Tumgik
#pensiamo alle ferie
ross-nekochan · 1 month
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Mi è arrivato lo stipendio della nuova azienda e ho scoperto una cosa favolosa: nonostante il lordo fosse più alto del lavoro precedente, tra le tasse e il fatto che ora l'affitto è tutto a carico mio...
✨️ ci sono andata a perdere ✨️
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corallorosso · 3 years
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Senza medici Dall’inizio di agosto, quando andrà in pensione l’ultimo medico di famiglia rimasto in paese, i mille abitanti di Monte Santa Maria Tiberina, un comune in provincia di Perugia, dovranno fare una ventina di chilometri per raggiungere un ambulatorio a Città di Castello. Lì potranno farsi visitare da altri medici che si divideranno i pazienti rimasti senza assistenza. Molti sono anziani, malati cronici che riescono a uscire da casa solo con grande difficoltà. I due medici che erano rimasti in paese avrebbero potuto lavorare per altri due anni, ma hanno deciso di lasciare la professione appena hanno raggiunto i requisiti per la pensione. Monte Santa Maria Tiberina è uno delle centinaia di paesi che nei prossimi anni rimarranno senza un medico, una situazione che entro il 2030 rischia di coinvolgere 15 milioni di persone, secondo le stime della FIMMG, il principale sindacato dei medici di medicina generale. (...) Secondo l’ultimo annuario statistico del ministero della Salute relativo ai dati del 2019, in Italia i medici di famiglia sono 42.428 e i pediatri 7.408. La maggior parte – il 78 per cento – ha un’anzianità di laurea di oltre 27 anni: significa che molti di questi medici andranno in pensione in pochi anni, se non nei prossimi mesi. Non è un problema nuovo. Ne parla da almeno un decennio la FIMMG, la federazione italiana dei medici di medicina generale, che ogni anno rivede le sue stime: secondo gli ultimi dati, entro il 2030 lasceranno sicuramente la professione 35.047 medici che raggiungeranno i 70 anni. Solo nel 2020 ne sono andati in pensione 3.266. Le regioni più in difficoltà saranno la Lombardia, dove solo nel 2022 andranno in pensione 448 medici, la Campania con 425 medici, il Lazio con 334. In rapporto alla popolazione, non sono meno preoccupanti le possibili mancanze previste dalla FIMMG in altre regioni più piccole come le Marche, con 137 medici verso la pensione, 87 in Liguria, 116 in Abruzzo e 81 in Friuli Venezia Giulia. (...) «Alla fine non rimarrà che chiedere all’esercito di darci una mano per sopperire alle carenze sul territorio», dice Filippo Anelli, presidente della FNOMCeO, la Federazione nazionale degli Ordini dei Medici chirurghi e Odontoiatri. «È stato un anno difficile: tra i medici ci sono stati casi di burn-out (la sindrome da stress lavorativo, ndr) ed è stato proibitivo svolgere il proprio lavoro durante l’epidemia. Ci sono oggi ampie aree senza medici di famiglia, non solo in zone impervie o rurali, ma anche nel centro delle città: il 118 è senza personale, i medici di continuità assistenziale sono sempre meno, l’assistenza turistica è ormai compromessa». Se i medici prossimi alla pensione sono sempre di più, dipende inevitabilmente anche dall’accesso limitato alla professione. Prima del 1995 chiunque riusciva a laurearsi in Medicina e Chirurgia poteva diventare medico di base. I laureati dopo il 1995 invece hanno dovuto iniziare a seguire corsi di formazione specifica in Medicina generale per poter fare i medici di famiglia. Questi corsi sono organizzati dalle Regioni e durano tre anni con una parte di lezioni e un’altra, più consistente, di servizio nei reparti ospedalieri, in poliambulatori delle aziende sanitarie o nello studio di un medico di famiglia. Per frequentare il corso, i laureati abilitati alla professione ricevono una borsa di studio di 800 euro al mese e per poter accedere è necessario superare un esame che si tiene una volta l’anno. Il concorso, a numero chiuso, è bandito dal ministero della Salute e organizzato dalle Regioni. Tra il 2014 e il 2017 la media annuale di borse finanziate per la medicina generale è stata di poco superiore a mille. (...) Secondo ​​Maurizio Scassola, segretario generale della FIMMG del Veneto, seguire un così alto numero di pazienti può avere ricadute negative sull’assistenza. Scassola sostiene che è una soluzione semplicistica, non promettente, che mostra una mancanza di idee e che non risolverà il problema nei prossimi anni. «Cosa pensiamo di fare dando trecento pazienti in più a un medico? Lo soffochiamo e basta. Servirebbe invece più programmazione da parte delle Regioni, e sostegni per cercare di far evolvere questa professione attraverso l’aggregazione di più medici, eliminando la burocrazia che spesso ci trasforma in impiegati». In Veneto, come in tante altre Regioni, ci sono anche problemi più immediati. Così come era successo lo scorso anno, dopo la prima ondata dell’epidemia, anche quest’estate molti medici non potranno andare in ferie perché non sono riusciti a trovare un sostituto. La mancanza di professionisti si nota anche dagli esiti dei bandi presentati dalle aziende sanitarie per trovare guardie mediche turistiche: molti sono andati deserti. (...) In molte zone, soprattutto in montagna, saranno impiegati infermieri, con possibilità di assistenza limitate rispetto a un medico. (...) «A quel punto il paziente fa prima a pagarsi una medicazione privata. Noi siamo per consentire ai medici di fare i medici. Farli stare più vicini al letto del malato. Vanno a casa del paziente, valutano come intervenire, e l’infermiere può iniziare subito a medicare, senza le procedure burocratiche che caratterizzano i distretti sociosanitari». (...) Isaia Invernizzi
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nickcents · 5 years
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Dubai breaK
Sei una bimba inglese tu. Lo dice il passaporto. Sei nata a Londra e registrata a Camden. E come tutte le bimbe inglesi sei cresciuta qui, tra questo clima nordeuropeo. L’estate torrida non e’ mai esistita, finora, salvo qualche sporadica giornata afosa figlia del “climate change”. Stai vivendo la tua infanzia con le gambe scoperte, quando a stento raggiungiamo i 15 gradi, la pioggia non ti ha impedito di uscire di casa a giocare ed una precoce oscurita’ invernale non ti e’ mai sembrata, poi, cosi desueta.
Non sei come noi italiani, che da piccoli ci facevamo le ferie al mare e che se avevamo la fortuna di nascere al centro sud, ci godevamo primavere ed estati spesso bollenti, con il mare, in molti casi, a portata di macchina.
Allora abbiamo deciso di prendercelo qualche spazio di caldo torrido, anche fuori stagione, spezzandoci e spezzandoti il buio e il freddo con una settimana a Dubai/Abu Dhabi.
In realta’ le nostre radici mediterranee e la nostra passione per lande piu’ inesplorate non ci aveva mai fatto considerare Dubai come una reale alternativa per le vacanze al mare, al caldo. Italia, Spagna, Grecia o al massimo Caraibi (come gia’ successo con Saint Lucia) quelle per noi sono sempre state le alternative, quello e’ sempre stato il nostro mare. Poi pero’ alla fine, tra il periodo (Inverno europeo), le distanze (volare con te a questa eta’ non e’ esattamente il piu’ riposante dei passatempi), la possibilita’ di rivedere qualche amico lontano (il buon Valerio con la sua famiglia trasferitisi ad Abu da ormai un po’ di tempo) e i costi contenuti di questi pacchetti magici che allettano i brits, abbiamo deciso di provare e farti provare questi emirati. Aspettative basse, un moderato disprezzo per questo esibizionismo arabo (oh io c’ho il palazzo piu’ alto del mondo ed automobili che rombano e consumano come una centrale nucleare, oh io ho fatto una citta’ nel deserto...e gia’ che c’ero ti ci ho anche fatto una pista da sci), ma la voglia di scongelarci un po’, di riassaggiare il caldo sulla pelle e nelle ossa e un accumulato bisogno di riposare ed eccoci qui.
DUBAI
E’ il tuo primo volo lungo. O per meglio dire, il tuo primo volo lungo di cui sei forse  cosciente, nel quale hai il tuo posto, con il tuo schermo e il tuo pranzetto servito sul tuo vassoio. La bimba volante, che, a meno di 4 anni, ha gia’ toccato 3 contenti, ma questo e’ il primo viaggio del quale , forse, ti sei resa conto. Abbiamo scelto di chiuderci in un piccolo resort, fuori dal caos e dalla palma, chiamato JA Jebel Ali, sulla via in direzione di Abu Dhabi, il quale, appena arrivati, ci si mostra come completamente isolato da tutto e tutti, in una zona semi deserta, costeggiata dalla Free Zone e da una pista di Kart mai finita o forse abbandonata. Eppure dentro, superato il solito cancello di sbarramento si apre un paradiso per golfisti, un tripudio di piscine e pavoni che girano tranquilli. L’arrivo, vale la pena di raccontarlo, ci contraddistingue come sempre. Dopo un volo di 7 ore, vestiti di tute comode da volo e giacche a vento da inverno londinese, sporchi ed assonnati, realizziamo che purtroppo saremo orfani della nostra camera per buona parte della giornata “ come avra’ letto sulla prenotazione...”. Senza un cambio a portata di mano, ci accasciamo in una delle svariate piscine vista mare e piloni (perche’ si, scordatevi il mare e l’orizzonte, anche qui si intravede gia’ la base di una nuova palma che tra qualche anno sara’ probabilmente un coacervo di alberghi extralusso). Tra le famiglie ormai esperte del resort, sotto gli sguardi di chi villeggia da giorni e conosce accessi, ritmi e trucchi del posto, cominciamo a farti assaggiare l’acqua e a farti avvolgere dal clima del Golfo Persico. Ovviamente cominci ad inzupparti e a divertirti e, come di consueto, a denudarti, fino a restare in mutande, che rapidamente si bagnano rivelandosi agli occhi delle famiglie esperte per quel che non sono: un costume.
Impossibile fermarti, dopo 7 ore di cartoni su uno schermetto e un viaggio in taxi concluso con una bella vomitata, perche’ fermarti di fronte al clou della vacanza: l’acqua.
Stanchi e rallentati dal sonno decidiamo di spogliarti, senza pensare che forse gli emirati arabi, non sono il posto ideale per girare svestiti e difatti veniamo ovviamente subito richiamati all’ordine da uno dei bagnini. Spiegarti, poi, che devi uscire dall’acqua e non puoi fare il bagno perche’ insomma siamo in un paese mussulmano non e’ semplice, pero’ ci permette di fare il nostro primo incontro giusto a pochi minuti dal nostro arrivo.
Una ragazza italiana, anche lei con una bimba e con mamma e sorella al seguito, che in un impeto di compassione, osservando questi due italiani, assonnati, vestiti per l’inverno europeo, con una bimba nuda in piscina , decide di rifornirci di un costume. Lei sta per terminare le sue vacanze, partira’ l’indomani, e ci racconta un po’ della sua vita e di cosa si possa fare in quello sterminato resort. Vive ad Amsterdam e Io, come al solito, quando sento queste storie, mi immedesimo e penso, sempre, costantemente, come sarebbe stata la mia vita li’.
Il resort cominciamo a conoscerlo nei giorni successivi, e’ stupendo, la nostra camera, con vista mare e piloni, e’ grande abbastanza e confortevole quanto basta e il primo sonno, 12 ore, record mondiale ancora imbattuto di dormita genitoriale, ci rimarra’ impresso per tutta la vacanza.
La vacanza e’ caratterizzata da un altro incontro, quello con Bianca, il suo compagno e il loro bimbo Tommaso.
Non tanto, o non solo, per averci accompagnato nelle oziose giornate in piscina, ma soprattutto per averci detto le piu’ belle parole che si possano ascoltare in un resort: “...sai, noi abbiamo All Inclusive...per i drink ci pensiamo noi”
Abbiamo scoperto qualche amico in comune, passato giornate a chiacchierare, festeggiato il compleanno di lui (ancora oggi fatico a ricordare il suo nome e dopo 14 minuti di spiegazioni ancora non ho la piu’ pallida idea di che lavoro faccia, ne’ quale sia una delle sue passioni), girato il Ferrari World in una giornata di pioggia e ti abbiamo visto giocare con Tommaso e immergerti senza sosta nelle acque della piscina
La vacanza, poi, e’ stata anche l’occasione per rivedere qualche vecchio amico. Abbiamo visto Valerio, Maria Elena e i figli, Matteo e Diego, in tre occasioni, una bella pizza (ancora ho acidita’ a pensarci) nel nostro resort, durante la quale ti sei persa a giocare con Diego ed a seguirlo ovunque, una giornata intera tra la spiaggia di Saadiyat, una gita stupenda nel deserto (il nostro primo deserto) ed una cena in una specie di pub accompagnati dal rombo dei motori delle macchine che sfrecciavano sul circuito di ABU e, infine, un aperitivo all’ombra del Burj Khalifa. 
Abbiamo incontrato Mustafa, mio ex collega, e cenato in uno splendido ristorante greco vista mare (e piloni) in una quasi atmosfera estiva, tra arredamenti bianchi, reti da pesca, sabbia tra i piedi, pesce alla griglia e profumi estivi. Abbiamo cenato con Giacomo, un amico di mamma, che fa il restaurant manager in uno splendido albergo sulla palma e ci siamo fatti coccolare dai suoi racconti e dai suoi bicchieri di vino (blu per finire la serata).
Forse, quando sarai piu’ grande non ricorderai troppo, anche se le foto e i miei scritti forse serviranno proprio a quello, o forse l’unico ricordo saranno gli scivoli d’acqua del nostro ultimo giorno al parco acquatico della LEGO.
A me sicuramente rimarra’ impressa la mattinata passata alla free zone nell’attesa di prendere la macchina in affitto, una situazione surreale, con l’ufficio della compagnia di noleggio situato all’interno di questa zona commerciale per la quale serve un pass per accedere e nella quale nessun tassista puo’ entrare e io recluso fuori a cercare di fare in modo di entrare, tra telefonate in un inglese incomprensibile e 600 gradi all’ombra.
Ma anche la gioia di aver cambato il ritmo di vita per una settimana, la gioia della colazione all’aperto vista mare (e piloni), quel senso di protezione che ti danno questa tipologia di vacanza e che forse ci mancano nella nostra vita da espatriati, la gioia di aver rivisto delle persone che hanno avuto un grande significato per la mia vita adulta, quella universitaria e post universitaria e che in qualche modo hanno sempre rappresentato un piccolo modello di quello che per me deve essere una famiglia, la gioia di vederti sperimentare nuovi climi, nuovi odori, nuovi sapori e sopratutto la gioia di aggiungere un altro tassello al nostro viaggio insieme
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“I don't need to know why 'Cause I know what love means I don't need forgivin'“
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oggi ho scoperto che Islington e’ nominato diverse volte nella guida galattica per gli autostoppisti ed ho imparato che nella seconda guerra mondiale la Russia combatteva anche col Giappone una guerra distaccata
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ufficiosinistri · 5 years
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Ci meritiamo questo brodo
Chiellini arrivò l’anno prima di Germania 2006, e si ritrovò titolare alla Juventus con un Fabio Cannavaro volato al Real Madrid dopo essere diventato Campione del Mondo. Rimase a Torino, quindi, e si ritrovò le redini della difesa in mano di colpo. Dalla serie B. Noi invece andiamo al mare, noncuranti dell’assenza di partite di pallone, scendiamo in spiaggia sul tardi, perché fa caldo ed è il primo sole che prendiamo, quello di luglio. Il suo gol contro la Spagna, ferendo una difesa troppo azzimata, che credeva di avere ancora il vantaggio sull'Italia accumulato negli ultimi otto anni, come la sua maglia strappata dopo il morso di Suárez, hanno contribuito, come un salvagente, a guarirci dalle ansie che i mesi estivi come luglio ci vogliono aizzare contro. Ci ritroviamo, nel suo andamento dirozzato tra i divi schierati in attacco dagli avversari. Ci ritroviamo in quanto sappiamo di essere carenti, comunque vadano le cose nella nostra vita, sotto certi aspetti, e in quanto esistano persone che hanno il compito di farcelo notare: sappiamo di essere fallaci e persino di poter risultare odiosi. Ammettiamolo, più a livello attitudinale che stilistico, le sue giocate non sempre possono essere considerate rivelatrici. L'autorità che Giorgio Chiellini esercita è la nemesi della visione del calcio libertaria che tutti noi vorremmo vivere giocando e seguendo questo sport. Noi, nel frattempo, non abbiamo fretta di cenare, “non ci corre dietro nessuno”, non c’è nemmeno la partita. Scendiamo invogliati dal goderci questo ultimo giorno pieno di libertà, pronti ad essere azzannati dal lunedì estivo, un lunedì estivo che ci porterà un’altra volta al lavoro. Arriviamo in riva al mare, la spiaggia è ancora affollata, non troviamo posto, ci lamentiamo con chi è con noi oppure tra noi stessi, ma aspettiamo che le cose migliorino. Che qualcuno si sposti, vada via. Rivolgiamo lo sguardo verso il mare, quasi non lo vediamo perché le persone affollano la battigia, i bambini ci giocano lanciandosi il pallone, loro domani non devono andare a lavorare, non devono tornare recuperando le vie accaldate e le autostrade. Le cose non migliorano, non accennano nemmeno a farlo. E allora non facciamo il bagno, perché siamo stanchi dal sonno sudato del mare e l’acqua è troppo sporca. Ci meritiamo questo brodo, ci siamo andati noi. L’Italia fisica, così fisicamente decadente e votata a procrastinare, l’abbiamo creata noi. Ma non demordiamo, pensiamo ad una soluzione. Così ci precipitiamo in spiaggia la mattina dopo, presto, e speriamo la situazione sia migliorata. Va meglio, ma aspettiamo sempre al varco una causa che ci rovinerà questi pochi attimi di distacco. La sabbia sull’asciugamano, i soldi dimenticati a casa, i mozziconi di sigarette, gli sputi in acqua, le docce fetide. Ci comportiamo in questo modo, però, unicamente per arrivare incolumi ad agosto, quando andremo in vacanza in modo duraturo e definitivo, abbiamo organizzato luglio cercando di trovare dei weekend liberi lontani. Passo dopo passo, il mese delle ferie arriverà. Nel frattempo, attuiamo taumaturgici spostamenti. In settimana, poi, penseremo ai luoghi che abbiamo visitato durante i due giorni di libertà, a come siano mentre noi siamo in macchina, al casello, alla scrivania, mentre stiamo girando le chiavi nella toppa del portone di casa, mentre cerchiamo posto sul treno che ci porta in città. Penseremo alle balconate e ai muri bianchi ricoperti dal sole mentre noi siamo alle prese con la coda per un panino. Cercheremo di mangiare ogni giorno qualcosa di diverso in pausa pranzo, per provare a far passare il tempo più velocemente distraendo così il nostro cervello.
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Mes Bottes, personaggio de “L’Assommoir” di Zola, può trovare un suo romantico corrispondente in Giorgio Chiellini. Si erige tra le risse, si fa riconoscere sin dal primo minuto, la sua imponenza non è immediatamente fisica ma si insinua, libertina, tra le usanze del popolo. Occupa intere pagine, nella prima parte del romanzo del verista francese, le occupa a suon di schiamazzi e consigli. Il protagonista viene messo in disparte dalla sua imponente importanza storica. Rimpiangeremo, le nostre tattiche per arrivare incolumi ad agosto, come rimpiangeremo una zuffa o un ricevimento senza Mes Bottes o una partita senza Giorgio Chiellini. Rimpiangeremo il sole di luglio quando, in agosto, già verso sera, la luce arancione dell’autunno inizierà a tagliarci la strada. Avremo rimpianti non tanto per l’attaccamento alla squadra in cui giochiamo ogni giorno, ma per una paura di rischiare che non abbiamo mai saputo sconfiggere. Il modo con cui Chiellini ha affrontato la sua carriera, forse, dovrebbe farci riflettere sulle nostre insofferenze. Non tutti possiamo comportarci come Mes Bottes nell’abbeveratoio di Rue de la Goutte d’Or, non saremmo capaci di districarci come lui tra una rissa e una discussione: viviamo infatti attimi durante i quali, spinti da un’improvvisa idiosincrasia verso chi e cosa ci circonda, ci sentiamo al centro dell’attenzione cosmica. Quando invece, non è altro che brodaglia.
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Dialogo tra me e un Cliente pieno di ego come un panettone di uvetta
Cliente: “Abbiamo deciso di chiudere due settimane ad agosto, pensiamo sia un’ottima strategia”
Io” Nessuno chiude ad agosto”. Pausa “Ma scusate in quanti siete?”
Cliente “ In 32”
Io “ e su 32 persone non ne trovate 2 che rimangano per rispondere ai fornitori, alle email urgenti, e sistemare le scartoffie”
Cliente” No, è stato più semplice per organizzare le ferie”
Io” Vorrete dire, siete stati così poco inclini a considerare i vostri dipendenti che invece di chiedere se qualcuno voleva fare le ferie in un altro mese, avete preso la decisione per tutti”
Cliente “ Ma è più comodo”
Io “ Per voi”
Silenzio
Io” Considerando che poi i vostri competitor non lo fanno e che restando aperti con due persone possono chiudere uno o due clienti in più, rispondere alle emergenze, dare un servizio migliore, non mi sorprende che fatturino di più”
Cliente “ Ma è stata una nostra decisione!” , detto come per dire che una sua decisione sia qualcosa di significativo
Io” Se basta avere un pò di buon senso per fare meglio di voi non mi sorprende che siate messi come siete. Saluti”
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mediaviasetait · 5 years
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Venchi: «I nostri negozi in Cina di nuovo pieni. L’Italia? Riparta prima della fine del contagio»
24/03/2020
«Lo vede il nostro negozio di Shanghai? Ora c’è la coda, finalmente». L’ex McKinsey Daniele Ferrero, primo azionista e amministratore delegato della Venchi, cioccolato d’alta qualità e gelato made in Italy, indica la foto e tira un sospiro di sollievo. Sta ripartendo dalla Cina e propone quel modello per superare la crisi economica da coronavirus. Significa pianificare il riavvio dell’economia già da ora e non andare troppo in là, ma cominciare gradualmente a riaprire gli esercizi commerciali, «quando la curva del contagio comincerà a scendere». Non dopo, a pericolo scampato. Perché «se sbagliamo i tempi è un problema, qualcuno potrebbe non riaprire». In Cina «hanno riavviato le attività dopo tre-sei settimane dal blocco — dice l’imprenditore —. Bisogna prevedere anche in Italia già ora la Fase 2, quella economica. Chi lo sta facendo?». Per Ferrero (l’«altro Ferrero», nessuna parentela con la famiglia di Alba) l’ideale sarebbe riaprire le attività del Paese «prima di Pasqua». Gradualmente, però, «per zona geografica, come in Cina». L’importante è «non ragionare a mesi, ma a giorni. Concentriamoci ora sulla riapertura dell’Italia, che sia cauta sul piano sanitario ma che ci sia, a breve». Numeri e clienti Venchi è stata fondata nel 1878 a Torino, conta 120 negozi in 70 Paesi e mille dipendenti. Ha raggiunto l’anno scorso, dichiara, l’obiettivo dei 1oo milioni di fatturato 2019 (+9% dal 2018) con un margine operativo lordo del 22%. In Italia, che copre il 65% del suo giro d’affari, patisce per la chiusura di bar, negozi, hotel, ristoranti. I suoi clienti sono fermi e i suoi punti vendita-bandiera, come quelli negli aeroporti e nelle grandi stazioni, sono chiusi. Ma Venchi sta accelerando ora in Cina, dove lavora dal 2012 e si era arrestata per il coronavirus. «Inaugureremo un negozio a Wuhan entro l’anno, come previsto: magari non a giugno ma a dicembre — dice Ferrero —. La Cina ormai è il nostro secondo mercato con il 18% dei ricavi. Nelle ultime due settimane abbiamo chiuso contratti per aprire nuovi punti vendita a Hong Kong, Shanghai, Shenzen. Arriveremo a oltre 36 negozi a fine anno in Cina, ora sono 30, erano 24 a inizio 2019».
Mascherine e app Un suggerimento per la ripartenza è «fare indossare comunque a tutti, cittadini e commessi, le mascherine: fondamentale, anche per non toccarsi naso e bocca». L’altro è «essere tecnologici». Per esempio, con un’app come quella diffusa dal governo cinese con AliBaba, per il cellulare, che dica ai cittadini che fare in caso d’emergenza e al governo se e dove si stanno generando focolai: «Ha consentito alle persone di uscire di nuovo con crescente fiducia, lo stesso è successo in Corea». È il tema della tracciabilità dei cittadini, attuale ora e di semplice soluzione forse in Cina, meno nelle democrazie. I turni in fabbrica La fabbrica italiana di Venchi, a Castelletto Stura (Cuneo), sta lavorando con il 30% dei dipendenti, dice l’imprenditore: «Abbiamo messo i lavoratori in ferie a turno e gli addetti alle vendite nei negozi ora sono in cassa integrazione». Ma la produzione continua, «non abbiamo licenziato nessuno», e ora è il momento delle uova di Pasqua, perlopiù ferme nei magazzini perché la catena retail non le sta assorbendo. Perciò la previsione di toccare i 115 milioni di ricavi quest’anno andrà di certo rivista, ma «i cinque milioni d’investimento destinati alle nuove aperture nel 2020 sono confermati», dice Ferrero: «I nostri colleghi in Cina hanno firmato i contratti anche durante la crisi più nera del Covid-19». Ora nel Paese presieduto da Xi Jinping, dove il blocco totale delle attività è stato il 23 gennaio, «sta andando ogni giorno un po’ meglio». Dice Ferrero: «Noi abbiamo riaperto tutto fra il 10 e il 17 febbraio, dopo due settimane di crisi dura. Pechino è stata un po’ più lenta, 14 marzo». La progressione è evidente: «Due settimane fa siamo passati al -30% del fatturato previsto in Cina, ma la settimana precedente eravamo al -50% e quella prima al -75%. Allo scoppio del virus avevamo perso il 100%». Le fintech Ferrero sta però seguendo anche un’altra strada, tecnologica, per oliare la catena industriale: accordarsi con operatori alternativi alle banche per fare arrivare il più in fretta possibile i soldi destinati alle partite Iva — i suoi clienti — dal decreto Cura Italia. «Studiamo nuovi accordi con le fintech per dare accesso veloce alle risorse — dice Ferrero —. Noi siamo un’azienda grandicella e per fortuna stiamo in piedi con le nostre gambe, vediamo poi che la Cina è solida. Ai fornitori pensiamo noi. La mia preoccupazione sono i nostri clienti, tutte partite Iva. In Italia abbiamo 45 negozi, ma anche 6 mila clienti fra i piccoli commercianti: enoteche, ristoranti di lusso, bar. Tutti chiusi. Sto cercando di usare gli strumenti del decreto per fare arrivare loro liquidità rapidamente usando le garanzie statali messe a disposizione. Perché il problema sono le microimprese, fra i 100 mila euro e il milione di ricavi, dagli artigiani alla piccola pensione. Milioni di posti di lavoro». I progetti a Bologna Funzionerà? Venchi parte da una base di autosufficienza finanziaria, e difatti finora non ha mai voluto soci né quotarsi in Borsa («Restiamo di quell’idea»). Ma pesa anche la determinazione. E per capire il grado d’ottimismo di quest’imprenditore che ha dichiarato battaglia a Godiva, il re del cioccolato: «Confermo che apriremo a Bologna tra giugno e luglio», dice. E ancora: «Il 5 marzo abbiamo inaugurato il secondo negozio in Giappone, a giugno faremo lo stesso a Giakarta. Abbiamo firmato per due nuovi punti vendita a New York. La Venchi non si ferma». Oltre le uova di cioccolato E se le uova di cioccolato sono bloccate, ora l’azienda sta producendo il gelato per l’estate e il cioccolato extra fondente che non invecchia. «L’essenziale è pensare in modo innovativo, perché questa crisi cambierà il modo di fare impresa, probabilmente per sempre».
Fonte: corriere.it
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freedomtripitaly · 5 years
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Secondo una ricerca condotta dalla Scuola internazionale di etica e sicurezza, ben otto italiani su dieci non prendono precauzioni prima di mettersi in viaggio per viaggiare sicuri. Una denuncia che risulta da un sondaggio condotto in collaborazione con gli operatori della security dei tour operator. Solo due italiani su dieci, infatti, lasciano traccia del viaggio che intendono fare, impostano i propri smartphone con i numeri di emergenza e con il contatto della rappresentanza diplomatica della destinazione che intendono raggiungere o prevedono sistemi di comunicazione alternativi (come i social network, per esempio) nel caso venisse meno l’accesso alle linee telefoniche. Da molti anni, gli enti istituzionali come il ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale e l’Unità di crisi della Farnesina diffondono materiale informativo e dispensano codici comportamentali da utilizzare durante quelle situazioni di emergenza che possono verificarsi durante i viaggi. Purtroppo, però, l’attenzione mediatica e l’interesse delle persone tendono a concentrarsi a ridosso di un evento particolare, come una catastrofe, un terremoto, un’alluvione o un episodio terroristico. Anche chi viaggia per lavoro e le aziende che mandano i propri dipendenti all’estero sono spesso poco attenti alla sicurezza. Pare, infatti, che solo una percentuale molto bassa delle 30mila aziende italiane che lavorano all’estero conosca e applichi la normativa sulla sicurezza dei dipendenti all’estero. “Quando organizziamo un viaggio, in modo ormai automatico ci informiamo sui vaccini obbligatori, mettiamo in valigia indumenti adatti e ci riforniamo di medicine, per essere pronti a superare piccole difficoltà, ma pensiamo molto poco ai rischi collegati ai fenomeni ambientali, terroristici o legati alla delinquenza locale”, spiega la professoressa Paola Guerra, fondatrice e direttrice della Scuola internazionale di etica e sicurezza. “Non porre attenzione a questi fatti è probabilmente una difesa psicologica: non dipende dal fatto che non conosciamo i rischi effettivi, ma dal ritenere che quei rischi non ci toccheranno mai direttamente. Si mette in conto un attacco di gastroenterite ma non di essere uno degli ospiti del Bataclan”. In quei frangenti, la reazione spontanea di tutti è quella di annullare i viaggi già programmati o di posticipare eventuali trasferte. Ma, una volta scemato il timore del momento, ci si dimentica nuovamente di organizzare viaggi in totale sicurezza. “Stiamo lavorando a un progetto destinato anche alle agenzie di viaggio”, ha raccontato Paola Guerra “grazie a materiale informativo studiato ad hoc e brevi leaflet, spiegheremo quanto sia importante avere sempre in borsa una torcia elettrica (non quella dello smartphone) un fischietto o perché ripararsi sotto il vano di una porta in caso di terremoto possa salvarci la vita o ancora quanto possa aiutarci verificare le condizioni meteo prima di organizzare gite o intraprendere spostamenti importanti. I consigli utili sono moltissimi: come proteggersi dai fulmini o, in caso di spazio aperto, quale posizione assumere per limitare eventuali danni, come sfruttare le fasce laterali della montagna nel dubbio di valanghe o smottamenti terrosi”. Ecco allora che è stato stilato un preziosissimo vademecum del viaggiatore, una breve guida a disposizione di tutti coloro che prevedono di fare un viaggio, nelle zone a rischio e non, durante le vacanze lunghe, come le festività natalizie o le ferie estive, ma da tenere presente per qualunque tipo di viaggio: 1) Iscriversi ai portali “Viaggiare Sicuri” e “Dove Siamo nel Mondo” 2) Raccogliere informazioni sul Paese di destinazione (cultura, informazioni sanitarie, ambiente e rischi sociali) 3) Portare con sé documenti e fotocopie, meglio se autenticate 4) Memorizzare sul telefono i numeri utili e di emergenza (hotel, ospedali, ambasciate) 5) Comunicare con parenti e amici e lasciare traccia del proprio viaggio con regolarità (se si interrompessero le comunicazioni qualcuno deve sapere dove eravamo appena prima) 6) Portare con sé contanti con moneta locale 7) Portare con sé un secondo cellulare e adattatori universali per i propri device, power bank e ricordarsi di controllare quali prese di corrente si trovano nel Paese che si visita 8) Verificare le licenze e le autorizzazioni dei mezzi di trasporto utilizzati. Ci sono poi alcuni accorgimenti in più che le viaggiatrici donne devono considerare rispetto agli uomini. Come per esempio: 1) Evitare il contatto visivo con gli estranei in strada e sui mezzi pubblici 2) Fare attenzione alle bevande incustodite nei locali pubblici 3) Se possibile, spostarsi insieme a una persona conosciuta o fidata 4) Evitare tragitti in zone isolate, deserte o degradate 5) Non lasciare mai incustodita la chiave della stanza d’hotel 6) Diffidare degli estranei che si avvicinano per chiedere informazioni 7) Nascondere il portadocumenti e il denaro sotto i vestiti. @123rf https://ift.tt/2Zm0SU6 Viaggiare sicuri: la guida definitiva per i viaggiatori Secondo una ricerca condotta dalla Scuola internazionale di etica e sicurezza, ben otto italiani su dieci non prendono precauzioni prima di mettersi in viaggio per viaggiare sicuri. Una denuncia che risulta da un sondaggio condotto in collaborazione con gli operatori della security dei tour operator. Solo due italiani su dieci, infatti, lasciano traccia del viaggio che intendono fare, impostano i propri smartphone con i numeri di emergenza e con il contatto della rappresentanza diplomatica della destinazione che intendono raggiungere o prevedono sistemi di comunicazione alternativi (come i social network, per esempio) nel caso venisse meno l’accesso alle linee telefoniche. Da molti anni, gli enti istituzionali come il ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale e l’Unità di crisi della Farnesina diffondono materiale informativo e dispensano codici comportamentali da utilizzare durante quelle situazioni di emergenza che possono verificarsi durante i viaggi. Purtroppo, però, l’attenzione mediatica e l’interesse delle persone tendono a concentrarsi a ridosso di un evento particolare, come una catastrofe, un terremoto, un’alluvione o un episodio terroristico. Anche chi viaggia per lavoro e le aziende che mandano i propri dipendenti all’estero sono spesso poco attenti alla sicurezza. Pare, infatti, che solo una percentuale molto bassa delle 30mila aziende italiane che lavorano all’estero conosca e applichi la normativa sulla sicurezza dei dipendenti all’estero. “Quando organizziamo un viaggio, in modo ormai automatico ci informiamo sui vaccini obbligatori, mettiamo in valigia indumenti adatti e ci riforniamo di medicine, per essere pronti a superare piccole difficoltà, ma pensiamo molto poco ai rischi collegati ai fenomeni ambientali, terroristici o legati alla delinquenza locale”, spiega la professoressa Paola Guerra, fondatrice e direttrice della Scuola internazionale di etica e sicurezza. “Non porre attenzione a questi fatti è probabilmente una difesa psicologica: non dipende dal fatto che non conosciamo i rischi effettivi, ma dal ritenere che quei rischi non ci toccheranno mai direttamente. Si mette in conto un attacco di gastroenterite ma non di essere uno degli ospiti del Bataclan”. In quei frangenti, la reazione spontanea di tutti è quella di annullare i viaggi già programmati o di posticipare eventuali trasferte. Ma, una volta scemato il timore del momento, ci si dimentica nuovamente di organizzare viaggi in totale sicurezza. “Stiamo lavorando a un progetto destinato anche alle agenzie di viaggio”, ha raccontato Paola Guerra “grazie a materiale informativo studiato ad hoc e brevi leaflet, spiegheremo quanto sia importante avere sempre in borsa una torcia elettrica (non quella dello smartphone) un fischietto o perché ripararsi sotto il vano di una porta in caso di terremoto possa salvarci la vita o ancora quanto possa aiutarci verificare le condizioni meteo prima di organizzare gite o intraprendere spostamenti importanti. I consigli utili sono moltissimi: come proteggersi dai fulmini o, in caso di spazio aperto, quale posizione assumere per limitare eventuali danni, come sfruttare le fasce laterali della montagna nel dubbio di valanghe o smottamenti terrosi”. Ecco allora che è stato stilato un preziosissimo vademecum del viaggiatore, una breve guida a disposizione di tutti coloro che prevedono di fare un viaggio, nelle zone a rischio e non, durante le vacanze lunghe, come le festività natalizie o le ferie estive, ma da tenere presente per qualunque tipo di viaggio: 1) Iscriversi ai portali “Viaggiare Sicuri” e “Dove Siamo nel Mondo” 2) Raccogliere informazioni sul Paese di destinazione (cultura, informazioni sanitarie, ambiente e rischi sociali) 3) Portare con sé documenti e fotocopie, meglio se autenticate 4) Memorizzare sul telefono i numeri utili e di emergenza (hotel, ospedali, ambasciate) 5) Comunicare con parenti e amici e lasciare traccia del proprio viaggio con regolarità (se si interrompessero le comunicazioni qualcuno deve sapere dove eravamo appena prima) 6) Portare con sé contanti con moneta locale 7) Portare con sé un secondo cellulare e adattatori universali per i propri device, power bank e ricordarsi di controllare quali prese di corrente si trovano nel Paese che si visita 8) Verificare le licenze e le autorizzazioni dei mezzi di trasporto utilizzati. Ci sono poi alcuni accorgimenti in più che le viaggiatrici donne devono considerare rispetto agli uomini. Come per esempio: 1) Evitare il contatto visivo con gli estranei in strada e sui mezzi pubblici 2) Fare attenzione alle bevande incustodite nei locali pubblici 3) Se possibile, spostarsi insieme a una persona conosciuta o fidata 4) Evitare tragitti in zone isolate, deserte o degradate 5) Non lasciare mai incustodita la chiave della stanza d’hotel 6) Diffidare degli estranei che si avvicinano per chiedere informazioni 7) Nascondere il portadocumenti e il denaro sotto i vestiti. @123rf Il preziosissimo vademecum del viaggiatore stilato dalla Scuola internazionale di etica e sicurezza. Anche per le donne che viaggiano sole.
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littlepaperengineer · 8 years
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Diario. Voglio trovare un senso 2
Lavorare per vivere e non vivere per lavorare. Penso sia un concetto abbastanza ovvio, eppure la situazione diventa sempre più critica. Sembra che per "parità di diritti" si intenda che ognuno non debba ammettere i propri limiti e debba esistere solo per lavorare. Sto parlando dei limiti che una persona può avere, fisici e mentali, ma anche dei limiti che impone la vita, quella che sta fuori dal posto di lavoro. La vita pone dei limiti agli impegni lavorativi: pensiamo ad un raffreddore, o un'influenza, insomma agli imprevisti semplici. Oppure pensiamo ai problemi periodici come il ciclo mestruale. Poi pensiamo agli imprevisti più gravi, malattie più durature o disabilità. Inventiamo ogni giorno un modo nuovo per annullare la nostra essenza di esseri umani, qualcosa che ci permetta di non avere fastidi e distrazioni dal lavoro. La cosa che più mi sembra importante analizzare è la maternità. Penso sia una cosa bellissima, che porta certamente tante difficoltà, ma che sia un leggittimo periodo della vita di una persona che scelga di diventare mamma. Perché privarsene? Perché considerarlo un limite? Perché deve essere ostacolo per la carriera? Forse perchè c'è chi scieglie di rinunciarvi! E fa apparire svantaggioso chi ne coglie il diritto! E perché non si deve trattare allo stesso modo, con i dovuti accorgimenti, chi fa scelte diverse? In realtà tutti siamo diversi, uomini da donne, ma anche uomini da uomini e donne da altre donne. Uomini forti da uomini più esili e deboli, donne possenti da donne più gracili, persone con diverse capacità mentali. Perché non si distingue ogni individuo sulla base dei bisogni che ha? La costituzione prevede la distinzione di ogni individuo come persona ugualmente diversa dalle altre, ma questi principi si stanno perdendo! Dobbiamo fare attenzione! E poi pensiamo alle cose belle della vita, pensiamo ad un compleanno, un anniversario, un festeggiamento in generale. Certo, non si può esagerare, ma avere diritto ai permessi, ai giorni di ferie è una cosa importante, perché si vive per vivere, per gustarsi l'affetto delle persone care, amici e parenti. Si vive per onorare le cose più preziose, l'amore per il/la compagno/a, per i figli, per gli amici e i parenti. Tutto ciò che è stato ottenuto negli anni sta andando perduto. Tutto questo ci sta mettendo uno contro l'altro, in competizione per sopravvivere. Siamo schiavi del lavoro che facciamo, obbligati ad avere debiti per tutto, per la casa, per l'automobile, persino per la pensione. Si perdono posti di lavoro, diventa difficile trovarne di nuovi, e si va sempre peggiorando, con contratti che obbligano sempre più alla completa dedizione al lavoro. Siamo persone, individui, non macchine. L'automazione porta a renderci superflui, ma esistono tanti nuovi impieghi, mansioni che prima non esistevano. Il lavoro può essere ancora creato! Io spero che le cose tornino a cambiare in meglio.
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italianaradio · 5 years
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Sanità, l’Ordine dei Medici in visita agli Ospedali di Locri e Melito
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Sanità, l’Ordine dei Medici in visita agli Ospedali di Locri e Melito
Sanità, l’Ordine dei Medici in visita agli Ospedali di Locri e Melito
Sanità, l’Ordine dei Medici in visita agli Ospedali di Locri e Melito Lente Locale
R & P
Dopo il Santa Maria degli Ungheresi di Polistena, una delegazione del Consiglio dell’Ordine dei Medici Chirurghi ed Odontoiatri della provincia di Reggio Calabria, guidata dal Presidente dr Pasquale Veneziano e composta, tra gli altri, dai  medici dr Francesco Biasi e Marco Tescione, promotori dell’iniziativa, nonché dal Segretario della Commissione Affari Odontoiatri, dr Carlo Nicolò, ha visitato i nosocomi di Locri e Melito per prendere cognizione diretta sulle problematiche che affliggono i due ospedali ed, al contempo,dimostrare piena solidarietà a chi, ogni giorno, per rispondere alle istanze di salute del comprensorio, affronta una vera e propria battaglia a causa di personale ridotto all’osso, strumentazione obsoleta ed in alcuni casi del tutto mancante ed infrastrutture non sempre all’altezza.
La delegazione del Consiglio dell’Ordine è stata accolta dai rispettivi direttori sanitari di presidio, i colleghi, dr. Domenico Fortugno, a Locri, e dr. Giuseppe Zuccarelli, in quel di Melito, oltre che dai dirigenti medici dei vari reparti che hanno tracciato con minuziosità il quadro della situazione in cui sono costretti a prestare la loro opera.
Per rendere l’idea delle difficoltà in cui operano i camici bianchi in servizio a Locri basta snocciolare qualche numero: ad oggi mancano 68 dirigenti medici di primo livello e 14 primari su 18, con una situazione particolarmente difficile al Pronto Soccorso con pochissimi medici in servizio; senza dimenticare che, per garantire il funzionamento del sistema sanitario, occorrono altre figure – pensiamo ad oss, infermieri, amministrativi ecc. – parimenti carenti nel numero.
Altro dato preoccupante che si registra a Locri riguarda gli avvisi pubblici per incarichi trimestrali o semestrali, rivolti a specialisti,che sono andati ripetutamente deserti. Tra le altre criticità che gravano sulla struttura ospedaliera locrese vi è la presenza di due sale operatorie non a norma, su quattro. Paradossale, poi, la circostanza che in questa situazione di grave carenza di personale, alcuni colleghi con contratto a tempo determinato, in scadenza, rischiano di perdere il posto di lavoro. Tuttavia, sulla questione, confidiamo sulle parole rassicuranti del Generale Cotticelli. Nello stesso tempo, non vengono erogati dal 2015 né i buoni pasto, né premi produttività nonostante chi vi presta servizio, come detto, sia letteralmente in trincea pur di garantire un livello di assistenza dignitoso ai pazienti dei territori che ivi afferiscono.
Situazione non molto diversa si registra al Tiberio Evoli di Melito Porto Salvo dove la carenza di medici e personale sanitario in genere ha determinato persino la compressione, di fatto, del diritto alle ferie. Dal 2016, infatti, per garantire i servizi, in molti sono costretti a rinunciare, almeno parzialmente, al diritto alle ferie.Gli anestesisti, per esempio, pur di garantire il servizio, si stanno sobbarcando numerose reperibilità, oltre a turni in altre postazioni. Eppure alcuni reparti potrebbero essere meglio valorizzaticome Chirurgia che ad oggi, oltre ad un discreto numero di interventi, potrebbe integrarsi, pur nel rispetto delle rispettive autonomie, con il Grande Ospedale Metropolitano, assorbendo una parte degli interventi di piccola e media chirurgia e, conseguentemente, riducendo i tempi di attesa di una parte dei pazienti. Sull’operatività della Chirurgia melitese va rimarcato, inoltre, che, in questo momento, ad ostacolare l’attività, purtroppo, sono intervenuti, da un lato, lo spostamento temporaneo di uno dei chirurghi in servizio, presso altro presidio ospedaliero, e le difficoltà della Radiologia, in particolare il funzionamento a singhiozzo della Tac. Anche il reparto di Ginecologia e Ostetricia, sebbene privato del Punto Nascite, che garantisce assistenza alle donne in stato di gravidanza fino alla sedicesima settimana e svolge alcuni interventi di piccola chirurgia ginecologica, potrebbe contribuire a supportare gli Ospedali Riuniti per queste attività.Altra problematica riguarda i dializzati reggini che, a causa della mancanza di un pulmino, non possono raggiungere l’Ospedale di Melito Porto Salvo, dove una parte di essi era in cura, non potendo usufruire del servizio in città, a causa dell’impossibilità del GOM a far fronte a tutte le richieste.
Comune ai due nosocomi oltre che essenziale per il funzionamento degli stessi, è la sofferenza, tanto di personale quanto di strumentazione, delle rispettive radiologie. Sebbene sia prevista l’installazione di nuovi apparecchi per indagini diagnostiche e strumentali, tanto a Polistena, quanto a Locri e Melito, ciò non può bastare se non si provvede, nel più breve tempo possibile, a garantire le dotazioni minime e necessarie nei rispettivi reparti, attraverso la razionalizzazione, se non il reclutamento, delle risorse umane necessarie.
Altra questione che accomuna i due ospedali, riguarda l’Ortopedia con il reparto chiuso “temporaneamente” a Melito e mai più riaperto (è stato persino bandito il posto per primario, sic!) ed in enorme difficoltà, per le ataviche carenze di personale e strumentali, in quel di Locri.
Nonostante tutto, non possiamo dimenticare che vi sono realtà che, invece, garantiscono un servizio molto efficiente, in entrambi gli ospedali, come, ad esempio, l’Oncologia, la Medicina e la Riabilitazione cardiologica a Melito, la Chirurgia, la Ginecologia e le branche mediche in quel di Locri.
Come già, più volte, evidenziato l’Ordine dei Medici di Reggio Calabria intende offrire un contributo propositivo a quella che ormai assume sempre più i connotati di un’emergenza. In attesa dei tempi necessari per l’espletamento dei concorsi, infatti, sia per le aporie del sistema, a livello nazionale, come la carenza di specialisti. Per dare delle risposte immediate, occorre un’urgente razionalizzazione delle risorse umane avendo davanti un quadro della situazione ad ampio spettro che eviti la dispersione di “energie”. Va avviato un processo osmotico tra le diverse Aziende ospedaliere, investire nella tecnologia con un sostegno importante che potrebbe giungere anche dalla telemedicina.
Inoltre, si potrebbe creare una rete di collaborazione con scambio di specialisti per prestazioni aggiuntive, costituire rapporti di lavoro a tempo determinato ed attingere, ove possibile, anche ai medici della continuità assistenziale; rimandare il pensionamento di quei medici che sono disponibili a rimanere in servizio almeno fino al termine della situazione emergenziale.
L’Ordine dei Medici non si stancherà di ripetere che investire nella sanità significa combattere l’esoso fenomeno della mobilità passiva, meglio noto come “emigrazione sanitaria” che, ormai, avviene, con alte percentuali (circa il 45%), anche per interventi di bassa assistenza con conseguenti esborsi per le finanze della nostra Regione ed a vantaggio di quelle che “ospitano” i pazienti calabresi. Non va trascurata l’idea che le Strutture ospedaliere della provincia confluiscano in un’unica Azienda capace di diversificare la propria offerta, per potersi allineare con quella nazionale. Davanti a questa situazione, continueremo le nostre “visite” nei presidi sanitari della nostra Provincia, dopo le quali chiederemo un incontro con la triade commissariale che sta guidando l’Asp reggina e con il Commissario per il piano di rientro della sanità calabrese, Generale Saverio Cotticelli, non solo per illustrare i disagi di pazienti e personale sanitario ma anche per avanzare delle proposte concrete utili a fronteggiare una situazione ormai emergenziale. Al contempo, auspichiamo, che gli organi preposti, a livello nazionale, prendano coscienza della gravissima carenza di specialisti adottando le opportune soluzioni come l’aumento del numero delle borse di studio per gli specializzandi e la possibilità di assunzione per i medesimi specializzandi che frequentano gli ultimi due anni del corso di specializzazione.
Stop ad una sanità senza cuore che guarda solo a numeri e costi perché la salute non ha prezzo e mai lo avr��.
Reggio Calabria 28.11.2019                                                                                     OMCEO RC
Sanità, l’Ordine dei Medici in visita agli Ospedali di Locri e Melito Lente Locale
Sanità, l’Ordine dei Medici in visita agli Ospedali di Locri e Melito Lente Locale
R & P Dopo il Santa Maria degli Ungheresi di Polistena, una delegazione del Consiglio dell’Ordine dei Medici Chirurghi ed Odontoiatri della provincia di Reggio Calabria, guidata dal Presidente dr Pasquale Veneziano e composta, tra gli altri, dai  medici dr Francesco Biasi e Marco Tescione, promotori dell’iniziativa, nonché dal Segretario della Commissione Affari Odontoiatri, dr […]
Sanità, l’Ordine dei Medici in visita agli Ospedali di Locri e Melito Lente Locale
Antonella Scabellone
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paoloxl · 6 years
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Editoriale del n. 69 di "Alternativa di Classe"
L'articolo 603-bis del Codice penale, rubricato ”Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro”, è stato introdotto nel 2011, in relazione a gravi episodi di sfruttamento del lavoro agricolo verificatisi nel Sud Italia e modificato dalla Legge n. 199 del 29 Ottobre 2016, rubricato ”Disposizioni in materia di contrasto ai fenomeni del lavoro nero, dello sfruttamento del lavoro in agricoltura e di riallineamento del settore agricolo”. 
Lo scopo era quello di contrastare il fenomeno del caporalato nel settore agricolo. Un problema, quello del caporalato in agricoltura, molto sentito prima di tutto in Puglia, dove negli ultimi anni sono morte decine di braccianti agricoli. 
Lavoro nero e caporalato sono un business da 4,8 miliardi di Euro, con 1,8 miliardi provenienti dall'evasione fiscale. Delle quarantasei (46) inchieste oggetto di monitoraggio da parte delle autorità giudiziarie, diciannove (19) procedimenti concernono fatti verificatisi nel Centro-Nord, e ben dodici (12) appartengono a comparti produttivi diversi da quello agricolo. 
Recentemente è stato scoperto a Pavia un sistema illecito di cooperative. Quaranta (40) cooperative operanti nella logistica facevano capo, attraverso una serie di schermi societari ed a prestanomi, ad un unico gruppo di persone, ognuno con un proprio incarico e ruolo all'interno del sodalizio criminale, il cui obiettivo era il frodare l'erario, ma soprattutto sfruttare lo stato di bisogno dei lavoratori. Che, infatti, pur di lavorare e avere comunque una retribuzione, erano disposti a fare turni di lavoro anche di 12 ore giornaliere, senza pianificare riposi settimanali e ferie retribuite. 
Molto spesso nei settori diversi da quello agricolo, l'abuso perpetrato in danno del lavoratore si cela dietro un velo di legalità. E l'articolo 603-bis del Codice penale protegge di fatto i datori di lavoro dalle imputazioni più gravi. Colpiti dalla crisi capitalistica e dalle politiche borghesi, privi di rappresentanza di classe, con un sindacato inadeguato, i lavoratori sono tragicamente soli. 
Per quanto riguarda la vertenza ILVA, di stretta attualità, deve continuare la lotta contro il piano Arcelor-Mittal di divisione dei lavoratori, taglio di salari e di diritti. Il governo Cinque stelle-Lega non è amico dei lavoratori, come non lo erano i governi di centro-sinistra; niente di nuovo e di buono nell'accordo raggiunto Mercoledì 5 durante l'incontro, promosso dal Vice premier L. Di Maio, tra sindacati confederali, Usb e azienda al tavolo del Ministero dello Sviluppo economico. 
Con l'Ilva il governo Lega-Cinque stelle è divenuto di fatto l'esecutore della volontà dei governi precedenti. Il Governo ha portato avanti una politica orientata a vendere l'Ilva al colosso Arcelor-Mittal “nelle migliori condizioni”. In nessun modo si è parlato di fermo degli impianti pericolosi, già messi sotto sequestro dalla magistratura. 
La guerra mondiale dell'acciaio è quanto mai acuta, e Arcelor-Mittal ha grande bisogno degli stabilimenti di Taranto e Cornigliano (GE). Bisogna lottare per fermare la spirale di infortuni e di morti, per bonificare radicalmente il sito pugliese, nonché per salvaguardare dappertutto i diritti acquisiti, che sono costati anni di dure lotte. Bisogna ricostruire l'unità tra operai e ceti popolari dei quartieri inquinati, a tutela della salute. Serve autonomia di classe per portare la lotta sino in fondo. 
Il compito, per noi comunisti, oggi è quello di organizzare la classe dentro la crisi odierna del capitalismo. L'Assemblea antirazzista e internazionalista di Domenica 23 Settembre a Bologna, promossa dal sindacalismo conflittuale, ha individuato il razzismo al centro dello scontro di classe, chiarendo che non è un problema nato dalla "malvagità" di SALVINI e DEL SUO GOVERNO, che peraltro potrebbe anche cadere per volontà di altre fazioni borghesi. Importante è avere acquisito la consapevolezza della crisi del sindacalismo di base, incapace, come tale, di interpretare la realtà che stiamo vivendo. Si è parlato della necessità di lavorare con più determinazione per l'unità della classe in tutti i luoghi di lavoro e nei territori. Il prossimo Ottobre ci saranno due importanti iniziative di lotta. Il 26 OTTOBRE lo SCIOPERO GENERALE nelle principali città. Il 27 Ottobre una manifestazione nazionale a Roma. 
I padroni cercano incessantemente la divisione tra lavoratori autoctoni e immigrati. E' un momento decisivo, nel quale occorre schierarsi al di là delle sigle sindacali e delle bandiere, per l'unità dei proletari, su scala nazionale e internazionale, contro il razzismo e il nazionalismo. Oggi viviamo una dura realtà, fatta di fabbriche in crisi o addirittura chiuse, dove stanno finendo anche gli ammortizzatori sociali per lavoratori che si ritrovano troppo giovani per potere accedere alla pensione (che la Riforma Fornero ha trasformato in chimera), ma al tempo stesso troppo anziani per trovare un altro lavoro. 
Ci sono aziende, come ad esempio la Fca (Fiat Chrysler Automobiles), che fanno gola ai nuovi competitors (cinesi) in un mercato capitalistico globale, caratterizzato da scontri feroci senza esclusione di colpi. 
Sono giorni di grande agitazione in casa Fca. Da una parte vi sono i lavoratori sempre più preoccupati, dall'altra la società con i suoi azionisti, orfani di Marchionne, ma con le tasche gonfie di profitti. L'Exor, la ”cassaforte” della famiglia Agnelli, ha infatti chiuso il 2017 con un utile netto di 1,39 miliardi di Euro (+136% rispetto al 2016). 
La lista delle promesse non mantenute è lunga: quella di arrivare a produrre sino a 7 milioni di vetture, mentre oggi siamo sui 4,7 milioni, di grandi investimenti nel nostro Paese, che non si sono poi visti, di una produzione in Italia di 1.400.000 vetture all'anno, mentre siamo a 750.000, ed infine, ma non certo meno importante, del reintegro di tutti i cassaintegrati, cosa che non si è affatto verificata!... 
Intanto oggi in Italia l'azienda occupa 29mila persone,mentre solo nel 2010 se ne contavano ancora 190mila, ed è ormai chiara la volontà dei vertici Fca di smantellare Pomigliano con la Cassa integrazione per 4600 operai. I lavoratori si possono aspettare un futuro ancor più lacrime e sangue dell'ultimo decennio, tra esuberi e licenziamenti. E' sempre più urgente riprendere gli scioperi contro l'intensificazione dello sfruttamento, contro i licenziamenti di massa e politici. 
Nei cantieri navali di Monfalcone si parla più slavo che americano, eppure tutti capiscono il significato di “dumping sociale”, brodo di coltura della guerra tra poveri, con operai pagati in nero, o a tre euro l'ora, senza diritti; e proprio questi ultimi diventano il bersaglio preferito della propaganda leghista. Operai ingaggiati da veri e propri caporali, come denuncia il libro-reportage di Loris Campetti, dal titolo “MA COME FANNO GLI OPERAI”, a pagina 53. Caporali che gestiscono l'intermediazione di mano d'opera, e che fanno pagare una tangente intorno ai 500 Euro a ciascun immigrato, per “autorizzarne” l'entrata in cantiere. 
Non è una pratica esclusivamente monfalconese: gli operai della Fincantieri di Ancona raccontano la stessa storia. I caporali si fanno pagare in oro dai nuovi arruolati, come a Monfalcone provenienti soprattutto dal Bangladesh, per ridurre i rischi legati al passaggio diretto di denaro. La Fiom della città marchigiana nei mesi passati ha presentato esposti alla locale procura sull'attività dei caporali. 
Nel 2017 Fincantieri ha registrato un utile in aumento del 13%, dopo aver chiuso un anno con record di produzione. Agli inizi del 2018 l'Amministratore delegato Bono esultava con queste parole: "la crisi è alle spalle, attraversiamo un momento epocale". Ma, per i lavoratori, maggior produzione significa maggior sfruttamento, aumento dei ritmi, tagli alla pausa mensa. La ricattabilità e la precarietà, che costantemente si vivono nel settore degli appalti e sub appalti, sono gli strumenti necessari agli azionisti per continuare ad arricchirsi. 
La crisi capitalistica ha contribuito a modificare gli atteggiamenti dei lavoratori,e proprio là dove ha picchiato più duro, rischia di scatenarsi la guerra tra poveri, tra operai fissi e precari, tra diretti e interinali, tra “tempi pieni” e part-time, tra indigeni e immigrati, tra anziani professionali e giovani studenti, trasformati in operai nel weekend. Una guerra che conduce al peggiore degli abbagli: invece di incolpare la borghesia dominante e le sue ricette, si creano ulteriori ingiustizie, individuando il nemico in chi sta ancora più in basso,ed è più debole. 
Il rapporto con gli immigrati diventa sempre più difficile, e il populismo parafascista prende campo ormai ovunque.Forze sedicenti progressiste inseguono il populismo sugli stessi terreni, al limite del razzismo, pensando così di raccogliere consensi. Pensiamo alle scelte becere e reazionarie del Ministro degli Interni del passato governo, Marco Minniti del PD, che hanno fatto dire al comico Maurizio Crozza nei suoi panni: ”NON SI PUO' LASCIARE IL FASCISMO AI FASCISTI!”. 
I giovani operai hanno incontrato il Pd del Governo Renzi, del Jobs act e dell'eliminazione dell'art 18. Nel 2014, dopo i primi provvedimenti del Governo Renzi, Marchionne disse: "di sicuro è stato veramente qualcosa di nuovo, di dirompente, di cui il paese ha bisogno. Ha il mio totale appoggio". 
Gli operai più anziani ricordano il dirigente del PD, Piero Fassino, per cinque anni sindaco di Torino, ma prima ancora, in passato, Responsabile della Commissione lavoro del PCI. Piero Fassino, in quel periodo, diceva apertamente che, se fosse stato un operaio, avrebbe votato SI al referendum-ricatto di Marchionne, in cui un ipotetico lavoro futuro veniva scambiato con la certa cancellazione di diritti conquistati in decenni di lotte operaie. 
Negli ultimi anni, Marchionne, con l'assenso dei “progressisti” e delle burocrazie sindacali, ha trasformato i lavoratori in servi. Lavoratori, che ora guadagnano di meno rispetto ai loro colleghi francesi e tedeschi, ed HANNO MENO DIRITTI. 
Molti militanti della cosiddetta sinistra radicale dicono che la frammentazione è il dato generale della fase attuale. Dobbiamo chiarire: ad essere frammentata è la nostra classe, attuale e potenziale. La frammentazione è infatti la forma attraverso cui il capitale compone tecnicamente il proletariato a suo vantaggio, combina la nostra classe per la propria valorizzazione, ed è impegnato in modi diversi a neutralizzarla come soggetto politico antagonista. 
Oggi il precariato si dibatte in una duplice dimensione: da un lato, all'occupazione saltuaria corrisponde non meno, ma più lavoro, perché bisogna moltiplicare gli impieghi, formali, e soprattutto informali, attraverso cui procacciarsi i soldi per campare. Più lavoro e meno soldi, è la parola d'ordine del capitale. Dall'altro, le nuove generazioni subiscono e traducono il rifiuto come alienazione, non come conflitto dentro e contro i rapporti di sfruttamento capitalistico. 
Nostro compito è fare ricerca sulle varie forme di rifiuto, potenziale o reale, del lavoro: rifiuto del lavoro gratuito, rifiuto del lavoro per pochi soldi, rifiuto del lavoro banalizzante. Fare del rifiuto un'arma politica contro il padrone, per l'affermazione di una indisponibilità alle sue esigenze, per la conquista di un terreno di attacco e non solo più resistenziale. 
Una pseudo-sinistra, che pretende di difendere i lavoratori con la ricerca di compatibilità con la conservazione della società capitalistica, sperando di correggerla dai suoi “errori” e dai suoi “eccessi”, ci sta sottomettendo, passivi e disarmati, alle esigenze del capitale. 
Contro le illusioni paralizzanti di un miglioramento del sistema capitalistico, bisogna muoversi in piena indipendenza e autonomia di classe, per costruire una base di intervento sul piano sociale e politico, nella presa di coscienza del fossato che il capitale sta costruendo a difesa della sua conservazione, attaccando i proletari, indigeni e immigrati, dentro e fuori le aziende. Il proletariato può difendersi soltanto con la lotta. 
Il corso della lotta di classe in Italia, pur con i suoi tratti specifici, è inseparabile dal corso del capitalismo e della lotta di classe su scala mondiale. Ciò rende l'internazionalismo più che mai indispensabile e vitale nell'azione del movimento dei lavoratori.
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ross-nekochan · 3 months
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Resoconto della prima settimana del nuovo lavoro.
Sono stanchissima e non so bene il perché. Forse è perché è tutto un insieme di abitudini nuove, forse perché fa pure un sacco di caldo, però alzarmi la mattina sempre alle 6:40 è stata una botta in fronte più delle settimane precedenti.
È stata dura abituarsi a tutto nuovo: il vecchio ufficio era la mia seconda casa, sentivo tutto parzialmente mio e, sebbene sapessi che staccarsi da quei comfort sarebbe stata dura, viverlo è stato pure più pesante del previsto. È una cazzata, lo so pure io, ma ora abituarsi al caffè e ai caffellate acquosi dei konbini è tosta, oltre allo sbatti di doverci andare e pagare pure per quella mezza merda. Sto pensando di portare qualcosa da casa perché io non sono il tipo da fare ste spese stupide che a fine mese un poco si sentono; questa settimana è stata di rodaggio e di indulgenza, non a caso ho mangiato pure un po' più del solito nonostante sia un periodo in cui non mi vedo particolarmente bene. Avevo fatto un minicut prima di andare in India che non era nemmeno andato troppo bene a livello di kg persi, poi ovviamente ho ripreso qualcosa perché figurati se in viaggio mi metto a fare la dieta, poi tra preciclo e ciclo la bilancia non l'ho voluta vedere nemmeno col binocolo, finito il ciclo mi sono sentita un poco più me stessa e ora questa settimana nuovamente gonfia come un pallone e quindi più mi sento gonfia più mangio per disperazione (non fa una piega proprio). In verità sto pensando di farmi seguire da qualcuno da Settembre perché dopo 2 (diciamo 3) anni mi sono un po' stufata di fare quasi tutto da sola, però dato che ovviamente pagherei un PT in Italia dovrei pagare in euro e, data la situazione disastrosa dello yen, parte di me è un po' restia - pure perché è da tempo che voglio pure cominciare la psicoterapia, perché anche là sia altri soldi sia altri euro e quindi boh che palle sto paese di merda, uno già rischia la povertà con uno stipendio normale poi ci si mettono pure le politiche economiche di merda.
Il lavoro in sé per sé non mi dice niente, quasi mi fa schifo (come quello vecchio) e questa è stata l'ennesima conferma che a me i lavori d'ufficio fanno proprio cacare. Non hanno proprio senso e mentre stiamo tutti cacati per l'IA, io non mi capacito di come tutti sti processi non siano stati ancora automatizzati: cioè spiegatemi il senso di dover compilare decine di moduli al giorno A MANO e di controllare se le info scritte in documenti diversi siano giusti. Sono sicura che l'IA lo saprebbe fare pure meglio, però eccoci qua a perdere tempo per qualche spicciolo. Il problema è che non sono nemmeno una sognatrice e seppure vorrei fare lavori meno monotoni e fighi, voglio pure i soldi, per cui almeno per il momento, mi tengo il lavoro d'ufficio bello stretto finché dura. Il lavoro vecchio mi manca perché ormai sapevo quasi fare tutto, però come mi ripeto da sola e come mi ha detto la mia amica "alla fine hai cambiato SOLO per i benefit", ed è vero, quindi pensiamo che ho avrò più ferie e smart (sebbene ancora devo capire come funziona perché a quanto pare non danno lo smart in giorni fissi ma li richiedi tu ogni tanto) e non ci pensiamo più.
Un'altra cosa buona è che il livello di giapponese che devo usare adesso mi pare più alto (oltre a dover usare ancora meno l'inglese). Sarà pure che è pieno di termini nuovi (ormai quelli del vecchio lavoro li avevo imparati quasi tutti), ma mi sento più in difficoltà (ed è una cosa buona perché significa che ho solo margine per migliorare). Problema grosso sono le telefonate: mai stata amante nemmeno in Italia, figuriamoci a parlare al telefono in una lingua non tua e con persone che ti parlano a manetta in maniera inutilmente cerimoniosa (e tu devi esserlo altrettanto)... spero non mi dicano mai di cominciare a rispondere perché penso che mi ci vorranno tantissimi mesi per sentirmi pienamente in grado.
Una cosa di cui sono contenta è che, dopo un anno, scrivere mail in keigo non è più un problema. A volte sono così fiera delle mail che scrivo che faccio le foto e le invio alle mie amiche (con cui non faccio che bestemmiare questo popolo per queste inutili cerimoniosità). In più a volte quando parlo mi escono parole che nemmeno ricordavo di sapere e mi sento in grado di affrontare la maggior parte delle situazioni quotidiane senza troppe preoccupazioni (andare al comune, visite mediche ecc) anche se non capisco tutto, in qualche modo si fa. Insomma, il motivo per cui sono venuta era principalmente questo e sono felice di star migliorando. Certamente avere attorno continuamente persone straniere che parlano letteralmente come fossero native è deprimente, però oh, loro sono qui da anni e anni, per me questo è il secondo anno in totale e anche se lo studio dal 2014 si sa che non è la stessa cosa che vivere la lingua tutti i giorni.
Questa domenica ho il test per la certificazione linguistica di giapponese livello N2 (il secondo più alto), ma già so che non passerò per la seconda volta perché oggettivamente non ho studiato molto e nelle ultime settimane non ho proprio aperto libro. Ho speso altri 7000¥ a vuoto e pazienza...
Nella metà di Agosto a quanto pare ci sarà una settimana intera di festa per l'Obon (la festa dei morti) e non mi pare vero. È dal 7 maggio che lavoro senza sosta e sono oggettivamente molto stanca. Manca un altro mese quindi non possiamo far altro che farlo passare. Madonna bella.
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marinadipetrolo · 7 years
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valeria-manzella · 7 years
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..PAPA FRANCESCO..UDIENZA GENERALE..Aula Paolo VI..La Speranza cristiana..Il perdono divino..motore di speranza..Cari fratelli e sorelle, buongiorno!..Abbiamo sentito la reazione dei commensali di Simone il fariseo..Chi è costui che perdona anche i peccati?.. (Lc 7,49). Gesù ha appena compiuto un gesto scandaloso. Una donna della città, conosciuta da tutti come una peccatrice, è entrata in casa di Simone, si è chinata ai piedi di Gesù e ha versato sui suoi piedi olio profumato. Tutti quelli che erano lì a tavola mormorano: se Gesù è un profeta, non dovrebbe accettare gesti del genere da una donna come quella. Quelle donne, poverette, che servivano solo per essere incontrate di nascosto, anche dai capi, o per essere lapidate. Secondo la mentalità del tempo, tra il santo e il peccatore, tra il puro e l’impuro, la separazione doveva essere netta. Ma l’atteggiamento di Gesù è diverso. Fin dagli inizi del suo ministero di Galilea, Egli avvicina i lebbrosi, gli indemoniati, tutti i malati e gli emarginati. Un comportamento del genere non era per nulla abituale, tant’è vero che questa simpatia di Gesù per gli esclusi, gli..intoccabili..sarà una delle cose che più sconcerteranno i suoi contemporanei. Laddove c’è una persona che soffre, Gesù se ne fa carico, e quella sofferenza diventa sua. Gesù non predica che la condizione di pena dev’essere sopportata con eroismo, alla maniera dei filosofi stoici. Gesù condivide il dolore umano, e quando lo incrocia, dal suo intimo prorompe quell’atteggiamento che caratterizza il cristianesimo: la misericordia. Gesù, davanti al dolore umano sente misericordia; il cuore di Gesù è misericordioso. Gesù prova compassione. Letteralmente: Gesù sente fremere le sue viscere. Quante volte nei vangeli incontriamo reazioni del genere. Il cuore di Cristo incarna e rivela il cuore di Dio, che laddove c’è un uomo o una donna che soffre, vuole la sua guarigione, la sua liberazione, la sua vita piena. È per questo che Gesù spalanca le braccia ai peccatori. Quanta gente perdura anche oggi in una vita sbagliata perché non trova nessuno disponibile a guardarlo o guardarla in modo diverso, con gli occhi, meglio, con il cuore di Dio, cioè guardarli con speranza. Gesù invece vede una possibilità di risurrezione anche in chi ha accumulato tante scelte sbagliate. Gesù sempre è lì, con il cuore aperto; spalanca quella misericordia che ha nel cuore; perdona, abbraccia, capisce, si avvicina: così è Gesù!..A volte dimentichiamo che per Gesù non si è trattato di un amore facile, a poco prezzo. I vangeli registrano le prime reazioni negative nei confronti di Gesù proprio quando lui perdonò i peccati di un uomo (Mc 2,1-12). Era un uomo che soffriva doppiamente: perché non poteva camminare e perché si sentiva..sbagliato..E Gesù capisce che il secondo dolore è più grande del primo, tanto che lo accoglie subito con un annuncio di liberazione..Figlio, ti sono perdonati i peccati!..(v. 5). Libera quel senso di oppressione di sentirsi sbagliato. È allora che alcuni scribi..quelli che si credono perfetti: io penso a tanti cattolici che si credono perfetti e disprezzano gli altri…è triste, questo...alcuni scribi lì presenti sono scandalizzati da quelle parole di Gesù, che suonano come una bestemmia, perché solo Dio può perdonare i peccati..Noi che siamo abituati a sperimentare il perdono dei peccati, forse troppo..a buon mercato..dovremmo qualche volta ricordarci di quanto siamo costati all’amore di Dio. Ognuno di noi è costato abbastanza: la vita di Gesù! Lui l’avrebbe data anche solo per uno di noi. Gesù non va in croce perché sana i malati, perché predica la carità, perché proclama le beatitudini. Il Figlio di Dio va in croce soprattutto perché perdona i peccati, perché vuole la liberazione totale, definitiva del cuore dell’uomo. Perché non accetta che l’essere umano consumi tutta la sua esistenza con questo ..tatuaggio.. incancellabile, con il pensiero di non poter essere accolto dal cuore misericordioso di Dio. E con questi sentimenti Gesù va incontro ai peccatori, quali tutti noi siamo. Così i peccatori sono perdonati. Non solamente vengono rasserenati a livello psicologico, perché liberati dal senso di colpa. Gesù fa molto di più: offre alle persone che hanno sbagliato la speranza di una vita nuova..Ma, Signore, io sono uno straccio..Guarda avanti e ti faccio un cuore nuovo..Questa è la speranza che ci dà Gesù. Una vita segnata dall’amore. Matteo il pubblicano diventa apostolo di Cristo: Matteo, che è un traditore della patria, uno sfruttatore della gente. Zaccheo, ricco corrotto..questo sicuramente aveva una laurea in tangenti..di Gerico, si trasforma in un benefattore dei poveri. La donna di Samaria, che ha avuto cinque mariti e ora convive con un altro, si sente promettere..un’acqua viva..che potrà sgorgare per sempre dentro di lei (Gv 4,14). Così Gesù cambia il cuore; fa così con tutti noi. Ci fa bene pensare che Dio non ha scelto come primo impasto per formare la sua Chiesa le persone che non sbagliavano mai. La Chiesa è un popolo di peccatori che sperimentano la misericordia e il perdono di Dio. Pietro ha capito più verità di sé stesso al canto del gallo, piuttosto che dai suoi slanci di generosità, che gli gonfiavano il petto, facendolo sentire superiore agli altri. Fratelli e sorelle, siamo tutti poveri peccatori, bisognosi della misericordia di Dio che ha la forza di trasformarci e ridarci speranza, e questo ogni giorno. E lo fa! E alla gente che ha capito questa verità basilare, Dio regala la missione più bella del mondo, vale a dire l’amore per i fratelli e le sorelle, e l’annuncio di una misericordia che Lui non nega a nessuno. E questa è la nostra speranza. Andiamo avanti con questa fiducia nel perdono, nell’amore misericordioso di Gesù..Saluti..[Sono lieto di salutare i pellegrini di lingua francese, in particolare i fedeli venuta dalla Francia e dai Paesi francofoni. La misericordia e il perdono ci trasformino e ci offrano la speranza, per rendere testimonianza di una vita segnata dall’amore. Dio vi benedica !]..[Saluto i pellegrini di lingua inglese presenti all’odierna Udienza, specialmente quelli provenienti da Malta, Nigeria, Guam, Canada, e Stati Uniti d’America. Su tutti voi e sulle vostre famiglie invoco la grazia del Signore Gesù affinché possiate essere un segno della misericordia e speranza cristiana nelle vostre case e nelle vostre comunità. Dio vi benedica!]..[Un benvenuto affettuoso a tutti i pellegrini di lingua tedesca. Questo periodo di ferie ci offre belle occasioni per sperimentare la gioia di vivere l’amore di Cristo nelle nostre famiglie e tra gli amici. Gesù ci insegna a volerci bene, a perdonare e a donare se stessi agli altri. Buone vacanze!]..[Saluto cordialmente i pellegrini di lingua spagnola, in particolare i gruppi provenienti da Spagna e America Latina. Vedo che ci sono spagnoli, ci sono panamensi, messicani, cileni, colombiani. Come molti latinoamericani lì oggi! Vi esorto ad essere testimoni di questo amore tra i fratelli e annunciatori della misericordia che il Signore non nega a nessuno. Dio vi benedica e benedica le vostre nazioni.]..[Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini di lingua portoghese, invitando tutti a rimanere fedeli a Cristo Gesù. Egli ci sfida a uscire dal nostro mondo piccolo e ristretto verso il Regno di Dio e la vera libertà. Lo Spirito Santo vi illumini affinché possiate portare la Benedizione di Dio a tutti gli uomini. La Vergine Madre vegli sul vostro cammino e vi protegga.]..[Saluto cordialmente i pellegrini di lingua ‎araba, ‎in ‎‎‎particolare i ‎provenienti ‎dall’Egitto, dalla Terra Santa e dal Medio Oriente. Gesù non ha fondato una ‎chiesa composta da persone buone e giuste, ma da peccatori e da deboli che hanno ‎sperimentato la misericordia di Dio e cercano di vivere la sua volontà, attraverso ‎i sentieri della loro vita quotidiana. Quindi la missione primaria e fondamentale ‎della Chiesa è quella di essere un ospedale da campo, e un luogo di guarigione, di ‎misericordia e di perdono e di essere la fonte di speranza per tutti i sofferenti, i ‎disperati, i poveri, i peccatori, e gli scartati.‎ Il Signore vi benedica e vi protegga sempre dal maligno]..[Saluto cordialmente i pellegrini polacchi. Cari fratelli e sorelle, il perdono dei nostri peccati che riceviamo come dono dell’amore misericordioso di Cristo, sia per noi fonte di speranza e motivo per essere misericordiosi per gli altri. Oggi in modo particolare mi unisco spiritualmente a coloro che da diverse città della Polonia si recano a piedi in pellegrinaggio verso il Santuario della Madre di Dio a Jasna Gora. La Madre e Regina della Polonia accolga la fatica e le preghiere dei pellegrini e ottenga dal Suo Figlio la pienezza delle grazie per essi, per le loro famiglie e per l’intera nazione. Dio vi benedica!]..APPELLO..Sono rimasto profondamente addolorato dalla strage avvenuta domenica scorsa in Nigeria, all’interno di una chiesa, dove sono state uccise persone innocenti. E purtroppo stamattina è giunta notizia di violenze omicide nella Repubblica Centrafricana, contro le comunità cristiane. Auspico che cessi ogni forma di odio e di violenza e non si ripetano più crimini così vergognosi, perpetrati nei luoghi di culto, dove i fedeli si radunano per pregare. Pensiamo ai nostri fratelli e sorelle della Nigeria e della Repubblica Centrafricana. Preghiamo per loro, tutti insieme: Ave o Maria…Saluto i pellegrini di lingua italiana. In particolare, desidero rivolgere una parola di benvenuto alle Religiose di Maria Immacolata-Missionarie Clarettiane, riunite nel Capitolo generale, come pure alle Suore della Carità di Santa Giovanna Antida, che si stanno preparando a celebrare i voti perpetui. Care sorelle, siate sempre gioiose, anche rumorose, e testimoniate dappertutto la bellezza della vostra consacrazione a Dio e al Vangelo. Saluto i fedeli della parrocchia di Santa Maria del Carmine in Sant’Elia Fiumerapido, affidandoli alla Vergine Santa perché renda l’esistenza di ciascuno ricca di frutti di bene. Il mio cordiale pensiero si volge, infine, ai giovani, ai malati e agli sposi novelli, venuti a Roma in questo periodo. Auspico, cari giovani, che l’incontro con tanti luoghi carichi di cultura, di arte e di fede sia occasione propizia per conoscere e imitare l’esempio lasciatoci da tanti testimoni del Vangelo qui vissuti, come san Lorenzo, di cui domani ricorre la festa. Incoraggio voi, cari malati, ad unirvi costantemente a Gesù sofferente nel portare con fede la croce per la redenzione del mondo. Auguro a voi, cari sposi novelli, di costruire la vostra nuova famiglia sul solido fondamento della fedeltà al Vangelo dell’Amore..
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