#STATUTO DI ROMA
Explore tagged Tumblr posts
Text
Giustizia Internazionale per donne vittime di stupri in Ucraina
Giustizia Internazionale per le donne vittime di stupri in Ucraina. Tavolo tecnico coordinato dal Ministero degli Esteri e Pari Opportunità sulla protezione delle donne, uomini e bambini vittime di violenza. Come assicurare alla giustizia internazionale i colpevoli dei crimini compiuti dall’inizio del conflitto.
#ANTONIO TAJANI#CONVENZIONE DI VIENNA#COOPERAZIONE ITALIANA ALLO SVILUPPO#CORTE PENALE INTERNAZIONALEALE#CRISTINA MONTAGNI#DONNE#DONNE PACE SICUREZZA#GIUSTIZIA INTERNAZIONALE#GUERRA UCRINA#MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI#NAZIONI UNITE#SFRUTTAMENTO SESSUALE#STATUTO DI ROMA#STUPRI DI GUERRA#VIOLENZA CONTRO LE DONNE#VITTIME DI GUERRA#WOMEN FOR WOMEN ITALY#WOMENFORWOMENITALY
1 note
·
View note
Text
Corte penale, l’autogol di Kiev e il doppio standard del diritto
Luigi Daniele
Ucraina/Russia. Zelenksy chiede l’adesione allo Statuto di Roma ma invoca l’articolo 124: nessuna indagine nei prossimi sette anni. A restare fuori, però, non sarebbero solo eventuali crimini ucraini: “via libera” anche a quelli russi commessi sul territorio del paese invaso. Torna l’idea di regole internazionali à la carte, buone solo quando servono contro i nemici
Nel 1945 il giudice che avrebbe servito come procuratore capo americano a Norimberga, Robert Jackson, criticando i profili di «giustizia dei vincitori» che le giurisdizioni penali internazionali avrebbero mantenuto da allora per molti decenni, dichiarò alla Conferenza di Londra: «Non possiamo codificare norme penali contro gli altri che non saremmo disposti a vedere invocate contro di noi».
Sembra questa, al contrario, la scelta del governo Zelensky, che ha ottenuto ieri dalla Verchovna Rada l’approvazione della propria proposta di legge di ratifica dello Statuto di Roma della Corte penale internazionale (Cpi). La legge contiene l’invocazione dell’articolo 124 dello Statuto, che stabilisce che «uno Stato che diviene parte al presente Statuto può, nei sette anni successivi all’entrata in vigore dello Statuto nei suoi confronti, dichiarare di non accettare la competenza della Corte per quanto riguarda la categoria di reati di cui all’articolo 8 quando sia allegato che un reato è stato commesso sul suo territorio o da suoi cittadini».
LA PROCURA della Cpi, giova ricordarlo, dal 2022 ha considerato la situazione in Ucraina una priorità assoluta, stanziando la più alta cifra del proprio budget (4,5 miliardi di euro) per le indagini, assegnandovi 42 investigatori, organizzando numerose visite in situ del procuratore e aprendo un country office nel paese. Un paese, però, che non aveva mai ratificato lo Statuto, essendosi limitato a una dichiarazione ad hoc di accettazione della giurisdizione della Corte sul proprio territorio e sui propri cittadini nel 2014 e nel 2015 (una sorta di invocazione di intervento della Cpi consentita anche agli stati che non ratificano il suo trattato istitutivo).
L’Ucraina si è trovata nella singolare posizione di essere al vertice delle priorità della Corte, pur non essendo uno Stato parte. La richiesta di aderire al sistema Cpi ridimensiona questa anomalia, aggiungendone però una ancor più stridente: l’invocazione della clausola dell’articolo 124, ovvero una richiesta di temporanea immunità per crimini internazionali eventualmente commessi da propri cittadini o, problematicamente, sul proprio territorio.
Relitto dei compromessi del 1998, anno in cui lo Statuto istitutivo della Corte fu approvato, l’introduzione dell’articolo 124 fu voluta dalla Francia, che minacciava di non firmare se non fosse stata inserita questa clausola, funzionale a tenere il proprio territorio e i propri cittadini «al riparo» dalla giurisdizione della Corte per sette anni dall’adesione.
L’articolo 124 apparì subito così contrario allo spirito dello Statuto che fu immediatamente destinato (come specificato nell’articolo stesso) a essere emendato nella prima conferenza di revisione del trattato. Nel 2015, quindi, l’Assemblea degli stati parte ha approvato un emendamento di cancellazione dell’articolo, che entrerà in vigore se sostenuto dai sette ottavi degli stati parte (tra quelli che hanno già acconsentito alla cancellazione figura la stessa Francia).
Nella speranza di mettere al riparo propri cittadini da possibili responsabilità per crimini di guerra, quindi, Kiev ha optato per la clausola in via di cancellazione. Tuttavia, anche se accettata, la clausola non potrebbe essere applicata retroattivamente.
QUELLO dell’Ucraina potrebbe rivelarsi un clamoroso autogol: se l’articolo 124 fosse applicato, non escluderebbe solo la giurisdizione della Corte su possibili crimini di guerra commessi da cittadini ucraini, ma anche su crimini di guerra commessi su suolo ucraino, inclusi quelli contestati alla leadership e alle forze russe. L’articolo parla di crimini di cui sono sospettati cittadini dello Stato e di crimini la cui commissione è sospettata sul territorio dello stato. È indubbio che i crimini di guerra contestati a Putin, Lvova-Belova e ai comandanti delle forze russe rientrino in tale categoria.
Le implicazioni di questo tentativo, tuttavia, non si limitano ai gravi rischi di effetti controproducenti per il diritto alla giustizia delle stesse vittime ucraine. Segnalano, più profondamente, una riproduzione dell’approccio tipico degli Stati uniti al diritto internazionale penale: ci si indigna per i barbarici crimini internazionali dei nemici, proclamando a reti unificate la necessità morale della loro punizione, mentre si mantiene in vigore nella propria legislazione la cd. «Legge di Invasione dell’Aja», che autorizza all’uso della forza armata per liberare cittadini americani o di stati alleati imputati di crimini internazionali e in custodia della Corte.
Persino le norme più elementari di diritto internazionale, ovvero quelle funzionali alla prevenzione e punizioni dei crimini di massa (e di Stato) si dichiarano senza infingimenti buone solo per i nemici e simultaneamente inapplicabili a se stessi.
TRAMONTA così il nucleo di tre secoli di sviluppo della tradizione giuridica illuministico-liberale, cardine dei modelli democratici di giustizia penale, che esigono che sia il tipo di condotta, con il danno sociale che produce e non il tipo di autore, a essere al centro dell’attenzione dei codici penali e delle istituzioni punitive. Al contrario, l’enfasi sui tipi di autore – identificati di volta in volta come nemici «della razza», «della patria» o «della rivoluzione» – fu il tratto distintivo dei modelli punitivi delle esperienze autoritarie e totalitarie.
È un paradosso degno del regresso a cui la guerra ci condanna che siano proprio le forze che si proclamano a difesa delle democrazie a formalizzare e istituzionalizzare nuovi modelli di diritto del nemico, che globalizzano l’etica della diseguaglianza di fronte alla legge e forgiano politiche internazionali che riducono il diritto a strumento di guerra ibrida.
Il nemico totale, la guerra e il diritto del nemico totale sono stati i motori della distruzione della democrazia nel Novecento. Piaccia o meno, è solo l’ultimo a mancare all’appello nell’attuale discorso dominante delle democrazie occidentali. Guerra e democrazia, è una legge della storia, si combattono sempre, spesso all’ultimo sangue. Caduto il bastione dell’eguaglianza di fronte alla legge, anche crimini internazionali e genocidi potranno essere crimini buoni e giusti, purché a commetterli sia la nostra tribù, la tribù delle democrazie.
8 notes
·
View notes
Text
PRESSURE GOVERNMENTS TO DEMAND A CEASEFIRE
Europe is once again facing a turning point in terms of freedom of expression and speech: both are critically being threatened by faux democratic governments that are gradually revealing their imperialist filo-fascist nature.
European politicians and political parties are very much willingly turning a blind eye to the unconceivable monstrosities and horrors of genocide, ethnic cleansing, settler-colonial violence being perpetrated by the Ethnostate of Isra(h)el(l). And they are attempting to oppress and suppress the people's voices through violence and threats.
Social and political pressure MUST be exerted by the people on our representatives and there is very little time left to do so. We either react now, or we become complicit with state-backed mass annihilation of Palestinians and what remains of Gaza.
I'd like this post to act as a loudhailer for various resources, so please reblog with whatever valuable information and contacts you can - I'll begin by posting a letter, in Italian, that can be sent to varies addresses, demanding an immediate ceasefire. This has to be the starting point.
Object: Chiediamo il cessate il fuoco immediato a Gaza Text: Scriviamo per la catastrofe umanitaria a Gaza che vede protagonista la popolazione civile palestinese. Questo orrore ha tutte le caratteristiche di un genocidio (ex art. 6 Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale; ex art. 2 Convenzione per la Prevenzione e la Repressione del Delitto di Genocidio) e si sta consumando sotto ai nostri occhi ma nella quasi assoluta indifferenza della comunità internazionale e, nello specifico, della politica italiana. Chiediamo il cessate il fuoco immediato. Chiediamo la protezione ai civili palestinesi. Chiediamo l’invio di ingenti aiuti umanitari senza condizioni. Chiediamo il ripristino di acqua, elettricità e connessione internet. Utilizzo il plurale perché questa è una questione vitale per chiunque abbia a cuore i diritti umani e il diritto internazionale. Le persone palestinesi (oltre 2 milioni, di cui oltre un terzo bambini e bambine) vivono sotto un bombardamento costante che ha colpito infrastrutture civili radendo al suolo il 50% delle abitazioni, e che ha portato fino a oggi all’uccisione di oltre cinquemila persone, di cui la metà bambini e bambine, e al ferimento di almeno quindicimila persone. Gli ospedali sono al collasso. Vi chiediamo di intervenire con massima priorità nelle sedi opportune per chiedere a Israele il cessate il fuoco immediato e l’invio urgente di aiuti umanitari. Il genocidio del popolo palestinese a Gaza può essere commesso solo con l’appoggio e la complicità della comunità internazionale ma soprattutto con il nostro silenzio. Vi prego, fermiamo l’orrore. In fede, Name Email addresses: [email protected] [email protected] [email protected] [email protected] [email protected] [email protected] [email protected] [email protected] [email protected] [email protected] [email protected] [email protected] [email protected] [email protected] [email protected] [email protected] [email protected]
48 notes
·
View notes
Text
La controrivoluzione delle élite di cui non ci siamo accorti: intervista a Marco D’Eramo - L'indipendente on line
Fisico, poi studente di sociologia con Pierre Bourdieu all’École Pratique des Hautes Études di Parigi, giornalista di Paese Sera, Mondoperaio e poi per lungo tempo de il manifesto. Marco D’Eramo ha di recente pubblicato il saggio Dominio, la guerra invisibile contro i sudditi (ed. Feltrinelli, 2020), un libro prezioso che, con uno stile agevole per tutti e dovizia di fonti, spiega come l’Occidente nell’ultimo mezzo secolo sia stato investito di una sorta di rivoluzione al contrario, della quale quasi nessuno si è accorto: quella lanciata dai dominanti contro i dominati. Una guerra che, almeno al momento, le élite stanno stravincendo e che si è mossa innanzitutto sul piano della battaglia delle idee per (ri)conquistare l’egemonia culturale e quindi le categorie del discorso collettivo. Una chiacchierata preziosa, che permette di svelare il neoliberismo per quello che è, ovvero un’ideologia che, in quanto tale, si muove attorno a parole e concetti chiave arbitrari ma che ormai abbiamo assimilato al punto di darli per scontati, ma che – una volta conosciuti – possono essere messi in discussione.
Ci parli di questa rivoluzione dei potenti contro il popolo, cosa è successo?
Nella storia i potenti hanno sempre fatto guerra ai sudditi, se no non sarebbero rimasti potenti, questo è normale. Il fatto è che raramente i sudditi hanno messo paura ai potenti: è successo nel 490 a.C., quando la plebe di Roma si ritirò sull’Aventino e ottenne i tribuni della plebe. Poi, per oltre duemila anni, ogni volta che i sudditi hanno cercato di ottenere qualcosa di meglio sono stati brutalmente sconfitti. Solo verso il 1650 inizia l’era delle rivoluzioni, che dura circa tre secoli, dalla decapitazione di re Carlo I d’Inghilterra fino alla rivoluzione iraniana, passando per quella francese e quelle socialiste. Da cinquant’anni non si verificano nuove rivoluzioni.
E poi cosa è successo?
Con la seconda guerra mondiale le élite hanno fatto una sorta di patto con i popoli: voi andate in guerra, noi vi garantiamo in cambio maggiori diritti sul lavoro, pensione, cure, eccetera. Dopo la guerra il potere dei subalterni è continuato a crescere, anche in Italia si sono ottenute conquiste grandiose come lo statuto dei Lavoratori, il Servizio Sanitario Nazionale ed altro. A un certo punto, le idee dei subordinati erano divenute talmente forti da contagiare le fasce vicine ai potenti: nascono organizzazioni come Medicina Democratica tra i medici, Magistratura Democratica tra i magistrati, addirittura Farnesina Democratica tra gli ambasciatori. In Italia come in tutto l’Occidente le élite hanno cominciato ad avere paura e sono passate alla controffensiva.
In che modo?
Hanno lanciato una sorta di controguerriglia ideologica. Hanno studiato Gramsci anche loro e hanno agito per riprendere l’egemonia sul piano delle idee. Partendo dai luoghi dove le idee si generano, ovvero le università. A partire dal Midwest americano, una serie di imprenditori ha cominciato a utilizzare fondazioni per finanziare pensatori, università, convegni, pubblicazioni di libri. Un rapporto del 1971 della Camera di Commercio americana lo scrive chiaramente: “bisogna riprendere il controllo e la cosa fondamentale è innanzitutto il controllo sulle università”. Da imprenditori, hanno trattato le idee come una merce da produrre e vendere: c’è la materia prima, il prodotto confezionato e la distribuzione. Il primo passo è riprendere il controllo delle università dove la materia prima, ovvero le idee, si producono; per il confezionamento si fondano invece i think tank, ovvero i centri studi dove le idee vengono digerite e confezionate in termini comprensibili e affascinanti per i consumatori finali, ai quali saranno distribuiti attraverso giornali, televisioni, scuole secondarie e così via. La guerra si è combattuta sui tre campi della diffusione delle idee, e l’hanno stravinta.
Quali sono le idee delle élite che sono divenute dominanti grazie a questa guerra per l’egemonia?
La guerra dall’alto è stata vinta a tal punto che non usiamo più le nostre parole. Ad esempio, la parola “classe” è diventata una parolaccia indicibile. Eppure Warren Buffet, uno degli uomini più ricchi del mondo, lo ha detto chiaramente: «certo che c’è stata la guerra di classe, e l’abbiamo vinta noi». O come la parola “ideologia”, anche quella una parolaccia indicibile. E allo stesso tempo tutte le parole chiave del sistema di valori neoliberista hanno conquistato il nostro mondo. Ma, innanzitutto, le élite sono riuscite a generare una sorta di rivoluzione antropologica, un nuovo tipo di uomo: l’homo economicous. Spesso si definisce il neoliberismo semplicemente come una versione estrema del capitalismo, ma non è così: tra la teoria liberale classica e quella neoliberista ci sono due concezioni dell’uomo radicalmente differenti. Se nel liberalismo classico l’uomo mitico è il commerciante e l’ideale di commercio è il baratto che si genera tra due individui liberi che si scambiano beni, nel neoliberismo l’uomo ideale diventa l’imprenditore e il mito fondatore è quello della competizione, dove per definizione uno vince e l’altro soccombe.
Quindi rispetto alle generazioni che ci hanno preceduto siamo diventati un’altra specie umana senza accorgercene?
L’idea che ogni individuo è un imprenditore genera una serie di conseguenze enormi. La precondizioni per poter avviare un’impresa è avere qualcosa da investire, e se non ho capitali cosa investo? A questa domanda un neoliberista risponde: «il tuo capitale umano». Questa è una cosa interessantissima perché cambia tutte le nozioni precedenti. Intanto non vale l’idea del rapporto di lavoro come lo conoscevamo: non esiste più un imprenditore e un operaio, ma due capitalisti, dei quali uno investe denaro e l’altro capitale umano. Non c’è nulla da rivendicare collettivamente: lo sfruttamento scompare, dal momento che è un rapporto tra capitalisti. Portando il ragionamento alle estreme conseguenze, nella logica dominante, un migrante che affoga cercando di arrivare a Lampedusa diventa un imprenditore di sé stesso fallito, perché ha sbagliato investimento. Se ci si riflette bene, la forma sociale che meglio rispecchia questa idea del capitale umano non è il liberalismo ma lo schiavismo, perché è lì che l’uomo è letteralmente un capitale che si può comprare e vendere. Quindi non credo sia errato dire che, in verità, il mito originario (e mai confessato) del neoliberismo non è il baratto ma lo schiavismo. Il grande successo che hanno avuto i neoliberisti è di farci interiorizzare quest’immagine di noi stessi. È una rivoluzione culturale che ha conquistato anche il modo dei servizi pubblici. Per esempio le unità sanitarie locali sono diventate le aziende sanitarie locali. Nelle scuole e nelle università il successo e l’insuccesso si misurano in crediti ottenuti o mancanti, come fossero istituti bancari. E per andarci, all’università, è sempre più diffusa la necessità di chiedere prestiti alle banche. Poi, una volta che hai preso il prestito, dovrai comportarti come un’impresa che ha investito, che deve ammortizzare l’investimento e avere profitti tali da non diventare insolvente. Il sistema ci ha messo nella situazione di comportarci e di vivere come imprenditori.
Ritiene che l’ideologia neoliberista abbia definitivamente vinto la propria guerra o c’è una soluzione?
Le guerre delle idee non finiscono mai, sembra che finiscano, ma non è così. Se ci pensiamo, l’ideologia liberista è molto strana, nel senso che tutte le grandi ideologie della storia offrivano al mondo una speranza di futuro migliore: le religioni ci promettevano un aldilà di pace e felicità, il socialismo una società del futuro meravigliosa, il liberalismo l’idea di un costante miglioramento delle condizioni di vita materiali. Il neoliberismo, invece, non promette nulla ed anzi ha del tutto rimosso l’idea di futuro: è un’ideologia della cedola trimestrale, incapace di ogni tipo di visione. Questo è il suo punto debole, la prima idea che saprà ridare al mondo un sogno di futuro lo spazzerà via. Ma non saranno né i partiti né i sindacati a farlo, sono istituzioni che avevano senso nel mondo precedente, basato sulle fabbriche, nella società dell’isolamento e della sorveglianza a distanza sono inerti.
Così ad occhio non sembra esserci una soluzione molto vicina…
Invece le cose possono cambiare rapidamente, molto più velocemente di quanto pensiamo. Prendiamo la globalizzazione: fino a pochi anni fa tutti erano convinti della sua irreversibilità, che il mondo sarebbe diventato un grande e unico villaggio forgiato dal sogno americano. E invece, da otto anni stiamo assistendo a una rapida e sistematica de-globalizzazione. Prima la Brexit, poi l’elezione di Trump, poi il Covid-19, poi la rottura con la Russia e il disaccoppiamento con l’economia cinese. Parlare oggi di globalizzazione nei termini in cui i suoi teorici ne parlavano solo vent’anni fa sembrerebbe del tutto ridicolo, può essere che tra vent’anni lo sarà anche l’ideologia neoliberista.
Intanto chi è interessato a cambiare le cose cosa dovrebbe fare?
Occorre rimboccarsi le maniche e fare quello che facevano i militanti alla fine dell’Ottocento, ovvero alfabetizzare politicamente le persone. Una delle grandi manovre in questa guerra culturale lanciata dal neoliberismo è stata quella di ricreare un analfabetismo politico di massa, facendoci ritornare plebe. Quindi è da qui che si parte. E poi bisogna credere nel conflitto, progettarlo, parteciparvi. Il conflitto è la cosa più importante. Lo diceva già Machiavelli: le buone leggi nascono dai tumulti. Tutte le buone riforme che sono state fatte, anche in Italia, non sono mai venute dal palazzo. Il Parlamento ha tutt’al più approvato istanze nate nelle strade, nei luoghi di lavoro, nelle piazze. Lo Statuto dei Lavoratori non è stato fatto dal Parlamento per volontà della politica, ma a seguito della grande pressione esterna fatta dai movimenti, cioè dalla gente che si mette insieme. Quindi la prima cosa è capire che il conflitto è una cosa buona. La società deve essere conflittuale perché gli interessi dei potenti non coincidono con quelli del popolo. Già Aristotele lo diceva benissimo: i dominati si ribellano perché non sono abbastanza eguali e i dominanti si rivoltano perché sono troppo eguali. Questa è la verità.
[di Andrea Legni]
https://www.lindipendente.online/2023/11/01/la-controrivoluzione-delle-elite-di-cui-non-ci-siamo-accorti-intervista-a-marco-deramo/?fbclid=IwAR0J1ttaujW9lXdoC3r4k5Jm46v3rQM_NMampT4Sd_Q-FX4D-7TFWKXhn3c
28 notes
·
View notes
Text
Ecocidio, ultima fermata del diritto penale totale
L'ecocidio, ultima fermata del diritto penale totale - Tempi
Il partito di Bonelli e Fratoianni propone una legge per accusare di genocidio chi inquina e mandarlo in galera sulla base prove vaghe e accuse fumose in nome del principio di precauzione. Una follia giustizialista a cui bisogna opporsi
E galera per tutti. Questa potrebbe essere la riscrittura del celebre capolavoro cinematografico …e giustizia per tutti con Al Pacino, se a dirigerlo fossero stati Bonelli e Fratoianni, dinamico duo della politica italiana, due per i quali vanno bene i diritti e le libertà (queste un po’ meno soprattutto quando economiche o legate alla proprietà privata) ma per i quali alla fine l’esito, lo sbocco, l’approdo di tutto deve essere la galera. A parte quando, nella loro veste di talent scout dei candidati potenziali, si imbattono in qualcuno da tirar fuori dalle carceri, da candidare e far eleggere.
Processiamoli tutti, Dio riconoscerà i suoi
Bonelli si era già fatto “apprezzare”, in questa inarrestabile deriva di pan-penalizzazione totale della società e dei comportamenti umani, ventilando l’ipotesi di un reato di negazionismo climatico, ennesimo giro di vite, assolutamente indeterminato e fumoso nei presupposti e nella definizione stessa, contro le opinioni critiche, per quanto motivate e articolate.
Per dirne una, il recente libro La grande bugia verde di Nicola Porro (Liberilibri), in cui si mettono a sistema le opinioni di scienziati critici con la vulgata terrorizzante sul cambiamento climatico, nel generale canone di indeterminatezza della fattispecie incriminatrice escogitata dai rossoverdi sarebbe potuto incorrere in problemi. D’altronde la sinistra, verde e radicale, è sempre un po’ così. Processiamoli tutti, Dio riconoscerà i suoi.
L’ecocidio non è solo un reato ambientale, è un genocidio
Di quella roba per fortuna non se ne è sentito più niente, ma è tornata in auge un’altra antica e pessima battaglia dei rossoverdi: il reato di ecocidio. Contrariamente alle polemiche montanti in questi giorni, i materiali ideatori del disegno di legge non sono direttamente Fratoianni e Bonelli ma il loro deputato Filiberto Zaratti che tale proposta ha presentato il 24 luglio 2023. Solo ora però assurgendo a indiretta fama, nonostante l’apprezzabilissimo sforzo di partorire l’ennesimo profluvio di pene. Dal canto loro, il soccorso rossoverde si è messo subito in moto.
E Bonelli ha fatto sponda al suo onorevole, richiamando l’esigenza di modificare lo Statuto di Roma che disciplina la ragion d’essere della Corte penale internazionale; sì, avete letto bene, perché l’ecocidio, lo si intuisce sin dal nomen scelto, è a tutti gli effetti un genocidio, un crimine contro l’umanità e le generazioni future, non un mero reato ambientale. Così qualificandolo peraltro ne discende anche la abnorme conseguenza di decretarne la imprescrittibilità, cosa che infatti la proposta fa espressamente all’articolo 6: nei fatti, gli inquinatori come i componenti delle Einsatzgruppen che al comando di Otto Ohlendorf fecero scempio di ebrei, e non solo, durante la Seconda guerra mondiale.
Il Parlamento, da sempre, è innovativa e inventiva fucina di dadaismo legislativo, tanto nel merito quanto nei metodi di tecnica legislativa. In alcuni casi, stramberie persino simpatiche o puramente segnaletiche, davanti cui farsi quattro risate. Quando però scendiamo nell’ombroso e delicato campo del diritto penale, e in gioco si trova la libertà dei cittadini, c’è sempre poco di cui divertirsi e invece molto di cui preoccuparsi.
Il cattivo esempio dell’Ue e il principio di precauzione
Proprio a maggio 2024, colpo di coda della deriva iper-ideologizzata del Green Deal, l’Unione Europea ha approvato una Direttiva che ha istituito una notevole serie di nuove fattispecie incriminatrici nell’alveo della materia ambientale. Un approccio repressivo che peraltro pone a carico delle imprese tutta una ulteriore serie di incombenti e soprattutto di responsabilità di ordine penale, sulla scia dei modelli di compliance e di responsabilizzazione amministrativo-penale che pure in Italia, dal d.lgs n. 231/01 in poi, conosciamo bene. Non è difficile immaginare quanto attrattiva questa Direttiva, che dovrà essere recepita e attuata nei prossimi due anni dagli Stati membri, possa essere per investitori e soprattutto aziende.
Quando ci si preoccupa del tappo della bottiglia, direi che si sta impostando la battaglia sul crinale sbagliato: non c’è bisogno di rendersi farseschi per dire che l’Unione soffre di un feticistico complesso di iper-regolazione, soprattutto perché probabilmente sono le norme di matrice penale a dover interessare di più.
Come al solito, e questo non può che essere un tratto comune tanto all’ecocidio modellato da Zaratti/Fratoianni/Bonelli quanto dalla direttiva Ue, a fare la parte del leone è il principio di precauzione con cui negli ultimi anni abbiamo dovuto familiarizzare.
Che paura la “società del rischio zero”
Nato proprio nell’alveo del diritto ambientale, il principio di precauzione, sovente intrecciato a quello di prevenzione ma da cui pure differisce per natura e funzione, è il convitato di pietra delle società altamente tecnologiche in cui si viene a minimizzare il rischio. La precauzione infatti, a differenza della prevenzione, non ambisce a evitare il palesarsi di una data situazione che si sa con certezza essere patologica, dannosa o esiziale: al contrario essa ambisce a sterilizzare in radice la potenzialità del palesarsi di un rischio che potrebbe essere o non essere dannoso. Potentially harmful recita la Direttiva Ue. Una dannosità potenziale che troviamo non per caso anche nella proposta di legge sull’ecocidio.
Applicato all’ambiente, alle pandemie, alla bio-ingegneria, a tutto ciò che per accelerazione tecnologica non riusciamo a governare a suon di norme dettagliate, il principio di precauzione è, come ha scritto Sunstein, «diritto della paura»: si basa sulla paura che un dato evento possa palesarsi, e così facendo criminalizza il rischio. Peccato, sia per i regolatori Ue, sia per Bonelli, Fratoianni e Zaratti, che il progresso umano si sia basato storicamente sulla accettazione razionale del rischio, sulla sua comprensione e sulla emersione di strumenti di mitigazione. Dai mercanti medievali che aprirono rotte nuove collegando tra loro città e Paesi agli scienziati fino agli imprenditori della rivoluzione industriale, il rischio è stato motore non tanto invisibile della evoluzione del genere umano.
Le città mercantili della Lega Anseatica, quelle meravigliose gemme turrite che affacciano sul Baltico, recavano inscritta sul portone di ingresso delle case e delle gilde mercantili la famosa frase navigare necesse est, vivere non est necesse. La società del “rischio zero”, lo abbiamo sperimentato in pandemia, è una società statica, paludosa, museale, ferma, destinata alla estinzione, più che alla mera decrescita.
Definizioni fumose, istigazione all’ecocidio e pene severissime
L’aspetto più inquietante del diritto penale sottomesso alla ideologia è che esso raramente si perita di piegarsi ai principi garantistici propri di un ordinamento liberale: il giacobinismo rossoverde, posseduto dal sacro furore della giustizia climatica, snuda le sue metaforiche ghigliottine senza andare troppo per il sottile.
E così, scartabellando la proposta di legge, ci si imbatte ad esempio nella definizione del reato, all’articolo 2.
“Si considera reato di ecocidio qualsiasi atto illecito o arbitrario commesso con la consapevolezza che esiste una sostanziale probabilità che il medesimo atto causi un danno grave e diffuso o a lungo termine all’ambiente o a un ecosistema”.
Una sostanziale probabilità. E quando, di grazia, la probabilità sarebbe sostanziale? Ma soprattutto, visto che parliamo di reati e quindi conta anche l’elemento soggettivo, come si prova concretamente che un soggetto si era palesato il fatto di voler commettere un atto che avrebbe, per sostanziale probabilità, cagionato un danno? Una sorta di probatio diabolica eco-penale.
Se è ecocidio possono deciderlo anche gli ambientalisti
Anche il richiamato “atto arbitrario” non è male e viene scolpito come «un atto che non tiene conto di un danno che sarebbe chiaramente eccessivo rispetto ai benefìci sociali ed economici previsti». L’ho dovuto rileggere diverse volte, e tremo al pensiero che una roba del genere possa finire nelle mani di una Procura e di un giudice; talmente evanescenti e spettrali le maglie definitorie da lasciar possibile tutto e il contrario di tutto, fino alla caducazione da parte della Corte Costituzionale quando e se sarà investita della questione.
Conformemente alla ipostatizzazione di una “volontà generale” messa in moto contro gli ecocidi, la potenziale legge individua, parola grossa, il “pubblico interessato” definito come «le persone colpite o che potrebbero essere colpite dai reati di cui alla presente legge; si considerano interessati i soggetti che hanno un interesse sufficiente o che dimostrano la lesione di un diritto, nonché le organizzazioni che promuovono la protezione dell’ambiente». Quindi il gingillo si mette in mano tanto a persone realmente colpite da disastri ambientali quanto in quelle degli eco-svalvolati.
E dato che conformemente alla loro tradizione, i rossoverdi detestano la libertà, soprattutto quella di parola, si pensa bene all’articolo 3 di introdurre il reato di istigazione all’ecocidio, punito con la reclusione da tre a sei anni. Senza alcuna definizione, senza dire in cosa si sostanzi davvero una istigazione all’ecocidio. Da dodici a venti anni invece spettano a chi commetta l’ecocidio “classico”. Una forbice abbastanza dilatata, peraltro. Che dire, opporsi alla approvazione e introduzione di questa roba è un imperativo di ordine morale per chiunque abbia a cuore la libertà.
#frattoianni#verdi#cazzari green#politically incorrect#politicamente scorretto#sinistra#kompagni#violenza#ecologia#friday for future
4 notes
·
View notes
Text
Corte penle internazionale vs. Corte internazionale di giustizia
Per quanto possa stare sul culo Putin vorrei ricordare che la ICC NON è un organo delle Nazioni Unite e non va confusa con la Corte internazionale di giustizia e ha solo una vaga parentela con il processo di Norimberga.
Per dire... gli Stati Uniti non hanno ratificato la firma dello Statuto di Roma che in qualche modo dovrebbe esserne la base.
La Corte internazionale di giustizia ha anche lei le sue limitazioni come il consiglio di sicurezza, ma per lo meno non si faccia l'errore di pensare che la ICC è un organo imparziale.
Banalmente basterebbe pensare a tutte le volte che la ICC se ne è sbattuta altamente il cazzo.
5 notes
·
View notes
Text
Beppe Grillo o Giuseppe Conte?
Oggi il Movimento 5 Stelle ha uno statuto che è una sorta di regolamento che disciplina cosa si può fare e cosa non si può fare. Se questo statuto dà a Beppe Grillo dei poteri e lui li esercita fa bene. La cosa più brutta è trasformarsi in quello che si è sempre detto di voler combattere, è terribile”. A dirlo è l’ex sindaca di Roma Virginia Raggi nella prima puntata di A casa di Maria, il nuovo programma di Maria Latella in onda oggi in seconda serata su Rai3. E se finisse a carte bollate?, chiede Latella. “Sicuramente non sarei io l’avvocato – ironizza Raggi – La questione mi lascia un po’ scossa, turbata. Mi dispiace molto, da persona che ha creduto molto e crede nel Movimento. Se si arriverà alle carte bollate se la vedranno gli avvocati”. Non c’è un M5s a cui è più affezionata, tra quello delle origini di Grillo e quello più recente di Conte, risponde l’ex sindaca. “Sono entrata nel Movimento nel 2010-2011 – racconta -, quando rappresentava un’idea diversa di fare politica. Proviamo a fare politica mettendo insieme le buone idee e superando determinate ideologie e cerchiamo di lavorare concretamente per il benessere dei cittadini. Io ho deciso di entrare in politica per quel progetto, in quello mi riconosco. Se avessi voluto fare politica per fare politica forse sarei entrata in un partito. Io ho fatto una scelta diversa. Il Movimento nasce come idea, come metodo, come possibilità e io credo che oggi ci sia bisogno di tornare a quel metodo e a quel laboratorio, altrimenti si diventa solo la brutta copia degli altri partiti”. Raggi racconta che sente Grillo regolarmente, compresi gli auguri per le vacanze. L’ex dirigente del Movimento dice di non credere al cosiddetto campo largo e in generale alla permanenza stabile dei 5 Stelle nel centro sinistra. “Il Movimento – risponde Raggi alla domanda di Maria Latella – è nato con una missione totalmente diversa, quella di presentarsi come alternativa al sistema all’epoca bipolare, ma il bipolarismo sta tornando forte. Rappresentava un’alternativa per tanti elettori che non si riconoscevano più né a destra né a sinistra. Abbiamo sempre combattuto i partiti tradizionali quindi oggi andare a braccetto direttamente con loro francamente mi sembra una regressione totale, quasi un tradire la missionedel Movimento”. Secondo l’ex sindaca “moltissimi elettori si sono allontanati perché il M5s ha iniziato a compiere una serie di movimenti non chiari, e continuare a rimanere in quell’ambito non credo avvicinerà altri elettori. Anzi, li farà allontanare. Perché un elettore tra un partito di sinistra, storico, radicato sul territorio come è sicuramente il Pd, e il M5s che si ricicla come partito di sinistra, forse sceglie l’originale e non la copia“. Quanto alle leader che guidano i due principali partiti italiani Virginia Raggi risponde da una parte che la premier Giorgia Meloni “premesso che ci sono delle differenze politiche incolmabili”, “è una donna molto tenace che sa quello che vuole e che è riuscita da 4% del suo partito, quando era all’opposizione, ad arrivare a governare un Paese. Nel bene e nel male è tenace e determinata”. Dall’altra parte la segretaria del Pd Elly Schlein “è riuscita contro tutti i pronostici a riprendersi il partito e riportarlo un po’ più a sinistra di quanto non lo avessero fatto i suoi predecessori, però mi sento francamente molto lontana da entrambe“. Read the full article
0 notes
Text
0 notes
Text
Eyes on the world #194
Maggio si avvicina al termine, non senza sussulti.
Questa settimana novità un po’ dappertutto, da Israele all’Iran, dal Regno Unito alla Germania, fino all’Italia e - perché no, ogni tanto – al calcio. Al solito, un po’ tutto, per tutti.
Cominciamo subito 👇
🇮🇱 ISRAELE-HAMAS: IL MANDATO DI ARRESTO PER NETANYAHU, IL RICONOSCIMENTO DELLA PALESTINA E...
(1) Come da diversi mesi ormai, cominciamo con le ultime novità dalla guerra tra #Israele e #Hamas. Karim Khan, procuratore capo della Corte penale internazionale (ICC), ha richiesto un mandato di arresto per il primo ministro israeliano Benjamin #Netanyahu, il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant e tre leader di Hamas: Yahya Sinwar, Ismail Haniyeh e Mohammed Deif. Khan sostiene che i cinque abbiano commesso crimini di guerra e contro l'umanità durante l'attacco di Hamas del 7 ottobre e la successiva invasione della Striscia di #Gaza da parte di Israele. Le accuse contro i leader di Hamas includono sterminio, omicidio, presa di ostaggi, stupro e violenza sessuale, mentre Netanyahu e Gallant sono accusati di aver provocato sterminio, usato la fame come metodo di guerra e preso di mira i civili. Il ministro degli Esteri israeliano ha definito la richiesta "scandalosa" e ha promesso che Israele combatterà contro di essa. Israele non riconosce la giurisdizione della ICC poiché non ha firmato lo Statuto di Roma del 1998; la decisione ora passa a un collegio di giudici della Corte, che potrebbe impiegare mesi per deliberare, anche se comunque la ICC non ha una forza di polizia propria e dipende dagli stati membri per l'arresto degli imputati. Infatti, se il mandato venisse emesso, Netanyahu e Gallant potrebbero essere arrestati in uno dei 124 paesi firmatari dello Statuto di Roma, sebbene in passato spesso gli stati abbiano ignorato tali mandati.
Restando all’estero, i governi di Spagna, Irlanda e Norvegia hanno annunciato l’intenzione di riconoscere formalmente lo Stato di #Palestina, conferendogli un significativo valore simbolico e politico. Già a marzo, i leader di Spagna, Irlanda, Malta e Slovenia avevano sottolineato la necessità del riconoscimento per la pace nella regione. La Spagna aveva già approvato una risoluzione in tal senso nel 2014, ma i governi successivi avevano rimandato il riconoscimento in attesa di un consenso europeo. Il primo ministro norvegese Jonas Gahr Støre ha dichiarato che una soluzione duratura in Medio Oriente può essere ottenuta solo attraverso la creazione di due Stati. Il primo ministro spagnolo Pedro #Sánchez ha annunciato che il riconoscimento sarà formalizzato il 28 maggio, criticando le azioni di Israele a Gaza e affermando che il riconoscimento mira a favorire la pace. Anche il primo ministro irlandese Simon Harris ha confermato il riconoscimento per la stessa data, denunciando le condizioni umanitarie a Gaza. In risposta, il ministro degli Esteri israeliano Israel Katz ha richiamato gli ambasciatori da questi paesi, avvertendo che tali decisioni avranno gravi conseguenze. Attualmente, quasi due terzi degli stati membri delle Nazioni Unite riconoscono la Palestina, mentre nell'Unione Europea solo nove paesi lo fanno. Nel 2012, l'Assemblea generale delle Nazioni Unite aveva elevato lo status della Palestina a “stato osservatore non membro”.
Sul campo cosa sta accadendo invece? Mercoledì, i primi #aiuti umanitari sono stati consegnati alla popolazione di Gaza tramite il molo temporaneo completato dagli Stati Uniti. Nonostante le difficoltà logistiche, gli aiuti, tra cui barrette nutrizionali, alimenti terapeutici per bambini malnutriti e kit igienici, erano stati inizialmente stoccati nei magazzini delle Nazioni Unite. Gli aiuti, partiti da #Cipro, sono stati trasportati a Gaza con un complesso sistema logistico gestito dall’esercito americano e dalle Nazioni Unite. Le operazioni del molo si erano fermate tra domenica e lunedì dopo che sabato alcuni camion erano stati assaltati dalla popolazione. Dopo una revisione logistica, le consegne sono riprese martedì. Finora, 41 camion hanno transitato dal molo, con l’obiettivo di raggiungere i 150 camion al giorno, un quarto del necessario stimato dalle organizzazioni umanitarie, anche se le ispezioni israeliane – mirate a impedire che gli aiuti supportino Hamas – stanno rallentando ulteriormente le consegne. Oltretutto, ieri la Corte internazionale di giustizia ha ordinato a Israele di fermare l'offensiva a #Rafah, dove la situazione è stata descritta come disastrosa. La decisione implica la sospensione immediata delle azioni militari che potrebbero portare alla distruzione fisica della popolazione palestinese. La Corte ha anche chiesto l'apertura del varco di Rafah per l'ingresso di aiuti umanitari e l'accesso a esperti di diritto internazionale, ma Israele probabilmente non rispetterà la decisione, dal momento che considera la sua offensiva come legittima difesa. La decisione è una misura provvisoria nell'ambito di una causa più ampia iniziata dal Sudafrica, che accusa Israele di genocidio. La situazione politica internazionale vede Israele sempre più isolato.
🇮🇷 INCIDENTE MORTALE PER IL PRESIDENTE DELL’IRAN EBRAHIM RAISI. COSA CAMBIA ADESSO PER IL PAESE?
2) Il presidente dell'#Iran, Ebrahim #Raisi, è morto domenica in un incidente in elicottero vicino a Jolfa, nella provincia dell’Azerbaigian Orientale. Con lui viaggiavano il ministro degli Esteri Hossein Amir-Abdollahian, il governatore della provincia Malek Rahmati e l’ayatollah Mohammad Ali Ale-Hashem. Raisi, presidente dal 2021 e figura ultraconservatrice vicina alla Guida suprema #AliKhamenei, era potenziale successore di quest'ultimo. L'incidente ha suscitato reazioni contrastanti: in molte città iraniane sono stati segnalati festeggiamenti, ma vi sono state anche preghiere pubbliche e la sua morte è stata seguita da condoglianze da parte di leader arabi e milizie sostenute dall'Iran. A nulla sono valse le ricerche portate avanti nonostante le condizioni meteo avverse. La costituzione iraniana prevede la successione temporanea del vicepresidente Mohammad Mokhber, confermato da Khamenei, mentre anche il ministro degli Esteri è stato sostituito temporaneamente. Il Consiglio dei guardiani dell’Iran ha poi annunciato che le elezioni presidenziali si terranno il 28 giugno, mentre sono stati proclamati cinque giorni di lutto nazionale. I candidati alle elezioni potranno presentarsi dal 30 maggio al 3 giugno, e la campagna elettorale inizierà il 12 giugno.
🇩🇪 ESTREMA DESTRA SOTTO ATTACCO IN GERMANIA. PROCESSI E ALLEANZE FALLITE RALLENTANO LA SCALATA
3) Voliamo in #Germania, dove molte notizie stanno ruotando intorno a seguaci e membri effettivi dell’estrema destra. Innanzitutto, è iniziato martedì a Francoforte il processo più significativo riguardante il tentativo di un gruppo di estremisti di organizzare un colpo di stato contro il governo tedesco. Gli imputati, arrestati nel dicembre 2022, sono accusati di cercare di istituire una monarchia in Germania. Il processo, uno dei più grandi con accuse di terrorismo nella storia della Germania democratica, coinvolge presunti leader del movimento Reichsbürger e personalità come il principe Heinrich XIII di Reuss e l'ex giudice ed ex deputata del partito di estrema destra Alternative für Deutschland (#AfD), Birgit Malsack-Winkemann. Il movimento Reichsbürger sostiene teorie del complotto, sostenendo che la Germania moderna non sia uno Stato sovrano, ma una società commerciale controllata da poteri internazionali. Gli investigatori affermano che i presunti golpisti pianificavano di prendere d'assalto il #Bundestag a Berlino e arrestare i deputati, mentre il principe Heinrich XIII avrebbe organizzato incontri del gruppo nella Germania orientale e cercato contatti con il governo russo; nello stesso tempo, Malsack-Winkemann avrebbe utilizzato il suo accesso parlamentare per esplorare l'area in vista di un possibile golpe. Il processo è considerato importante per rivelare le connessioni dell'estrema destra in Germania e le sue infiltrazioni nelle istituzioni statali e nella società, visto che l'arresto nel 2022 coinvolse anche ufficiali dell'esercito e della polizia. Non a caso, gli imputati avrebbero avuto accesso a un vasto arsenale di armi e risorse finanziarie considerevoli.
Tutto ciò avviene con le elezioni #europee in arrivo, e anche qui le novità non si sono fatte attendere. Maximilian Krah, capolista alle elezioni europee per il partito di estrema destra tedesco Alternative für Deutschland (AfD), si è dimesso dal consiglio direttivo del partito e ha annunciato che smetterà di fare campagna elettorale. Le dimissioni seguono le polemiche per alcune sue dichiarazioni sul nazismo, in cui affermava che non tutti i membri delle SS dovrebbero essere considerati automaticamente criminali di guerra, sostenendo la necessità di valutazioni individuali. Queste affermazioni hanno causato una rottura tra AfD e il partito francese #RassemblementNational (RN), che ha dichiarato che non collaborerà con AfD nella prossima legislatura europea. Inoltre, Krah era già al centro di controversie per l'arresto di un suo assistente accusato di spionaggio per conto della Cina e per due indagini preliminari su presunti finanziamenti da parte di Cina stessa e Russia. Nonostante ciò, Krah rimane capolista e probabilmente verrà eletto al Parlamento Europeo, dato il sistema di liste bloccate in Germania. In seguito a tali fatti, il gruppo politico europeo Identità e Democrazia (ID) ha fatto un ulteriore passo e ha deciso di espellere il partito tedesco Alternative für Deutschland (AfD) dal Parlamento Europeo, nonostante le dimissioni di Krah.
🇬🇧 REGNO UNITO: LUCI SUL PIÙ GRANDE SCANDALO DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE. E INTANTO SUNAK...
4) Passiamo al #RegnoUnito, dove è in corso – probabilmente – il più grande scandalo della storia del Servizio Sanitario Nazionale. Dopo quasi sei anni di indagini, lunedì è stato pubblicato il rapporto finale dell'inchiesta britannica sul #sangue infetto, che ha rivelato lo scandalo delle trasfusioni e dei prodotti ematici contaminati negli anni '70 e '80 nel Regno Unito, considerato il più mortale nella storia del Servizio Sanitario Nazionale. Si stima che circa 3.000 persone siano morte a causa dell'infezione da #HIV ed epatite contratta attraverso queste trasfusioni. Il rapporto critica medici, funzionari pubblici e politici, aprendo la strada a richieste di compensazione che metteranno sotto pressione il governo britannico. Gli attivisti hanno svolto un ruolo chiave nell'istituzione dell'inchiesta nel 2017, tra cui Jason Evans, il cui padre è morto a causa dell'infezione da sangue contaminato. Lo scandalo coinvolgeva il trattamento dell'emofilia con il fattore VIII, importato dagli #StatiUniti dove una grande parte del plasma proveniva da donatori a rischio (in USA le donazioni avvengono dietro compenso), aumentando le possibilità di contaminazione. Nonostante le prime segnalazioni di pericolo negli anni '70 e '80, le autorità hanno continuato a distribuire il trattamento, ignorando le precauzioni e le lezioni del passato. Il governo britannico ha ora accettato di pagare compensazioni, con stime che indicano una spesa finale di circa 10 miliardi di sterline.
Lo scandalo viene riportato alla superficie in un periodo poco tranquillo in generale per la Gran Bretagna, dal momento che il primo ministro del Regno Unito, Rishi #Sunak, ha annunciato in modo inaspettato che le prossime #elezioni politiche si terranno il 4 luglio, in anticipo rispetto alla data prevista. Sunak, leader del Partito Conservatore al governo da circa 14 anni, ha scelto di anticipare le elezioni, previste per gennaio 2025, probabilmente per capitalizzare i recenti sviluppi positivi dell'economia e aumentare il consenso per il suo partito, che ha affrontato una crisi prolungata. Il primo ministro ha reso noto la data delle elezioni dopo aver annunciato miglioramenti nell'economia, segnalando un cambiamento rispetto agli anni precedenti, segnati da crescente inflazione e costi di vita in aumento, che hanno generato malcontento. Secondo alcune ipotesi, Sunak ha anticipato le elezioni poiché non si prevedono ulteriori miglioramenti economici fino all'autunno, quando in precedenza si pensava che sarebbero state indette.
È così iniziata la campagna elettorale, ma per Sunak la situazione si è dimostrata subito in salita. Ha dovuto ammettere infatti che alcune misure chiave del suo governo, come il trasferimento dei richiedenti asilo in #Ruanda e il divieto di vendita di sigarette alle nuove generazioni, non saranno attuate prima delle elezioni a causa della chiusura imminente del parlamento. Questa rinuncia ha aumentato le tensioni all'interno del partito Conservatore già sorpreso dalla decisione di Sunak di anticipare le elezioni a luglio. I sondaggi indicano un crescente vantaggio per i Laburisti, con il sostegno per i Conservatori in calo sotto il 20%. Inoltre, 72 dei deputati Conservatori attuali hanno annunciato di non ricandidarsi, un numero significativo che potrebbe influenzare l'esito delle elezioni. Anche dal punto di vista degli eventi, l'inizio di campagna di Sunak ha avuto alcuni problemi, con la rivelazione che due domande "casuali" provenivano da funzionari di partito. Inoltre, Sunak ha commesso una gaffe in un birrificio chiedendo dell'imminente campionato europeo di calcio, dimenticando che il Galles non si è qualificato. Si prevede che il Partito Laburista, guidato da Keir Starmer, vinca nettamente le prossime elezioni, con un vantaggio di circa 20 punti percentuali rispetto al Partito Conservatore, secondo i sondaggi finora condotti.
🇪🇺 L’ITALIA NON PRENDE POSIZIONE A FAVORE DELLE POLITICHE DI UGUAGLIANZA PER LA COMUNITÀ LGBT+
5) Venerdì scorso è emerso che l’#Italia non ha aderito a una dichiarazione del Consiglio dell’Unione Europea volta a promuovere politiche di uguaglianza e rispetto dei diritti umani per la comunità #LGBT+. Questo ha suscitato critiche al governo di Giorgia #Meloni, soprattutto dall’opposizione. La dichiarazione, proposta dalla presidenza belga in occasione della Giornata mondiale contro l’omofobia, la transfobia e la bifobia, è un documento simbolico che ribadisce valori già presenti in trattati europei. L'Italia, insieme ad altri otto paesi, ha scelto di non firmarla, nell’ambito di una decisione vista come politica. Il ministero della Famiglia e delle Pari opportunità ha riferito che la dichiarazione è troppo «sbilanciata sull’identità di genere», simile al contenuto del disegno di legge #Zan, una proposta mai approvata dal parlamento che mirava a includere discriminazioni basate su sesso, genere, orientamento sessuale e disabilità nel Codice penale. La destra ha sempre criticato il ddl Zan, sostenendo che minacciasse la libertà di opinione. La dichiarazione del Consiglio UE invece richiede l’impegno a promuovere l’uguaglianza e combattere la discriminazione, proteggere i #diritti fondamentali delle persone LGBT+ e sostenere l’accettazione sociale. La segretaria del PD, Elly Schlein, ha criticato la decisione del governo, notando che l’anno scorso l’Italia aveva firmato una dichiarazione simile. Anche il Movimento 5 Stelle e Italia Viva hanno espresso critiche, sottolineando come la decisione possa danneggiare la credibilità internazionale dell’Italia.
⚽ DOPO LA FAMIGLIA ZHANG, L’INTER PASSA AGLI AMERICANI DI OAKTREE. I POSSIBILI SCENARI FUTURI
6) La proprietà della squadra di calcio dell'#Inter è passata dalla famiglia #Zhang alla società di gestione patrimoniale statunitense #Oaktree Capital Management. Oaktree aveva inizialmente prestato 275 milioni di euro agli Zhang per sostenere le perdite finanziarie dell'Inter nel maggio 2021. Il prestito è cresciuto a 395 milioni di euro con gli interessi al 12% quando è scaduto il 21 maggio e, poiché non è stato restituito, Oaktree è diventata proprietaria del 99,6% delle azioni dell'Inter. Oaktree ha dichiarato di voler garantire la prosperità a lungo termine della squadra, lavorando con l'attuale management per assicurare una crescita finanziaria stabile. Tuttavia, molti esperti ritengono che Oaktree cercherà un acquirente per l'Inter a breve termine per ottenere un profitto. Nel frattempo, sembra che manterrà la dirigenza sportiva attuale. Oaktree possiede anche l'80% del #Caen, una squadra della Ligue 2 francese, ed è diventata così la prima proprietà statunitense dell'Inter. Gli Zhang avevano acquistato l'Inter nel 2016 e durante la loro gestione la squadra ha ottenuto successi significativi, inclusi due Scudetti, due Coppe Italia e tre Supercoppe italiane. La squadra ha anche raggiunto la finale dell'Europa League nel 2020 e la finale di Champions League nel 2023.
Andiamo adesso alle brevi 👇
💣 Domenica scorsa, i giornali locali del Nord-Est del gruppo NEM hanno riportato una novità nelle indagini sugli attentati del "#Unabomber italiano", attivo tra il 1994 e il 2006 in Veneto e Friuli-Venezia Giulia. La procura di Trieste ha riaperto le #indagini nel gennaio 2023 e ha recentemente trovato tracce di DNA su alcuni vecchi reperti. Questi includono peli su una bomboletta di stelle filanti inesplosa e vari altri ordigni rinvenuti nel 2000 in diverse località. Gli investigatori stanno ora comparando queste tracce di DNA con i profili genetici di undici indagati e altre venti persone che hanno accettato di collaborare. Le indagini sono state riaperte dopo un esposto del giornalista Marco Maisano e due vittime, basato su nuovi elementi trovati nei reperti a #Trieste; successivamente, la procura ha chiesto e ottenuto dal giudice un incidente probatorio per cristallizzare le prove. La diffusione della notizia del DNA è stata criticata dagli avvocati difensori degli indagati. Maurizio Paniz, difensore di Elvo Zornitta, un ingegnere precedentemente indagato, ha espresso preoccupazione per la corretta conservazione dei reperti e il rispetto delle procedure legali, pur accogliendo con favore eventuali progressi nelle indagini.
🇺🇦 Il mandato presidenziale di Volodymyr #Zelensky è scaduto ufficialmente lunedì, ma rimarrà in carica dato lo stato di guerra che impedisce le elezioni. Questa situazione lo rende politicamente vulnerabile, con una parte dell'opposizione che contesta la sua legittimità e, nello stesso tempo, la #Russia sta cercando di approfittare della situazione per dividere ulteriormente la società ucraina. La questione legale sulle elezioni durante lo stato di guerra è complessa: mentre una legge ordinaria vieta le elezioni, la Costituzione è ambigua. Tuttavia, organizzare elezioni in tempo di guerra è logisticamente difficile, con milioni di ucraini fuori dal paese e problemi di sicurezza. Il dibattito sull'opportunità di tenere elezioni è durato fino all'autunno, ma la maggioranza della popolazione si è espressa contraria. Con il declino del sostegno a Zelensky, l'opposizione sostiene che ora sia privo di un mandato legale e dovrebbe cedere la carica al presidente della Camera. Questa posizione potrebbe guadagnare terreno se il supporto a Zelensky dovesse diminuire ulteriormente. Questa situazione rischia infatti di indebolire Zelensky proprio mentre il governo deve prendere decisioni impopolari durante la guerra, come la mobilitazione militare ed economica.
Alla prossima 👋
0 notes
Text
Ognuno valuta la fondatezza del mandato d'arresto dell'ICC per Netanyahu secondo la propria sensibilità. Non è questo il punto che mi interessa toccare.
Quello che mi interessa affrontare invece solo le distorsioni che rilevo nella narrazione di queste ore rispetto a questo gesto.
Punto primo, è sbagliato dire che la Corte metta Israele ed Hamas sullo stesso piano poiché l'ICC, al contrario dell'ICJ, non processa gli Stati, bensì gli individui. Khan ha chiesto l'arresto per Bibi, non per Israele.
Punto secondo, è oltraggioso dire che quella Corte non sia legittimata. In primis, bisogna avere rispetto per il percorso che ha portato alla nascita dell'ICJ. Poi, sia gli US che Israele hanno firmato lo statuto di Roma, sì non l'hanno ratificato, ma l'hanno firmato. Fanno parte dello statuto ben 124 paesi. In ultimo, è legittimata poiché l'anp ha accettato la giurisdizione della Corte e questo basta.
Però a darmi fastidio non è solo la mistificazione e la cattiva scelta delle parole, ma anche il fatto che a pagare per tutta questa situazione, sempre, in qualche misura, in qualche modo, siano anche gli ucraini.
Quella Corte è la stessa che ha emesso il mandato d'arresto per Putin e quell'altra che l'ha aiutato a deportare migliaia di bambini. Questa reazione, queste mistificazioni, rischiano di indebolire la valenza di quel mandato per Putin.
Chi crede che Netanyahu non abbia commesso alcun crimine di guerra può e deve difenderlo, è una posizione legittima, ma sarebbe meglio farlo nel merito, non con discorsi che vanno a discapito di coloro che dovremmo tutelare, non attaccando la Corte.
E lo so che alcuni Paesi, Stati Uniti, Israele insieme a Russia e Cina tra altri, in questo sì, sono tutti sullo stesso piano - hanno un brutto rapporto con l'ICC da sempre o non la riconoscono, ma a volte l'intelligenza politica dovrebbe prevalere.
(Han Skelsen da Twitter X)
0 notes
Text
Estela Carlotto
Estela Carlotto è la presidente delle Abuelas de Plaza de Mayo, organizzazione nata per ricercare le persone fatte sparire negli anni bui della dittatura.
Considerata il simbolo dell’attivismo pacifista contro le dittature sudamericane, è stata candidata più volte al Nobel per la Pace e ha ottenuto il Premio dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani e il Premio Unesco per la pace di Félix Houphouët-Boigny.
Enriqueta Estela Barnes è nata il 22 ottobre 1930 a Buenos Aires, da una famiglia di origini inglesi. Insegnante e poi direttrice di scuole elementari, aveva sposato Guido Carlotto, piccolo industriale chimico di origini italiane da cui sono nati Laura, Claudia, Guido e Remo.
Negli anni della Junta, la sanguinaria dittatura militare in carica dal 1976 al 1983 che ha violato sistematicamente i diritti politici e umani attraverso il terrore e le sparizioni forzate di oltre trentamila desaparecidos invisi al governo, prima è stato sequestrato suo marito, nel giugno 1977, poi rilasciato dopo il pagamento di un riscatto. A novembre dello stesso anno è stata presa sua figlia Laura Estela, studentessa di storia all’Università di La Plata, incinta di tre mesi, insieme al suo compagno, Walmir Montoya che hanno ucciso davanti ai suoi occhi.
Nel giugno 1978 ha partorito, ammanettata, nell’ospedale militare di Buenos Aires, un bambino che avrebbe voluto chiamare Guido che le è stato lasciato accanto soltanto per cinque ore. Dopo due mesi, il 25 agosto, il corpo di Laura Estela Carlotto è stato trovato senza vita, alla periferia di La Plata. Quando la salma è stata restituita alla famiglia, erano evidenti buchi di proiettile all’altezza dello stomaco e aveva il volto tumefatto dai tanti colpi ricevuti.
Estela Barnes de Carlotto, da quel momento, ha dedicato tutte le sue energie alla ricerca di quel bambino di cui non si sapeva più niente.
Si è unita al gruppo Abuelas Argentinas con Nietitos Desaparecidos che è poi diventato la Asociación Abuelas de Plaza de Mayo, di cui nel 1989 è diventata presidente.
La sua ricerca forsennata della verità l’ha portata ad azioni legali contro agenti di polizia, ufficiali militari e medici coinvolti nei tanti casi di “nipoti scomparsi”.
Ha partecipato a innumerevoli convegni e assise internazionali. Ha contribuito alla redazione di cinque articoli della “Convenzione internazionale dei diritti dei fanciulli” ed è stata presidente del Comitato argentino di sorveglianza. Ha partecipato anche alla redazione dello Statuto di Roma della Corte penale internazionale.
La sua azione “politica” in Argentina, caratterizzata da moderazione nei termini, innovazione nei metodi e fermezza nei principi, le è valsa l’apprezzamento da parte di diversi governi e istituzioni democratiche.
In Italia è stata una delle parti civili nel processo contro i militari argentini condannati a Roma il 6 dicembre del 2000.
Il 27 settembre 2002 ha subito un attentato alla sua vita.
Dopo una ricerca durata trentasei anni, il 5 agosto 2014, suo nipote è stato identificato.
Guido Montoya Carlotto è cresciuto come Ignacio Hurban, figlio unico di una coppia di contadini che lavoravano nella fattoria di un ricco proprietario terriero vicino al governo militare che glielo aveva affidato dicendo loro che era di una donna che non poteva tenerlo.
Diventato musicista e insegnante di musica, nel giorno del suo compleanno, ha saputo che era stato adottato dopo che la dittatura aveva ucciso i suoi veri genitori.
Grazie alla banca dati creata dalle nonne che avevano perso i nipoti durante la dittatura, ha fatto il test del DNA e ha scoperto di discendere da quella donna che aveva visto tante volte in televisione a lanciare appelli alla ricerca della verità su quelle atroci sparizioni.
L’attività di ricerca di Estela Carlotto, nonostante l’età avanzata, continua al fianco delle altre donne che sono ancora alla ricerca dei nipoti scomparsi. Le nonne di Plaza de Mayo sono riuscite a rintracciare solo centoventi dei cinquecento bambini e bambine nati durante la prigionia di donne dissidenti che, nella maggior parte dei casi, sono stati cresciuti da altre famiglie.
Nel 2011 è stato girato un film sulla sua lotta, Verdades verdaderas, la vida de Estela.
Per il suo impegno a favore del rispetto dei diritti umani e per l’attività svolta per restituire alle famiglie di origine i bambini sequestrati e fatti sparire dalla dittatura militare, ha ricevuto diverse Lauree honoris causa, dall’Università di Boston, di Buenos Aires, Salta, Entre Rios, La Plata e l’Università autonoma di Barcellona.
Nel 2024 ha ricevuto la Laurea Honoris Causa in Lingue e letterature per la didattica e la traduzione dall’Università degli Studi di Roma Tre.
In Italia è stata insignita dall’Ordine al Merito della Repubblica Italiana dal Presidente Carlo Azeglio Ciampi e ha ricevuto il “Premio per la Pace” del Comune di Roma.
0 notes
Text
FLASH NEWS - Limiti di accesso all’e-mail del dipendente
☞ FLASH NEWS – Limiti di accesso all’e-mail del dipendente ☜ Il Tribunale di Roma, con sentenza 14.02.2024, ha dichiarato nullo per motivo illecito (art. 1345 c.c.) il licenziamento per giusta causa irrogato a un dirigente, avendo la società utilizzato informazioni ottenute attraverso un “illecito accesso alla corrispondenza» del manager e, quindi, in violazione dell’art. 4 dello Statuto dei…
View On WordPress
0 notes
Text
Regione Veneto, autonomia, Zaia: “Grande occasione per il Paese”
Regione Veneto, autonomia, Zaia: “Grande occasione per il Paese”. "Chi continua a parlare di secessione dei ricchi non ha letto bene le carte. L'autonomia rappresenta, invece, la grande occasione per questo Paese. Il Veneto sente come obbligo confermare l'impegno che sta portando avanti dal 2014 e continuare ad essere con forza parte attiva, protagonista di questo processo. Il disegno di legge ora è all'esame dell'Aula della Camera, noi siamo pronti per la scrittura dell'intesa, in cui potremo dare una veste alla nostra idea di autonomia. All'indomani dell'auspicata approvazione, scriverò alla Presidente Meloni chiedendo formalmente l'istituzione del tavolo". Sono parole del presidente della Regione del Veneto, Luca Zaia, a Roma durante l'audizione in Commissione Affari Costituzionali di Montecitorio nell'ambito dell'esame del disegno di legge, già approvato dal Senato, riguardante le disposizioni per l'attuazione dell'autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario. "All'esame della Camera c'è un ddl che non vuole essere contro nessuno e intende mantenersi rispettoso della Carta costituzionale – ha aggiunto il presidente Zaia -. Lo conferma il fatto che è stato oggetto di una vigorosa fase emendativa, raccogliendo osservazioni sia della minoranza sia della maggioranza. A più di dieci anni di distanza dalla relativa previsione di legge si è avviato il percorso di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, i LEP, mediante l'inserimento di specifiche disposizioni, nell'ambito della legge di bilancio 2023. Si tratta di un passo rilevante perché ho sempre sostenuto con convinzione la necessità che lo Stato dovesse procedere quanto prima, e con tempi certi, alla determinazione di questi livelli riguardanti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale, interrompendo il nulla di fatto di tanti anni". "L'idea di autonomia non va contro il principio di unità nazionale – ha sottolineato il Governatore -. Il triste periodo del Covid 19 è stato a riguardo un modello: leale collaborazione tra lo Stato e le Regioni nel rispetto delle rispettive competenze. Una combinazione che ci ha consentito di affrontare la pandemia ed essere performanti". "Considero la riforma alle porte l'opportunità per un vero 'rinascimento' – è un'ulteriore considerazione di Zaia -. Il Veneto ci arriva dopo il referendum del 2017 che si è tenuto, dopo tre tentativi, grazie ad una sentenza della Corte costituzionale, quindi in assoluta legalità e fedeltà alla Carta fondamentale. Con questo Governo, che ringrazio a cominciare dalla premier Meloni e dal ministro Calderoli, c'è stato il grande passo avanti, quello che ha portato la riforma fuori dall'impasse. L'autonomia va ora vista in prospettiva, come un cammino di sviluppo e crescita. Saranno in molti a unirsi via via e appoggiare la messa a sistema della riforma".... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
0 notes
Text
Pace al Teatro di Roma, due poltrone per la governance
Fumata bianca per la governance del Teatro di Roma. Dopo le polemiche e le accuse reciproche, oggi è stato ufficializzato l’accordo: l’assemblea dei Soci ha infatti approvato la riforma dello Statuto che introdurrà una gestione duale, con la previsione delle figure di un Direttore Generale e di un Direttore Artistico. E il presidente Francesco Rocca ha confermato chiaramente la figura di Luca De…
View On WordPress
0 notes
Text
23 gen 2024 12:01
“UNO A CUI SQUILLA DI CONTINUO IL TELEFONO NON È POTENTE. IL POTERE, QUELLO VERO, NON VIENE MAI DISTURBATO” – SABINO CASSESE APRE LE VALVOLE, DALLA MORTE DI MATTEI AI CARABINIERI CHE AL TEMPO DELL'ENI PRESERO INFORMAZIONI SU DI LUI (“SCRISSERO CHE AVEVO IDEE COMUNISTE”) - GLI INCONTRI SEGRETI CON DAVIGO PER SCRIVERE LA FINANZIARIA NEL ’93 AL TEMPO DEL GOVERNO CIAMPI. “CESARE GERONZI CI MISE A DISPOSIZIONE UN UFFICIO DELLA BANCA DI ROMA IN VIA DEL CORSO” – LA CANDIDATURA AL QUIRINALE NEL 2022: “L’IDEA FU DI RENZI, SALVINI VENNE A CASA MIA PER…” -
«Uso una frase che mi aveva detto Guy Braibant, il più rispettato membro del Consiglio di Stato francese, un super mandarino che era stato capo di gabinetto di Fiterman quando i comunisti francesi erano nella coalizione di governo: le cariche pubbliche non si sollecitano e non si rifiutano».
Tommaso Labate per il Corriere della Sera - Estratti
Professor Cassese, in un libro-intervista con Alessandra Sardoni, lei ha delineato le strutture del potere. Chi è stato il primo potente che ha incontrato?
«Enrico Mattei, conosciuto quando nel 1957, un anno dopo la laurea, andai a lavorare all’Eni».
Che ricordi ha della notte in cui morì Mattei?
«Fui tra i primissimi a sapere del disastro aereo. Mi avvisò quasi in tempo reale Stelio Valentini, un ragazzo di cui seguivo la tesi di laurea, che era figlio del capo di gabinetto del presidente del Consiglio Amintore Fanfani. Seppi tutto quasi in presa diretta: l’aereo di Mattei scomparso dai radar, poi dato per disperso, fino alla notizia della morte. Andai anche io all’Hotel Eden, vicino via Veneto, dove Mattei abitava quando stava a Roma; e ricordo come venne organizzato il convoglio speciale per portare a Milano i rappresentanti del governo e dell’azienda».
Come cambiava l’Italia con la morte di Mattei?
«Noi dell’Eni, come scrisse Marcello Colitti, perdevamo un padre. L’Italia perdeva l’uomo del futuro. Consideri che a mio avviso, pur essendo passati quasi diciotto anni dal 25 aprile, c’erano ancora dei fortissimi elementi di continuità col Ventennio».
Per esempio?
«Le racconto un episodio personale. Quando mi chiamarono all’Eni, un carabiniere si presentò nel mio palazzo a prendere informazioni su di me e chiese con discrezione al portiere dello stabile di che orientamento politico fossi. Nel rapporto finale c’era scritto che ero un uomo di sinistra, che pencolavo verso le idee del Partito comunista, ma che comunque ero “uno studioso, un bravo ragazzo”. Quindi, non una testa calda».
Secondo lei, Mattei fu ucciso?
«Non ho mai avuto elementi per dare una risposta certa a questa domanda. Le tesi dell’omicidio sono le stesse da sempre: che lo volessero morto gli americani, visto che aveva cambiato i rapporti tra i Paesi produttori di petrolio; che lo volesse morto un pezzo di Democrazia cristiana, visto che lui foraggiava la sinistra del partito; che lo volesse morto la mafia. A quest’ultima tesi è legata anche la scomparsa di Mauro de Mauro, il fratello del mio grande amico, e poi cognato, Tullio».
Il fascismo, in Italia, è un capitolo che può riaprirsi?
«No. È un capitolo chiuso».
Secondo molti, nel pezzo di Paese limitrofo alle idee di Fratelli d’Italia...
«Come le dicevo prima, il fascismo per certi aspetti è proseguito anche oltre la morte di Mussolini: la polizia politica ha proseguito il suo lavoro, la censura cinematografica è arrivata fino agli anni Sessanta, l’Iri è rimasto in vita fino all’ultimo decennio del secolo... Poi però la riforma agraria, la messa in funzione della Corte costituzionale, la nazionalizzazione elettrica, la riforma della scuola, la “pensione sociale”, lo Statuto dei lavoratori, l’arrivo del Servizio sanitario nazionale, ecco, tutto questo ha abbattuto quello che era rimasto del fascismo».
È vero che è stato vicinissimo dal diventare presidente della Repubblica?
«È vero che si è fatto e scritto il mio nome nel 2015 e nel 2022, che è diverso».
Come si vive nel condominio del totonomi?
«Credo che tutti quelli di cui si fanno i nomi nel momento in cui c’è da fare un governo o il nuovo presidente della Repubblica la vivano con distacco, anche perché quel mestiere è difficile e non sempre gradevole. Come se la circostanza di essere nominati ministri o eletti al Quirinale stia nel mondo delle cose possibili ma non di quelle probabili».
Nel governo Ciampi, 1993, la sua nomina a ministro fu possibile, probabile, infine reale.
«Ciampi mi telefonò per dirmi “penso a lei”, all’epoca ci davamo del lei, “come ministro della Funzione pubblica”. Ovviamente, aggiunse, “non glielo posso garantire finché non lo annuncio”».
Si era in piena Mani Pulite.
«Le racconto questa cosa: viste la dimensione delle malversazioni che emergevano via via dalle carte delle inchieste dei giudici milanesi, decidemmo di scorporare il costo della corruzione dal bilancio dello Stato e quindi di toglierlo dalla legge finanziaria. Serviva un lavoro preciso, fatto bene, che tra l’altro aveva iniziato anche l’ufficio studi della Banca d’Italia. D’accordo con Ciampi, presi contatto col pool di Milano e il dottor Davigo viene in gran segreto a Roma a lavorare sulle cifre con me. A Roma nessuno, a parte noi due e il presidente del Consiglio, sapeva di questi incontri. Anzi, solo un quarto, che mantenne il segreto».
Chi era?
«Cesare Geronzi, che ci mise a disposizione un ufficio della Banca di Roma in via del Corso. Io e Davigo lavorammo per un intero giorno, entrando separatamente in quel palazzo da due ingressi riservati.La finanziaria del 1993 la scrissi dopo quegli incontri».
A gennaio del 2022, in piena elezione del capo dello Stato, l’uomo che dava le carte, Matteo Salvini, venne a casa sua e mangiaste insieme un passato di verdure.
«Salvini venne per fare una verifica, per farmi un esame. Ma l’idea che io potessi andare al Quirinale era stata di Matteo Renzi. Infatti, la prima a interpellarmi in tal senso, prima dell’inizio delle votazioni, era stata Maria Elena Boschi».
Quando ci sono incontri di questo tipo, che cosa viene chiesto esplicitamente?
«La domanda è: “Sarebbe disponibile o indisponibile per...?”. Ma molte persone sono “sondate”, come è giusto».
Lei di solito che cosa risponde?
«Uso una frase che mi aveva detto Guy Braibant, il più rispettato membro del Consiglio di Stato francese, un super mandarino che era stato capo di gabinetto di Fiterman quando i comunisti francesi erano nella coalizione di governo: le cariche pubbliche non si sollecitano e non si rifiutano».
Credette alla possibilità di diventare presidente della Repubblica?
«Nel 2015 scrissi un fondo per il Corriere in cui elencavo le caratteristiche per cui di solito si viene eletti al Colle. Sostanzialmente, bisogna essere stati presidenti di Camera o Senato, presidenti o vicepresidenti del Consiglio. Il motivo è semplicissimo: il Parlamento vota uno che conosce. Può immaginare quindi quale conclusione ne traessi a titolo personale».
Chi è stato il potente che ha meno fatto pesare il suo potere, di quelli che ha incontrato?
«Ciampi. Si metteva sempre un gradino sotto i suoi interlocutori, in una stanza non lo notavi neanche, poi finiva per prendere il meglio da tutti quelli che stavano accanto a lui. Era la coralità del potere. E poi, scusi, chi mai avrebbe potuto ambire a diventare capo del Servizio studi di Bankitalia, voluto da Menichella e Carli, partendo da una laurea in filologia e sbaragliando la concorrenza degli economisti?».
Craxi com’era?
«L’esatto contrario. Con Craxi in una stanza si vedeva solo Craxi, era o voleva essere il centro di tutti. Lo stesso può dirsi per Spadolini, in cui c’era anche quell’elemento di vanità tipico degli uomini di cultura».
Il potente più simpatico che ha conosciuto?
«Ciriaco De Mita, il potente che più di altri ha conservato e coltivato quell’elemento dubitativo e raziocinativo che è proprio dell’intellettuale».
(…)
1 note
·
View note
Text
Molt* trovano la situazione paradossale. Ma il Sudafrica non può che accusare lo Stato (di Isr@ele) se vuole riferirsi alla "Convenzione sulla prevenzione e repressione del crimine di genocidio" del 1948.
La quale infatti, oltre a qualificare il crimine di genocidio come atto commesso con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, chiama in causa non solo le responsabilità individuali, ma anche la responsabilità dello Stato (per la commissione del reato o per omessa prevenzione e punizione del crimine). Non poteva fare altrimenti il Sudafrica, insomma, se voleva richiamarsi alla "Convenzione" (e se voleva farlo davanti alla Corte Internazionale di Giustizia dell'ONU). Né si possono usare, nel dibattito attuale, altre parole che quelle della "Convenzione", se il quadro di riferimento del diritto internazionale è questo.
Cosa diversa dal capo di imputazione sono le accuse, da provare come in un qualsiasi dibattimento (in questo caso non un processo ma una disputa tra Stati). Lo Stato di Isr@ele può essere giudicato responsabile di "genocidio"?
I termini sono importanti, sempre. E ancor più nel diritto, dove sono - dovrebbero essere - chiari, precisi, monosemici. "Genocidio" non equivale a "crimini di guerra" né a "crimini contro l'umanità". Sembrano distinzioni di lana caprina, di fronte alla brutale escalation degli ultimi mesi, e alla morte di decine di migliaia di persone, ma sono distinzioni importanti, che è bene ricordare anche a chi fa informazione in questi giorni, e discutendo qui come altrove.
Della definizione di "genocidio" si è già detto. Fu, come noto, l'avvocato ebreo polacco Raphael Lemkin a coniare il termine durante il processo di Norimberga per descrivere lo sterminio nazista di sei milioni di ebrei. Il reato di genocidio venne poi formalmente creato proprio attraverso la “Convenzione sul genocidio del 1948” come crimine internazionale: molto specifico ed anche molto difficile da provare, poiché - secondo la giurisprudenza - richiederebbe la prova della cosiddetta "motivazione mentale".
I "crimini di guerra" sono invece gravi violazioni del diritto internazionale commesse contro civili e combattenti durante i conflitti armati (art. 8 dello Statuto di Roma del 1998, col quale si è istituita la Corte Penale Internazionale dell'Aia). Lo statuto li definisce come "gravi violazioni" delle Convenzioni di Ginevra del 1949, che coprono più di cinquanta scenari, tra cui uccisioni, torture, stupri e presa di ostaggi, nonché attacchi a missioni umanitarie. Il suddetto articolo 8 riguarda anche gli attacchi deliberati contro civili o "città, villaggi, abitazioni o edifici che sono indifesi e che non sono obiettivi militari" nonché "la deportazione o il trasferimento di tutta o parte della popolazione" di un territorio occupato.
“Crimine contro l'umanità” è infine un concetto formulato per la prima volta l'8 agosto 1945, e codificato nell'articolo 7 dello stesso Statuto di Roma. Implica "un attacco diffuso o sistematico diretto contro qualsiasi popolazione civile", inclusi "omicidio" e "sterminio", nonché "riduzione in schiavitù" e "deportazione o trasferimento forzato" della popolazione. I crimini contro l'umanità possono verificarsi in tempo di pace (qui sta la principale differenza con i crimini di guerra) e includono torture, stupri e discriminazioni, siano esse razziali, etniche, culturali, religiose o di genere.
Non so – anzi, mi chiedo – se il Sudafrica abbia fatto 'tecnicamente' bene a chiedere la condanna dello Stato di Isr@ele in base alla “Convenzione” del 1948 di fronte alla Corte Internazionale di Giustizia (soggetta, suo malgrado, all'influenza del Consiglio di Sicurezza dell'ONU), o se invece non occorresse potenziare l'azione della Corte Penale Internazionale (il cui mandato è però fortemente ostacolato da molti, e di difficile attuazione), reiterando le accuse nei confronti dei rappresentanti di quello Stato per “crimini di guerra” o “crimini contro l’umanità”.
Mi chiedo se una causa contro Net@nyahu e i membri del suo governo non sarebbe forse più diretta e penalmente dimostrabile e chissà – last but not least - capace anche di ridare fiato a quell'opposizione interna israeliana che le stragi del 7 ottobre hanno ridotto alla rassegnazione e alla paura (di finire in galera, ad esempio, se manifestano contro il primo ministro). E mi chiedo se così, forse, non si potrebbero anche separare le responsabilità e le scelte di un governo dalla storia di un popolo (che si identifica in quello Stato), togliendo dal quadro i paragoni impropri (vedi: processo di Norimberga), l'antisemitismo, l'Olocausto, e tutte le loro drammatiche implicazioni.
Lo dico altrimenti: bisognerebbe finalmente sgomberare il campo sia dalla minimizzazione dell’antisemitismo e della Shoah – che non dovrebbero essere paragonati a niente, per la loro specificità storica e per la loro tragica unicità – sia dalle accuse di antisemitismo verso chi esprime dolore e rabbia per le sorti del popolo palestinese e muove critiche verso le politiche del governo di Isr@ele e le azioni del suo esercito.
Temo (ma spero di sbagliarmi) che il dibattito intorno al processo in corso alla Corte di Giustizia Internazionale rischi invece sia di rendere ancora più compatta la (auto)difesa di Net@nyahu, sia di alimentare l'antisemitismo (come dimostra, appunto, il largo uso di paragoni impropri).
Personalmente, ho sempre cercato di contrastare - coi miei interventi pubblici e i miei lavori, a partire da "Parole contro" (2004) - l'antisemitismo, svelandone gli aspetti più insidiosi nella 'cultura popolare' e nel senso comune, e di usare con la massima cautela e sensibilità le parole “Shoah” e “Olocausto”, e trovo offensivo e diffamante essere accusato di antisemitismo se mi esprimo per il "cessate il fuoco" o per il rispetto dei diritti umani in P@lestina e Isr@ele, avendo tra l'altro detto parole chiare e univoche - vedi un post di qualche tempo fa - di condanna alle atrocità di Ham@s del 7 ottobre.
E spero oggi che il dibattimento in corso all’Aia – indipendentemente dai suoi esiti niente affatto scontati in termini penali, e da certe approssimazioni mediatiche - possa finalmente smuovere la comunità internazionale e mettere al centro gli orrori, le ingiustizie, i diritti umani negati, e le vite spezzate nella Striscia di Gaz@, in Palestin@, e in Isr@ele. A questa mattanza - e a chi la alimenta: il terrorismo nichilista di Ham@s e dei suoi sostenitori e l'ultra ortodossia colonialista israeli@na - occorre rispondere con il diritto internazionale (anzi, con il diritto alla vita, una vita dignitosa, per tutte le persone coinvolte) e con un piano di pace, di lungo periodo, che deve trovare consenso e forza, oltre i timidi equilibrismi e i vergognosi silenzi-assensi (della UE, ad esempio).
Soprattutto, non credo si possa più assistere a ciò che sta avvenendo pensando che l’unica opzione sia quella di un conflitto che duri indefinitamente, e che continuerà a fare migliaia di morti, per la stragrande maggioranza civili. Né posso credere che chi vive prigioniero nella Striscia di Gaz@ - da generazioni, e non ha mai avuto alcuna possibilità di essere liber* cittadin* del mondo - non possa avere un destino diverso. O che chi vive in Isr@ele debba sentirsi continuamente minacciato da atti terroristici e in guerra permanente, così come chi vive in P@lestina debba avere il terrore che da un giorno all'altro arrivi qualcuno a espropriarti della tua terra, della tua casa, del tuo futuro.
Ecco: spero che, paradossalmente, il dibattimento in corso all’Aia - spingendo innanzitutto per un cessate il fuoco - possa far(ci) ricominciare a parlare di futuro. Un futuro per due popoli, e per il diritto ad esistere di entrambi.
Federico Faloppa, Facebook
0 notes