#Violenze contro i gay
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E’ necessario punire severamente i Reati di omofobia.
Ci sono casi di violenza contro le persone LGBTQIA in Italia, come in molte altre parti del mondo; tali violenze assumono diverse forme, come la violenza fisica, verbale o psicologica.
Il peggior comportamento da tenere davanti a condotte omofobe sta nel giustificarle, considerandole ordinarie; essere discriminati, direttamente o indirettamente, subire molestie per questioni che non ledono alcuno è un Reato contro la dignità d’una Persona, il suo diritto ad autodeterminarsi ed essere Felice.
Autodeterminarsi è un diritto inalienabile di ogni individuo: un credente ha diritto a vivere la propria ‘fede’, anche come martire di una iniqua sofferenza, ma non di imporre a terzi il suo ‘credo’.
L’Etica non sostiene che i comportamenti privati debbano essere monitorati da sciamani e creduloni di sette religiose.
L’opinione di un religioso, in un Paese Laico non conta: un papa ha già il suo Stato (il Vaticano) dove far prevalere il suo potere di monarca e leader di una setta religiosa; i cittadini hanno il dovere di far prevalere Civiltà e Progresso – non le retrograde posizioni di uno sciamano.
Tendenze sessuali (non solo eterosessuali) e biologia d’un corpo, non sono la stessa cosa: si può nascere in un corpo femminile, ma essere attratte solo da corpi femminili – e non perchè viene insegnato o si è state influenzate da qualcuno, ma perché la nostra specie umana è fatta così.
L’omofobia è odio irrazionale, non supportato da alcuna logica ed è la prova oggettiva di essere cresciuti in un ambiente familiare disfunzionale. Tale odio irrazionale può essere superato soltanto tramite corretto trattamento sanitario, rivolgendosi ad uno psicologo.
Il ‘buon senso’ è concetto soggettivo: un omofobo considera ‘buon senso’ offendere, molestare, emarginare, mobbizzare sul lavoro e indurre anche al suicidio chi consideri ‘diverso’ (vedasi, a tal proposito, il ‘caso Cloe Bianco, in Veneto, che non ha prodotto la immediata dovuta rimozione dal ruolo di chi è Responsabile, nel settore scolastico, in modo diretto e indiretto, della sua morte).
L’omofobia è un atteggiamento negativo nei confronti delle persone non eterosessuali e può manifestarsi sia attraverso azioni che parole e comportamenti: è importante utilizzare il linguaggio in modo rispettoso e non utilizzare termini offensivi per riferirsi a persone non eterosessuali o altre minoranze.
Utilizzare un termine offensivo come “frocio” per riferirsi a una persona gay è considerato una forma di omofobia e può essere offensivo e dannoso per la persona a cui è rivolto.
È un diritto non essere perseguitati poiché non eterosessuali: è necessaria una norma che vieti, quanto prima, a istituzioni religiose, come la chiesa cattolica, di fare apologia contro chi non è eterosessuale, poiché è la causa educativa principale di tanta, diffusa, omofobia in Italia.
È buona cosa, Etica, aderire a iniziative che portano a riconoscere Diritti Civili e quindi una più alta Qualità della Vita; ogni cittadino dovrebbe battersi per questo, conscio del fatto che essere Felici non è immorale, non è ‘peccato’, ma solo salutare.
È importante rispettare l’uguaglianza e la dignità di tutte le persone, indipendentemente dal loro orientamento sessuale. L’omofobia va contro i principi di uguaglianza e di rispetto dei diritti umani, e non può essere giustificata come una semplice opinione.
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E' necessario punire severamente i Reati di omofobia.
Ci sono casi di violenza contro le persone LGBTQIA in Italia, come in molte altre parti del mondo; tali violenze assumono diverse forme, come la violenza fisica, verbale o psicologica.
Il peggior comportamento da tenere davanti a condotte omofobe sta nel giustificarle, considerandole ordinarie; essere discriminati, direttamente o indirettamente, subire molestie per questioni che non ledono alcuno è un Reato contro la dignità d'una Persona, il suo diritto ad autodeterminarsi ed essere Felice.
Autodeterminarsi è un diritto inalienabile di ogni individuo: un credente ha diritto a vivere la propria 'fede', anche come martire di una iniqua sofferenza, ma non di imporre a terzi il suo 'credo'.
L'Etica non sostiene che i comportamenti privati debbano essere monitorati da sciamani e creduloni di sette religiose.
Tendenze sessuali (non solo eterosessuali) e biologia d'un corpo, non sono la stessa cosa: si può nascere in un corpo femminile, ma essere attratte solo da corpi femminili - e non perchè viene insegnato o si è state influenzate da qualcuno, ma perché la nostra specie umana è fatta così.
L'omofobia è odio irrazionale, non supportato da alcuna logica ed è la prova oggettiva di essere cresciuti in un ambiente familiare disfunzionale. Tale odio irrazionale può essere superato soltanto tramite corretto trattamento sanitario, rivolgendosi ad uno psicologo.
Il 'buon senso' è concetto soggettivo: un omofobo considera 'buon senso' offendere, molestare, emarginare, mobbizzare sul lavoro e indurre anche al suicidio chi consideri 'diverso' (vedasi, a tal proposito, il 'caso Cloe Bianco, in Veneto, che non ha prodotto la immediata dovuta rimozione dal ruolo di chi è Responsabile, nel settore scolastico, in modo diretto e indiretto, della sua morte).
L'omofobia è un atteggiamento negativo nei confronti delle persone non eterosessuali e può manifestarsi sia attraverso azioni che parole e comportamenti: è importante utilizzare il linguaggio in modo rispettoso e non utilizzare termini offensivi per riferirsi a persone non eterosessuali o altre minoranze.
Utilizzare un termine offensivo come "frocio" per riferirsi a una persona gay è considerato una forma di omofobia e può essere offensivo e dannoso per la persona a cui è rivolto.
È un diritto non essere perseguitati poiché non eterosessuali: è necessaria una norma che vieti, quanto prima, a istituzioni religiose, come la chiesa cattolica, di fare apologia contro chi non è eterosessuale, poiché è la causa educativa principale di tanta, diffusa, omofobia in Italia.
È buona cosa, Etica, aderire a iniziative che portano a riconoscere Diritti Civili e quindi una più alta Qualità della Vita; ogni cittadino dovrebbe battersi per questo, conscio del fatto che essere Felici non è immorale, non è 'peccato', ma solo salutare.
È importante rispettare l'uguaglianza e la dignità di tutte le persone, indipendentemente dal loro orientamento sessuale. L'omofobia va contro i principi di uguaglianza e di rispetto dei diritti umani, e non può essere giustificata come una semplice opinione.
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Hai presente i preti di merda che fanno apologia dell'omofobia? Ecco: quei discorsi di merda cristiani in difesa dei disvalori cristiani e quei preti di merda che riducono i gay a oggetto di scherno, contro i quali nobilitano violenze di ogni genere (spedizioni punitive, anche di ordine politico) rappresentano la "non approvazione dell'omosessualità".
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Comunità LGBT+, dalla pena di morte ai pericoli della comunità
In un mondo in cui l'uguaglianza e la diversità sono valori fondamentali, la comunità LGBT+ si trova ancora ad affrontare numerosi pericoli e sfide. Nonostante i progressi significativi raggiunti nel corso degli anni, molti individui lesbiche, gay, bisessuali e transgender si trovano ancora ad affrontare discriminazione, violenza e pregiudizi nella società. In questo articolo, esploreremo i dati (forniti da Our World in Data) inerenti ai "pericoli" che la comunità LGBT+ affronta ancora oggi, mettendo in luce l'importanza di lottare per i diritti e la protezione di tutti i suoi membri. Pena di morte per chi fa parte della comunità LGBT+, in quanti stati è vigente? La pena di morte per chi fa parte della comunità LGBT+ non è una pratica accettabile né giustificabile dal punto di vista dei diritti umani e dell'uguaglianza. In alcuni paesi, purtroppo, l'omosessualità o l'identità di genere non conformi possono ancora essere considerate come reati, talvolta punibili anche con la pena di morte. Queste leggi e politiche discriminatorie sono spesso il riflesso di tradizioni culturali, pregiudizi sociali o motivazioni religiose: Parlare dei Diritti LGBT+, dov'è ancora vietato? Nel contesto attuale, l'uguaglianza e la libertà di espressione sono valori fondamentali per una società progressista e inclusiva. Tuttavia, in molte parti del mondo, esiste ancora un divieto o una censura riguardo alla discussione di argomenti legati alla comunità LGBT+. Questo fenomeno solleva interrogativi sulla tolleranza, sull'accettazione e sulla protezione dei diritti umani fondamentali: Tutele costituzionali contro la discriminazione basa sull'orientamento sessuale: in quali stati ci sono? L'uguaglianza e la non discriminazione sono valori universali che dovrebbero essere garantiti a tutte le persone, indipendentemente dalla loro orientamento sessuale. Mentre la discriminazione basata sull'orientamento sessuale persiste in molte parti del mondo, alcuni paesi hanno compreso l'importanza di proteggere i diritti delle persone LGBT+ a livello costituzionale. Attraverso il grafico sottostante di Our World in Data, esploreremo i paesi che hanno inserito specifiche tutele contro la discriminazione basata sull'orientamento sessuale nelle loro costituzioni, evidenziando i progressi fatti verso una società più inclusiva e i benefici che queste protezioni offrono alle persone LGBT+: Discriminazione basata sull'orientamento sessuale, ancora troppo presente La discriminazione basata sull'orientamento sessuale è un problema persistente che affligge molte società in tutto il mondo. Nonostante i progressi significativi nella lotta per l'uguaglianza e i diritti LGBT+, milioni di persone continuano a subire discriminazioni, pregiudizi e violenze a causa della loro orientamento sessuale. Questa forma di discriminazione rappresenta una violazione dei diritti umani fondamentali e mette in evidenza l'urgente necessità di promuovere l'accettazione, la tolleranza e l'uguaglianza per tutte le persone, indipendentemente dalla loro sessualità. In questo ultimo grafico, esploreremo dove della discriminazione basata sull'orientamento sessuale è ancora presente: Foto di WOKANDAPIX da Pixabay Read the full article
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Io vivo un problema
Salvaguardare i Diritti dei Sofferenti Psichici
Salvaguardare me dalla violenza degli Antisociali et al.
Salvaguardare me dalla violenza psichiatrica, perché sono gay e in Italia usiamo ancora ICD-9
Il punto 3 è quello spesso usato anche da persone come Seung
I revancismi anche ingenui contro un sistema psichiatrico che sta liberando i Sofferenti Psichici dallo Stigma e meno velocemente noi persone LGBTI, NON POSSONO FERMARE I VIOLENTI. Possono solo violentare noi persone LGBTI e le migliaia di Sofferenti Psichici che meritano di vivere libere.
https://www.quotidianosanita.it/m/lettere-al-direttore/articolo.php?articolo_id=113203
Capite il paradosso?
Riuscite a tracciare la linea verosimile per dividere la liberazione LGBTI dalle violenze psichiatriche dalla violenza degli antisociali che manipolano la nostra liberazione per fare violenza?
E allo stesso modo, riuscite a tracciare una linea verso il futuro libero grazie a farmaci e psicoterapia e reinserimento sociale dei Sofferenti Psichici per dividerle dagli antisociali che manipolano questi argomenti per garantirsi impunità giuridica ed evitare terapie raramente utili?
Ed infine, riuscite a tracciare una linea che garantisca che nessun medico o infermiere sia costretto alla convivenza prolungata con persone violente che non possono essere curate con farmaci e psicoterapia né col reinserimento sociale?
No scusate c'era una quarta linea da tracciare. Quella che permetta a chiunque di sperimentare nuove strade, un giorno speriamo anche per curare gli antisociali, ma di farlo in sicurezza e con metodo scientifico, evitando nel frattempo a noi medici una responsabilità civile e penale come se fossimo oggi onnipotenti?
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L'11 Luglio e la democrazia che diventa farsa
L’11 Luglio e la democrazia che diventa farsa
La questione non è da poco: manifestare il proprio dissenso è uno dei cardini della democrazia, su questo non ci sono dubbi. Ma manifestare contro una legge che condanna la violenza di genere, come avverrà l’11 Luglio in Italia, significa essere favorevoli alla violenza di genere, anche su questo non ci sono dubbi.
La domanda che tutti ci dobbiamo porre è quindi questa: è lecito, democratico,…
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#Eterofobia#Identità di genere#Legge contro omotransfobia#libertà d&039;opinione#Manifestazione 11 Luglio#Salvini#Violenze contro i gay
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Le storie di persone lgbt+ che non fanno ritorno a casa per Natale: le feste sono circostanze che provocano stress e minacciano la salute mentale. "Devo fingere di essere chi non sono?" si chiede G. mentre Alessandro si pente di essersi allontanato dalla famiglia.
Il Natale per le persone lgbt+: il 42% delle violenze è in famiglia
Fare coming out potrebbe voler dire confessare alla famiglia ciò che si vive alla luce del sole altrove ma che in casa si tiene nascosto.
E non deve necessariamente essere l'orientamento sessuale.
Tuttavia, il tema è invece il ritorno a casa, fosse pure per qualche ora, delle persone lgbt+ a coming out avvenuto oppure no che devono fare i conti con uno stress maggiore.
Le settimane delle feste (quest'anno poco più di una, in realtà) causano alle persone lgbt+ stress, ansia e depressione secondo la Lgbt Foundation di Manchester e i dati tutti italiani della Gay Help Line (800.713.713) e Speakly.org, rispettivamente numero verde e chat contro l’omotransfobia con gli oltre 20mila contatti l’anno, ci dicono che il 42% delle violenze avviene in famiglia.
Ci sono moltissime persone lgbt+ che non hanno fatto coming out in famiglia o che l'hanno fatto ma sono state rifiutate, aggredite, derise e minacciate ma hanno comunque l'obbligo, morale, di vedere la famiglia per Natale.
Ci sono poi quelle persone che sono state allontanate dalla casa dei genitori proprio perché omofobi, lesbofobi o transfobici e che quindi per Natale saranno forzatamente sole.
Dunque, senza nulla togliere ai segreti degli altri, le persone lgbt+, sul piano emotivo, per Natale stanno peggio.
Molte, moltissime infatti scelgono di non raggiungere la famiglia per Natale, Anche a costo di pentirsene, magari dopo anni, come è accaduto ad Alessandro che adesso di anni ne ha 57.
"Avevo fatto coming out con mamma, fu doloroso ma dopo tempo accettò. Però era la piccola di diverse sorelle che non ero sicuro sapessero di me. Così, quando è venuta a mancare ho smesso di sentirle e di vederle, quindi anche in occasione del Natale si erano spezzati i legami". Perché non parlargliene? "Fingermi etero sarebbe stata una mancanza di rispetto nei miei stessi confronti, d'altro canto non sapevo come avrebbero reagito loro, che erano anziane, a un mio eventuale coming out, magari forzato dalla domanda di rito non hai una fidanzata? così ho taciuto e mi sono allontanato. Oggi, dopo quasi trent'anni, loro non ci sono più e mi chiedo se forse non ho fatto una sciocchezza a privarmi di quei momenti".
A patto che si viva una condizione assolutamente priva di rischi per la propria incolumità, Alessandro consiglierebbe di tentare di sanare i rapporti, "fosse anche per poche ore, quelle di un pranzo".
La tradizione di riunirsi con la famiglia può essere causa di apprensione per chiunque non si senta pienamente libero o libera di essere pienamente sé stesso o sé stessa e inoltre, per molte persone non binarie o lgbt+ significa avere a che fare con persone che non fanno segreto della loro omofobia, che siano genitori, zii o amici di famiglia.
Alice è una donna bisessuale che legge, da sempre, "qualsiasi ricorrenza passata in famiglia e coi parenti come un incubo" per via del trattamento che le riservano.
Delle festività Natalizie, in particolare, "dove ci si rimpinza e ci si scambia oggetti come se il resto dell'anno non ci riempissimo già di queste cose, dovendo interpretare un'armonia familiare e un affetto inesistenti, ne ho la nausea a questo punto. Sentirmi chiedere Quando ti sposi?, Quando fai i figli? e veder considerare le mie ex come se fossero unicamente delle amiche e vedere le loro di famiglie fare altrettanto con me è diventato sempre più intollerabile". Ormai "non sono più una ragazzina e cerco di vivere la mia vita come meglio credo per me. Infatti ho rotto tutti i ponti e quando sento la parola famiglia mi paralizzo. Per me significa solo umiliazioni, disprezzo, violenza, esclusione perché non hai saputo conformarti alla famiglia col bambino nella mangiatoia della donna angelica, casta, totalmente votata e sottomessa alla famiglia".
E Alice da qualche anno preferisce passare il Natale alle mense delle persone povere insieme a chi "come me, ha bisogno di essere ascoltatə, per cui un regalo e un pasto caldo circondata da un calore sia ambientale che emotivo che non vuole essere né pietismo né giudizio, possono davvero fare la differenza".
Di recente G. ha dovuto interrompere ogni comunicazione con la madre e con il fratello e la sorella maggiori, con i quali era molto legato fino a quando la relazione che viveva con un ragazzo non è diventata seria.
"Siamo andati a vivere insieme e stiamo pensando all'unione civile ma la mia famiglia non ha preso bene nemmeno la notizia della convivenza", racconta il ragazzo."Mia madre mi ha detto che non ha dato alla luce un bambino gay e che non avrebbe mai partecipato a un matrimonio gay, mentre mia sorella (in precedenza la mia più stretta alleata) si è rifiutata di incontrare il mio ragazzo trovando scuse ridicole".
La relazione e la scelta di viverla pienamente sono state paragonate, dalla famiglia di G. alla "vendita di droga", ricorda, ed è stato accusato di mettere la sua felicità prima del benessere della famiglia. Opinioni, direbbe qualcuno, ma sono gesti violentri che hanno messo G. nell'unica posizione possibile: scegliere di allontanarsi.
"Trascorrere del tempo con una famiglia che crede che la queerness sia una devianza o contro natura crea un disagio che solo chi lo vive può comprendere: è umiliante, doloroso, alienante, Io ho scelto di andarmene e non tornare".
"L'alternativa", continua, "è controllarsi continuamente e nascondere parti di sé perché potrebbero scioccare la zia o l'amico di papà, non poter parlare della persona che ami o con cui si convive né tantomeno invitarla. Devi fingere di essere chi non sei durante un periodo che dovrebbe essere ricco di affetto, di autenticità e gioia e che invece è una minaccia per la salute mentale".
Quest'anno G. trascorrerà il Natale con amici e amiche che non lasceranno la città d'elezione, una città a nord nella quale G. divide casa con il suo ragazzo ormai da oltre un anno: "Abbiamo una chat di gruppo di persone queer e alleate che vivono qui", spiega, "ci siamo confrontati su chi scende giù per le vacanze e chi invece resta: saremo circa una decina a festeggiare il Natale. Lo faremo insieme, siamo una famiglia".
Sarai sol*? Va bene e ricorda: sono solo 24 ore
Le associazioni ci tengono a specificare che va bene avere paura della prospettiva di trascorrere il Natale da solo o da sola, soprattutto se è la prima volta: basta tenere a mente che è solo un giorno e che possiamo farcela. Comunque ci si senta in questo momento, non è una sensazione che durerà per sempre.
In ogni caso ecco qualche numero utile:
La Gay Help Line italiana risponde al numero
800 713 713 di Gay Center
o anche via chat grazie a speakly.org
Si può avviare una chat anche con Arcigay o ancora contattare il Telefono Azzurro per la Linea di Ascolto 1.96.96, per bambini, adolescenti e adulti: è un servizio gratuito e accoglie le richieste di aiuto provenienti dal territorio nazionale h24, 7 giorni su 7.
C'è infine il non stop natalizio del Telefono Amico Italia: un servizio telefonico completamente gratuito al 02 2327 2327
o anche via whatsapp
al 324 011 72 52.
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Giornata della Memoria, Heinz il primo gay a raccontare la storia dei triangoli rosa: “Noi, dannati fra i dannati”
I rossi erano i prigionieri politici, i gialli erano gli ebrei, il verde era destinato ai criminali comuni. E poi c’erano loro, i “finocchi”, i “froci”, i “degenerati”, contraddistinti da un triangolo rosa affisso sul petto. Un lembo di stoffa “più grande degli altri di circa due o tre centimetri”, perché così gli omosessuali “erano riconoscibili anche da lontano”. Heinz Heger, studente universitario poco più che ventenne, era uno di questi. E per la sua relazione con il figlio di un gerarca nazista venne spedito in un lager nel 1940. Non ne uscì fino al 1945, dopo anni di torture e violenze, lavori forzati, rapporti amorosi instaurati con un solo obiettivo, quello di sopravvivere. La sua storia è raccontata in un libro, Gli uomini con il triangolo rosa, uscito per la prima volta in lingua tedesca nel 1972. “Si tratta della prima testimonianza in assoluto di un deportato gay nei campi di concentramento”, spiega Giovanni Dall’Orto, storico e curatore della nuova edizione italiana, pubblicata quest’anno da Edizioni Sonda. “All’epoca il romanzo fu accolto da un successo mondiale, perché la persecuzione degli omosessuali era del tutto ignota. È solo grazie a Heger se altri deportati iniziarono a raccontare le proprie storie. Per questo, rappresenta una pietra miliare del nostro tempo”.
Gli uomini con il triangolo rosa
Heger arrivò nel campo di concentramento di Sachsenhausen con un vagone bestiame nel gennaio del 1940. Qui chi aveva il triangolo rosa doveva rispettare delle regole diverse dagli altri. “Potevamo dormire solo in camicia da notte e con le mani fuori dalle coperte”, racconta Heger. “Un omosessuale non poteva ricoprire un ruolo nel campo, né scambiare una parola con i detenuti degli altri blocchi: questo per evitare che potessimo traviarli”. Un trattamento che si traduceva spesso in punizioni corporali, assegnazione ai lavori più usuranti, esecuzioni sommarie. “Secondo le stime, i gay internati nei campi di sterminio nazisti sono stati circa 30mila”, chiarisce Dall’Orto. “Un numero che non è comparabile a quello degli ebrei, contro i quali il regime agì per sterminarli fisicamente. Ma si tratta comunque di una persecuzione che aveva l’obiettivo di tenere sotto controllo l’omosessualità, sfruttando la detenzione come deterrente”.
Come testimonia lo stesso Heger, avere il triangolo rosa voleva dire far parte dei “dannati fra i dannati”, cioè coloro che stanno al gradino più basso della gerarchia interna al lager. “Il loro destino in quel periodo era un terno al lotto, dipendeva dalle convinzioni di chi si trovavano davanti”, continua Dall’Orto. “Questo perché il nazismo non stabilì mai in modo ufficiale cosa fosse l’omosessualità. Le idee predominanti erano tre: una degenerazione di tipo fisico, una malattia mentale o un vizio morale”. In quest’ultimo caso si interveniva, proprio come successe a Heger quando da Sachsenhausen fu trasferito dopo pochi mesi nel lager di Flossenbürg, vicino al confine cecoslovacco. “Su ordine del comandante supremo delle Ss Heinrich Himmler, nell’estate del 1943 venne aperto un bordello per detenuti”, si legge nel libro. “Noi omosessuali eravamo obbligati a frequentarlo regolarmente per ‘guarire’ dal nostro orientamento”. Tentativi di rieducazione come questi o veri e propri esperimenti medici, spiega Dall’Orto, non erano rari. “Alla base c’era sempre il programma di eugenetica del Reich: gli individui degenerati non dovevano contaminare la razza con una prole a sua volta difettosa”. Un’alternativa poteva essere quella della castrazione, offerta anche allo stesso Heger in cambio della promessa di essere rilasciato. Ma l’austriaco non accettò, consapevole che la sua “posizione” nel lager – prima amante di un kapò, e poi kapò a sua volta – avrebbe potuto comunque garantirgli la salvezza.
Chi era Heinz Heger
“Sulla figura di Heger è necessaria una precisazione: in realtà si tratta di uno pseudonimo”, spiega Dall’Orto. Dietro al suo nome si celano due persone: Josef Kohout, il vero protagonista, e Hans Neumann, un amico giornalista che ha materialmente scritto il libro basandosi su 15 interviste raccolte fra il 1965 e il 1967. “Non è un dettaglio da trascurare. Gli uomini con il triangolo rosa non è un documento storiografico, è un romanzo scritto da un narratore terzo che certamente ha influenzato alcuni aspetti del racconto”. Fra questi, il sadismo a tratti erotico dei nazisti descritto in diverse scene. “Si tratta di suggestioni che derivano dal clima degli anni Sessanta, quando fu scritto il libro. Era il periodo del film Salon Kitty, di Salò di Pasolini. Il nazista veniva spesso dipinto come un degenerato sessuale, un aguzzino che si masturba mentre fa bastonare le vittime”, commenta Dall’Orto. “Una dimensione che non ha riscontro nelle ricerche storiche”.
Ma ciò non significa che la testimonianza di Heger abbia meno valore. “A parte questi dettagli, non ci sono finzioni nel racconto. È stato tutto verificato dal lavoro degli storici. Heger è riuscito a far parlare della persecuzione degli omosessuali quando ancora era un tabù”. E non è un caso che abbia scelto di celarsi dietro a uno pseudonimo. “All’epoca della pubblicazione del libro, essere gay era ancora un reato in Germania, mentre in Austria era stato depenalizzato da poco”, aggiunge. Il famoso paragrafo 175 del codice penale tedesco sull’omosessualità, infatti, fu abolito completamente solo nel 1994, dopo la riunificazione. “Il nazismo di fatto ha inasprito una norma pre-esistente, in maniera simile a quanto avvenuto in Italia durante il regime di Mussolini”.
Nazismo e fascismo a confronto
Per la nuova edizione italiana de Gli uomini con il triangolo rosa, Giovanni Dall’Orto ha scritto anche un saggio sulle differenze fra nazismo e fascismo riguardo alla persecuzione dell’omosessualità. “Germania e Italia offrono due esempi analoghi di resilienza della tradizione culturale”, spiega lo storico. “Come il nazismo non ha fatto altro che inasprire una norma che già c’era, così il fascismo ha perpetuato quella tendenza pre-esistente a non punire direttamente l’omosessualità”. Un compito che, secondo Dall’Orto, era ed è tuttora relegato alla Chiesa cattolica. “Introdurre delle leggi anti-gay avrebbe causato scandali su scandali e tutti ne avrebbero discusso. In Italia vigeva quindi una sorta di patto sociale fra Stato e mondo omosessuale, una tolleranza repressiva che, con l’avvento del fascismo, si è mantenuta”.
Uno dei metodi utilizzati era quello del confino, anch’esso già presente nell’ordinamento. “Le stime parlano di diverse migliaia di omosessuali colpiti, a cui vanno aggiunti i 93 condannati al confino politico”, continua lo storico. “Le persone venivano rimosse chirurgicamente se la polizia riteneva che turbassero in qualche modo la serenità del paese”. Questo tipo di approccio spiega, secondo Dall’Orto, anche perché in Italia la comunità gay si è formata molto tardi. “I movimenti di liberazione omosessuale sono nati laddove c’erano delle leggi repressive. Da noi per molto tempo non c’è stata alcuna coscienza politica su questo tema”, conclude. Da qui la necessità di parlarne e di leggere ancora oggi il racconto di Heinz Heger. “È importante che le generazioni più giovani sappiano di avere una storia e di come si è arrivati ai nostri giorni. E forse una testimonianza del genere, che lascia una memoria nelle persone che lo leggono, è il modo migliore per farlo”.
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Lei, la donna al centro di questa foto, si chiama Antonietta D’Oria. E quel che ha fatto ieri è la prova di ciò che una sindaca e qualsiasi politico dovrebbe essere e fare in un Paese laico, democratico, antifascista e antirazzista. Tutto ha inizio con la decisione di un parroco del suo paese (Lizzano, provincia di Taranto), don Giuseppe Zito, di organizzare una veglia di preghiera a tutela della famiglia. E voi direte: bene. Le famiglie oggi sono minacciate da povertà, precarietà, incertezza, carenza di asili, sostegni, difficoltà di ogni tipo. Invece no, il pericolo che secondo questo parroco minaccia l’istituto della famiglia è il disegno di legge che tutela gay, lesbiche, trans e donne da discriminazione e aggressioni. E' come se per questo parroco insomma se a misogini e violenti fosse tolta la libertà di picchiare, insultare, discriminare donne, gay, lesbiche e trans in quanto tali, senza dover pagare con un’aggravante, la famiglia si disgregherà. Come se violenza e odio fossero il collante di una sana famiglia cristiana. In risposta a tale oscenità un gruppo di cittadini, armati solo di una bandiera arcobaleno, si è riunito davanti alla chiesa, senza fare null’altro. Ma a don Giuseppe nemmeno questo andava bene. E ha chiesto l’intervento i carabinieri che, giunti sul posto, hanno iniziato a identificare i presenti. “Perché?”. La sindaca Antonietta D’Oria ha iniziato a chiederlo ai Carabinieri. Faccia a faccia. Con la voce rotta dall’indignazione. “Perché li state identificando queste persone? Perché?”. Davanti al militare che incerto le ha risposto che l’identificazione serviva a evitare risse, la sindaca puntando l’indice in direzione della chiesa ha scandito: “Allora iniziate a identificare quelli che sono là dentro. Perché Lizzano è una città democratica. E questa è una vergogna. Manifestare è un loro diritto”. Ancora più potenti, se possibile, le parole da lei scritte poco dopo su Facebook: “Perché non pregare contro i femminicidi, le violenze domestiche, le spose bambine? Perché non celebrare una messa per le anime dei disperati che giacciono in fondo al Mediterraneo? Perché non pregare per le tante vittime innocenti di abusi? Tanti sono i motivi per cui raccogliere una comunità in preghiera. Certo non contro chi non ha peccato alcuno se non quello di avere il coraggio di amare. E chi ama non commette mai peccato, perché l'amore, di qualunque colore sia, innalza sempre l'animo umano ed è una minaccia solo per chi questa cosa non la comprende”. Democrazia, libertà, laicità. Coraggio. Una sindaca. Emilio Mola
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"È STATO LUI"
Questa frase agghiacciante l'ha pronunciata l'ennesima donna vittima di violenza, da parte dell'uomo che lei aveva allontanato dalla sua vita.
Quante volte sarà stata pronunciata da altre donne; quante volte sarebbe stata pronunciata da altre donne, se solo fossero sopravvissute.
La riflessione che faccio, dopo l'ennesimo fatto di cronaca, nasce da quello che leggo dopo.
Si scrive che la donna va rispettata "per", e via di aspetti decisamente femminili, tra cui il fatto che la propria madre è donna e ci ha messo al mondo. Mi chiedo perché la donna non possa essere rispettata solamente perché si tratta di un essere umano. Punto.
Che la donna va conquistata con cuore e buone maniere e non presa con violenza; capisco la buona intenzione del messaggio ma le conquiste, nella storia, insegnano che poi ci sono repressioni e sottomissioni. Le conquiste lasciamole a chi vuole esporre trofei. Alla donna bisogna "offrire" quello che si ha, se lei gradisce accetta. Te lo farà capire, starà a te allora percorrere la via che porta al suo cuore con i passi e i modi giusti.
Si scrive che loro vanno difese e non aggredite. Difese da chi? Se si imparasse a rispettarle, nessuno dovrebbe difendere nessuna. Al massimo, se richiesto dalla diretta interessata, si può dare loro sicurezza. Sicurezza contro gli eventi della vita, del lavoro, della famiglia e dei rapporti interpersonali.
"Vanno rispettate perché creano vita, il miracolo della vita". Ok, rispettiamo queste incubatrici con due gambe perché partoriscono. Allora noi uomini che non partoriamo vita meritiamo l'infamia? Si deve rispettare. Tutto e tutti e non alcuni perché fanno questo e quello. Punto.
"Alcune se le cercano"; "L'uomo che picchia è piccolo"; "Provocano"; "L'uomo è cacciatore". Quante allusioni al sesso. Tutto si riduce alla provocazione sessuale o ad alcuni richiami.
Quello che penso io è che la violenza non appartiene a un sesso, ci sono violenze perpetrate anche su noi uomini. E non ci sono giornate dedicate a noi, su questo argomento.
Sono solo discorsi sessisti, finché non impariamo che: donna, uomo, bianco, nero, gay o etero siamo comunque tutti esseri viventi e pensanti. Si può avere dignità diverse, stili di vita diversi e su questi aspetti eventualmente fare critica.
Per il resto la violenza è violenza. La violenza non ha un sesso preciso, ma la violenza ha invece mancanza di cuore. Ed è sempre sbagliata.
Ad una donna dico: scegli tu se essere una principessa che aspetta di essere protetta, oppure scegli di proteggerti da sola.
- Libero De Mente
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L'incomunicabilità nella violenza verbale
Un nuovo post è stato pubblicato su https://www.staipa.it/blog/lincomunicabilita-nella-violenza-verbale/
L'incomunicabilità nella violenza verbale
Oggi uno dei maggiori problemi di comunicazione, a mio avviso, è causato dall’incapacità delle persone di controllare la violenza verbale.
Gli esempi sono tanti, uno è quello di quando si trattano argomenti affini alla medicina o alla scienza in genere, ci sono grandi tematiche di complotto legate ai vaccini, all’uso di medicine alternative spesso del tutto inefficaci, o in questo periodo le protezioni dal virus SARS-CoV-2 o l’uso di nuove tecnologie come il 5G. Sono forme di paura e di complottismi che sono sempre esistiti, ai tempi del 4G (https://tinyurl.com/yxov9m5l) o dei primi cellulari la fobia era pressoché identica, il complotto delle scie chimiche esiste ormai da decenni, lo stesso vale per molte convinzioni errate sulle medicine alternative. Ma si trattava sempre di discussioni pacate, di aneddoti raccontati di gente che ci crede e gente che non ci crede. Di conosco uno a cui è successo così e di su di me non funziona. Il rispetto reciproco permetteva di sorridere delle posizioni diverse dalla propria e continuare a vivere serenamente.
Oggi invece il clima è notevolmente cambiato. Forse la “protezione” di uno schermo sui social, e l’accesso massivo a internet, forse lo sdoganamento di certe correnti politiche di insultarsi a vicenda, e di usare in maniera strumentale le affermazioni e le situazioni, o forse semplicemente il fatto che ogni singolo individuo tende a sentirsi portatore di verità sta rendendo sempre più violento il modo di comunicare.
Se da un lato può essere considerato normale perché sintomo di insicurezza piuttosto che di ignoranza, dall’altro sta avendo proporzioni che sembrano oltrepassare l’assurdo, non tanto per la stupidità di insultare o offendere gratuitamente quanto per il fatto che la stragrande maggioranza delle volte sia controproducente, soprattutto da parte di chi vuole convincere qualcuno di un’idea che ritiene migliore.
Frequento molti ambienti diversi, ambienti scientifici, ambienti politici apartitici (Rimando qui per capire cosa io intenda per Politico Apartitico: https://wp.me/PQMJM-as), ambienti in cui si fa educazione, e ambienti più eterogenei come quelli sportivi e il mondo del lavoro; la situazione sembra la stessa: tutto si riduce ad un tifo da stadio. Alcuni (che si definiscono) divulgatori scientifici, si ritrovano a insultare pubblicamente dai social o dalla tv persone che hanno paura dei vaccini e credono che siano pericolosi, associazioni che si definiscono femministe invece di tentare di instaurare un dialogo costruttivo insultano aprioristicamente chiunque possieda un pene, maschio, transessuale o comunque preferisca definirsi, pro o contro il femminismo che sia, a difesa o contro le donne che sia, genitori insultano chi non ha figli perché “non possono capire” e senza figli insultano genitori perché i bambini fanno questo o quello, persone che si sentono di destra (o di sinistra) insultano dando agli altri della sinistroso (o destroso) come se per l’avversario questa possa essere un’offesa. Perfino nei gruppi Facebook dove si parla di montagna ci si insulta perché si vuole o non si vuole le croci sulle vette, perché in montagna dovrebbe andarci solo chi è esperto o perché dovrebbero andarci tutti.
I denominatori comuni sono quasi sempre due:
Attacchi personali violenti
Spesso la difesa della propria opinione parte dal discredito non tanto dell’opinione quanto della persona che la porta. Invece di discutere alla pari sul tema si finisce per accusare l’altro di non essere abbastanza acculturato, piuttosto che di essere un ladro, piuttosto che di aver fatto qualche errore in passato. Il tentativo è di rendere migliore la nostra idea rendendo noi migliori dell’altro o, dove non possibile, l’altro peggiore di noi. Spesso gli attacchi sono anche piuttosto violenti e personali, si offende, si colpisce per ferire, per affondare. Ma non è così che si può convincere, non è così che si può crescere.
Prendendo due esempi concreti, uno legato all’ignoranza e uno legato alle minoranze è facile vedere come sia una metodologia assurda e controproducente. Il primo caso è quello degli Antivaccinisti, o No-Vax: se da un lato è vero che la scienza non è democratica e che il metodo scientifico prevede una serie di test, codificati, incontrovertibili e riproducibili che dimostrano la veridicità di una affermazione dall’altro questo spesso non è sufficiente a risolvere le paure se non viene spiegato in maniera chiara ed esaustiva. Non sempre è possibile convincere qualcuno neppure con il metodo scientifico ma di certo offendere e denigrare l’interlocutore non aiuterà di certo ad ascoltare e comprendere una spiegazione. Ovviamente neppure da parte dell’Antivaccinista, che si spera convinto della propria opinione, sarà utile insultare l’eventuale intelligentone per farsi ascoltare o spiegare qualcosa. Un caso di una minoranza anche se sarebbe bello non fosse tale, è quello delle femministe. Con il delle sottolineato. Mi è capitato più volte di aderire a manifestazioni organizzate da alcune associazioni femministe e la parità di genere, la protezione delle donne dalle violenze, l’abbattimento del patriarcato sono temi che mi sono cari. Ma in ognuna di queste manifestazioni una piccola (ma rumorosa) parte urla slogan offensivi nei confronti degli uomini, tutti gli uomini, indistintamente, anche quelli che sono lì per difenderle. Anche qui è chiaro che se sei in una situazione di minoranza (in questo caso non in quanto donna ma in quanto persona attenta ai diritti della donna) non potrai convincere la maggioranza (persone sostenitrici del patriarcato e persone a cui non interessa il tema) a stare dalla tua parte insultandoli. Non funziona. Continuerai sempre a rimanere una piccola minoranza, anche se d’altra parte avrai così modo di auto-alimentare la tua rabbia e continuare per sempre a manifestare le stesse cose e sentire di avere uno scopo.
Insomma, insultare serve esclusivamente a perdere di credibilità.
Sono due esempi che si possono applicare a molte altre situazioni, quelli legati all’ignoranza possono essere tentativi di far comprendere i mali creati da una certa ideologia del passato, l’importanza del risparmio energetico, l’importanza della gestione dei rifiuti, l’attenzione a determinati comportamenti sociali che possono creare problemi agli altri, o qualsiasi tematica di ambito sociale che sia volta a migliorare la vita comune, quello delle minoranza si può applicare al razzismo, alla libertà di orientamento e identità sessuale, alla libertà di culto, all’aiuto delle persone meno fortunate, alla gestione degli anziani, dei disabili.
Ci sono decine, o centinaia di temi che si possono applicare a questi due casi.
Tutti però diventano terreno di scontro, soprattutto in ambito partitico. Si identifica una persona che abbia attenzione a un tema come fosse una fazione partitica, o un gruppo di appartenenza e si spara a zero su quella fazione o gruppo, o peggio direttamente sulla persona. Senza discutere il tema in oggetto, in un continuo perdere tempo e alzare l’asticella dello scontro. Non si discute se sia accettabile che due persone dello stesso sesso si amino, si discute di quanto brutto (o bello) sia vederli baciarsi, non si discute se il 5G faccia o meno male ma si urla a complotti e ci si dà degli stupidi, non si discute su come aiutare una persona disposta a mettere i propri figli su un gommone per attraversare il mare ma si dà del fascista a chi dice che siano pericolosi e del radical chic e buonista a chi ritiene che sia il caso di aiutarli.
Se non sei della giusta categoria non puoi parlare
L’altro modo di non discutere invece è spesso quello tipico di se non hai figli, se non sei di colore, se non sei laureato, se non sei donna, se non sei gay, se non sei un imprenditore, se non hai lavorato nei campi, se non sei delle montagne, se non hai vissuto quello che ho vissuto io, se non sei [mettici la categoria che più ti aggrada] non puoi parlare. Rientra nella questione di cui poco sopra sulle minoranze, ma peggio. Non solo in quel momento ci si sta riconoscendo minoranza ma si sta cercando di diminuire ancora di più la propria categoria tagliando fuori da qualunque discussione sia chi è contro di te che chi è a tuo favore. Ancora una volta: se si vuole convincere qualcuno, se si vuole il supporto di qualcuno bisogna dialogarci, portarlo dalla propria parte con una discussione se non sei […] non puoi parlare si sta impedendo tutto questo, invece bisogna saper spiegare la propria posizione, saper spiegare che se non sei […] devi provare a metterti in questi panni e prendere in considerazione queste problematiche. E soprattutto bisogna accettare l’eventualità di essere noi a spostarci dalla parte opposta. Perché non abbiamo sempre ragione. Nessuno di noi ha sempre ragione.
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Opinioni (molto) impopolari
NOTA BENE per chi legge:
Se hai una mentalità chiusa, non accetti altre opinioni e/o pensi di iniziare a sbroccare, commentare in modo volgare e/o insultare e quant’altro, puoi benissimo ignorare il post e andare a leggere o guardare altro. Anche perché mi sembra inutile sprecare “fiato virtuale”, dal momento che tu non la penserai mai come me, e io non la penserò mai come te. Non trovi?
Ognuno di noi ha paura di qualcosa. Io ho paura della gente, se “paura” è il termine giusto.
In questi mesi, sono restata a casa, come tutti gli altri. Le differenze? Tutti lo facevano per rispettare le norme, lamentandosi di non poter uscire; io mi ero già “auto-esiliata”, ben prima di questo caos che, ad avviso mio e di altri, è in gran parte una farsa. Sì, ci sarà qualcosa di vero, ma è talmente esasperato, che mi chiedo: se arrivasse davvero qualcosa di peggiore? Se stesse per finire il mondo, staremmo tutti con il cellulare alla mano, per scattare l’ultima foto o fare l’ultimo video? Staremmo ore e ora davanti alla TV, guardando scemenze o guardando il telegiornale, consumandoci psicologicamente fino all’ultimo?
Io vedo tanta ipocrisia. Fino a quando non c’era questa cosidetta emergenza, il primo che incontravi per strada, o il primo a cui commentavi sui social, era pronto a sparare merda su di te o su chiunque. Adesso no, magicamente siamo tutti solidali... Che strano.
Eppure nessuno vede. Il 99% dell’umanità preferisce conformarsi, unirsi al gregge. Tutti parlano, nessuno agisce. E chi vuole agire, non può, perché non viene né ascoltato né preso in considerazione. Un solo uomo non può cambiare il mondo.
Ma epidemia a parte, sto parlando in generale.
Tutti che si lamentano per un motivo o per l’altro. Non c’è lavoro, o non si viene pagati bene. Non si riesce a sopravvivere. Come faccio a lavorare con i figli piccoli? Che governo..., la criminalità, le banche, la sanità. Chi più ne ha, più ne metta.
Quando qualcuno decide di fare qualcosa, ci riesce, ma a metà. Non si va avanti, non si porta avanti, ci si ammutolisce. Perché? “Perché NON voglio metterci la faccia”, “Perché non voglio altri casini”, “Perché perdo il lavoro”, “Perché questo e quest’altro”.
Così finisce in nulla, nessun cambiamento, nessuna rivoluzione. Stessa vita, stessi problemi, stesse lamentele.
Forse stiamo ancora troppo bene, per andare fino in fondo?
Ma quando staremo troppo male, potrebbe essere già molto peggio di ora...
Ma dove sono finite le rivoluzioni che hanno fatto la storia? I popoli che si univano, organizzavano rivolte, pacifiche o meno, e poi ottenevano risultati, arrivando ai loro obiettivi?
I problemi dell’umanità, ad oggi, sono l’ignoranza, la mente chiusa più di un bunker, fanatismo religioso (sì, c’è ancora, purtroppo), credenza assoluta in ciò che si vede e si sente (politica, notizie, ecc). Società puntata all’omologazione (in tutti i campi).
Manca proprio il pensiero. Il pensare con la propria testa. Ma i “cattolici”, hanno letto bene tutta la Bibbia? Sanno che è un libro storico? Non mettete nulla in discussione? Informatevi bene, poi ne riparliamo. Senza contare le atrocità commesse dalla Chiesa, senza contare che i soldi del Vaticano risolverebbero i problemi di mezzo mondo, a dir poco... E voi cosa fate? Gli date le offerte?! Ok, allora perché vi lamentate di non avere soldi? Fatevi delle domande.
Io non pretendo di sapere cosa c’è o chi c’è dopo la morte, né sono atea. Ho le mie idee, che non sono certo le favole che racconta la Chiesa per mantenere buono il gregge.
La gente guarda la TV e si beve tutto allegramente, come fosse oro colato.
Si è amici per modo di dire, non più veramente.
Si fuma (sigarette o altro), perché “fa figo”, perché “anche gli altri lo fanno”. Questa forse è l’unica trappola in cui sono caduta, in momenti meno lucidi di questo. E maledico il giorno in cui ho iniziato, ti porta via soldi che potresti impiegare per qualcos’altro, che magari vorresti, ma non puoi averlo.
E “vivere” senza stipendio è ancora peggio.
Se non ti conformi con nessuna ideologia, sei un pazzo o sei un povero deficiente. Non puoi avere idee tue. O meglio, le puoi avere, ma per vivere in mezzo agli altri, devi tenertele per te, sperando all’infinito di venire a conoscenza di qualcuno che la pensa come te, o simile.
Lo stesso discorso vale sia per le “amicizie” che per la famiglia.
Famiglia che ti educa in un certo modo - certo, c’è anche chi educa (magari involontariamente, non lo so) a una vita criminale.
Devi essere così, gentile, pacato e tutte le altre caratteristiche zuccherose. Non devi arrabbiarti. Non devi insultare. Devi studiare. “Devi” avere un/una fidanzato/a (implicito). Devi sposarti, o quantomeno convivere con lui/lei.
Ah, attenzione. Non puoi essere gay, né lesbica, né bisex, né trans, né quel cavolo che vuoi essere. Vuoi esserlo lo stesso? Ok, io non ti riconosco più. Non ti parlo più, non sei mio/a figlio/a. Questo nel “migliore” dei casi...
Per fortuna, non ho subito violenze né dai genitori né da altri, per questo tipo di vita. Ma comunque, non ho ancora potuto esprimermi sui miei reali interessi. Ancora non so cosa sono, “grazie” ai genitori.
Mio padre diceva “Se avessi un figlio gay, non lo riconoscerei, non ci parlerei più.”. Nel mentre, ero una adolescente che stava segretamente con una ragazza.
Ho avuto problemi psicologici, abbastanza gravi. E sono durati anni. Tuttora penso che non si siano risolti del tutto.
Mi sentivo in “dovere” di essere “normale”, di essere “etero”.
Mi sentivo in dovere di apparire carina e curata, con i capelli almeno abbastanza lunghi e lo smalto ecc, ecc...
Poi mi sono detta “no”, una prima volta. Forse sono bisex?, mi sono detta.
Dai discorsi che facevo con mia madre, mi sembrava chiaro che fosse di mentalità aperta. Ma cosa è successo, quando ho detto a lei e al suo nuovo compagno, che ero bisessuale?
Caos. Le loro risposte sono state sconcertanti. “No, non è possibile!” “O ti piace una o ti piace uno.” “Cosa vuol dire, che vai con tutti?!”
Ogni tentativo di far capire che non ero una puttana, è stato vano.
Ho rinunciato, tornando a fare l’etero. E collezionando delusioni e fallimenti.
Già da bambina, o adolescente, ricordo... Avrei voluto avere un corpo maschile. “Ovviamente”, non l’ho mai confidato a nessuno, fino ad ora. Per fortuna, qualche medico intelligente ti ascolta meglio che i genitori o altre persone...
Per farla breve, non ho mai capito da che parte ero, forse a causa dei miei.
Continuamente giudicata per i miei gusti, o comportamenti, o idee ed opinioni.
Probabilmente, col senno di poi, non avrei dovuto confidare nulla a loro. Forse avrei trovato la strada da me. Ma purtroppo, non è andata così.
E mi ritrovo a respingere qualsiasi tipo di contatto, sia con i miei, sia con altre persone.
Mi chiedo:
“Perché la gente fa figli? Per fargli vivere una vita che loro non hanno avuto? Per non essere soli quando saranno troppo vecchi?”
Ti “educano” in modo che tu sia conforme al resto del mondo. Non importa se giusto o sbagliato.
Forse, per un po’, ti sembrerà che loro ti facciano solo del bene.
Ma non è così. La dura verità è che nessuno fa “solo del bene”.
Perché vuoi un figlio? Per “addomesticarlo” come vuoi tu? Per vestirlo come vuoi tu? Per veder realizzate cose che tu non sei stato in grado di realizzare? Solo perché hai l’ormone della maternità?
Per poi lamentarti del suo carattere, idee, atteggiamento e un milione di altre cose.
La libertà non viene insegnata. Da nessuna parte. Non troverai questo insegnamento. La libertà ce l’hai “nel sangue” o non ce l’hai.
O sei una pecora o sei un lupo.
Se sei una pecora, è più probabile che tu trovi altre pecore.
Se sei un lupo, è molto meno probabile che trovi i tuoi simili.
E mi chiedo:
“Perché la gente va a convivere?”
Quando ci sono altissime probabilità che prima o poi si litiga, con più o meno frequenza, che ci si urla dietro, che non ci si sopporta, che ci si rompono le scatole anche solo in due sotto un tetto...
Non è vero che nessun uomo è un’isola. E’ la solita retorica della società.
Tutti siamo isole, e ciasciuno di noi decide che altra isola visitare.
Molti pensano che essere soli sia brutto, sia triste, o da sfigati.
Io no. La maggior parte delle volte in cui ero completamente sola... lì ero in pace.
Stare con gente che non apprezzi, che non ti apprezza (in segreto o meno), con cui esci solo per non stare solo, per andare in giro con qualcuno, per divertirti... ma non c’è una vera amicizia, non c’è un vero legame, una vera comprensione... Questo è da sfigati. Sei ugualmente da solo anche se sei in compagnia, solo che ti sembra che non è così. Siete voi i veri perdenti.
E lo dico a nome di tutti/e che sono come me, soli. Che magari si sentono meno degli altri per questo.
Non è vero, non credeteci. La società vuole essere un gruppo. Basta dare un’occhiata ai centri commerciali, o in spiaggia a luglio-agosto.
La gente cerca apposta altra gente, mette il suo cazzo di asciugamano vicino al tuo, così, perché le va di sentire chiacchiere, di vedere qualcuno. Potresti anche non essere tu, però. Chiunque va bene, basta che si siano altre persone e chiacchiarare di stronzate o origliare e giudicare tutto il tempo.
Sapete cosa? Lasciateli parlare. Lasciategli credere che siano migliori di voi. Ma sappiate che loro sono i perdenti, il cosidetto gregge che dicevo poco fa. E voi siete eroi, contro un mondo che ormai accetta solo l’omologazione, ovvero le pecore.
E non piangete per questi dementi. Né per qualcuno che vi ha abbandonato. Odiatelo, detestatelo. Ma non fatevi del male a causa di questo cretino. Amico/a, fidanzato/a, bulletto/a di turno, o chiunque altro.
Volete piangere per qualcosa che ne valga davvero la pena?
Piangete la morte di un animale, uno vostro, uno di altri, uno randagio, uno maltrattato o massacrato.
Gli animali sono i veri umani. Loro sono, e basta. Non fanno le cose per secondi fini. Non uccidono per motivazioni psicologiche e/o passionali, uccidono per mangiare o difendersi.
Piangete pure anche per le piante, se volete. Pure quelle sono migliori di noi “umani”.
Gli umani hanno creato la società, i soldi, il potere. Tutto ciò che c’è di maligno. Poche buone cose sono state fatte e da poche persone meritevoli del nome “umano”.
Purtroppo, la vita umana è più lunga di quella di un animale. Sarebbe bello, a volte, se fosse il contrario. - Una di 29 anni
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I 5 Amori LGBT di “Un posto al sole” by Blasting news 🏳️🌈 NOI DICIAMO NO ALL’OMOFOBIA!” 🦄 17 Maggio 2020 “Giornata internazionale contro l’omofobia!” 🌈«Il 17 maggio 1990 l’Organizzazione Mondiale della Sanità dichiara che l’omosessualità non è più una malattia. Dopo 30 anni le persone LGBT (lesbiche, gay, bisex e trans) sono ancora vittime di violenze e discriminazioni. 🌈Rivolgiti al Rainbow center Napoli che trovi su tutti i social. Esso oltre ad essere uno sportello di consulenza è una fucina di iniziative per l’aggregazione e l’antidiscriminazione. Help line 3938013868 #cosimoalberti #attore #actors #televisione #cerry #ninasoldano #vigilecerruti #unionecivile #leggecirinná #17may #nohomophobia #monicacirinnà #matrimonioarcobaleno #omofobia #transfobia #lgbtitalia #ugualidiritti #dirittilgbt #internationaldayagainsthomophobia #onlove #nodiscrimination #gaycommunity #rainbow #freedom #gay #matrimonioegualitarioitalia #loveislove #noomofobia #stopomofobia #diritticivili (presso Rai3) https://www.instagram.com/p/CAaNya8lMqz/?igshid=4m0xb1tmaw7m
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Roma Pride 2019: che delusione!
Erano 700mila i partecipanti al Gay Pride di Roma: la manifestazione quest’anno è arrivata appena due settimane prima del cinquantesimo anniversario della rivolta newyorkese di Stonewall, che un anno dopo diede vita alla prima marcia dell’orgoglio omosessuale.
Gay pride: che cos’e?
Il Gay Pride, noto anche come Prideest, è una manife-stazione del movimento LGBTQI destinata a dare visibilità alle persone lesbiche, gay, bisessuali, queer, transgender o altro e rivendicare la libertà e l’uguaglianza nel campo degli orientamenti sessuali e dell’identità di genere.
Tutto cominciò con una serie di manifestazioni spontanee e violente contro un raid della polizia di New York il 28 giugno 1969 a Stonewall Inn (nel quartiere Greenwich Village). Questi eventi sono da molti considerati come il primo esempio di lotta di gay, lesbiche, bisessuali e transgender contro un sistema sostenuto dalle autorità e perseguitante contro di loro.
Oggi esistono marce dell’orgoglio in molti paesi in tutto il mondo. Di solito sono organizzate ogni anno intorno al mese di giugno.
I volontari della UILDM alla marcia
Alcuni volontari italiani e europei come me (Johanna, Suley, Isa, çaglar) si sono recati alla manifestazione per la diversità. Volevamo essere in piazza per lottare contro i pregiudizi. L’omofobia è una realtà spesso dimenticata. In realtà, anche se in Europa la Legge dà maggiori tutele alle questioni di genere, l’omofobia persiste nei discorsi, nell’ambiente e le violenze legate all’orientamento sessuale rimangono alte. Nel mio paese, la Francia, per esempio il numero di bambini cacciati dalle loro case a causa del loro orientamento sessuale è in costante aumento.
In seguito al dibattito sulla Legge di Taubira, che autorizza il matrimonio delle persone omosessuali, sono aumentati del 35% i casi di ricovero in emergenza di persone gay. In Francia, un adolescente si suicida ogni 48-72 ore a causa del suo orientamento sessuale (circa 180 suicidi all’anno, dati di Inpes Francia).
Occupare la strada, ballare, cantare insieme era un mezzo per sostenere e promuovere un mondo dove tutti/e siano accettati/e e dove l’amore non abbia bisogno di essere nascosto. In questo giorno, potevamo leggere citazioni tratte dall’Antigone di Sofocle come “non sono nato per condividere l’odio ma l’amore”. è stato bello stare insieme questo giorno.
Solamente, una cosa mi ha scioccata...
Ho provato un po’ di delusione nel vedere su grandi camion i simboli di grandi gruppi come Mercedes o MasterCard. Mi chiedo cosa facciano questi gruppi per la lotta contro la discriminazione. Perché erano lì? Non vedo che ruolo abbiano nello sviluppo di una società più giusta ed equa.
A New York, Il capitalismo kitsch che scorre dilagante alla Marcia ufficiale del Pride ha effettivamente scatenato una reazione quest’anno. Si chiama “Queer Liberation March” ed è organizzata da un gruppo chiamato “Reclaim Pride”.
“Questo è uno scontro di valori”, ha affermato Dobbs, uno degli organizzatori di questa contromanifestazione. “I loro mercati rappresentano orgoglio aziendale e lo status quo. Noi stiamo per il cambiamento”.
La Marcia del Pride consente agli sponsor aziendali di “ripulire” efficacemente la propria immagine, presentandosi come organizzazioni gay-friendly con principi progressisti, ha affermato Dobbs.
Dal Pink Capitalism alla lotta per il cambiamento
“Pink Capitalism” è un termine usato per designare, da una prospettiva critica, l’incorporazione del discorso LGBT e della diversità sessuale nel capitalismo e nell’economia di mercato. Questo interesse, tuttavia, non è legato a motivi sociali, quanto piuttosto alla possibilità che nuovi potenziali clienti aumenteranno i guadagni delle corporazioni. Ma poiché l’accesso al plusvalore non è uguale, il sistema stesso produce l’esclusione, il che lo rende incompatibile con l’uguaglianza, la libertà e il femminismo. è normale, quindi, vedere come i media mainstream elogino donne o gay che hanno accesso a posizioni di potere, in connessione con l’ideologia della meritocrazia, dell’individualismo e della competitività, pur giustificando che altri non hanno raggiunto queste posizioni di potere perché non stanno facendo abbastanza. In qualche modo vengono colpevolizzati, anche se sappiamo che la ragione per cui altre persone non possono accedere a posizioni di potere viene dal fatto che ci sono posizioni di potere che sono esclusive.
D’altra parte, la società capitalista non ha accettato tutte le diversità sessuali nello stesso modo. La tolleranza sociale è maggiore nei confronti delle persone rispetto ad un maggiore accesso alle risorse. L’orientamento sessuale e l’identità di genere sono legati a questioni di genere, etnia e classe sociale.
Di conseguenza, gli omosessuali, i single, gli occidentali, i bianchi, gli abitanti delle città e gli uomini della classe media e superiore sono generalmente accettati nel contesto sociale del consumo. Inoltre, questa struttura promuove un’identità omogenea ed etero normativa dell’uomo gay ideale, che ha una certa bellezza, un corpo muscoloso e ipersessualizzato, un comportamento maschile, un successo professionale e uno specifico potere d’acquisto, stabilendo quali corpi sono desiderabili e quali non lo sono. Questa tendenza porta allo spostamento e all’emarginazione, persino nella stessa comunità gay, di uomini che non rientrano in questo modello estetico.
Oggi gli atti omosessuali rimangono illegali in 72 paesi. 6 di loro li condannano ancora con la pena di morte. Questa deve essere la nostra lotta; non l’accettazione da parte di ricche compagnie che contribuiscono alla diffusione di esclusione e di stereotipi.
- Elise Contion
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Recensione: Principessina di Susan Moretto
Zeke è uno dei ragazzi più belli della scuola, popolare, amato dalle ragazze che lo seguono e scrutano con aria sognante, un quarterback quasi intoccabile agli occhi del mondo, tutto sembra essergli perdonato, anche i crudeli atti di bullismo che lui e il suo migliore amico perpetrano ai danni dell'unico ragazzo omosessuale dichiarato della scuola. Tutto perfetto, se non fosse che il giovane nasconde un segreto, un segreto che rischia di rovinare la sua vita e reputazione per sempre. È omosessuale, proprio come Gabe, la principessina della scuola, ed è terrorizzato, non sa cosa fare, come comportarsi, per lui gli omosessuali sono uguali a quelli che ha visto in telefilm come Queer As Folk, volgari e promiscui oppure effeminati e costretti a vestirsi e parlare come una ragazza. Lo preoccupa il fatto di doversi dichiarare davanti a tutta la scuola ma ancora di più davanti a sua madre, l'unico affetto che gli è rimasto dopo la morte del padre. È questa paura che lo spinge a rivolgersi all'unica persona che sa cosa significa essere gay, a Gabe, lo stesso ragazzo che da anni si diverte a tormentare e buttare in un cassonetto, dilettandosi in quello che viene chiamato "Il lancio della principessina", un atto orrendo ma tollerato da tutta la scuola, visto come un giochino innocente che non fa del male a nessuno. Gabe è sconvolto, quando Zeke si rivolge a lui per la prima volta confessando la sua omosessualità non sa come reagire, una parte di lui vorrebbe ridergli in faccia e umiliarlo come merita un ignorante quarterback ma... non lo fa, c'è qualcosa negli occhi del compagno di classe, quella confessione, di non voler sconvolgere sua madre, di volerle parlare e farsi amare ancora da lei, qualcosa che lo colpisce nel profondo, spingendolo per una volta ad assumere il ruolo di principe azzurro per aiutare il nuovo amico nel duro cammino che gli si para davanti. Inizia così il percorso dei due ragazzi, un cammino complesso che li porterà non solo ad affrontare il dolore che l'omofobia e l'ignoranza possono provocare nelle persone che hanno l'unica colpa di voler essere se stesse e amare liberamente senza essere discriminate, ma anche quello verso l'amore, la scoperta dell'amore, quello dolce e puro che riesce a vedere oltre la crudeltà, oltre le botte e la cattiveria del mondo. Quando ho iniziato questo libro, non avevo letto la trama, ero completamente all'oscuro di cosa trattasse e alle prime pagine, pensavo di aver già capito tutto, ecco il classico figone della scuola che magari chiederà aiuto allo sfigato gay per un problema scolastico, essendo il gay probabilmente non solo l'emarginato numero uno ma anche un nerd, e olè ci saranno cuoricini, lo stronzo si riscoprirà a sua volta gay o bisessuale e inizieranno ad uscire, ero convintissima di questo e già pronta a mettere le solite 3 stelline "perché il libro è simpatico e scorrevole ma nulla più" e invece mi sbagliavo e mi sono ritrovata incollata alle pagine, desiderosa di finire la lettura quanto prima, innamorata di Zeke e Gabe e del loro amore. La storia nonostante parta un po' da un cliché, viene sviluppata molto bene portando una ventata di aria fresca nel genere. Zeke non è solo il figo di turno ma prima di tutto un ragazzo spaventato e non il classico spaventato che picchia tutto e tutti e fa il bullo perché ferito dal mondo, ha si paura ma si rende conto di quello che è, di come la sua vita sta cambiando e quegli atti di bullismo che ci vengono accennati a inizio romanzo, quel rituale di lanciare un povero ragazzo in un cassonetto, non lo divertono più, il giovane è cambiato e già a inizio romanzo ci viene presentato il suo cambiamento, non ci ritroviamo di fronte il solito libro in cui durante la lettura il ragazzo inizia a cambiare e crescere ma di fronte un adolescente che è già cambiato, ha già iniziato un percorso di crescita ed è desideroso di esprimere se stesso ma non sa come fare, ha paura di poter deludere la madre, di perdere i suoi amici e diventare una nuova principessina, di dover vestire a forza di rosa e prendere il tè con le amiche, è imprigionato nella paura ma soprattutto nell'ignoranza che ahimè dilaga ancora troppo tra i giovani nonostante gli anni in cui ci troviamo, dove basta un computer e una connessione internet per accedere a qualsiasi enciclopedia o informazione, si ritrova imprigionato nella stessa ignoranza che caratterizza molti giovani della sua età, troppo preoccupati del diverso per cercare di guardare davvero, di informarsi e parlare, pensa che i gay siano solo quello che si vede in tv e di dover per forza rientrare in uno stereotipo che non è. Quando si avvicina a Gabe lo fa con timore e imbarazzo, sa di aver bullizzato il ragazzo da anni e che probabilmente lui non vorrà mai aiutarlo e perdonarlo, vuole avere un ancora di salvezza, una persona che lo aiuti in un percorso che sembra essere più forte e grande di lui. Gabe diventa quindi la sua roccia, ironicamente la principessina diventa un principe che aiuta e difende Zeke. Gabe è il personaggio che più ho amato nella storia, non è il cliché gay vestito di rosa ed effeminato, ma un ragazzo che non ha paura di esprimere se stesso, è un giovane che ha sofferto le pene dell'inferno fin dalle medie, ha avuto il coraggio di dire al mondo che è omosessuale e ha ricevuto in cambio solo pugni e schiaffi, ha visto il mondo rivoltarsi contro di lui a partire dalla famiglia, gli stessi genitori che dovrebbero amare incondizionatamente i propri figli lo hanno tradito senza pietà, la madre finge che non esiste, sorridendo con amore alla sorella ma non rivolgendogli la parola, quasi passandogli attraverso come se fosse morto, come se fosse un fantasma e il padre sfoga le sue frustrazioni non esitando a mettergli le mani addosso, i compagni di scuola lo bullizzano o evitano, chiedendosi se toccandolo o parlando con lui possano prendere qualche malattie, magari l'HIV che solo i gay come lui hanno, l'unico appoggio è Mery, sua sorella, che lo ama e difende, dalle botte, dalle violenze e dagli abusi. Gabe è una persona fragile che è dovuta diventare forte, ha dovuto mettersi una corazza per rispondere alle botte e alle umiliazioni, desidererebbe solo andarsene, scappare via da tutto e tutti ma non potendo, risponde alle provocazioni come può, comportandosi normalmente, esprimendo se stesso, indossando la maglia della sorella che tanto ama. Gabe sa cosa significa la paura e il dolore e la sua decisione di aiutare Zeke gli fanno onore, potrebbe benissimo vendicarsi, ha il coltello dalla parte del manico, potrebbe andare in giro a dire che Zeke è gay, potrebbe sputargli in faccia tutto il suo veleno e rancore ma non lo fa perché è buono, è una persona buona che desidera che almeno Zeke possa avere un coming out come si deve, che almeno lui possa avere un rapporto con la madre, vuole aiutare il quarterback nonostante il dolore che gli ha provocato negli anni. Il rapporto tra Gabe e Zeke è dolcissimo, entrambi trovano nel compagno quello che cercavano, Zeke trova una persona che riesce a vedere chi è in realtà e non lo giudica, Gabe è la prima persona a cui ha confessato la sua omosessualità ed è riuscito a perdonare i suoi errori e sbagli arrivando ad aiutarlo, Zeke si innamora della purezza e dolcezza di Gabe, della sua voglia di aiutare il prossimo, anche se il prossimo in questione è lo stesso che lo etichettava come frocio e maltrattava. Gabe trova l'amore di una famiglia. Jessica la madre di Zeke è l'opposto di quella del giovane, non esita a dare tutto l'amore e il supporto del mondo al figlio, rimproverandolo teneramente per le sue paranoie inutili, dicendogli che il fatto di essere gay non cambia nulla e anzi, arriverà a prendere a pugni lei stessa chiunque osi bullizzarlo e maltrattarlo per la sua identità sessuale. Jessica diventa anche la madre di Gabe, appena lo vede lo prende subito in simpatia e sviluppa in poco tempo un amore materno nei confronti di quel tenero ragazzo che troppe volte ha dovuto piangere e ricucirsi le ferite da solo, gli offre una casa e una famiglia, Gabe trova l'amore di una madre, una vera e Zeke diventa non solo un compagno e un amante ma un amico, un fratello, una persona che è disposta a combattere, a lottare per i suoi sentimenti, per aiutarlo, senza paura del mondo e delle sue insidie. Il rapporto tra i due giovani è perfetto, il loro modo di avvicinarsi, con vergogna e timidezza in principio e poi con sempre più foga, con voglia di scoprirsi a vicenda mi ha commosso. Ho adorato quel primo timido bacio dopo un pazzo coming out, quella prima volta, così dolce e speciale, dettata dal timore di far soffrire il partner ma anche dal desiderio di conforto e amore. Tutto è ben curato e studiato ad arte per farti amare i due protagonisti e fare il tifo per loro, alla faccia di tutto e tutti. L'autrice è riuscita a creare una storia forte, con temi spinosi, la violenza in famiglia, l'omofobia e l'omertà che ne consegue, l'ignoranza e la paura del diverso, la scoperta della propria identità e la lotta per mostrarla con orgoglio e senza timore, temi difficili ma che riescono ad essere sviscerati con cura e attenzione, senza mai cadere nel ridicolo. Una storia che mi ha emozionato e perché no, anche fatto ridere. Gabe con alcune sue battute e Zeke con la sua goffaggine mi hanno conquistato per non parlare di Jessica, la madre che tutti vorrebbero avere e Mary, la sorella guerriera che si ritrova prigioniera in una casa che non sente più sua, ad amare genitori che non sente come tali perché non vedono quanto speciale è suo fratello, una ragazza forte e senza paura che difende il fratello come può arrivando ad esempio a prendere a calci Mason, l'ex migliore amico di Zeke (inutile dire che ho gongolato come una pazza per il suo bel calcio assestato nei gioielli di famiglia dell'imbecille). Tutto mi è piaciuto e mi sento senza problemi di dare 5 stelline piene. Lo consiglio a chi cerca una storia semplice nella struttura ma con un messaggio forte e importante, lo stile di scrittura delicato e attento ai dettagli la rende perfetta sia per chi è alla ricerca di un libro leggero, da leggere ad esempio durante una vacanza, sia a chi cerca dei contenuti, dei temi importanti e non solo sesso e romance. Un libro dolcissimo che riesce a conquistare e farsi amare come i suoi buffi e pazzi protagonisti.
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E’ in corso una vera e propria offensiva di recupero del fascismo: dalla spiaggia di Chioggia, ai campi estivi neo–nazisti, ai manifesti inneggianti alla bontà di governo di Mussolini. Più in generale il clima è di allentamento al riguardo dei principi fondamentali dell’antifascismo, sulle sue ragioni profonde, sulla realtà storica dei fatti. Ha contribuito a questa sorta di rilassatezza culturale l’attacco alla Costituzione tentato nel corso die mesi scorsi e (provvisoriamente?) respinto con il voto del 4 Dicembre 2016. Per questi motivi è bene tener viva la memoria, perché senza di essa si smarrisce l’identità repubblicana dell’Italia: il profondo significato etico e politico di questa identità conquistata con la lotta. Queste le ragioni del tentativo di rinnovo del ricordo contenuto in questo intervento, partendo dalle due stragi–simbolo compiute dai nazifascisti nell’estate del 1944 a Sant’Anna di Stazzema e a Marzabotto. Intervento che si conclude con l’elenco delle 139 stragi compiute su tutto il territorio nazionale per un totale (secondo l’Atlante delle stragi nazifasciste in Italia) di circa 23.000 vittime Sant’Anna di Stazzema All’inizio dell’agosto 1944 Sant’Anna di Stazzema era stata qualificata dal comando tedesco come “zona bianca”, ossia una località adatta ad accogliere sfollati: per questo la popolazione, in quell’estate, aveva superato le mille unità. Inoltre, sempre in quei giorni, i partigiani avevano abbandonato la zona senza aver svolto operazioni militari di particolare entità contro i tedeschi. Nonostante ciò, all’alba del 12 agosto 1944, tre reparti di SS salirono a Sant’Anna, mentre un quarto chiudeva ogni via di fuga a valle sopra il paese di Valdicastello. Alle sette il paese era circondato. Quando le SS giunsero a Sant’Anna, accompagnati da fascisti collaborazionisti che fecero da guide[10], gli uomini del paese si rifugiarono nei boschi per non essere deportati, mentre donne, vecchi e bambini, sicuri che nulla sarebbe capitato loro in quanto civili inermi, restarono nelle loro case. In poco più di mezza giornata vennero uccisi centinaia di civili di cui solo 350 poterono essere in seguito identificate; tra le vittime 65 erano bambini minori di 10 anni di età. Dai documenti tedeschi peraltro non è facile ricostruire con precisione gli eventi: in data 12 agosto 1944, il comando della 14ª Armata tedesca comunicò l’effettuazione con pieno successo di una “operazione contro le bande” da parte di reparti della 16. SS-Panzergrenadier-Division Reichsführer SS nella “zona 183”, dove si trova il territorio del comune di S. Anna di Stazzema; l’ufficio informazioni del comando tedesco affermò che nell’operazione 270 “banditi” erano stati uccisi, 68 presi prigionieri e 208 “uomini sospetti” assegnati al lavoro coatto. Una successiva comunicazione dello stesso ufficio in data 13 agosto precisò che “altri 353 civili sospettati di connivenza con le bande” erano stati catturati, di cui 209 trasferiti nel campo di raccolta di Lucca I nazistifascisti rastrellarono i civili, li chiusero nelle stalle o nelle cucine delle case, li uccisero con colpi di mitra, bombe a mano, colpi di rivoltella e altre modalità di stampo terroristico. La vittima più giovane, Anna Pardini, aveva solo 20 giorni(23 luglio-12 agosto 1944). Gravemente ferita, la rinvenne agonizzante la sorella maggiore Cesira (Medaglia d’Oro al Merito Civile) miracolosamente superstite, tra le braccia della madre ormai morta. Morì pochi giorni dopo nell’ospedale di Valdicastello. Infine, incendi appiccati a più riprese causarono ulteriori danni a cose e persone. Non si trattò di rappresaglia (ovvero di un crimine compiuto in risposta a una determinata azione del nemico): come è emerso dalle indagini della procura militare di La Spezia, infatti, si trattò di un atto terroristico premeditato e curato in ogni dettaglio per annientare la volontà della popolazione, soggiogandola grazie al terrore. L’obiettivo era quello di distruggere il paese e sterminare la popolazione per rompere ogni collegamento fra i civili e le formazioni partigiane presenti nella zona. La ricostruzione degli avvenimenti, l’attribuzione delle responsabilità e le motivazioni che hanno originato l’Eccidio sono state possibili grazie al processo svoltosi al Tribunale militare della Spezia, conclusosi nel 2005 con la condanna all’ergastolo per dieci SS colpevoli del massacro; sentenza confermata in Appello nel 2006 e ratificata in Cassazione nel 2007. Nella prima fase processuale si è svolto, grazie al pubblico ministero Marco de Paolis, un imponente lavoro investigativo, cui sono seguite le testimonianze in aula di superstiti, di periti storici e persino di due SS appartenute al battaglione che massacrò centinaia di persone a Sant’Anna. Fondamentale, nel 1994, anche la scoperta avvenuta a Roma, negli scantinati di Palazzo Cesi-Gaddi, di un armadio chiuso e girato con le ante verso il muro, ribattezzato poi armadio della Vergogna, poiché nascondeva da oltre 40 anni documenti che sarebbero risultati fondamentali ai fini di una ricerca della verità storica e giudiziaria sulle stragi nazifasciste in Italia nel secondo dopoguerra. Prima dell’eccidio di Sant’Anna di Stazzema, nel giugno dello stesso anno, SS tedesche, affiancate da reparti della X MAS, massacrarono 72 persone a Forno. Il 19 agosto, varcate le Apuane, le SS si spinsero nel comune di Fivizzano (Massa Carrara), seminando la morte fra le popolazioni inermi dei villaggi di Valla, Bardine e Vinca,nel comune di Fivizzano . Nel giro di cinque giorni uccisero oltre 340 persone, mitragliate, impiccate, financo bruciate con i lanciafiamme. Nella prima metà di settembre, con il massacro di 33 civili a Pioppetti di Montemagno, in comune di Camaiore (Lucca), i reparti delle SS portarono avanti la loro opera nella provincia di Massa Carrara. Sul fiume Frigido furono fucilati 108 detenuti del campo di concentramento di Mezzano (Lucca), mentre a Bergiola i nazisti fecero 72 vittime. MARZABOTTO Dopo l’eccidio di Sant’Anna di Stazzema avvenuta il 12 agosto 1944, gli eccidi nazisti contro i civili sembravano essersi momentaneamente fermati. Ma il feldmaresciallo Albert Kesselring aveva scoperto che a Marzabotto agiva con successo la brigata Stella Rossa e voleva dare un duro colpo a questa organizzazione e ai civili che l’appoggiavano. Già in precedenza Marzabotto aveva subito delle rappresaglie, ma mai così gravi come quella dell’autunno 1944. Capo dell’operazione fu nominato il maggiore Walter Reder, comandante del 16º battaglione esplorante corazzato (Panzeraufklärungsabteilung) della 16. SS-Panzergrenadier-Division Reichsführer SS, sospettato a suo tempo di essere uno tra gli assassini del cancelliere austriaco Engelbert Dollfuss. La mattina del 29 settembre, prima di muovere all’attacco dei partigiani, quattro reparti delle truppe naziste, comprendenti sia SS che soldati della Wehrmacht, accerchiarono e rastrellarono una vasta area di territorio compresa tra le valli del Setta e del Reno, utilizzando anche armamenti pesanti. «Quindi – ricorda lo scrittore bolognese Federico Zardi – dalle frazioni di Pànico, di Vado, di Quercia, di Grizzana, di Pioppe di Salvaro e della periferia del capoluogo le truppe si mossero all’assalto delle abitazioni, delle cascine, delle scuole», e fecero terra bruciata di tutto e di tutti. Nella frazione di Casaglia di Monte Sole la popolazione atterrita si rifugiò nella chiesa di Santa Maria Assunta, raccogliendosi in preghiera. Irruppero i tedeschi, uccidendo con una raffica di mitragliatrice il sacerdote, don Ubaldo Marchioni, e tre anziani. Le altre persone, raccolte nel cimitero, furono mitragliate: 197 vittime, di 29 famiglie diverse tra le quali 52 bambini. Fu l’inizio della strage: ogni località, ogni frazione, ogni casolare fu setacciato dai soldati nazisti e non fu risparmiato nessuno. La violenza dell’eccidio fu inusitata: alla fine dell’inverno fu ritrovato sotto la neve il corpo decapitato del parroco Giovanni Fornasini. Fra il 29 settembre e il 5 ottobre 1944, dopo sei giorni di violenze, il numero delle vittime civili si presentava spaventoso: circa 770 morti. Le voci che immediatamente cominciarono a circolare relative all’eccidio furono negate dalle autorità fasciste della zona e dalla stampa locale (Il Resto del Carlino), indicandole come diffamatorie; solo dopo la Liberazione lentamente cominciò a delinearsi l’entità del massacro. 13 giugno, la strage di Niccioleta Il 13 giugno 1944, i reparti tedeschi e fascisti irruppero a Niccioleta per punire i suoi abitanti che, come in molte zone del grossetano, avevano disertato di presentarsi ai posti di polizia fascisti e tedeschi di Massa Marittima, in seguito ad un manifesto affisso in tutti i comuni della provincia di Grosseto, firmato da Giorgio Almirante. Sei minatori (Ettore Sergentoni, con i figli Aldo e Alizzardo, Rinaldo Baffetti, Bruno Barabissi e Antimo Ghigi) vennero fucilati subito nel piccolo cortile dietro il forno della dispensa, largo non più di tre metri. Il minatore Giovanni Gai riuscì a fuggire nella macchia, grazie ad un attimo di distrazione di un fascista di Porto Santo Stefano, Aurelio Picchianti, che si stava arrotolando una sigaretta. Altri 150 operai furono portati a Castelnuovo di Val di Cecina, e la sera del 14 giugno, 77 minatori vennero giustiziati sulla strada per Larderello, 21 deportati in Germania e gli altri liberati. In tutto perirono nella strage 83 operai di Niccioleta. Tra i cadaveri si scoprì tempo a dietro che c’erano anche i componenti della famoso gruppo partigiano la “Banda di Ariano”: Gianluca Spinola, Vittorio Vargiu, Franco Stucchi Prinetti e Francesco Piredda assassinati dai nazifascisti sempre il 14 giugno. Elenco degli eccidi e delle stragi riconosciute (da Wikipedia) A Strage di Acerra Eccidi dell’alto Reno B Eccidio di Barletta Strage della Benedicta Eccidio di Bergiola Foscalina Eccidio della Bettola Strage della valle del Biois Massacro di Biscari Bombardamenti di Foggia del 1943 Eccidio di Borga Strage di Borgo Ticino Eccidio di Boves Eccidio di Braccano Bus de la Lum C Eccidio di Cadè Strage di Caluso Strage di Campagnola Strage del palazzo Comunale di Campi Bisenzio Strage di Canicattì Eccidio di Capistrello Strage di Castello Strage di Castiglione Strage di Cavriglia Eccidio del Colle del Lys Eccidio di Cravasco Strage di Cumiana E Eccidi di San Ruffillo Eccidio di Santa Giustina in Colle Eccidio de La Storta Eccidio dei conti Manzoni Eccidio dei XV Martiri di Madonna della Pace Eccidio del Castello dell’Imperatore Eccidio del Ponte dell’Industria Eccidio del pozzo Becca Eccidio dell’Aldriga Eccidio della caserma Mignone Eccidio della famiglia Arduino Eccidio delle Fosse Reatine Eccidio di Argelato Eccidio di Bari Eccidio di Cadibona Eccidio di Caffè del Doro Eccidio di Cavazzoli Eccidio di Cibeno Eccidio di Civitella Eccidio di Codevigo Eccidio di Crespino sul Lamone Eccidio di Gardena Eccidio di Guardistallo Eccidio di Maiano Lavacchio Eccidio di Malga Bala Eccidio di Massignano Eccidio di Monte Manfrei Eccidio di Monte Sant’Angelo Eccidio di Pessano Eccidio di Piavola Eccidio di Pietralata Eccidio di Portofino Eccidio di Pratolungo Eccidio di San Michele della Fossa Eccidio di San Piero a Ponti Eccidio di Schio Eccidio di Trivellini Eccidio di Valdagno Eccidio di Vallarega Eccidio di Vattaro Eccidio di via Aldrovandi Eccidio di Malga Zonta F Strage di Falzano Eccidio dell’aeroporto di Forlì Strage di Forno Strage delle Fosse del Frigido Eccidio di Fragheto G Bombardamento di Grosseto Strage di Grugliasco e Collegno L Eccidio di Salussola Strage di Lasa Strage di Leonessa M Martiri di Fiesole Martiri ottobrini Strage di Marzabotto Strage di Matera Strage della cartiera di Mignagola Strage della Missione Strassera Strage di Monchio, Susano e Costrignano Eccidio di Montalto Eccidio di Montemaggio N Eccidio di Nola O Operazione Ginny Operazione Piave Operazione Wallenstein P Eccidio di Procchio Eccidio del Padule di Fucecchio Strage di Pedescala Strage di Penetola Eccidio del Pian del Lot Eccidio di piazza Tasso Strage di Piazzale Loreto Eccidio di Pietransieri Eccidio di Ponte Cantone Eccidio del ponte di Ruffio Strage della Portela R Rastrellamenti di Villa d’Ogna Eccidio della Righetta Strage di Rionero in Vulture Eccidio della Romagna Eccidio di Ronchidoso Strage di Rovetta S Eccidio di San Giacomo Roncole Strage di San Polo Eccidio di Sant’Anna di Stazzema Eccidio di Scalvaia Strage del collegino di Sesto Fiorentino Strage di Solcio di Lesa Eccidio di Soragna Eccidio di Spino d’Adda Strage del Duomo di San Miniato Strage del pane Strage della caserma di Anghiari Strage della corriera fantasma Strage della famiglia Einstein Strage di Barbania Strage di Corrubbio Strage di Costa d’Oneglia Strage di Gorla Strage di Oderzo Strage di San Benedetto del Tronto Stragi di Ziano, Stramentizzo e Molina di Fiemme T Eccidio di Tavolicci Eccidio di Testico Eccidio del Torrazzo Strage di Treschè Conca Triangolo della morte (Emilia) Strage del Turchino U Strage di Serra Partucci V Eccidio di Valdobbiadene Eccidio di Vercallo Eccidio dell’ospedale psichiatrico di Vercelli Eccidio di Vinca http://contropiano.org/news/politica-news/2017/08/12/estate-1944-le-stragi-nazifasciste-non-dimenticare-094699?fbclid=IwAR0ypcv8T_o9uUEHrRgHMUtlhFrD2q1ENyloc1n1hniBh7yoPirhaUYc4Ns
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