Natale era quello di prima. Erano le 6:00 o le 7:00 e tutti litigavano per fare la doccia, alle 20:00 tutti a tavola per mangiare e parlare, c'erano risate senza ipocrisia, alle 23:50 tutti correvano per riunirsi e aspettare la mezzanotte per abbracciarsi. Buon Natale. La felicità nel volto di tutti. Oggi, è guardare il cielo, intorno a te e piangere perché se n'è andata una persona. Perché la famiglia non è più completa. Perché ogni anno sarà totalmente diverso e nessun anno tornerà come quello di prima. Al giorno d'oggi tutti preferiscono il cellulare piuttosto che godersi la famiglia e farsi gli auguri di persona, anche se sono seduti nello stesso tavolo. Mi manca il vero Natale.
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Open: La villa comprata e venduta in un'ora dal compagno di Santanchè e dalla moglie di La Russa (con un milione di euro di ...
ma Forte dei Marmi non è Montecarlo
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Anonimo italiano - Anche questa è vita
Anche questa e' vita
come l'amore e' guerra,
quando ci sbatti l'anima per terra...
e noi siamo facili bersagli
di frecciate nel cuore,
tagli profondi da cicatrizzare...
anche quelle notti
di pensieri scuri e libri da studiare,
quando la noia e' la tua amica migliore,
tutto e' vita ma che vuoi nei miei sogni?
Erano altri tempi pt.13 (2)
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"[…] Molto presto Recanati, culturalmente grigia, comincia a stargli stretta e così egli sogna di poterla lasciare per conoscere luoghi più stimolanti e persone con le quali dividere i suoi interessi letterari.
Il suo fisico irrimediabilmente rovinato dalle tante ore di studio “matto e disperatissimo” contrastava orrendamente con la delicatezza del suo cuore e la sua acuta sensibilità, colpite dagli insulti che il volgo recanatese gli rivolgeva chiamandolo “saccentuzzo, filosofo [in tono dispregiativo], eremita” o, peggio, “presuntuoso gobbaccio” quando, alla pubblicazione delle sue due prime Canzoni, non se ne compresero i versi.
Le cose peggiorarono quando, a diciannove anni, iniziò ad uscire da solo. Con gli occhi già rovinati dall’affaticamento, un giorno d’inverno Giacomo, immerso nei suoi pensieri, si incamminava verso il “suo” monte Tabor. Un colpo di vento dispettoso gli fece, d’improvviso, volare via il cappello. Egli se ne accorse dopo un po’ e, rinunciando a rincorrerlo, avvolgendosi il mantello intorno alla testa per ripararsi dal freddo, se ne ritornò in paese. La gente, nel vederlo così imbacuccato, lo derise lanciandogli epiteti, mentre i monelli l’accompagnarono fino all’uscio del palazzo facendo un chiasso indecoroso. Egli fece finta di niente, ma una volta oltrepassato il portone, mormorò con la voce che tradiva l’emozione del suo cuore: “Zotici, vili, vili!”. Ed intanto pregustava, in cuor suo, il momento in cui se ne sarebbe andato lontano, via, via verso la libertà.
Così quando usciva aveva preso l’abitudine di camminare rasente le case mentre i ragazzacci gli gridavano: “Il gobbo di Monte Morello!”. Anche se Giacomo per farli stare buoni distribuiva loro qualche moneta, loro continuavano ad ingiuriarlo:
“Gobbus esto, / fammi un canestro, / fammelo cupo, / gobbo f…” "
Note: il fisico non è stato "rovinato" dallo studio, bensì da una malattia reumatica autoimmune su base genetica; non userei il termine "rovinato", perché risulta offensivo per tutti coloro che sono in condizioni simili (compresa me). Tralascerei anche l'avverbio "orrendamente" per indicare la modalità del contrasto del suddetto fisico con la "delicatezza del cuore": la scoliosi, provocata dalla malattia reumatica, certamente nulla toglie alla delicatezza, ovvero alla raffinata piacevolezza, dell'aspetto esteriore, ed è perciò un madornale errore associarla alla "bruttezza".
La leopardista, per riguardo verso il prediletto oggetto dei suoi studi, censura l'ultima parola della filastrocca.
Una signora recanatese, a questo post, si è indignata dicendo che i suoi compaesani non sono così come dipinti in questo scritto, e che, al contrario, sono sensibili alla malattia e alla disabilità e sono molto inclusivi. La leopardista la ha risposto che erano altri tempi e che, se le aggrada, può continuare a vivere nell'illusione.
Credo che anch'io, trovandomi a Recanati in quei tempi, avrei fatto parte della gente "zotica e vile" o, se fossi stata una bella e nobile donna romana, bolognese o fiorentina, non mi sarei prostrata innanzi a lui.
Adesso mi trovo in condizioni favorevoli per amarlo ad ammirarlo: sono mediamente alfabetizzata, non corro il rischio di essere fustigata dalla sua ironia e, ciò che più conta, sono in condizioni di salute (o dovrei dire di malattia) simili alle sue.
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potrò raccontare di quella volta in cui io e uno sconosciuto abbiamo fatto fare una strada assurda a tutti i passeggeri del treno in stazione perché noi camminavamo convinti e quindi tutti ci hanno seguito e quella strada non la sapevamo neanche noi e ad un certo punto ci siamo guardati e abbiamo riso e abbiamo iniziato a parlare finché non ci siamo separati ognuno per la propria strada
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Che ne sai di un bambino che rubava
E soltanto nel buio giocava
E del sole che trafigge i solai, che ne sai
E di un mondo tutto chiuso in una via
E di un cinema di periferia
Che ne sai della nostra ferrovia, che ne sai
Conosci me, la mia lealtà
Tu sai che oggi morirei per onestà
Conosci me, il nome mio
Tu sola sai se è vero o no che credo in Dio
Che ne sai tu di un campo di grano
Poesia di un amore profano
La paura d'esser preso per mano, che ne sai
Erano altri tempi pt.10
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