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Separabilità fisica e non-separabilità quantistica. Tutto è uno
Lo spazio quantistico non subisce l’influsso della distanza né quello del tempo: L’unione di due particelle non è fisica, nel senso newtoniano del termine, perché non è mediata da alcun mezzo materiale. è una unione “psichica, coscienziale”. Finalmente, si affaccia all’orizzonte una nuova scienza: scopriamo che la materia non è tutto nell’universo che ci circonda.  
 Unità e separabilità.
 Le separabilità indica la possibilità, tipica di un oggetto fisico, di essere diviso in più parti. Il suo contrario è l’unità, che indica la proprietà, tipica di un oggetto fisico, di essere costituito da una parte sola.
Questa premessa può essere utile per illustrare un terzo concetto, quello di contemporaneità.
Partiamo dall’esempio del chiavistello, rappresentato nella figura, per illustrare questi tre concetti: unità, separabilità, contemporaneità.  Sono concetti che poi trasferiremo all’ambito della fisica quantistica.
 Un chiavistello con velocità infinita.
 Il chiavistello è un organo usato per bloccare meccanismi, per esempio una porta. È composto da una barra metallica che scorre lungo delle guide ad anello. Si tratta di uno strumento complesso, ma a noi interessa soltanto il corpo principale del chiavistello, cioè la barra mobile. Questa barra ha due estremità, che possiamo definire A e B.
La barra del chiavistello può rappresentare perfettamente il concetto di contemporaneità. Infatti, se la facciamo scorrere nelle guide, l’estremità A si muoverà in una certa direzione, e “contemporaneamente” anche l’estremità B si muoverà nella stessa direzione. È ovvio, in quanto il chiavistello rappresenta un oggetto “unico”.
Non esiste alcun ritardo tra l’inizio del movimento dell’estremità A e quello dell’estremità B. Come può essere facilmente intuito, il movimento delle due estremità è “contemporaneo” e ciò può avvenire solamente grazie alla caratteristica di “unità” della barra.
Poiché la contemporaneità non prevede nessun tempo tra lo spostamento della estremità A e della estremità B, diremmo che in condizione di unità la velocità di spostamento è infinita.
Se il chiavistello fosse diviso in due parti, il movimento non sarebbe più contemporaneo, neppure se la parte A, grazie ad un meccanismo di accoppiamento qualsiasi, trasferisse il movimento alla parte B.
 L’informazione ha bisogno di tempo per viaggiare tra due corpi separati.
 In effetti, se la barra d’acciaio del chiavistello fosse composta da due semi-barre, occorrerebbe del tempo per trasmettere alla barra B l’informazione relativa al movimento iniziato dalla barra A, o viceversa.
Secondo la fisica newtoniana, e secondo le teorie einsteiniane, l’informazione non potrebbe viaggiare più velocemente della luce. Certo, sarebbe un tempo bravissimo, ma pur sempre un tempo. Non esisterebbe più la “contemporaneità”. Ne consegue che la contemporaneità è possibile solo in una condizione di unità.
 La separabilità dei corpi.
 Peraltro, la fisica classica ci insegna che ogni corpo fisico può essere scisso in due o più corpi parziali. Si tratta del concetto fisico di “separabilità”. Il principio secondo cui ogni oggetto può essere scisso in più oggetti fu strenuamente contrapposto da Einstein ai sostenitori delle teorie quantistiche come Niels Bohr e Werner Heisenberg. Secondo Einstein, essendo ogni corpo separabile, la non-separabilità predetta dagli esperimenti della fisica quantistica rappresentava solo una visione parziale dell’universo.
In effetti, dobbiamo riconoscere che l’esempio del chiavistello è assolutamente parziale. Ciò risulta evidente se, anziché muovere la barra del chiavistello, proviamo a riscaldarne una estremità. Sicuramente il calore non si trasmetterà all’altra estremità tanto velocemente come il movimento. Ciò conferma il fatto che il chiavistello è chiaramente separabile in molecole, atomi e particelle elementari, a conferma del principio di separabilità.  
Tuttavia, le prove sperimentali smentiscono questa certezza.. Tutti gli esperimenti, da quello condotto da Alain Aspect nel 1982 agli altri innumerevoli successivi, dimostrano l’esistenza della non-separabilità quantistica.
 La non separabilità quantistica. Di che parliamo?.
 Ho già descritto in altri post e nei miei libri l’esperimento di Alain Aspect, che sta alla base dell’entanglement quantistico. “Entanglement” è un termine inglese che può essere tradotto come “intreccio”, per significare le condizioni di “unità” e “non-separabilità” che si instaurano tra due particelle correlate. I primi esperimenti di Aspect riguardavano due fotoni di luce. Successivamente, con il progredire della tecnica, gli esperimenti sono arrivati a coinvolgere milioni di particelle o anche interi atomi, come nell’esperimento di Serge Hariche, vincitore del Premio Nobel per la Fisica nel 2012.
 L’esperimento che travolge le certezze della fisica materialista.
 Nella versione sperimentale più primitiva, l’entanglement viene ottenuto con due fotoni “correlati”, cioè nati dallo stesso evento. I fotoni possiedono una proprietà detta “spin”, che può essere semplificata come “senso di rotazione”. Si tratta di una polarizzazione, e tra due fotoni correlati le polarizzazioni devono sempre essere perpendicolari. Diciamo che il fotone A avrà polarizzazione positiva (+1/2) e il fotone B l’avrà negativa (-1/2)
Per la verità, in base al principio di indeterminazione, il fotone assume una polarizzazione definita solamente nel momento in cui la misuriamo. In misurazioni successive, la polarizzazione potrà essere diversa. Dunque, misurando il fotone A, determiniamo la sua polarizzazione nel momento della misura. Evidentemente, attraverso misurazioni successive, causiamo successive variazioni della polarizzazione del fotone A.
Nel frattempo, che accade al fotone B?
Questo fotone ha anch’esso una polarizzazione indeterminata. Al momento della sua nascita è stato “sparato” a una distanza immensa dal fotone A.
Se misuriamo la polarizzazione del fotone A, avremo uno dei due valori possibili. Per esempio, ½ negativo. Immediatamente, anzi “contemporaneamente” il fotone B assume la polarizzazione perpendicolare al primo, cioè ½ positivo. Sarà stato un caso? Eseguiamo una nuova misurazione del fotone A, e “contemporaneamente” il fotone B adegua la sua polarizzazione per renderla perpendicolare al fotone A.
Immaginiamo di attendere un secolo ed eseguire poi una nuova misurazione del fotone A. Il fotone B, che si è allontanato anni luce nel tempo e nello spazio, adeguerà “contemporaneamente” la sua polarizzazione. Proprio come se i due fotoni fossero una sola cosa, al di là della separazione temporale e spaziale.
 Unità di due fotoni separati nello spazio e nel tempo.
 I due fotoni, per quanto separati nello spazio e nel tempo, rivelano una “unicità” incredibile. Dunque, il fotone B non cambia la sua polarizzazione “a causa” della polarizzazione del fotone A, cioè “dopo” che il fotone A l’ha cambiata: con ciò smentisce il principio di determinazione, o causalità, tanto caro alla scienza materialista.
Anzi, pare che il fotone B “sappia in anticipo” quanto avverrà al fotone A: sappia che qualcuno lo misurerà e sappia quale polarizzazione assumerà. Soltanto questa conoscenza può consentirgli di interagire contemporaneamente.
Tutto ciò ha portato a formulare la teoria della non-separabilità quantistica. Lo spazio quantistico non subisce l’influsso della distanza né quello del tempo: l’informazione che unisce i due fotoni è “contemporanea”. L’unione dei due fotoni non è fisica, nel senso newtoniano del termine, perché non è mediata da alcun mezzo materiale. è una unione “psichica”. Finalmente, si affaccia all’orizzonte una nuova scienza: scopriamo che la materia non è tutto nell’universo che ci circonda.  
 La coscienza dell’universo.
 La non-separabilità quantistica conferma l’esistenza di qualcosa che non è separabile e ripropone con forza il concetto di “unicità”. La non-separabilità, come la contemporaneità, richiedono un mezzo “unico”. L’universo in cui si muovono le particelle elementari deve essere un contenitore “unico”. Qualcuno obietterà che ciò è vero solo per due particelle correlate, cioè nate dallo stesso evento. La risposta è semplice: nei fatti, tutte le particelle dell’universo sono nate dallo stesso evento, il Big Bang, l’esplosione creativa iniziale che ha dato origine ad ogni “cosa”.
Il prof. Lothar Schäfer è un chimico quantistico e illustre professore presso l'Università dell'Arkansas. è autore di molti libri, tra cui “Quantum Physics of Consciousness” (Fisica quantistica della coscienza, attualmente disponibile solo in lingua inglese).
Questo studioso scrive così, e credo che il suo pensiero riassuma nel miglior modo possibile quanto detto finora:
“Gli aspetti caratteristici della realtà quantica hanno conseguenze potenzialmente considerevoli sulla nostra natura umana. Se l'universo è una rete di connessioni istantanee e non separabili, molto probabilmente anche noi facciamo parte di questa rete. Se nell’universo agisce un elemento di Coscienza, e assai probabile che questo elemento comunichi con la nostra Coscienza. Non viviamo in una gigantesca macchina deterministica. Dobbiamo considerarci protagonisti di una realtà che va oltre le nostre conoscenze. Si tratta di una realtà interconnessa, tanto metafisica quanto fisica, e con qualità spirituali”.
 Testo di Bruno Del Medico
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I meta-luoghi. Uno, nessuno, molti o infiniti?
 La “località” è un principio posto alla base della fisica newtoniana. Tutto quanto è soggetto alla località può essere pesato, misurato e riprodotto in laboratorio. Da qui deriva l’inevitabile e incrollabile convincimento che la realtà è esclusivamente materialista. Tuttavia, è stata dimostrata una località non newtoniana, detta, appunto, “non-località”. Cosa accade qui?
 1 Luoghi e meta-luoghi.
 Prima di parlare dei meta-luoghi dovremmo intenderci sul concetto di luogo. Dal punto di vista della fisica classica, il luogo è una parte di spazio materialmente e temporalmente circoscritta. In questa parte di spazio avvengono i fenomeni fisici conosciuti. In base a questa caratteristica, i fenomeni fisici vengono detti “locali”. La località è una caratteristica irrinunciabile per la validazione di ogni fenomeno. Viviamo in un universo localizzato. Tutta la fisica newtoniana, e anche la relatività einsteiniana, funzionano perché descrivono fenomeni perfettamente rispondenti alle caratteristiche della località. Tutto quanto è soggetto alla località può essere pesato, misurato e riprodotto in laboratorio (o potrebbe esserlo disponendo di strumenti sufficientemente precisi). Da qui deriva l’inevitabile e incrollabile convincimento che la realtà è esclusivamente materialista. In effetti, se una “cosa” è materia, come per esempio un sasso, può essere pesata. misurata e riprodotta. Quindi lo studio dei sassi si ascrive alla fisica. Viceversa, “cose” come Shambala, El Dorado, il Paese dei Balocchi, La Terra di Mezzo, il Paradiso, l’Inferno e il Purgatorio non sono localizzabili, quindi non sono pesabili né misurabili e perciò vengono dette, nei casi più benevoli, luoghi fantastici oppure invenzioni per i grulli.  Lo studio di queste “cose” si ascrive alla metafisica.
In effetti, poiché la metafisica descrive le istanze non collocabili nel dominio della fisica, questi luoghi possono essere definiti meta-luoghi.
 Alla ricerca di un meta-luogo esistente.
 In effetti, basterebbe dimostrare che un solo meta-luogo esiste, per aprire la strada all’affermazione che tutti i meta-luoghi esistono, o, quantomeno, potrebbero esistere, se non altro grazie alla proprietà transitiva che recita:
se A = B e B = C allora A = C.
Immaginiamo che il meta-luogo B sia dimostrato esistente.
A= tutti i meta-luoghi;
B= uno dei tanti meta-luoghi;
C= esistenza affermata.
Poiché A=B, e B=C, allora A=C.
Il problema è che, fino a pochi decenni fa, nessun meta-luogo era mai stato dimostrato esistente.  Sebbene ne avessero scritto schiere di studiosi e filosofi, neppure i meta-luoghi più affascinanti, come il Mondo delle Idee di Platone o l’inconscio collettivo di Carl Jung, erano stati dimostrati esistenti.
 Le caratteristiche di un meta-luogo.
 Come già detto, un luogo, per essere considerato meta-luogo, dovrebbe essere libero da tutti i vincoli tipici della località newtoniana, principalmente:
1)  Non dovrebbe possedere “misure” quali lunghezza, larghezza, altezza e peso. I fenomeni al suo interno non sarebbero attenuati dalla distanza, perché non esisterebbero distanze. La velocità della luce non avrebbe senso, lo scambio di informazioni sarebbe istantaneo e totale.
2)  Non dovrebbe essere soggetto alla freccia del tempo. Al suo interno non dovrebbero esistere concetti quali “prima” e “dopo”. Dunque, in un meta-luogo non sarebbero più applicabili i concetti materialistici di causalità e determinismo, secondo cui ogni evento è causato da un evento che lo precede, e determina eventi successivi.
Pensate che un luogo (o meta-luogo) simile non potrebbe mai esistere? Vi sbagliate di grosso. Esiste sicuramente, e la sua esistenza è stata dimostrata scientificamente già negli anni ’80 del secolo scorso.
 Anno 1982: un esperimento sconvolgente.
 Ho già descritto in altri post (vedi: https://www.pensarediverso.it) il fenomeno dell’entanglement quantistico, dimostrato nel 1981-82 da Alain Aspect tramite l’implementazione in laboratorio di un esperimento suggerito da Stewart Bell nel suo teorema detto “diseguaglianza di Bell”. Questo teorema voleva far luce sul precedente esperimento mentale detto EPR, proposto dal trio Einstein, Podolski e Rosen. EPR metteva in dubbio le teorie quantistiche formulate dalla “Scuola di Copenhagen” di Niels Bohr. Per la verità, EPR voleva spiegare l’inspiegabile partendo da presupposti sbagliati.
Alain Aspect dimostrò per primo, senza dubbio, l’esistenza reale del fenomeno detto “entanglement quantistico”.
 Nasce la non-località quantistica.
 Se due particelle (per esempio due fotoni di luce) nate dallo stesso evento vengono spostate a distanze astronomiche, anche ai lati estremi dell’universo, riescono comunque a comunicare tra loro come se fossero una cosa sola. I loro comportamenti sono reciproci e contemporanei. Se una particella cambia il suo “spin”, contemporaneamente anche l’altra lo cambia, a qualunque distanza si trovi nello spazio.
è evidente che tutto ciò avviene al di fuori dei criteri di località tipici della fisica classica.
Infatti, non esiste nessun mediatore capace di spostare “fisicamente” l’informazione in modo contemporaneo tra i due fotoni. Quantomeno, l’informazione dovrebbe spostarsi alla velocità della luce.
In effetti, il principio di località afferma che oggetti distanti NON possono avere influenza istantanea l'uno sull'altro: un oggetto è influenzato direttamente solo dalle sue immediate vicinanze.
L’esperimento di Aspect dimostra che, almeno in un caso, può avvenire il contrario.
Questo sperimento di Aspect è stato ripetuto centinaia di volte in decine di laboratori, con metodi sempre più sofisticati. Attualmente non si pongono più in stato di “entanglement” due fotoni, ma miliardi di particelle contemporaneamente.
Per i fisici materialisti la non località è come una lama con cui una realtà innegabile trafigge le loro carni, rigirandola crudelmente nella ferita.
Non potendo deridere o insabbiare l’evidenza, il grande imbarazzo fu risolto normalizzando il conflitto. Quindi, il fenomeno fu accolto a denti stretti e gli si appiccicò una nuova etichetta priva del prefisso “para”: la non-località. Come affermava cinicamente Mao nel suo Libretto rosso: “Se non puoi distruggere il tuo avversario, fattelo amico”. Sano pragmatismo cinese!
 Prospettive future.
 Chissà se in futuro si potranno mettere in stato di entanglement due esseri umani, cioè due cervelli? Non si farebbe altro che dare dignità scientifica al “para-fenomeno” della telepatia.
Naturalmente, questo post non vuole affermare la reale esistenza di tutti i meta-luoghi possibili, anche se una teoria meta-quantistica, quella dei multiversi, renderebbe plausibile questa ipotesi.
Per il momento, osserviamo che molti fenomeni detti paranormali o extrasensoriali diventano possibili e normali nel livello della realtà quantistica. Per esempio, oltre alla telepatia, la conoscenza del passato e del futuro, visto che nella non località non esistono il “prima” o il “dopo”. Come accedere a questa realtà? Il livello quantistico è inaccessibile ai nostri cinque sensi, calibrati per il livello macroscopico. Tuttavia, è pienamente accessibile al nostro settimo senso, la coscienza.
 Testo di Bruno Del Medico
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Oves et boves et universa pecora. In quale fattoria viviamo?
 Facciamo un esercizio di fantasia immaginando il nostro pianeta come una grande fattoria, dove ciascuno di noi svolge un ruolo assimilabile a quello dei vari animali, mentre aspireremmo tutti ad essere i fattori che la governano. Una ipotesi azzardata e mortificante? Forse no. Questa fattoria orwelliana potrebbe essere il punto di partenza che porterà, attraverso sincronismi culturali successivi, al raggiungimento del “Punto Omega”.
 Oves et boves.
 La locuzione “Oves et boves” è abbastanza assimilabile a quella usata attualmente, che recita “Cani e porci”, cioè “tutti”. Dal punto di vista etimologico, si tratta di una antica formula notarile, usata nei casi di cessione di una fattoria con tutto il bestiame. Con “Oves et boves” si intendeva il bestiame nobile, le pecore e i bovini, probabilmente anche i maiali. Per ulteriore scrupolo si aggiungeva “et universa pecora”, con riferimento al “pecus”, cioè a tutti gli altri piccoli animali come, per esempio, polli e altri volatili, gatti, cani, anfibi, roditori, eccetera, fino alle zecche dei cani, ai lombrichi del terreno e ai moscerini dell’uva. In effetti, nessuna creatura vivente poteva sfuggire al dominio esercitato dal fattore nella sua proprietà.
A questo punto, possiamo fare un esercizio di fantasia immaginando il nostro pianeta come una grande fattoria, dove ciascuno di noi svolge un ruolo assimilabile a quello degli oves, o dei boves, o dell’infima categoria detta “universa pecora”, mentre aspireremmo tutti ad essere fattori.
Una ipotesi azzardata e mortificante? Mica tanto. Prendiamo a esempio una delle fattorie immaginarie più note.
 La fattoria di Orwell.
 La fattoria degli animali (Animal Farm) è una novella allegorica di George Orwell pubblicata per la prima volta il 17 agosto 1945.
Il romanzo è ambientato in una fattoria nei pressi di Willingdon, in Inghilterra, dove gli animali, stanchi dello sfruttamento del loro fattore, si ribellano. La rivolta riesce, e gli animali rinominano la fattoria come "Fattoria degli Animali". A questo punto, scrivono i Sette Comandamenti: il più importante è “Tutti gli animali sono uguali". Ben presto, però, i maiali ritengono di essere più uguali degli altri e pretendono di diventare i nuovi fattori. La fattoria di Orwell è il paradigma di una grande verità: nella storia umana non è mai esistita una fattoria che non sia partita con le migliori intenzioni, proclamando che over et boves sono uguali a tutti gli altri animali. Il principio di uguaglianza tra gli animali viene comunque vanificato dall’esistenza del fattore, che scrive le regole e perciò è più uguale degli altri.
 La comunità umana
 La comunità umana nel suo complesso, e ogni singola comunità, non sfugge mai a questa regola. Dal punto di vista della organizzazione sociale, c’è sempre un re che, per il bene del suo popolo, lo manda a morire scatenando guerre in nome di ideali improbabili quali “la difesa dei sacri confini” o altre amenità.
Dal punto di vista della organizzazione spirituale, le caste religiose di ogni tempo hanno predicano l’uguaglianza degli uomini salvo poi stabilire che le caste sono più uguali, e possono arrogarsi il potere di stabiliscono regole e imporre cerimoniali, verità rivelate e dogmi.
Sul piano dei rapporti individuali, in ogni società, fino alle “fattorie familiari” si solidificano usi e costumi che stabiliscono priorità e diritti riservati solo ad alcuni (per esempio, agli individui maschi) mentre altre fasce sociali vengono sottomesse e ridotte quasi in schiavitù.
 Una evoluzione incompleta.
 Il nostro cervello si sta evolvendo in modo straordinario dal punto di vista delle capacità pratiche. Per esempio, siamo tutti capaci, salvo lesioni cerebrali, di metterci alla guida di un’auto e, nel caso di un sorpasso, sappiamo eseguire con precisioni calcoli complessi come la valutazione delle velocità del nostro mezzo, di quello che abbiamo davanti e di quello che sta arrivando sulla corsia opposta, per stabilire se il sorpasso è possibile. Lo facciamo senza usare carta e penna, né tantomeno calcolatrici di sorta. Sappiamo usare con maestria strumenti complicatissimi come i moderni computer e cellulari. La nostra intelligenza “ingegneristica” si è evoluta in modo incredibile da quando sapevamo a malapena scheggiare qualche sasso da usare come arma.
Tuttavia, la nostra intelligenza e sensibilità sociali non si sono sviluppate nello stesso grado. Quando sono in gioco i nostri interessi, l’egoismo continua a prevalere.
 Sarà sempre così?
 Molti affermano che l’evoluzione umana è solo la somma caotica di infinite casualità. Nei fatti, oggi stiamo molto meglio rispetto ai nostri progenitori trogloditi. Diciamo che oggi viviamo molto meglio, malgrado noi stessi. Sembra quasi che una “forza” ci abbia guidato lungo un cammino dal quale abbiamo sempre cercato di deviare, ma senza riuscirci (per fortuna).
Mentre questa forza ci guidava sul sentiero di un progresso tecnico e civile costante, noi organizzavamo guerre, programmavamo omicidi e distruzioni, lottavamo per diventare i padroni delle nostre fattorie.
Fino ad oggi, questa “forza” è stata più potente di noi, sicché la nostra specie è sopravvissuta e oggi siamo qui a lanciar sonde verso Marte che presto colonizzeremo.
 Le sincronicità teorizzate da Carl Jung
Secondo Carl Jung, psicanalista e filosofo svizzero questa “forza” si esplica con azioni particolari chiamate sincronicità. Jung affermava che le sincronicità possono essere considerate come “messaggi” rivolti alle singole persone, e si esplicano attraverso l’accadere di particolari coincidenze che egli definisce “numinose”. La somma di queste strane coincidenze potrebbe sollevare “dubbi” o “domande” nella psiche di una persona, indicendola a riflettere su particolari aspetti della sua vita.
Successivamente, un esegeta di Jung, Joseph Cambray, ha perfezionato questa teoria.
Joseph Cambray è uno psicanalista junghiano di fama internazionale che ricopre ruoli importanti in diverse associazioni, ed è docente di ruolo alla Harward Medical School.
Nel suo libro “Sincronicità. Materia e psiche in un universo interconnesso” Cambray propone una estensione della teoria di Jung, suggerendo che alla base di molte evoluzioni culturali dell’umanità ci sia un “meccanismo sincronistico” che le ha promosse, favorite e accompagnate nel loro svolgimento.
In pratica, Cambray potenzia l’azione delle sincronicità considerandole efficaci, oltre che nell’ambito individuale, anche in quello collettivo di gruppi umani, di popoli, e dell’universo intero.  Egli le definisce “sincronicità culturali”.
A titolo di esempio Cambray ripropone in chiave sincronistica gli eventi che hanno accompagnato la nascita della democrazia nell’antica Grecia.
Questa sincronicità si sarebbe dispiegata nell’arco di un tempo storico durato decenni, e sarebbe culminata nella riforma di Clistene avvenuta nel 508-507 a.C.  
Questo evento interessò inizialmente un piccolo popolo, ma ha contagiato il mondo e oggi moltissime nazioni praticano un regime democratico.
Dunque, la misteriosa “forza” che guida l’umanità verso stadi evolutivi sempre più avanzati potrebbe assomigliare molto alle sincronicità teorizzate da Carl Jung.
Dove nascono queste sincronicità? Secondo Jung la loro fonte si trova nell’inconscio collettivo, che contiene tutta l’esperienza dell’umanità, in forma di archetipi. Gli archetipi possono fluire dall’inconscio collettivo a quello individuale in forma di sincronicità. Quando lo fanno, coinvolgono l’individuo (o la comunità) in un assieme di coincidenze “numinose”.
Se avete vissuto eventi strani di cui non riuscite ad elaborare una spiegazione logica, cominciate a chiedervi se questa non fosse una sincronicità, cioè un messaggio per voi proveniente da una “coscienza universale”.
  Il punto Omega e la fattoria ideale
 Non possiamo dimenticare una profezia formulata da uno scienziato, Pierre Teillard de Chardin. Secondo la sua teoria, l'universo è in costante evoluzione verso livelli più elevati di complessità e di coscienza che vanno dalla geosfera, alla biosfera e alla noosfera. Per Teilhard de Chardin l'universo, se è attratto da un punto supremo di complessità e coscienza, non può che muoversi nella direzione di una crescente complessità e di una crescente coscienza. Per questo Teilhard de Chardin ha formulato il concetto di “Punto Omega”. Non si tratta solamente del punto di arrivo del processo evolutivo. In effetti, il Punto Omega è il massimo della complessità e della coscienza.
Dunque, l’umanità futura è destinata a superare il concetto di fattoria orwelliana? Vivremo in una fattoria ideale in cui gli animali sono veramente tutti uguali?
La fattoria ideale, per ora, rimane solo una profezia mistica. La troviamo in un testo religioso, il libro del profeta Isaia (11. 6-8):
Il lupo dimorerà insieme con l'agnello, la pantera si sdraierà accanto al capretto; il vitello e il leoncello pascoleranno insieme e un fanciullo li guiderà. La vacca e l'orsa pascoleranno insieme; si sdraieranno insieme i loro piccoli. Il leone si ciberà di paglia, come il bue. Il lattante si trastullerà sulla buca dell'aspide; il bambino metterà la mano nel covo di serpenti velenosi.
 Testo di Bruno Del Medico
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Capire l’universo con due manopole
 Già nei due celebri Congressi Solvay di fisica del 1911 e del 1913 si prese coscienza della necessità di una nuova costante, che rendesse possibili calcoli che, altrimenti, sarebbero impossibili. Da qui nacque una delle più sorprendenti scoperte legate all’avvento della fisica quantistica: l’universo funziona proprio a scatti. L’energia non fluisce in modo continuo, ma in modo discreto. Dunque, Aristotele ci aveva azzeccato: “Una distanza finita, non è divisibile in frazioni infinite come afferma Zenone, perché è infinita soltanto nella considerazione mentale. Nella pratica, quella distanza si compone di parti finite e può essere percorsa.”
 Continuo o discreto, di che parliamo?
 Anzitutto, sarà bene illustrare il significato dei due concetti “continuo” e “discreto”. Le due manopole lo rappresentano chiaramente. Immaginiamo che siano due manopole della nostra cucina. La manopola a sinistra può essere girata con un movimento continuo, questo significa che l’energia può essere erogata al fornello in qualsiasi valore compreso tra l’inizio e la fine della corsa della manopola. Quella a destra, invece, funziona scatti: questo significa che l’energia può esser erogata soltanto in base ad alcuni valori prestabiliti dal costruttore. Nella manopola a destra i valori sono erogabili in modo discreto, cioè sono possibili incrementi fissi di 5. Dunque, tra 40 e 60 potrete erogare energia solo nella quantità 40, 45, 50, 55 o 60. Con l’altra manopola a sinistra, invece, potreste erogare energia in modo continuo. Significa che potreste erogare qualsiasi valore, per esempio 40, 41 o 42. Naturalmente potreste erogare anche ogni valore tra 40 e 41, per esempio 40.01, 40.02, ecc.
Se la meccanica dell’erogatore lo permettesse, potreste erogare anche valori compresi tra 40.01 e 40.02. Cioè, meccanica permettendo, potreste erogare qualsiasi quantità di energia, suddividendo all’infinito lo spazio di rotazione della manopola.
 Achille e la tartaruga
 I filosofi dell’antichità conoscevano questi concetti. Zenone di Elea è un filosofo greco vissuto nel V° secolo avanti Cristo.
Zenone immaginava una realtà continua, nella quale anche il tempo scorreva in modo continuo, Su questa base elaborò il paradosso detto di “Achille e la tartaruga”.
Achille sfida una tartaruga alla corsa. Egli corre molto più velocemente della tartaruga, quindi le concede un vantaggio di dieci metri, pensando che potrà raggiungerla e superarla in pochissimo tempo. Nonostante ciò, Zenone dimostra che Achille non potrà mai raggiungere né superare la tartaruga. Lo scrittore argentino Jorge Luis Borges fornisce una delle descrizioni più conosciute di questo paradosso:
 «Achille, simbolo di rapidità, deve raggiungere la tartaruga, simbolo di lentezza. Achille corre dieci volte più svelto della tartaruga e le concede dieci metri di vantaggio. Achille corre quei dieci metri e la tartaruga percorre un metro; Achille percorre quel metro, la tartaruga percorre un decimetro; Achille percorre quel decimetro, la tartaruga percorre un centimetro; Achille percorre quel centimetro, la tartaruga percorre un millimetro; Achille percorre quel millimetro, la tartaruga percorre un decimo di millimetro, e così via all'infinito; di modo che Achille può correre per sempre senza raggiungerla».
 Un altro filosofo greco, Aristotele, fornisce una spiegazione “metafisica” del paradosso. Secondo Aristotele, il tempo e lo spazio sono potenzialmente divisibili all'infinito, ma non sono divisibili nella pratica. Una distanza finita, che secondo Zenone non è percorribile perché divisibile in frazioni infinite, è infinita nella considerazione mentale, ma in concreto si compone di parti finite e può essere percorsa.
 Quale è la realtà?
 In effetti, la spiegazione di Aristotele assomiglia molto ad un arrampicarsi sugli specchi e lascia un po’ di amaro in bocca, una sensazione di incompletezza.
E se Zenone avesse ragione? Certamente, Zenone avrebbe ragione se l’universo funzionasse in modo continuo. Per la verità, tutti noi siamo convinti che l’universo funzioni così. Nella nostra esperienza quotidiana, tutte le cose ci sembrano funzionare in modo continuo. Mentre guidiamo la nostra automobile sappiamo che premendo più o meno l’acceleratore, l’auto procede più o meno velocemente, senza soluzione di continuità: siamo convinti che, se il pedale fosse infinitamente sensibile, potremmo variare la velocità in modo analogo. Non possiamo concepire che la nostra auto possa procedere solo a 40, 45 o 50 km/ora: sarebbe un bel procedere a scatti!
Ma siamo veramente convinti che la nostra auto non proceda a scatti?
Quando diciamo che “il sole ci bagna”, immaginiamo che i suoi raggi fluiscono in modo continuo sul nostro corpo, simili all’acqua. Non possiamo immaginare che la sua luce e il suo calore ci colpiscano a scatti.
I nostri sensi ci dicono che non è così. Già, i nostri sensi. E se i nostri sensi ci ingannassero?
 L’universo funziona a scatti.
 Una delle più sorprendenti scoperte legate all’avvento della fisica quantistica, è che l’universo funziona proprio a scatti. L’energia non fluisce in modo continuo, ma in modo discreto. Dunque, Aristotele ci aveva azzeccato:
 Una distanza finita, non è divisibile in frazioni infinite, perché è infinita soltanto nella considerazione mentale. Nella pratica, quella distanza si compone di parti finite e può essere percorsa.
 Già nei due celebri Congressi Solvay di fisica del 1911 e del 1913 si prese coscienza della necessità di una nuova costante, che rendesse possibili calcoli che, altrimenti, sarebbero impossibili. Introducendo nei calcoli questa costante, tutti i modelli insoluti potevano essere ricondotti a una spiegazione unitaria. La costante prese il nome dello scienziato che per primo l’aveva introdotta nei suoi calcoli, Max Planck.
Planck utilizzò questa costante senza comprenderne il vero significato, lo fece solamente perché questa costante rendeva plausibile la sua formula sull’emissione di radiazione elettromagnetica dei corpi oscuri.
La costante di Planck presuppone che l’energia presente nell’universo non è “liquida”, ma “granulare”. Ogni granulo (al momento) non è ulteriormente divisibile. La quantità di energia presente in un granulo è detta “quanto di energia”, In effetti, i “granuli” non esistono, sono solo una definizione di comodo. Esistono i quanti di energia. La fisica che studia il funzionamento dell’universo a livello dei quanti di energia, è detta fisica quantistica.
Poiché materia ed energia sono intercambiabili, secondo la nota formula di Einstein e_mc2, tutto l’universo è “granulare”, cioè quantizzato.
Non ce ne accorgiamo perché il valore di un quanto di energia è estremamente basso. Il tempo di Planck è stimato in 5,39×10−44 secondi,  e la lunghezza di Planck è stimata attorno a 1,62×10−35 metri.
 Diversi livelli di realtà.
 Quanto appena detto, assieme a tutte le maggiori scoperte della fisica moderna, come la teoria della relatività e la teoria quantistica, dimostrano che quella che noi definiamo “realtà” è solo una visione molto parziale della vera realtà. In pratica, per noi la realtà non è ciò che realmente esiste, ma ciò che i nostri sensi ci fanno percepire.
Se definiamo la realtà percepita dai nostri sensi come “realtà macroscopica”, dobbiamo riconoscere che esistono altri livelli di realtà che noi non percepiamo, ma nei quali siamo immersi. La realtà relativistica si manifesta alle grandissime dimensioni, ed è una realtà dove tempo e spazio sono elastici. La realtà quantistica è una realtà dove nulla più è certo, ma tutto è soltanto probabilistico. A livello quantistico non esiste più la materia come noi la conosciamo, esistono solo vibrazioni energetiche (vale anche per i nostri corpi). Infine, la fisica quantistica apre un orizzonte su un livello prettamente non-materiale, detto non-località. Qui non esistono né tempo né spazio, l’universo diventa “unus mundus”, una sola cosa in cui tutto interagisce come in una grande mente globale.
 Testo di Bruno Del Medico
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Jung e Freud, i poli opposti della psicologia moderna.
 Jung e Freud erano due persone diversissime per età, ceto sociale, religiosità, interessi culturali, situazioni familiari. Erano quasi contemporanei, per cui si conobbero e, per un certo tempo, lavorarono insieme. La loro collaborazione, dove Freud, già affermato, assumeva il ruolo di “maestro”, iniziò nel 1907.  Freud arrivò a dire che Jung era il suo “figlio maggiore adottivo”. Tuttavia, a causa delle loro diversità, interpretavano in modo decisamente diverso la realtà e la psicologia umana.
  1 La psicologia, un argomento di moda
 Jung e Freud, i poli opposti della psicologia moderna.
La psicologia è un argomento piuttosto di moda, per cui se ne parla moltissimo, sui libri, sui giornali, sui media televisivi, e nelle più svariate occasioni. Nonostante la messe di informazioni sia ampia e qualitativamente pregevole, non riesce a coinvolgere una folta schiera di persone (probabilmente la maggioranza) che, non avendone il tempo né il bisogno, mantiene sull’argomento una cognizione decisamente approssimativa. Capita così di ascoltare pareri nei quali si aggrovigliano ragionamenti e concetti da cui emergono pietosamente nomi celebri accomunati da null’altro, se non dal vuoto informativo di chi ne sta parlando.
Chi ha mostrato interesse per gli argomenti espressi in questa pagina, anche se non lo sa, è certamente uno junghiano. Infatti, Carl Jung, dapprima collaborativo, poi in dissidio e infine in netta opposizione con Freud, elaborò le teorie di cui parliamo diffusamente in questa pagina. Sono quelle che Jung ampliò nella sua collaborazione con Wolfgang Pauli. Sto parlando delle teorie dell’inconscio collettivo e della sincronicità. Sono teorie che rientrano nella categoria dello spirito, e non hanno niente a che vedere con il pensiero freudiano, di orientamento materialista.
 2 Carl Gustav Jung e Sigmund Freud.
 Jung e Freud erano due persone diversissime per età, ceto sociale, religiosità, interessi culturali, situazioni familiari.
Naturalmente erano quasi contemporanei, per cui si conobbero e, per un certo tempo, lavorarono insieme. La loro collaborazione, dove Freud, già affermato, assumeva il ruolo di “maestro”, iniziò nel 1906.  Freud arrivò a dire che Jung era il suo “figlio maggiore adottivo”. Tuttavia, a causa delle loro diversità, interpretavano in modo decisamente diverso la realtà e la psicologia umana.
Sigmund Freud era un medico neurologo di origine austriaca. Egli diede inizio e forma a una delle correnti psicologiche più potenti e di grande tradizione: la psicoanalisi.
Carl Gustav Jung è stato una delle principali figure intellettuali del pensiero psicologico e psicoanalitico, psichiatra, psicoanalista, antropologo e filosofo svizzero.
Nacque il 26 luglio 1875 a Kesswil, in Svizzera, da Paul Achilles Jung, teologo e pastore protestante, e da Emilie Preiswerk. Si laureò in medicina e nel 1900 entrò a lavorare nell'ospedale psichiatrico di Zurigo.
Inizialmente fu vicino al pensiero di Sigmund Freud, concordando con le sue interpretazioni dei fenomeni psichici. I due si incontrarono a Vienna nel 1907, e in quella occasione parlarono per tredici ore.
Per effetto di questa collaborazione Jung cominciò a essere chiamato "delfino" della psicoanalisi, e ci si aspettava che sarebbe stato lui il successore di Freud alla guida del movimento psicoanalitico.
Riporto alcuni brani dal mio libro “Tutti i colori dell’entanglement”:
 3 - Dissensi e rottura tra Jung e Freud.
Invece, dopo solo un paio d’anni si ebbero le prime avvisaglie dei loro dissensi, da cui sarebbero nati i due principali orientamenti storici della psicoanalisi, intesa da Freud come terapia e da Jung come via per la conoscenza della psiche.
Questa duplice visione si affermò rapidamente tanto che, già nel 1909, la Clark University, avendo progettato un ciclo di conferenze negli Stati Uniti, invitò tutti e due.
Durante il viaggio in nave i due scienziati decisero di esercitarsi analizzando ciascuno i sogni dell'altro. Jung però non fu soddisfatto della collaborazione di Freud perché, a suo parere, teneva un atteggiamento di reticenza cercando di nascondere alcuni aspetti della sua vita privata che invece sarebbero stati indispensabili per una migliore analisi.
Quando espresse questa perplessità Freud non negò ma affermò che il motivo della sua reticenza stava nel fatto che non poteva divulgare aspetti della propria personalità tali da mettere a repentaglio la sua autorevolezza. Da questo episodio la stima di Jung per Freud cominciò ad affievolirsi e così pure l'apprezzamento per le sue teorie.
 4 Anno 1912. Jung rompe definitivamente con Freud.
 A ciò si aggiunse l'accentuarsi di un tormentato itinerario di differenziazione concettuale, che raggiunse l'apice quando, nel 1912, Jung decise si pubblicare il suo lavoro (La libido: simboli e trasformazioni) nel quale esponeva tutti i suoi dissensi teorici.
In questo libro manifesta il suo orientamento, teso a estendere la ricerca analitica dalla vicenda del singolo alla globalità dell'umanità: infatti, secondo Jung, oltre a un inconscio individuale esiste un inconscio collettivo, che manifesta la sua presenza e agisce attraverso gli archetipi.
In questa visione la vita dell'individuo diventa un percorso attraverso cui avviene la realizzazione del Sé personale. Jung chiama questo percorso processo di individuazione.
Dopo la pubblicazione di questo libro i suoi rapporti con Freud si interruppero. Circa il pensiero di Freud ebbe a dire: "Il cervello è visto come un'appendice dei genitali."
Circa i contenuti delle due interpretazioni, e il loro differenziarsi, possiamo considerare che Jung condivise inizialmente con Freud l'ipotesi relativa alle malattie mentali, secondo cui queste, per essere comprese, richiedono la conoscenza della storia individuale del paziente e dei processi di rimozione che l'accompagnano, relativi a contenuti di natura esclusivamente sessuale.
In un secondo momento, però, formulò l'ipotesi che i fenomeni della psiche non fossero quali li descriveva Freud. Secondo la teoria che andava costruendo, erano manifestazione di una energia presente nella natura, la libido.
 5 La libido e i simboli.
La libido è una sorta di slancio vitale, una pulsione che mira dinamicamente alla vita e alla conservazione della specie.
Dunque, nella terapia psicologica non occorre tenere presente solo la componente biologica, con un l'approccio in definitiva pessimistico, ma anche quella spirituale, che conferisce una sana tensione protesa alla realizzazione del miglioramento.
Secondo Jung, le pulsioni della libido possono essere dirottate anche su concetti e ambizioni immateriali e dunque possono generare una evoluzione spirituale. La malattia psichica interviene quando questo processo evolutivo è bloccato; in queste condizioni nascono le nevrosi. La libido funziona producendo dei simboli. Grazie a ciò l'uomo primitivo riuscì a trasferire le pulsioni immediate orientandole verso la creatività iniziando così la transizione dal piano istintivo animale a quello culturale.
I simboli della libido hanno contenuti che provengono al di là della coscienza individuale, e possono contribuire a trasformare la natura dell'uomo.
 6 Gli archetipi
 Alcuni di questi simboli hanno carattere universale, comune e condiviso da tutti gli individui. Jung li chiama archetipi, termine derivante dal greco che può essere reso più comprensibile con traduzioni come immagini originali, modelli, immagini virtuali, rappresentazioni possibili.
Gli archetipi corrispondono alle esperienze maturate dall'umanità in tutta la sua storia evolutiva, mentre sviluppava la coscienza. Sono la memoria dell'umanità, e sono racchiusi in uno spazio che Jung chiama inconscio collettivo; collettivo perché non è individuale ma condiviso, accessibile da tutta l'umanità e da ogni singolo essere umano.
Gli archetipi residenti nell’inconscio collettivo hanno il potere di intervenire nella vita dei singoli individui generando episodi che Jung chiama sincronicità.
Nella costruzione di questa teoria ebbe l’appoggio e il sostegno del celebre fisico premio Nobel Wolfgang Pauli, (Fig. 13) che lo incoraggiò a esplicitare le sue conclusioni nonostante Jung avesse esitato per anni a farlo. Pauli lo convinse a pubblicare assieme, nel 1952, un libro che la conteneva sotto forma di un saggio dal titolo La sincronicità come principio di nessi acasuali.
 Testo di Bruno Del Medico
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Sincronicità, finestre sull’ignoto
 Tutti abbiano vissuto "fatti casuali significativi". Spesso possiamo testimoniare le coincidenze curiose che accadono a altre persone.
Purtroppo, anche se all’inizio restiamo un poco stupiti, successivamente ci convinciamo di aver vissuto solamente un caso curioso, ma niente di più.
Di conseguenza, archiviamo la storia in qualche angolo secondario della nostra mente.
Tuttavia, “una strana coincidenza” non equivale sempre a “un semplice caso”.
Lo dimostra il fatto che alcune coincidenze generano nella nostra mente problemi che restano irrisolti per tutta la vita. Ogni tanto questi problemi riaffiorano e stimolano la nostra curiosità. Percepiamo un vago senso di mistero. Abbiamo la sensazione di aver perso una comunicazione utile.
 Alcune volte gli eventi strani non possono essere interpretati come fatti casuali.
 Abbiamo il sospetto che una indicazione o un suggerimento importante sfuggono alla nostra comprensione.
Il notissimo psicoterapeuta Carl Gustav Jung studiò a lungo questo fenomeno.
Secondo Carl Jung, spesso le coincidenze strane sono dovute effettivamente al caso. Però, talvolta, accadono eventi strani che non possono essere interpretati con il criterio della casualità.
Secondo Carl Jung esistono molte coincidenze che possono essere considerate "significative" o anche “numinose". Jung chiamava queste coincidenze  con il nome di "sincronicità".
La prima constatazione di Carl Jung fu che nessuno può negare l'esistenza delle strane coincidenze.
Jung ha elaborato le metodologie idonee per comprendere in quali casi una coincidenza può essere considerata significativa, o "rivestita di divinità". In questo caso la coincidenza diventa una "sincronicità".
 Purtroppo, non abbiamo occhi adatti a comprendere questi fenomeni.
 Le coincidenze dovute al caso fanno parte della nostra vita quotidiana, e nascono dall’intreccio delle nostre attività con gli avvenimenti del mondo che ci circonda. Le coincidenze ordinarie non ci coinvolgono e le riteniamo prive di interesse.
Invece, le sincronicità, spalancano una enorme finestra sul panorama del mistero. Queste coincidenze svelano dei mondi di cui non avremmo mai immaginato l'esistenza.
Dietro ogni sincronicità ci sono interi universi sconosciuti da esplorare. Si tratta di una immensa sapienza da cui possiamo attingere.
Purtroppo, non abbiamo occhi adatti a comprendere questi panorami. Così pure, non conosciamo il linguaggio attraverso cui le sincronicità tentano di comunicare con noi.
Ci sono problemi di sintonizzazione tra la nostra mente e la Mente dell'Universo da cui riceviamo le sincronicità in nostro favore.
Un esempio di strana coincidenza?
Rovistando in fondo a un cassetto Anne trova una fotografia risalente al periodo dei suoi studi. La foto ha almeno venti anni e raffigura Anne assieme a un ragazzo. Anne lo riconosce a fatica, è Peter. Al termine degli studi, i due non si erano più rivisti. Il giorno seguente Anne, camminando per strada, incontra... Peter!
Quante coincidenze strane hai vissuto nella tua vita?
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