#acculturazione
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yourtrashcollector · 8 months ago
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Qualche mese prima, il giorno in cui Magid compiva nove anni, un gruppo di ragazzini bianchi molto carini e dai modi inappuntabili aveva suonato alla porta e chiesto di Mark Smith. «Mark? Non c'è nessun Mark, qui» aveva detto Alsana, chinandosi fino al loro livello, con un gran sorriso. «Qui vive solo la famiglia Iqbal. Avete sbagliato casa.» Ma prima che avesse finito la frase, era arrivato di corsa Magid, che aveva spinto la madre da una parte. «Salve, ragazzi.» «Salve, Mark.» «Andiamo al circolo degli scacchi, mamma.» «Sì, M... M... Mark» aveva detto Alsana, prossima alle lacrime per quell'oltraggio finale, la sostituzione di "Amma" con "Mamma". «Non fare tardi.» «TI HO MESSO UN NOME GLORIOSO COME MAGID MAH-FOOZ MURSHED MUBTASIM IQBAL!» aveva urlato Samad a Magid, quando quella sera era tornato a casa per schizzare come un proiettile su per le scale e andare a nascondersi nella sua stanza. «E TU TI FAI CHIAMARE MARK SMITH!» Ma quello era solo un sintomo di un malessere più profondo. Magid desiderava realmente trovarsi in un'altra famiglia. Voleva possedere gatti e non scarafaggi, voleva che sua madre emettesse la musica di un violoncello, non il suono della macchina da cucire; voleva avere tralci di fiori sul lato della casa, invece del sempre crescente cumulo di immondizie dei vicini; nell'ingresso voleva un pianoforte e non la portiera rotta della macchina del cugino Kurshed; voleva fare le vacanze in bicicletta in Francia, e non viaggi di un giorno a Blackpool per andare a trovare le zie; voleva che il pavimento della sua stanza fosse di legno lucido, non della logora moquette verde e gialla avanzata dal ristorante; voleva che suo padre facesse il medico, non il cameriere con una mano sola; e quel mese Magid aveva convertito tutti questi desideri nella voglia di partecipare alla Festa del Raccolto come avrebbe fatto un Mark Smith. Come avrebbe fatto chiunque altro. MA VOGLIAMO FARLO, ALTRIMENTI CI BECCHIAMO UNA PUNIZIONE. LA SIGNORA OWENS DICE CHE È LA TRADIZIONE. Samad perse la pazienza. «La tradizione di chi?» urlò, mentre Magid, in lacrime, ricominciava a scrivere freneticamente. «Maledizione, tu sei un musulmano, non un folletto dei boschi! Te l'ho detto, Magid, te l'ho spiegato quali sono le condizioni per ottenere il permesso di andarci. Prima vieni con me sull'haj. Se mai riuscirò a toccare quella pietra nera prima di morire, voglio farlo con a fianco mio figlio maggiore.» Magid ruppe la punta della matita a metà della risposta, e scrisse l'altra metà usando il mozzicone. NON È GIUSTO! NON POSSO ANDARE SULL'HAJ. DEVO ANDARE A SCUOLA. NON HO TEMPO PER ANDARE ALLA MECCA. NON È GIUSTO! «Benvenuto nel ventesimo secolo. Non è giusto. Niente è giusto.»
Zadie Smith, Denti bianchi
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our-verystudentgarden · 2 years ago
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Telemaco Signorini (Santa Croce di Venezia 1835 – Firenze 1901)
La giovane nazione italiana era composta da una esigua minoranza di alfabetizzati urbani e benestanti e da una immensa platea di analfabeti totali dislocati nei quartieri umili delle città e soprattutto delle campagne. Nello scegliere come soggetto una bimba, tutta protesa nello sforzo di scrivere con il pennino ad inchiostro, Signorini mette in evidenza l’importanza paritetica della acculturazione femminile, allora invece considerata non necessaria e casomai rivolta solo alle bambine di rango sociale alto.
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ross-nekochan · 3 years ago
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Laura Imai Messina è stata la mia mentore per lo studio del giapponese. Ero al liceo, seguivo solo qualche anime e lei creò una pagina su Facebook: Giappone mon amour. Raccontava fatti particolari che non avevo mai sentito né letto e mescolava racconti di sé e della sua vita a Tokyo nel suo blog. A quei tempi, su Facebook eravamo una piccola comunità e parlavamo spesso nei commenti a tu per tu. L'ammiravo moltissimo. Il suo primo romanzo edito è stato Tokyo Orizzontale.
Sulla stregua della grande onda di misticismo esotico crescente che si porta dietro il Giappone dagli anni '80 in poi, Laura ha prontamente deciso di calvacare l'onda. Un'onda che in parte ha creato lei stessa. Scrive libri che adottano un misticismo molto ricercato, sopraffino, che permette al lettore di sentirsi "vero conoscitore di un Giappone intimo, speciale, autentico", poi però le copertine rinforzano stereotipi, essenzialismi culturali e feticizzazioni della donna asiatica. (Lo so che è in gran parte colpa della casa editrice, but still vuol dire che non si batte a sufficienza contro questa cosa.)
Ad oggi, 10 anni e passa dopo, posso dire che quasi la disprezzo. Dopo aver conosciuto veramente quel pezzo di mondo, non riesco a capire come si fa a non fare altro che infiocchettarlo continuamente e venderlo così. Perché questa è truffa. E se fatta da intellettuali, la truffa è doppia.
Roberto Saviano ha per me il merito di aver denunciato con lettere di fuoco tutto l'odio per il putridume che c'è, trasmettendo comunque amore per una terra. Lui sì che merita la mia ammirazione. Che senso ha dire solo bella Napoli, pizza, sole e mandolino? O ricordare quanto sia bello il golfo, il Vesuvio, quanto è bella Santa Chiara, le stradine strette e tortuose, quanto sono fighi i murales di Jorit, quanto so di cuore i napoletani, quando ci sono periodi in cui si spara? Quando tutto quello che vedi intorno a te è causa e conseguenza di tutto quello che la intossica quella terra?
In Tokyo Orizzontale forse forse una sorta di denuncia la posso pure intravedere: Tokyo è un melograno, ma che può anche ubriacarti, intossicarti, farti perdere la testa e toglierti tutto a tal punto che dalla posizione eretta ti costringe a quella orizzontale - sdraiato a terra ubriaco fradicio alla stazione di Shibuya.
Così si deve fare. Perché non bisogna scomodare Freud per dire che se non odi, non ami veramente. Se non hai le palle di dire:"Sì sta terra fa schifo al cesso, non ti prendo per il culo anzi ti racconto la sua merda... ma in fondo io l'amo lo stesso", per me non sei nessuno.
Sei solo l'ennesimo pifferaio magico - truffatore e schiavo delle dinamiche di potere economiche e sociali. E allora vai, acchiappa i cretini che ti seguono ascoltando il tuo piffero di merda. Peccato che saranno solo esattamente come quegli stessi cretini che si lasciano abbindolare dal profumo di una bella femmina e poi manco la toccano perché se scoprono il marcio che c'ha dentro, si cagherebbero addosso.
Bibliografia:
Laura Imai Messina, Tokyo Orizzontale, Edizioni Piemme, 2014
Roberto Saviano, Gomorra, Mondadori, 2006
Sandra Lyne, "Consuming Madame Chrysanthème: Loti's 'dolls' to Shanghai Baby, Intersections: Gender, History and Culture in the Asian Context” 2002
(http://intersections.anu.edu.au/issue8/lyne.html)
(Qua ci starebbe qualcosa di Freud per portare acqua al mio mulino da vera troia, ma figurati se ho sbatti di cercare sta cosa per un post di merda su Tumblr)
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frominsidie · 3 years ago
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Sì lo so, avevo detto che la bagarre da vax/novax mi aveva frantumato i zanetti (come si dice a Bologna) e poi continuo a rebloggare articoli che ne parlano... "Un minimo di coerenza, signora mia!"...
�� vero, sono incoerente, ma vedere questo tentativo di acculturazione forzata, mi impedisce di tacere, che poi Gramsci piange.
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sinnosis-sc · 2 years ago
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Il problema delle migrazioni verso l'Italia e l'Europa.
Al momento non c'è, ne in passato c'è mai stato un vero dibattito e un vero programma statale per affrontare il problema della migrazione. La sensazione è che questo argomento sia stato sempre affrontato con emotività e superficialità, il che è alquanto singolare per uno Stato che si professa moderno e democratico. 
Ovviamente non si tratta di fare entrare in Italia i migranti e dargli un minimo di accoglienza, perché questo è un aspetto marginale di un problema molto più ampio.
Un primo aspetto è quello del mercato del lavoro. Per accogliere migranti e non doverli mantenere a vita o non farli finire a delinquere, dobbiamo avere una disponibilità di posti di lavoro e di capacità di formazione e acculturamento dei migranti. Ovviamente la disponibilità di posti di lavoro e di formazione deve essere disponibile anche per gli italiani. 
Al momento non c'è questo requisito. 
Un secondo aspetto è la mancanza di una struttura funzionale ed efficiente per l'accoglienza, la formazione e la acculturazione dei migranti per favorirne l'integrazione nel tessuto sociale ed evitare la loro emarginazione e ghettizzazione. Tutti i migranti con permesso di soggiorno dovrebbero firmare un documento in cui si impegnano a rispettare le leggi e la cultura italiana, il nostro stile di vita e a non tentare mai di cambiarle. Si impegnano a non fare proselitismo religioso e a non agire secondo le loro vecchie tradizioni se queste sono in contrasto con le leggi e la cultura italiana . Non è positivo che si creino quartieri di migranti in cui si continuino a comportare come se fossero ancora nel loro Paese. I migranti devono accettare le regole della nostra società ed adeguarsi a queste.  Questo deve essere un prerequisito, insieme allo studio della lingua e della cultura italiana, per avere il permesso di soggiorno. 
Un problema da non sottovalutare è l'arrivo di un numero di maschi molto superiore a quello delle femmine. I maschi adulti avranno forti stimoli di tipo sessuale da una società molto più libera e questo aumenterà il rischio di atteggiamenti aggressivi e maschilisti. 
Occorrerà quindi una grande struttura di assistenza per seguire tutti i singoli individui e aiutarli nel percorso di integrazione. 
Ovviamente sarebbe opportuno che ci fosse una struttura nei Paesi da cui arrivano i migranti, che si occupasse della selezione e dei visti d'ingresso. 
Tutto questo non dovrà in alcun modo sottrarre energie e finanziamenti ai disagiati italiani, per non creare attriti tra comunità di bisognosi.
Quindi , assistenza, case popolari, posti di lavoro, formazione, sanità e scuola dovranno essere disponibili per tutti senza discriminazioni.
Penso che aver accettato degli immigrati senza valutare l' impatto della religione sia stata una vera stupidaggine da parte dei governi europei, è stato come mettere una mela marcia in un cesto di mele. Ovviamente mi riferisco alla religione musulmana. I musulmani non sono in grado di integrarsi, perché nella loro cultura, ancora tribale, non esiste separazione tra la legge del Corano e il diritto civile. Inoltre il Corano è un modus vivendi e non consente la secolarizzazione della religione. Pertanto gli immigrati musulmani , in particolare i più radicali o ortodossi, andrebbero respinti.
Ultimo, ma forse più importante è lo stanziamento di fondi per realizzare tutto questo , altrimenti parlare di accoglienza agli immigrati è solo fumo negli occhi.  
P.S. Gli ultimi avvenimenti mi inducono ad una riflessione in merito alla immigrazione di persone con religione islamica. Questa religione è molto invasiva nella vita sociale di queste persone, ne scandisce i ritmi e le relazioni sociali e inoltre è strettamente intrecciata alla loro visione politica della società e delle forme di governo. Questa religione non permette lo sviluppo di democrazie nei loro Paesi e pretende di cambiare anche le nostre società secolarizzate. Pertanto resto dell' avviso che i musulmani ortodossi non andrebbero fatti restare in Europa.
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spazioliberoblog · 3 years ago
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“PIER PAOLO PASOLINI ,IO SO”
“PIER PAOLO PASOLINI ,IO SO”
a cura di MARINA MARUCCI ♦                                      “Il regime è un regime democratico, eccetera, eccetera, però quella acculturazione, quella omologazione che il fascismo non è riuscito  assolutamente ad ottenere, il Potere di oggi, cioè il Potere della civiltà dei consumi, invece, riesce ad ottenerla perfettamente, distruggendo le varie realtà particolari. E questa cosa è avvenuta…
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carmenvicinanza · 3 years ago
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Amandine Gay
https://www.unadonnalgiorno.it/amandine-gay/
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Il mio lavoro di regista, autrice e attivista consiste nel raccontare, documentare e conservare le storie e le realtà di coloro che di solito spariscono più facilmente dalla Storia, che si tratti di donne nere, delle persone adottate o di qualsiasi altro gruppo costruito come minoritario e invisibile.
Amandine Gay è una regista, attrice, attivista e sociologa francese.
Nei suoi documentari evidenzia le competenze sviluppate da chi sperimenta la discriminazione del razzismo e del sessismo razzializzato, attraverso la voce e l’esperienza diretta. Si considera della stirpe dell’intimo politico.
Nata il 16 ottobre 1984 in Francia da madre marocchina e padre sconosciuto, è stata adottata da piccola da una coppia di persone bianche che vive vicino Lione.
Si è laureata all’Istituto di studi politici e terminato il suo corso di giornalismo in Australia. Ha svolto uno stage presso la scuola di documentari di Lussas e nel 2008, si è unita alla scuola di recitazione del 16° Arrondissement di Parigi.
Nel 2017 ha conseguito un master in sociologia presso l’Università del Quebec a Montreal, dove si è trasferita dal 2014 alla ricerca di un paese dove la convivenza multiculturale fosse più semplice.
Ha iniziato a lavorare come attrice, ma dopo poco si è resa conto che le proponevano sempre gli stessi ruoli stereotipati, prostituta, tossicodipendente, clandestina. Ha deciso così di diventare regista per promuovere una differente visione delle donne nere.
Nel 2017, è diventata anche produttrice fondando la Bras de Fer Production et Distribution.
Fa parte dell’ONG Center for Intersectional Justice, che ha sede a Berlino.
Ha iniziato a scrivere brevi programmi per la televisione riscontrando enormi difficoltà a trovare finanziamenti perché i produttori, generalmente uomini bianchi di mezza età, non riuscivano a riconoscersi nei suoi temi. È stata anche coautrice di una fiction che è una satira sulle riviste femminili chiamate Medias Tartes.
Il suo primo film Ouvrir la Voix, realizzato nel 2016 grazie a una campagna di crowdfunding, dà voce alle donne nere in Francia tentando una differente narrazione femminista.
Nel documentario, infatti, compaiono 24 donne nere francesi che svolgono lavori di ogni genere, sono ingegnere, attiviste, ricercatrici o blogger, lavori insomma, ancora considerati a totale appannaggio di donne bianche. Riporta i condizionamenti subiti, rovesciando gli stereotipi e la concezione universalistica delle persone bianche. Il film esprime la consapevolezza che riconoscere l’intreccio tra personale e politico è una delle condizioni di possibilità per il cambiamento sociale.
L’opera ha ricevuto l’Out d’or per la creazione artistica.
Nel documentario Une histoire à soi, del 2021, dà la parola a cinque persone adottate da famiglie francesi provenienti da vari paesi del mondo. Vi si parla di sradicamento e acculturazione, evidenziando il fatto che le adozioni transnazionali e transrazziali hanno un forte impatto emotivo e psicologico sulla costruzione dell’identità delle persone adottate, così come sulle famiglie che le hanno accolte.
Il film smonta la retorica umanitaria asservita all’imperialismo evidenziando l’uso dell’adozione come business e strumento di guerra e propaganda politica.
Tutte le storie raccontate nel film pongono, in termini politici, la questione di chi ha diritto a costituire una famiglia, ripensando le relazioni e rompendo le gerarchie tra legami biologici e non.
Il cinema e la scrittura sono, per Amandine Gay, spazi in cui far incontrare la propria biografia di donna nera adottata da una famiglia bianca con vicende legate e diverse tra loro. I traumi, il senso di disagio pur sentendosi amata, il dover provare gratitudine e riconoscenza, il sentimento d’esilio, l’errata criminalizzazione della madre che l’ha abbandonata e tante altre tematiche e disagi ricorrenti nelle persone che sono state adottate.
Si definisce una donna nera afro discendente, afro-femminista, pansessuale, antirazzista, anti eteronormatività, afro-punk, pro-choice (aborto, velo, sex working), body positive.
I suoi libri e film nascono da un profondo lavoro di ricerca, autocoscienza, indagine e raccolta di dati sul campo.
Amandine Gay rappresenta la voce dell’altra parte dell’umanità, quella che si tende a oscurare ma che esiste e rivendica la propria autodeterminazione.
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artide · 3 years ago
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Non è bannando un termine e appiattendone la ricchezza che creo cultura anzi, creo un'architettura vuota senza alcun fondamento, pericolosa sopratutto perchè toglie spessore, demolisce anziché ristrutturare.
Sarà sempre il processo di acculturazione che crea inclusione proprio perché il binarismo e tanti altri costrutti sono culturali.
Sono al supermercato reparto colazione:
Latte di soia dice dice la mamma, figlia chiede ma le mucche fanno la soia? Mamma risponde che la soia è un legume ma si chiama latte perché etc..etc..
Cosa ha fatto si che la mamma sapesse che le mucche non fanno la soia e potesse rispondere alla domanda? La cultura e l'educazione. La bambina ora sarà capace tramite processo di astrazione di cogliere la sfumatura del significato di latte, di sapere che se dice latte di soia non c'è una mucca che spara fagioli e continuerà ad utilizzare quel termine, arricchendo il suo significato.
Cosa fa si che possa utilizzare un termine piuttosto che un altro per descrivere, catalogare e comunicare? La cultura e non ci sarà nessun linguaggio creato ne pensato che non poggi su una cultura per potersi dire ad esempio inclusivo. Potrò pure usare i pronomi giusti, le parole corrette e friendly ma se vorrò offenderti, se vorrò feriti, se vorrò essere non inclusivo, discriminatorio e razzista lo potrò fare comunque perchè saranno la eventuale mia cultura ed educazione, a guidarmi e non certo un' architettura corretta che poggia sul niente.
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yourtrashcollector · 7 years ago
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Così l'acculturazione di massa diventa un penoso tirocinio verso il nulla
Domenico Starnone, Solo se interrogato
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lucafalace · 4 years ago
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La politica del teatro. Il teatro della politica di Luca Falace In qualsiasi epoca, anche tecnologica, dove il teatro viene eclissato, la civiltà decade nell'ombra e la democrazia assume una nuova maschera. In tal senso, il teatro della politica scompare, poichè questo «è sempre stato un affare di Stato»¹, e viene sostituito dalla politica del teatro. Questo perchè l'arte teatrale è «assimilabile piuttosto alla storia politica che a quella delle arti».² William Shakespeare contribuì ad attuare i progetti elisabettiani, attraverso i suoi drammi storici; vere opere di propaganda di acculturazione popolare. Shakespeare trasmise al pubblico la passione per la politica, liberando le menti offuscate, eliminando qualsiasi ostacolo culturale. In Shakespeare la questione centrale è quella della morale in politica. In età contemporanea, nella nostra epoca, seppur i produttori sono sempre gli stessi, come in un eterno ritorno, il teatro della politica è stato oscurato e la politica di ogni nazione diviene teatro, e non vi è più morale: questo perchè il teatro è simbolo di Cultura, di democrazia e morale politica. Quei riti che un tempo venivano prodotti in ogni singola nazione, con la globalizzazione sono diventati di tutti i popoli ignari. Quei riti scaramantici, propiziatori e primitivi, "Come in basso così in alto", oggi sono globali. E ancora non si è capito che tutto ritorna all'origine. Se si vuole rinnovare la morale bisogna portare alla luce il teatro, dunque la Cultura e la democrazia. Luca Falace Note ¹ Badiou: 2015, p. 53. A. Badiou, Rapsodia per il teatro. Arte, politica, evento, trad. it., Pellegrini, Cosenza 2015. ² Molinari: 1997, p. 4, C. Molinari, Storia del teatro, Laterza, Roma-Bari 1997. ____________ Opera in copertina Presunto Shakespeare Il ritratto Cobbe ____________ #Shakespeare #nocovid19 #covid19 #nazioni #attori #nwo #arts #teatro #politica #riti #arti #nocovid #music #artlovers #culture #cultures #artlife #libri #libro #books #music #arte #art #artist #photography #painting #books #book #travel #yoga https://www.instagram.com/p/CBDFeiyICxd/?igshid=1rtd3pcsd4gr2
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tamtamscuola · 7 years ago
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TAM TAM UNA SCUOLA ESTREMA
La scuola TAM TAM non è, innanzitutto, una scuola, perché non ne prevede il flusso più tipico, che è il passaggio di nozioni, modelli, tecniche e metodi da un piccolo gruppo che sa verso un grande gruppo che non sa.
La scuola TAM TAM non appartiene a colui che sa, né a colui che non sa, non si svolge tramite insegnanti e allievi . Si svolge proprio solo fra coloro che assieme intendono scoprire e scegliere nozioni, modelli, tecniche e metodi che gli si addicono.
La scuola TAM TAM non ha struttura, è amorale, originale, discontinua, classica, destrutturata .
Non è collettiva, non è obbligatoria, non è autoritaria, non è statale, non è borghese,  non è operaia, non è ideologica.
Non provoca partecipazione e nemmeno acculturazione: non trasmette messaggi in codice.
Può esserci o non esserci: è un evento naturale, e quando c’è induce a comportamenti di vita propri e differenziati.
Suo fine strategico è che ogni uomo possa produrre e consumare la sua imprevedibile attività mentale come fenomeno di comunicazione spontanea, da solo o in gruppo.
Suo fine tattico è l’eliminazione della didattica istituzionale, non avviene per accumulo ma per azzeramento.
Suoi riferimenti sono i bambini, le avanguardie, i paranoici, i selvaggi, gli umanisti, le culture arcaiche, i classici lontani.
La scuola TAM TAM, in particolare, non è fatta di edifici scolastici belli o brutti.
Non si applica a orario fisso dentro le classi, ma è latente dovunque, è uno spazio virtuale, psicofisico, che ciascuno sempre possiede.
La scuola TAM TAM, in definitiva, consiste nella non esistenza della scuola stessa.
TAM TAM è una scuola di eccellenza e si occupa di attività visive. È una scuola GRATIS. Suo Direttore è Alessandro Guerriero. Nasce da un’idea di Alessandro Guerriero, Alessandro Mendini, Riccardo Dalisi e Giacomo Ghidelli
I suoi Maestri sono importanti e il loro intervento è un dono. Gli spazi sono in prestito, non esiste struttura, i suoi luoghi sono molti. La sua sede principale è ospitata a Milano presso la NABA. I laboratori hanno durata variabile e ogni Maestro decide in modo autonomo il tema del suo intervento. L’impegno temporale dei Maestri è a loro discrezione. I maestri vengono coadiuvati da gruppi di collaboratori.
Chiunque può accedere alla scuola!!
In più è possibile  iscriversi all’Associazione!
A chi si associa verrà regalata una piccola sculturina che Alessandro Mendini ha (a sua volta) regalato a TAM-TAM. Un piccolo “segno di riconoscenza” che diventa, per chi lo riceve, un “segno di condivisione” di un’idea nuova.
Naturalmente TAM-TAM renderà conto pubblicamente dell’impiego di tutte le somme ricevute: per noi la trasparenza è una ragione di vita.
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primavoltacondeandre · 7 years ago
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Paolo Pulina - 1948
Quando uscì,  nel 1963, il terzo 45 giri di Fabrizio De André, con i pezzi  Il fannullone e  Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers,  anche in  una classe di quinta Ginnasio del Liceo classico “Domenico Alberto Azuni”  di Sassari, cominciarono subito a circolare – in una specie  di samizdat – le parole trasgressive e i contenuti  dissacratori  di una figura mitizzata nella manualistica storica come Carlo Martello, contenuti molto più “intriganti” di due “licenze poetiche” pur presenti nei versi (Carlo Martello non era re, ma solo “maestro di palazzo” dei re Merovingi; la battaglia di Poitiers avvenne nel 732 nel mese di ottobre, non “nella calda primavera”).
Nel mio paese natale, Ploaghe, vicino a Sassari, in una famiglia di pastori come la mia non era certo disponibile un giradischi né c’erano le possibilità economiche di comprare degli oggetti voluttuari come i  45 giri. Era successo però che, in cambio di numerose forme di formaggio pecorino, una famiglia che stava per emigrare in Francia, nei primi anni Sessanta, ci aveva  consegnato una vecchia, ingombrante RadioMarelli e lo Zingarelli, il famoso dizionario della lingua italiana: due strumenti di acculturazione sicuramente non di prima necessità vitale nel luogo di nuova residenza della famiglia costretta all’espatrio alla ricerca di un lavoro. Avendo potuto ascoltare fortunosamente “Carlo Martello” alla radio anche io potei vantare il “privilegio emozionante”  (secondo il ben conosciuto meccanismo del  “fascino del proibito”) di aver sentito dalla viva voce di Fabrizio De André quelle “parole brutte” e dissacranti che non potevano non sollecitare l’interesse dei giovani  allevati in un contesto socio-culturale (prima metà degli anni Sessanta) di asfissiante pruderie che la studiosa Nora Galli de’ Paratesi si apprestava a documentare addirittura in un volume degli Oscar Mondadori (1969;  ma l’edizione originale presso Giappichelli di Torino  era del 1964) con un titolo ineccepibilmente scientifico ma veramente ostico per la comprensione da parte di lettori comuni, cioè Le brutte parole: semantica dell’eufemismo. Sicuramente la spiegazione  riportata in copertina dell’edizione economica era più intelligibile (“Uno studio sulla censura del linguaggio; l’interdizione verbale operata dall’inconscio, dal pregiudizio, dal pudore e dalla convenienza; le parole proibite nell’italiano, nei dialetti, nei gerghi”)  anche rispetto al sottotitolo originale che era “L’eufemismo e la repressione verbale: con esempi tratti dall'italiano contemporaneo”. Da allora Fabrizio De André per me ha significato “trasgressività” e nel clima di rivoluzione sessuale inaugurato nel 1968 dal movimento studentesco la “favola d’amore” intitolata  La canzone di Marinella ha trovato la sua più adatta collocazione e valorizzazione, diventando la colonna sonora di molte reali storie d’amore.
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marcellino-98 · 6 years ago
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Nulla è più anarchico del potere. Il potere fa praticamente ciò che vuole. E ciò che il potere vuole è completamente arbitrario o dettato da sua necessità di carattere economica, che sfugge alle logiche razionali. o detesto, soprattutto il potere di oggi. Ognuno oggi ha il potere che subisce, è un potere che manipola i corpi in una maniera orribile e che non ha niente da invidiare alla manipolazione fatta da Himmler o Hitler. manipola trasformandone la coscienza, cioè nel modo peggiore istituendo dei nuovi valori che sono valori alienanti e falsi. I valori del consumo, che compiono quello che Marx chiama: “un genocidio delle culture viventi”. Sono caduti dei valori e sono stati sostituiti con altri valori, sono caduti dei modelli di comportamento e sono stati sostituiti con altri modelli di comportamento. Questa sostituzione, non è stata voluta dalla gente, dal basso, ma sono stati imposti dagli illustri del sistema nazionale. Volevano che gli italiani consumassero in un certo modo e un certo tipo di merce e per consumarlo dovevano realizzare un altro modello umano. Il regime, è un regime democratico, però quella acculturazione, quella omologazione che il fascismo non è riuscito assolutamente a ottenere, il potere di oggi, il potere della società di consumi è riuscito a ottenere perfettamente, distruggendo le varie realtà particolari. questa cosa è avvenuta talmente rapidamente che noi non ce ne siamo resi conto. È stata una specie di incubo in cui abbiamo visto l’Italia intorno a noi distruggersi, sparire e adesso risvegliandoci forse da quest’incubo e guardandoci intorno, ci accorgiamo che non c’è più niente da fare. L’uomo è sempre stato conformista. La caratteristica principale dell’uomo è quella di conformarsi a qualsiasi tipo di potere o di qualità di vita trovi nascendo. Forse più principalmente l’uomo è narciso, ribelle e ama molto la propria identità ma è la società che lo rende conformista e lui ha chinato la testa una volta per tutte agli obblighi della società. Io mi rendo ben conto che se le cose continuano così l’uomo si meccanizzerà talmente tanto, diventerà così antipatico e odioso, che, queste libertà qui, se ne andranno completamente perdute!
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divertimentideldesiderio · 8 years ago
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Il grembiulino e la grammatichetta
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Quest’oggi l'opinionismo del Corriere della Sera ci risparmia la Guerra Santa, ma ci ricorda che la rivolta anti-autoritaria degli anni ‘70 è la causa del degrado dell'italiano scritto. Non vorremmo entrare in questa cosa della protesta dei seicento “colleghi”, poiché la vastità del cazzo che ce ne frega manco Rovazzi riuscirebbe a rapparla. Sennonché il seguito d'imbecillità che promana da questa puerile iniziativa è tale che non si può tacere. 
Non ripeteremo l'ovvio, che cioè la lingua italiana non esiste, che è nata morta per iniziativa di intellettuali sognatori abbisognosi di un codice a cui conformarsi, che l'ipotesi di una letteratura italiana svanisce per sempre con Ariosto, che gli sforzi di Gadda e Calvino, per dire, viaggiavano fin dalla seconda metà del secolo scorso troppo sopra le teste del sottoproletariato, il quale oggi, nella versione neopromossa a piccolissima borghesia diplomata, li infama senza sapere chi siano. Non sarà il caso di approfondire le criticità di un sistema linguistico e letterario che apparivano già evidenti a Tassoni, né una serie di altre questioni che fanno tornare malinconicamente alla memoria una singolare conversazione (da film di Wes Anderson, o forse più dei Cohen) con Cesare Segre in piedi in mezzo ad un autogrill a metà strada tra Catania e Siracusa. Ma l'idea che i giovani non sappiano più scrivere l'italiano perché De Mauro ed altri contestarono il conformismo neogrammaticale della didattica della lingua è un argomento di tale idiozia e ignoranza, che davvero non si sa da dove cominciare a demolirlo. La stupidità di certi tromboni che sparano la prima stupidaggine che viene loro in mente andrebbe davvero punita col silenzio e l'oblio, ma due cose due, almeno quelle, sforziamoci di osservarle. 
Prima di tutto è evidente che un sistema culturale all'interno del quale i genitori si considerino mediamente acculturati anche se non lo sono, poiché hanno conseguito un diploma di licenza media superiore, è istintivamente portato a criticare le istituzioni educative, a differenza di un altro all'interno del quale essi siano completamente analfabeti e consapevoli del loro analfabetismo. Questo dato di contesto è essenziale per capire cosa accade oggi nel mondo dell'educazione. Secondo poi esiste questa possibilità diffusa di accedere alla pubblicazione dei propri scritti, della quale in questo momento ci stiamo avvalendo e grazie alla quale emergono dati di sistema che in altro contesto, quello della pubblicazione a stampa del secolo scorso, ad esempio, non appaiono nella loro evidenza. In sintesi, è chiaro che un sistema democratico all'interno del quale sia possibile a tutti i cittadini il conseguimento di un diploma di studio superiore e l'accesso alla pubblicazione dei propri pensieri fa emergere i vari livelli di alfabetizzazione e acculturazione che caratterizzano tutti i sistemi linguistici da sempre ad oggi. 
L'idea che oggi l'italiano si scriva “meglio” o “peggio” di “prima” è innanzitutto un'ipotesi da provare, in secondo luogo si tratta di capire con quale ”prima” ci confrontiamo, terzo poi c'è bisogno di capire cosa si intenda per “meglio” e “peggio”, perché, come De Mauro ha insegnato per una vita, questo concetto non è banale, nè riducibile alle pagine di una grammatichetta scolastica. Si potrà aggiungere che, proprio per merito di De Mauro e degli altri che hanno contribuito alla riforma dei cicli universitari (Eco e Barbaro, per dire, anch'essi scomparsi di recente), ci troviamo oggi a laureare i figli degli ignoranti, con gran scandalo dei seicento colleghi, i quali preferirebbero di gran lunga un paese diviso in classi di merito sociale, prima ancora che culturale. È evidente che laureare anche i figli degli ignoranti è più difficile che laureare solo i figli delle persone colte, quelli che escono, per dire, dal Virgilio a Roma, dal Parini a Milano, o dal D’Azeglio a Torino. Potremmo aggiungere altre sessanta pagine minimo di osservazioni di vario genere, complicare ed articolare il concetto, adducendone molti altri, al limite anche problematizzarlo fino a contestarlo, ma di sicuro la cosa che ha scritto oggi Ernesto Galli Della Loggia è una stronzata pazzesca.
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pangeanews · 5 years ago
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L’ambientalismo secondo Régis Debray: benvenuti all’Internazionale dell’Angoscia. È stato Petrarca a inaugurare l’era faustiana e a prevedere l’allunaggio
In Francia esiste ancora la categoria dell’intellettuale – un tizio che declina i ‘temi’ con ansia non tanto televisiva (come accade da questo lato delle Alpi), ma da ghigliottinatore. Piaccia o meno, l’intellettuale francofono è piacione e giacobino. Régis Debray, ventenne, era al fianco del ‘Che’ – fu il suo Giuda? – ora, plurisettantenne, ci spiega come va il mondo. Formidabile pamphlettista, per Gallimard, lo scorso anno, ha firmato “L’Europe fantôme” e “Du génie français”, mentre Mimesis traduceva “Fenomenologia del terrore”. Ora, con infallibile prestanza mediatica, Debray pubblica “Le Siècle Vert. Un changement de civilisation”. Questa la ‘quarta’: “Uno spettro ossessiona l’Occidente: la fine del sistema Terra. Tutti i poteri del mondo antico cercano di scongiurare o contenere la preoccupazione crescente. Ovunque, la gioventù scolarizzata si solleva e da Berlino a Roma, da New York a Parigi, da Madrid a Manchester, un solo grido: Basta discorsi, agiamo! Il futuro accusa il passato e convoca Prometeo al timone perché domani non sapremo più cos’è un pupazzo di neve, una fonte d’acqua potabile, una spiaggia. Abbiamo conosciuto l’Internazionale della speranza, stiamo scoprendo l’Internazionale dell’angoscia. Questo è un momento cruciale tra due epoche della nostra cultura. Il secolo sta cambiando sotto i nostri occhi, con urgenza. Noi, sopravvissuti del XX secolo, dobbiamo ricordare da quale matrice siamo usciti, quale storia ci ha fatto evolvere: un millennio di acculturazione”. Traduciamo qui parte del primo capitolo del libro.
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La colpa di Faust
Da quale infinito Medioevo siamo sorti? Dalla modernità. O dall’era faustiana – come l’ha battezzata Oswald Spengler questo grande poeta frainteso della storia universale. Faust è il medico e mago, nato alla fine del XV secolo, che fa un patto con il Diavolo, impersonato da Mefistofele, fa prodezze con il suo atanor, i suoi alambicchi, scopre la giovinezza eterna, seduce l’innocente Margherita, ma finisce strangolato dal suo mentore satanico. Ascensione, supremazia, dannazione: meglio del mito pagano di Prometeo, quello di Faust designa il destino dei pescatori di uomini che vollero diventare divinità facendosi “padroni e possessori della natura”. Vendere l’anima all’alchimia e ai suoi incanti non fu un buon affare… Goethe ne fece un dramma, Berlioz un’opera, Valery un saggio teatrale, Thomas Mann un romanzo, e a noi, che arriviamo come la polizia sulla scena di un crimine, il nostro pianeta, appare come un appello di luci dal fondo della notte. Quando ha preso forma questa era inebriante, che sostituisce l’antichità greco-romana, a volte definita apollinea? Poco prima del Quattrocento, un giorno del 1336, quando Petrarca, il poeta, andò a conquistare l’ignoto scalando il Mont Ventoux – piuttosto che contemplarlo da lontano, saggiandolo nel sogno, come facevano i Greci con l’Olimpo. Passando, cioè, da una contemplazione estetica e distante al desiderio di possedere fisicamente uno spazio. Quando si è conclusa questa era? Nel 1969, il giorno in cui Neil Armstrong mise piede sulla Luna. “Un grande passo per l’umanità…”, già, ma verso dove? L’avventura iniziata a Vaucluse trova culmine in Florida, a Cape Canaveral. Stessa sfida, diversa scala. Tra il punto di partenza e quello di arrivo, gli scienziati hanno progettato la bomba atomica. Un grosso sasso nella scarpa e nella coscienza dell’uomo predestinato ad ascendere. Di qui il nostro imbarazzo. E un sospetto celato: questo patto di fedeltà con le cose non risulta, piuttosto, sulla soglia del Rinascimento, un passo di lato? Quello che l’amante di Laura, Petrarca, dice essere un “commosso desiderio di vedere un luogo rinomato per la sua altezza”, non ancora la luna ma una montagna “decisamente ripida e quasi inaccessibile”, inaugura una pericolosa escalation che ora cerchiamo in forme imberbi di arginare. Diventando faustiano, il mammifero a due zampe ha abbandonato l’eterno per entrare nella storia, ma è lasciando la storia che si scopre un mero elemento della zoologia. Una specie animale sospesa, che si domanda se meriti un futuro, e quale… Non rimpiangiamo nulla del passato, non ci attendiamo nulla dal futuro che non sappiamo già. “Non ci si bagna due volte nello stesso fiume”, dice Eraclito. Immagine commovente di una eternità immobile. Il nostro fiume ci altera mentre scorre. Noi siamo occidentali, curiosi, insoddisfatti, irretiti dal sangue. All’impalpabile delle Mille e una notte Don Giovanni preferisce mille notti, polpose, e Faust conquista una regione da colonizzare, da mettere a reddito…
Régis Debray
*In copertina: una immagine da “Scene da Faust”, spettacolo di Federico Tiezzi, tratto da Goethe
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carmenvicinanza · 3 years ago
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Julia Child ha reso divertente cucinare
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Julia Child, celebre cuoca e autrice televisiva, ha scritto il rivoluzionario libro Mastering the Art of French Cooking, un successo enorme per cui fu premiata con la più importante onorificenza statunitense, la Presidential Medal of Freedom.
Grazie al suo modo ironico e scanzonato di presentare le ricette, è riuscita a ribaltare il concetto di alimentazione e diffondere il piacere della buona cucina.
Grande esempio di autodeterminazione femminile, la sua vita era partita sotto tutti altri auspici, da spia per il governo americano, ha finito per attuare una rivoluzione nel modo di mangiare.
Nata Julia McWilliams, il 15 agosto 1912, a Pasadena, in California, in una famiglia agiata e conservatrice, ebbe un’infanzia privilegiata, poté studiare nelle migliori scuole e praticare vari sport.
Sognava di fare la scrittrice, ma dopo la laurea si trasferì a New York e iniziò a lavorare in campo pubblicitario.
Allo scoppio della seconda guerra mondiale voleva arruolarsi ma non le fu permesso a causa della sua altezza, 1,88m, si offrì allora volontaria come assistente di ricerca per l’Office of Strategic Services (OSS), agenzia di intelligence governativa dove ebbe un ruolo chiave nella comunicazione di documenti top-secret. Viaggiò molto, ebbe incarichi in Cina e in Sri Lanka, dove conobbe Paul Child, suo collega che sposò nel 1946.
La coppia si trasferì successivamente a Parigi, dove il marito fu riassegnato al Servizio Informazioni presso l’ambasciata americana.
Fu allora che Julia Child si innamorò della buona cucina. Prima di sposarsi non aveva mai cucinato né dimostrato particolare interesse nei confronti del cibo. Fu il palato raffinato del marito e il soggiorno in Francia che le dischiuse le porte del gusto, in una progressiva acculturazione culinaria. Frequentò la prestigiosa scuola Cordon Bleu dove fu allieva di importanti chef e, con Simone Beck e Louisette Bertholle, sue compagne di corso, decise di fondare la scuola L’Ecole de Trois Gourmandes (La scuola delle tre buongustaie).
Lavorarono insieme per quasi dieci anni a quello che sarebbe stato il suo primo e più famoso libro di cucina: Mastering the Art of French Cooking, pubblicato nel 1961. Dal taglio quasi enciclopedico, il manuale ebbe il grande pregio di rendere facilmente comprensibili ricette spesso complesse e apparentemente lontane dal gusto e dalla mentalità statunitense.
Inizialmente rifiutato dagli editori, una volta pubblicato riscosse un enorme successo aprendole le porte della televisione. Bastò un’omelette cucinata in diretta, in occasione della presentazione del libro in una trasmissione televisiva, per scatenare lettere e telefonate di telespettatori che la richiedevano insistentemente sui propri schermi: i produttori non si lasciarono sfuggire l’occasione.
Fu così che nel 1963 andò in onda la prima puntata di The French Chef, il programma che entrò rapidamente in tutte le case statunitensi stravolgendo il modo di cucinare e parlare di cibo in tv.
Con la sua enorme altezza, la voce cinguettante di un uccellino e i modi gai e schietti, Julia Child conquistò subito gli spettatori. Era una persona genuina, una figura rassicurante e mai giudicante.
Con ironia e tanta simpatia illustrava piatti da chef con modalità non convenzionali che piacevano alle masse. “Se se sei sola in cucina e ti cade l’agnello per terra, raccoglilo. Chi mai lo verrà a sapere?”
La trasmissione, andata avanti per dieci anni, divenne uno dei primi e più apprezzati cooking show nella storia della televisione americana.
In un paese ancora profondamente puritano, Julia Child sdoganò il gusto di mangiare, vissuto come uno dei pochi e irrinunciabili piaceri della vita. Impavida di fronte all’uso dei grassi se temi il burro, usa la panna, ne rivendicò l’impiego fino alla fine, anche di fronte agli attacchi dei salutisti che, dagli anni Ottanta in poi, si fecero sempre più frequenti.
Insignita di numerosi premi ricordiamo il prestigioso George Foster Peabody Award e l’Emmy Award.
Nel 1970 uscì il secondo volume di quello che si può considerare tra i testi più influenti della gastronomia statunitense. Oltre ai vari libri di cucina, ha scritto anche un’autobiografia intitolata My Life in France. Successivamente è stata editata anche una raccolta delle sue migliori massime.
Nel 1993 è stata la prima donna inserita nella Hall of Fame del Culinary Institute.
Una carriera fortunata durata oltre 40 anni che l’ha consacrata tra le più famose chef. Nel 2000 è stata insignita della più alta onorificenza francese, la Legione d’Onore.
Lo Smithsonian National Museum of American History le ha dedicato una mostra, nel 2002.
Julia Child ha lasciato la terra il 13 agosto 2004, per insufficienza renale a Santa Barbara, in California, due giorni prima del suo 92° compleanno. Ha lavorato fino all’ultimo giorno, non aveva alcuna intenzione di essere una noiosa pensionata.
Il 15 agosto 2012, nel giorno in cui avrebbe compiuto cento anni, i ristoranti di tutta la nazione hanno partecipato alla Julia Child Restaurant Week, presentando le sue ricette nei propri menu.
Nel 1995 aveva creato la Julia Child Foundation  for Gastronomy and the Culinary Arts che oggi viene portata avanti attraverso le sovvenzioni di altre associazioni e il Julia Child Award, che ne continua l’eredità, educando e incoraggiando a vivere bene attraverso le gioie di cucinare, mangiare e bere con gusto.
La sua vita è stata raccontata nel film Julie & Julia del 2009, scritto da Nora Ephron e interpretato da Meryl Streep.
Negli Stati Uniti, gli episodi originali del fortunato show The French Chef sono disponibili in streaming. Dalla sua vita è stata tratta anche una serie tv prodotta da HBO Max.
Considerata la più famosa divulgatrice della cucina francese negli Stati Uniti, non si è mai nemmeno sentita una cuoca. Antesignana dei cooking show, per Julia Child la cucina è stato il mezzo per realizzarsi e affermare la propria libertà personale. Con simpatia, ironia e gioco si è fatta strada in un mondo che alle donne riservava ben poco.
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