#Violenza Istituzionale
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Di sovradeterminazione si può morire
Oggi e domani a Firenze trovate due giornate fitte di interventi interessantissimi e riflessioni necessarie. Avrei dovuto esserci anch’io ma ho dovuto arrendermi al panico da uscita e quindi condivido qui ciò che avrei raccontato loro. Spero partecipiate all’evento e che il mio scritto vi sia utile. Buona lettura! ——-/-///////////////::::::::::::::::::::;;;;;;;;;;;;;(((((((((( Da quando è…
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#Controllo#Corpi#Depressione#Diritti#Disturbi Alimentari#Modelli culturali#Rivendicazioni#Stereotipi#Violenza Istituzionale
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" [Giacomo Matteotti] Non ostentava presunzioni teoriche: dichiarava candidamente di non aver tempo per risolvere i problemi filosofici perché doveva studiare bilanci e rivedere i conti degli amministratori socialisti. E così si risparmiava ogni sfoggio di cultura. Ma il suo marxismo non era ignaro di Hegel, né aveva trascurato Sorel e il bergsonismo. È soreliana la sua intransigenza. La concezione riformista di un sindacalismo graduale invece non era tanto teorica quanto suggeritagli dall'esperienza di ogni giorno in un paese servile che è difficile scuotere senza che si abbandoni a intemperanze penose. Egli fu forse il solo socialista italiano (preceduto nel decennio giolittiano da Gaetano Salvemini) per il quale riformismo non fosse sinonimo di opportunismo. Accettava da Marx l'imperativo di scuotere il proletariato per aprirgli il sogno di una vita libera e cosciente; e pur con riserve poco ortodosse non repudiava neppure il collettivismo. Ma la sua attenzione era poi tutta a un momento d'azione intermedio e realistico: formare tra i socialisti i nuclei della nuova società: il Comune, la scuola, la Cooperativa, la Lega. Così la rivoluzione avviene in quanto i lavoratori imparano a gestire la cosa pubblica, non per un decreto o per una rivoluzione quarantottesca. La base della conquista del potere e della violenza ostetrica della nuova storia non sarebbe stata vitale senza questa preparazione.
E del resto, troppo intento alla difesa presente dei lavoratori, Matteotti non aveva tempo per le profezie. Più gli premeva che operai e contadini si provassero come amministratori, affinché imparassero e perciò nei varii Consigli comunali soleva starsene come un consigliere di riserva, pronto a riparare gli errori, ma voleva i più umili allo sperimento delle cariche esecutive. Non ebbe mai in comune coi riformisti la complicità nel protezionismo, anzi non esitò a rimanere solo col vecchio Modigliani ostinato nelle battaglie liberiste, che per lui non erano soltanto una denuncia delle imprese speculative di sfruttatori del proletariato, ma anche una scuola di autonomia e di maturità politica concreta nella sua provincia. Così procede tutta la cultura e tutta l'azione di Matteotti, per esigenze federaliste, dalla periferia al centro, dalla cooperativa al Comune, dalla provincia allo Stato. Il suo socialismo fu sempre un socialismo applicato, una difesa economica dei lavoratori, sia che proponesse sulla "Lotta" di Rovigo o nella Lega dei Comuni socialisti dei passi progressivi, sia che parlasse dall' "Avanti!" o dalla "Giustizia" a tutto il proletariato italiano, sia che come relatore della Giunta di Bilancio portasse nella sede più drammatica e travolgente il suo processo alle dominanti oligarchie plutocratiche. "
Piero Gobetti, Matteotti, Piero Gobetti Editore, Torino, 1924, pp. 25-27.
NOTA: il brano è tratto dall'opuscolo pubblicato alla fine del luglio del 1924, nel vivo della crisi politica ed istituzionale scatenata dalla tragica scomparsa del deputato Matteotti. Il testo riproduceva integralmente un lungo articolo comparso un mese prima con lo stesso titolo sulla rivista di Gobetti La Rivoluzione liberale, così come erano tratti da questa pubblicazione i Cenni biografici sullo scomparso posti in calce all'opuscolo.
#Giacomo Matteotti#Piero Gobetti#antifascismo#socialismo#PSU#PSI#marxismo#Gaetano Salvemini#Hegel#Georges Sorel#Henri Bergson#riformismo#riformisti#Veneto#Polesine#Rovigo#Partito Socialista Unitario#politica italiana#Storia d'Italia#XX secolo#gradualismo#sindacalismo#Karl Marx#proletariato#rivoluzione#intellettuali italiani del '900#Regno d'Italia#primo dopoguerra#letture#leggere
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Io non credo proprio che avere o meno una laurea sia esattamente il criterio con cui giudicare la preparazione di una persona in una materia. Abbastanza classista come posizione. Una persona può formarsi fuori dal sistema d'istruzione istituzionale. Facendo un esempio concreto e vissuto in prima persona, sono stata recentemente ad un incontro sulla violenza di genere dove una giornalista laureata che ha seguito diversi casi di femminicidio nella mia zona non credeva nell'esistenza del patriarcato...
guarda mi fa piacere che tu abbia deciso di impiegare del tempo della tua vita per commentare un post di tre righe come se esso potesse rappresentare il punto definitivo sul rapporto istruzione-effettiva competenza, non senza buttare lì anche un "ma hai detto una cosa classista", ché evidentemente in questi tempi si deve per forza vivere di emozioni forti.
a dire la verità, andando oltre la superficie (la butto lì: forse perché tre righe di post non sono sufficienti per esprimere un giudizio completo [né questa è mai stata la mia intenzione], né per esprimere gratuitamente un giudizio necessariamente incompleto sul summenzionato?), va a finire che sono più d'accordo con te che altro. il titolo di istruzione può voler dire ben poco. ce n'é finché vuoi di gente iper-titolata a cui non potresti lasciare in mano manco i soldi del caffè da reggere finché ti allacci le scarpe, da quanto è inetta. e, di contro, ci sono sia esempi eccellenti, sia più "ordinari" (che magari conosciamo nella vita quotidiana senza che diventino mai casi noti) di persone con cultura e competenze sconfinate, che non hanno "il pezzo di carta". non stiamo dicendo niente di nuovo, l'acqua è bagnata e il fuoco brucia, tanto per chiudere il cerchio.
in ogni caso, fermo restando quanto detto sopra, non è che proprio tutti possano dire proprio tutto, sempre e in ogni caso. non vai a farti curare dalla persona che si è formata individualmente, non ti fai costruire la casa da una persona che non ha studiato entro il sistema "canonico" ma ha davvero una grande grandissima passione per l'edilizia. e via dicendo. per fare determinate cose servono determinate competenze, le quali, spesso, si acquisiscono mediante uno o più percorsi di studi (o di formazione più empirica, a seconda, ma pur sempre di formazione si tratta - che non rientra nel campo dell'hobby). è una garanzia infallibile? assolutamente no. è però sensato esigere persone competenti, la cui competenza possa essere misurata (anche) secondo un metro di paragone convenzionale, seppur alle volte fallibile? secondo me sì. e il classismo magari lo lasciamo da un'altra parte, ché tanto ne è già pieno il mondo
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CRONACHE RIBELLI
Si sta scrivendo molto dell'aggressione perpetrata da militanti di Azione Studentesca, sigla riconducibile alla galassia dell’estrema destra, a danni di alcuni studenti del liceo fiorentino Michelangelo. Le ultime notizie ci parlano di una delegazione di Azione Studentesca ricevuta in pompa magna da esponenti della maggioranza dopo l’insediamento dell’esecutivo Meloni.
Il fatto non ci stupisce. Come scritto più volte, la trentennale apertura politica a questi soggetti non può che peggiorare in questo frangente.
Chi conosce un po’ di storia dello squadrismo fascista può tranquillamente rivedere nell’azione di pochi giorni fa il modus operandi che contraddistingue il movimento fin dalle origini. La pratica di portare un gruppo di militanti in un contesto respingente, come quello di scuole in cui sono largamente prevalenti gli studenti antifascisti, ricorda chiaramente le provocazioni praticate nei luoghi di lavoro, nelle sedi sindacali e nelle manifestazioni operaie nel biennio 1919-1921, oltre ovviamente alle provocazioni tipiche degli anni ‘70 praticate da gruppi neofascisti. L’obiettivo è di cercare la contestazione, o anche solo il semplice rifiuto - oggi di un volantino, in passato era di cantare l’inno nazionale o magari indossare un gagliardetto tricolore - per scatenare una violenza già ampiamente programmata. Una violenza puntuale, facilitata dalla superiorità numerica del momento e seguita, ieri come oggi, dalla fuga. Il muoversi in manipoli, che chiaramente sono composti da elementi estranei all’ambiente in cui si porta avanti “l’azione”, serve proprio a questo: aggredire con la sicurezza dell’impunità.
Nel caso specifico è bastato che un solo ragazzo antifascista - a cui va la nostra piena totale e incondizionata solidarietà poiché sarà sicuramente oggetto di una prossima repressione - reagisse, difendendo un compagno che mentre era a terra veniva selvaggiamente picchiato, per farli fuggire.
Insomma uno contro sei, sette, forse dieci e sono scappati.
Come storicamente sono scappati nel biennio rosso davanti ai lavoratori ogni volta che non hanno avuto dalla loro il supporto delle forze dell’ordine e la copertura istituzionale, o ancora nel ‘43-’45 davanti ai partigiani senza le armi o l’aiuto dell’alleato nazista.
Onestamente non ci accoderemo alla litania mediatica già sentita sui “ragazzi di Salò”, che nel lato specifico diventa “sono ragazzini traviati”. No, sono dei criminali politici, come lo erano i loro giovani omologhi in passato, senza alcuna attenuante, che si nascondono dietro la retorica “della non conformità al sistema” quando ne sono la più alta espressione.
Ieri come oggi non li vedrete mai presentarsi davanti ai luoghi dei potenti, fronteggiare chi sfrutta, opprime e affama la povera gente, ma sempre e solo usare la becera violenza nei confronti delle categorie sociali più marginali o di quei soggetti, come gli studenti, che alimentano i movimenti e promuovono il cambiamento sociale.
Perché in fin dei conti, nel passato come nel presente, restano sempre dei servi.
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Il presidente argentino Milei si propone come modello di governo della crisi economica, sociale, politica ed ecologica attraverso la rottura di ogni consenso sociale e politico e di ogni regola del potere (democraticamente) costituito
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Già dalle prime misure varate subito dopo la sua assunzione ufficiale dell’incarico, in una cerimonia celebrata per la prima volta nella storia in piazza e voltando intenzionalmente le spalle al congresso, Milei ha mostrato la sua avversione per ogni procedimento formale costituzionale, presentando un pacchetto di quasi 900 leggi per mutare radicalmente l’assetto giuridico-istituzionale dello Stato argentino mediante un Decreto Nazionale di Urgenza (Dnu) e una Legge Omnibus. Si tratta di due maxi-provvedimenti emessi con procedura di urgenza in modo da bypassare i meccanismi democratici formali tipici di ogni democrazia parlamentare. Il processo Milei incarna un progetto autoritario e messianico (non si sottovaluti la conversione all’ebraismo ortodosso del presidente) di rifondazione istituzionale, un reale «processo di riorganizzazione nazionale», l’espressione usata da primo comunicato della giunta militare nel 1976 e ripresa dallo stesso Milei durante il suo discorso di insediamento. Il Dnu è già entrato in vigore da quasi un mese e mezzo, e potrà essere revocato soltanto dai tribunali. Proprio in questi giorni la legge omnibus è stata respinta dal parlamento, nonostante l’opposizione friendly del Pro di Macri, della vecchia Ucr e del peronismo di destra, e dovrà tornare nelle commissioni. Questi due provvedimenti sono stati accompagnati da un terzo – il cosiddetto Protocollo Repressivo della ministra della sicurezza, Patricia Bullrich – che autorizza la violenza statale e cioè la sorveglianza, la prevenzione arbitraria e soprattutto la repressione poliziesca indiscriminata di ogni manifestazione pubblica di dissenso, di ogni blocco di strade a causa di proteste, così come l’aumento delle pene di reclusione per reati politici. Già nelle prime manifestazioni di opposizione al governo abbiamo visto scene – arresti indiscriminati, attacchi feroci e intimidatori delle forze dell’ordine ai manifestanti e anche alla stampa – che non si vedevano dagli anni più bui della storia del paese. Da notare che il protocollo è divenuto operativo prima della sua approvazione in parlamento. Un’eccezione che opera in uno stato di eccezione più ampio.
L’agenda di governo del processo Milei eccede anche qualsiasi tentativo di comprensione attraverso categorie economicistiche, anche tipicamente neoliberali, come austerity, aggiustamento strutturale, azzeramento del deficit fiscale, riduzione del debito pubblico, ecc. Nella sua essenza è un tentativo di cambiare, secondo una modalità autoritaria e intransigente, la costituzione materiale dello Stato-nazione, ovvero di eliminare qualsiasi tipo di regolazione istituzionale della vita sociale e ambientale per favorire in modo dispotico non il «libero mercato», bensì la produzione di valore, la speculazione e la rendita finanziaria, l’appropriazione di terre da parte di grandi proprietari e corporazioni e l’estrattivismo in tutte le sue dimensioni, senza alcun tipo di mediazione (giuridica, sindacale, ecc.). Si tratta di un modello di società di tipo pre-contrattualista, un modello di accumulazione brutale fondato sull’assurda concezione secondo cui la società è fatta soltanto dal libero scambio tra individui. Da qui la sua infatuazione per Margaret Thatcher. Così, con i suoi due decreti fondativi, sommati a una svalutazione della moneta del 120%, alla liberalizzazione dei prezzi dei generi alimentari, dei farmaci e dei contratti per gli affitti, alla cancellazione di ogni sussidio statale al trasporto e ai servizi pubblici (acqua, luce, gas, ecc.) e al blocco delle opere pubbliche, il processo Milei si è tradotto in uno dei più brutali trasferimenti di ricchezza di tutta la storia argentina dalle classi popolari all’oligarchia agro-finanziaria. Le statistiche in questi mesi registrano un calo del consumo dei generi alimentari di prima necessità del 40%, insieme a un crollo del 40% degli acquisti di farmaci essenziali. Un’estrazione feroce su una popolazione socialmente già allo stremo, dopo tre anni di inflazione galoppante.
È questo il primo risultato di un’applicazione sadica, fanatica e alla lettera della terapia dello «shock economico» di Milton Friedman, il quale sosteneva che la rifondazione in senso neoliberale di una società doveva avvenire nei primi sei mesi di governo e, se possibile, nel pieno di una grave crisi economica. E tuttavia il «messianismo neoliberale» di Milei non è del tutto comprensibile al di fuori della storia coloniale dell’Argentina. Sta qui la sua principale differenza con i sovranismi del Nord globale. Il processo Milei affonda il suo immaginario politico nel progetto del «colonialismo d’insediamento» razziale delle élites bianche creole argentine di fine Ottocento, ovvero in un paese oligarchico governato da un blocco sociale agro-esportatore liberale e assai vincolato al capitalismo finanziario internazionale dell’epoca, e quindi fondato sulla negazione ed esclusione strutturale delle masse autoctone. Il processo Milei trae buona parte della sua linfa culturale da questa Argentina coloniale e pre-peronista, ovvero da un modello di paese costruito su un genocidio di stato e cioè sull’esclusione e repressione dei «gauchos» e delle masse proletarie meticce, e sullo sterminio pianificato dei popoli indigeni e degli afro-discendenti. Il «ritorno all’Argentina potenza» invocato da Milei, la sua santificazione di una personalità storica come Juan Bautista Alberdi (1810-1884), sta a significare un ritorno messianico a questa sorta di «paradiso adamico» rappresentato da un paese fondato sul terrorismo di stato, ovvero su un progetto volutamente omicida di «bianchizzazione» della popolazione. Sta qui il senso della prima frase enunciata da Milei durante la cerimonia di assunzione: «È finita la lunga notte populista, viva la libertad carajo!». Milei vede la storia post-peronista come una storia di progressiva decadenza economico-culturale; e questa decadenza, nella sua enunciazione, è dovuta ai diversi tentativi populisti di inclusione del cosiddetto «subsuelo de la nacion» (il proletariato autoctono e meticcio) nella grammatica istituzionale della cittadinanza moderna, e attraverso la redistribuzione della ricchezza. È su questo sfondo della storia nazionale che va interpretata una delle sue enunciazioni più note: «Qualsiasi tentativo di giustizia sociale è un’aberrazione». Non può sorprendere dunque se nel processo Milei si cercherà di azzerare, prima o poi, come peraltro già annunciato, le importanti ed esemplari conquiste di trent’anni di lotta per i diritti umani, per la Memoria, la Verdad y la Justicia, riguardo ai delitti di lesa umanità commessi dal terrorismo di Stato durante l’ultima dittatura civico-militare tra il 1976 e il 1983 finita con 30mila desaparecidos. Da quanto detto, inoltre, non è difficile intuire che lo schieramento internazionale con Stati uniti e Israele, e l’uscita dai Brics, già annunciati da Milei, non obbediscono soltanto a ragionamenti puramente geopolitici, o semplicemente ideologici, e meno che mai economici, poiché Cina e Brasile sono i principali partner economici dell’Argentina, ma ha radici piuttosto profonde.
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Pisa, 27 ottobre 1969 Cesare Pardini ucciso dalla polizia
Ottobre 1969 a Pisa è un mese di violenza fascista e risposta antifascista.
Per il pomeriggio del 27 viene indetta una manifestazione da parte dei sindacati e dei partiti della sinistra istituzionale per dare un risposta alle aggressioni fasciste dei giorni precedenti.
Il corteo, che aveva visto sfilare per le vie cittadine più di 10’000 persone, si conclude con un comizio finale, con l’intervento del sindaco socialista Fausta Cecchini
Il corteo, che aveva visto sfilare per le vie cittadine più di 10’000 persone, si conclude con un comizio finale, con l’intervento del sindaco socialista Fausta Cecchini.
Diverse centinaia di manifestanti però si allontanano dalla piazza del comizio e decidono di dirigersi nuovamente verso la sede dell’Msi. I manifestanti cercano di forzare il blocco della polizia, che blocca le vie limitrofe.
Le cariche sono molto violente, i feriti saranno poi parecchie decine. I poliziotti sparano decine di lacrimogeni.
Cesare Pardini, studente di Legge di 22 anni, viene colpito a morte in pieno petto da un candelotto, sul lungodarno Gambacorta, vicino alla spalletta dell’Arno. Stava osservando la scena con un amico.
La questura dichiara subito che Pardini è morto d’infarto, le cariche della polizia non c’entrano nulla. Pochi giorni dopo l’autopsia stabilirà ufficialmente che la morte è avvenuta per “trauma toracico sopravvenuto dopo violento colpo subito all’altezza della regione cardiaca”.
I giornali dei giorni successivi sosterranno la tesi dell’infarto e si lanceranno contro i militanti di Potere Operaio, colpevoli di “aver fatto degenerare una civile manifestazione”. Sulla stessa lunghezza d’onda saranno anche i partiti della sinistra istituzionale che firmeranno un documento, proposto dallo stesso sindaco, che “ringrazia la cittadinanza per la grande e compatta manifestazione di ieri, condanna senza mezzi termini gli estremisti di Potere operaio, «che hanno strumentalizzato e distorto la manifestazione» ” (da “La Stampa” del giorno successivo).
A fine corteo la polizia farà 8 arresti, di questi tre sono operai, gli altri studenti.
Due giorni dopo, il 29 ottobre, più di 3000 persone parteciperanno ai funerali di Cesare Pardini.
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1. La cassa integrazione straordinaria fino al dicembre 2023 pone fine a 7 mesi senza stipendio. Non è una cassa per cessazione d’attività. (...) L’assedio, almeno sul reddito, è rotto. Torniamo a respirare, dopo che hanno provato in tutti i modi a soffocarci.
2. Le buone notizie però finiscono qua. Da festeggiare non c’è nulla. (...) Si è consumato un atto di violenza sociale. E soprattutto, si è consumato un precedente pericoloso per i diritti dell’intero mondo del lavoro.
3. Questa cassa è in deroga a qualsiasi regola finora conosciuta. Dimostra che il Governo poteva tutto e che nulla ha fatto. Potevano chiudere la partita del nostro reddito in qualsiasi momento, in cinque minuti e con decretazione d’urgenza. Hanno atteso mesi. (...)
4. Si sancisce il principio che si può non pagare gli stipendi. E che si può non farlo per mesi. (...)
5. Avvertiamo da subito: in un mondo che corre verso la stretta creditizia, questo precedente contribuirà ad aumentare il numero di aziende che semplicemente smette di pagare gli stipendi. (...)
6. (...) Ora si riaprirà la danza dei tavoli istituzionali. La domanda resta però: che valore ha firmare accordi con chi non li rispetta e senza che nessuno agisca per farli rispettare?
7. Siamo a tutti gli effetti arrivati a due anni interi di cassa integrazione. Fatto una volta, lo si può fare altre volte. Il Governo ha deciso di nazionalizzare di fatto i nostri stipendi. Ma non sta facendo niente sulla politica industriale che servirebbe per far ripartire l’azienda. (...)
8. E noi da tempo chiediamo che vengano messe a disposizione del progetto che stiamo elaborando, l’unico in campo oggi, tutti gli strumenti di valutazione e di controllo da parte istituzionale, comprese le leve finanziarie previste, per poterlo mettere a terra, noi chiediamo che a questo punto lo stato entri nell’intero processo di reindustrializzazione. (...)
9. (...) Chi parla di reindustrializzazione, fornisca risposte puntuali. Perché se non sei chiarezza, sei parte della confusione. E la confusione serve a generare divisione. La divisione genera rassegnazione. La rassegnazione è solo il preludio della resa.
TESTO COMPLETO in GRAFICHE POST
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Margot Wallström
Le società con parità di genere godono di migliore salute, una più forte crescita economica e maggiore sicurezza, oltre a contribuire alla pace.
Si parte dal principio delle tre R: rights, representation e resources, diritti, rappresentazione e risorse.
Per “diritti” si intende il promuovere e affrontare le principali emergenze in materia di parità di genere, come la discriminazione e la violenza sulle donne. Con la seconda R, quella della “rappresentazione”, si punta a garantire la presenza delle donne nei ruoli decisionali, sia pubblici che privati. Infine, con “risorse” si intende la possibilità di distribuire equamente fondi e, appunto, risorse tra uomini e donne.
Margot Wallström è stata Ministra degli Affari Esteri della Svezia dal 2014 al 2019.
Appartenente al Partito Socialdemocratico, ha avuto una lunga carriera nel parlamento svedese e nella Commissione Europea apportando significativi contributi per la tutela dell’ambiente e i diritti delle donne.
È stata la prima rappresentante speciale delle Nazioni Unite sulla violenza sessuale nei conflitti dal 2010 al 2012, Vicepresidente della Commissione europea, Commissaria per le relazioni istituzionali e la strategia di comunicazione, Commissaria europea per l’ambiente e Ministra per la tutela dei consumatori, donne e gioventù.
È stata la prima ministra degli esteri di un paese dell’Unione Europea a voler riconoscere la Palestina come Stato.
Nata a Skellefteå, il 28 settembre 1954, è scesa in politica a soli diciannove anni, a venticinque era già stata eletta al Parlamento.
Nel 2006 è stata votata come la donna più popolare in Svezia, battendo reali e atleti.
L’anno seguente ha presieduto il Consiglio delle donne leader mondiali.
Nel 2009, sempre al Parlamento Europeo, nella commissione guidata da José Barroso è stata vice presidente e responsabile delle Relazioni Istituzionali.
Nel 2014 è diventata ministra degli Affari Esteri nel governo svedese di Löfven I promettendo una politica femminista.
Durante il suo mandato è riuscita a inimicarsi l’Arabia Saudita criticando la mancanza dei diritti delle donne nel paese e minacciando di revocare l’accordo di esportazione di armi. L’incidente diplomatico è stato appianato dal re di Svezia in persona.
Successivamente si è schierata contro le politiche israeliane nei confronti della popolazione palestinese ed è stata dichiarata antisemita e non gradita nello stato di Israele.
Ha contestato anche le politiche turche rispetto al sesso tra minori e per l’accanimento contro la popolazione curda.
Come ministra degli esteri non si è certo distinta per la sua diplomazia, anche se ha dovuto arretrare su alcune dichiarazioni per mantenere il suo ruolo istituzionale.
Nel 2015 ha fatto parte del Comitato per il finanziamento umanitario dell’ONU, in preparazione del World Humanitarian Summit.
Margot Wallström è una donna che non si è fatta spaventare da niente e da nessuno.
Per prima ha aperto un blog al Parlamento Europeo, un luogo aperto dove confrontarsi su temi politici.
È stata insignita con numerosi premi, ha ricevuto diverse lauree ad honorem ed è presidente del Consiglio dell’Università di Lund.
Attualmente è nel direttivo di diverse no profit per la tutela dei diritti umani, di genere e ambientali.
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Tanti anni fa, in previsione di una mostra che si sarebbe tenuta in un bel palazzotto della mia città, io e una mia amica (che ora non è più mia amica) realizzammo una storia che parlava della violenza sulle donne.
Dopo averla visionata, l'allora assessore al sociale pretese che la cambiassi perché riteneva che "il sesso come strumento di guarigione per una donna che aveva subito degli abusi suonava come una scelta di cattivo gusto, inautentica", in pratica una non-soluzione. La mia amica naturalmente si arrabbiò, e io cercai di seppellire la discordia disegnando una nuova tavola a mo' di compromesso.
Avrei voluto dire di più, ma così avrei finito per rivelare cose che solo alla mia amica spettava condividere.
Considerata la vapidità dell'arte "istituzionale", in cui ogni dettaglio sembra il rehearsal di una pubblicità dell'Esselunga, e della realtà di oggi, dove alcune femministe si indignano per dichiarazioni di altre donne che non parlano per frasi fatte ma per esperienza, penso che quella volta stessimo già grattando la superficie di un problema più ampio.
Se avessi potuto, avrei detto che forse sarebbe opportuno lasciare che a esprimersi siano le persone che le violenze le hanno subite, anziché preoccuparsi del parere della gente o della sottile differenza tra buono e cattivo gusto. Che l'arte non è solo aulica rappresentazione e rigore formale, che per necessità (e per sua natura) dev'essere sporca, brutale, sgradevole, soprattutto se si fa portavoce di un malessere sepolto, diventando o nascendo in quanto atto politico.
Questo avrei voluto dire, e anche se adesso la mia amica non c'è più (perché io non esisto più per lei) a volte la penso, consapevole del fatto che il suo male l'ha segnata in profondità, ma non l'ha mai definita. Perché lei è più grande del suo male.
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Slovacchia, il premier Fico ferito a colpi di pistola
Slovacchia, il premier Fico ferito a colpi di pistola. Il premier slovacco Robert Fico è stato ferito a colpi di arma da fuoco subito dopo la riunione di governo a Handlova, vicino Bratislava. Lo riferisce la Bbc. Fico è stato colpito davanti a un centro culturale della città, dove si era tenuto un vertice istituzionale. Secondo i giornalisti presenti sul posto, sono stati uditi diversi spari. Il leader slovacco è stato portato in ospedale, ma non sono emersi dettagli sulle sue condizioni. Il presunto aggressore che ha sparato al premier Fico è stato arrestato dalla polizia, Lo riferiscono sempre i media britannici. Fico sarebbe stato colpito all'addome, al petto e ad un arto da almeno 3-4 colpi d'arma da fuoco e sarebbe stato trasportato in eliambulanza in ospedale. L'attentatore, che si nascondeva tra la folla radunata davanti all'edificio dove stava parlando il primo ministro, sarebbe stato fermato da alcuni passanti e dalle forze di sicurezza. La presidente slovacca, Zuzana Caputova, ha immediatamente condannato l'attacco al primo ministro. "Sono scioccata. Auguro a Robert Fico tanta forza in questo momento critico per riprendersi dall'attacco", ha scritto il capo dello Stato in un messaggio su Facebook. La premier Giorgia Meloni ha «appreso con profondo sconcerto la notizia del vile attentato a Fico». «Tutti i miei pensieri sono per lui, la sua famiglia e l'amico popolo slovacco. Anche a nome del governo italiano - ha aggiunto la Presidente del Consiglio - desidero esprimere la più ferma condanna di ogni forma di violenza e attacco ai principi cardine della democrazia e delle libertà». Condanna dell'attentato anche da parte della Presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen: "Condanno fermamente il vile attacco al primo ministro Robert Fico. Tali atti di violenza non hanno posto nella nostra società e minano la democrazia, il nostro bene comune più prezioso. I miei pensieri sono rivolti al primo ministro Fico e alla sua famiglia", ha scritto su X.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Opera di scarso valore.
Il film, splendido, di Paola Cortellesi ha incassato in poche settimane più di 20milioni di euro, il film italiano più visto nelle sale, che, come si sa, sono in forte sofferenza.
Riceve quotidianamente riconoscimenti, premi, elogi, tranne da Adinolfi, ma una critica di Adinolfi è utile come una banana per fare la carbonara.
È uno splendido affresco sulla famiglia, spiace dirlo, patriarcale, sulla violenza sulle donne, sulla condizione delle donne.
Molto intelligentemente è ambientato nel passato, ma è solare che parla al presente e forse anche al futuro.
Tutto ottimo, tutto strameritato, tutto bellissimo.
E si potrebbe davvero farlo vedere nelle scuole e aprire un importante ed utile dibattito tra gli studenti su temi di così scottante attualità, purtroppo.
Il problema è che è una “Opera di scarso valore”.
È il ministero della Cultura a dirlo, infatti negò i finanziamenti al film della Cortellesi.
Il ministero della Cultura di cui è titolare Sancoso, quello che giudica i libri senza leggerli e fa pubblicità istituzionale al libro di Gioggia.
Sancoso, quello che ha iniziato nel Movimento Sociale, che ha scritto per Feltri, IL Giornale, Libero ed Il Foglio.
Ecco, questo Coso qui e il suo ministero non hanno capito il valore del film italiano più visto dell’anno negandogli i finanziamenti.
Questi non riconoscerebbero un diamante da un sasso.
Questi sono talmente inadeguati, incapaci, arroganti e cialtroni che qualsiasi cosa tocchino non la trasformano in oro, ma in materia organica di scarto.
E viene da chiedersi quante altre opere di registi o registe italiane non hanno visto la luce, in un momento di crisi del nostro cinema, perché ritenute da Sancoso e soci “opere di scarso valore
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Uomo bianco salva donna nera: il recupero istituzionale che maschera razzismo
Avete presente il precedente post sul reality di polizia e body cam che invisibilizza le vittime di violenza domestica? Scorrendo tra i video ne ho finalmente trovato uno in cui la vittima è presente. Indovinate un po’? È afroamericana è l’uomo da cui è stata protetta era il suo ex ucciso nel corso dell’intervento poliziesco. Continue reading Untitled
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#Contrattacco Maschilista#Cultura Patriarcale#Fascismi#Femminicidio#Femminismo Intersezionale#Intersezionalità#Paternalismo#Razzismo#Stereotipi#Violenza di Genere#Violenza Istituzionale
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Ministro Locatelli: "Il 66% delle donne con disabilità ha subito violenza"
24 novembre 2023 11:24 “Il tema è frequentissimo e poco capito. C’è un lavoro da fare affinché si arrivi a una cultura del rispetto che deve partire anche dai più piccoli” “Arrivare a cultura del rispetto” Secondo il ministro Locatelli, dunque, “c’è un lavoro da fare, e oltre che con le associazioni è importante unire le forze anche a livello istituzionale, con la ministra Roccella, il…
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In assenza di una cornice istituzionale di strutture « arboretiche » (per usare la metafora di Deleuze e Guattari), la socialità corre il rischio di tornare alle sue manifestazioni « esplosive », le quali si diffondono rizomaticamente e germinano formazioni di vario livello o durata, ma inevitabil. mente instabili, fortemente contestate e prive di fondamenta affidabili, eccezion fatta per le frenetiche, passionali azioni dei suoi adepti. L'endemica instabilità delle fondamenta dovrebbe trovare una forma di compensazione. Una complicità attiva (volontaria o imposta che sia) in crimini che solo la perpetua esistenza di una « comunità esplosiva » può giustificare e prosciogliere è la soluzione più probabilmente deputata a riempire il vuoto. Le comunità esplosive necessitano di violenza per nascere e di violenza per restare in vita. Necessitano di nemici che minacciano la loro estinzione e di nemici da poter collettivamente perseguire, torturare e mutilare, al fine di trasformare ogni membro della comunità in un accessorio di quello che, qualora la battaglia fosse persa, verrebbe quasi certamente dichiarato un crimine contro l'umanità, perseguito e punito.
Modernità liquida, Z. Bauman, 1999
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Ieri c'è stato un lingo dibattito tra le femministe sulla GPA a Roma.
Hanno anche citato questo lavoro della dottoressa K.Swanson ma lo hanno completamente travisato:
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC7822970/
Questa è l'unica review sui rischi per la gestante per altri paragonata alle inseminazioni artificiali (omologa o eterologa, ossia con sperma del marito o di un donatore), ma anche con la popolazione generale.
I rischi maggiori sono ovviamente per l'inseminazione artificiale perché in quel caso le donne sono nullipare ed hanno già problemi di fertilità.
No n ci sono per la gestante differenze rispetto alla popolazione generale.
La dottoressa K. Swanson spiega anche che gli studi contro la GPA hanno il difetto di non essere mai fatti con i controlli sulla popolazione generale e quindi contano il rischio delle gravidanze come specifico della GPA mentre è uguale a quello Sella popolazione generale.
Questa altra Review presenta invece delle Linee Guida a protezione della Salute della Gestante sia per Gestazione per Altri sia per Inseminazioni Artificiali (IVF)
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC6352361/
(1) sebbene non vi fossero prove a sostegno, l'assistenza prenatale per le gravidanze ART dovrebbe essere fornita da specialisti con conoscenze in ostetricia;
(2) le gravidanze multiple di ordine elevato rappresentano il maggior rischio di ART e dovrebbero essere discusse le opzioni di riduzione selettiva; (è la legge 40 ad imporre in Italia gli impianti multipli...)
(3) vi sono alcune prove di un aumento del rischio di anomalie congenite e si raccomanda lo screening genetico e anatomico prenatale, specialmente nelle gravidanze IVF-ICSI;
(4) a causa della mancanza o di prove contrastanti, si raccomanda che il trattamento del tromboembolismo venoso, la terapia antitrombotica, il trattamento dell'ipotiroidismo e le donne con anticorpi tiroidei positivi siano gli stessi delle gravidanze spontanee;
(5) dal momento che un aumento del livello di disagio è una caratteristica riconosciuta in queste gravidanze, dovrebbero essere prese in considerazione l'assistenza psicosociale e la consulenza psicologica. (oppure interrompere la violenza istituzionale della legge 40, delle femministe contro la GPA, dell'assurdo reato universale ecc.)
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