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#a big fu to solas
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"Così sono nella vita reale e se non ti piace.
Non lo voglio sapere perché
vivo la vita a modo mio."
21 ottobre 1969: muore prematuramente Jean-Louis Lebris de Kérouac, meglio conosciuto come Jack Kerouac; è stato uno scrittore, poeta e pittore statunitense.
È considerato uno dei maggiori e più importanti scrittori statunitensi del XX secolo, nonché "padre del movimento beat", perché nei suoi scritti esplicitò le idee di liberazione, di approfondimento della propria coscienza e di realizzazione alternativa della propria personalità relative a un gruppo di poeti statunitensi che venne chiamato Beat Generation. Fu Kerouac a coniare il termine beat (come contrazione dal termine "beatific"), con intento religioso e non politico-contestatario, come lo fu invece per la maggior parte degli scrittori legati al movimento beat.
Il suo stile ritmato e immediato ha ispirato numerosi artisti e scrittori della Beat Generation e musicisti come il cantautore statunitense Bob Dylan. Le opere più conosciute sono Sulla strada, considerata il manifesto della Beat Generation, I sotterranei, I vagabondi del Dharma e Big Sur, che narrano dei suoi viaggi attraverso gli Stati Uniti d'America e delle brevi permanenze in qualche località.
I suoi scritti riflettono la volontà di liberarsi dalle soffocanti convenzioni sociali e dalle forme dell'epoca e dare un senso liberatorio alla propria esistenza, un approfondimento della coscienza cercato nelle droghe (come la benzedrina e la marijuana), nella religione, cattolica e buddhista (con una forte tendenza al sincretismo e ad un cristianesimo caratterizzato da un forte slancio vitale). Kerouac nei suoi frenetici viaggi, sembrava essere alla ricerca di un luogo che gli desse stabilità interiore e riempisse quella deprimente sensazione di vuoto, simboleggiata dalla morte del fratello maggiore, Gerard, all'età di quattro anni e poi del padre, oltre che di una risposta al mistero della vita; affrontare l'enigmaticità dell'esistenza è considerata dallo scrittore la sola attività importante a questo mondo.
Morì a 47 anni per conseguenze di cirrosi epatica, provocata dall'alcolismo che lo aveva tormentato per gran parte della sua vita.
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macabr00blog · 4 months
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I MASCHI DI OGGI
Completamente distrutto, incontro la Dior all’incrocio tra viale Carducci e via Dante, mi fermo ad aspettarla a lato della strada, proprio sotto il semaforo. Un gruppetto di tamarri-baffo-prepubero mi suona il clacson da una multipla scassatissima e con il motore chiaramente modificato. Ricchiò! Il mio gilet in lana finta a tre euro in qualche bancarella dell’usato che sapeva di muffa ora reso nuovo in questo look totalmente azzerato dal sudore dei trenta gradi di maggio.
La Dior guida una cinquecento color panna, cerchioni neri opachi, scritte rosse, la finezza e l’eleganza e lei che rutta nel vano e fuma una sigaretta dopo l’altra. Salgo sulla sua auto quando riesce ad accostare, poco più avanti, in un posteggio bici completamente empty, lo sportello sfrega contro un tronco di un albero di piccole dimensioni trapiantato in un’aiuola, la Dior bestemmia incalzante. Dal suo temperamento caldo-tendente-al-furente posso ben percepire la scalmana che l’ha presa questo pomeriggio.
Dovevamo partire alle quattro, sono le sei, lei guida lungo Santo Stefano, troviamo un posto auto lodando chissà quale santo pre-bestemmiato, la Dior ci si infila a fatica spintonando tra altre due auto. Sfrega un po’ gli sterzi, fa quattro belle manovre decentemente assestate, lei è donna di mondo, e tira quattro altri ceffoni a Dio. Quando scende raggiungiamo Via Cavour perché la Dior ha perso la sua sigaretta elettronica e sta andando in escandescenza. È totally mad e sbraita come una cagna, cosa che sottolinea di essere riappropriandosi della sua identità, fino a che non entriamo nel negozio e si paga una nuova fiammante carta di sola andata per un tumore, tutta imbellettata e sudata con i capelli a spazzola chiarissimi che se la suona e se la canta maneggiando il gioiello tumorale. Corriamo di nuovo verso il parcheggio-col-culo cercando di contattare Miss. Afghano, lei risponde a scatti al telefono e volano paroloni di volgarità estrema, è imbottigliata nel traffico delle sei di pomeriggio e un imbecille troyone si è fermato in mezzo la cazzo di strada, Porco Quel Dio Che Mi Fu Tanto Caro, ma che mi sentisse una buona volta, cazzo di quel Gesu Maiale, ora sto arrivando, arrivo, datemi un attimo, Porca Troia.
In cinque minuti io e la Dior usciamo dal parcheggino niente male, qualche fatica alle auto vicine, e ci imbocchiamo verso una chiesa decadence style in via Massarenti. La chiesa ha un parcheggio gratuito dove la Dior si fa inculare spesso la notte quando i genitori del Basilico non l’accolgono come una figlia. E d’altronde figlia non è.
Oh, se solo il suo grande amore anale fosse anche un incesto…
Accostiamo e ci raggiunge La Miss Afghano, o la Miss in momenti in cui non ha nascosto la panetta nelle valigie, anche lei già sudata ed esaurita. La sua lamentela però si estende cauta quando siamo già saliti nel Pandino selvaggio, tutto trekking e stivaletti di montagna, tutto chiappe all’aria come quella volta che la Miss ha incontrato un bel giovane marocchino dal quale comprava un ottimo fumo nero e si è fatta piegare, sabato, sabato ce l’ho fatta, azzero l’anno e mezzo di astinenza. È contenta ma è palesemente sfatta, torna da un turno al ristorante di circa otto ore, le si piegano le dita a fatica a forza di sorreggere vassoi, vassoietti, calici, calicini, piatti, piattini, lagna e lagna, finalmente un cazzo anche per me! E poi di nuovo segue la lamentela. L’Afghana è lercia lercia e lascia le carte del bingo sparse nell’auto, fanghi, una coperta spessa in lana, mozziconi, ceneri di qualsivoglia tipo. Passiamo la Tangenziale, uscita due, stradoni di provincia. La Dior scazza con il telepass, che palle che l’ho portato, dice. Fuma due o tre paglie che getta senza paura in mezzo alla steppa secca della campagna, chissà magari un big incendio furente come lei la rallegrerà. La Miss intanto si lamenta e schiaccia forte forte l’acceleratore in un broom tutto naturale e secco, sfreccia ai 120 su una provinciale.
Stiamo raggiungendo gli altri per il trentunesimo compleanno della Sardina, su i monti di chissà quale spazio desolato, siamo già quattro ore in ritardo.
Ce ne mettiamo altre due a salire su, la Dior insiste per guidare il Pandino selvaggio e rischiamo di cadere giù da una pendenza, il retro dell’auto tutto completamente graffiato, ma la Miss ride e scherza, sembra che ci abbia fatto l’abitudine ancora prima che accada. Arriviamo alla casa alle 21:15, dopo qualche sonoro bestemmione veneto davanti ad una coppia really eterosessuale sui sessanta chi basta e chi avanza, la Dior perde per l’ennesima volta la sigaretta elettronica, che ritroviamo dopo qualche piccola e approfondita ricerca in mezzo le cianfrusaglie di lerciume e letame della Miss.
La Sardina ci accoglie a braccia aperte, ci informa che il pischello che si è portata appresso come un cane da chiavata pronta, non l’ha ancora baciata. Ci mostra oltre il didietro abbassandosi i pantaloni, un bel culotto 90/100, liscio liscio e pronto per la sodomizzata nottata. Noi le raccontiamo dell’incidente della Dior, risate, giustificazioni sul ritardo, risate, la sigaretta della Dior, risate. Entriamo nell’abitazione di montagna con un aria di fuoco dentro, tutti pronti a vedere il bel bocconcino che la Sardina si è ripassata in queste settimane. Il pischello ha circa vent’anni e un’aria totalmente assente. Faccia e corpo real Jeffrey Dahamer, capello sbarazzino con un ciuffo spesso e scuro. Poi ci sono anche la fighetta eterosessuale che la Sardina si porta in giro a mò di borsetta, quella con cui doveva andare a convivere tempo fa e che ora se la fa con l’amico del Dahamer, un baffo veramente orribile e tutto foruncoloso e rachitico. La fighetta si presenta per l’ennesima volta a me, alla Dior e alla Miss, stolta la donna, noi la conosciamo già dagli estremi dei racconti della Sardina, tutte le volte che questa fighetta parla o fa qualcosa di scorretto la Sardina alza il telefono come una vecchia comare qual è e inizia il racconto epico delle gesta eterosessuali di questa figa sfigata.
Ci prepariamo alla bevuta mentre la Miss ovviamente ne tira su una bella dritta e compatta come un bellissimo cazzo bianco, già accesa dopo neanche mezz’ora dal nostro arrivo. Io e la Dior ci dividiamo prima una Peroni e poi l’altra, cerchiamo di non guardare male l’approviggionamento di stasera, pizza fredda e secca dentro il cartone e qualche pacco luminescente di patatine da discount, e in più quel faccia di fetente del Brufolo che mi siede accanto con fare saccente, con quel baffo di foca che farebbe spaventare un biologo, le mani secche secche e nodose come un vecchio.
Ma avrà vent’anni, venticinque massimo, mi dice la Dior in separata sede. Io insisto sul fatto che sia più di là che di qua con questa stempiata accentuata e questo riporto in posizione. Preferirei scoparmi un verme, dice la Dior, sempre al punto giusto della critica, sempre cosi croccante nella sua analisi. E io le chiedo, esattamente, dove se lo farebbe infilare il cazzo di un verme. E ridiamo.
Per tutta la sera il Dahamer mi sluma ma io tiro molto molto corto, tengo la conversazione rada e mi faccio notare dalla Sardina che non sembra minimamente accorgersi di come quel ventenne mi stia chiedendo di posizionarglielo. La Sardina d’altronde è distratta dalle sue stesse ciglia, dalla serata, dal pensiero che il Dahamer non la guarda, ci dice che non ha manco messo le mutande per l’occasione, e lui nemmeno un bacio, nemmeno uno, solo a stampo accostato forse per casualità. Sembra già innamorata la Sardina, ma il Dahamer si scrive già con un suo coetaneo che ha visto due sere prima, è completamente assente se non per vigilare sulla mia bocca, dalla bocca alla patta quando mi alzo, mi sento sinceramente violentato al terzo sguardo bavoso. Sembra disperato quel ventenne, come se la Sardina non se lo fosse chiavato per una settimana, come se con lei rimanesse a bocca asciutta, sembra che veda un uomo o un ricchione per la prima volta quando mi guarda, nel mio look totalmente punk filo stiloso e con i miei capelli chiari che ingurgito birra e sigarette per non posizionarmi nel suo sguardo, ma lui la mena e la stramena con i racconti dei suoi studi e dei suoi amici virili e io palle gonfie e cazzo in ritirata mi concedo una guerra di risate sotto i baffi con la Dior che lancia sguardi ben poco carini. La Sardina si lamenta con noi, siamo davvero scortesi, e non vorrei sottolineare che il suo boy mi sta facendo una radiografia al corpo, manco non avesse mai visto un maschio.
Alla fine siamo sempre io, la Dior e la Miss già alla quarta canna, ridiamo e scherziamo e poi ci spegne il sonno e la stanchezza e il fatto che a trentanni siamo qui ancora a festeggiare la Sardina e i suoi amorosi insuccessi e le sue palle enormi e le sue mutande assenti e la sua voce squillante e le sue moine paranoiche e ci compiaciamo. Ridiamo e scherziamo e usciamo di casa per prendere un po’ d’aria perché in quella stanza sono tutti alle prese con sbaciucchiamenti veramente teen che mi fanno colare un rivolo di vomito dalla bocca. La Miss piscia ubriaca in mezzo ad un campo, facciamo sei foto mosse con pose ridicole in mezzo alla strada, risaliamo verso la casa con lo stomaco pieno d’alcool e il cervello fumato con la panetta e ci stringiamo alla Miss che ha carenze di ferro e che a momenti si addormenta alla vecchia e abbandonata fermata del bus.
Al nostro ritorno la Sardina si fa percepire in calore tramite i gemiti sodomiti che provengono dalla sua stanza e che si propagano velocemente ovunque, ridiamo ancora come delle vecchie zitelle pazze e a stento ci reggiamo in piedi in quella caciara di sesso trenta-venti e allora pensiamo che il Dahamer ha gusti un po’ casuali, che va dove lo porta il cazzo o il culo, che ha vent’anni e che anche noi a vent’anni eravamo cosi in calore che ci bastava un maschio, anche solo uno, in tutto il mondo.
E ora che ne abbiamo trenta per uno, di anni e di maschi, di boys siamo diventate aride e anche se la lista è lunga come un biscione, esperienze e carinerie, alla fine siamo sempre noi tre vecchie checche a ridere di gusto e a passarci la scabbia dai colli delle birre, oh com’era bello a vent’anni quando ancora ci bastava l’amore, ora che ne abbiamo trenta siamo svampite e disunite, ancora qui a parlare di boys con toni very hot ma senza concludere nulla nella conoscenza, perché conosciamo, conosciamo, abbiamo avuto la sfortuna di conoscere, i maschi di oggi.
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castellidisabili · 5 months
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Eclissi stralunata totale
il sole passa
e fa ombra a tutto il mare.
Supremo il male
nell'Eunoè non c'è.
Su una zattera Nostradamus
la cataratta predisse a Noè
se la pioggia, tizio, non cessa all'immediato
è perché ascolti il tuo Signore
dal canale radio sbagliato.
Eccolo, Lui sorge, tramonto astigmatico!
L'arena l'osserva con scaramanzia.
Ma io che gioco con la chiromanzia
ho portato il terzo occhio dall'oculista
per una visita di controllo, sai com'è
quello lì non ci azzecca sempre bene
eppure ho fede che non si sappia in giro
che io non gli so affatto suggerire.
La ragione non è mai di chi indovina
o di chi rincorre la sua trasformazione
tra previsioni meteo e false fini del mondo
il futuro si è dovuto riciclare
la frangia sull'occhio non fu una grande idea
non mi rendevo conto, non riusciva a respirare!
frangetta maledetta
ha scheggiato i suoi poteri!
i dottori dicono
che esiste un salvagente
la sola soluzione
è mettergli una lente.
Quell'occhio un tempo mi parlava
delle sante medievali
inquietanti signorine
prodigiose e sofferenti
avevano gli angeli come amici immaginari.
Quegli interlocutori luminosi
le confondevano con le loro apparizioni
giocavano con loro a nascondino
e a suscitare in quelle menti agitazione
quanto perfidi si divertivano
finché quelle deviate con coraggio sorprendente
non si accecavano
con dei tizzoni ardenti.
Così giungevano al celeste
accogliente sacro regno
che per il visionario è luogo sempre degno.
''Dio è esistito, sapete,
ma quando è nato non eravamo nella stessa stanza...''
Il mio terzo occhio ora è tenuto in osservazione
passa dei giorni in un triste ambulatorio.
Ci siamo stancati di avere le visioni
anche i nostri angeli erano finzioni.
Occhio mio, tu sai
il primo vagito di Dio
è descritto in una Genesi ulteriore
che fu compilata molto prima del Big Bang
lì stava scritto
''La legge è solo una:
mai riunirsi per guardare verso Lui.''
E d'altronde, arlecchini dell'aldilà
vi dirò, io non ho mai visto
illuminazioni di gruppo
e neppure mistici
vivere in società.
Il dio Ciclope è cieco
ce ne siamo accorti tardi
che il Cielo
dal suo trono
non ricambia i nostri sguardi.
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766+Cheesburger, patatine e Coca Cola Zero
Odio la mia frangetta.
Ogni volta che ho tagliato la frangetta è stato in un momento in cui ho pensato, letteralmente: "£$%&/()".
Questo è quello che penso quando taglio la frangetta.
Lo feci nel 2016 quando stavo vedendo "Il favoloso mondo di Amélie" a casa di papà ed ho preso le forbicette del bagno e l'ho tagliata cortissima.
Quando l'ho fatta mi piaceva.
Ricordo che quell'anno, ricordo che fosse gennaio 2016 se non vado errata, quell'anno (intendo scolastico) fu quello in cui stetti sola, nel senso senza ragazzo e senza la necessità di cercarne uno.
Praticamente la versione basica di quello che sto passando ora.
Poi a giugno conobbi F. e la mia frangetta in 6 mesi si allungò parecchio.
Passo dei momenti così, dei momenti in cui la frangetta mi dà l'idea che sto facendo qualcosa di puro ed autentico, che mi sta bene al contrario di quello che diceva mia madre, che la frangetta era ingestibile. Io invece la so gestire, so gestire qualcosa di fuori dal comune perché io sono fuori dal comune.
E poi mi piace esteticamente, penso che in realtà mi abbellisca, ma poi vorrei i capelli lunghi fino alle spalle con il balayage e quindi penso che sono in questo eterno limbo, che la professoressa di marketing ha cioccato subito, di avere paura di crescere.
E quando vedevo G. piangere davanti Toy Story dicendo che era la sua più grande paura, forse non capivo.
Invece è sempre stata insita dentro di me questa sensazione di malessere dovuta alla discrepanza fra continuare a crescere, perché ad oggi ho 26 anni e sono piccola però sono grande, e quella me adolescente.
Perché alla fine la me bambina è stata curata, la me bambina ha capito che non deve prendersi le responsabilità del mondo, che è sicura.
Che alla fine la sua caparbietà l'ha portata lontano, lontana dai suoi demoni e che ora sta bene perché ha compreso che gli adulti non volevano deludere lei col suo comportamento, ma era semplicemente un rifletto di ciò che è stato fatto loro.
Però la me adolescente è ancora emo dentro.
In un eterno limbo fra la frangetta tagliuzzata male, i tatuaggi senza stencil che sono più crudi e più veri, finire a vomitare per terra alle 5 del mattino barcollante, urlare, ridere di cazzate, fare l'anarchica rivoluzionare e ascoltare i MCR e una donna, una vera, omologata, in ordine, capello sempre perfetto, come in realtà ero da LV, nel mio periodo LV.
Solo ogni tanto ho delle ricadute e forse l'Universo mi sta facendo capire, anche grazie a ieri perché no, che forse te le puoi mette le t-shirt oversize con le Birkenstock ed i ciclisti, ma non è necessario che questa cosa debba essere poi portata alla tua parte estetica permanente come capelli o mani.
Lo sai che i capelli, le mani ed in realtà anche i tatuaggi sono le parti ferme di te, quelle che si espongono e che devono essere pronte al cambiamento dei tempi e delle tendenze esterne, devi essere pronta alla rotazione dell'esterno, alla soggettività che ti colpisce da fuori.
Devi essere un corpo fluido, non puoi assolutamente permetterti per tua protezione personale di essere fortemente catalogata.
Devi rimanere fluida.
Pertanto, considerando che i tatuaggi esistono e nella tua visione sono tuoi e formanti la tua persona (ci posso stare, non sentire troppo la visione esterna, nel 2022 non è importante la percezione altrui sulla tua aggressività, sticazzi di quel mongoloide ritardato che ha provato a psicoanalizzarti, sto pezzo demmerda etichettatore del cazzo fallito idiota), stai serena perché è tutto in come poi sei di carattere.
Dicevo quindi.
Il Cheesburger ed il Big Mac sono i miei panini preferiti al McDonald's, poi sicuramente ci sta il Crispy McBacon.
Anche se in realtà la mia cosa preferita rimarrà sempre la settimana asiatica al Mc di via Appia Nuova.
Ricordo ancora le pareti azzurre con le note musicali.
Ed i 3 gamberi impanati.
E l'Apple Pie che l'ho mangiato a Vienna 3 anni fa l'ultima volta.
È facile essere una donna bianca rispetto ad una donna nera comunque.
Ed è facile essere un uomo rispetto ad una donna.
Comunque in realtà prima di questa parentesi il mio punto (parentesi che riconcludo dicendo che siamo in una Nazione dove tutti pensano di poter fare tutto e non capisco perché c'è sta bambinetta con i piedi sul tavolo porco di dio).
DICEVO.
Che il tuo corpo deve essere personale, ma nel contempo nella tua missione devi essere soggetta al cambiamento, quindi se ti piacciono i capelli biondi non farteli mori, ovvio, ma rimani fluida e nella norma, perché così oltre a sentirti sempre al posto giusto, puoi esprimerti meglio.
È solo un trick.
E poi i capelli hanno sto sbattimento che se li tagli poi sono corti e comunque cosa meno peggio perché a me piacciono corti, diciamo che il mio problema è il colore e la frangetta quando mi prende il matto.
Mi piace per quando mi sento un po' per i cazzi miei mezza ribelle un po' rock n' roll un po' con le Vans e la maglia H501.
Un po' tanto meno quando mi passano i 15 minuti di celebrità autoregolata e vorrei essere carina ed in ordine.
Dato che non sei mai stata una che le vie di mezze, un po' anche per gli insegnamenti di Avril Lavigne che diceva "O bianco o nero con me" nelle sue canzoni, questa cosa la stai imparando ora.
Però stai tranquilla hai un sacco di tempo.
Anche perché una presenza leggibile ti rende la comunicazione meno martoriata.
Quindi il piano è andare dalla parrucchiera e capire assieme cosa dobbiamo fare.
Ovviamente il mio colore pre decolorazione era perfetto per il balayage che volevo, ma ho deciso di decolorarmi divenendo arancione ed ora rame (???) che per carità non voglio dire che non mi piaceeeeee, ma poi mi do le picconate da sola perché sono in difficoltà.
Bisogna accettare i propri limiti, il mio è che se non sono serena con la presenza esterna che do allora me angoscio e me sento inferiore, questo problema si può ovviare semplicemente "omologandomi" superficialmente.
Quindi perché sbattersi tanto?
Ora sembro la prima fase di Beth Harmon che poi brava tempismo perfetto, ma mettete na parrucca santo dio.
Non lo so, se fosse che invece proprio questa necessità ad essere la parte più adulta di me?
Sempre più elitaria nella scelta di chi ho attorno?
Sono due punti di vista diversi dove in uno mi sento accettata e nell'altro l'accettazione è per pochi fedeli.
Non so sinceramente.
Eppure per lungo tempo non ho avuto problemi, poi mi sono rivista scura e ho scapocciato, al posto di ragionare e dire vado dal parrucchiere e me li faccio sistemare, che poi cazzo cioè ci sono andata comunque!
Come tutto nella mia vita del resto dove agisco impulsivamente.
Una vita da impulsiva, prima o poi cambierò.
Per ora che cazzo devo fa co sti cosi me li tengo così e basta.
E le sopracciglia?
Perché finché il colore dei capelli è così dovrei tenerle così e comunque mi piacciono.
E poi forse ti stai facendo il problema di R. perché hai paura di non piacergli forse.
Ma la verità è che se a un ragazzo piaci, gli piaci.
Stop.
Non ti fare questi problemi per gli altri, fatteli per te, perché un conto è dire "Ok voglio essere più neutra così mi è più facile, per la mia personalità e persona, interagire col prossimo" un conto è invece dire "Ok, voglio che X, Y, Z mi apprezzino e se sono come mi piaccio non mi apprezzano", cioè il movente è differente.
IN OGNI MODO.
Facciamo che rimaniamo sobri, quindi sopracciglia in tinta finché non crescono e man mano arriviamo ad un balayage e togliamo sta frangia HARDCORE DEL CAZZO.
E poi mi ero portata il Macbook per rivedere marketing, non per dare sfogo alle mie cazzate generazionali che cazzate non sono.
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Roma è e sarà sempre la mia città ed il mio cruccio.
Se non fossi mai andata via non ne avrei mai compreso la bellezza
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afeix · 5 years
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HAMIN
Hamin - Elvish for 'rest.' Who wouldn’t need a rest after getting their heart broken in Trespasser?
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pomposita6292 · 3 years
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𝗟𝗔 𝗠𝗢𝗥𝗧𝗘 𝗘̀ 𝗜𝗟 𝗣𝗜𝗨̀ 𝗖𝗟𝗔𝗠𝗢𝗥𝗢𝗦𝗢 𝗘𝗤𝗨𝗜𝗩𝗢𝗖𝗢 𝗗𝗘𝗟𝗟𝗔 𝗦𝗧𝗢𝗥𝗜𝗔 𝗨𝗠𝗔𝗡𝗔 (𝗣𝗿𝗼𝗳. 𝗩𝗶𝘁𝘁𝗼𝗿𝗶𝗼 𝗠𝗮𝗿𝗰𝗵𝗶)
La morte è il più clamoroso equivoco della storia umana.
Dai più eminenti uomini di scienza dell’ultimo secolo scopriamo che l’Universo è tutto Pensiero e che la Realtà esiste solo in ciò che pensiamo.
L’energia è quella manifestazione che fa accadere le cose e gli eventi. Essendo di carattere vibrazionale essa si manifesta in una incommensurabile vastità di forme e di aspetti. Dietro tutte queste apparenze si cela una realtà legata a un campo di frequenze comprese in bande, ciascuna delle quali ha uno sbocco nel panorama delle cose materiali che noi vediamo.
Sofisticate tecnologie dimostrano che l’uomo non muore, quando sembra separarsi dalla sua carica energetica che lo vivifica, perché ciò che si stacca dal soma migra e fluisce verso altre locazioni.
Il nostro apparato sensoriale è limitato e quindi inadeguato a permetterci di percepire la realtà al suo livello più profondo.
Occorre comprendere che l’anima che sta per trapassare non è il corpo, bensì la vita stessa e che la sua natura non è materica ma spirituale e che al contrario del suo corpo psico-fisico non conosce mutamento, né decadimento.
Inconsciamente non possiamo sopportare di morire in quanto sappiamo che non è possibile farlo. Quando l’Io ben centrato ne ha la suddetta visione, allora siamo fuori dal paradigma spazio-temporale.
Il tutto dipende dalla qualità del nostro livello di coscienza.
Se non modifichiamo il nostro atteggiamento mentale, se non cambiamo lo stato della nostra visione del mondo, non potremo scegliere il mondo successivo, ma ci troveremo a ripetere ciò che siamo qui con le stesse difficoltà e le stesse limitazioni.
Il paradiso infine, non è un luogo, ma è una dimensione della coscienza.
Il tempo non esiste.
Quando il tempo incomincia a scorrere? L’etimologia della parola ha una derivazione di origine indo-europea che significa dividere.
Quando nasce il tempo nasce anche il concetto di morte.
Anche il Big Bang non è mai avvenuto
Si è scoperto di recente un “Campo Informazionale” che permea tutto.
È infinito. Non ha inizio e non ha fine. Noi vediamo attraverso i nostri occhi tutte le cose divise, frantumate, separate e invece tutto è Uno. Il viaggio dell’evoluzione è dall’inconscio al conscio.
Quando mi chiedono cosa c’era prima del tempo e della morte rispondo che tutto ciò che esiste è AMORE.
Questa parola non è legata a sentimento, affetto o passione, come lo conosciamo oggi, ma significa A-MORS non morte.
Tutto vive, dall’atomo alla più grande galassia.
Abbiamo verificato che anche le piante e i minerali vivono, su piani diversi. Tutto è costituito da una sola sostanza, con manifestazioni diverse. Questa sostanza è fisicamente e psichicamente pensante.
Ilya Prygogine, che è stato il più grande chimico vivente (premio Nobel nel 1977), nel corso delle sue ricerche chimiche della materia organica, si è accorto che ogni molecola viveva e sapeva perfettamente quello che faceva ogni altra molecola a distanze macroscopiche.
Anche nell’esperimento che fece Pauli (fisico) le particelle separate (fotoni) che si trovavano nello stesso livello energetico o stato quantico, pur lanciate a distanze differenti, rimanevano sempre collegate.
Tutto è interconnesso e non-locale (entanglement).
Le informazioni sono istantanee, perché abbiamo scoperto che le particelle come possono essere ad esempio gli stessi elettroni/processo o evento, non sono masserelle solide ed inerti, ma nuclei del tutto inconsistenti che rivelano di essere “un bit concentrato di informazione”, andando così a costituire un campo informazionale.
L’unica cosa solida allora di cui si può parlare di questa materia, che sembrava fatta di “mattoni atomici”, è invece che assomiglia più ad un PENSIERO.
Le onde e le particelle (“ondicelle”) in realtà sono le solite. Esse si trovano sia qui che ovunque, Ciò perchè esse, oltre ad essere se stesse , sono anche lo spazio che intercorre tra loro.
E quindi non hanno neppure alcun bisogno di comunicare tra loro, perchè sono la stessa cosa dello “spazio”.
Ed in più esse non hanno nessuna ragione per doversi connettere, perchè non sono mai state disconnesse o disgiunte.
In sintesi, sono un ologramma, un “Tutto-parte”, una versione su scala più ridotta del Cosmo, dell’ Intero Corpo organico universale. Una goccia concentrata e indissolubile dell’infinito oceano energetico, detto Coscienza non locale.
La Coscienza dunque non sta nel cervello ma nel Campo.
Sia la fisica che la neurofisiologia che la quantistica concordano su questo punto.
Non è il cervello che produce il pensiero, ma è il PENSIERO o COSCIENZA che edifica il cervello.
Max Planck, padre della teoria dei quanti, scioccò il mondo nel 1944 quando affermò che esiste un’unica matrice energetica “intelligente” da cui ha origine tutto, il visibile dall’invisibile.
Con questa implicazione sconcertante il mondo scopriva per la prima volta che Tutto è coscienza.
Abbiamo oggi gli strumenti che possono vedere che intorno a noi esiste un globo luminoso. Un nostro prolungamento (un duplicato immateriale). È stato definito un campo di ultra-luce.
Noi non lo vediamo con gli occhi e anche con gli strumenti possiamo vedere fino ad un certo punto.
Questo campo è milioni di volte più sottile della più sottile materia. Ha una frequenza vibrazionale di 10 alla 26 Hz.
Esso è più sensibile e impressionabile della più sensibile ed impressionabile pellicola fotografica.
Anche la PNEI (psiconeuroendocrinoimmunologia) ha riconosciuto che gli antichi avevano ragione.
Noi siamo un fascio di vibrazioni di cui l’aspetto fisico, la forma fisica è solo il nucleo più denso.
La luce che vedono le persone che hanno esperienze di premorte (NDE), siamo noi stessi, ciò di cui siamo costituiti.
Un fenomeno straordinario, che merita di essere chiamato con il nome di AUTOPSIA (composto da “autos”, stesso e “opsis”, vista), cioè “VISTA DI SE STESSO”.
E l’Autopsicità (quale può essere quella dell’ esperienza totale del Divino) è una situazione che implica la visione istantanea e diretta di una “partitura” in cui figurano tutti gli aspetti del Libro della Vita, cioè di una composizione universale, disposta in più mondi.
Qualcuno ha detto: “Chiarisci il tuo senso e illuminerai il mondo”. Se vuoi sapere come fare, fai come fece il maestro Zen Poshang. Quando gli fu chiesto come si cerca la natura del Buddha (Dio), Egli rispose: “È come cavalcare il Bue, in cerca del Bue”.
(Prof. Vittorio Marchi)
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vjchiani · 3 years
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IBM Graphic Design Guide from 1969 to 1987. Éditions Empire 📚 Un libro fatto con le riproduzioni fondamentali del Graphic Standards Manual adattato in quasi 20 anni di storia del brand. La prima corporate identity completa progettata dal leggendario designer americano Paul Rand (all’anagrafe Peretz Rosenbaum) dopo aver curato il famoso redesign del logo nel 1962. Il marchio, le sue varianti, lettering vari ed eventuali, modulistiche di tutti i tipi, poster, segnaletiche, simboli, simboli e simboli, packaging, automezzi, edifici, insegne... “raffinatezza” fu la parola chiave che guidò l’intero progetto. WOW! E pensare che tutta la riprogettazione dell’immagine ebbe inizio dopo l’apertura del mitico showroom dell’italianissima Olivetti a New York City che faceva passare IBM come una società non particolarmente innovativa, poco al passo con i tempi e non tecnologicamente avanzata... come cambiano le cose! Un vero capolavoro per appassionati di manuali d’identità. Dopo questo manuale Rand venne considerato universalmente un maestro delle identità di marca e dieci anni dopo venne annoverato nella Hall of Fame dell’Art Director Club. Fu così che il buon caro e lungimirante Steve Jobs dopo aver demonizzato per anni la “Big Blue” – appena dopo l’incubo di Orwell (1984) e la meraviglia di Macintosh – chiamò proprio il designer che contribuì alla maestosità di IBM per farsi disegnare il logo della sua nuova società: NeXT. Mitica fu la trattativa creativa ed economica di quell’identità: 100 mila dollari, una sola proposta, 100 pagine di brand manual, usare o non usare ma il compenso rimane lo stesso. Per delle proposte alternative? Rivolgersi ad altri, grazie. Ecco come ha avuto inizio la leggenda, di entrambi, manager e designer, pari merito, perché anche in questi casi, le cose belle si fanno sempre in due. #booklover #bookstagram #everymonday ••• #chiani #artdirection #illustration #creativedirection #graphicdesign #brandidentity #branding #design #myartismydirection @chianidesign #designedbychianiinitaly #creativeboutique #palazzoschio #creativecollective #2021 #vicenza (presso Vicenza, Italy) https://www.instagram.com/p/COZ-k26rT8F/?igshid=txpy4timr78s
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carmenvicinanza · 2 years
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Margaret Keane la pittrice dei grandi occhi
https://www.unadonnalgiorno.it/margaret-keane-la-pittrice-dei-grandi-occhi/
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Margaret Keane, icona della Pop Art, è la pittrice passata alla storia perché dipingeva occhi enormi, spesso tristi, incastonati in visi piccoli, infantili.
La sua incredibile storia ha ispirato il film Big Eyes del 2014, diretto da Tim Burton.
Che fossero adulti, bambini o animali, nei suoi dipinti a olio, ha cercato e trovato nello sguardo dei suoi soggetti il suo punto focale.
Questa peculiarità derivava probabilmente dal fatto che aveva un difetto all’udito che la portava a concentrarsi, quindi, sugli occhi delle persone.
Nacque col nome di Peggy Doris Hawkins a Nashville, nel Tennessee, il 15 settembre 1927. Sin da giovanissima dipingeva, nella parrocchia locale, angeli con grandi occhi e ali cadenti.
Aveva studiato design a New York e il suo primo lavoro fu dipingere culle per bambini.
Durante tutti gli anni sessanta le sue opere vennero vendute a nome del secondo marito, Walter Keane, che ne rivendicava la proprietà e la creazione, accreditandosi come uno degli artisti di maggior successo commerciale dell’epoca. Ingannarla non fu difficile, era stato lui a proporre e vendere nelle gallerie d’arte quei quadri che lei firmava semplicemente Keane, col loro cognome.
Quando scopri la truffa, non fece nulla, convinta che, in quanto donna, non avrebbe mai avuto la possibilità di vendere le sue opere da sola e non denunciò il coniuge.
Le opere divennero un vero e proprio fenomeno negli Stati Uniti degli anni ’60, molte celebrità di Hollywood acquistavano i suoi originali e nei supermercati si vendevano milioni di suoi poster e cartoline vendute.
Ma, nel novembre 1964, Margaret Keane lasciò il marito e si trasferì da San Francisco alle Hawaii, dove incontrò lo scrittore sportivo Dan McGuire che sposò nel 1970.
Solo dopo dieci anni, durante una trasmissione radiofonica, annunciò al mondo intero l’inganno di Walter Keane e che lei era la vera creatrice dei dipinti dai grandi occhi.
Nel 1986 fece causa a Walter Keane e a USA Today per aver affermato più volte che il vero pittore delle opere era lui. Ci fu così un lungo processo alla Corte federale, passato alla storia perché il giudice, per stabilire chi diceva la verità, ordinò a entrambi di dipingere nell’aula di tribunale, lei terminò l’opera in meno di un’ora mentre lui finse un dolore alla spalla. Questa fu la prova schiacciante di chi era la vera autrice delle opere. L’uomo, giudicato colpevole, venne condannato a risarcire Margaret per quattro milioni di dollari, soldi che non ha mai sborsato.
Oggi i quadri di Margaret Keane sono conservati in diversi importanti musei in giro per il mondo come il Museo delle Arti di Tokyo, il Contemporary Museum of Art delle Hawaii, il Triton Museum di San Josè, il Laguna Art Museum e il Brooks Memorial Museum in Tennessee.
Molte importanti personalità di Hollywood e non solo hanno voluto farsi ritrarre da lei, da Joan Crawford a Natalie Wood, da Jerry Lewis a John e Carolyn Kennedy.
Nel periodo in cui viveva all’ombra dell’ex-marito, le sue opere tendevano a rappresentare bambini tristi, circondati da ambienti oscuri. Dopo il trasferimento alle Hawaii, i suoi dipinti iniziarono ad avere uno stile più felice e luminoso.
La caratteristica principale dei suoi soggetti, però, è rimasta invariabile, occhi da cerbiatto grandi e sproporzionati rispetto ai volti.
Nel 2018, l’Art Show di Los Angeles le ha conferito un premio alla carriera durante una retrospettiva del suo lavoro.
Margaret Keane si è spenta il 26 giugno 2022 all’età di 94 anni nella Contea di Napa in California, dove si era trasferita da molti anni.
La sua incredibile storia è stata portata al cinema da Tim Burton, suo grande ammiratore e collezionista che le aveva anche commissionato dei quadri.
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galadrieljones · 6 years
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Gaming: About Me
I saw @starsandskies do this, and I was bored, and it looked fun. So here we go!! <3
favorite game from the last 5 years?  ‒ Dragon Age: Inquisition, Horizon: Zero Dawn, The Last of Us, Rise of the Tomb Raider
most nostalgic game? ‒ Skyrim. I know I have characterized it before by saying it feels more like a place I used to live for a little while than an actual game I used to play.
game that deserves a sequel?  ‒ :nervous laughter: DRAGON AGE: INQUISITION. Also, I think that after the ending cut scene with Silens, Horizon: Zero Dawn would do awesome with a sequel.
game that deserves a remaster?  ‒ I kind of would love a remaster of Dragon Age: Origins.
favorite game series?  ‒ I am terrible at series. I don’t make it through them very often. But I would probably say Dark Souls. Even though I, myself, have only played a teensy bit of the original, I’ve watching my husband play all of them, the first two multiple times, and the games are just breathtaking and bizarre, and I love the sort of hidden capacity of all the stories and different locations, how hard we have to work to put the pieces together and understand what’s going on in the world. It’s extremely challenging on all fronts. I wish more games would trust their players as much as Dark Souls.
favorite genre?  ‒ Fantasy RPGs. But I also really love these super immersive choice and consequence adventure games like Life is Strange. I would really like to play Until Dawn, but I’m super nervous lol. It looks scary af. I like any games that complicate the point of view of the player, particularly via morality scenarios. I feel like that is when games are at their best. This is a part of why I love The Last of Us so much.
least favorite genre?  ‒ Probably science fiction in space? I have a hard time getting into any space text, tbh, unless there is a BIG human component, and a lot of themes that make the setting feel more like a metaphor (ie: Battlestar Galactica). Like the Mass Effect games, for example, while I think they have some good characters, bore me after a while, in terms of their aesthetic (don’t kill me lol). But I DO really like the sort of loopy space scifi you see in series like Borderlands and Halo. I think those two series are pretty genius, and their POVs are unique.
favorite song from a game?  ‒ Can it be from a game trailer? Ellie’s version of Through the Valley, for sure, from the teaser for The Last of Us, Pt. II
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I also really like “I Shall Rise” by Karen O from Rise of the Tomb Raider.
favorite character from a game?  ‒ Joel from The Last of Us [painful sobbing], and Solas from Dragon Age: Inquisition [more painful sobbing]
favorite ship from a game?  ‒ Solavellan, baby. Give me all the god angst.
favorite voice actor from a game?  ‒ Troy Baker...how is he at once so sexy and so dorky? No one will ever know. The perfect man.
favorite cutscene?  ‒ The final cut scene of the Winter chapter from The Last of Us:
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I love this scene for so many reasons, but honestly my favorite part is right at the end, when we see Joel telling Ellie something before they leave the restaurant, and we don’t get to know what it is. Like it is just between them. This moment is incredibly private and intimate and just beautiful to witness, particularly given its context.
favorite boss?  ‒ I really enjoyed the final fight with Konstantin in Rise of the Tomb Raider. I feel like it was somehow inspired by Ellie’s battle with David in The Last of Us (which I’d say is my favorite but it’s actually just too terrifying and I dread it). Like Ellie, in this fight, Lara has been stripped of her guns, bow, and general defenses, and she must sneak around a slowly deteriorating setting while using mainly her environment to win the battle. She has to toss cans and bottles around to distract Konstantin, and then sneak attack him. It is time-consuming and very intense. There is also a distinct and terrifying predator/prey dynamic at work in both scenes, and at some point, like right at the end, it shifts. This feels very realistic and immersive. Granted, I sympathized with Konstantin, which made the ending of Rise of the Tomb Raider all the more powerful, whereas I thought David was bona fide scum of the earth and deserved exactly what he got and more.
first console?  ‒ Super Nintendo
current console or consoles?  ‒ PS4 and XBOX ONE, though mostly it’s been the PlayStation lately.
console you want?  ‒ We have talked about getting whatever the newest Wii is? We don’t need it lol, but like, Super Mario Galaxy is THE BEST. Also, Zelda.
place from a game that you’d like to visit?  ‒ Maybe Skyhold? I love it there. I want to hang out with Cole on the battlements.
place from a game that you’d like to live in?  ‒ Skyrim. Particularly the Whiterun Hold. I know it’s an awful place, but it’s so exciting and pretty and it would be so easy to just be an NPC, living out your simple life in Rorikstead, waving hello to the heroes as they pass through.
ridiculous crossover that would never happen but would be super fun?  ‒ I don’t tend to think in these kinds of terms. But I think it would be interesting if Sene Lavellan was sent to Skyrim as the Dragonborn lol. There would be a LOT of “What the fuck” moments. FUS RO FUCK YOU DRAGON PRIESTS
book that would make a good game?  ‒ There’s this terrible but extremely addicting horror novel called The Ruins about a bunch of idiot college kids that trespass on a cursed Mayan ruin while on spring break and get slowly consumed by these carnivorous vines that grow there. I that it think would make an awesome like, choice and consequence horror survival game.
show/movie that would make a good game?  ‒ From Supernatural: Dean in purgatory, having a bromance with Benny the vampire while trying to escape and get back to his baby brother would be an awesome video game FOR SURE. BENNY! DEAN! Oof.
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games you want to play?  ‒ God of War, The Last of Us, Pt. II, Life is Strange 2, Shadow of the Tomb Raider, the Uncharted games. Seriously I am booked through 2020 bye
have you gotten 100% completion in a game?  ‒ Lol. Never. I am the opposite of a completionist. I tend to go through games only making decisions and doing shit that feels organic and immersive in the moment. I actually skip a lot. But I tend to replay games often, so I think I see most everything over time.
have you cried over a game?  ‒ hhahahhahahahahahhahhahahahhaha. I just cried rewatching that cut scene from The Last of Us. I am hopeless. I cry in EVERY game I play.
tagging @thevikingwoman @wrenbee @ladylike-foxes @hidinginthehinterlands @kaoruyogi @buttsonthebeach @ellstersmash @a-shakespearean-in-paris @vinegartits @ithun and any one else who wants to do this!! Tag me if you do.
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daemmer-ung · 6 years
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La confusione di chi voleva prendere una boccata d'aria; mi manchi, ritorna
quando si fa la condensa sul tuo vetro
è inverno
e vorrei fosse il mio calore a generare quel bianco sfumato
forse il mio calore genererebbe altri colori, luminosi e leggeri
forse il mio calore genererebbe giardini
prima muschio fresco, poi foglioline, piano piano gemme, boccioli e poi fiori
poi giardini pensili, lentamente e delicatamente
dal freddo la vita
dal freddo che c'è tra noi il mio calore potrebbe comunque generare la vita
quando si fa la condensa al tuo vetro
è inverno
e anche questo inverno ti vedo ma non ci sei
ti ho aspettato nel luogo prima del big bang
dove non c'era nulla
solo un pensiero vagante
e una brama di attualizzazione
era tutto statico e sarebbe potuto rimanere per sempre così
poi hai deciso di scoppiare
e generasti stelle e pianeti, galassie, gas, cieli, acqua, giardini e vita
il paradiso terrestre
pochi attimi e fu la cacciata dal paradiso
rimasi sola terrestre, sempre tu la mia religione
se questo sei tu, la mia mente è allora un caleidoscopio
potrei essere induismo, ebraismo o animismo
e anelare comunque al paradiso celeste
potrei credere negli alieni, nei santi e nei fantasmi:
io vengo adesso da dove c'è stato qualcosa
ma il tempo mi ha cancellato i ricordi
non la fede
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The smell hit him first. It was overly sweet and sour at the same time and the boy gagged, pinching his nose shut with a hand and resuming his walking. The grass was so tall, almost two times his height, but he kept going until he reached a patch of dirt where it didn’t grow. Right there, in the centre, there was a mushroom. It was as big a cruising ship and was leaking a gross translucent liquid, which probably was where the awful smell came from; now it was so strong he almost felt like fainting. «Come closer, little one.» the mushroom boomed, its voice coming from everywhere and nowhere at once. It moved a bit, crouching down with a sickening squelching sound that made the boy’s skin crawl. «Let me tell you a secret.»
°
L’odore fu la prima cosa a colpirlo. Era troppo dolce e aspro al tempo stesso e il ragazzo ebbe un conato, tappandosi il naso con una mano e riprendendo a camminare. L’erba era così alta, quasi due volte la sua altezza, ma proseguì finché non raggiunse una zona di terra dove essa non cresceva. Proprio lì, al centro, c’era un fungo. Era grande come una nave da crociera e perdeva uno schifoso liquido traslucido, che probabilmente era la fonte da cui proveniva quel terribile odore; ora era così forte che si sentì quasi svenire. «Vieni più vicino, piccolo.» tuonò il fungo, la sua voce proveniente da qualsiasi e da nessun luogo in una volta sola. Si mosse leggermente, accovacciandosi con un nauseabondo suono umido che fece accapponare la pelle del ragazzo. «Lascia che ti dica un segreto.»
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xsavannahx987 · 6 years
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BITE ME - Prologo
Mi chiamo Eliza. Sono nata 30 anni fa in una piccola cittadina nel deserto, dove ho vissuto un'infanzia felice, nonostante tutto. Abitavo con mia madre, una donna piena di vita che non si era mai lasciata abbattere dall'abbandono di quell'uomo che non posso chiamare padre. Il giorno che mia madre scoprì di essere incinta, lui non si assunse le sue responsabilità di padre, lasciandola completamente da sola. I miei nonni la ripudiarono come figlia, dal momento che era poco più di un'adolescente e mia madre fu costretta a cavarsela da sola. Lasciò la scuola ed iniziò a lavorare, finchè la pancia non fu troppo grande. La sua fortuna fu di incontrare una donna, rimasta vedova da qualche anno e senza figli, che la prese sotto la sua ala protettiva cercando di aiutarla quanto possibile. Fu grazie a lei che mia madre riuscì ad ottenere un tetto sopra la testa, seppur modesto. Ma per noi due era perfetto, un nido caldo e accogliente dove poter crescere in serenità. Ricordo ogni singolo momento vissuto accanto a mia madre. Seppur così giovane e inesperta, mi diede tutto l'amore che una figlia potesse desiderare e non mi fece mancare nulla. Era una donna instancabile, disposta anche a fare due lavori pur di farmi vivere un'infanzia piena ed appagante. Quando non c'era, le mie cure venivano affidate all'anziana signora che l'aveva aiutata che, col tempo, imparai a chiamare nonna. E quando era in casa, anche se stanca, mia madre non perdeva occasione per giocare con me. Crescemmo insieme, nella complicità assoluta. Vedevo mia madre più come un'amica sincera, che come un genitore. Non mancavano di certo gli scontri tipici di generazioni a confronto, ma trovavamo sempre il modo di riappacificarci. Sebbene amassi il luogo in cui vivevamo, sognavo di andarmene lontano un giorno e di riuscire a guadagnare abbastanza per poter far vivere a mia madre la vita che si era preclusa per crescere una figlia completamente da sola. Il mio unico desiderio era renderla felice e fiera di me, così mi impegnavo ogni giorno nello studio, promettendole che sarei diventata una persona importante. Spesso, quando mia madre era intenta a svolgere le normali attività domestiche, mi fermavo ad osservarla, scoprendo ogni giorno una nuova ruga d'espressione, segno indelebile del tempo che passava inesorabile. L'ammiravo tantissimo per la forza che aveva dimostrato, ma sapevo quanto si sentisse sola a volte. Non aveva mai più avuto nessun rapporto sentimentale, rimasta troppo scottata dalla vicenda con mio padre. Aveva poche amicizie, ma diceva sempre che la sua unica vera amica ero io. Diventai grande che quasi non me ne resi conto e i primi conflitti si accesero tra di noi. Come tutti gli adolescenti, anche io iniziai a nutrire i primi moti di ribellione. Non superai mai i limiti, a differenza di tanti ragazzi della mia età, ma il rapporto con mia madre iniziò ad incrinarsi e di questo, ancora oggi, me ne vergogno.
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My name is Eliza. I was born 30 years ago in a small town in the desert, where I lived a happy childhood, despite everything. I lived with my mother, a woman full of life who had never let herself be overthrown by the abandonment of that man whom I can not call a father. The day my mother discovered she was pregnant, he did not assume his responsibilities as a father, leaving her completely alone. My grandparents repudiated her as a daughter, since she was little more than an adolescent and my mother was forced to go it alone. She left school and began to work, until the belly was not too big. Her fortune was to meet a woman who had been widowed for a few years and without children, who took her under her protective wing, trying to help her as much as possible. It was thanks to her that my mother managed to get a roof over her head, albeit modest. But for us it was perfect, a warm and welcoming nest where we could grow in peace. I remember every single moment lived next to my mother. Although so young and inexperienced, she gave me all the love a daughter could wish for and made me miss nothing. She was a tireless woman, also willing to do two jobs to make me live a full and fulfilling childhood. When she was not there, my care was entrusted to the elderly lady who had helped her that, over time, I learned to call grandma. And when she was at home, even if tired, my mother did not miss an opportunity to play with me.
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pensarediverso · 3 years
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Separabilità fisica e non-separabilità quantistica. Tutto è uno
Lo spazio quantistico non subisce l’influsso della distanza né quello del tempo: L’unione di due particelle non è fisica, nel senso newtoniano del termine, perché non è mediata da alcun mezzo materiale. è una unione “psichica, coscienziale”. Finalmente, si affaccia all’orizzonte una nuova scienza: scopriamo che la materia non è tutto nell’universo che ci circonda.  
 Unità e separabilità.
 Le separabilità indica la possibilità, tipica di un oggetto fisico, di essere diviso in più parti. Il suo contrario è l’unità, che indica la proprietà, tipica di un oggetto fisico, di essere costituito da una parte sola.
Questa premessa può essere utile per illustrare un terzo concetto, quello di contemporaneità.
Partiamo dall’esempio del chiavistello, rappresentato nella figura, per illustrare questi tre concetti: unità, separabilità, contemporaneità.  Sono concetti che poi trasferiremo all’ambito della fisica quantistica.
 Un chiavistello con velocità infinita.
 Il chiavistello è un organo usato per bloccare meccanismi, per esempio una porta. È composto da una barra metallica che scorre lungo delle guide ad anello. Si tratta di uno strumento complesso, ma a noi interessa soltanto il corpo principale del chiavistello, cioè la barra mobile. Questa barra ha due estremità, che possiamo definire A e B.
La barra del chiavistello può rappresentare perfettamente il concetto di contemporaneità. Infatti, se la facciamo scorrere nelle guide, l’estremità A si muoverà in una certa direzione, e “contemporaneamente” anche l’estremità B si muoverà nella stessa direzione. È ovvio, in quanto il chiavistello rappresenta un oggetto “unico”.
Non esiste alcun ritardo tra l’inizio del movimento dell’estremità A e quello dell’estremità B. Come può essere facilmente intuito, il movimento delle due estremità è “contemporaneo” e ciò può avvenire solamente grazie alla caratteristica di “unità” della barra.
Poiché la contemporaneità non prevede nessun tempo tra lo spostamento della estremità A e della estremità B, diremmo che in condizione di unità la velocità di spostamento è infinita.
Se il chiavistello fosse diviso in due parti, il movimento non sarebbe più contemporaneo, neppure se la parte A, grazie ad un meccanismo di accoppiamento qualsiasi, trasferisse il movimento alla parte B.
 L’informazione ha bisogno di tempo per viaggiare tra due corpi separati.
 In effetti, se la barra d’acciaio del chiavistello fosse composta da due semi-barre, occorrerebbe del tempo per trasmettere alla barra B l’informazione relativa al movimento iniziato dalla barra A, o viceversa.
Secondo la fisica newtoniana, e secondo le teorie einsteiniane, l’informazione non potrebbe viaggiare più velocemente della luce. Certo, sarebbe un tempo bravissimo, ma pur sempre un tempo. Non esisterebbe più la “contemporaneità”. Ne consegue che la contemporaneità è possibile solo in una condizione di unità.
 La separabilità dei corpi.
 Peraltro, la fisica classica ci insegna che ogni corpo fisico può essere scisso in due o più corpi parziali. Si tratta del concetto fisico di “separabilità”. Il principio secondo cui ogni oggetto può essere scisso in più oggetti fu strenuamente contrapposto da Einstein ai sostenitori delle teorie quantistiche come Niels Bohr e Werner Heisenberg. Secondo Einstein, essendo ogni corpo separabile, la non-separabilità predetta dagli esperimenti della fisica quantistica rappresentava solo una visione parziale dell’universo.
In effetti, dobbiamo riconoscere che l’esempio del chiavistello è assolutamente parziale. Ciò risulta evidente se, anziché muovere la barra del chiavistello, proviamo a riscaldarne una estremità. Sicuramente il calore non si trasmetterà all’altra estremità tanto velocemente come il movimento. Ciò conferma il fatto che il chiavistello è chiaramente separabile in molecole, atomi e particelle elementari, a conferma del principio di separabilità.  
Tuttavia, le prove sperimentali smentiscono questa certezza.. Tutti gli esperimenti, da quello condotto da Alain Aspect nel 1982 agli altri innumerevoli successivi, dimostrano l’esistenza della non-separabilità quantistica.
 La non separabilità quantistica. Di che parliamo?.
 Ho già descritto in altri post e nei miei libri l’esperimento di Alain Aspect, che sta alla base dell’entanglement quantistico. “Entanglement” è un termine inglese che può essere tradotto come “intreccio”, per significare le condizioni di “unità” e “non-separabilità” che si instaurano tra due particelle correlate. I primi esperimenti di Aspect riguardavano due fotoni di luce. Successivamente, con il progredire della tecnica, gli esperimenti sono arrivati a coinvolgere milioni di particelle o anche interi atomi, come nell’esperimento di Serge Hariche, vincitore del Premio Nobel per la Fisica nel 2012.
 L’esperimento che travolge le certezze della fisica materialista.
 Nella versione sperimentale più primitiva, l’entanglement viene ottenuto con due fotoni “correlati”, cioè nati dallo stesso evento. I fotoni possiedono una proprietà detta “spin”, che può essere semplificata come “senso di rotazione”. Si tratta di una polarizzazione, e tra due fotoni correlati le polarizzazioni devono sempre essere perpendicolari. Diciamo che il fotone A avrà polarizzazione positiva (+1/2) e il fotone B l’avrà negativa (-1/2)
Per la verità, in base al principio di indeterminazione, il fotone assume una polarizzazione definita solamente nel momento in cui la misuriamo. In misurazioni successive, la polarizzazione potrà essere diversa. Dunque, misurando il fotone A, determiniamo la sua polarizzazione nel momento della misura. Evidentemente, attraverso misurazioni successive, causiamo successive variazioni della polarizzazione del fotone A.
Nel frattempo, che accade al fotone B?
Questo fotone ha anch’esso una polarizzazione indeterminata. Al momento della sua nascita è stato “sparato” a una distanza immensa dal fotone A.
Se misuriamo la polarizzazione del fotone A, avremo uno dei due valori possibili. Per esempio, ½ negativo. Immediatamente, anzi “contemporaneamente” il fotone B assume la polarizzazione perpendicolare al primo, cioè ½ positivo. Sarà stato un caso? Eseguiamo una nuova misurazione del fotone A, e “contemporaneamente” il fotone B adegua la sua polarizzazione per renderla perpendicolare al fotone A.
Immaginiamo di attendere un secolo ed eseguire poi una nuova misurazione del fotone A. Il fotone B, che si è allontanato anni luce nel tempo e nello spazio, adeguerà “contemporaneamente” la sua polarizzazione. Proprio come se i due fotoni fossero una sola cosa, al di là della separazione temporale e spaziale.
 Unità di due fotoni separati nello spazio e nel tempo.
 I due fotoni, per quanto separati nello spazio e nel tempo, rivelano una “unicità” incredibile. Dunque, il fotone B non cambia la sua polarizzazione “a causa” della polarizzazione del fotone A, cioè “dopo” che il fotone A l’ha cambiata: con ciò smentisce il principio di determinazione, o causalità, tanto caro alla scienza materialista.
Anzi, pare che il fotone B “sappia in anticipo” quanto avverrà al fotone A: sappia che qualcuno lo misurerà e sappia quale polarizzazione assumerà. Soltanto questa conoscenza può consentirgli di interagire contemporaneamente.
Tutto ciò ha portato a formulare la teoria della non-separabilità quantistica. Lo spazio quantistico non subisce l’influsso della distanza né quello del tempo: l’informazione che unisce i due fotoni è “contemporanea”. L’unione dei due fotoni non è fisica, nel senso newtoniano del termine, perché non è mediata da alcun mezzo materiale. è una unione “psichica”. Finalmente, si affaccia all’orizzonte una nuova scienza: scopriamo che la materia non è tutto nell’universo che ci circonda.  
 La coscienza dell’universo.
 La non-separabilità quantistica conferma l’esistenza di qualcosa che non è separabile e ripropone con forza il concetto di “unicità”. La non-separabilità, come la contemporaneità, richiedono un mezzo “unico”. L’universo in cui si muovono le particelle elementari deve essere un contenitore “unico”. Qualcuno obietterà che ciò è vero solo per due particelle correlate, cioè nate dallo stesso evento. La risposta è semplice: nei fatti, tutte le particelle dell’universo sono nate dallo stesso evento, il Big Bang, l’esplosione creativa iniziale che ha dato origine ad ogni “cosa”.
Il prof. Lothar Schäfer è un chimico quantistico e illustre professore presso l'Università dell'Arkansas. è autore di molti libri, tra cui “Quantum Physics of Consciousness” (Fisica quantistica della coscienza, attualmente disponibile solo in lingua inglese).
Questo studioso scrive così, e credo che il suo pensiero riassuma nel miglior modo possibile quanto detto finora:
“Gli aspetti caratteristici della realtà quantica hanno conseguenze potenzialmente considerevoli sulla nostra natura umana. Se l'universo è una rete di connessioni istantanee e non separabili, molto probabilmente anche noi facciamo parte di questa rete. Se nell’universo agisce un elemento di Coscienza, e assai probabile che questo elemento comunichi con la nostra Coscienza. Non viviamo in una gigantesca macchina deterministica. Dobbiamo considerarci protagonisti di una realtà che va oltre le nostre conoscenze. Si tratta di una realtà interconnessa, tanto metafisica quanto fisica, e con qualità spirituali”.
 Testo di Bruno Del Medico
Blogger, divulgatore, scrittore.
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Sanremo 2008 – Quarta serata
È la polemica di oggi 1 marzo 2008. A poche ore dalla finalissima dei Big qualcuno dice che i Sonohra sono stati aiutati dall’ora della loro esibizione. La giuria di qualità ieri sera era composta da Nicolas Vaporidis, Sarah Felberbaum, Claudio Cecchetto, Alessia Filippi (nuotatrice) e Federico Moccia. Ottimi i voti assegnati al duo. Ma ci chiediamo: Giuria di qualità, perché? Una nuotatrice sa assegnare criticamente dei voti che peseranno per il 20% sul risultato finale? Federico Moccia e Nicolas Vaporidis voteranno la canzone che meglio accompagnerà il prossimo teen-movie?…beh forse si, visto i risultati…
Dopo l’esibizione dei “non ancora proclamati vincitori”, inizia la fase “ospiti” che (non crediamo ai nostri occhi) durerà in eterno, causando l’invecchiamento precoce dei Giovani in attesa di esibirsi e delle violente crisi di narcolessia per il pubblico a casa. Unica cosa positiva sono le iniezioni di pura arte musicale regalataci da questi grandi ospiti nazionali.
Giorgia esegue E poi, The man I love di George Gershwin e il suo ultimo singolo La La Song. Jovanotti accompagnato sul palco dal grandissimo Ben Harper interpreta il suo ultimo successo Fango, accompagna con timidi cori la splendida Lifeline di Harper, e dopo un filmato (da archivio Rai dove un giovanissimo Lorenzo inizia la sua carriera e scherza con il Molleggiato) esplode nella profonda ed emozionante canzone A Te: brano tra i più romantici della sua produzione, contenuto nell’album Safari ancora in cima alle classifiche italiane.
Nel frattempo nella finale dei Giovani non si vedono i giovani: il pubblico da casa si chiederà se gli unici partecipanti sono i Sonohra, e quindi continua a votarli. Ore 22.30…abbiamo ascoltato solo i Sonohra. Si, quelli che stranamente vinceranno a notte inoltrata…MAH!!!
Fiorella Mannoia è il terzo ospite. Come non rimanere incantati da Sally, Quello che le donne non dicono e Io che amo solo te…: interprete da brivido. Il pubblico apprezza in sala apprezza e canta…
Finalmente vediamo Ariel. Intensa ma poco innovativa nella sua proposta musicale, che in teoria dovrebbe essere nuova. Ma falso allarme: pensavate che si iniziasse con la gara? Sbagliato… Baudo annuncia Leona Lewis voce vincitrice di X Factor in Inghilterra e in testa alle classifiche europee con la sua Bleeding Love.
Jacopo Troiani, il più giovane del Festival (17 anni) canta Ho Bisogno di Sentirmi Dire Ti Voglio Bene. Terzo ad esibirsi terzo classificato: la teoria “ora di esibizione” potrebbe essere ancora valida. Dopo Giua la situazione viene rianimata dai Frank Head: allegria e spensieratezza invadono l’Ariston. I ragazzi si meriteranno, giustamente, il Premio della Critica dei Giovani e Cecchetto apprezzandoli dice di essere curioso di ascoltare da loro altro: previsione di un successo annunciato?
Gianni Morandi canta “Uno su mille ce la fa…” e noi lo speriamo sul serio…
A mezzanotte viene chiamato sul palco Valerio Sanzotta, molto simile fisicamente a Zampaglione dei Tiromancino e molto convincente con il suo brano Novecento che a mio modestissimo parere poteva essere un ottimo vincitore del Premio della Critica, sia dal punto di vista della composizione musicale che del testo, un ottimo affresco della storia italiana. È la volta poi de La Scelta che registrano dopo la loro esibizione il voto più alto della Giuria di Qualità: arriveranno secondi.
Ancora ospiti: Pooh. Primi in classifica con il loro Beat Regeneration ricordano che loro hanno partecipato una sola volta al Festival vincendolo…evviva la modestia! Siamo a notte inoltrata quando i Milagro cantano Domani: sorrido…e penso che gli autori vogliono farci ridere: domani, domani, domani… infatti stiamo rischiando di arrivare all’edizione del TG1 della mattina Nicola Piovani si becca il Premio Città di Sanremo e la standing ovation della sala, che in realtà forse si alza oltre che per il premio Oscar che ha davanti, anche e soprattutto per sgranchirsi le gambe.
Arriva ‘bomba Loredana’: chiude fuori gara per le note vicende e riceve comunque due premi. Il primo è quello che non fu consegnato alla sorella nel 1982 quando fu istituito il premio attribuito dai giornalisti della sala stampa e oggi intitolato proprio a Mia Martini. Il secondo premio speciale va alla carriera attribuitole dalla Città di Sanremo.
È finita?!?! Si…annunciati i vincitori: primi i Sonohra, secondi La Scelta, terzo Jacopo Troiani.
(Non Solo Cinema 01/03/2008)
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gguksgalaxy · 7 years
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Burdened Indigo
Masterlist Halloween Drabble #5
AU: Fey!Au Genre: Future Angst / Violence / Smut Pairing: Minseok x Reader, Yixing x Reader, ???? x Reader Wordcount: 1025 Notes for Update: Comment if you want more! Warnings: nothing..... A/N: This is an idea i've worked on a while ago and i think i talked about it with @messyscriptorium but i'm not sure sorry if I tagged you wrong. Give it love guys <3 my second Yixing works. 
You were awoken by a melody yet unfamiliar to you, Minseok stirring against you and pulling you back against his naked chest. He pressed a kiss to the nape of your neck as you listened to the bow move against the strings of the violin. The tune kept you awake, as it swayed in the dark night. It sounded deep, and hollow, and lonely. It’s been so long since you’d heard him play this late at night, or heard him play at all.
“You want to go?” Minseok asked.
You sighed deeply, you hadn’t actually seen Yixing in weeks, too busy with training the new recruits. “He sounds lonely.”
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“He does.” Your partner answered, disentangling his legs with yours. “Go.” He said, letting go of your body. You hovered for a bit, waiting and listening a little more. The music moved you, taking you out of the bed and into simple clothes that’d protect you from the cold night. You looked at Minseok before leaving, catching him smile in the dark of the hut.
You went outside, crossing the simple wooden bridge to the large tree that held Yixing’s large home. A home fit for an Exalt, you thought, as you listened to his song. The whole city could hear it, up in the trees, and down below. They took pride in the music their Exalt made, claiming it to be the most beautiful and moving sound ever. And it was, really, you’d never heard anyone play the violin like he had. With so much emotion and personality, the instrument was an extension of his soul. It was at home on his shoulder, and his fingers knew the paths of the strings like the roads of the forests he’s walked many times.
His room was big, bed large with the softest fur overlay. You watched him, standing by the open window that showed you the perfect crescent moon which lit up his distinct features. His eyes were closed, his black hair messily pushed back from today’s occasions. Deft fingers dance across the neck of the instrument, as his other hand pushes and pulled the sounds from the strings in manners that seemed natural and unpracticed.
Then he stopped, and opened his eyes to look at you. His gaze roamed over you, and he smiled sweetly, dark blue eyes seemingly black in the night. “Did I wake you up?” he asked, putting down the instrument on the chair.
You shook your head. “Don’t stop on my account.”
He walked over to you, reaching out to touch your hair. “Your hair has gotten much longer.” You noticed he was still wearing his official attire, the dark purple silk embroidered with rhinestones of all colours, the buttons undone to reveal pale, unscarred skin.
“Who’d you see today?” you asked, as he played with the ends of your hair.
He sighed, and you immediately knew the answer. “Baekhyun’s officials, they called for me a week ago.” Yixing, as ruler of the Dorcha Fey, also known as the dark ones, had important correspondences with the neighbouring nation. The nation of the Solas Fey was ruled by Baekhyun’s parents, king and queen of the light ones. There has been an eternal fued between both nations, fuelled by events from the past that created misconceptions and prejudices against both. Yixing has been trying his utmost best to create peace for both, to no avail. Baekhyun was always out for blood, for land, for sovereignty. He’d do anything to impress his father and grant him the sacred land you lived on that his nation’s been after for centuries.
Baekhyun’s father was the one who murdered Yixing’s parents, but your mom and Minseok’s father the ones who lead the army that pushed their forces far enough back to maintain rule over the land. Yixing was merely a kid then, and his father’s closest brother took over the place of Exalt until Yixing was of age. Until then, he’d lived with your family and Minseok’s, he was almost a brother to you.
Now, it sometimes felt like history might repeat, as you were appointed to Yixing’s personal guard alongside Minseok when your friend was announced king. Baekhyun was out for him, and you and your partner had killed many of his assassin’s, but nobody would ever get past you. Both of you would protect Yixing with your life, even if he’d never ask it of you.
“You’re lost in thought?” he said, bringing you back, pressing a soft kiss to your forehead.
“Oh, sorry. I guess I’m tired.”
He nodded, moving back towards the window. “You’ve been training new soldiers for weeks now, while Minseok has been with me alongside Luhan and Jongdae. You need to rest well.”
“It’s my duty to ensure that all protection that serves you and our nation is of the best skill. It doesn’t do to have half ready young men and women at the front lines to protect our borders.” You said, ending your sentence with a yawn.
Yixing smiled at you, picking up his beloved violin. It was Minseok’s mother that had taught him to play, that had spent her nights with him playing old folk songs and love stories. You had followed in your mother’s footsteps, like Minseok has in his father’s, who had been each other’s Cèile, just like you and Minseok were now. Cèile was a term used for soldiers that worked together for the rest of their service, you pick your Cèile halfway through your training. You and Minseok had picked each other when you were kids.
“Baekhyun’s coming here tomorrow.” Yixing suddenly spoke, and your eyes grew wide.
“How can you let that animal into our lands?!” you almost raised your voice at him. “Do you have any idea how dangerous he can be? He’ll bring assassins, soldiers, anything that he can to take you down.” Yixing wasn’t only your king, he was also your closest friend, your brother. Him and Minseok were your world, and you couldn’t understand how he was being so stupid.
Yixing sighed, and the look he gave you scared you in a way he had never before. “He’s not coming for me, he’s coming for you.”
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Mon menage a moi.
Tu non ti ricordi
ma in un tempo
così lontano che non sembra stato
ci siamo dondolati su un’altalena sola
Che non finisse mai quel dondolio
fu l’unica preghiera in senso stretto
che in tutta la vita
io abbia levato al cielo.
L’ho vista e rivista. Da dentro, da fuori, da sopra, da sotto, attraverso i sedili sudici di un pullman che macina l’Italia intera. Ho chiuso gli occhi come in un flash: la luce blu, il buio pesto fuori, l’estate ancora calda di birre fredde. Big Jet Plane nelle cuffie e un bacio interminabile da serie tv. La mia altalena sei stato tu e che non finisse mai l’estate la preghiera che ho alzato al cielo. Le gambe magre abbronzate, i tramonti intrecciati e tutti gli alberi a cui ho sussurrato che sarei voluta rimanere immobile. Eccola l’estate perfetta, quella in cui ho imparato ad amare la calma, i fichi d’india e il sale sulla pelle. Perché li amavi tu. Tutto quel blu mi è rimasto addosso, dentro agli occhi. La piscina, il mare, il cielo, i ghiaccioli, il gelato, Nevermind, i miei occhi riflessi nei tuoi, i jeans, la luce dei neon e quella diffusa del giorno che si spegne. All is blue.
Blue.
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