#alla follia per giunta
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Amare per sempre
Questi giorni convulsi e ventosi hanno rischiato di mandare nuovamente in subbuglio i miei fragili equilibri faticosamente conquistati. "Non sei una donna da amare per sempre", sussurrò l'altro ieri una voce maligna e menzognera dalle ferite ancora fresche, inerpicandosi come un'edera velenosa e infestante sulle pareti della mia mente agitata. "È già la terza volta che un uomo, sia in amore che in amicizia, conquista la tua fiducia, dimostra di volerti bene e poi, dal nulla, senza spiegazioni logiche, cambia natura, ti umilia, ti allontana. Fossi in te, mi farei qualche domanda; tu spaventi: leggi le anime altrui con estrema naturalezza e facilità, mettendo in luce elementi che loro non avevano notato, o meglio, non volevano far emergere; sei terribilmente scomoda, una spina nel fianco, soprattutto perché quella instancabile attività di introspezione la metti in opera innanzitutto in te stessa, poi in ogni situazione che ti circonda, diventando praticamente insostenibile. Inoltre, non potendo fare affidamento su una bellezza estetica impattante, tu seduci con la mente e con l'anima, ma con un'intensità tale da atterrire e assopire ogni desiderio virile. Insomma, non sei una donna da amare per sempre: gli uomini ti stimano, ti ammirano, al massimo ti scelgono come amica fidata, ma alla fine ti lasciano sola e corrono sempre tra le braccia di un'altra, evidentemente più semplice da tollerare." Rimasi in silenzio, osservando il vento che strattonava la mia chioma e quelle dei tigli e delle betulle dinanzi a me: "È incredibile come il male riesca a mentire pur mostrandoti la verità", sussurrai flebilmente. Improvvisamente, scossi il capo, come se mi fossi destata da un sortilegio; osservai il cielo annuvolato e m'inondai d'avorio, gli occhi bacini di lacrime ricolme di gratitudine. "Sì, Dio mi ha creata insostenibile, come il peso delle montagne; eppure, anche se solo Lui è in grado di sollevarle e alleggerirle, tra gli uomini c'è sempre chi è capace di amarle e scalarle!" Esclamai, squarciando con la lama i rami soffocanti del funesto rampicante; poi mi misi a correre controvento, ridendo come una menade in preda alla follia, pensando ai miei affetti più cari, che ogni giorno scelgono di starmi accanto e condividono il cammino, rendendo speciale ogni passo, alla cagnolina della vicina disposta a prendersi la pioggia pur di coccolarmi appena giunta a casa, alle civette impavide ululanti sopra i tetti prima che sopraggiungano le tenebre, ma soprattutto al fatto che sono una donna che ama per sempre, e questo mi basta.
#pensieri#amare per sempre#gratitudine#c'era lo zampino di berlicche#ma dio salva sempre#giorni ventosi#la prima foto è mia
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Quel signore dall'aria irritabile e nell'insieme agitato, come se fosse continuamente sfidato da una situazione di insopportabile gravità, è, in linea di massima, innamorato; più esattamente, in questo modo egli si descriverebbe in questo momento, giacché sono le dieci del mattino e a partire da quella ora fin verso le undici, al più tardi le undici e quindici, egli ama una signora distinta, nobile d'animo, colta, leggermente autoritaria, taciturna e delicatamente travagliata. La situazione ha tuttavia questo di irritante: che dalle ore dieci e un quarto - la signora si alza un poco più tardi del signore - fino alle undici e mezzo, la signora ama un colto, ma brutale studioso di tarocchi, che alla stessa ora ama una dama inglese che è giunta alla trentesima lezione di sanscrito. Attorno alle undici e trenta, tutto muta: la studiosa di sanscrito si invaghisce del signore irritabile, che per un'ora non ama alcuno, sebbene abbia una inclinazione innocua per una disegnatrice di cuscini, venuta dal contado, che verso mezzogiorno ama per quarantacinque minuti un giovane tenore di scarso successo ma qualche talento, che in realtà è innamorato, fino alle tredici e trenta, della signora lievemente autoritaria. Il primo pomeriggio vede in generale un attenuarsi dei reciproci amori, eccetto nel caso del tenore, che coltiva una venerazione senza speranza per la studiosa di sanscrito. Alle diciassette, si introduce nella situazione uno zoologo di mezz'età, che si è finalmente accorto che la vita non ha senso senza la semplice naturalità della disegnatrice di cuscini; accompagna lo zoologo la giovane moglie, che pensa, alternativamente, di uccidere per gelosia il marito zoologo, o la disegnatrice di cuscini - che in verità ignora anche l'esistenza dello zoologo - oppure, nel caso che sia venerdì o martedì, decide di amare alla follia il brutale tarocchista che, nel frattempo, ha scritto una lettera di disperato amore ad una giovanissima filatelica, lettera che tuttavia non spedirà perché nel frattempo si è nuovamente innamorato della signora lievemente autoritaria, che ha deciso di amare il signore irritabile, che solo adesso ha un presentimento di felicità, avendo guardato negli occhi la moglie dello zoologo, mentre costei si consacrava mentalmente ad un baritono rovinato dal singulto, ignorando che costui, rifiutato dalla filatelica, aveva deciso di entrare in convento e rinunciare ad una ricerca della felicità che non sembrava compatibile con l'esistenza dell'orologio.
Giorgio Manganelli
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Margaretha Geertruida Zelle,
nome d’arte
Mata Hari (1876-1917).
In malese Mata Hari significa "giorno" o "occhio del sole". Foto: Robert Hunt.
Nelle prime ore del 15 ottobre 1917, Mata Hari, una delle spie più famose del 20° secolo, fu svegliata nella sua cella di prigione. Era giunta la sua ora. Su sua richiesta fu battezzata e, data una penna, inchiostro, carta e buste, Mata Hari fu autorizzata a scrivere due lettere, che la direzione del carcere non spedì mai. Scarabocchiò frettolosamente gli appunti prima di indossare le calze nere, i tacchi alti e un mantello di velluto bordato di pelliccia.
Dalla prigione di Saint-Lazare fu trasferita al castello di Vincenne, alla periferia di Parigi. Erano appena passate le 5:30 quando affrontò il plotone di esecuzione composto da 12 fucilieri. Le venne offerto una benda per gli occhi, ma lei rifiutò: la leggenda narra che mentre gli ufficiali prendevano la mira, Mata Hari mandò loro un bacio. Dei dodici colpi, solo quattro la colpirono. Nessuno reclamò il corpo, il quale fu trasportato all'Istituto di medicina legale di Parigi, sezionato e in seguito sepolto in una fossa comune.
Nata nel 1876 nei Paesi Bassi, Margaretha era stava svezzata nell'agio, ma si trovò presto a dover fare i conti con l'indigenza dopo il tracollo finanziario della sua famiglia. Nel1890 il padre l’abbandonò e la madre morì l’anno dopo. Lasciata la casa natale il padrino la mandò in un collegio per future maestre, ma le eccessive attenzioni del direttore la costrinsero ad abbandonare la scuola .
A 19 anni Margaretha , quattro mesi dopo aver risposto a un annuncio di cuori solitari, si ritrovò sposata con Rudolph "John" MacLeod, un ufficiale alcolizzato dell’esercito delle indie orientali che aveva quasi il doppio della sua età. Il matrimonio non fu dei più felici. Il marito aveva pochi soldi e molti debiti e un buon numero di relazioni extraconiugali.
Nel 1897, in viaggio verso Sumatra con il figlio Norman-John e il marito, Margaretha scoprì che quest’ultimo le aveva trasmesso la sifilide.
Nel 1898, la coppia ebbe una bambina, Louise Jeanne, ma la loro relazione non migliorò.
La famiglia venne sconvolta dalla tragedia della perdita del piccolo Norman, che morì l’anno dopo, probabilmente avvelenato (forse a causa di medicinali o per vendetta). Nonostante gli sforzi per riprendersi dal grave lutto, la vita continuò a essere insopportabile per la giovane madre, che arrivò a sfiorare la follia.
Nel 1902, Margaretha e il marito si separarono definitivamente; lui ottenne la custodia della bambina, mentre lei si trasferì a Parigi per tentare la fortuna.
Consacrata, il 18 agosto 1905, dopo l'esibizione al teatro dell'Olympia, come l’«artista sublime», Mata Hari iniziò una tournée che fu un vero e proprio trionfo, venendo incontro alla fantasia, ingenua e torbida e al fascino proibito dell'erotismo. Alla fine del 1911 raggiunse il vertice del riconoscimento artistico al Teatro alla Scala di Milano.
Mata Hari era considerata la donna più affascinante e desiderabile di Parigi: frequentava uomini altolocati che la riempivano di regali costosi solo per godere della sua compagnia.
Nel 1914 si recò a Berlino per un nuovo spettacolo, ma quello spettacolo non ebbe mai luogo: con l'assassinio del principe ereditario austriaco, finì la Belle Epoque ed ebbe inizio la Prima guerra mondiale.
Mata Hari viaggiava molto e, per questo, catturò l’attenzione del mondo del controspionaggio. Nell’autunno del 1915, la danzatrice ricevette una cospicua somma di denaro dai tedeschi per svolgere attività spionistica a favore della Germania. Mata Hari accettò e così venne arruolata nelle file segrete del Kaiser; agente H21 fu il nome in codice che le venne assegnato.
Tuttavia, giunta in Francia, la danzatrice pensa di poter guadagnare ancor di più arruolandosi anche per i servizi segreti francesi.
Inizia la doppia vita dell’agente Mata Hari costretta a tenere i rapporti con due nazioni avversarie, a muoversi in due paesi lavorando per entrambi.
Su di lei sono puntati gli occhi dei servizi segreti di tre paesi: i Deuxième Bureau di Parigi, i primi a insospettirsi e a pedinarla, gli Abteilung IIIb di Berlino e infine i Secret Intelligence Service di Londra. I tedeschi sono i primi ad avere le prove del suo tradimento e vogliono che anche i francesi la scoprano per poterla così eliminare.
L'ipotesi che i tedeschi avessero deciso di disfarsi di Mata Hari - rivelandola al controspionaggio francese come spia tedesca - poggia sull'utilizzo da loro fatto in quell'occasione di un vecchio codice di trasmissione, già abbandonato perché decifrato dai francesi, nel quale Mata Hari veniva ancora identificata con la sigla H21. In tal modo, i messaggi tedeschi furono facilmente decifrati dalla centrale parigina di ascolto radio della Torre Eiffel.
Il 2 gennaio 1917 Mata Hari rientrò a Parigi e la mattina del 13 febbraio venne arrestata nella sua camera dell'albergo Elysée Palace e rinchiusa nel carcere di Saint-Lazare.
Durante il processo, i tanti ufficiali francesi dei quali fu amante, interrogati, la difesero, dichiarando di non averla mai considerata una spia.
Fu giustiziata nelle prime ore del 15 ottobre 1917. Aveva 41 anni.
Immagine: Mata Hari posa con un vestito di pizzo agli inizi del XX secolo
Fonti:
enciclopediadelledonne di Ludovica Midalizzi
Wikipedia
storicang matahari, di Pat Shipman
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Se trovassi qualcuno che potrebbe farmi fare la tesi magistrale su una cosa del genere io dopo la laurea mi uccido per la gioia.
RAGA I'M IN HYPE.
#lo so uccidersi per la gioia è un ossimoro#però se pensiamo che mi piace Mishima#tutto diventa chiaro no?#no raga forse ho deciso#li amo entrambi#alla follia per giunta#tesi#tesi magistrale#tesisti e relatori#così ritorno alla mia laurea triennale da comparatista#e non abbandono la letteratura inglese#RAGA I'M IN HYPE#Mishima#Wilde#letteratura
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Quest’oggi a una persona ho detto che questa foto, presa con un cellulare alle sei del mattino, non l’avrei pubblicata, perché quando poco dopo stavo per farlo, mi è giunta la notizia della guerra appena cominciata.
Come può l’immagine della Stella del Mattino che dispiega il peplo di Aurora cancellare l’orrore di quanto adesso stiamo leggendo e vedendo?
Eppure, alla fine, l’ho pubblicata lo stesso.
Per ricordare a tutti, soprattutto a me stesso, che noi siamo tanto il sacrificio di altri quanto possiamo esserne salvezza... non con grandi atti di eroismo e immolazione ma tenendo stretto fra le dita quel filo che ci lega l’un l’altro, una fitta ragnatela appena palpabile che è memento costante a quel legame che sfalda la follia dell’uomo e comunica col cuore dell’individuo, oltre la paura, la rabbia e la pretesa di rivestire una chissà quale importanza sulla butterata superficie di questo pallido puntino, sospeso in un raggio di sole.
La Stella del Mattino, che molti di voi conoscono come il pianeta Venere, ricorda a ognuno di noi che in ogni momento su questo pianeta c’è qualcuno che guarda il cielo e sente nel cuore che la sua lunga notte sta finendo.
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Lettera di Persefone, dea degli inferi:
Sono forse foglie quelle che vedo scendere davanti ai miei occhi? Magari sono piume, nere come il catrame o rosso intenso come sangue. Perché non entrambi? I miei piedi… I miei piedi sono immersi nella nebbia. Sento le mie mani leggere e il mio corpo vuoto e pieno nello stesso momento. E se fossero pietre quelle che sento abbattersi al suolo nel mio cuore? Vorrebbe, forse, dire che esso batte ancora? Vi prego, aiutatemi, c’è qualcuno che mi sta ascoltando? La mia voce è stata tramutata in brezza gelata? Avvertite qualcosa di molto freddo carezzarvi l’attaccatura dei cappelli sulla nuca? Non respingete i vostri sentimenti, sono qui. Anche se, qui, non so dove sia, ma vi osservo mentre trattenete il respiro, mentre vi stringete a voi stessi, con le braccia, a trattenere un brivido. Mi manca sentire la pelle di un altro corpo che scivola sotto le mie mani, mi manca poter solo vedere e mai accarezzare. Strano, non avrei mai pensato, prima, che potessi avvertire una sensazione in maniera così netta. Non volevo più sentire nulla, non mi interessava quando lui non era vicino a me. Ogni cosa aveva la stessa consistenza della polvere, cenere di fornace, non argenteo pulviscolo di luna. Poco più che sabbia vetrificata erano diventate le mie lacrime. Se voi foste me, avreste accettato qualsiasi cosa purché quel supplizio terminasse.Meglio la morte che una vita inesistente di inerzia forzata, non credete? Mi bastava solo un tocco, un unico sfiorarsi di indici. Questo sarebbe stato sufficiente.
Ho chiesto troppo all’acqua scrosciante sul tetto di quella casupola dove vivevo. Mura che dividevo con mia madre. Lei mi amava ma l’affetto materno, a volte, quando vorresti essere accarezzata dalla tempesta, è solo poco più di una brezza leggera: non basta per destare il cuore, la pelle e la passione. Anelavo l’Amore, per una sola volta, anche se sapevo di non meritarlo, anche se sapevo che altri ne bisognavano più di me. Lo volevo nel mio cuore, tra le mie braccia, nella mia testa e tra le mie lenzuola. Non ero come la donna che chiamavo madre, non era il dono ad appassionarmi, volevo ardere, volevo comprendere per quale motivo io esistessi. Volevo conoscere la follia e l’ansia delle mie domande. Io, figlia delle messi e dei boccioli di primavera, potevo fare simili domande? Se bastasse scrivere sui muri della grotta di Ade, se lui ascoltasse la mia preghiera sommessa forse potrebbe aiutarmi. In fondo, ho chiesto alla pioggia e lei rifugge dal suolo nascondendosi tra i meandri della terra, potrebbe essergli giunta una goccia a sussurrargli la mia voce. Lo chiamarono rapimento, non era quello il termine esatto. Io lo avevo chiamato ed era bastato uno sguardo, nulla più di quello. Due mani si erano congiunte, poi le braccia, infine eravamo un intreccio di corpi. La morte che si insinua nella vita. La vita che si insinua nella morte. Due mondi lontani, appartenenti l’uno all’altra. Ade, conosciuto per essere un sinistro sussurro nella voce delle caverne stregate, un oscuro abitante dell’esistenza. Mentre io, Persefone, ero l’emblema dell’esatto contrario. Ci siamo rapiti, questo è più esatto. Due corpi sulla soglia di due mondi, uno nell’altro, stretti e lontani, deliranti e doloranti, persi in un supplizio che sa di sole e terra, che sgorga in un sangue aspro e dolce. Volevo avere l’altra parte di me stessa ma quello che mi è stato dato è il seme dell’uomo che conosce solo la fine di ogni inizio. Finalmente mi sentivo viva ma non mi appartenevo più: esistevo nella morte e lei esisteva in me. Risalire la china della conoscenza, dopo un amplesso così folle e profondo, è inspiegabile. Nei nostri incontri, scontri, sudori e baci, ho scoperto che ero io il tramite: siamo, in realtà, tutti vivi ma anche il contrario, diventeremo rugiada e sangue, cos’altro potrebbe essere l’esistenza se non un flusso? Com’è avaro colui che non ha pazienza. Nella contemplazione di noi stessi avevamo perso la nozione del tempo. Ordinarono di restituirmi alla terra a cui appartenevo, dissero che non ero un suo diritto. Gli chiesero di rinunciare a me, come se mi avesse costretta. Solo un’anima, avrebbe dovuto rinunciare solo a quella. Cosa sarebbe mai cambiato nel suo regno a causa della mancanza di una sola presenza? Una voce mancante nell’eco dell’eternità, forse? Cedere un’anima non è poca cosa se hai timore del vuoto, non siamo così dissimili. Non ho mai pensato che laggiù potesse avere paura di qualcosa, di una dissonanza nel silenzio infinito di mille saggezze che avevano terminato il loro tempo. Anche io ho paura del silenzio, ne ho sempre temuto la risonanza. Lui aveva paura di perdere me, io non volevo perdere lui. Per questo rubai il frutto dell’eternità e lo legammo alla mia anima: ci avrebbero separato, solo per poco. Si paga per un pegno d’amore, sapete? Si vive in una continua bolla di vuoto, sospesi tra l’abisso e la terra, con un piede sul ciglio e un altro sullo strappo di un cuore spezzato che urla. Ne odo la voce in continuazione, è questa la mia pena: la stessa per entrambi. Una coercizione, se volete. Quando siamo separati, siamo condannati da noi stessi, a sentire, in ogni accezione del termine, il nostro cuore che cede, crolla e non smette di provare dolore pur anelando la fine di tanto bruciore. E ancora non cessa di battere. Ero morta in vita e chiesi, pregando, la mia anima. Come ho detto, la chiesi implorando alle gocce d’acqua tempestose e supplicai sul fiume di sangue di cui sono stata sorgente e foce nel richiamo dell’antica volontà del dio custode di ogni esistenza. Ho avuto molto più di quello che desideravo.
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Brano tratto da: SGUARDI SULL’ARTE LIBRO PRIMO - di Gianpiero Menniti
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I PARADOSSI DELLA "MIMESIS"
Il credere che Platone interpretasse il suo rifiuto dell'arte sulla scia del concetto di "imitazione dell'imitazione" e quindi in nome di una gerarchia di valore conoscitivo, appartiene alla riduzione scolastica di un concetto molto più complesso. La condanna rivela il tema dell'inganno: la "mimesis" non è imitazione dell'oggetto reale ma pone innanzi all'osservatore una "cosa" che è altro dalla sua imitazione, è il "non essere" della cosa rappresentata e l'essere "qualcos'altro" che sfugge ad ogni possibile connessione con il reale, con quanto possa essere conosciuto e con quanto possa essere inscritto in una categoria razionale. Se è un "non essere" rispetto a quanto vorrebbe rappresentare, l'opera d'arte che indulge sulla "mimesis" contrasta con l'inoppugnabile principio di non contraddizione che è a fondamento della razionalità. Pertanto non appartiene al mondo della filosofia che pretende di porre all'apice della sua ricerca il vero oggettivo, ma è questione che riguarda la mera soggettività: oscilla tra l'essere e il non essere, tra quanto vorrebbe essere imitando un oggetto e ciò che non può rappresentare poichè non è quell'oggetto. Dunque, è inganno proprio perchè "non è mimesis". Ecco il paradosso. L'arte è quindi alla perenne ricerca di un suo statuto ontologico, alla ricerca del suo essere. Platone lo comprese meglio di chiunque altro. E dopo di lui, il solo Nietzsche ebbe chiara quella prospettiva dell'arte lontana dalla ragione, la follia poetica che allontana dall'episteme. Dunque, l'arte è inganno perchè è impossibilità della "mimesis". Ed è questo il segno che traccia la rivoluzione artistica che si afferma nel XIII secolo, quando il "christus patiens" di Giunta Pisano e poi di Cimabue perde la "mimesis" del divino trionfante sulla croce per divenire qualcos'altro. Dando corso al lungo, controverso cammino dell'arte Occidentale. Fino allo svelamento di Magritte con la celebre didascalia "Ceci n'est pas un pipe” ossia “Questa non è una pipa”.
René Magritte (1898 -1967): "La Trahison des images" - Il tradimento delle immagini, 1928-29
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The Faraway Paladin: il nuovo trailer ci prepara alla seconda parte dell’anime
Il 7° episodio della serie arriverà in streaming su Crunchyroll sabato prossimo.
Pubblicato un quarto trailer di “Saihate no Paladin” (The Faraway Paladin), la serie animata tratta dall’omonima light novel fantasy, scritta da Kanata Yanagino e illustrata da Kususaga Rin, attualmente in simulcast per l’Italia su Crunchyroll.
La prima stagione dell’adattamento prodotto dallo studio CHILDREN’S PLAYGROUND ENTERTAINMENT (The Fruit of Evolution, Tsukiuta The Animation 2) sarà composta da 12 episodi. Le puntate vengono distribuite in streaming, sottotitolate, ogni sabato alle 16:30.
youtube
Il video introduce tre nuovi personaggi che prenderanno parte alla storia:
Reystov: Kenji Nomura (Geld in That Time I Got Reincarnated as a Slime)
Bagley: Minoru Inaba (Daruma Ujiko in My Hero Academia)
Ethelbald: Atsushi Tamaru (Akira Kunimi in Haikyu!! L’asso del volley)
Per quanto riguarda lo staff, l’anime è diretto da Yuu Nobuta (High School Fleet, Kuma Kuma Kuma Bear) e sceneggiato da Tatsuya Takahashi (I’ve Been Killing Slimes for 300 Years and Maxed Out My Level, Eromanga Sensei). Il design dei personaggi è invece affidato a Koji Haneda (Scared Rider Xechs, Yarichin Bitch-bu).
In una città in rovina popolata dai morti, lontana dalla civiltà, vive un ragazzino umano chiamato Will. È stato cresciuto da tre non morti: l'eroico guerriero scheletro chiamato Blood, la mummia sacerdotessa chiamata Mary e il mago spettrale chiamato Gus. I tre hanno insegnato al ragazzo ciò che sanno e gli hanno dato tutto il loro amore.
Il ragazzo inizia un giorno a chiedersi: “Chi sono?”. Will inizierà a scoprire i misteri dei non morti di questa città. Comprenderà l'amore e la pietà degli dei buoni, ma anche la paranoia e la follia di quelli malvagi. E una volta imparato tutto ciò, si cimenterà nella via che porta a divenire paladini.
Lanciata online nel 2015 sul sito Shousetsuka ni Narou, la light novel ha iniziato ad essere pubblicata da Overlap dall’anno seguente e attualmente conta quattro volumi.
Dal 2017 ne viene serializzata online anche una versione manga, curata da Mutsumi Okuhashi (Hai to Gensou no Grimgar), giunta al 7° volumetto.
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Autore: SilenziO)))
[FONTE]
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Siamo alla follia totale. In Umbria, dopo aver perso il tracciamento del virus e dei contatti, la destra ha pensato di risolvere tutto così: facendo pagare le propria incapacità ai cittadini. E per pagare intendiamo letteralmente. Perché quei cittadini che decideranno di rivolgersi ai laboratori privati per effettuare i test rapidi (il cui costo è di 40 euro), saranno costretti ad effettuare anche il test molecolare di conferma nello stesso laboratorio, con prezzi che si aggirano tra gli 85 e i 120 euro. Ma a pagare questa imposizione non sarà la Regione. No. Sarà il cittadino, con le sue tasche. Un cittadino che, magari, pensava persino di fare il bene dei suoi cari e della sua comunità evitando di intasare il pubblico e favorendo il tracciamento, sarà costretto a pagare circa 160 euro. Si tratta, evidentemente, non solo dell'ennesimo regalo della destra ai privati, non solo di una follia che disincentiverà gli asintomatici a fare il test, ma di una clamorosa ingiustizia nei confronti dei più poveri e di chi ha meno. È la sanità pubblica che deve farsi carico dei pazienti positivi al test rapido: la Giunta Tesei cambi subito questa delibera inaccettabile. Perché la salute è un diritto di tutti, non un privilegio per pochi! Tommaso Bori
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Il problema con Mammamiamammà
Uno dei temi più ricorrenti all'interno di questo gruppo è l'eterno dibattito intorno a Mammamiamammà. Un pezzo che senza dubbio divide l3 fan. Chi lo apprezza da una parte, chi ne critica il messaggio dall'altra. Con questo mio post spero di riuscire nell'impresa di far capire a3 prim3 le ragioni de3 second3 e viceversa. Perché sì, ci sono delle ragioni: non è vero che chi lo critica non l'ha capito mentre chi lo osanna l'ha fatto. Siamo in un gruppo di cultisti di Caparezza: 90 volte su 100 siamo persone intelligenti e con un buon senso critico per cui il testo è stato capito da entramb3, visto che si tratta anche di uno dei testi più semplici del nostro. Solo che ad alcun3 il messaggio piace, lo ritengono attuale. Ad altr3 non piace, lo ritengono superato.
Prima di iniziare con l'analisi del testo dovrei scrivere diecimila premesse e penso che sarebbe difficile seguirle sia per chi legge, sia per me che scrivo. Per cui iniziamo subito e vediamo di fare un discorso più organico dopo.
Analisi del testo
Strofa 1
Profumi, sigari che fumi,
lumi e paralumi
Costosi costumi e viaggi ad Ostuni
Tieni più ai nani da giardino che al tuo piccino
Capa inizia a definire il profilo della donna che vuole criticare. Una donna che più che alla propria prole, tiene alle cose materiali e costose. Si noti come il viaggio ad Ostuni possa sembrare fuori contesto. Un viaggio può essere un'esperienza di vita importante, di arricchimento personale. Qui però è chiaro l'intento dell'autore di utilizzare Ostuni come meta turistica tipica di quelle persone che vorrebbero ostentare (chiaro gioco di parole: ostuni, ostento) un certo stile di vita. (Ne parleremo meglio dopo.)
Segui la regola della pettegola nel salottino
Regola che prevede di riunirsi con altre persone per raccontare di quanto si è migliori degli altri che invece hanno questo, quello e quell'altro di sbagliato. Regola che tipicamente viene seguita da donne. Il concetto di pettogolo uomo non esiste. Tant'è che quando è un uomo a sparlare di altre persone, lo si definisce appunto "una pettegola", al femminile.
Manca che ti fai uno spino e abbiam finito
Lo spinello viene considerata la goccia che farebbe traboccare il vaso, la ciliegina sulla torta. Competerebbe cioè il quadro di quella donna che si vuole criticare.
Una donna con dei figli, non dovrebbe cedere, dice Capa, a questo genere di vizi.
Sputtani tuo marito dici che è impedito
Perché da quando c'ha la fede al dito non t'ha regalato moto ma foto
Fiori di loto, parla e lo interrompi come un coito
Capa se la prende ora con quelle donne sposate che criticano aspramente i propri mariti davanti alle altre persone perché sarebbero diventati, con il matrimonio, degli smidollati. Si criticano le mogli che trattano male i propri mariti tramite violenza psicologica e verbale. Uno stereotipo che tutti abbiamo in mente.
Sbraito pensando ai gioielli, agli sprechi
'Ste mamme attaccate agli anelli più di Yuri Chechi
Di nuovo si critica l'attaccamento ai beni materiali e l'ostentazione: l'apparire.
Vanno dal parrucchiere e non fanno l'amore per non rovinare i capelli
E i papà si fanno pippe sulle chiappe dei calendari Pirelli
La critica prosegue a quelle donne che, per dedicarsi al proprio benessere personale, trascurano i propri doveri coniugali. Qui troviamo per la prima e unica volta all'interno del pezzo la parola e il concetto di Papà. Un padre che, in questa barra, si suppone debba essere soddisfatto nei suoi appetiti sessuali quando lo richiede e che invece, viene trascurato e maltrattato, come i figli, da queste donne che pensano solo a loro stesse.
Dal contesto si capisce che il parrucchiere e i capelli non vengono qui considerati un mezzo di espressione e di valorizzazione della donna in quanto essere umano che ha bisogno di sentirsi bene con se stessa. Non è questo che si critica, bensì il fatto di volerli avere in ordine perché è importante apparire in un certo modo. È chiaro. Tuttavia il discorso è complesso e ne parleremo meglio in seguito.
Ribelli mamme con le zanne come Mammuth
Raffinate da bere birra nel flute
Fluttuano, ruttano, ballano, fanno le sexy messaline
Il lusso è l'unico mangime per queste galline
Ok qui si va sul pesante. C'è un bel miscuglio di roba in questo pezzo. La critica va sostanzialmente alle donne che non si presentano "decorose". Se hai un figlio dovresti comportarti in un certo modo: non puoi ruttare, bere birra o andare a ballare ostentando la tua femminilità. Se lo fai ledi quel concetto di donna raffinata e per bene che si vorrebbe difendere.
Ritornello
Mamma alla moda mamma senza pietà
(Oh mamma, mamma mia, mamma mia mammà)
Attaccata a ogni cazzata che ti dà la vita
(Oh mamma, mamma mia, mamma mia mammà)
Con il pisello che dà virilità
(Oh mamma, mamma mia, mamma mia mammà)
Ma preferivo la mamma all'antica
(Oh mamma, mamma mia, mamma mia mammà)
Nel ritornello fa finalmente la sua comparsa la parola Mamma! La critica va alle mamme. Le donne con figli sono definite tali. Quando hai un figlio non sei più semplicemente una donna ma una mamma. La mamma non è un ruolo. È una condizione. Le mamme non dovrebbero badare alla moda o agli oggetti materiali o alle proprie esperienze di vita personali. C'è qualcosa di più importante: i figli. Il mondo di una madre dovrebbe girare intorno a loro come per le madri di un tempo.
Strofa 2
Mamme moderne, single eterne
Ricche di petto, scarse di cervelletto
La critica riprende questa volta contro le donne che, sebbene abbiano dei figli, non si sposano o, se lo fanno, si comportano comunque come se fossero single. Cosa che, se hai figli, non dovresti fare.
La seconda barra fa invece riferimento al classico stereotipo della donna stupida ma con un grosso seno.
Non lavorano a ferri, ci si metton sotto
Queste madri non lavorano a maglia come facevano quelle di un tempo (che l'artista preferisce) ma bensì si sottopongono ad interventi di chirurgia estetica per cambiare il proprio aspetto. Anche qui, come per la messa in piega, il discorso è più ampio e ne parleremo meglio in seguito.
Sottometton manager con corpicini Schwarzenegger
Qui si criticano, di nuovo, quelle donne che circuiscono uomini di potere o con fisici scultorei. Costoro, nonostante il ruolo e la posizione che ricoprono, finiscono per essere sottomessi da chi qui si critica.
Streghe 'mbriaghe, alito tipico strong lager
Vengono descritte come ubriache e vengono chiamate streghe. Di nuovo un riferimento alla birra che, ricordiamolo, se sei madre non puoi bere.
Un breaker lo pulisce meglio il pavimento
Persino io se mi cimento quando scopo sto più attento
Non sono neppure brave a tener pulita la casa. Persino Caparezza, che è un uomo, se si mette d'impegno, può fare meglio. Come puoi tu, donna, e per giunta madre, essere da meno?
Inoltre qui si fa riferimento al verbo scopare come sinonimo di fare sesso e si intende che è in quello che dovrebbero stare attente le donne, per non rimanere incinte.
Sognano amori alla via col vento
Felici e contenti con certi
Clark Gable perdenti
Che passano alimenti
Ancora si parla di quelle donne che cercano l'uomo bello e impossibile per poi spennarlo.
Anche gli anni passano, i bimbi crescono
Le mamme imbiancano a vista
Di fisso dall'estetista
Qui abbiamo una citazione a un brano di Bennato. Quando la donna madre invecchia, le vengono i capelli bianchi e allora ecco che corre dall'estetista per sembrare di nuovo giovane. Cosa criticata perché le madri di un tempo erano invece fiere del loro aspetto. Solito discorso del parrucchiere che approfondiremo...
Questa mamma del cosmo, con passioni lesbo
Elogia la follia più di Erasmo da Rotterdam
L'"elogio della follia" è una delle opere più conosciute del filosofo olandese Erasmo da Rotterdam. Capa etichetta come follie le avventure omosessuali che talvolta queste donne hanno.
Vuole un palace tipo Buckingham
Mastica chewing gum
Figli come Ricky Cunninghum
E invece caga rospi tipo Ranatan dal deretan
E ballerebbe il Can Can pure con il premaman
Queste madri di oggi vorrebbero vivere in dimore principesche come Buckingham Palace e avere dei figli perfetti come lo era Ricky Cunninghum nella serie Happy days mentre hanno dei figli che paiono dei rospi. Inoltre si critica il fatto di masticare chewing gum e di ballare durante la gravidanza sempre perché ciò andrebbe a ledere quell'immagine raffinata che la madre dovrebbe trasmettere.
Ritornello
Mamma alla moda mamma senza pietà
(Oh mamma, mamma mia, mamma mia mammà)
Attaccata a ogni cazzata che ti dà la vita
(Oh mamma, mamma mia, mamma mia mammà)
Con il pisello che dà virilità
(Oh mamma, mamma mia, mamma mia mammà)
Ma preferivo la mamma all'antica
(Oh mamma, mamma mia, mamma mia mammà)
Strofa 3
Son tutte belle le mamme del mondo, hai ragione
Ma fanno figli solo se il seme strappa il goldone
Le donne qui criticate sono quelle che fanno figli non perché li vogliano, ma perché capita, quando ad esempio, si rompe il profilattico. In caso contrario non lo farebbero mai. La maternità non è vista da costoro come un valore ma come un incidente.
Funziona che quando il bimbo ha fame e geme
Imbocca la tetta col latte al silicone e buona colazione
Si critica ancora chi fa ricorso alla chirurgia estetica per rifarsi il seno. Da madre, questo è mal visto perché il tuo corpo dovrebbe essere al servizio della prole che ha bisogno di allattare e non può essere costretto a sentire un sapore di silicone.
Mamma preziosa più di una gemma della Golf
Che chiama la colf pure per spostare un bicchiere
Questo tipo di mamme per Capa non vale nulla. Come la gemma catarifrangente dell'auto (la Golf) in contrapposizione a una gemma preziosa appunto.
Sono donne svogliate che rifuggono la fatica chiedendo alle cameriere di compiere per loro anche i lavori più semplici.
Vuole miliardi di mariti ammucchiati da guinness dei primati
Presi e lasciati in una botta, tipo patata quando scotta
Quel che queste donne vogliono è cambiare l'uomo con cui stanno di continuo. Passando da un matrimonio all'altro nel più breve tempo possibile come se fosse il gioco della patata bollente.
L'aria butta male quando la mamma appare sfinita
Per queste donne le cose si fanno complicate quando, con la vecchiaia, non sono più capaci di mantenere un tale stile di vita.
Ha preso Liz come modello di vita e non c'è riuscita
Si è tatuata dappertutto, sembra un galeotto
Al posto della bocca c'ha un canotto
Vorrebbero essere come Liz Taylor: icona femminista che ha sdoganato il concetto di donna come figura sessualmente potente e consapevole ma non ci riescono. Al più si riempiono di tatuaggi e si ingrossano le labbra.
Qui i tatuaggi vengono visti come una cosa negativa tipica dei galeotti e si demonizzano ancora i ritocchi estetici.
Ed il suo motto è me ne fotto della famiglia sono moderna
Come hobby colleziono campioni di sperma
Queste donne moderne non pensano affatto alla famiglia (che viene vista come il valore più importante per una madre). Preferiscono piuttosto cambiare in continuazione partner sessuali dando più importanza al sesso che ai figli.
Ferma nelle mie opinioni con scassacoglioni come prole
La donna in questione è colei che considera i propri figli come una palla al piede.
Di mamma ce n'è una sola ma quante mamme restano sole? Eh?
Qui abbiamo un cambio di rotta. Di mamma ce n'è una sola è una celebre commedia degli anni 70 ma è anche un modo di dire abbastanza noto per dire che la madre è unica. Al contrario il partner e le amicizie cambiano. Si contrappone questo concetto col fatto che molte mamme rimangano sole, abbandonate dai propri figli che si allontanano da loro crescendo. Forse proprio perché seguendo questo stile di vita si sono dimostrate madri terribili.
Ritornello
Mamma alla moda mamma senza pietà
(Oh mamma, mamma mia, mamma mia mammà)
Attaccata a ogni cazzata che ti dà la vita
(Oh mamma, mamma mia, mamma mia mammà)
Con il pisello che dà virilità
(Oh mamma, mamma mia, mamma mia mammà)
Ma preferivo la mamma all'antica
(Oh mamma, mamma mia, mamma mia mammà)
Le critiche insensate
Sempre per il fatto che siamo in un gruppo frequentato da persone tutto sommato intelligenti, voglio credere che nessuna delle critiche mosse qua dentro sia dei tipi qui elencati.
Caparezza dice che tutte le madri moderne sono così ma non è vero!!!
Certo che non lo è, e Capa non lo dice MAI. Non si criticano tutte le donne/mamme moderne ma solo alcuni specifici tipi di donne.
Caparezza critica la donna in carriera!!!
Ma anche no! Ancora, si criticano le donne che davanti alla famiglia mettono il proprio benessere personale, l'apparire, non la carriera. Una cosa non esclude l'altra, è vero, ma nel pezzo non si fa alcun cenno al lavoro. Viene forse fuori un po' dal sottotesto in alcune barre ma non è assolutamente quella la critica che viene mossa nel pezzo!
Caparezza è maschilista!!!
Certo che no. Non lo è. Basti pensare a "Un vero uomo dovrebbe lavare i piatti" MA questo brano ha al suo interno tracce di maschilismo, o di sessismo. Ne parleremo meglio in seguito. Ciò però non significa che Capa sia maschilista. Semplicemente è un brano scritto da un ragazzo di 28 anni che viveva in una società in cui l'ostentazione criticata era preponderante e la sensibilità su alcuni temi era profondamente diversa. Ripeto... ne parleremo più avanti.
Le critiche sensate
Messe da parte le critiche insensate che sicuramente nessuno in questo gruppo si sognerebbe di sollevare, rimangono quelle, invece, ben supportate da fatti, argomenti e opinioni costruite nel corso di una vita. Tali critiche, già solo per il fatto di essere concepite con criterio, meritano rispetto, anche da parte di chi vuol difendere il brano a spada tratta, a patto, certo, che vengano esposte con educazione. Etichettare chi prova ad argomentare e spiegare cosa non vada nel brano come unə stupidə, dice molto più di voi che di ləi.
Per esporre e argomentare le critiche sensate partirò dall'inizio del brano citando i pezzi che per primi sollevano determinate obiezioni. Per poi concludere con le critiche sul pezzo in generale.
Prima però devo fare una doverosa digressione sul concetto di Morte dell'Autore.
La Morte dell'Autore
È importante aver chiaro questo concetto per non cadere nel banale errore di citare le interpretazioni date al brano da Caparezza stesso. Mi spiace dirvi che quel che Caparezza dice del suo stesso pezzo non ha alcuna importanza. Chi lo ascolta non lo fa con l'autore di fianco che gli spiega, parola per parola, il messaggio che si voleva dare. È un concetto molto noto in letteratura che serve a far capire che un opera è tale in quanto viene interpretata da ciascuno a suo modo. Se il testo è facilmente equivocabile non si può fare una colpa a chi lo equivoca di non aver letto il pensiero dell'autore in merito. Badate bene che mi riferisco a testi interpretati con criterio, raziocinio e attenzione, non a chi interpreta "Fuori dal tunnel" come se si parlasse di droga o a chi pensa che "Vieni a ballare in Puglia" sia un brano allegro. Mi riferisco a chi, come i membri di questo gruppo, spende ore e ore ad analizzare i testi di un artista che ama per sviscerarne ogni significato nascosto, ogni riferimento celato, ogni gioco di parole geniale. L'operazione Exuvia Experience e le interviste rilasciate da Capa con l'uscita dell'ultimo album sono apprezzabilissime e forniscono tantissimo materiale di discussione tra noi appassionati ma non aggiungono né tolgono nulla, NULLA, ai brani di quell'album che possono e devono essere analizzati dettagliatamente senza tener conto di queste informazioni aggiuntive che al più possono abbellire l'analisi con qualche aneddoto ma non possono e non devono cambiare l'interpretazione che un fruitore dell'opera si sente di dare.
Bene. Chiarito questo, cominciamo.
Ostentare non è sempre sbagliato
Cominciamo subito col primo pezzo in cui si critica questa voglia di apparire, questo attaccamento a oggetti materiali o ad esperienze di vita costose.
Come ho già detto, ad esempio, il viaggio ad Ostuni può essere un'esperienza di vita importante, di arricchimento personale. Perché una persona dovrebbe privarsene solo perché madre? E perché dovrebbe essere sbagliato fumare sigari?
Il senso di questo incipit sta tutto nella frase "Tieni più ai nani da giardino che al tuo piccino" che è un po' il tema centrale dell'intero brano ma quest'accozzaglia iniziale di cose messe a caso lascio spazio a troppi fraintendimenti. Ho già detto, di nuovo, che lo si fa per rimarcare un concetto di voler apparire a tutti i costi ma non funziona perché non tutte le madri che fumano o viaggiano ad Ostuni lo fanno per quello.
Badate bene che non sto dicendo che il pezzo non funziona o che il messaggio è fraintendibile per questo. Dico solo che è una critica sensata e che vale la pena discuterne anziché tacciare di stupidità chi la solleva, a prescindere. Anche perché, le discussioni, non devono per forza finire con una parte che prevale sull'altra, con una parte che convince l'altra. È anche possibile che si discuta per uscirne entramb3 più consapevoli, arricchiti culturalmente e intellettualmente, pur rimanendo delle proprie idee.
Detto questo, c'è anche una seconda questione, che da il titolo a questa sezione. Se diamo per assodato che tali viaggi siano fatti e tali sigari siano fumati per apparire, questo sarebbe un lecito motivo di critica e di indignazione?
Apparire per molti significa essere, e questo è considerato, da una buona fetta di persone, come sbagliato, se non addirittura oltraggioso! "Tu sei ciò che sei! Non ciò che ostenti". Ed è sicuramente vero. La cultura dell'apparire, però, nasce da un esigenza che il terzo millennio e, soprattutto, gli ultimi anni hanno generato in frotte sempre più greme di giovani. Quelli di uscire vittoriosi dall'inevitabile confronto sui social network, dove tutt3 sono perfett3. Vi linko un video di Breaking Italy (che spero conosciate) recentissimo in cui si parla proprio di questo fenomeno. Sotto sono anche riportate le fonti. In un mondo del genere, in cui chi non riesce ad apparire al pari o superiore ai suoi coetanei, spesso si suicida, possiamo davvero sentirci in pace con la coscienza nel criticare così aspramente un tale comportamento? Non sarebbe meglio affrontare il problema di petto e cercare di capirne le cause? Trovare delle adeguate soluzioni? Piuttosto che additare il prodotto di una società malata come, appunto, malato, sbagliato?
Anche stavolta faccio la stessa raccomandazione di cui sopra: è un problema reale al quale alcun3 danno peso. Se non è un problema per te non significa che non esista o che la critica non sia sensata e che non se ne possa discutere, anche fuoriuscendo dal contesto Caparezza.
Faccio notare infine che questo particolare problema non esisteva, o per lo meno non in maniera così marcata, quando il pezzo uscì, quindi ci sta che all'epoca la cosa fosse percepita diversamente.
La differenza di genere
Altra questione spinosa è quella della differenza di genere percepita in alcuni punti del testo.
Ovviamente non mi riferisco nello specifico al fatto della pettegola di cui ho già accennato nell'analisi ma tutto ciò che a questo divario fa riferimento anche dopo. La figura della donna che sputtana il marito è uno stereotipo a cui siamo certo abituati ma dobbiamo renderci conto che se questo è un male (e lo è), spesso e volentieri si verifica l'opposto. Quanti mariti ci sono che parlano male delle proprie mogli con disinvoltura magari alludendo al fatto che non sappiano cucinare o al fatto che a letto siano frigide o che non sappiano guidare etc. Ai tempi delle mamme pancine sappiamo anche quante donne spesso debbano chiedere il permesso al marito prima ancora di poter parlare. Chiaro che questo non sia il tema di questo pezzo e che non ci sarebbe stato modo di parlarne in questo frangente ma scegliere di rimarcare questo comportamento com quello di una cattiva madre quando nessuno si sognerebbe di fare il contrario per definire un cattivo padre può essere visto come un problema. Se un uomo tratta male sua moglie è un cattivo marito ma non un cattivo padre. Per la donna è diverso perché madre significa, per forza di cose, anche moglie. Ed è questo il problema. Quest'associazione per nulla scontata che invece viene trattata come tale! La donna non può certo mettere il benessere personale (il mantenere la piega) davanti ai doveri coniugali! I desideri sessuali del marito vanno soddisfatti altrimenti non sei una buona madre. (Su questo torniamo dopo perché è più complesso.)
Un uomo può ovviamente bere birra e ruttare ma una donna, soprattutto se madre, non può farlo perché perde quell'aura di raffinatezza che gli uomini non sono tenuti a rispettare.
Soprattutto la questione pulizie è molto indicativa di questo concetto. La donna, la madre, deve sapere spazzare il pavimento come si deve. È tenuta a farlo. Non può certo essere il marito, uomo, ad avere questo compito. Il paragone con Capa che lo farebbe meglio di loro è certamente goliardico ma il messaggio è quello: io uomo non ho necessità di spazzare il pavimento eppure vi riesco meglio di te, donna, che invece dovresti sapere come si fa perché il tuo posto è quello.
Il fatto poi di dover essere LEI quella attenta quando si strappa il profilattico è ancor più indicativo. Si stanno criticando le donne che non vogliono avere figli? (Sarebbe gravissimo, ma ne parliamo meglio dopo.) O semplicemente si critica la ragazzina che non fa sufficiente attenzione durante il rapporto sessuale? No, perché in questo secondo caso, l'uomo che fine fa? Non ha nessuna responsabilità? È solo lei a dover stare attenta? Lui non partecipa al concepimento?
Concludiamo questa disamina con l'accenno al cambio continuo di mariti e di partner sessuali. Consapevoli che nel 2021 questo non è o non dovrebbe essere un problema in generale, nel momento in cui comunque lo diventa, lo è solo per le donne. La celebre frase "Una chiave che apre tutte le serrature è una grande chiave ma una porta che si fa aprire da tutte le chiavi è una porta di merda" immagino la conosciate tutti. Sì perché per l'uomo é moralmente e socialmente accettato il fatto di cambiare spesso partner ma la donna che lo fa è certamente una puttana. E se madre è ovviamente ancora peggio!
Per ora chiudiamo temporaneamente l'argomento ma lo riprenderemo nell'analisi della prossima critica.
La madre come condizione
Questo è probabilmente il problema più grosso. L'elefante nella stanza. È il motivo principale per cui, un pezzo del genere, non può essere preso come un pezzo incriticabile.
Nell'analisi del testo ho cercato di parlare quasi sempre di donne con figli prima che di mamme. Questo perché essere madre è un ruolo che la donna ricopre tanto quanto l'essere un medico, una manager, una casalinga, una sportiva, una a cui piace la musica o il teatro e chi più ne ha più ne metta. A differenza degli altri è un ruolo che, una volta ricoperto, non abbandoni per tutta la vita ma rimane un ruolo. Non una condizione. Nessuna donna è tale in quanto mamma. Nessuna mamma é una madre PRIMA di essere donna.
Questa suddivisione nel brano si perde completamente. La donna viene annientata per far posto alla madre, che deve smettere di essere sé stessa. Deve smettere di divertirsi, smettere di avere rapporti occasionali, smettere di drogarsi, di fumare, di bere. Soprattutto deve smettere di essere o comportarsi da single. Perché dal momento del concepimento, lei è diventata una madre e, in quanto tale, il suo unico scopo è quello di crescere la propria prole nel miglior modo possibile.
È un messaggio gravissimo se si considera il numero enorme di donne che oggi soffre di depressione post parto. Una condizione che incorre quando la donna si sente svuotata del suo essere, si annienta in favore dei figli. Sente di essere stata una mera incubatrice per nove mesi e una mera fonte di cibo nei mesi successivi.
Ed è grave anche perché la società fa pesare alle donne l'allontanamento dai figli. E lo fa in maniera diseguale. Se una madre, oltre a star dietro ai propri figli, riesce ad avere una carriera (diciamo 50 e 50), sta facendo un po' meno di quanto dovrebbe fare, perché dovrebbe stare un po' più coi figli. Se invece a farlo è un padre (stesse percentuali) allora è il padre dell'anno perché wow, è anche riuscito a trovare il tempo per i propri figli!!!
Queste disparità esistono e se anziché prenderne le distanze, rimarchiamo concetti come quelli espressi in questo pezzo non facciamo altro che esacerbare questa sensazione di inadeguatezza in tali donne.
Ancora una volta voglio ribadire il concetto che non parliamo di una verità assoluta. Non è che è così e basta. Se siete convint3 che la donna madre debba annientarsi per i figli va bene. Cioè non va bene ma parliamone, discutiamone, creiamo un dibattito su questo. Ma non potete pretendere che la vostra visione del mondo sia imposta agl3 altr3 che devono sottostarvici. Così come chi scrive non può pretendere che tutti riescano a capire un concetto terribile come la depressione, per fortuna. Tuttavia quel che si chiede è, ancora una volta, di non uccidere il dibattito in partenza pretendendo di aver ragione. È più complicato di così.
La demonizzazione degli interventi estetici
Concetto un po' antiquato è quello che prevede che per essere se stessi bisogni essere genuini. Per essere veri, per essere di esempio e soprattutto per essere madri, bisogna non pensare alle apparenze. A come ci si presenta. A come ci si vede allo specchio. Quindi al bando tutti gli interventi estetici come rifarsi il seno o le labbra. Al bando i tatuaggi. Al bando addirittura la messa in piega dal parrucchiere.
Il problema è che, finché ti vedi bellə va tutto bene. Ma appena inizi a dubitare di te stessə, del tuo seno, delle tue labbra, del tuo naso, la tua pancia, allora stai sbagliando. Non hai niente da correggere. Sei perfettə così come sei.
Ma non è sempre facile. Essere a proprio agio col proprio corpo è una questione fondamentale per vivere bene e se è vero che la psicoterapia può aiutare ad accettare quelli che fino a prima si riteneva difetti estetici è anche vero che in una società ideale (che immagino sia quella a cui aspiriamo) ogni essere umano dovrebbe esimersi dall'esprimere qualunque tipo di giudizio estetico sull'altro e soprattuto dovrebbe esimersi dall'esprimere qualunque tipo di giudizio morale sulle scelte altrui. Perché se una persona vuole, per se stessa, per stare meglio nella vita di tutti i giorni, rifarsi il mento, il naso o il sano, chi siamo noi per dirle che sbaglia? Per dirle che deve tenersi il corpo che la natura le ha concesso? Puoi tagliare i capelli anche se la natura ha voluto che crescessero per sempre e smaltare e tagliare le unghie ma guai a toccarti altre parti del corpo! E perché mai?
Ovviamente non stiamo dicendo che tagliarsi i capelli e rifarsi il naso abbiano lo stesso impatto. La prima decisione è facilmente reversibile. La seconda no. Per questo motivo è molto importante portare avanti un discorso culturale di consapevolezza. E decisioni del genere andrebbero prese dopo un consulto psicologico sempre e comunque. Tuttavia smettiamola di puntare il dito e decidere noi cosa vada bene e cosa no dall'alto della nostra personalissima morale.
L’uscita infelice sull’omosessualità
Qui si potrebbero anche chiudere gli occhi perché si tratta di un’unica frase ma il fatto che si dia per scontato che se hai avuto figli, non puoi in realtà essere omosessuale è davvero un’uscita infelice.
Conclusioni
Con questo mio post non voglio far cambiare idea a nessuno. Spero solo che sia chiaro che spesso non si critica qualcosa per ignoranza o per stupidità ma semplicemente perché siamo divers3. Abbiamo opinioni diverse sulle cose che nascono da esperienze di vita diverse e nessuno detiene la verità assoluta. Affrontate sempre le discussioni non per far prevalere la vostra visione ma per rendere gl3 altri3 partecipi che tale opinione esiste. Starà poi a loro valutare se possono farla propria, ripudiarla o raggiungere un compromesso ma ne usciranno arricchit3 e lo stesso farete voi se ascolterete gl3 altri3 con la stessa attenzione che vorreste loro dessero alle vostre parole.
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Ménage à moi
CinziaRicci763
Tutto in un'ora: L'incontro, lo stupore, il sesso.
Presi la carrozza che a occhio mi sembrò meno piena e rimasi di lato all'entrata, in piedi. Per un po' respirai, ma dopo un paio di fermate lo spazio divenne sempre di meno e sentii i primi appiccicosi strusciarsi addosso. Mi spostai ma servì poco, mi ritrovai intrappolata da un tizio che sarà stato alto un metro e novanta. Il conducente cominciò a frenare in prossimità della fermata e il tizio dietro colse quel momento per spalmarsi su di me facendomi sentire il suo bel cazzo duro. Mi voltai indispettita pronta a urlargliene di tutti i colori ma appena lo vidi in viso le parole mi morirono sulle labbra. Cristo santo come era bello! Tenebroso e serio mi fissava con quegli occhi scuri ma accesi come due fuochi. I lineamenti erano tesi e rigidi, le labbra carnose ma virili, di quelle che baciano e leccano bene pensai. Lui mi sorrise quasi avesse capito il mio pensiero e io mi imbarazzai divenendo rossa. Non riuscendo più a sostenere il suo sguardo mi voltai e ripresi fiato. La metro frenò in prossimità di un'altra fermata e sentii nuovamente il suo cazzo tra i miei glutei. Rimasi immobile quando capii che lo faceva di proposito, si strusciò più volte e spinse il bacino sul mio culo tenendomi con una mano il fianco destro, facendomelo sentire davvero bene. Sospirai chiudendo gli occhi e mi sorpresi a sentire un calore divampare tra le cosce, mi bagnai desiderando quel cazzo sconosciuto, un uomo che sarebbe potuto essere anche un assassino. Finalmente la mia fermata arrivò, mi spostai verso le porte e appena si aprirono schizzai fuori fuggendo, ma fu inutile, a ogni passo o svolta me lo ritrovavo sempre accanto finché quando arrivammo sulle scale che ci avrebbero condotto in strada lui mi afferrò il braccio costringendomi a voltarmi. Mi schiacciò sul passamano avvicinando la bocca alla mia. Lo guardai negli occhi e mi sentii morire. Ansimai socchiudendo gli occhi. Ero eccitata, da un perfetto estraneo, dovevo essere impazzita.
"Vuoi scopare?" mi chiese.Mi afferrò per un polso e mi trascinò su per le scale fino in strada, uscimmo dalla metro, camminò veloce avanti a me e faticai a stargli dietro con i tacchi alti. Non ebbi il coraggio di fiatare, il cuore accelerò i battiti fino a sentirlo scoppiare in petto. Ebbi paura, la salivazione si azzerò e per alcuni secondi provai una sensazione strana, quella di venir rapita. Cosa diavolo stavo facendo? E perché? Imboccò un vicolo dalla via principale dove poco più avanti si trovava il mio ufficio, ancora passi affrettati come se la sua urgenza di scoparmi crescesse a dismisura. Si fermò davanti a un portone aperto e mi trascinò all'interno. Prendemmo l'ascensore fino all'ultimo piano e in quello spazio così ristretto i nostri occhi non poterono non incrociarsi. La sua espressione mi intimorì, sempre dura, torva, impassibile ma visibilmente eccitato. Volli scappare, andare via, non mi piaceva più.
"Senti, sto facendo una pazzia, non so perché ti ho detto sì, non è da me, io vado via."
Le porte dell'ascensore si aprirono e lui mi afferrò nuovamente per un polso e mi portò fuori. Salì le ultime rampe di scale fino alla terrazza, aprì la porta e ci ritrovammo soli, all'aria aperta, con solo il cielo sopra le nostre teste.
"Non mi hai sentito? Voglio andare via!"
Feci per voltarmi ma appena la mia mano si appoggiò sulla maniglia della porta della terrazza da cui uscimmo mi tirò via per spingermi addosso al muro. Mi circondò la vita con entrambe le braccia e strusciò il suo cazzo tra le mie natiche come fece dentro la metro, ma con più prepotenza.
"Io non mi arrendo, se voglio una cosa me la prendo" mi disse sfiorando con le labbra il mio orecchio. Il suo alito caldo mi accarezzò la pelle, la sua voce mi entrò dentro tuonandomi fin giù nel basso ventre. Mi bagnai all'istante e mi sentii persa, mi morsi le labbra soffocando la voglia di urlare. Mi alzò la gonna e avvertii l'aria fresca sulla pelle che unita alla sensazione di situazione sconcia e proibita scatenò un brivido che mi fece tremare.
Sentii le sue dita sfiorarmi l'interno coscia fino a salire su dove accarezzò la stoffa dei miei slip stuzzicando le labbra della mia fica gonfia. Le strappò di colpo ed io saltai sorpresa dalla sua audacia. Vi voltai scostando la testa, poggiando il mento sulla mia spalla e lo vidi inebriarsi del mio odore.
"Mmmmm, sei buona, mi piaci."
Non dissi nulla, ero assuefatta dalla voglia e dallo stupore, un uomo così irruento non mi era mai capitato.
"Queste le conservo io."
Infilò lo slip lacerato nella tasca dei suoi jeans neri per poi slacciarseli. Il rumore della sua cinghia che tintinnava mi provocò un altro brivido che mi fece sciogliere ancora di più, mi voltai di nuovo con la faccia al muro e sentii la punta del suo cazzo strofinarsi tra le labbra della mia fica.
Prese a tormentarmi il clitoride con le sue dita grosse e rozze, lo premette mentre con l'altra mano passava come un pennello la cappella su tutta la lunghezza della mia fessura.
"Ti piace puttana?"
Non ebbi il tempo di rispondere, mi penetrò con un colpo, poi un altro e mi fu dentro. Piena, riempita, impalata dal cazzo enorme di un perfetto sconosciuto.
"Oh Cristo!" urlai sgranando gli occhi.
"Zitta, non urlare!"
Mi tappò la bocca e cominciò a muoversi emettendo versi gutturali. Per avere una migliore penetrazione mi sollevò una gamba, mise una mano sotto piegatura del ginocchio e lo alzò fino a farmelo arrivare all'altezza dei fianchi. Da lì non si fermò più, mi bloccò al muro senza più scampo, mi scopò come un forsennato colpo dopo colpo straziandomi. Gemevo forte ma i miei gemiti venivano soffocati dalla sua mano dove la mia bocca estasiata assaggiò il sapore della sua pelle. Si tolse all'improvviso, mi afferrò per i capelli e mi costrinse a voltarmi per poi farmi inginocchiare, mi infilò il cazzo bagnato dei miei umori in bocca e tenendo ben salda la mia testa mosse i suoi fianchi avanti e indietro. Pochi secondi e un fiotto caldo di sperma mi arrivò in gola, si mosse ancora mentre veniva come un fiume in piena ansimando come un porco. Inghiottii più che potei per non strozzarmi ma rivoli di sperma fuoriuscirono dalla mia bocca colandomi dapprima sul mento e poi in terra.
Rimase fermo qualche istante rigido per far cessare gli spasmi del suo orgasmo poi si tolse ed io finalmente riuscii a prendere un bel respiro. Si ricompose senza curarsi di pulirsi, poi passò una mano sul mio viso imbrattandolo ancora di più col suo sperma.
"Andrai al lavoro così, e mi penserai mentre sentirai ancora il mio sapore e il mio odore addosso sul tuo bel faccino. Non ne sei felice?"
Non risposi, mi limitai a guardarlo mentre con un sorriso strafottente si avviò verso la porta dove incurante di lasciarmi in quello stato sparì. Mi ricomposi anche io, mi pulii il viso con delle salviettine che tenevo in borsa e mi avviai al lavoro sentendo ancora il bruciore ardermi la carne ormai nuda sotto la gonna. Non combinai nulla quel giorno e la sera, una volta giunta a casa, mi feci una doccia, mi sdraiai sul letto accavallando le gambe. Mi toccai la fica ancora dolorante e il pensiero andò a lui, lo sconosciuto. Chissà qual'era il suo nome, non lo saprò mai, pensai. Nonostante mi fossi lavata avvertii ancora l'odore del suo sperma come se fosse penetrato nella mia carne, come se si fosse stampato come a marchio della mia follia. E adesso? Che faccio? Pensai. Niente, che vuoi fare. Adesso resta solo il suo odore, sulla pelle, nello stomaco, incastrato lì tra le costole delle mie emozioni, e so già che non andrà più via.
Mi addormentai con uno strano dolore dentro, di quelli che non fanno male da piegarsi ma che se restano così logorano fino a consumare.
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“Quel poco che aveva destinò a costruire un ospizio per matti”. Jonathan Swift, la cacca e i versi sulla sua morte
Jonathan Swift (1667-1745) ha sempre desiderato essere uno scrittore di mer*a, perlomeno è riuscito a essere il miglior scrittore di mer*a della storia, o meglio, il più sagace scrittore della mer*a. Per Jonathan (che letteralmente significa “donato a Dio”) il mondo è una immane cloaca a forma di canyon e l’uomo è la fetta di popò che l’attraversa, fino a disciogliersi, dopo morto, nello stagno, giù in fondo. Questo orrore verso l’umano – che ha qualcosa di gnostico prima che di surreale – allegoricamente e fisicamente trova ragione proprio in quella cosa lì, la cacca, lo sterco da cui non nascono i fiori, come dice la canzone, ma muoiono i sogni di gloria del figlio di Adamo. Cosa produce l’uomo, cotanto intelletto? Merda. Caga, mangia e procrea: questa è la mirabile attività umana e stop.
*
Swift fu la penna più sagace e capace del proprio tempo, una delle maggiori dacché è nato l’alfabeto, ma la cacca, si sa, fa storcere il naso ai critici e agli scrittori che pensano alla scrittura come a una partita di golf in un delizioso pomeriggio inglese. John Middleton Murry, che diresse tra il 1911 e il 1913 assieme a Katherine Mansfield una rivista importante come “Rhythm”, fu il primo ad applicare a Swift l’etichetta di «visione escrementale». Murry, che è lo stesso cervellone che amava Dostoevskij alla follia rimproverandogli «l’oscenità metafisica», ha sempre avuto la tendenza a separare il grano dal loglio, cioè a dire che Swift era un genio, sì, ma la quarta parte del “Gulliver”, ma alcune satire spinte non leggerle è meglio. Di un genio devi accettare tutto, anche le sporcizie, ma i bacchettoni che credono di avere la bacchetta magica non lo capiscono.
*
Aldous Huxley fu un altro che diede una martellata al cerchio e l’altra alla botte. «La grandezza di Swift sta nell’intensità, direi nella quasi folle violenza di quell’odio per gli intestini che è la caratteristica della sua misantropia e che sta alla base di tutta la sua opera», scrive in un saggio del 1926. Ma poi Aldous non ce la fa più, alza il mento all’insù, all’inglese, e bacchetta «l’assurdità, la bambinesca stupidaggine di questo rifiuto di accettare il mondo così com’è» di cui sarebbe reo Jonathan, come fosse un difetto, codesto, e non la spinta originaria che dà gas a ogni grande scrittore, il quale il mondo lo riscrive proprio perché gli fa schifo. Neppure David H. Lawrence riuscì a tapparsi la bocca e in un saggio sulla sessualità in letteratura eccolo sparare la bomba contro Swift, «così perverso, così innaturale, così umanamente sbagliato». Leggere tali improperi ci fa amare ancora di più Jonathan il Folle, il quale risolse i problemi a tutti impazzendo, definitivamente, nel 1742, a settantacinque anni. Ah, ecco perché scrisse quelle cose lì, era tocco, ghignano i santi.
*
A difendere il genio e la sua «visione escrementale» e a mettere in riga i sapientini fu uno psicoanalista col talento del letterato, Norman O’Brown, che in “La vita contro la morte” (1959) scrive papale: «Gli esperti di psicoanalisi sono d’accordo con i critici nell’affermare che Swift era pazzo e che le sue opere andrebbero lette solo come documenti della storia di un caso clinico». Superbo: ogni opera di genio è anche il resoconto di un caso clinico. Per uno come Norman, che ha scritto che la follia è la matrice della verità, capite bene cosa vuol dire quanto sopra. Caso chiuso.
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Jonathan fu sano come un pesce, ecco il fatto, e se pensava che il mondo era cacca, pensava che cacca era anche lui. Nessuno si salva sotto le cesoie di mastro Swift, figurarsi se si piazza un cuscino proprio sotto il suo deretano. Ecco allora che nel 1731 per sollazzo il genio ti scrive questi “Verses on the Death of Dr. Swift”, tradotti e chiosati da Lodovico Terzi in L’autonecrologia di Jonathan Swift (Adelphi, 2007), e pressappoco si scalcia via la sedia da sotto i piedi, impiccandosi alla meglio. Difficilmente si può dire qualcosa di originale sulla morte, questione su cui sbatte perfino il più acerrimo dei cinici, mutandosi in nonnetto brontolone. Peraltro, questo è esercizio antichissimo, biblico per giunta. Nel celebre cantico di Debora, capitolo quinto del libro dei Giudici, la profetessa s’immagina la madre e le mogli di Sisara, duce appena schiantato e morto con un palo conficcato nella tempia, aggirarsi per il palazzo e domandarsi «Perché il suo carro tarda ad arrivare?», «certo han trovato bottino, stan facendo le parti» (Gd 5, 28; 30). La satira difficilmente salva qualcosa dal massacro. Così Swift, che fin da subito mette le cose in pace dicendo che «il difetto è nel genere umano», non si fa mancare nulla, né l’invidia («Quale poeta non si rode nel vedere/ i suoi colleghi scriver bene come lui?»), né la saggezza («Umana gente, incoerente e vana!/ Delle tue follie non si può fare il conto!»), né l’autodafè («Se n’è andato… e le sue opere con lui,/ soggette anch’esse alla sorte comune»). Onore al vero: anche lui, però, a volte fa il cane fustigato, e il cinismo si sfalda in chiacchiera da sottoscala. Ad esempio quando fabbrica una corte di cartone, con cortigiani e lacché che sospirano «è morto, dici? Be’, marcisca pure». Sul punto ci era andato giù duro qualche anno prima, nel 1722, quando nell’elegia in morte del duca di Marlborough evocò baciapile e parrucconi così: «Venite qui, tutti voi, gusci vuoti,/ voi, bolle di sapone suscitate dal soffio di un re,/ sempre a galla sull’alterna marea dello Stato».
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Viene da domandarsi, leggendo Swift, cosa sia mai la satira. Essa, guardate Aristofane, guardate Petronio, distrugge per costruire, alla fine sgrana i diamanti dalle palle di popò. Ma Swift no, Swift assedia la città, la devasta e semina sale sulle ceneri. Altro che «la sua vena ironica, e tuttavia severa,/ smascherava lo stolto, sferzava la canaglia», qui si spalanca un baratro per risalire il quale non esiste arpione. E la satira più sferzante di mastro Swift, forse, è quella che il suo devastante “Gulliver” sia divenuto, audacemente addomesticato, lettura per piccini. A questo punto, meglio farglielo leggere integrale, il libro, ai poppanti, così san tutto e subito e uccideranno ridacchiando i propri padri. La vena di Swift, comunque, incompresa ai tempi suoi e incompresa dai paladini della giustizia letteraria, fu trapiantata nel corpo di James Joyce e di Samuel Beckett. Senza il letame di Swift non si spiega né Bloom che caca sul cesso di casa sua, né il delirio compulsivo di Watt, e scusate se è poco. Erano tutti e tre di Dublino, Giacomo, Samuele e Gionata, «là dove regnano alterigia, follia, faziosità». Da lì tutti e tre scapparono, ma a Swift toccò lo scherzo di tornarci e marcire. «Quel poco che aveva destinò a costruire/ un ospizio per matti e deficienti», scrive Jonathan, profetizzando la propria fine, al termine dello sfottò a se medesimo. Prima di firmarsi a modo suo, pazzo ma mica scemo, con quella parolina conclusiva, “Better”, sempre e comunque il migliore. (Federico Scardanelli)
*In copertina: Hyeronimus Bosch, particolare dal trittico del “Giardino delle delizie”, 1480-90
L'articolo “Quel poco che aveva destinò a costruire un ospizio per matti”. Jonathan Swift, la cacca e i versi sulla sua morte proviene da Pangea.
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Riesci a sentirmi? - Giorno 137
La mia giornata è stata un continuo controllare l’orologio. Non vedevo l’ora di uscire dall’ufficio. Alle 18 in punto schizzo fuori sperando di vedere un uomo con la barba folta, visto che Niccolò mi ha confidato di essere sprofondato nuovamente nella depressione in seguito al troncamento dei nostri contatti. Setaccio e scruto ogni passante dalla posizione in cui mi trovo, ma rimango delusa. Non mi resta che attuare il piano B: prendo l'auto e sfreccio verso la sua serra. Giunta sul posto vengo fermata all'entrata del capannone da due cartelli, uno con la scritta “Cessata attività” e un altro con “Vendesi”.
Non posso arrendermi al primo intoppo, pertanto inizio la mia investigazione cercando di reperire qualche informazione dai vicini che, con mia enorme incredulità, mi rendono edotta riguardo al suicidio di Niccolò, avvenuto qualche mese prima. La notizia mi sconvolge, tanto che sono costretta ad andare via in fretta trattenendo a stento le lacrime.
Torno mestamente alla mia abitazione in religioso silenzio. Come varco la soglia di casa afferro il libro per leggere l'esperienza avuta invece da Niccolò. Lui racconta di essersi recato fuori dal mio ufficio e di avermi identificata in base alla descrizione da me fornitagli. Ha riscontrato però alcune differenze. Per cominciare, l’adulatore mi ha scritto un sacco di complimenti sul mio aspetto, facendomi arrossire. Ha poi sottolineato che il particolare che differiva maggiormente rispetto a come mi ero dipinta era la forma fisica. Siccome ho messo su peso negli ultimi mesi, gli ho accennato di cercare una donna quantomeno un po’ in carne, mentre lui ha rilevato tutto il contrario, definendomi decisamente snella. Oltretutto, ha concluso dicendo che ad attendermi all’uscita c’era un ragazzo in moto che mi ha fatto salire in sella per poi dileguarci nel traffico urbano.
Le nostre narrazioni ci aiutano a comprendere che il Niccolò del mio mondo è stato lasciato dalla sua compagna, ma non reggendo l’immenso dolore, si è purtroppo tolto la vita. La mia controparte invece pare non abbia mai scoperto il tradimento del mio ex fidanzato e quindi non ci sono state conseguenze né sulla nostra coppia, né sulla mia linea.
Dopo le nostre riflessioni partoriamo un’idea, che è più un desiderio in realtà. Niccolò scrive: «Io voglio incontrarti, voglio conoscere la vera Camilla». Inutile dire quanto io nutra la medesima speranza. Ecco che allora, con un pizzico di follia, decidiamo che forse possiamo avere un contatto nella sua serra, perché nonostante nel mio mondo essa sia ormai dismessa, lui può spiegarmi come entrare di nascosto. Mi confida infatti il modo per intrufolarmi dal retro, sfruttando una chiave da sempre accuratamente nascosta sotto una piastrella. Concordiamo di sederci entrambi al tavolo che troverò nella cucina di casa sua, uno di fronte all’altra. Tutto ciò entro la prossima ora.
Mi imbelletto come se fosse un appuntamento vero e proprio e salgo subito in macchina. Seguo le istruzioni nei minimi dettagli e in poco tempo mi ritrovo nella sua cucina. Qualcuno verosimilmente si impegna a tenere pulito, forse qualche parente, per non far cadere tutto in malora visto che stanno cercando di vendere lo stabile. Accendo perciò la luce e mi siedo nel posto prestabilito. Apro il libro viola e scrivo: «Sono qui».
La risposta di Niccolò non tarda ad arrivare. Sostiene di essere presente anche lui. Facciamo alcune prove, passando diversi minuti a darci istruzioni su come toccarci la mano, su come accarezzarci la pelle, su come abbracciarci, ma niente sembra funzionare, non sento la benché minima sensazione tattile.
Più il tempo passa, più il morale si abbassa. Ogni tentativo sembra inutile. L’ansia inizia a prendere il sopravvento insieme allo sconforto. Smetto di scrivere e scoppio a piangere. Continua a correre l’orologio e permane il silenzio, intervallato solo dal mio singhiozzare. In preda alla rabbia commetto poi un gesto di frustrazione e inizio a strappare le pagine lasciandone solo una manciata. Infine, prendo il libro e lo scaravento contro il muro. Cadendo a terra, si apre sui pochi fogli rimasti e noto che sono pieni di frasi. Mi alzo e mi avvicino per leggerle: «Io ti vedo! Riesci a sentirmi? Camilla riesci a sentirmi? Riesci a sentirmi?» ed è tutto un susseguirsi delle stesse frasi.
Mi sento persa. La mia speranza si è smarrita. Satura di sofferenza, stringo il libro forte al mio petto, piangendo ormai silenziosamente, senza più un filo di voce.
«Voglio sentirti… Voglio sentirti…» farfuglio sommessamente. Ansimo, e ripeto queste frasi in preda alla disperazione.
«Voglio sentirti… Voglio sentirti…»
Proprio allora comincio a udire dei rumori bassissimi che piano piano divengono sempre più nitidi. Un’ovattata voce maschile continua a ripetere: «Riesci a sentirmi? Riesci a sentirmi?»
Mi giro di scatto e vedo un uomo alto, atletico con una lunga barba incolta. Ci fissiamo negli occhi e lui smette di parlare mentre un sorriso gli si disegna in volto. Non servono parole perché entrambi abbiamo già sentito tutto.
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I “Passages” dalla residenza
Chiamatemi Ismaele: difficile dimenticare quest’inizio. E’ lui il protagonista, il narratore che ci traghetterà all’interno dello scheletro di una nave, che è un pò balena, un pò stanza dell’immaginario dove tutto può accadere di nuovo e più fortemente; attraverso di lui intraprenderemo un viaggio ai confini degli oceani, attraversando stagioni e lune, freddi pungenti e caldi tempestosi, tifoni e naufragi. Insieme a lui vedremo crescere un personaggio attraverso paure e sgomenti, travolgenti gioie e seduzioni marine, amicizie inaspettate e follie sfiorate. Un caldo suono accompagna l’ingresso di D’Elia/Ismaele che ci racconterà attraverso la precisa narrazione lo svolgimento di una tragedia annunciata. Le musiche scandiscono l’azione, l’accompagnano, la punteggiano così come le luci rivelano visioni e fantasmi, pacificano il mare e illuminano di bianco profondi e immensi cieli stellati.E le parole sono dette, abitate dal corpo dell’attore come per la prima volta. Il narratore è preciso, il racconto incalza e accende i sensi, le parole profumano di salsedine e pungenti, come un natale ghiacciato, stridono al suono metallico di lance appuntite. Dal presente del racconto, D’Elia/Ismaele si tuffa nel flashback e si dissolve nei personaggi, poi improvvisamente riappare, e come incredulo, continua a dire le terribili avventure che lui e i suoi compagni hanno vissuto. Di loro restano i fantasmi, che appaiono ad uno ad uno sullo scheletro spettrale del Pequod. Stubb terribilmente pazzo, cinicamente ironico, è il più inquietante. Sturbuck è buono, saggio e inascoltato. Achab è un nome inizialmente, poi un’apparizione. Ogni sua parola ha il sapore della vendetta. La sua follia richiama, anche in alcune battute, la stessa del Re Lear. La morte della Balena Bianca è la sua unica ragione di vita. La sua follia genera alla fine una pena inaspettata. Queequeg il cannibale, il gigante buono tutto tatuato, è il primo ramponiere che incontra e dal quale rimarrà sempre affascinato. E gli altri. Ismaele li nomina, li vede in scena e li accoglie e come per la prima volta ne traccia sempre più nitidi contorni. Apparizioni di navi e balene. La Rachele e la sua disperata ricerca di vita. Le malattie e i calamari giganti. Le estati ai tropici e gli inverni gelidi. I ricordi e i tormenti. Un anno in mare. Tutto è palpabile, l’acqua gelata e la nebbia, il tifone e il mare calmo. L’abisso è silenzio, è vuoto. Poi arriva lei. Lo spruzzo e il biancore che serpeggia tra le onde. Il primo incontro è come un’innamoramento che si tramuta subito in una lotta all’ultimo sangue. La caccia è una danza. Il corpo dell’attore teso vibra, grondante di un racconto sempre più vibrante, lancia la lenza che dritta vola in aria e le parole e i gesti la rendono visibile. Nell’ultima lotta il corpo di D’Elia viene travolto dall’incarnazine di tutti i personaggi che ad uno ad uno vengono scaraventati in mare dalla forza ribelle della Balena Bianca. Il racconto è straziante e il terrore rimbomba nelle parole che vibrano sempre più fortemente quasi scuotendo il vascello immobile. La triste e annunciata fine è giunta.
*nella residenza #Moby Dick
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(Parte tre)
Questo vano ed inconcludente discorso è sì un modo attraverso il quale esprimere un po' della mia persona su questa piccola pagina, per me intimo angolo di condivisione di ciò che più mi ha ispirato e che mi ispira; è però anche una occasione che io colgo, per chiunque stia leggendo, per esaltare il valore dell'espressione personale, e dell'acuta necessità della comunicazione, del contatto, della rivelazione del nostro io.
Amare l'arte, secondo la mia prospettiva, non vuol dire soltanto apprezzare le forme, e lo stile, e la storia, l'estetica, e ciò che bello è di un'opera d'arte. Amare l'arte vuol dire anche vivere di essa, ed ovvero cogliere il tumulto che ogni genere di raffigurazione può suscitare nella nostra mente. Sentirci scossi, ispirati, disturbati, gioiosi, entusiasti, esaltati da ogni forma di espressione! Ho sempre dato molta importanza al sentimento, ed alla rivelazione di esso. Amo il contatto intimo e mai superficiale, che può nascere fra menti sensibili.
Tutto questo discorso è una esaltazione dell'importanza dell'essere, prima del dovere e prima del superficiale e del superfluo.
Ciò che mi ha aiutato, è stato osservare il mondo da una prospettiva più ampia dell'usuale, ed ovvero: guardare alla mia persona e poi al mondo - alla distanza che fra me ed esso intercorre. Il concetto di certo astratto della vita, e del perire, dell'esistere, del sentire, le incertezze e le possibilità: è tutto così grande, non è vero? Cosa sono io, cosa potrei fare? Cosa potrei essere, divenire? Una intensa sensazione di potenza mi pervade, per via delle infinite possibilità di ciò che potremmo essere. Scegliere d'essere qualcosa, oltretutto, pure implica una rinuncia a ciò che non saremo affatto.
Tutto ciò che ci circonda è così vasto, tanto immenso ed incomprensibile, che tutto ciò che ci resta fare è riuscire a giungere entro le profondità più remote della nostra coscienza.
Mi sono ritenuta folle, per via delle mie riflessioni apparentemente sconclusionate!
Non è follia: sentire vuol dire vivere. Aprire gli occhi verso ciò che ci è ignoto, e liberarci di ciò che ci è imposto e che non ci è proprio. Liberarci dalle apparenze. Riappropriarci del nostro io, e fare della nostra vita una perenne espressione dei tumulti vuoi angusti o vivaci, ma belli, magnifici, della nostra mente. Vivere del contatto, dell'intimità: porsi sempre oltre e mai fermarsi a ciò che appare sicuro e definitivo. Questo è il mio personale obiettivo.
Dunque condivido tali riflessioni, in virtù di una profonda crisi che m'ha attraversato e pervaso l'animo da un po'. I sentimenti sono importanti, e così le idee, le fragilità, le impressioni, i tremori, l'ispirazione. Non siamo delle macchine. Pensare all'essere umano come qualcosa di più piccolo rispetto all'esistenza immensa, può aiutare a comprendere - e non ritengo di essere giunta al mio scopo, ammesso che io ne abbia uno, anzi! Il mio unico scopo è la perpetua ricerca. La stasi può uccidere, e da essa rifuggo.
Spero di essere riuscita a farmi intendere, senza risultare troppo tediosa, ammesso che qualcuno sia giunto a leggere fin qui. E se qualcuno vi è giunto, ancora ripeto: sentire è l'essenza dell'essere, ed è ciò che può condurci verso l'autenticità del nostro spirito. Ciò che si sente non è mai sciocco. Ciò che si desidera va perseguito, e mai represso.
Che la perpetua ricerca della nostra coscienza, e dell'esperienza, e del contatto intimo, possano essere i nostri unici obiettivi lungo questo arduo, impetuoso, ed esaltante percorso - un imperituro divenire.
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