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Venti anni dallo tsunami nell’Oceano Indiano: memoria e resilienza
Le commemorazioni in Asia per ricordare le 220.000 vittime del devastante tsunami del 2004 e l’importanza della memoria collettiva.
Le commemorazioni in Asia per ricordare le 220.000 vittime del devastante tsunami del 2004 e l’importanza della memoria collettiva. Un disastro naturale senza precedenti Il 26 dicembre 2004, un terremoto di magnitudo 9,1 al largo delle coste di Sumatra generò un devastante tsunami che colpì l’intera area dell’Oceano Indiano. Con onde alte fino a 30 metri, lo tsunami causò la morte di oltre…
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Fukushima, il Giappone commemora il 12/o anniversario della catastrofe
Il Giappone commemora il dodicesimo anniversario dalla triplice catastrofe di Fukushima, verificatasi al largo della costa sul versante nord-orientale del Paese. La serie concatenata di eventi: il terremoto di magnitudo 9, lo tsunami che ne seguì, e la successiva dispersione delle radiazioni dalla centrale nucleare hanno provocato la morte di quasi 16.000 persone, e costretto 31mila ex…
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Il Giappone celebra l'undicesimo anniversario del terremoto, dello tsunami e del disastro nucleare del 2011
11.3.2022 - Il Giappone ha celebrato oggi l'undicesimo anniversario del terremoto, dello tsunami e del disastro nucleare che ha devastato la sua regione nord-orientale nel 2011, con ordini di evacuazione in più parti delle aree contaminate dalla crisi nucleare di Fukushima che dovrebbero essere revocati entro la fine dell'anno.
La peggiore calamità naturale nella storia del dopoguerra del paese ha provocato più di 15.000 morti dopo il terremoto di magnitudo 9.0 e il conseguente tsunami ha causato danni diffusi e innescato crolli nel complesso nucleare n. 1 di Fukushima.
Le infrastrutture nelle aree duramente colpite sono state in gran parte ricostruite, ma circa 38.000 persone rimangono sfollate principalmente a causa del peggior incidente nucleare del mondo dal disastro di Chernobyl del 1986.I residenti delle prefetture gravemente colpite di Fukushima, Iwate e Miyagi hanno osservato un momento di silenzio alle 14:46, quando il violento terremoto ha colpito la regione più di un decennio fa, e hanno pregato per coloro che hanno perso la vita.
Poiché il governo centrale non ospita più una funzione commemorativa, i comuni nelle aree colpite stanno tenendo la loro su scala ridotta, con il primo ministro Fumio Kishida che partecipa a una cerimonia tenutasi nella città di Fukushima.
"Faremo i massimi sforzi per la ricostruzione del Tohoku", ha affermato Kishida durante il servizio a cui hanno partecipato circa 200 persone. "Promuoveremo la costruzione di una nazione resiliente ai disastri rivedendo costantemente le misure per prevenire e mitigare i danni causati dal disastro e proteggere la vita delle persone. "Secondo gli ultimi dati dell'Agenzia nazionale di polizia, il bilancio delle vittime è di 15.900, con 2.523 persone ancora disperse, per lo più nelle prefetture di Miyagi, Fukushima e Iwate. Decessi correlati, come quelli causati da malattie o suicidi da stress legati al disastro, erano 3.784 a settembre dello scorso anno, secondo l'Agenzia per la ricostruzione.
"Abbiamo rinnovato la nostra determinazione a rimanere impegnati in un approccio dal basso", ha detto ai giornalisti a Tokyo il ministro della Ricostruzione Kosaburo Nishime. "Lavoreremo insieme con la determinazione che non ci sarà una rinascita del Giappone senza la ricostruzione di Tohoku".
Esiste ancora una zona vietata vicino all'impianto n. 1 di Fukushima, dove i lavori di smantellamento dovrebbero continuare fino a un periodo compreso tra il 2041 e il 2051.
La prefettura di Fukushima continua a lottare contro le conseguenze della contaminazione nucleare mentre l'acqua radioattiva proveniente dal raffreddamento dei reattori danneggiati contenente combustibile nucleare fuso si accumula. Il rilascio di acqua trattata in mare da parte del governo dovrebbe iniziare nella primavera del 2023, causando preoccupazione nei Paesi vicini così come tra i residenti locali.
Gli ordini di evacuazione a Fukushima dovrebbero essere revocati questa primavera in parti di aree attualmente designate come off-limits a causa delle radiazioni, ma non è chiaro se i residenti torneranno.
A Futaba, dove a tutti i residenti è stato ordinato di evacuare, alcuni hanno iniziato a pernottare nelle loro case prima che l'ordine di evacuazione venisse revocato intorno a giugno.
Nel frattempo, la polizia locale nella regione colpita dal disastro ha condotto perquisizioni nelle aree costiere delle prefetture di Fukushima e Iwate alla ricerca di qualsiasi segno dei resti di coloro che sono stati spazzati via dallo tsunami.
(da www. japantimes.co.jp)
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Quella notte di quarant'anni fà la passai in una Ford Tanus, con mi Zio Luciano, che mise a disposizione la sua roulotte per sua moglie Rosaria, mia Madre e i mie due fratelli più piccoli. A mio padre, dipendente delle Poste, toccò presidiare insieme a alcuni dipendenti l'ufficio articoli pacchi, sguarnito della custodia della Polizia impegnata nei soccorsi. Avevamo passato un pomeriggio strano in compagnia di un'ombra nera, un arcaico tsunami che si portò dietro intere città, ma anche intere famiglie:il terreno che devastò Irpinia e Basilicata. (presso Terremoto 1980. 40esimo anniversario) https://www.instagram.com/p/CH82zj9DEX3/?igshid=bi3hasaxjphf
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Blade Runner? Lo ha scritto William S. Burroughs, ovviamente
Questa storia comincia con uno scrittore di nome Alan Edward Nourse, pressoché sconosciuto al di fuori dell’ambiente, come si dice, nato nello Iowa nel 1928 e passato negli altri mondi nel 1993; ogni tanto si firmava Al Edwards o Doctor X. Dopo aver prestato servizio in marina durante la Seconda guerra, Alan si iscrive a medicina, piglia la laurea e pratica. Lo si ricorda perché, in sostanza, i suoi libri fondono il genere fantascientifico con elementi pienamente scientifici, per non dire medici. Piuttosto noto, in Italia è stato tradotto assai, per lo più per Mondadori, nella collana ‘Urania’ (La rivolta dei Titani, I mercenari, Il quarto cavaliere); libri ormai fuori moda e introvabili, se non gitando per bancarelle.
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Il romanzo più noto di Alan E. Norse, The Bladerunner, è pubblico negli Usa nel 1974 e tradotto da Mondadori dal bravissimo Giuseppe Lippi nel 1981 con un titolo bestiale, Medicorriere. Questa la quarta: “Nei primi decenni del Duemila, le autorità hanno instaurato un sistema crudele e semplice per limitare l’eccesso di popolazione: l’assistenza medica è gratuita per tutti, ma a condizione che il malato accetti di essere prima reso sterile. Molti non accettano, e nasce così una medicina illegale, clandestina, svolta da medici e infermieri che operano in condizioni precarie e pericolose, braccati dalla polizia del Controllo Sanitario. Ma il personaggio centrale di questo sottobosco è il medicorriere, una specie di contrabbandiere di strumenti e medicinali che si muove tra loschi fornitori e dottori idealisti, tra l’assillo di essere scoperti e incarcerati e il terrore di finire nelle mani dei fanatici Naturisti, che vogliono distruggere qualsiasi tipo di medicina”. Per certi versi i temi – sovrappopolazione, classismo feroce, speculazione sanitaria, ‘naturismo’ – sono attuali, ma non è questo il punto. Il punto è il titolo. The Bladerunner. Il rapporto con il Blade Runner di Ridley Scott, film dalla bellezza enigmatica, del 1982, è evidente; la trama, però, è fuorviante, c’entra niente.
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Rewind. Nel 1976, dopo aver vagabondato tra Tangeri, Parigi e Londra, William S. Burroughs decide di ritornare definitivamente negli Usa. Oltre ai soliti amici, i beat, frequenta Andy Warhol, Lou Reed, John Giorno, Patty Smith. Nel 1978 organizzano una grande retrospettiva sul suo lavoro, a New York, con tributi di Allen Ginsberg, Patty Smith, Frank Zappa. Burroughs è l’autore di culto del Il pasto nudo e La scimmia sulla schiena. Ha letto il libro di Nourse, The Bladerunner. Ne vuole fare una sceneggiatura per un film elettrizzante. Che non si farà mai. Del romanzo di Nourse fa una versione alla Burroughs, involuta, viziata, sperimentale. Chiama il libro, Blade Runner (a movie) e lo stampa per Blue Wind Press. È il 1979. Quarant’anni fa.
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A questo punto della favola fa ingresso Hampton Fancher, regista, sceneggiatore. Che ha impalmato Sue Lyon, la Lolita di Kubrick – l’idillio durò, per la cronaca, due anni, lei era appena maggiorenne e Fancher fu il primo di una serie di mariti usa&getta, in tutto cinque. Insomma, Fancher è quello che ha voluto e scritto Blade Runner. Ha comprato i diritti del romanzo di Philip K. Dick, Ma gli androidi sognano pecore elettriche?, ha cercato e ottenuto Ridley Scott. Solo che a Scott quel libro non convinceva – infatti lo modificò assai – e gli faceva schifo il titolo che gli proponevano, “Android” o “Dangerous Days”. Fancher aveva sul comodino una copia di Blade Runner, l’adattamento di Burroughs: l’idea di un tizio che corre sulle lame, con i relativo tsunami di simboli (pericolo, precarietà, ferita, feritoia, rischio, rapidità, fuga), lo affascinava. Getta l’idea a Scott. Il regista ci sta. Fa comprare i diritti per il romanzo di Nourse e per l’adattamento di Burroughs. Alla fine, gl’importa soltanto del titolo, Blade Runner. Il resto, sappiamo come si è evoluto: un capolavoro.
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Blade Runner è un film drastico, come la sua lavorazione. Scott litiga con Fancher, fa mettere sotto contratto David Peoples – nomination agli Oscar per la scrittura de Gli spietati per Clint Eastwood – che riscrive parte della sceneggiatura. Chissà che film sarebbe scaturito se avessero messo sotto Burroughs…
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Il Blade Runner di Burroughs è tradotto in Italia nel 1985, per la Stamperia della Frontiera (intro di Furio Belfiore, traduzione di Giulio Saponaro) e poi per Mimesis, nel 2012, a cura di Riccardo Gramantieri (sottotitolo: “La sceneggiatura inedita di un grande scrittore di fantascienza”). Tangerine Press, editore londinese, ha realizzato una “edizione per il quarantesimo anniversario” di Blade Runner: A Movie. In edizione limitata. La curatela e il ‘packaging’ del prodotto sono eccellenti, nonostante, va da sé, non è certo per questo Blade Runner che Burroughs passa alla storia. (d.b.)
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L’Italia e il nodo libico
16:02 08.12.2017
Tatiana Santi
La Libia, un Paese nel caos più totale dal futuro tuttora ignoto, si ritrova al centro degli interessi geopolitici delle grandi potenze. L’attuale labirinto libico, dossier strategico per Roma, va letto nella prospettiva della guerra del 2011. L’Italia e il nodo libico.
Per comprendere a fondo il complesso scacchiere libico è fondamentale sapere le ragioni dell'attacco contro la Libia del 2011, accompagnato da un coro mediatico secondo cui Muammar Gheddafi da un giorno all'altro diventò un dittatore pazzo da distruggere. "Libia. Da colonia italiana a colonia globale" è un libro di Paolo Sensini (edito da Jaca Book) che ripercorre la travagliata storia della Libia gettando luce sulle fatidiche "primavere arabe" e sulle vicende che i media mainstream hanno taciuto.
© Foto: fornita da Paolo Sensini
Paolo Sensini, storico, analista geopolitico
Gli interessi economici dei Paesi occidentali e le immense risorse di petrolio furono le principali cause di quella guerra che segnò l'inizio di un disastro degenerato fino ai giorni nostri. Oggi i riflettori della stampa sono puntati sul dramma dei migranti trattenuti e torturati in Libia, scenario sempre più complesso dove a scontrarsi sono gli interessi dell'Italia e dei suoi "alleati" occidentali. Quali sono le possibili soluzioni della crisi libica? Qual è il ruolo della Russia in questo contesto? Sputnik Italia ha raggiunto per un'intervista Paolo Sensini, storico, analista geopolitico e autore del saggio "Libia. Da colonia italiana a colonia globale". — Il dossier libico è di un'importanza cruciale per l'Italia. Paolo, qual è il ruolo di Roma e qual è la posta in gioco in questo scenario? — La posta in gioco è molto alta, perché con la guerra del 2011 l'Italia si è giocata il rapporto con il Paese più importante del Nord Africa, fra i più grandi produttori di petrolio dell'intero continente africano. A seguito di quel disastro, causato in primis dai francesi congiuntamente a Gran Bretagna e Stati Uniti è iniziata una catastrofe economica, sociale e politica che si è protratta fino ad oggi. Il Paese è stato lasciato nel completo caos con brandelli di governi che si contendono diverse parti della Libia. Tutto ciò con un afflusso di centinaia di migliaia di persone, forse qualche milione da quando è crollato il Paese nel 2011 verso le coste italiane.
Oggi è in discussione il dossier che il ministro Minniti aveva cercato di trattare con il governo Serraj, cioè per un possibile controllo dei flussi di migranti, ma quest'iniziativa è stata condannata dall'ONU, perché si sostiene che non si possono fermare persone in Libia per via delle torture e ci sono dei rischi di violazione del principio di non respingimento. L'ONU vanifica quest'estremo tentativo per cercare di fermare quest'afflusso continuo.
— Per capire la situazione attuale della Libia è indispensabile analizzare anche il passato del Paese. "Libia da colonia italiana a colonia globale" è il libro che hai scritto in merito. Ce ne puoi parlare? — Durante il 2011 avevo già dato un contributo con il libro "Libia 2011" in seguito ad un viaggio che feci con una delegazione internazionale in Libia. Nel 2011 ricorreva il 150-simo anniversario dell'Unità d'Italia e il 100-simo anniversario dell'occupazione italiana delle due province, la Cirenaica e la Tripolitania. Ho scritto "Libia da colonia italiana a colonia globale" perché mi sembrava fondamentale capire la storia di quel Paese. Oltre all'aspetto storico parlo dello sviluppo e delle componenti religiose in particolare della Sanusiyya, la branca islamica della Libia molto estremista, per certi versi assimilabile ai wahabiti, perché anche loro sono letteralisti. Proprio loro sono stati i protagonisti della rivolta che i media occidentali ci spacciavano per rivolta democratica. Queste persone in realtà hanno gettato nel più completo caos il Paese. Ho cercato di chiarire questi aspetti che sono poco conosciuti e di entrare nel merito delle vere ragioni che hanno scatenato quel conflitto, in particolare da parte della Francia, della Gran Bretagna, degli Stati Uniti e dei Paesi del Golfo. I Paesi del Golfo hanno contribuito non solo con soldi e mezzi, ma anche con l'informazione, pensiamo ad al Arabiya e al Jazeera. Parliamo di una vera info war nei confronti della Libia. Essendo stato lì di persona ho potuto rendermi conto, parlando con le autorità, di ciò che era avvenuto. — In Libia si scontrano gli interessi di più Paesi, frenando la soluzione della crisi alla fin fine. Qual è il gioco condotto dagli "alleati" dell'Italia? — A noi era stato raccontato durante quel periodo che si interveniva perché c'erano le fosse comuni, si rievocava un immaginario che sconvolgeva la gente, quindi si giustificava un intervento militare anche dell'Italia. L'Italia è un Paese che nel 2009 firmò un trattato con la Libia con cui c'era un'amicizia e cooperazione. Questo trattato addirittura contemplava l'entrata in guerra dell'Italia a fianco della Libia qualora essa fosse stata attaccata da qualcuno. Poi sappiamo com'è andata, anche l'Italia ha partecipato a bombardarla…
© Foto: fornita da Paolo Sensini
Copertina del libro “Libia. Da colonia italiana a colonia globale” di Paolo Sensini
Perché la Francia è intervenuta in quel modo? Le ragioni sono il fulcro del problema. La Libia, in particolare Gheddafi, aveva un grave torto a loro avviso: Gheddafi era l'artefice principale dell'introduzione in Africa del dinaro d'oro, un tentativo cioè di un ridisegno dell'assetto monetario del continente africano. Si introduceva una moneta tangibile che metteva fine al saccheggio delle enormi materie prime africane pagate con carta straccia: gli americani col dollaro e soprattutto i Paesi dell'area del Sahel, ex colonie dell'Impero francese, che contrattavano con il franco CFA, moneta battuta da Parigi. Introdurre quindi il dinaro d'oro minacciava di eliminare il franco e il dollaro. — Quindi? — Questo ha scatenato uno tsunami, Gheddafi fu indicato come un nemico esistenziale degli asset finanziari africani. Le e-mail diffuse da Wikileaks fra Sidney Blumenthal e la Clinton hanno confermato questo fatto epocale. Seppure Gheddafi pagò la campagna elettorale a Sarkozy nel 2007, la Francia intervenne molto attivamente, la ragione del conflitto fu il desiderio di impossessarsi del petrolio e di scalzare l'Eni sostituendola con la Total. Togliere di mezzo Gheddafi, che era incontrollabile per questi Paesi, era un fatto importante. — Per quanto riguarda i possibili scenari per la Libia, credi che siano fattibili delle elezioni?
— La vedo molto difficile attualmente perché il quadro politico vede dei rappresentanti come al Serraj, che è un personaggio messo dagli stessi attori che hanno distrutto la Libia, cioè le Nazioni Unite e il Consiglio di Sicurezza. Chi ha organizzato il bombardamento della Libia sono gli stessi che oggi hanno inserito al Serraj. Dall'altro lato c'è Khalifa Haftar, un personaggio sicuramente più rappresentativo e più forte da un punto di vista militare. Neanche lui gode però di grande popolarità. È una situazione dove c'è un vuoto di potere.
Una soluzione, molto complessa, che potrebbe garantire a mio avviso il futuro della Libia, sarebbe provare a rimettere in gioco Saif al Islam, il figlio di Gheddafi, personaggio ben posizionato prima del crollo, il quale cercò un'apertura con l'Occidente. È stato imprigionato per molto tempo e liberato di recente. È una strada tutta in salita, ma l'unica che potrebbe avere, secondo me, un risultato in una situazione complessissima. — Qual è il ruolo della Russia in Libia dal punto di vista della partita diplomatica fra Haftar e Serraj?
© Sputnik.
Libia: prima e dopo Gheddafi
— Secondo il mio punto di vista la Russia ha giocato molto bene le sue carte. Ammaestrata dalla vicenda siriana, dove è intervenuta a fine settembre 2015, di fatto salvando un Paese dalla devastazione dei takfiri, sta giocando nel modo più intelligente possibile la sua partita nel Mediterraneo. Con gli accordi fra Haftar e Serraj e il tentativo di mediazione anche con l'Egitto, la Russia sta facendo un'opera molto importante cercando di tenere insieme i pezzi. Mosca ovviamente fa la propria politica nel Mediterraneo, cerca di mediare delle situazioni, che gli americani avevano esasperato fino al disastro. L'abbiamo visto con le primavere arabe, dobbiamo ringraziare la signora Hillary per questo. Proprio questi giorni Putin ha dichiarato che la Siria è stata quasi integralmente bonificata, l'ISIS è stato quasi tutto debellato salvo qualche sacca. Da una parte vediamo l'importanza dell'intervento russo, d'altro canto vediamo che, pacificatasi la situazione, Israele attraverso i bombardamenti verso la Siria continua a creare una tensione pericolosa. L'opinione dell'autore puo' non coincidere con la posizione della redazione. Preso da: http://ift.tt/2jDjXka http://ift.tt/2AXcsw1
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Fukushima, Giappone commemora 12/o anniversario catastrofe
(ANSA) – TOKYO, 11 MAR – Il Giappone commemora il dodicesimo anniversario dalla triplice catastrofe di Fukushima, verificatasi al largo della costa sul versante nord-orientale del Paese. La serie concatenata di eventi: il terremoto di magnitudo 9, lo tsunami che ne seguì, e la successiva dispersione delle radiazioni dalla centrale nucleare hanno provocato la morte di quasi 16.000 persone, e…
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Ecco perché “Sapore di sale” – ritrovato e restaurato dalla Cineteca di Bologna – è ancora un film indimenticabile (con Battiato in sottofondo)
Amorazzi rubati ai tramonti sul mare, flirt innocenti o morbosi, giochi e scherzi tra la sabbia e le onde, scaramucce e tradimenti, l’estate è quella stagione che porta qualcosa di sconvolgente, da generazioni, da quando si è bambini fino a quando si diventa tristi e sobri adulti. A un certo punto però da ponente arriva un freddo vento carico di pioggia e spazza via tutte le risate e il romanticismo di quei baci. Ogni anno si compie questo ciclo, che è come quello della natura, e noi non possiamo sottrarci. Ineluttabilmente tanti artisti si sono lasciati ispirare dallo tsunami emotivo che l’estate e la fine della bella stagione comporta sui moti d’animo.
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Pochi film sulla tematica sono stati realizzati in maniera pregevole e onesta come Sapore di mare, diretto dai fratelli Carlo e Enrico Vanzina, che compie quest’anno 36 lunghi anni. Ritrovato e restaurato dalla Cineteca di Bologna, il film è stato proiettato qualche giorno fa per la rassegna Cinema sotto le stelle nell’angolo più scenografico di Bologna, nel cuore del quadrilatero, tra il Nettuno e San Petronio. Preceduto da un video messaggio di Enrico Vanzina, che presenta qualche aneddoto del film e ricorda con affetto il fratello Carlo scomparso l’anno scorso. “Probabilmente ci guarda da qualche parte – dice – e assiste con voi alla proiezione”. È un anniversario importante, perché in più di un quarto di secolo questo piccolo capolavoro ha sedotto e accompagnato almeno due generazioni, quelli che erano i famosi paninari degli anni ’80, gli yuppies italiani con tanto di maglioncino Ralph Lauren annodato sulle spalle e Timberland ai piedi e che hanno intasato le sale di tutti i cinema nel febbraio del 1983. Successivamente, il film è approdato sui piccoli schermi conquistando gli Xennials, la generazione dei nati tra il 1977 e il 1983, e per loro è stata una felice scoperta negli anni Novanta, quando adolescenti si godevano le puntuali repliche in TV nella noiosa programmazione estiva. Ci si riuniva a tavola, magari con la famiglia, per ripetere le battute a memoria di Jerry Calà, sobrio, divertente e con una sua profondità, diversamente da altri suoi film in cui indossa gli abiti del milanese imbruttito.
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La storia è presto detta, al centro della trama c’è la famiglia borghese italiana, ognuna con le sue contraddizioni e slanci sentimentali, senza però quel furor poetis, quell’ossessione per i corpi di fotomodelle o per le analisi dei costumi italici all’acqua di rose di cui i fratelli Vanzina di tanto in tanto amano fare sfoggio, come in Sotto il vestito niente, Le finte bionde e nelle mille versioni di Vacanze di Natale. La comitiva che si riunisce tutti gli anni a Forte dei Marmi – anche se poi le riprese furono fatte a Fregene – è composta dai figli di quei borghesi in vacanza, alcuni ricchi altri dimessi. Sapore di mare nacque come un film low budget, ambientato negli anni Sessanta e i produttori dovettero spendere una bella fetta di soldi per i diritti delle canzoni che compongono il mosaico musicale del film, dai Watussi di Edoardo Vianello a Perdono di Caterina Caselli. Cercarono attori poco noti, a parte Christian De Sica e Jerry Calà, per contenere i costi ma il successo di pubblico e critica in quel lontano febbraio del 1983 fu talmente inaspettato e clamoroso che tutt’ora Sapore di mare rimane indubbiamente il film meglio riuscito della lunga carriera cinematografica dei fratelli Vanzina. È quasi un film corale, ogni personaggio è caratterizzato da pregi e difetti, descritti con sensibile accuratezza.
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Il film ambientato in un’assolata Versilia di cinquant’anni fa in realtà risulta più che attuale. In spiaggia si incontra la famiglia Pinardi, costituita da un pater familias e una moglie, interpretati da grandi attori come Gianfranco Barra e Annabella Schiavone, che hanno una vis comica partenopea tutta debitrice al teatro di De Filippo. La famiglia Pinardi ha due figli, Paolo e Marina. Il primo, imbranato e timido, rimane affascinato dall’inglesina Susan, biondina tutto pepe che arriva da Londra accanto a De Sica/Felicino Carraro, rampollo dell’imprenditore milanese Carraro e fratello del combina guai Luca/Jerry Calà. Nel cast compare al suo debutto una giovanissima Selvaggia/Isabella Ferrari affiancata da una bollente bionda Adriana/Virna Lisi, che aveva passato i quarant’anni all’epoca del lungometraggio ma che nel ruolo di femme fatale ci scivola alla perfezione. Si diverte infatti a sedurre Gianni, l’intellettuale del gruppo e fidanzato della Ferrari. In poco più di 90 minuti si raccontano tutte le insidie della bella stagione, si passano al setaccio sentimenti leggeri e frivoli, tradimenti, ossessioni, litigi e tutti gli ingredienti amplificati dal senso della vacanza, dalle escursioni in bicicletta e dalle passeggiate in pineta. L’amore vero forse lo conosceranno i fortunati, coloro che si salveranno da quell’inarrestabile ciclo della vita che vede spegnere, insieme alla calura estiva, anche la passione e le promesse di un amore che tra le onde e sotto il sole sembrava eterno. Succede così a Luca/Jerry Calà e Marina Suma, il classico amorazzo estivo che nasce ad una festa tra una risata e un “Lo sai che sei buffo? Lo sai che sei bella?” e poi, con un temporale di settembre finisce tutto, si ritorna alla routine e, come nel caso di Luca e Marina, ai rispettivi fidanzati ufficiali cornuti e felici. Il tempo però a volte sa essere ironico e fa riemergere rimpianti. Dopo 18 anni la bruna e malinconica Marina Suma rivedrà il suo Luca/Jerry Calà alla Capannina, in quello stesso locale in cui ci si dava appuntamento. Si rivedono in rassegna tutti i protagonisti, ognuno con la propria croce, quasi nessuno si ritrova accanto al compagno di quella favolosa estate degli Anni Sessanta. Luca non riconosce Marina ma poi si ravvede, le scrive un biglietto al volo prima che lei esca dalla Capannina, le viene portato da un cameriere su un vassoio e a quel punto il finale di Sapore di Mare è destinato a diventare una delle più belle scene del cinema italiano, con i primi piani sui volti della Suma e di Jerry Calà che si guardano per tutta la durata della canzone Celeste Nostalgia di Cocciante e rivivono la loro passione non più recuperabile, fantasticano malinconicamente su un ‘come sarebbe andata se..’ .
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È un film troppo leggero? È una commedia non paragonabile a quelle di Germi, Scola etc? In realtà Sapore di mare attinge a piene mani alla più classica delle commedie italiane come Poveri ma belli ed è accompagnata da prove attoriali notevoli. Chissà perché tutte le volte che guardo Sapore di mare mi viene in mente una canzone travolgente di Franco Battiato. Si chiama La quiete dopo un addio e sarebbe davvero imperdonabile non citarlo: “verrà un altro temporale, sarà di nuovo estate e scoppieranno i suoi colori per le strade, ci sentiremo crescere la voglia di viaggiare e di incontrare nuovi amori che ci faranno credere, monti sorgenti dalle acque appariranno, le baie dell’incostanza, le valli dell’incoerenza, per superare questa noia di vivere. Verrà un nuovo temporale e finirà l’estate, la quiete dei colori autunnali a riflettersi sulle strade e sugli umori come il dolce malessere dopo un addio”. Ecco cosa c’è dentro Sapore di mare, esperienze che non invecchiano con il passare del tempo. Passa invece l’estate e presto dovremo prepararci al generale inverno, niente più cinema in piazza maggiore né giochi in spiaggia. E dovremo attendere altri nove mesi prima di toglierci qualche sfizio e qualche peccatuccio veniale e carnale in riva al mare.
Virginia Longo
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