Ex-teatro dei Concordi, palazzo chiamato cosi per la presenza di un teatro attivo dal 1650 e chiamato con questo nome nel 1839 per poi diventare nel 1914 la sede della locale Camera del Lavoro. Al civico 41 ritroviamo nuovamente un palazzo detto Casa dell'eremo di Camaldoli, presente un'insegna come quella del civico 33 con in più la data di possesso del palazzo, 1707. Termina il Corso con due imponenti palazzi senza un civico in quanto di pertinenza di via dei Benci. A sinistra il Museo Horne, che consiglio di visitare in quanto contenente la collezione dall'antiquario inglese Herbert Percy Horne rappresentante la dimora fiorentina rinascimentale. Ed a destra Palazzo Mancini risalente al 1300.

Jacopo Cioni Gran Cerusico Read the full article
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Il Comune di Tropea ha adottato misure preventive per assicurare lo svolgimento della Fiera dell'Annunziata, da sempre molto partecipata per la sua tradizione, da residenti e visitatori. Per questo motivo, i commissari Vito Turco, Roberto Micucci e Antonio Calenda, hanno ritenuto necessario predisporre una nuova cornice organizzativa, che ha visto coinvolti gli stessi operatori economici attraverso incontri preventivi, nel corso dei quali sono state illustrate le misure che hanno inteso adottare per garantire un sereno e corretto svolgimento dell'evento. Il Comando della Polizia locale ha predisposto un’apposita ordinanza che regolerà lo svolgimento della manifestazione, nella quale sono indicate le misure di safety e security che dovranno essere osservate."Grazie al particolare impegno assicurato dal Prefetto e dai vertici delle Forze dell'Ordine - evidenziano i commissari - saranno incrementati i servizi di supporto esterno nelle attività di vigilanza e controllo del territorio, atti a garantire un pronto intervento in caso di eventuali situazioni di emergenza, mentre il Comitato provinciale della Croce rossa di Vibo Valentia è stato attivato per garantire il presidio di una autoambulanza". Vieppiù "Per disciplinare con ancora maggiore attenzione lo svolgimento della Fiera è stato inoltre istituito il Centro operativo comunale (Coc) che avrà sede presso gli uffici del Comando della Polizia locale, ed al quale parteciperanno anche le associazioni di volontariato e di protezione civile". Read the full article
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La Laminina Crucis di Hypnos: un simbolo unificante per tutte le fedi cristiane
di Lelio Antonio Deganutti La “Laminina Crucis” opera del maestro Hypnos, è molto più di un’opera d’arte: è un potente simbolo unificante per tutte le fedi Cristiane. Attraverso la sua rappresentazione della croce con materiali dorati su uno sfondo di juta grezza, l’opera cattura l’essenza del sacrificio di Cristo, creando un collegamento profondo tra il divino e la nostra esistenza biologica.…

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La società postmoderna, l’uomo eterodiretto e il potere rivoluzionario dell’arte: la lezione di Gramsci
https://teatro.persinsala.it/la-societa-postmoderna-luomo-eterodiretto-e-il-potere-rivoluzionario-dellarte-la-lezione-di-gramsci/69319/ La società postmoderna, l’uomo eterodiretto e il potere rivoluzionario dell’arte: la lezione di Gramsci di Giancarlo Chiariglione Antonio Gramsci (Ales, 22 gennaio 1891 – Roma, 27 aprile 1937) è ancora attuale. Il politico, filosofo, giornalista e linguista italiano, che ha recuperato il pensiero di Karl Marx e Friedrich Engels, sviluppando in campo letterario, teatrale e cinematografico una metodologia critica volta a collegare il contenuto (la massa dei sentimenti) con la forma (il linguaggio), in una prospettiva di lotta per un nuovo umanesimo, una nuova etica e dei nuovi costumi, può insegnarci molto anche in quest’epoca postmoderna, termine, oggi, abusato e coniato dal filosofo francese Jean-François Lyotard (La condizione postmoderna. Rapporto sul sapere, traduzione di Carlo Formenti, Collana: I nuovi testi, Feltrinelli, 1981). Ne parliamo con questa doppia pubblicazione, corredata da precisi riferimenti bibliografici, a favore di chi volesse approfondire l'opera di un gigante della cultura europea e mondiale, oggi purtroppo affatto conosciuto rispetto alla sua autentica statura internazionale. Persuaso che l’azione sia la naturale proiezione della percezione e del pensiero in campo sociale, (Arendt sosteneva che «tutte le attività umane sono condizionate dal fatto che gli uomini vivono insieme» e che l’azione costituisce una «prerogativa esclusiva degli uomini», razionale, cosciente, di cui né una bestia né un dio possono essere capaci, The Origins of Totalitarianism, 1951, The World Publishing Company, Cleveland-New York, 1958, pp. 22-23), Gramsci pensava che anche la critica potesse contribuire a cambiare i rapporti sociali, a creare un’egemonia, la quale, rispetto al dominio che si basa sulla forza, è un’espressione di potere fondata essenzialmente sul consenso, sulla capacità di guadagnare l’adesione a un determinato progetto culturale e politico (il noto nesso tra fra teoria e pratica, tra pensiero e azione; tra filosofia e politica), che diffonda una diversa concezione del mondo. Capace quindi di cambiare lo status quo. L’agire umano, infatti, è cosciente e razionale, proprio perché è preceduto da una corretta percezione e da un libero pensiero; caratteristiche che non possono prescindere dalla presenza di altri individui e dalla cooperazione con essi al fine di costruire una società capace di mettere al centro l’umano e i suoi bisogni. Per il pensatore di Ales, figure centrali erano gli intellettuali, che distingueva tra organici e tradizionali, con i primi appartenente a una determinata classe sociale di cui sono portavoce e ne rappresentano in campo culturale gli interessi, diffondendo la cultura relativa al loro fare concreto. Gli intellettuali tradizionali, come Benedetto Croce, invece, sono coloro che formano un ceto a sé stante e influiscono sul clima generale di tutta la società, e per questo motivo la loro conquista ideologica è di fondamentale importanza per ogni gruppo sociale emergente che voglia imporsi come dominante. Per Gramsci, un gruppo sociale mira all’egemonia quando gli intellettuali organici connessi a esso lottano per convincere ed ottenere l’approvazione da parte degli intellettuali tradizionali, il che consente alle ideologie di una classe sociale di agire in tutta la società civile. In virtù di ciò, il filosofo si impegnava a contrastare quegli intellettuali che manipolano il popolo ossequienti ai voleri dell’élite o che subiscono eccessivamente l’influenza di politici, filosofi e artisti stranieri; lo studioso Domenico Losurdo afferma che Gramsci focalizza la sua attenzione sulla strategia migliore per evitare che le classi subalterne «vengano ideologicamente e politicamente decapitate nei momenti di svolta storica, a causa dell’abbandono degli intellettuali che le hanno rappresentate o che hanno preteso di rappresentarle» (Antonio Gramsci dal liberalismo al «comunismo critico», Gamberetti, Roma, 1997, p. 235). Gramsci era quindi impegnato a costruire un movimento filosofico depurato da inutili intellettualismi e capace di farsi "vita"; un movimento consapevole volto a recuperare la centralità delle classi subalterne, le quali, come si era evidenziato nella Prima Guerra Mondiale, tendono sostanzialmente a recitare il ruolo di semplice «materiale umano» o di «materiale grezzo» per la storia delle classi privilegiate (p. 239). E il recupero di un’umanità capace di elaborare un pensiero che si traduca in azione, di un’umanità consapevole della società e della storia, è quanto oggidì appare più a rischio di fronte agli sviluppi di una tecnologia massmediatica che, se da una parte fornisce l’illusione della "onnipotenza informativa", dall’altra produce individui sempre meno capaci di pensare in modo autonomo e di agire consapevolmente. Persone sempre più isolate all’interno di quattro pareti e davanti allo schermo di un cellulare o di un computer, i quali, per molti aspetti, finiscono col pensare e agire a loro stesso posto, compromettendo anche quelle possibilità di relazioni e azioni sociali che rappresentano il nerbo della polis umana. L’odierna società della comunicazione di massa, assimilabile ormai alla società dello spettacolo descritta da Debord (Guy Debord, La società dello spettacolo, Massari Editore, 2002), sta contribuendo alla costruzione di un individuo sempre più isolato e sottoposto a forme di dominio nella dimensione sovrastrutturale che gli rendono impossibile o sterile ogni possibilità di azione concreta ed efficace in ambito sociale. Studiosi come Lorenzo Cillario e Roberto Finelli, infatti, avevano ben compreso come il «post-moderno» altro non è che quella fase storica in cui il capitale cessa progressivamente di dominare il “corpo” e comincia a dominare la “mente” (Capitalismo e conoscenza. L'astrazione del lavoro nell'era telematica, Manifestolibri, Roma, 1998), dato che i computer, le nuove, straordinarie menti artificiali, rendono l’intelletto umano una mera appendice. E l'essere umano, che già assisteva intorpidito al suo incontro con la tecnologia di Gutenberg sulla quale e attraverso la quale si è formata l’american way of life (Marshall McLuhan, Understanding Media: The Extensions of Man, McGraw Hill Education, New York, 1964), sempre più disabituato a dibattere, a socializzare, ed eventualmente a organizzarsi con altre persone, finisce con l’essere ridotto alla stregua di un «minorenne» eterodiretto. Addirittura di un automa. Questa persona, prodromica alla costruzione di fenomeni totalitari, può comunque sfuggire al suo destino, può ingaggiare una lotta senz’armi, avventurandosi, per esempio, fra le innumerevoli facce e i fermenti dell’attività artistica, la quale può essere interpretata anche in una prospettiva rituale, “festiva”. Ovviamente intendiamo per festa quella realtà che contrapponendosi al tempo quotidiano segnato dalla fatica del lavoro, dalla monotonia, dalla paura, dalla sofferenza, dall’ordine imposto dal Potere, diviene, per definizione, il momento della gioia, del riso, della partecipazione, della familiarizzazione, dell’abbondanza, della vera concezione del mondo (in relazione a ciò si consiglia la lettura del testo di Michail Bachtin, L'opera di Rabelais e la cultura popolare. Riso, carnevale e festa nella tradizione medievale e rinascimentale, Biblioteca Einaudi, Torino, 2001). Questo momento, creduto capace di propiziare un rinnovamento universale con conseguente riscatto di coloro che solitamente sono soggiogati e sottomessi, iniziò a materializzarsi artisticamente, soprattutto a queste latitudini, con i fescennini, la farsa popolare osca dell’atellana e la festa dei Saturnalia, nobile progenitrice del Carnevale (Toschi Paolo, Le origini del teatro italiano, Bollati Boringhieri, Torino, 1999). Proprio Gramsci, vedeva nel teatro drammatico, da intendersi come “testo scritto”, produzione, distribuzione e ricezione da parte del pubblico, una ”allegoria” della futura società socialista, in quanto, secondo il filosofo, si poneva contro la riservatezza della significazione simbolica tipica del puro discorso letterario, otium fine a sé stesso, ma pure contro quel deprecabile “senso comune” proprio dei romanzi popolareschi, unici elementi di contatto tra le masse e la letteratura. Val la pena ricordare che, per “senso comune”, Gramsci intendeva quei residui di cultura, quelle imprecise credenze, quelle incoerenti visioni del mondo, quella filosofia alta conforme agli interessi delle classi dirigenti accettata acriticamente dalle masse come ideologia universale, alla stessa stregua della religione, ben presenti nella letteratura popolaresca, nei romanzi d'appendìce, i quali, per quanto esecrabili, meritavano comunque di essere studiati «si può trar sangue anche dalle rape» (Lettere dal carcere, vol. I, Editrice l'Unità, Roma 1988, p. 188.). Un teatro, quello immaginato dal filosofo di Ales, che esigeva e cercava la dimensione pubblica, corale del suo significare e del suo essere fruito e che - convintosi che nell’azione di ciascuno, a prescindere dal suo lavoro, ci fosse sempre presente una filosofia, una originale concezione del mondo - sosteneva che «tutti sono intellettuali, si potrebbe dire ; ma non tutti gli uomini hanno nella società la funzione di intellettuali» (Gli Intellettuali e l'Organizzazione della Cultura, Einaudi, Torino, 1955, p. 6.). Lo studioso sardo, che il 10 dicembre 1915, venne assunto come critico teatrale dall’Avanti! (l’anno prima Mussolini aveva abbandonato la direzione del giornale), per ben cinque anni fu un recensore attento a distinguere tra un teatro “necessario”, come quello di Pirandello (che apprezzava perché «Le sue commedie sono tante bombe a mano che scoppiano nei cervelli degli spettatori e producono crolli di banalità, rovine di sentimenti, di pensiero»), rispetto a un teatro boulevardier, piuttosto consumistico, il quale, nel primo quindicennio del Novecento, proveniente soprattutto dalla Francia, aveva invaso la scena italiana ed era stato “avallato”, per esempio, a Torino, dove Gramsci risiedeva, dai fratelli Chiarella, che erano il contraltare della Suvini Zerboni di Milano, organizzatori senza scrupoli, tenutari di teatri, dove la prevalenza degli spettacoli era di infimo ordine. Gramsci si diceva attratto dalla “socialità del teatro”, dal «suo parlare alla collettività e non all’individuo» (Guido Davico Bonino, Gramsci e il teatro, Einaudi, Torino, 1972, pp. 14-15). E per le stesse ragioni, lo studioso, che si era dimostrato critico nei confronti del cinema che gli appariva capace di imitare soltanto i caratteri “esteriori” e “deteriori” del teatro, offrendo al pubblico le stesse sensazioni del “teatro volgare”, aveva apprezzato il futurismo, in tutte le sue manifestazioni (è bene ricordare che già nel 1913, una delle prime prove di Antonio Gramsci giornalista, dietro lo pseudonimo Alfa Gamma, sul «Corriere universitario», fu una vera e propria apologia del futurismo). Continua ....
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