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Happy Trails to the National Touring Company of Fun Home. It’s been an honor and a privilege to see you tell this story across the country. Everything’s alright babe, when we’re together.
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SCHEMI DI GIOCO
Colinshire 1990. Abel Mac Allister era un uomo ottimista e onesto. Virtù preziose, considerato che Abel è un venditore. Attraversando in auto "Abissinia", l'isolato italiano del villaggio di Gardar, Abel scorse un gruppo di bambini che giocava a calcio su un prato fangoso, dove due pertiche sbilenche fungevano da porta da gioco. Raggiunto il sobborgo britannico, Abel prestò attenzione dall'abitacolo a una comitiva di ragazzini biondi e fulvi che tiravano dei rigori in un modesto campo sportivo. Britannici e italiani abitavano aree separate del Colinshire, demarcazioni immaginarie rese invalicabili da un'annosa, freddissima guerra di trincea. Lasagne contro fish and chips, cattolici contro anglicani, Quirinale contro Buckingham Palace. Solo un motto sanciva l'armistizio accordando i fronti rivali su una posizione condivisa, "Se vuoi essere un uomo, sgonfia a calci un pallone e gonfia di calci un finocchio." Parcheggiata l'auto al ventiquattresimo di Cumberland Street, Abel assestò due colpi di batacchio alla porta di casa Darling. Cliff Darling aprì reggendo una bottiglia di vino rosso. Abel incalzò -"Salute Darling! Qualcosa mi dice che è approdato il mercantile da Aberdeen..."- -"Puoi dirlo Mac Allister! Entra..."- Cliff percosse benevolo la spalla di Abel e diresse un richiamo verso la cucina -"Cinthiaaa...ci occorre la cristalleria fine, visite dalla collinaaa..."- Cinthia Darling emerse da una nube vaporosa brandendo una spatola con la mano nuda e calzando un guanto da forno nell'altra -"Abel Mac Allister, non ricevo una visita di tua moglie da quando i bell bottoms andavano di moda. Diglielo! Siete snob come vocifera il volgo?"- Abel, rivolto a Cliff -"Lei ti minaccia sempre con gli utensili da cucina?"- Cliff -"Peggio, poi ti serve quello che ha preparato."- Cinthia scudisciò suo marito con la spatola -"Che idiota! Effettivamente quello stupido agnello sembra crudo e bruciato. Per fortuna abbiamo il vino! Bevi un bicchiere?"- -"No, grazie ragazzi, Selva ci aspetta. Fax è qui da voi?"- Cinthia annuì –“ È di sopra. Cliff accompagnalo e di' a Evelyn che la cena è pronta.”- Cliff Darling schiuse l’uscio della cameretta. Sua figlia saltellava in tutù con una corona di plastica in testa, Fax si dimenava sopra un baule rosso cantando “My old piano” di Dyana Ross, con un cilindro rivestito di stagnola sul capo e due stelle azzurre nelle gote. Sì, l’ottimismo era una delle spiccate virtù di Abel Mac Allister. Dei due bambini, non era suo figlio a indossare corona e tutù. Cliff spense il giradischi -“Ma disastro c'è? Cosa fate?”- Evelyn impermalita -“Dovevi bussare. Sono le prove del nostro show, tornate dopo.”- I due uomini si scambiarono uno sguardo. Abel imbarazzato -“Fax, levati il cappello, dobbiamo andare”- -“Evelyn mi ha detto che posso tenerlo.”- Lui -“No, no! Lascialo qua. Le stelle come si cancellano?”- Evelyn, saccente -“Sono tatuaggi!”- Abel -“Tatuaggi?”- Lei -“Sì, vanno via con acqua e sapone, domani ci facciamo uno spartito musicale sulla fronte.”- Abel, imitando l'entusiasmo della bambina-“ Ma che bello! "- Poi adombrato -"Dai andiamo Fax, è ora di cena"- In auto, lungo il declivio verso il castello, Abel lanciava dubbiose occhiate al figlio con le gote stellate. Quella notte prima di addormentarsi nel loro letto disse a sua moglie -“Dobbiamo fare qualcosa per Fax.”- Lei, ungendosi le mani con una lozione canforata -“Che genere di cosa?”- -“Qualcosa perché non vada in giro con la faccia dipinta.”- -“Sono più tranquilla quando gioca con Evelyn che con sua sorella. Melissa le stelle gliele avrebbe marchiate con un ferro rovente.”- -"Dico davvero Selva, Fax non sta bene! Quel bambino ha qualcosa che non va, ci mette in imbarazzo con l'intero villaggio."- -"Sai chi non sta bene? Io! E sai chi mi mette in imbarazzo? L'intero villaggio!"- -"Cosa ti succede?"- -"Quello che succede da sempre! Stamattina facevo la fila all'emporio per pagare la spesa, ma Mr. Buttle serviva qualunque britannico arrivato dopo di me. Poi fingeva di non capire il mio inglese mentre alle mie spalle sentivo sghignazzare "spaghetti". Arrivata al castello mi sono accorta che metà delle patate scelte da sua figlia erano marce!"- -"Magari era a corto di forniture, il mercantile è arrivato con dodici giorni di ritardo." -"Allora dovrò tornare domani, si dice che Nelly Buttle sappia tastare bene la merce giù al porto. Difendi quella sgualdrina?"- -"Ma no!"- -"Abel, cosa siamo? Troppo "spaghetti" per gli inglesi e i traditori nel castello british per gli italiani! Sono stanca di essere processata!"- -"Abbiamo i nostri amici, Cintia reclama una tua visita, loro non ci giudicano."- -"Tutti ci giudicano!"- -"A maggior ragione dobbiamo evitare che Fax si comporti in modo strano. Così proprio non va. Mi verrà in mente qualcosa, lascia fare a me..."- -“L'ultima volta che ti ho lasciato fare con quel bambino era un neonato e lo hai registrato all'anagrafe con il nome di un dispositivo elettronico.”- -“Non essere amara, sai bene cosa significa quel nome.”- -“Sì, lo sappiamo tu, io e quattro ascari trucidati sull'Amba Alagi nel 1941.”- -“Va bene, sei stanca, è la tua frustrazione a parlare.”- -“Se liberassi la mia frustrazione non parlerei, darei fuoco a questa dannata contea, castello compreso!”- Selva sprofondò sotto le coperte volgendogli le spalle. Forte del suo ottimismo, Abel spense il paralume a frange sul comodino confidando in un’illuminazione. Cupe visioni popolarono i suoi sogni. L'eco dell'infanzia scaturiva ombre remote impigliate nelle trame dolenti della memoria, la prematura morte di sua madre, l'abbandono di suo padre cinto dalle nebbie destinato all'Asmara. La prima notte in quel castello gelido sulla collina di Gardar, gli estranei inglesi che, gli dicono, saranno la sua nuova famiglia, lui che si abbandona in lacrime sul baldacchino della camera senza sfilarsi le scarpe, Laura Mac Allister che gli parla dolcemente in una lingua incompresa di Fred, il figlio perduto. Sopravvissuto al dolore, ancora bambino, Abel si convince "il peggio era quello, il peggio è trascorso". Dovete sapere che Abel Mac Allister vendeva su provvigione gli spazi pubblicitari per The Harp, una stazione radiofonica della Contea. Gli inserzionisti che pagavano per venti secondi di spot sulle frequenze locali non erano facoltose holdings: il macellaio rifornito dalla battuta di caccia al fagiano, la segheria che ambiva a rivalutare la sua immagine dopo l'increscioso fuori programma delle dita mozzate di Donald Greene, il libraio che alludeva alla disponibilità dei pornazzi all'ombra dei classici esposti, la mescita a cui non occorreva sollecitare l'afflusso di avventori, l'agenzia di pompe funebri che sovente strappava qualche assiduo avventore alla mescita. Ma ecco che un giorno la “North Kick” sottoscrisse l'accordo per una pubblicità sulle frequenze radio. Abel Mac Allister emanava il fulgore dell'ottimismo. Come non averci pensato prima? LA NORTH KICK! Una società atletica dilettantistica che allena i calciatori in età scolare. Grazie a quella provvidenziale contrattazione brillava la salvezza di suo figlio Fax. Quella sera, sventolando un modulo d'iscrizione alla scuola calcio, mio padre tornò euforico nell'appartamento del castello dove alloggiavamo. Durante la cena annunciava orgoglioso che sarei diventato un allievo della North Kick, puntuale per il mio compleanno. Mio fratello John Mark -“Che storia!”- Mia sorella -“Dov’è il mio regalo?”- Mio padre -“Mancano cinque mesi al tuo compleanno, Melissa.”- Io -“ C'è un guscio di noce nell'insalata.”- Mia madre -“Hai sentito Fax? Ti regaliamo l’iscrizione al corso di calcio!”- -“Ma io non gioco a calcio.”- Lei -“Non si può rifiutare un regalo.”- -“E voi fatemene uno diverso, uno che mi piace.”- Dopo cena mi venne mostrato un pieghevole della North Kick. Lasciai che John Mark se ne impossessasse. Ero in pericolo, mio padre era equipaggiato e deciso. Il pomeriggio seguente attesi che l'orologio olandese a pendolo scandisse le 17.00. Davanti a me la scalinata che congiungeva il nostro appartamento a quello dei miei nonni Mac Allister, custodi del castello di Gardar. Dalle travi del soffitto pendevano i vessilli dei Territori del Commonwealth. Complice lo sconforto, li associai a delle lame più che a dei tessuti celebrativi. Mi fiondai al piano superiore per un colloquio con la nonna Laura. Fortunatamente non era occupata con una delle ladies in chiffon e maniche a sbuffo che riceveva per il tè. Consapevole di sconfinamento non autorizzato la raggiunsi nel suo studio. Scriveva a macchina. Quando la tastiera dell'Imperial 50 orchestrava metallica, dovevo osservare distanza e cautela marziali. La macchina per scrivere era una reliquia donatale dal Mayor di Salinsbury nel 1982, dopo aver redatto l'ultimo dispaccio prima che la città venisse ribattezzata Harare. La nonna scorse la mia sagoma dallo scrittoio ma proseguì a lavorare senza considerarmi. I bagliori del fuoco acceso animavano le ali rapaci dei draghi sugli alari in ottone. Sedendole frontale sul divano vicino al camino, sospirai reggendo la testa con le mani. Il ticchettio proseguiva. Sospirai di nuovo. Il ticchettio si arrestò per un secondo e riprese. Sospirai più energicamente. Mia nonna eresse il capo - “ Fax! Prevedi di sopravvivere per due minuti, o il peso del mondo ti schiaccerà se non mi precipito lì?” – Generosamente, le concessi di rimandare le sorti del mio insidiato destino a fine battitura. Quindi mi raggiunse sul sofà -“ Sentiamo…”- -“Papà vuole farmi giocare a calcio”- -“Questo è il dramma?”- -“Io non ci voglio andare.”- -“Perché no?”- -“Perché non mi piace”- -“Glielo hai detto?”- -“Sì.”- -“Forse papà vuole che tu faccia dello sport. È giusto”- -“Ma faccio già educazione fisica a scuola!” -“Con una maestra disabile, infatti. So che vi fa giocare a nascondino. Certo non ti candiderai alle olimpiadi...”- -“Io non voglio fare calcio”- -“Tuo fratello ama il calcio, tua sorella danza, tua cugina cavalca, i tuoi cugini giocano a stoolball. Ci sarà uno sport che ti piace.”- -“Voglio pattinare.”- -“Oh bene! Allora pattinerai. Devi solo dirlo ai tuoi genitori.”- -“E non puoi farlo tu?”- -“Sì, potrei, ma non sarebbe corretto. Devi farlo senza un portavoce.”- Sospirai ancora e lei -“ Oh ma per favore Fax, questo non è un problema! Ti trovi a scegliere se giocare a calcio o pattinare, siedi sopra un divano comodo e tua madre prepara torte per la merenda. Tutto questo mentre un bambino a Kolkata sceglie se prostituirsi o digiunare…se non lo hanno già scuoiato per vendere i suoi organi. Quindi tira su quel muso e stasera parla con i tuoi genitori”- A tavola, esordii durante la cena -“Io non voglio giocare a calcio.”- Mio padre -“Che storia è questa? Devi fare dello sport.”- -“Voglio pattinare.”- Mio fratello -“Che schifo, è una roba da femmine. “- Mia sorella -“Non è vero, anche Nick il mio maestro di danza pattina.”- Mio fratello -“Infatti è una femminuccia.”- Mia sorella -“Brutto scemo, lui ha i muscoli.”- Mia madre -“Voi due smettetela subito.”- Mio padre -“Cosa vuol dire che vuoi pattinare ? Non si può praticare qui.”- Mia sorella -“Non è vero, Nick pattina dentro la palestra di George Town."- Mio padre -“Grazie Melissa, non ho chiesto il tuo contributo. Il calcio è più adatto a un bambino.”- -“Ma non mi piace."- Mio padre, urtando le posate sul piatto “Oh dannazione Fax! Perché non ti fai piacere una mia proposta? Farai calcio, nessuna alternativa.”- Cominciai a piovere lacrime sul roastbeef. Mia madre, più morbida - “Fai almeno un tentativo.”- Io -“No!”- Mio fratello -“ Questo è proprio scemo.”- Mio padre, infastidito -“Non puoi continuare a disegnarti le stelline in faccia.”- Mia sorella -“Anche Delia Berry sa andare sui pattini.”- Mio fratello, spazientito -“Ma è una femmina!”- Mia madre -“Sospendiamo qui. Fax, vai a sciacquarti il viso.”- Quando uscii dalla stanza, lei ritorse -“Credevo dovessimo fargli un regalo…”- Mio padre -“Lo sto facendo, cerco di salvarlo da un tutù e una coroncina, mi ringrazierà un giorno.”- -“Bene, poi mi dirai com'è quando piangerà durante le partite. Perché ci sarai tu a bordo campo con gli altri padri che ti chiederanno, quello è tuo figlio?”- -“Di' un po’, vuoi che pianga anch’io sul roastbeef?”- Mio padre era contrariato e offeso dal mio modo di essere. Resistere al calcio insinuava negli abitanti del villaggio un diffidente presentimento, suo figlio evitava qualcosa di proverbialmente maschile. Non ero l’unico a cercare conforto al piano superiore del castello, la sera successiva mio padre consultò mia nonna. Lei, dopo averlo ascoltato nel suo studio sul sofà accanto al camino -“Abel, mi sto sforzando credimi, ma non capisco. Fax vuole pattinare. Allora?”- -“Gli ho proposto il calcio e ha pianto. Capisci? Ha pianto! Non per la gioia, lui ha pianto perché NON gli piace il calcio!”- -“Quindi il problema è trovare uno sport che gli piaccia. Ve lo ha suggerito, vuole pattinare.”- -“No! Il problema è fargli fare quello che fanno i maschi della sua età. Tutti i bambini prendono a calci un pallone. Perché mio figlio vuole pattinare?”- -“Non vuole sparare al poligono, vuole pattinare! Cosa c'è di così nobile nel calciare una palla?”- -“Non deve essere nobile, deve essere normale!”- -“Fax è un bambino educato e dolce. Sei sempre stato un ottimista, perché ora questo dramma?”- Abel afflitto bofonchiò "dolce" come fosse un insulto. Laura sempre meno paziente -“Oh ma per favore Abel, mi costringi a parlarti come faccio con Fax! Mio figlio si tuffava nell’Oceano, improvvisava evoluzioni sui cavalli sottratti alla scuderia dei Lenville e non dimenticare che sbriciolò gli incisivi di Bella Dunkan alla vigilia delle sue nozze. Poi abbiamo adottato te, un cattolico! Tuttavia non sono la più sfortunata. Ci sono figli che si iniettano l’eroina negli occhi, il tuo ha chiesto solo dei pattini!"- Mio nonno Gilbert entrò nella stanza -"Qualcosa non va?"- Laura, caustica -“Una vera tragedia! Fax vuole pattinare...”- Gilbert, estatico -“Oh, i pattini! Il console olandese una volta mi raccontò che i pattini salvarono la flotta nazionale nella Guerra degli Ottant'anni."- Si chinò davanti al camino e proseguì attizzando il fuoco -"Gli spagnoli avevano circondato le loro navi sul Mare del Nord. Gli olandesi avevano a bordo i pattini con le lame, sono scesi sull’acqua ghiacciata e si sono dileguati verso il porto di Amsterdam. Quegli spagnoli idioti li guardavano scivolare liberi verso casa.”- Laura, rivolta ad Abel -"È un aneddoto sufficientemente virile per i tuoi canoni atletici?"- Il giorno del mio ottavo compleanno sceglievo con i miei genitori un paio di pattini a rotelle da Tackleton, il giocattolaio di George Town. Distante da Gardar e dagli sguardi dei nostri compaesani, distanti dall'emporio di Mr. Buttle (che pure i pattini li vendeva) dove Nelly Buttle omaggiava i clienti della generosa scollatura già popolare fra i camalli sbarcati da Aberdeen. Sfortunatamente per mio padre, Mr.Tackleton aveva acquistato un passaggio pubblicitario sulle frequenze della Harp. Abel sperava di non essere riconosciuto dal proprietario mentre suo figlio barattava la virilità per dei pattini. Il garzone, un giovane dalla zazzera arruffata e il viso bitorzoluto, me ne mostrò un paio blu. Li calzai emozionato alla sensazione delle ruote sotto i piedi, ma un articolo di colore fluorescente rapì la mia attenzione -“Mi piacciono quelli”- dissi indicando i roller sgargianti su uno scaffale. Mia madre, tesa -“Quelli arancioni?”- -“Sì!”- Mio padre deglutì faticosamente. Il commesso, incredulo -“Ci sono altri colori più...da maschio.”- Io -“Arancioni sono proprio belli!”- Mia madre annuì sconsolata, il ragazzo me li porse. Abel fece qualche passo indietro, cadde seduto su una rudimentale panca di legno davanti a un espositore di scarpette da calcio. Un bambino ne misurava un paio. Mio padre, affranto -“Sembrano comode.”- Il bambino assentì. Mio padre, sottovoce -“ Se fingi di essere mio figlio finché quel bambino con i pattini esce dal negozio, ti do cinque pounds.”- Il bambino lo guardò diffidente. Mio padre -“E va bene, ti compro un pallone, ma fingi di essere mio figlio davanti al proprietario.”- Mia madre lo richiamò -“Abel, abbiamo fatto.”- Lui, al bambino -“Se un giorno la tua famiglia ti vende ai trampolieri gallesi ambulanti, non contare su di me…”- E ci raggiunse risentito. Usciti dalla bottega di Tackleton ero il più felice degli omini su tutte le superfici ciclabili e pattinabili emerse. Quei pattini erano i più belli che avessi mai visto. Quando li esibii al castello mio nonno Gilbert esclamò -"Che colore da..."- Proruppe mia nonna Laura -"Olandese! Che colore da olandese, vero Gilbert? Rammenta la Guerra degli Ottant'anni..."- Dormivo con i pattini ai piedi del letto per non separarmene nella notte. Pretendevo di pulire le rotelle con un panno dopo ogni avventuroso periplo nella mia camera. Mia madre corresse le maniacali abitudini obbligandomi a riporli nella scarpiera comune con le altre calzature e vietandone l'utilizzo nell'appartamento. Ma dove pattinare? Le strade di Gardar erano limacciose e irregolari. Dominato da un impeto di coraggio in un pomeriggio ventoso li collaudai sul piazzale della Saint Thomas, la chiesa anglicana. Impeto sgradito ai calciatori del campetto circostante che, allertati da Toby Clark, mi raggiunsero per bersagliarmi a pallonate. Il piano terra del castello ospita la sala dei ricevimenti, fasti di un passato in cui l'aldermanno della Contea fregiava di cariche pompose i forestieri dai Territori d'oltemare. Quella sala era proibita a noi bambini, come tutte le zone del castello a eccezione per l'ala residenziale di servizio. Dalle vetrate esterne mi ero accertato di quanto fosse ampia. Il portone per accedervi era chiuso. Conoscevo l'ingresso interno, ugualmente serrato. La soluzione stava nel provare una per volta le chiavi delle stanze proibite. Pendevano su una toppa alla parete piantonata da un'armatura ostile. Preda di una sventurata idea montai con le scarpe su una sedia imbottita e... -"Fax Jeremy Mac Allister!"- Non so spiegare per effetto di quale abilità metafisica o umana superiore, eppure mia nonna Laura mi aveva già scoperto. Fottuto delatore di un Toby Clarck, eri sempre ovunque? Conservo di quell'istante la memoria sensoriale del congelamento di ogni globulo che fluisce nelle vene. Mia nonna, pur sprovvista di un pallone da calcio con cui lapidarmi, incalzò -"Raccontami le tue intenzioni."- -“Stavo cercando delle chiavi.”- -“Si, questo lo vedo, come vedo i tuoi calzari ingrati su un sedile che risale a Giorgio IV. Sono ansiosa di ascoltare il seguito...”- -“Non so dove pattinare, volevo vedere se il salone ha un pavimento liscio…”- -“Che io sia bandita da tutti i Territori di Commonwealth se non ti spezzo le dita! Riponi subito quelle chiavi alla toppa.”- Ubbidii -“Nonna ma io voglio pattinare.”- -“Fax! Come devo farti capire che questo castello e tutto quello che contiene appartengono alla Corona e che io e tuo nonno siamo responsabili della sua custodia? Non ti difenderò quando confesserai a Sua Maestà e al Duca di Edimburgo di avere minacciato il loro pavimento.”- -“Ma loro non sono mai venuti qua e neanche ci telefonano.”- Lei, offesa -“Questo lo dici tu! Proprio ieri sera mi hanno chiesto se avessimo fatto lucidare il laminato. Saranno molto delusi quando gli racconterò quello che meditavi.”- Mia nonna giocava con me la carta dei sovrani adirati anche per risolvere questioni estranee alla custodia del castello. L’idea d'indispettire la Regina del Regno Unito mi turbava sempre molto. Mi figuravo con i rollerblade davanti al trono di Elisabetta e Filippo mentre si consultavano circa la truce fine cui destinarmi. TAGLIATEGLI LA TESTA! Che i principi Harry e William non avessero mai rigato un pavimento, rotto un vetro a Buckingham o durante le vacanze a Balmoral? Scesi dalla sedia e salutai la nonna. Lei -“Ma dove pensi di andare?”- -“A giocare!”- -“Dopo aver commesso vilipendio? No davvero! Seguimi.”- Da uno scaffale della biblioteca nel castello estrasse un volume massiccio con la copertina spessa, rilegata severamente alle pagine itteriche e corrose. Meritai un panegirico di qualche ora sulle gesta di Guglielmo I il Conquistatore poi, credo, persi i sensi per agonia, perché i ricordi seguono alla settimana successiva. Mio nonno Gilbert, livellando la superficie con strati di linoleum, aveva adibito una delle serre dismesse nel giardino a pista di pattinaggio coperta. Meno ampia del salone ricevimenti, ma mi era stato garantito che Elisabetta e Filippo approvavano. Pattinai benedicendo la Corona per tutto l'Inverno, riparato dagli elementi, dalle soffiate di Toby Clarck, dalle pallonate ostili. Ogni sera, di ritorno dal lavoro, Abel Mac Allister percorreva Abissinia, l'isolato periferico di Gardar dove i bambini italiani disputavano i tornei di calcio sul prato fangoso. Svoltava per il sobborgo britannico, dove ragazzi normanni non meno competitivi, si contendevano il pallone nel modesto campetto. Arrivato nel suo appartamento al castello, Abel tollerava con malcelato disappunto il paio di pattini arancioni riposti nella scarpiera. Quei pattini gli ricordavano quando l’ottimismo lo aveva illuso di trasformare suo figlio Fax in un calciatore. Quel colore penetrante aveva spento la sua brillante positività. Abel Mac Allister era un uomo onesto e un fidato venditore, ma l'ottimismo di un tempo era andato offuscandosi. Abel, che non voleva rinunciare alla sua virtù dominante, si fece un regalo. Una scarpiera personale in misto cascame. Gli abitanti di Gardar sapevano che le dita amputate di Donald Greene erano cadute negli scarti della segheria e che albergavano dentro qualche manufatto in truciolato venduto nel villaggio. Evelyn Darling sosteneva di sentire nella notte uno schiocco delle dita provenire dal suo sgabello da toeletta tinto di rosa. Dentro alla nuova scarpiera di Abel nessuno poteva riporre alcuna calzatura contro la sua autorizzazione, niente di fluorescente e di arancione. Le scarpe da calcio di John Mark godevano di cittadinanza onoraria nel tabernacolo della rettitudine plantare. Un pomeriggio, nella foga per raggiungere il televisore e ascoltare la sigla di "Penny Crayon" (che amavo più del cartone stesso) commisi un errore. I pattini nella scarpiera proibita. Quella sera mio padre entrò nella dining room reggendo i miei pattini per le stringhe fluo e un pallone da calcio sotto braccio. Ammutolimmo tutti alla vista del suo sorriso soddisfatto. Mia madre, sospettosa con la salsiera fra le mani -"Abel, cosa..."- Lui -"Lascia fare a me Selva..."- Poi, verso di me -"Fax, mai sentito parlare di ROLLER SOCCER?" ...
SCHEMI DI GIOCO tratto da "A life in a Fax" di Fax Mac Allister Copyright ©
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Tradizioni ed edilizia funerarie a Spongano
di Giuseppe Corvaglia
Nel 1600, come in tutti i paesi di Terra d’Otranto, a Spongano non c’erano cimiteri e i defunti venivano seppelliti nelle chiese. La Chiesa Madre aveva le tombe della comunità che, successivamente, saranno differenziate in: quelle per i sacerdoti, poste vicino all’altare maggiore, quelle per i nobili (sepulchra nobilium) anch’esse poste in prossimità dell’altare o vicino agli altari della famiglia, quelle delle vergini (tumbae virginum), quelle dei bambini (parvulorum sepulchrum) e quelle degli altri abitanti. La prima a essere sepolta in Chiesa Madre, nel 1604, fu una certa Domenica Gallona.
Ancora oggi si può osservare il pavimento della sacrestia, in parte ristrutturato, ma in parte ancora irregolare, deformato dalla pressione dei gas, formati dai processi di decomposizione dei corpi.
I nobili, come detto, avevano urne vicino agli altari, di cui avevano jus patronato, o una tomba vicino all’altare maggiore, ma alcuni di essi potevano essere sepolti nelle cappelle patrizie di proprietà.
Accadeva per gli Scarciglia e i Riccio, ad essi imparentati, che tumulavano i propri defunti nella Cappella di San Teodoro, fatta erigere da Don Pomponio Scarciglia, e per i Bacile che costruirono la propria cappella, prospiciente il Palazzo e dedicata alla Madonna dei sette dolori, grazie all’opera di Don Giuseppe Bacile, Arcidiacono della Cattedrale di Castro. In essa il primo ad esservi tumulato fu Giovanni Antonio, fratello del prelato.
Ricordiamo pure che nella piccola comunità era attiva una Confraternita della Buona morte che garantiva un funerale ai poveri che non potevano permetterselo e pregava in suffragio delle anime, avendo patronato su un altare della chiesa che, in seguito, verrà dedicato a Santa Vittoria.
Quando le fosse della chiesa si riempivano e quando la chiesa fu chiusa, per i lavori di restauro nel XVIII secolo, i defunti furono tumulati nella Chiesa della Madonna delle Grazie che oggi conosciamo come Congrega.
Se il numero dei morti diventava elevato, come accadeva in occasione di epidemie, quali: il colera nel 1836, il vaiolo nel 1880, la difterite nel 1886, la scarlattina, il morbillo nel 1888… si ricorreva al cimitero epidemico (Agro Sancto Epidemico) che si trovava sulla via per Surano, in Contrada Taranzano. La rivoluzione francese aveva affrontato il problema delle sepoltura con l’uso delle tombe comuni poste a distanza dai centri abitati.
A Spongano, come in tutto il Regno delle Due Sicilie, si comincia a parlare di Cimitero solo nel 1817, quando una legge, “per garantire la salute pubblica, ispirare il rispetto dei morti, e conservare la memoria degli uomini illustri”, dispose che i defunti venissero inumati o tumulati in luoghi appositi, chiusi da mura e da un cancello, distanti almeno un quarto di miglio dal centro abitato. A Spongano e nei comuni associati, Surano e Ortelle, si cercarono i siti per la costruzione del cimitero locale. Per Spongano si individuò un luogo detto “Vignamorello”, posto fra l’attuale piazza Diaz e la ferrovia, dove c’era una grotta, usata come neviera in disuso, che avrebbe consentito di inumare le salme più agevolmente.
L’iter fu travagliato e furono proposti, negli anni, altri luoghi, ma senza mai decidersi a realizzarlo, nonostante un altro dispositivo, il Real Rescritto dell’11 gennaio 1840, reso esecutivo in Terra d’Otranto il 25 gennaio 1840.
A questo contribuì l’opposizione, più o meno palese, del Clero, che traeva benefici economici dal tumulare i morti nelle chiese, la credenza dei fedeli che la tumulazione in Chiesa, vicino alle reliquie dei santi e luogo di preghiera, fosse migliore e, soprattutto, la necessità delle varie amministrazioni di stornare i fondi destinati ai cimiteri per spese più necessarie e urgenti, differendo la soluzione del problema.
Nel 1880 la Regia Amministrazione Sabauda ritorna alla carica con leggi apposite e stimola decisamente i Comuni a dotarsi di un Cimitero. In questa temperie, i Decurioni, nel 1883, decidono di costruire il nuovo cimitero acquistando all’uopo un fondo denominato “Campo San Vito” sulla via per Ortelle. Il progetto fu fatto dall’Ingegner Pasanisi e fu approvato dal Genio Civile nel 1885.
Il Camposanto fu inaugurato l’11 maggio 1885 e già il giorno dopo vi fu sepolto il primo sponganese, Ruggero Alamanno. Da allora non furono più seppelliti morti in chiesa (l’ultima salma fu tumulata in Chiesa il 1° maggio 1885).
Ingresso del cimitero di Spongano
Architettonicamente possiamo dire che, nel complesso, la parte più antica risente di quel gusto architettonico, molto in voga nell‘800 fino agli inizi del ‘900, chiamato Eclettismo, qui particolarmente evidente, che utilizza in libertà tutti gli stilemi architettonici del passato, come modelli di riferimento, per progettare edifici esteticamente belli che colpiscono il gusto del fruitore ancora oggi.
La facciata, austera, si ispira a un’architettura classicheggiante; in alto al centro è scolpito il chrismon con ai lati l’alfa e l’omega, all’apice una croce (caduta e non più ripristinata) con due fregi ai lati.
Statua di Cristo risorto di A. Marrocco
Sempre all’ingresso sono situate due epigrafi in latino che ammoniscono gli umani.
Una riporta “La mia carne riposa nella speranza” (CARO MEA REQUIESCET IN SPE) e l’altra dice “Il corpo corruttibile e mortale dell’uomo conduce all’immortalità” (MORTALE INDUET IMMORTALITATEM).
Alcuni anni fa è stata posta, nel piazzale antistante, una bella statua bronzea dell’artista contemporaneo Armando Marrocco che rappresenta Gesù risorto.
Anche la tomba comune, dove trovavano sepoltura tutti i cittadini che non avessero una tomba propria, si ispirava a un sobrio classicismo. L’ingresso, sormontato da un timpano con un bordo modanato in pietra leccese, aveva due nicchie laterali e una porta centrale che conduceva a un semi-ipogeo, che ricordava le catacombe, dove vi erano i loculi che accoglievano le salme e una fossa comune (a carnara). In fondo, al centro, vi era un altare dedicato alla Madonna del Carmine, oggi restaurato. Negli scorsi anni è stata restaurata la tomba comune ricavando al piano terreno dei colombari nuovi e un ampio ambiente coperto; la nuova facciata riecheggia la forma della vecchia struttura.
Più o meno coeve sono diverse cappelle gentilizie, costruite con stili diversi, anch’essi liberamente ispirati all’Eclettismo.
Anche a Spongano, come in quasi tutti i comuni del Salento, le famiglie nobili, borghesi o benestanti, sentivano la necessità di costruire la propria cappella funeraria per custodire le spoglie dei propri cari, ricordarne la memoria, ma anche per ostentare il proprio stato.
La materia usata, prevalentemente, è la pietra leccese che, come dice Gabriella Buffo nel suo articolo su Fondazione di Terra d’Otranto, “Edilizia funeraria a Nardò e nel Salento”, “diventa il morbido tessuto su cui ricamare tutta la simbologia della morte”.
Entrando si può ammirare, sulla sinistra, la tomba della famiglia Rizzelli che sfoggia uno stile classico arricchito, da ghirlande di fiori, scolpite nella pietra leccese. La facciata è abbellita da due colonne sovrastate da un timpano semicircolare che si ripete sui quattro lati. Lo stesso stile classico si può osservare nella più discreta tomba dei Rini.
Cappella della famiglia Rizzelli
Particolare della cappella Rizzelli (lato nord)
Di fronte vi è la cappella della famiglia Coluccia che richiama uno stile neoromanico, come la cappella della famiglia Scarciglia che si trova più avanti. In quest’ultima, oltre al raffinato portale, che richiama le decorazioni di Santa Caterina in Galatina e di San Nicolò e Cataldo a Lecce, si nota un bel rosone con al centro una testa di leone.
Cappella Scarciglia
particolare con il rosone della cappella Scarciglia
Di stile neorinascimentale è la cappella dei Bacile, progettata da Filippo Bacile, architetto e umanista pregevole, sempre seguendo il gusto dell’eclettismo in voga. Il portale è protetto da un elegante loggiato, sormontato da una sorta di baldacchino, con un timpano, sorretto da due colonne, adorne di capitelli corinzi, che reca lo stemma di famiglia e un bordo con gli spioventi decorati a scacchiera, dove si alternano cubetti cavi a cubetti pieni. L’interno della cappella è semplice e le sepolture sono allocante in una parte semi-ipogea.
Cappella della famiglia Bacile
Cappella funeraria della famiglia Rini
Cappella funeraria della famiglia Coluccia
Nel corso degli anni il cimitero è stato ampliato e oggi si possono vedere tombe più moderne, alcune dallo stile essenziale, altre di pregevole fattura come quella che accoglie il Caporal maggiore Antonio Tarantino, caduto a Nassirya durante una missione di pace. La cappella, progettata dall’architetto Virgilio Galati, presenta sulla facciata uno squarcio che rompe due strati: quello del corpo (pietra leccese) e quello dell’anima (cemento). Un altro squarcio spacca la parete posteriore che, con la sua struttura a lamelle sovrapposte, sembra la corazza di un guerriero e quello squarcio diventa un finestrone irregolare che, orientato a est, accoglie la luce del sole che nasce. All’interno, sulla tomba del giovane milite, si ergono due possenti, ma al tempo stesso elegantissime, ali di angelo in marmo greco. La pavimentazione e la volta riproducono cerchi come pianeti di una costellazione. Il tutto esprime la tensione a volare in cielo, ma, allo stesso tempo, la crudele e dirompente realtà della fine di una giovane vita.
Cappella del caporal maggiore Antonio Tarantino, caduto a Nassirya
particolare della cappella funeraria Tarantino
Interessante la cappella di un altro soldato, morto tragicamente mentre era in servizio, Claudio Casarano, figura eclettica di artista prestato all’esercito; in essa è possibile ammirare la riproduzione in marmo di Carrara di una sua scultura in legno d’ulivo, molto suggestiva che esprime il rinchiudersi in se stessi per non vedere la crudeltà del mondo. Interessante anche sulla facciata un sofferente crocifisso in ferro battuto, fatto dal milite nella sua attività artistica.
Particolare della cappella Casarano
Pure di interesse è la tomba Polimeno per gli infissi in ferro battuto di Simone Fersino, che si rifanno al mosaico di Pantaleone della Cattedrale di Otranto (l’albero della vita che poggia su due elefanti e Alessandro Magno sui grifoni), e un bellissimo angelo sull’altare, affrescato da Roberta Mismetti in foggia bizantina.
Altra tomba particolare è la tomba Corvaglia, progettata dall’Architetto Sigfrido Lanzilao, posta dietro la tomba Rini. Segno caratteristico è un piccolo arco a tutto sesto che richiama l’arco romano e poggia su due colonne a sezione quadrangolare (o a pilastro) e che, con armonia ed eleganza, sovrasta le tombe e accoglie un crocifisso in legno, ottenuto da un artista ligure con rami rimaneggiati dal mare. Le tombe ai lati sembrano due ali disposte come un abbraccio che accoglie; all’interno ci sono due fioriere una a forma di ciotola votiva e una che richiama un antico mortaio con i simboli della forza e del coraggio (zampa di leone), dell’estro e dell’allegria (uva), del genio e della tecnica (squadra) e della vita ottenuta dalla morte (spiga di grano) opera, come l’arco, di Bruno Polito.
Fino a qualche anno fa c’era un piccolo cenotafio, un vaso commemorativo, in pietra leccese, scolpito e decorato da un genitore affettuoso e valente artigiano, Oronzo Rizzello, per la piccola figlia Graziella, portata via da una malattia e sepolta in una tomba comune. Il vaso (su cui era scritto A GRAZIA RIZZELLO I GENITORI e poco sotto a soli tre anni ti perdemmo, chi ne consolerà) è stato rubato da mani sacrileghe, durante dei lavori di riposizionamento.
Ma il Cimitero non è solo l’insieme di note storiche, stilemi architettonici, lapidi e sculture: il Cimitero è, soprattutto, un crogiuolo di ricordi, talvolta intimi, evocati dai foto-ritratti o dagli epitaffi e di storie, talvolta, solo immaginate.
Tipico esempio di questa evocazione è il giro che si fa il giorno dei morti, quando si vaga senza uno scopo preciso, oltre le solite visite, per cercare un parente più lontano che ci ha lasciato o un amico che non c’è più e, talvolta, ci si perde a immaginare la vita della persona raffigurata in un ritratto antico.
Di quei giorni e di tante domeniche mi vengono in mente le discese veloci dalla copertura della scala della tomba comune, un piano inclinato, pavimentato di chianche, su cui ci si arrampicava e si scendeva d’un fiato. Il pensiero oggi mi fa rabbrividire per il rischio che correvamo, ma all’epoca chi ci pensava?
Anche un luogo così mesto poteva diventare divertente, come le coccole dei cipressi che diventavano biglie … o pallottole.
Io, poi, ogni volta che varco il portale dell’ingresso e vedo la porta sulla sinistra, non posso fare a meno di ricordare il mio bisnonno, Donato, che, come capomastro, partecipò alla costruzione di quel camposanto e, una volta ultimati i lavori, ebbe anche l’incarico di custode notturno che svolgevano a turno i figli i quali, per farlo, dormivano in una cameretta al primo piano sopra la camera mortuaria a cui si accedeva, appunto, da quella porticina.
Quando c’era un morto, gli si legava alle mani una cordicella che saliva fin nella cameretta e si collegava a una campanella che avrebbe suonato in caso di risveglio del trapassato, come accade nei casi di morte apparente (nell’architrave dell’ufficio del custode che una volta era camera mortuaria, è possibile vedere ancora la carrucola e il foro che portava alla cameretta del custode).
Donato Corvaglia capomastro muratore
Mi ricordo pure di un altro Donato Corvaglia, un caro amico. Era una persona speciale che, come impiegato comunale, svolse diversi ruoli: netturbino, archivista, messo comunale e alla fine custode del cimitero e “precamorti”. Di lui ricordo la bontà e la bonomia, la cura nell’insegnarci il catechismo, la semplicità e la sensibilità delle sue poesie che amava comporre in quella pace, ma anche la delicatezza e la discrezione nei momenti della sepoltura, quando il distacco fra il defunto e i familiari diventava lacerante. Lui mostrava sempre umana pietà, sensibilità, solidarietà e la giusta fermezza, tutte viatico per l’addio. Ha lasciato in eredità ai suoi colleghi un attrezzo da lui inventato che loro chiamano, affettuosamente, Mangone (era il soprannome patronimico) che serve a scardinare la lastra di pietra murata nelle dissepolture.
E poi, ai più attempati verrà in mente un altro Precamorti mitico: u Paulu.
“Paulu” viveva, praticamente, nel cimitero anche se aveva una sua casa in paese. Vestiva abiti dimessi, era solo e, spesso, accettava la carità di un pasto, offerto per “l’anima dei morti”, o anche solo un bicchiere di vino, due, tre….*
Lui accettava volentieri, ma veniva considerato uno sventurato e, spesso, i ragazzi lo prendevano in giro. Allora lui, quando si arrabbiava, urlava minaccioso: « A cquai ve spettu tutti!!!» ( Vi aspetto tutti qui!!! intendendo al Camposanto).
Aveva preso parte in una sacra rappresentazione della Passione di Cristo, rimasta memorabile, (quella, per intenderci, in cui Mesciu Carmelu Carluccio, cantore, era Gesù) interpretando un efficace e credibilissimo Cireneo che, su quelle spalle malferme, sbilenche, si caricava il segno della redenzione del mondo senza essere il Messia.
Altri aneddoti si raccontano su di lui. In particolare si racconta di una giovane vedova, innamoratissima del marito, morto prematuramente, la quale, ogni giorno, portava sulla sua tomba delle pietanze, come se fosse vivo. Paolo se le mangiava e lei ogni giorno non mancava di rinnovare il suo gesto affettuoso nei riguardi del marito. Un giorno di estate, nel caldo della canicola, era scesa nel colombario sotterraneo e non poteva immaginare che Paolo precamorti si fosse infilato in un loculo per sfuggire alla morsa di quel caldo soffocante. Quando lo vide uscire, per poco non rimase stecchita. Era una donna forte, molto cara, che non morì per lo spavento, ma concluse la sua vita in tarda età con la compagnia di due cani affettuosi per poi ricongiungersi al suo amato Salvatore.
*Piccola nota di costume.
Nel Salento si usa offrire delle cose da mangiare, specie a chi è più sfortunato, per ottenere delle preghiere in suffragio delle anime defunte. È quasi come offrirle al caro che non c’è più e, spesso, il cibo o il frutto offerto è quel cibo o quel frutto che piaceva particolarmente al caro estinto.
Talvolta si sogna un caro che manifesta il desiderio di un cibo e si cerca di soddisfarlo, dando quel cibo a qualcun altro che quel cibo può mangiarlo fisicamente. C’è chi racconta di aver regalato dei cibi a qualcuno e che il caro estinto sia andato poi in sogno, esprimendo soddisfazione per quel pasto.
In particolare una conoscente, riferiva di aver preparato e donato delle sagne col sugo da portare a una famiglia benestante che, però, non apprezzava particolarmente quel dono. La domestica, incaricata del servizio, un giorno aveva fame, si sedette e se le mangiò. Dopo aver mangiato si sentì ristorata e soddisfatta e, come si usava, pregò il riposo eterno ai defunti della donatrice. Nei giorni successivi, chi aveva donato il cibo sognò il defunto che mangiava le sagne, seduto su alcuni gradini. Quando la donna rivide la domestica, per ripetere il dono, le chiese se le sagne erano arrivate a destinazione. Di fronte alle domande insistenti, la donna raccontò la verità e il posto dove le aveva mangiate era lo stesso dove, nel sogno, il caro defunto si era seduto a mangiare. Da allora le sagne, quando preparate, furono destinate alla domestica.
Un’altra volta, un’altra massaia aveva mandato del pesce fritto da portare in dono e chi lo portava, inciampando, ne fece cadere, accidentalmente, alcuni. Non poteva rimetterli nel piatto, ma non voleva buttare quel ben di Dio. Così li pulì dalla polvere e se li mangiò con gusto pregando un Recumaterna alli morti sentito.
Giorni dopo la massaia sognò il defunto che raccoglieva del pesce da terra e se lo mangiava. Indagò e scoprì l’accaduto.
Come diceva il Commedantore del Don Giovanni Mozartiano: “Non si pasce di cibo terreno chi si pasce di cibo celeste…” e per noi uomini moderni è difficile credere che ci possano essere dei legami reali e sostanziali diversi da quella che può essere solo una suggestione.
Anche una richiesta, oggi domandata per favore, un tempo veniva perorata chiedendola “per l’anima de li morti toi”. Magari, se la richiesta era particolarmente importante, per meglio ottenerla, si chiedeva il favore per l’anima di un defunto particolarmente caro (Pe l’anima de lu Tata tou, o pe l’anima de la Mamma tua).
Inoltre ogni volta che si voleva ringraziare qualcuno si usava dire “Recumaterna alli morti toi” (in segno di ringraziamento, prego il riposo eterno per i tuoi cari defunti) o anche Ddhrifriscu de i morti, che vuol dire la stessa cosa oppure Ddhrifriscu de Diu che voleva dire che il Signore Iddio misericordioso conceda il riposo eterno ai tuoi defunti. Anche questo andava a consolare le anime che, secondo gli insegnamenti cristiani, potevano stare in Purgatorio in attesa della beatitudine.
Per contro, se si voleva offendere qualcuno in modo estremo, ci si rivolgeva a lui imprecando contro i suoi defunti.
Si ringraziano per le foto Mirella Corvaglia e Antonio Corvaglia
#edilizia funeraria#Giuseppe Corvaglia#Spongano#Paesi di Terra d’Otranto#Spigolature Salentine#Tradizioni Popolari di Terra d’Otranto
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Inside the Studio: Meet the Women of “Song of Solomon”
“Journey to Album Release: Vol. 6″
3/9/2017
After a wonderful International Women’s Day we bring you towards the end of our Journey in the studio at Yellow Sound Lab and what better way than to introduce you to the Women of “Song of Solomon”.
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Shari Pessah, co-producer, and such a wonderful person to have in the studio.
The Mahlers, co-producers, have been a driving force for this album and had a wonderful time seeing magic happen in the studio.
Alessandra Baldacchino is the sweetest as Maya. She is now on the First Broadway National Tour of Fun Home and you can see how seriously she takes the work in the studio.
But there’s always time for smiles with composer, Andrew Beall.
And with musical director, Jim Lowe.
Ali and Jim working out a part.
Jim Lowe is an amazing musical director and seeing him work with the actors and actresses was a wonder to behold. Even more so when he worked here with Alessandra Baldacchino.
Great shots of Ali!
What a proud mom!
I want you on my album!
Have you heard Leah’s desperate cry for her child? This is probably it. Get your album today! Sung by the original Leah, Jessica Foster.
Nicole Renee Chapman originally premiered Act II in the role of Almah.
Melissa Mitchell, a brilliant high soprano, joined us from Broadway’s Les Miserables.
Erin Clemons played the sultry and seductive Nadia. Another Les Miz gal, Erin can currently be seen on the Broadway National Tour of Beautiful.
Siri Howard, a solid veteran of Les Miserables, blew us away with her ability to be playful and intense at the same time.
Desi Oakley is ruthless as Dina. But watch the video above and you would never know. She’s a dancing queen!
Jim Lowe is so stunned by the talent he gets to work with.
Andrew doing his thing.
These gals never stopped laughing.
#Song of Solomon#concept album#musical theater#sosnewmusical#andrew beall#yellow sound lab#journey#Alessandra Baldacchino#desi oakley#melissa mitchell#Jim Lowe#erin clemons#siri howard#nicole renee chapman#Jessica Foster#fun home
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Stanley, il babbo di Boris Johnson, ha previsto la pandemia in un romanzo del 1982. Non proprio un capolavoro… (L’amore si fa sempre su un letto a baldacchino in ottone comprato a Parigi)
Una certa somiglianza c’è. Nei capelli, suppongo. E nella fazione politica. Anche Stanley fa parte del Conservative Party – per altro, esercitò al Parlamento Europeo, parecchi anni fa, ala destra. Stanley Johnson quest’anno compie 80 anni – 18 agosto – ha collezionato due mogli e sei figli; il bisnonno, Ali Kemal, fu Ministro degli Interni dell’Impero Ottomano sotto Damat Ferid Pasha: ebbe il merito di denunciare il massacro degli Armeni. La faccio breve. I figli di Stanley sono quasi tutti celebri: Rachel è una giornalista di fama, Jo è deputato in Parlamento (fugace apparizione come Ministro dell’Istruzione), Boris è lui, Boris Johnson. Finita la parentesi. Ora. Stanley Johnson non passa nelle didascalie come pilitician bensì come writer. In effetti, è uno scrittore. La sua carriera comincia nel 1967, con Gold Drain; un romanzo del 1987, The Commissioner, è stato tradotto in film da George Sluizer, con un passaggio alla “Berlinale”. L’ultimo romanzo, tre anni fa, s’intitola Kompromat, è un satirical thriller, sulla Brexit. Ma non è questo il bello. In una intervista di qualche tempo fa – 21 marzo, su “The Telegraph” – Stanley Johnson pigliava di petto la pandemia: “Ho predetto tutto in un romanzo, 40 anni fa. Pregate per un lieto fine”. Oggi il “Guardian” ci avvisa che Stanley e i suoi agenti “premono per una nuova ristampa del romanzo”. (Domanda incapsulata nell’articolo: ma se così tanti, tra scrittori e cineasti, hanno previsto la pandemia perché ci siamo trovati con le mutande in mano, tanto impreparati?). Certo, se è l’autore a doverci ricordare quanto fu profetico il suo romanzo, ciò vuol dire che il romanzo non è stato, francamente, indimenticabile. In ogni caso. Il romanzo è pubblico quando Zoff e Paolo Rossi sollevano la coppa del mondo, in Spagna. 1982; titolo: The Marburg Virus. Trama: “Come si ferma un assassino invisibile? Quando una giovane donna muore a New York in circostanze misteriose, dopo un viaggio a Bruxelles, l’epidemiologo Lowell Kaplan identifica la causa nel virus di Marburg. Determinato a rintracciare l’origine del virus, Kaplan districa intrighi che lo portano dai laboratori tedeschi alla giungla dell’Africa centrale. Con il rischio di scoprire segreti tenuti debitamente sotto copertura”. Insomma, una forma evoluta – virale – di 007. Il romanzo ha avuto un passaggio negli Usa, come The Virus, cinque anni fa (in profezia pandemica?). Non pare abbia fatto sfracelli. Traduciamo alcuni estratti dal romanzo. Va tarato a quarant’anni fa. Non pare un capolavoro. I complottisti diranno che il virus è arrivato in UK per consentire al capo del primo ministro di ristampare il suo incerto libello. I comuni lettori si limiteranno a suggerire al biondochiomato Boris: se vale la norma che tale padre tale figlio, ficca il fatidico romanzo inedito & inaudito negli abissi del primo cassetto che passa.
***
Il dottor Lowell Kaplan, capo del dipartimento di epidemiologia del National Center for Desease Control di Atlanta, Georgia, era al telefono con il Giappone. Pareva preoccupato. Spinse indietro la ciocca di folti capelli grigi che gli era caduta sulla fronte, si chinò in avanti, parlando, l’energia repressa elettrizzava ogni lato del suo corpo. “Va bene”, gridò al telefono, “è diverso dal ceppo brasiliano, ma ha un potenziale pandemico? Questa è la questione”.
*
Lei lo supplicò. “Non ora, Lowell. Non andartene. Ho bisogno di te stanotte”.
Fecero l’amore su un letto a baldacchino in ottone che Stephanie aveva comprato in un negozio di antiquariato a Les Halles, quando era stata a Parigi per la prima volta. Kaplan restò, quella notte.
Fecero la colazione a letto. Poi, spinto da parte il vassoio, fecero ancora l’amore. L’urgenza della sera prima era svanita. Come se una diga fosse scoppiata sul fiume. Dopo la turbolenza temporanea, l’acqua continuava a scorrere, ancora.
*
La reazione del Presidente, informato della crisi, fu immediata. “Perché, in nome di Dio, non abbiamo un vaccino? Voi”, parlava a un gruppo di funzionari sanitari, federali e statali, lì per contrastare l’emergenza, “avete un vaccino contro la poliomelite, contro l’influenza e la pertosse, perfino contro un raffreddore comune. Allora, perché non avete un vaccino per il Marburg, se è la malattia più mortale che l’uomo conosca?”.
Stanley Johnson
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Alessandra Baldacchino
Cabaret for a Cause - September 20th, 2015
www.cabaretforacause.us
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fun home characters: small alison “do you feel my heart saying hi?”
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Faces of Fun Home - Alessandra Baldacchino - Fun Home Broadway (u/s Small Alison, John, Christian) & Fun Home Tour (Small Alison)
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Ring of Keys Compilation - All Small Alison’s (Sydney Lucas, Gabby Pizzolo, Ali Baldacchino, & Carly Gold)
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caption: my dad and i were exactly alike.
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Fun Home National Tour kids Pierson Salvador (Christian), Sofia Trimarchi (u/s Small Alison, Christian, John), Alessandra Baldacchino (Small Alison) and Lennon Nate Hammond (John) took their final bow tonight.
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Fun Home Tour 11/3/16 - Ring of Keys - Alessandra Baldacchino (Small Alison)
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