#Residenze Digitali
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ℝ𝔼𝕊𝕀𝔻𝔼ℕℤ𝔼 𝔻𝕀𝔾𝕀𝕋𝔸𝕃𝕀 𝟚𝟘𝟚𝟜
𝘝 𝘦𝘥𝘪𝘻𝘪𝘰𝘯𝘦
Aperto il bando che supporta 𝕝’𝕖����𝕡𝕝𝕠𝕣𝕒𝕫𝕚𝕠𝕟𝕖 𝕕𝕖𝕝𝕝𝕠 𝕤𝕡𝕒𝕫𝕚𝕠 𝕕𝕚𝕘𝕚𝕥𝕒𝕝𝕖 come ulteriore o diversa declinazione della ricerca di artisti ed artiste delle performing arts.
Ai 𝗾𝘂𝗮𝘁𝘁𝗿𝗼 𝗽𝗿𝗼𝗴𝗲𝘁𝘁𝗶 𝘃𝗶𝗻𝗰𝗶𝘁𝗼𝗿𝗶 sarà garantito un contributo di 𝟰.𝟱𝟬𝟬 𝗲𝘂𝗿𝗼 + 𝗶𝘃𝗮 ciascuno, il sostegno di 𝗾𝘂𝗮𝘁𝘁𝗿𝗼 𝘁𝘂𝘁𝗼𝗿 esperti della creazione digitale e dei suoi linguaggi e la messa a disposizione dell’alloggio e di uno spazio di lavoro per un eventuale periodo di residenza in presenza.
Candida il tuo progetto artistico entro 𝗴𝗶𝗼𝘃𝗲𝗱ì 𝟮𝟮 𝗳𝗲𝗯𝗯𝗿𝗮𝗶𝗼 𝟮𝟬𝟮𝟰 tramite il portale www.ilsonar.it
𝘙𝘦𝘴𝘪𝘥𝘦𝘯𝘻𝘦 𝘋𝘪𝘨𝘪𝘵𝘢𝘭𝘪, 𝘨𝘪à 𝘧𝘪𝘯𝘢𝘭𝘪𝘴𝘵𝘢 𝘢𝘭 𝘗𝘳𝘦𝘮𝘪𝘰 𝘙𝘦𝘵𝘦 𝘊𝘳𝘪𝘵𝘪𝘤𝘢 2021, è 𝘶𝘯 𝘱𝘳𝘰𝘨𝘦𝘵𝘵𝘰 𝘥𝘦𝘭 Centro di Residenza della Toscana (Armunia – CapoTrave/Kilowatt Festival), in partenariato con l'Associazione Marchigiana Attività Teatrali AMAT, il Centro di Residenza Emilia-Romagna (L’arboreto - Teatro Dimora │ La Corte Ospitale - Teatro Herberia), l’Associazione ZONA K di Milano, Fondazione Piemonte dal Vivo – Lavanderia a Vapore, CURA Centro Umbro Residenze Artistiche, Centro di produzione di danza e arti performative Fuorimargine di Cagliari e l’Associazione Quarantasettezeroquattro (Festival In\Visible Cities - Contaminazioni Digitali - Festival urbano multimediale) di Gorizia.
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Stay with me live , 20 MINs, chill stream , part of I am Dancing in a Room , live streaming performance, world wide web late 2021;
in the frame Tseng Chih Wei, bringing the audience trough his fav Tapei Neighborhood , Taipei night 2021;
big thanks to Huang Ding Yun for taking his creative scene people into the livestreaming.
presented at Residenze Digitali.
#maraoscarcassiani#maracassiani#iamdancinginaroom#lafauna#residenzedigitali#digitalartist#digitalart#performingart
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Modena, al Centro Musica corso gratuito per diventare filmmaker
Modena, al Centro Musica corso gratuito per diventare filmmaker. Approfondire le tecniche di realizzazione e distribuzione di un prodotto audiovisivo e multimediale (regia, live e spettacolo), imparando poi nelle lezioni pratiche a utilizzare i dispositivi e le applicazioni digitali adottate da videomaker e video artist e designer. Ma anche apprendere le basi della fotografia, della scrittura e delle tecniche che riguardano la produzione di filmati. Sono le principali competenze, da utilizzare poi sul mercato del lavoro, che si possono acquisire in “Urban video”, il corso gratuito di formazione per filmmaker promosso dall’assessorato alle Politiche giovanili del Comune di Modena, in collaborazione con EasyShow Coop, all’interno delle attività del Centro musica – 71 MusicHub. Online sul sito www.musicplus.it è pubblicato il bando per gli otto posti a disposizione destinati a giovani modenesi under 29; iscrizioni entro lunedì 6 febbraio 2023. “Urban video”, che giunge quest’anno alla sesta edizione, si articola in 68 ore, suddivise tra lezioni frontali (18 ore), moduli di approfondimento che prevedono incontri con esperti del settore specializzati sulle tematiche affrontate (32 ore) e uno stage formativo (18 ore). Il tirocinio è finalizzato alla progettazione e alla realizzazione di un contenuto video di una delle attività (come eventi e residenze) del Centro musica, della Tenda, della Torre e dell’Off. Per iscriversi a “Urban video” è necessario essere residenti o domiciliati in provincia di Modena e avere un’età compresa tra i 16 e i 29 anni; le otto persone selezionate saranno valutate da una commissione di esperti e operatori anche sulla base di un colloquio motivazionale che si svolgerà da remoto. Il corso inizierà il 13 febbraio per concludersi indicativamente il 3 aprile. Gli spazi del Centro musica di via Morandi 71 ospiteranno sia le lezioni frontali (in programma il lunedì dalle ore 18 alle 21) sia gli incontri con gli esperti (il sabato dalle 9 alle 13 e dalle 14 alle 18). Approfondimenti anche via telefono (059-2034810) e posta elettronica ([email protected]).... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Giada Diano ospite di “Esodi residenze digitali”. Grottammare omaggia Lawrence Ferlinghetti - Riviera Oggi
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Ecco il nuovo articolo di Ticonsiglio
https://www.ticonsiglio.com/residenze-digitali-concorso-artisti/
Residenze Digitali 2021: concorso per artisti in digital performing
Il concorso per artisti Residenze Digitali seleziona 6 progetti in ambito digitale. In palio, contributi da 3.500 euro per le opere selezionate, affiancamento per la realizzazione e visibilità. Ecco il bando Leggi
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Residenze Digitali
“Trasformare la difficoltà in opportunità” ecco lo spirito che ha sostenuto il bando Residenze Digitali, l’iniziativa proposta lo scorso aprile dal Centro di Residenza della Toscana (Armunia – CapoTrave/Kilowatt), in partenariato con l’Associazione Marchigiana Attività Teatrali AMAT e la Cooperativa Anghiari Dance Hub, in collaborazione con ATCL Lazio.Continue reading
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#Aldes#Alice Giroldini#Anghiari Dance Hub#Antonella Questa#Armunia#Associazione Marchigiana Attività Teatrali AMAT#ATCL Lazio#CapoTrave/Kilowatt#Celeste Gugliandolo#Centro di Residenza della Toscana#Daniele Aurigemma#Elisa Sirianni#Enchiridion#fattiditeatro#Filippo Rosati#Francesca Montanino#Giselda Ranieri#Gorilla Gang#Isabella Brogi#Joana Chicau#Jonathan Reus#Matteo Sintucci#Mauro Parrinello#Residenze Digitali#Resistere e Creare#Simone Pacini#Teatro della Tosse#Tindaro Granata#Umanesimo Artificiale#Valerio Binasco
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Esattamente un anno fa l’Università di Firenze, Dipartimento SAGAS, organizzò un forum per attirare l’attenzione sul degrado di uno dei palazzi più belli di Firenze, il più rappresentativo della stagione tardo barocca insieme a palazzo Medici Riccardi, vale a dire Palazzo Fenzi Marucelli. Fu un sasso gettato nello stagno, che sta cominciando a dare i suoi frutti proprio in questo momento. Andrea De Marchi tenne allora una relazione introduttiva che qui pubblichiamo in occasione del Convegno sui Musei universitari, che avrà luogo nei prossimi giorni (1-2 febbraio 2018), ideato da Cristiano Giometti e Donatella Pegazzano appunto nella prospettiva di una futura musealizzazione del piano terra di Palazzo Fenzi Marucelli, una volta riordinato e restaurato (leggi il programma). Ringraziamo l’autore per averci consentito di fare conoscere questo testo attraverso le nostre pagine. [N.d.R.]
IL MESTIERE DEL DOCENTE universitario negli ultimi anni è cambiato profondamente e probabilmente sta cambiando ancora. Se pensiamo ai nostri maestri non possiamo non invidiarli, perché potevano profondere tutte le loro migliori energie, a tempo pieno, nel condurre ricerche originali e nel trasmettere ai giovani la loro sapienza. Nessuno di loro avrebbe potuto nemmeno lontanamente immaginare i carichi amministrativi rendicontativi e organizzativi che ci soverchiano quotidianamente. Il rischio di smarrire la dimensione gratuita e profondamente umanistica della ricerca per sé stessa e di impoverire così anche le potenzialità di costante verifica ed innovazione metodologica è assai elevato. La pur giustificata reazione di rigetto, che ogni tanto tenta molti di noi, è però sterile e impedisce di cogliere le sfide attuali a cui siamo chiamati, il dovere civile e morale di proiettare la docenza oltre il chiuso delle aule, di confrontarci con le possibili ricadute di quanto insegniamo, di contribuire ad una disseminazione del sapere che fruttifichi in buone pratiche.
[quote style=”boxed” float=”right”]Una società bombardata dalle immagini è nondimeno sempre più affamata di altre immagini, in un atteggiamento bulimico che riduce l’opera d’arte a pretesto occasionale per suscitare emozioni estemporanee e fuggevoli, anziché imparare a gustarle per quello che effettivamente rappresentano[/quote]Ciò è tanto più vero per chi insegna storia dell’arte. Una società bombardata dalle immagini è nondimeno sempre più affamata di altre immagini, in un atteggiamento bulimico che riduce l’opera d’arte a pretesto occasionale per suscitare emozioni estemporanee e fuggevoli, anziché imparare a gustarle per quello che effettivamente rappresentano, per il vissuto anche remoto che vi è sedimentato e trasfigurato, e attraverso di esse coltivare il valore della memoria, provare l’emozione autentica di percepire nella bellezza prodotta dall’uomo nel corso dei secoli il barlume di qualcosa che gli era ancora ignoto. I giovani stanno drammaticamente perdendo la memoria storica, il senso stesso, tragico e commovente, grandioso ed entusiasmante, della storia che sta dietro di loro, in favore di un unico eterno presente ove tutto si livella e galleggia nel plasma infinito del web, dove le differenze si annebbiano, dove nulla emoziona veramente perché tutto è possibile e tutto è già noto.
La storia dell’arte proprio per la maggiore facilità – apparente – di assimilazione delle immagini, può divenire allora strumento privilegiato di un’educazione permanente che contrasti il progressivo smarrimento di identità. Insegnando a leggere il succedersi degli stili e con essi delle mentalità, a decifrare in un monumento, ma pure in una città e nel territorio, un gigantesco palinsesto, alimenta la consapevolezza mai banale del diverso e della diacronia. Le conoscenze storicamente fondate e verificate non sono mai erudizione fine a se stessa, fanno parlare l’opera, ci dispongono ad ascoltarla, in un vero e proprio slow food nella ricezione delle opere d’arte, come palestra della cultura dell’attenzione. Saper leggere un’opera d’arte per le tendenze metodologiche più agguerrite e promettenti vuol dire soprattutto ricollocarla mentalmente nel suo contesto: di produzione, di ricezione estetica, funzionale e ideologica. Rimetterla al suo posto, magari anche con l’ausilio delle straordinarie potenzialità offerte dai rendering e dalle visualizzazioni digitali, o addirittura con la realtà aumentata, con tutti i rischi ludici che essa comporta, e con questa operazione dare un senso ai monumenti e ai musei, riscattare dal rischio incombente sulle nostre città di una regressione ad un unico, proteiforme ma inafferrabile, non-luogo.
[sixcol_four] Queste riflessioni preliminari credo siano opportune nel momento in cui ci troviamo a discutere in questo luogo, così denso di storia e di arte e al tempo stesso così maltrattato, all’interno di un quartiere che è tutto straordinariamente denso e che è non meno sofferente. Palazzo Marucelli Fenzi come l’intera area di San Marco (la chiamo così, rinviando all’antica Cafaggio suburbana, che quartiere non era, cresciuta attorno ai grandi poli religiosi dei silvestrini e poi domenicani osservanti, San Marco, e dei Servi di Maria, Annunziata, pullulante specie in San Gallo di insediamenti monastici femminili), palazzo Marucelli Fenzi e l’intera area di San Marco – dicevo – esprimono delle potenzialità soffocate da un tessuto urbano che non aiuta il dialogo, che talora respinge per ricorrenti episodi di grave degrado, che riassorbe le tante isole di bellezza e di pace che racchiude, i tanti frammenti di arte e di storia che lo fanno illustre, come a volerli nascondere. [/sixcol_four][sixcol_two_last] [/sixcol_two_last]
Sebastiano Ricci, Punizione di Eros, c. 1706-1707, particolare, Firenze, Palazzo Marucelli Fenzi
[sixcol_four]È una gigantesca sfida, che riguarda una pianificazione urbanistica degna di questo nome, dove siano chiare, dichiarate e condivise, le scelte, le priorità, gli indirizzi. Ma è anche più nell’immediato e più in piccolo una micro-sfida che ci riguarda molto da vicino e che vorrei dire è quasi impellente. Abbiamo voluto invitare a questo forum professionisti e dirigenti che svolgono ruoli di responsabilità in istituzioni culturali, formative e museali, che in questa area a rischio di perdita identitaria insistono, nella consapevolezza che tout se tient, che nessuno può progettare in proprio senza dialogare col vicino, che questa realtà atollica se innesca delle sinergie virtuose può davvero schiudere potenzialità inattese. Avviare un confronto non può voler dire che porre i presupposti di un lungo cammino, avendo il coraggio di guardare lontano. Ma per non parere velleitari vorremmo partire molto concretamente dal presente dolorante e dal futuro incerto di questo edificio, di questo monumento che racchiude in sé le ambivalenze, le potenzialità e le pastoie, splendeurs et misères, dell’intero quartiere.[/sixcol_four][sixcol_two_last] [/sixcol_two_last] [sixcol_four] Palazzo Marucelli poi Fenzi – ne parleranno più nel merito Donatella Pegazzano e Cristiano Giometti – è dopo Pitti e palazzo Medici Riccardi l’esempio più alto e fulgido della decorazione barocca a Firenze. «Uno de’ più vaghi e nobili edifici, che da altri gentiluomini siano stati fatti in Firenze nel presente secolo», così lo ricorda Filippo Baldinucci alla fine del Seicento. Come prima di lui Pietro da Cortona e Luca Giordano nelle altre due residenze succitate, qui il veneziano Sebastiano Ricci tra 1706 e 1707 fa irrompere una ventata di aria frizzante. Per quegli anni è un vertice di livello europeo, dove pitture murali, pirotecnici stucchi ad illusione, dorature e vernici traslucide, finti quadri con finte cornici, trompe-l’oeil d’ogni sorta sfondano pareti e volte, trasfigurano gli ambienti. Ma poi il palazzo racconta tante storie, vi si sovrappongono gusti ed epoche diverse, fino all’Ottocento, quando lo comprò Emanuele Fenzi, costruttore della strada ferrata Leopolda, e sempre a livelli molto alti, con boudoir neogotici e neo-cinquecenteschi, ora fatiscenti ed usati impropriamente come studi. Un collega, veneziano provocatore, Giuseppe Pavanello, tanti anni fa mi disse che era riuscito a vedere la cosa più bella che c’è a Firenze. Era riuscito. Non è facile infatti, a meno di essere studenti che, per lo più ignari di tanto splendore e della sua storia, usano quotidianamente la biblioteca di geografia. O fino a poco tempo fa impiegati del nostro dipartimento che avevano la scrivania in quelle stanze, preziose come uno scrigno: ma opportunamente il nostro direttore prof. Stefano Zamponi le ha fatte sgomberare, di modo che possano essere presentate più degnamente al visitatore occasionale che lo richieda. L’altro giorno ho assistito ad una scena surreale: una ventina di signore e signori di un’università della terza età volevano vedere la sala d’Ercole, ciò che è stato loro concesso in via del tutto eccezionale e per pochissimi minuti, purché le fatiche d’Ercole e Sebastiano Ricci venissero spiegati dal loro cicerone mentre erano pigiati nel corridoio, e poi si aggirassero a fatica e in silenzio tra i tavoli per non disturbare gli studenti che leggevano in biblioteca. Il quadrilobo con la Punizione di Eros, di Sebastiano Ricci, che al Metropolitan Museum di New York o alla National Gallery di Londra campeggerebbe isolato, si vede tra il lusco e il brusco, di passaggio tra gli scaffali e sopra al bancone di distribuzione dei libri per il prestito. Nel resto del palazzo occhieggiano decorazioni bellissime, di qua e di là, dove meno te le aspetti, soffocate fra rifacimenti intrusivi, disimpegni disadorni e muri scrostati. Volte affrescate e circondate da stucchi sono offese dalle barre del neon. Nella sala della Guerra, uno degli stucchi stupefacenti del Portogalli è stato perforato per applicare la riloga di una tenda: e non secoli fa!
Visitatori nella Sala di Ercole
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Veduta della Sala dell’Amore punito con la “Punizione di Eros” di Sebastiano Ricci
Giovan Martino Portogalli, Nereide, particolare della decorazione in stucco della Sala della Guerra
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[sixcol_four] Come storico dell’arte e docente che insegna in questa università io mi vergogno. Come possiamo educare alle buone pratiche se non le incarniamo? Come possiamo istillare nei giovani la sensibilità per il patrimonio, per la sua comprensione storica, per le attenzioni che esso merita, se il luogo stesso che ci ospita è un esempio perfetto dell’opposto? Come possiamo accogliere degnamente colleghi e ospiti? È questo il nostro biglietto da visita? Allo stesso modo immagino che tanti colleghi del DIDA si vergognino a discutere pubblicamente tesi di laurea di restauro architettonico in un edificio illustre come Palazzo San Clemente, fatiscente e deturpato.[/sixcol_four] [sixcol_two_last][/sixcol_two_last] [sixcol_four] Palazzo Marucelli Fenzi meriterebbe di essere rivoltato come un calzino, svuotandolo anche di tanti tramezzi e divisori e superfetazioni cementizie, in cui si sbizzarrirono pessimi nipotini di Michelucci, riducendolo ad un vero dedalo di scale e scalette, meandri e mezzanini e terrazzini, dove anche io ogni tanto mi perdo. Nel patrimonio edilizio monumentale dell’Università la maggiore spina nel fianco è probabilmente palazzo San Clemente, lo sappiamo bene. Ma palazzo Marucelli Fenzi, anche senza interventi strutturali straordinari, potrebbe essere ricondotto a dignità per gradi. Ripulire e riordinare con un attento restauro il piano terreno non sarebbe un obiettivo così immane, anzi assai realistico, se solo si liberassero gli spazi occupati dalla biblioteca di geografia, come promesso da anni.
Come tutti sanno esiste un grandioso progetto per un polo bibliotecario umanistico, detto progetto Brunelleschi, consultabile anche sul sito del Sistema bibliotecario di ateneo, e in vista di ciò da qualche anno sono stati traslocati gli studi dei docenti che ancora vi avevano luogo. È una prospettiva entusiasmante, che potrà un giorno mettere a disposizione degli studenti, ma anche della città, un patrimonio librario imponente e spazi polivalenti, dove speriamo troveranno posto anche altre collezioni documentarie assai importanti che l’ateneo ha, come la fototeca di storia dell’arte, negli ultimi anni arricchitasi grazie al dinamismo della collega Sonia Chiodo di fondi notevoli (Parronchi, Marabottini, Del Bravo), ospitando anche quelli preziosissimi di Offner e Boskovits del Corpus of the florentine painting. Non tutto onestamente entusiasma a pari grado: in molti riteniamo discutibile (e mal gestibile, chi pulirà tutti i giorni quella copertura in vetro da foglie e guano?) l’idea di chiudere con vetri il bel chiostro cinquecentesco per tramutarlo in un’enorme sala di lettura: ci piace che i chiostri restino tali! Alcuni benefici già sono giunti e vanno salutati col meritato plauso: così i tornelli che regolano l’accesso, così la grande e luminosa sala di consultazione di italianistica e storia dello spettacolo, ricavata nell’ex aula B, inaugurata il 10 ottobre dello scorso anno e sempre piena di studenti.
Nell’attesa fervorosa della Très grande bibliothèque, che chissà se vedremo prima della nostra pensione, noi abbiamo però diritto a convivere al meglio con la precarietà. Per questo poniamo con forza l’esigenza di trovare oggi, non tra diversi anni, una soluzione ragionevole nello sterminato plesso di Brunelleschi per il fondo librario di geografia, per quanto interlocutoria e non definitiva essa possa essere. La sistemazione attuale, nelle sale affrescate da Sebastiano Ricci, è infamante ed insostenibile, nuoce alla nostra stessa immagine ed è nella sostanza conservativa gravissima, va medicata il prima possibile.
Due anni fa, il 21-22 marzo 2015, il FAI meritoriamente inserì nelle XXIII Giornate di primavera palazzo Marucelli Fenzi, affidando le spiegazioni a giovani liceali formati per ciò, e fu un successo clamoroso: vi affluirono in due giorni circa 5000 persone. Nell’occasione fu reso praticabile anche il varco verso la libreria annessa anticamente a questa dimora illustre, la Biblioteca Marucelliana. Una volta liberato, il piano terreno del palazzo potrebbe diventare un raffinato museo, potenzialmente affidabile per la sua gestione e valorizzazione all’interazione degli stessi studenti universitari, fra tirocinii e spin-off, elaborando progetti anche di didattica per le scuole e per la città, per cui sarebbe adattissimo, raccontando tante storie, dalla mitologia greca al sogno pittorico e illusionistico barocco, dall’uso degli spazi domestici e di rappresentanza, all’auto-rappresentazione di famiglie gentilizie da annoverare tra le maggiori a Firenze fra Seicento e Ottocento. Potrebbe essere uno splendido laboratorio, dove la formazione e la ricerca si intreccino con un museo vivo, come già avviene per il Museo e istituto di preistoria Paolo Graziosi, ospite del Comune d Firenze nella sede delle Oblate.
Un giorno forse non necessariamente così remoto il piano terreno di palazzo Marucelli Fenzi potrebbe aggiungersi come una nuova unità del sistema museale di ateneo, contribuendo così insieme al complesso di Villa la Quiete alle Montalve, su cui si stanno impegnando con grande dedizione e generosità due nostri colleghi storici dell’arte, Donatella Pegazzano e Cristiano Giometti, ad arricchire il già prestigioso sistema dei musei naturalistici dell’università.
“Non solo David” dovrebbe essere lo slogan di una battaglia tenace e capillare, quotidiana, per far emergere un’altra Firenze, fatta di un tessuto pullulante e per nulla minore, anzi densissimo di memorie storiche e di piccoli capolavori, fatta di chiostrini, palazzi affrescati, teatri e teatrini, orti e giardini, collezioni di manufatti particolari e naturalistiche, frammenti di realtà monastiche, biblioteche storiche… che ora non è accogliente, non attira quell’ampia fascia di turismo più colto e raffinato, rimane nell’ombra ed è insidiato dal degrado. Ci sono poi energie riposte della società civile che potrebbero venire dissopite e galvanizzate. È bello trovare schiuso l’uscio del chiostrino affrescato di San Pierino, in via Gino Capponi, ed intravvedere tutti i giorni i colori di quella piccola meraviglia, aperta grazie ai volontari della Società Dante Alighieri. La presenza di una popolosa comunità studentesca, specie dei dipartimenti umanistici, che ha pure spopolato queste zone dagli abitanti residenziali, ma che nel bene e nel male le sta permeando sempre più del suo vissuto, potrebbe essere il motore di una riqualificazione dove i luoghi della formazione (università, accademie, biblioteche) e quelli del patrimonio (musei maggiori e minori) si intreccino, rimandino l’uno all’altro.
Alcuni complessi, come la palazzina neoclassica dei Servi, di Luigi Cambray Digny, su cui è stato pubblicato pure un volume, sono stati felicemente recuperati in anni recenti: ora è la sede dell’altro corno del dipartimento SAGAS, una sede bella e funzionale. Celata, anche a noi docenti e agli studenti, vi è l’ottocentesca aula intitolata al grande chimico Ugo Schiff, ebreo tedesco e socialista della prima ora, con le sue ripide gradinate per le dimostrazioni scientifiche, che necessita di interventi urgenti di salvaguardia e che potrebbe essere una piccola attrattiva (io ho chiesto di recente l’autorizzazione ad entravi, ma non ci sono riuscito, e un custode che invece c’è entrato mi dice che le condizioni di degrado sono allarmanti; per questo nel video che scorre a loop sono in grado di mostrare solo un’immagine sfocata rubata dal web). [/sixcol_four] [sixcol_two_last]
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[quote float=”left”]Perché quest’area non potrà un giorno diventare una piccola Oxford, felicemente incistata sul fianco di una città storica sempre più brutalizzata dal consumo orgiastico del turismo massificato, mordi e fuggi, canalizzato nei due o tre binari obbligati e feticizzati?[/quote] Probabilmente anche altri potrebbero lamentare micro-contesti monumentali che patiscono il degrado e che andrebbero salvati. Ma soprattutto quello che manca è un virtuoso sistema connettivo, una rete che facendo conoscere questi luoghi li aiuti a vivere. Una rete in cui proprio gli studenti di beni culturali, in inquieta ricerca di affinare professionalità efficaci, nutrite di sapienza e di sensibilità, potrebbero giocare un ruolo importante in un futuro forse non così remoto e non così utopico. Perché quest’area non potrà un giorno diventare una piccola Oxford, felicemente incistata sul fianco di una città storica sempre più brutalizzata dal consumo orgiastico del turismo massificato, mordi e fuggi, canalizzato nei due o tre binari obbligati e feticizzati? Perché non potrà esservi coltivata la dimensione accogliente e gradevole del college, dove chiostri bellissimi come quello di Sant’Apollonia non siano manomessi da usi impropri e abbandonati allo squallore, dove siano proposti percorsi alternativi, dove i luoghi che si visitano si confondano e mescolino con quelli dove si studia e si ricerca? Perché non si rade al suolo l’obbrobrio cementizio di Sant’Orsola, un fantasma che ha ghettizzato le insulae circostanti, e non si indice un concorso internazionale per trasformare quella vasta area in redditizia foresteria per gli studenti e polmone verde, rilanciando la vocazione studentesca e universitaria di questa zona di Firenze?
[sixcol_four] Importanti contenitori demaniali, pregni di memorie storiche e ricchi di decorazioni, sono stati dismessi in quest’area o verranno dismessi, senza che sia chiaro, almeno nella nozione comune, quale destinazione li attenderà: il buontalentiano casino mediceo di San Marco, appartenuto a don Antonio de’ Medici e al cardinal Carlo, dove erano la Corte d’appello, la Procura generale della Repubblica, l’Avvocatura di stato e il Circolo ufficiali (si legge su wikipedia: “2012, il complesso è attualmente in attesa di nuova destinazione”); l’ex ospedale militare nell’ex monastero femminile di San Domenico del Maglio, il chiostro di Sant’Apollonia, già menzionato, invaso dalle erbacce ed indecorosamente ridotto ad ospitare la mensa universitaria. Per il Maglio si parla di un polo tecnologico per i beni culturali, in cui sarebbe coinvolto anche l’Opificio delle pietre dure, bisognoso di un terzo polo anche per ospitare la sezione tessili e arazzi, tuttora in Palazzo Vecchio, e questa sarebbe una bella notizia. Per il casino mediceo di San Marco anni fa era stato lanciato, in vista di un finanziamento europeo, un progetto ambizioso di polo integrato, museale e della conservazione, che però non è mai decollato. A fronte delle incognite che gravano su questi importanti beni demaniali, su cui sarebbe auspicabile un dibattito pubblico, ci sono musei che scoppiano e offrono strutture drammaticamente inadeguate sia all’importanza delle opere che conservano sia, nel caso della Galleria dell’Accademia, all’imponente flusso di pubblico. Il Museo archeologico, che si presenta ora con tre allestimenti differenti e contradditori, soffre entro spazi insufficienti. L’Accademia al presente non è in grado di offrire nemmeno il servizio guardaroba, per assenza di spazi, non ha luoghi in cui accogliere più degnamente i visitatori che sono in attesa, e magari intrattenerli con ristori e apparati divulgativi ed educativi. Ma soprattutto – ed è per me che studio questo periodo la cosa più dolorosa – la Galleria dell’Accademia racchiude la collezione più importante che ci sia al mondo della pittura su tavola fiorentina fra Due e Quattrocento, ma queste opere sono ammassate una sull’altra come in nessun museo al mondo si farebbe. Sostanzialmente invisibili per coloro che potrebbero apprezzarle. A quanti nostri studenti sono familiari? Quante classi delle scuole secondarie superiori vanno a visitarle? Quanti pensano che all’Accademia si va solo una volta nella vita, subendo la fila interminabile, per vedere il David? Le stesse opere, distese in altri spazi, coi confronti giusti, avrebbero ben altro impatto e potrebbero essere offerte a gradi diversi di fruizione, al di là del turista esotico mordi e fuggi. Perché non cercare una destinazione altra e limitrofa, in spazi di adeguato respiro monumentale, per la collezione di strumenti musicali? O per la gipsoteca Bartolini: bellissima, per carità, sembra di entrare nella Tribuna di Zoffany, ma che densità bestiale di visitatori! O perché non riqualificare l’insula di Sant’Apollonia e lì dislocare la sezione straripante del Quattrocento rinascimentale, arricchendola dei tanti capolavori grandi e piccoli che giacciono nei numerosi depositi fiorentini (quanti affreschi strappati, anche bellissimi, nel deposito di villa Corsini a Castello!), costruendo un percorso storicamente sensato e finalmente godibile, facendo dialogare le tavole con gli affreschi del Cenacolo di Andrea del Castagno, col chiostro rinascimentale, con la cappellina affrescata da Cenni di Francesco e da altri trecentisti, impenetrabile ai più (celata dietro agli uffici dell’Azienda regionale per il diritto allo studio)? E rivelare queste cose, con eleganza ma efficacia: chi sospetta che sotto alle bandiere italiane ed europee, dietro a quel muro spoglio di via XXVII aprile, non ci sia una caserma o un ufficio della pubblica amministrazione, ma il cenacolo di Andrea del Castagno, come una piccola targa dichiara e come qualche viaggiatore inglese sa bene? Eppure oggi ci sarebbero infiniti mezzi, tra ticket cumulativi a tema, app e percorsi on-line segnalati da QR code, per comunicare, oltre alla banale segnaletica che manca drammaticamente un po’ ovunque in questa zona.
Esiste un pubblico che al paragone dei grandi numeri polarizzati da tre-quattro tappe feticcio è di nicchia, ma che in potenza rappresenta una nicchia assai cospicua. Un pubblico colto ed esigente che giustamente va dove l’offerta è adeguata, ben articolata, raffinata, amichevole, e per cui una città come Firenze è obiettivamente respingente. Anche lo slow food deve avere diritto di cittadinanza nel mondo dei beni culturali di una città come Firenze, contribuendo a quel valore aggiunto che può incidere in maniera determinante sull’immagine complessiva, non brutalmente massificata e livellata. Non è una rivendicazione elitaria. All’opposto. L’idea del museo aperto e diffuso, come itinerario, radicato in luoghi diversi, è l’unica salvezza. Massimiliano Tonelli, animatore del sito Artribune, lanciando provocatoriamente la sfida della gratuità per tutti i musei, sul modello inglese, che alla fine potrebbe rivelarsi anche economicamente un fattore di sviluppo e di incentivo di altri redditi, ben maggiori degli introiti che verrebbero sacrificati, così scriveva: bisognerebbe «accettare che [il museo] smetta di essere un fortilizio quasi impenetrabile di studio ed erudizione, ma si trasformi in un’altra nuova piazza per la città», e perché i musei diventino «protagonisti del tessuto economico e sociale delle città» sarebbe necessario conferire «loro ancora più forza per ottemperare al compito principale che è dato loro: promuovere, esporre, sviluppare, tutelare, fare ricerca sulla cultura e sul patrimonio artistico pubblico».
Io sono piemontese, mi sono laureato a Siena su un argomento marchigiano, ho lavorato come storico dell’arte in soprintendenza a Pisa, come ricercatore universitario in Salento, come professore associato in Friuli, ho sposato una donna veneta. Da dieci anni lavoro e insegno qui. Molti in questa università non sono fiorentini e come me hanno il distacco giusto per rendersi conto di tante potenzialità inespresse. Cari amici fiorentini, permettetemelo: Firenze soffre ancora di un male antico, del pertinace particolarismo, della refrattarietà a fare rete e a lavorare in squadra: ognun per sé e bellum omnium erga omnes. Per questo Fulvio Cervini, come presidente del nostro corso di laurea magistrale in storia dell’arte, ed io, come coordinatore del Dottorato regionale Pegaso in Storia delle arti e dello spettacolo, abbiamo voluto invitare tanti autorevoli vicini di casa, e dare loro la parola, ascoltare i loro lamenti e le loro idee propositive. E scusateci se abbiamo dimenticato qualcuno. Ma non vorremmo che oggi ognuno si preoccupasse solo di rivendicare i propri meriti e il proprio ruolo, rinvangando il passato, alzando steccati, riaffermando prerogative, ma al contrario confidiamo che ognuno sappia gettare il cuore oltre l’ostacolo, lanciare idee e proposte, anche saggiamente utopistiche, guardando lontano e non solo al contingente, per progettare in grande e per progettare insieme. Questa è la nostra terza missione! Questo il vero Horizon 2020 che ci attende! [/sixcol_four] [sixcol_two_last] [/sixcol_two_last]
"Musei, Università, Città" (Firenze, febbraio 2017), di Andrea De Marchi Esattamente un anno fa l'Università di Firenze, Dipartimento SAGAS, organizzò un forum per attirare l'attenzione sul degrado di uno dei palazzi più belli di Firenze, il più rappresentativo della stagione tardo barocca insieme a palazzo Medici Riccardi, vale a dire…
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𝗗𝗮𝗹 22 𝗮𝗹 26 𝗻𝗼𝘃𝗲𝗺𝗯𝗿𝗲 𝟮𝟬𝟮𝟯
𝗟𝗮 𝘀𝗲𝘁𝘁𝗶𝗺𝗮𝗻𝗮 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗲 𝗥𝗲𝘀𝗶𝗱𝗲𝗻𝘇𝗲 𝗗𝗶𝗴𝗶𝘁𝗮𝗹𝗶 – 𝘲𝘶𝘢𝘳𝘵𝘢 𝘦𝘥𝘪𝘻𝘪𝘰𝘯𝘦
Quattro progettualità artistiche sperimentali che hanno trovato nello spazio digitale il loro habitat
𝗖𝗜𝗧𝗜𝗭𝗘𝗡𝗦 di 𝗦𝗜𝗠𝗢𝗡𝗘 𝗩𝗘𝗥𝗗𝗨𝗖𝗜 / Ariella Vidach Aiep
Un progetto di arte performativa e partecipativa immaginato per lo spazio virtuale che, ripercorrendo la definizione di eterotopia enunciata da Foucault, trova nel corpo stesso dello spettatore il motore dell'opera
𝗔𝗜 𝗟𝗢𝗩𝗘, 𝗚𝗛𝗢𝗦𝗧𝗦 𝗔𝗡𝗗 𝗨𝗡𝗖𝗔𝗡𝗡𝗬 𝗩𝗔𝗟𝗟𝗘𝗬𝗦 di 𝗠𝗔𝗥𝗔 𝗢𝗦𝗖𝗔𝗥 𝗖𝗔𝗦𝗦𝗜𝗔𝗡𝗜
"Possiamo innamorarci di una Ai (intelligenza artificiale) e poi decidere di lasciarla?" L’obiettivo dell'azione di Mara Oscar Cassiani è narrare e dare una dimostrazione performativa dell'esistenza di un rapporto tra l'Ai e l’impatto sulla presenza del corpo e sul nostro comportamento dell’uso dei device come tramite comunicativo
𝗧𝗘𝗔𝗧𝗥𝗢𝗣𝗢𝗦𝗧𝗔𝗚𝗚𝗜𝗢 di 𝗚𝗜𝗔𝗖𝗢𝗠𝗢 𝗟𝗜𝗟𝗟𝗜Ù
"Cosa succede se si utilizza lo shitposting per 'schiantare' i paradigmi drammaturgici?" Giacomo Lilliù (ideazione e curatela performativa) e Pier Lorenzo Pisano (curatela drammaturgica) hanno selezionato cinque tra i più interessanti creatori di contenuti memetici e li hanno invitati a creare nuovo materiale insieme a quattro attori professionisti. Per la Settimana delle Residenze Digitali, il percorso di ricerca troverà attuazione sull’applicazione di chat Telegram, con una performance in bilico tra dadaismo, oscenità e nichilismo semantico
𝗛𝗨𝗠𝗔𝗡𝗩𝗘𝗥𝗦𝗘 di 𝗠𝗔𝗥𝗧𝗜𝗡 𝗥𝗢𝗠𝗘𝗢
Martin Romeo porta avanti una ricerca sul post-umano che considera tutti gli attori presenti come parte di un ecosistema: elementi fisici, non fisici, digitali, virtuali e phigital
Ora è il momento di immergerti nelle frontiere digitali attraverso le loro restituzioni in un festival diffuso che accadrà nello spazio virtuale e in alcuni speciali appuntamenti in presenza da mercoledì 22 fino a domenica 26 novembre.
Scorpi il programma e prenota sul sito https://www.residenzedigitali.it/
* All'acquisto del biglietto, ti verranno comunicate le istruzioni per la fruizione dell'opera
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𝗥𝗲𝘀𝗶𝗱𝗲𝗻𝘇𝗲 𝗗𝗶𝗴𝗶𝘁𝗮𝗹𝗶
𝘶𝘯 𝘱𝘳𝘰𝘨𝘦𝘵𝘵𝘰 𝘪𝘥𝘦𝘢𝘵𝘰 𝘦 𝘱𝘳𝘰𝘮𝘰𝘴𝘴𝘰 𝘥𝘢𝘭 Centro di Residenza della Toscana (Armunia - CapoTrave / Kilowatt Festival
𝘪𝘯 𝘱𝘢𝘳𝘵𝘦𝘯𝘢𝘳𝘪𝘢𝘵𝘰 𝘤𝘰𝘯 l’Associazione Marchigiana Attività Teatrali AMAT, il Centro di Residenza Emilia-Romagna (L’arboreto – Teatro Dimora │ La Corte Ospitale - Teatro Herberia), ZONA K, Fondazione Piemonte dal Vivo – Lavanderia a Vapore, C.U.R.A. – Centro Umbro Residenze Artistiche (La MaMa Umbria International – Gestioni Cinematografiche e Teatrali/ZUT – Centro Teatrale Umbro – Micro Teatro Terra Marique – Indisciplinarte) e Teatro Comunale Città di Vicenza
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I processi creativi nello spazio immateriale. Quasi 400 le proposte arrivate per il bando di quattro residenze digitali Sono circa 400 i progetti, arrivati da ogni parte d’Italia per partecipare al bando che prevede l’assegnazione di quattro “RESIDENZE DIGITALI”, proposto dal Centro di Residenza della Toscana (le Associazioni Armunia e CapoTrave/Kilowatt), insieme ad AMAT e Anghiari Dance Hub.
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Stay with me live , 20 MINS, chill stream , from I am dancing in a room > La Fauna , online performance November 2021
In the picture :a selfie within the performance by Eric Tsai, who was live from the night of Taipei .
I am dancing in a room was part of Residenze Digitali and supported by Romaeuropa Festival, Digitalive
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Robin Schulz torna con l’album “Uncovered”, il singolo “I believe I’m fine” e il 21 ottobre è al Fabrique di Milano... l’unica cosa triste è la sua foto!
Robin Schulz è l’incarnazione dell’espressione “fenomeno pop”. Sono ormai più di 3 anni che infiamma i vertici delle chart dei singoli di tutto il mondo e ora, dopo innumerevoli singoli al #1 in più di 20 mercati, più di 200 DISCHI d’ORO e di PLATINO e miliardi di streaming delle sue canzoni e relativi video nonché vincitore di ben 3 ECHO Awards ‘, pubblica il 29 settembre un nuovo album “Uncovered”.
Preceduto dai singoli di successo in Italia ‘Shed A Light’ con David Guetta e i Cheat Codes eseguito anche al Festival di Sanremo (DISCO di PLATINO) e ‘OK’ con James Blunt ( DISCO di PLATINO), sempre il 29 settembre esce in radio “I Believe I’m Fine’” in cui Robin mostra il suo lato più eclettico e accattivante presente nel suo terzo album. A livello di streaming, dopo la release internazionale dell’8 settembre, il singolo ha già superato 1 milione di visualizzazioni su YouTube Views e 5 millioni di streams su Spotify .
Il 21 ottobre sarà live in Italia al Fabrique di Milano.
Dopo aver trovato ispirazione durante i mesi in cui ha girato il documentario ‘Robin Schulz – The Movie’, pubblicato durante il 2017 , l’hit maker invita con questo album ad un nuovo capitolo delle sue produzioni dirompenti. “Non sono famoso per il fatto di rilasciare molte interviste” dice Robin in riferimento alla ricerca di un titolo per il suo terzo album in studio. “Mentre lavoravamo al film documentario, ho avuto però modo di parlare della mia vita e carriera in maniera approfondita per la prima volta. Ed è stato in questo momento che mi è venuta l’idea di intitolare l’album ‘Uncovered’ ”.‘Uncovered’ ( “senza copertura” ) vede una nuova apertura da parte dell’artista che si riflette nei 18 brani inediti in esso contenuti. Robin ha lavorato al disco negli ultimi 13 mesi, dedicando tutto se stesso nella ricerca di nuove sfaccettate sonorità e stili diversi.
Tutti i 18 brani sono nati durante l’ininterrotto tour di Robin in giro per il mondo dove , oltre ad aver suonato in tutta Europa, America, Asia e Australia, Schulz ha suonato nei più importanti festival come l’iTunes Festival, l’Ultra Music Festival a Miami i festival Tomorrowland in Belgio e Brasile, senza citare le due residenze ad Ibiza e Las Vegas. Inoltre prima ancora di pubblicarli ufficialmente, i suoi brani sono stati sottoposti a svariati test e sono stati suonati di fronte a folle di milioni di persone sommando i vari shows. Tra questi vanno ricordati assolutamente i suoi DJ set di supporto ai concerti di Justin Bieber a Città del Messico dell’estate estate scorsa. “Le idee mi sono venute in mente mentre giravamo il mondo” dice Robin. “Ho iniziato l’anno scorso ad Ibiza e poi ho continuato il lavoro in svariati posti. Per i ritocchi finali abbiamo fatto tutto in uno studio in Germania. Inoltre gli show di supporto a Justin sono stati incredibili. Il Messico è un mercato in cui sono molto forte. Il pubblico era pieno di energia e tutti hanno contribuito alla realizzazione di un gran party sulle note della mia musica. Justin è super carino ed è un ragazzo davvero figo. Questa esperienza è stata un altro tassello importante della mia carriera di cui farò tesoro per molto tempo “.
Parlando di special guest presenti su ‘Uncovered’, Robin Schulz è riuscito ancora una volta a circondarsi con il giusto equilibrio sia di star internazionali che di nuovi e talentuosi producer da tener d’occhio: da artisti top come David Guetta, James Blunt o Sam Martin a promesse come il francese HUGEL, il cantautore US Marc Scibilia o la cantante svedese Rhys. Stilisticamente, Schulz ha creato un ponte tra bombe da club (‘OK’, ‘Shed A Light’, ‘Naked’) brani più chill (‘Above The Clouds’) fino ad incredibili canzoni pop catchy (‘Oh Child’, ‘Like You Mean It’) e ballate (‘Higher Ground’ e ‘Love Me A Little’). “David Guetta è diventato davvero un mio buon amico. Ci conosciamo da un po’ di anni e mi ha sempre supportato sin dall’inizio della mia carriera. Abbiamo spesso messo dischi insieme ed inoltre per la seconda volta sono stato ospite della sua serata ‘Fuck Me I’m Famous’ ad Ibiza! Dopo svariati remix era giunto il momento di fare un disco insieme. Data la fitta schedule di entrambi fondamentalmente ‘Shed A Light’ è nato su internet. Abbiamo lavorato sul progetto a distanza simultaneamente e ci siamo scambiati l’esito del nostro lavoro su base quotidiana fino a quando la traccia era pronta”.
Nella ricerca degli altri collaboratori di ‘Uncovered’, Robin Schulz ha ancora una volta dato prova del suo fiuto per la scelta di voci eccezionali e del giusto mix a livello produttivo tra elementi clubby , strumentazioni live e brani dal fresco taglio melodico urban pop . “Prendo ispirazione da molte fonti” racconta Robin. “Può essere qualsiasi cosa! Una grande voce o in generale qualcuno con cui desidero lavorare da tempo e che ammiro. Per me non è tanto una questione di scelta di grandi nomi ma di persone che mi ispirano. Devo essere rapito da qualcosa”. Prendiamo l’esempio della collaborazione con HUGEL sull’attuale singolo ‘I Believe I’m Fine’: “HUGEL fa parte della mia famiglia da tempo. Siamo stati in tour per due anni e spesso ha aperto i miei shows. Ma in particolare come produttore ha fatto grandi progressi e ad un certo punto è arrivato il momento di condividere lo studio di registrazione e fare qualcosa insieme. E il risultato che abbiamo ottenuto è una grande traccia! “.
‘Uncovered’ è un insieme di canzoni speciali, vera testimonianza dell’incredibile crescita di quest’artista. ’Uncovered’ è il suo diario da club personale: tante esperienze raccolte in giro per il mondo avvolte da beat pulsanti, melodie trascinanti e grandi accattivanti ‘ganci’ per catturare l’ascoltatore. “Ho tratto molta ispirazione dai miei viaggi. Un numero folle di esperienze che hanno lasciato il segno nella produzione di questo disco, fosse anche solo a livello inconscio. Ho vissuto tante di quelle grandi storie negli ultimi mesi… Ad esempio, mi è stato negato l’accesso in India quest’anno dovuto ad una mancata vaccinazione. Ma invece di star a perdere tempo dietro questo disguido ho approfittato del tempo d’attesa alla dogana per fare un nuovo pezzo …”
Con questo nuovo album, Robin Schulz mantiene un unico filo conduttore con i singoli del suo recente passato come ‘Sun Goes Down (feat. Jasmine Thompson)’ DISCO d’ORO in Italia, ‘Headlights (feat. Ilsey)’ 2 x PLATINO, ‘Sugar (feat. Francesco Yates)’ 4 X PLATINO, ‘Show Me Love (feat. J.U.D.G.E.)’ DISCO D’ORO o ‘Heatwave (feat. Akon)’. Al momento Robin Schulz ha venduto più di 12,3 millioni di dischi cosa che gli ha consentito di accumulare oltre 200 DISCHI di PLATINO e D’ORO – 3 ECHOs (il GRAMMYs tedesco ) e una nomination ad un GRAMMY. Con i suoi singoli Schulz ha raggiunto le vette delle classifiche singoli di più di 20 paesi e delle classifiche iTunes di più di 70 mercati. Con più di 3 miliardi di streaming sulle varie piattaforme digitali, Robin Schulz è tra gli artisti più streammati dell’intero pianeta, attualmente nella top 50 degli artisti più ascoltati anche in Italia. Ha raggiunto le vette dell’airplay tedesco al #1 per ben 7 volte. Il primo artista tedesco a realizzare un numero 1 sulla classifica mondiale di Shazam. La sua hit del 2014 ‘Prayer In C (feat. Lilly Wood & The Prick)’ è la canzone di maggior successo internazionale di qualsiasi artista tedesco.
Il giorno successivo all’uscita di ‘Uncovered’, Robin Schulz darà inizio al suo lungo tour mondiale, che partirà dalla Germania e arriverà poi in Asia, US e Sud America.
*Tracklist “Uncovered“
Intro
Unforgettable (w/ Marc Scibilia)
Shed A Light (w/ David Guetta & Cheat Codes)
Oh Child
Fools (feat. IRO) w/ Aalias
Like You Mean It (feat. Rhys)
OK (feat. James Blunt)
Naked (feat. Sam Martin)
Above The Clouds
Higher Ground
Love Me A Little
Tonight And Every Night
More Than A Friend (feat. Nico Santos)
I Believe I`m Fine (mit HUGEL)
Ha Leh Lou Ya (feat. Christy McDonald)
Sounds Easy (feat. Ruxley)
Un Sueno
Outro
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Il bando è in scadenza!
Manca pochissimo alla chiusura del #bando 2017, #Under25 non aspettare #dippiù!
- - > www.dominiopubblicoteatro.it
Stiamo cercando artisti o compagnie Under25 in tutta #Italia attivi in diversi ambiti disciplinari: teatro, danza, performance, audiovisivi, musica dal vivo, arti figurative e digitali, arti circensi e ogni nuova forma di #arte contemporanea, per realizzare la #quarta edizione del #festival multidisciplinare Dominio Pubblico la #città agli Under25!
Come ogni anno stringiamo importanti #partnership e collaborazioni con realtà che credono nel #progetto e trovano affinità con la nostra iniziativa. Chiediamo quindi ai nostri compagni di #avventura di aiutarci a concludere la #Missione numero #uno: la diffusione del bando!
#dominiopubblico #tuttiblu #DPU25 Teatro Argot Studio Teatro dell'Orologio Teatro India - Teatro di Roma
Lazio Creativo, Festival 20 30, La Konsulta, Trasparenze > Festival e Residenze Teatrali, GiovaniDirezioni, Teatro Sociale Gualtieri, Orizzonti Festival, Kilowatt Festival, ZappAttori, Teatro e Critica, Cie Twain, SMartIt, Crowdarts, Officina B5 scuola di Illustrazione, StudiOrtica, Margine Operativo, Cinematographe, Scuola Holden, KinoKabaret Roma, Casilina News, CulturaMente, fattiditeatro, The Walkman Magazine
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Bill Gates ci Chipperà come i cani
Inquietante ciò che viene alla luce entrando nei meandri di internet dove da un link ad un altro ti ritrovi a leggere che Bill Gates con la sua associazione che chissà chi vuole salvare , è il secondo donatore di fondi verso l'OMS ma la metà della donazione è vincolata a progetti di vaccinazioni nei paesi dove la corruzione è alta e puoi fare quel che vuoi ma fino a un certo punto.
Tra i finanziatori dell’Oms, “a fare la parte del leone è la creatura di Bill Gates: la Bill & Melinda Gates Foundation (che vanta un patrimonio da 40 miliardi di dollari) ha destinato all’Oms quasi 444 milioni nel 2016, di cui circa 221 vincolati e quasi 457 milioni nel 2017, di cui 213 vincolati a programmi specifici”. Risultando il secondo donatore singolo dopo il governo degli Stati Uniti e davanti al Regno Unito. Bill Gates si è in particolare concentrato sulla somministrazione dei vaccini nei Paesi in via di sviluppo, soprattutto africani, affiancando all’impegno per l’Oms quello da finanziatore leader della Gavi Alliance, una partnership pubblico-privata emanazione della sua fondazione che non si limita a portare avanti la benemerita campagna delle vaccinazioni ma punta al tempo stesso a “plasmare” i mercati dell’immunizzazione nei Paesi oggetto d’intervento. sul ruolo non limpido di Bill Gates hanno avuto modo di esprimersi anche importanti personalità e istituzioni legate al mondo della sanità. Prima tra tutti nel 2013, Medici senza Frontiere, come segnalato in Immunità di legge, saggio frutto di una collaborazione tra il chirurgo e saggista Pierpaolo Dal Monte e “Il Pedante”, che ha accusato Gavi di imporre ai Paesi destinatari degli aiuti prezzi artificiosamente gonfiati per i vaccini, che finivano per alimentare regalie a multinazionali come Bayer e Novartis. A Msf ha fatto seguito Antoine Flahault, direttore dell’Istituto di Sanità Globale della facoltà di medicina dell’Università di Ginevra, secondo cui “oramai l’Oms è costretta a tenere conto di quello che Gates ritiene prioritario” e che ritiene, ad esempio, eccessiva la pretesa di Gates di vincolare fondi consistenti all’ampliamento della lotta alla polio in una fase che vede la malattia quasi debellata e nuove potenziali epidemie insorgere. Come segnala Repubblica, tra il 2016 e il 2017 l’Oms ha destinato alla lotta alla polio, malattia oramai resa inoffensiva, “ben 894,5 milioni di dollari. Dieci volte di più che alla prevenzione dell’Aids, la quarta causa di mortalità nei paesi poveri”. La storia continua: nel corso di una conferenza nel 2018, il miliardario aveva previsto la diffusione di un nuovo virus. In un intervento tenutosi il 27 aprile del 2018 durante la conferenza annuale sui programmi educativi della Massachusetts Medical Society a Boston, aveva predetto che la diffusione di un nuovo virus pandemico nel sud dell’Asia avrebbe potuto uccidere 30 milioni di persone in sei mesi. Non è finita, qualche tempo fa La Health Impact News e Economic Times India riportavano come la Bill & Melinda Gates Foundation sia stata messa sotto accusa per questioni riguardanti i vaccini. Tutto è nato da un esposto presentato da alcuni cittadini indiani contro l’Oms, la Gates Foundation e il PATH (Program for Appropriate Technology in Health), accusati di avere sperimentato vaccini su una popolazione assolutamente non informata, vulnerabile e analfabeta, senza fornire né alle famiglie né alle ragazzine le informazioni idonee ad ottenere appunto un consenso informato, senza dare informazioni sui potenziali eventi avversi di quei vaccini e senza garantire alcuna sorveglianza post-vaccinale. La notizia è stata resa pubblica in prima battuta dell’Economic Times India in un articolo con il quale si spiegava che erano stati effettuati test su 16.000 bambine di una scuola tribale nell’Andhra Pradesh, utilizzando il vaccino per il papilloma virus (HPV), nella fattispecie il Gardasil. Nel giro di qualche settimana l’inchiesta ha fatto il giro del mondo. Secondo l’articolo scritto da KP Narayana Kumar, entro un mese dalla vaccinazione molte delle bambine si sono ammalate e un po’ di tempo dopo cinque di esse sono morte. Altre due bambine sono risultate decedute a Vadodara, nel Gujarat, dove altre 14.000 ragazzine erano state vaccinate con un altro vaccino HPV, il Cervarix prodotto dalla GlaxoSmithKline (GSK). La cosa sconcertante che sarebbe emersa è che molti dei consensi informati erano stati firmati illegalmente o dai custodi delle residenze dove stavano le studentesse o da familiari analfabeti. Tutto ciò è stato scoperto solo quando gli attivisti dell’associazione SAMA, un gruppo a tutela della salute delle donne, ha deciso di investigare per scoprire cosa era accaduto. L’articolo spiega anche che 120 ragazzine sono state male, con sintomi che variavano dalle crisi epilettiche a forti dolori di stomaco, mal di testa e cambiamenti dell’umore. Spostiamoci in Pakistan e andiamo a leggere cosa scriveva l’Express Tribune da Islamabad. E’ stata messa in piedi un’inchiesta governativa che ha scoperto come “il vaccino antipolio per bambini finanziato dalla Global Alliance for Vaccination and Immunisation stia causando morti e disabilità in alcune regioni, tra cui il Pakistan”. Addirittura la Prime Minister’s Inspection Commission (PMIC) avrebbe raccomandato al primo ministro Yousaf Raza Gilani di sospendere immediatamente tutti i tipi di vaccino forniti dal GAVI. Secondo l’Express Tribune, le principali vaccinazioni incriminate erano l’antipolio e il vaccino pentavalente che si sospettano essere la causa di morti e disabilità in Pakistan, India, Sri Lanka, Bhutan e Giappone. Da sottolineare come il GAVI sia finanziato dal Bill and Melinda Gates Children’s Vaccine Program, dalla International Federation of Pharmaceutical Manufacturers Association, dalla Rockefeller Foundation, dall’United Nations Children’s Fund (UNICEF), dall’Oms e dalla Banca Mondiale. Il rapporto della commissione asseriva poi che i vaccini non risultavano testati in laboratorio per confermarne efficacia e sicurezza. Ma non è finita qua. Nel 2012 Ramesh Shankar Mumbai, redattore per il sito web Pharmabiz, ha riportati come due medici indiani avessero accusato la Gates Foundation e l’Oms di mancanza di etica. Mumbai ha raccontato come i dottori Neetu Vashisht e Jacob Puliyel del Dipartimento di Pediatria del St. Stephens Hospital a Delhi avessero lanciato dure accuse in uno studio comparso nell’aprile di quell’anno sull’Indian Journal of Medical Ethics rimproverando una totale mancanza di trasparenza. Gli autori dello studio facevano notare come l’incidenza di paralisi flaccida fosse aumentata in proporzione all’aumentare delle dosi di vaccino antipolio somministrate e come i bambini con quel tipo di paralisi avessero un rischio doppio di morire rispetto al rischio prodotto dalla polio dovuta a virus selvaggio. E il 5G? Un giro d’affari enorme, con introiti stimati, per il 2026, pari a 1307 miliardi. La monumentale istallazione rappresenterebbe la più massiccia concentrazione al mondo di antenne: solo a Wuhan sono state installate 30.000 nuove antenne wireless di quinta generazione (3.000 nuove Stazioni Radio Base e ben 27.000 nuove mini-antenne a microonde millimetriche. A nulla sono servite le grida di allarme lanciate dal mondo medico-scientifico. Città intelligenti, case automatizzate, industrie robotizzate, sistemi di sicurezza e controllo più efficienti, servizi e oggetti come automobili, TV, elettrodomestici fino ai piccoli oggetti di uso quotidiano come pannolini per bambini, cartoni del latte, spazzole per capelli, vestiti e scarpe: tutto conterrà antenne o microchip. Si proprio i microchip. Sempre il cofondatore di Microsoft Bill lancerà capsule impiantabili – chiamati anche microchip –per mostrare chi è stato testato per il coronavirus e chi è stato vaccinato contro di esso. Non è un film di fantascienza. Il magnate della tecnologia ha rivelato il “programma” durante una sessione di Reddit “Ask Me Anything”, qualche giorno fa, mentre rispondeva alle domande sulla pandemia di Coronavirus COVID-19. Come funziona la schedatura tramite microchip Gates stava rispondendo a una domanda su come le aziende saranno in grado di operare mantenendo le distanze sociali e ha affermato che “Alla fine avremo alcuni certificati digitali per mostrare chi si è ripreso o è stato testato di recente o quando abbiamo fatto il vaccino” I “certificati digitali” a cui Gates si riferiva sono “QUANTUM-DOT TATTOOS” impiantabili nell’uomo su cui i ricercatori del MIT e della Rice University stanno lavorando come un modo per tenere un registro delle vaccinazioni. Da altre fonti arrivano supposizioni che potremmo essere esclusi dalla società quando per entrare in un supermercato o in un cinema il lettore rileva che non siamo chippati , siamo fuorilegge e magari ci arriva in automatico una multa . Vorrei che sia tutta fantascienza invece sembra che i mattoni che hanno fino ad ora messo uno sull'altro a nostra insaputa volgono a costruire questo tipo di società. Read the full article
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Meme, shitposting e performing arts approdano su Telegram: è Teatropostaggio di Giacomo Lilliù
In attesa della Settimana delle Residenze Digitali che si terrà come ogni anno nel mese di novembre, dal 22 al 26, abbiamo intervistato Giacomo Lilliù/COLLETTIVO ØNAR che ci ha raccontato come si sta sviluppando il processo creativo per Teatropostaggio, uno dei quattro progetti sostenuti dalla quarta edizione del bando Residenze Digitali. Il progetto interroga la natura dello shitposting e del meme con la sua dialettica tra immagine e testo per assimilarla a quella tra palco e parola. Cosa succede se si utilizza lo shitposting come meteora impazzita, per schiantare i paradigmi attoriali e drammaturgici? da questa domanda parte la ricerca creativa di Giacomo (ideazione e curatela performativa) in collaborazione con Pier Lorenzo Pisano (curatela drammaturgica) prima e i meme creator e attori selezionati poi come ci spiega nell'intervista Lilliù.
[ph. AFFERMAZIONI]
Come è nata e si è sviluppata l'idea di questo nuovo progetto performativo per Teatropostaggio? Di che cosa tratta il lavoro?
Giacomo Lilliù: Teatropostaggio nasce quando ho scoperto che l’ideatore di una delle pagine di meme che seguivo con più interesse, avocado_ibuprofen - una pagina Instagram che fa, a suo modo, meme-essays, cioè meme-saggi, piccole escursioni filosofiche che hanno uno stile ben riconoscibile - era stato coinvolto come dramaturg da una compagnia di danza. Da lì ho pensato che potesse essere interessante innescare altri processi simili: se un dramaturg può venire dal mondo memetico, cosa può succedere con la nostra scena memetica italiana se apriamo un accesso alle arti performative? Sono stato accompagnato prima di tutto nell'ideazione da Pier Lorenzo Pisano, un drammaturgo, regista e autore che mi dà man forte soprattutto dal punto di vista del coordinamento drammaturgico del progetto. Insieme a lui abbiamo identificato i profili di memer che potevano essere adatti a questo gruppo di ricerca - ci siamo sempre definiti come un gruppo di ricerca sulla traduzione disciplinare tra composizione memetica e composizione teatrale. Da lì poi abbiamo scelto i cinque creator parte del progetto e i quattro attori con cui misuriamo il materiale composto. Tra le ispirazioni del progetto c’è una pagina web storica, The million dollar home page, in cui ogni pixel poteva essere comprato per un dollaro, diventata un mosaico di annunci pubblicitari di case, siti porno, concerti... Questo arazzo in cui le cose sono messe insieme seguendo l'ordine casuale del libero mercato ci ha ispirato. È nata così l'idea che il nostro progetto potesse essere un patchwork iridescente non di pubblicità ma di contenuti memetici. Sicuramente il gruppo è nato anche grazie a Fondo, il network di Santarcangelo tramite la cui fellowship il progetto è stato sostenuto. Fondo, in particolare, sostiene la traduzione verso il palcoscenico, ma trattandosi di un gruppo di ricerca, ci è parso giusto esplorare tutte le possibilità. Ed è con questo spirito che abbiamo applicato alla call per Residenze Digitali: volevamo vedere come, parallelamente a questo attraversamento per il teatro, si poteva ritornare al digitale; con quali strumenti, con quali informazioni si poteva usare il contesto di partenza in maniera trasfigurata.
Hai accennato a come si è innescato il processo di commistione tra shitposting memetico e scrittura drammaturgica ma, andando più nello specifico, come state lavorando con i meme creator e con gli attori?
Giacomo Lilliù: Il progetto Teatropostaggio è nato prima di Residenze Digitali come percorso di ricerca. Da gennaio 2023 abbiamo identificato i 5 content creators: Giulio Armeni, Davide Palandri, piastrellesexy, Daniele Zinni, Loren Zonardo. Con loro abbiamo iniziato a fare una call al mese in cui chiedevamo di produrre nuovi materiali o condividerne alcuni che avevano nel cassetto e che potevano essere interessanti rispetto alla consegna del progetto, senza essere troppo stringenti dal punto di vista delle tematiche o del contenuto perchè ci piaceva che loro ci portassero le loro istanze e i loro stili. Mese dopo mese si è andato a costituire un materiale molto eterogeneo e anche abbastanza vasto perché sono stati parecchio prolifici. Ad agosto abbiamo deciso di smettere di produrre nuovo materiale e concentrarci sulle possibilità di sviluppo di quello che avevamo accumulato. Una delle complessità di questo progetto, che riproduce le meccaniche dello shitposting, è che gli stimoli sono ovunque, qualsiasi cosa potrebbe potenzialmente arricchirsi di strati e diventare qualcosa di inseribile all'interno di questo percorso. A questo punto sono iniziate le residenze: ne abbiamo avuta una a Polverigi presso Inteatro, un'altra ad agosto a FabbricaEuropa e una ancora a cavallo tra luglio e agosto curata da Zona K. Da una parte, quindi, ci sono questi incontri da remoto una volta al mese con i content creators dall’altra sono iniziate le occasioni di residenza, momenti in cui gli attori possono incontrarsi dal vivo e lavorare sui materiali creati, a volte anche insieme ad alcuni dei creators. La prima residenza a Polverigi è servita a introdurre a tutti questo mondo che, come tutte le sottoculture, è altamente sfaccettato, per cui si è reso necessario un percorso di avvicinamento. Per quanto tutti sappiamo cos'è un meme, l'iceberg è molto profondo rispetto a quelle che sono le ramificazioni del fenomeno e tutte le varie declinazioni, in particolare, per quanto riguarda lo shitposting: a differenza dei meme, infatti, lo shitposting è il modo in cui vengono non-organizzati dei meme all'interno di un contesto che può essere una conversazione su un gruppo Facebook, una condivisione di contenuti con l'obiettivo di cercare di far deragliare la conversazione, cercare di conversare in modo linguisticamente sorprendente, non seguendo la scaletta del discorso ma cercando sempre nuovi modi per deviare il linguaggio, facendo comunque sì che il discorso proceda. Con i meme si crea un sottolinguaggio imprevedibile e mutante ed è questa la dimensione più affascinante dello shitposting. Quando abbiamo introdotto gli attori a questa dimensione, loro hanno fatto i loro passi di avvicinamento e di ricerca personali. Pian piano stiamo componendo con loro delle drammaturgie possibili. Ci interessa anche un’ipotesi di performer-come-memer, quindi stiamo trovando delle condizioni per permettergli di improvvisare consapevolmente. Trattandosi di un gruppo di ricerca, la sperimentazione sta anche nel vedere cosa non funziona e cosa sì, muovendosi senza troppo giudizio. Per il momento siamo molto orientati sulla fascinazione che ci regala questo mondo, avvicinandoci per prove ed errori. Nella presentazione del progetto ho usato la parola "pionieristico": al di là delle esagerazioni, il senso per noi è questo. Ci diverte, ci stiamo dentro e cerchiamo di non farci troppo mangiare dalle logiche produttive. Vogliamo stare dentro la tessitura degli spunti e delle ispirazioni per vedere cosa ne viene fuori naturalmente e organicamente.
[@LACANYEWEST]
Quali sono state, se ci sono state, le sfide o le criticità nell’incontro tra la scrittura drammaturgica e la scrittura memetica, da una parte e dall'altra tra l’interpretazione degli attori e questo nuovo linguaggio?
Giacomo Lilliù: Le categorie che vengono più in conflitto nel nostro percorso, anche rispetto a quello che abbiamo riscontrato durante una prova aperta fatta nei giorni scorsi con tutor e partner del progetto, sono due: la “cascata” e la “cornice”. Da una parte c'è sempre stata la fascinazione - e soprattutto questo lo propone Pisano sentendo che la cascata di contenuti può celare qualcosa di veramente deflagrante - riguardo alla proposta di contenuti non filtrati. Nel caso di Residenze Digitali possono essere contenuti che si susseguono senza soluzione di continuità mentre lo spettatore può tessere le proprie trame. In quel caso, il nostro compito non sarebbe neanche proporre una trama nascosta all'interno dei contenuti ma semplicemente mettere in condizione i performer di esprimersi come in una sorta di jam session linguistica tra tutti gli stimoli accumulati che si presentano al momento. Mentre la creazione del meme può essere più o meno performativa, nel senso che può anche essere un’operazione più ragionata dietro le quinte e condivisa dopo mesi di preparazione proprio come se fosse un'opera d'arte visuale, lo shitposting, configurandosi come linguaggio, ha per forza una componente performativa, sul momento: se tu mi posti qualcosa io ti devo rispondere con qualcos'altro e in questo scambio immediato ed estemporaneo noi cerchiamo di attaccarci con le dinamiche performative, teatrali, attoriali. Da una parte quindi c’è la “cascata”, questa tempesta di contenuti che arrivano uno dopo l'altro in maniera libera, de-pensata. Dall'altra c’è la “cornice”: tracciare dei confini drammaturgici e operativi, cenni narrativi o programmatici che permettano di comunicare meglio. È come se fornissimo una guida su che tipo di percorso stiamo per compiere, per preparare lo spettatore a quello che sta per vedere, per addolcire l'esperienza e fornire una vaga chiave d'interpretazione o quantomeno delle strutture di ricezione - una sorta di foglietto illustrativo. Quindi da una parte siamo tentati di andare all-in con questa modalità a cascata, dall'altra comunque il teatro è sempre un po' un fare ordine di tutte le cose, per cui sentiamo che a volte potrebbe essere utile adottare una configurazione a cornice, per quanto poi tutte le volte che passiamo per la cornice sentiamo che stiamo un po' smorzando il potenziale sovversivo dello shitposting. Stiamo ancora calibrando queste due possibilità. Ci interessa che questa sia un'azione performativa e non solo la replica di una pagina di meme. Però comunque c'è una libertà nello shitposting data da contesti che nascono dal basso e non hanno niente da dimostrare se non la propria sussistenza per il piacere di sopravvivere in un ambiente in cui le regole stanno a zero. Riuscire a recuperare quella autenticità per me è molto importante anche all'interno di un discorso più vasto, anche rispetto al modo di intendere il momento performativo tout court.
Andando più nello specifico della piattaforma che avete scelto, Telegram, come ci state lavorando, quali le criticità e le opportunità che avete trovato nel dialogo con le sue grammatiche?
Giacomo Lilliù: La scelta di Telegram non è stata immediata perché lo shitposting e i meme viaggiano su canali multipli, piattaforme come Reddit, e soprattutto i social, in cui i contenuti arrivano agli utenti mediati attraverso algoritmi. Sarebbe stato rischioso quindi aprire un gruppo Instagram o Facebook perché saremmo già stati costretti ad agire all'interno di logiche di trasmissione dei contenuti con cui si può fare poco. Ci serviva uno strumento che ci permettesse una condivisione più protetta e autonoma. Tra le opzioni rimanevano Discord e Telegram, in entrambi i casi gruppi di scambio di messaggi. Discord risulta più dispersivo perché nasce come supporto a gruppi di gioco, e presuppone una specie di conoscenza pregressa. Noi volevamo essere più sincretici e ripiegare tutto su una stessa piattaforma. Telegram può essere gestito come una specie di social a senso unico, che bypassa gli algoritmi mantenendo comunque la possibilità di moderare gli interventi degli utenti. Se il punto di partenza dello shitposting è sempre una conversazione, Telegram è il luogo in cui questa può avvenire con più malleabilità da parte di chi propone la performance. Inoltre io credo in uno squilibrio tra le parti, tra il pubblico e i performer. Il performer deve essere messo in condizione di poter manipolare le possibilità di ascolto del pubblico e questo Telegram lo permette perchè possiamo scegliere, quanta condivisione e interazione consentire. Dal punto di vista della riproduzione della conversazione Telegram ci è dunque sembrata la scelta migliore per una conversazione ingegnerizzata, sperimentale. Rimane la difficoltà che Telegram è una piattaforma pensata principalmente per dispositivi portatili, per cui il livello di immersività è basso rispetto a una performance che può andare in onda in streaming sul computer o una performance immersiva tramite visore. Questo non è necessariamente un elemento che mi disturba in sè, mi piace l'idea che la performance sia letteralmente nelle mani del fruitore, a sua volta libero di decidere quanto farla entrare nel proprio quotidiano. Però è un elemento su cui dobbiamo ancora riflettere per avere più polso della situazione, perché dobbiamo chiarificarci come cavalcare questa fruizione frastagliata. Il rischio è di diventare un po' solipsistici, di fare le nostre cose senza avere troppo la cognizione della risposta che c'è dalla parte del pubblico.
[ph. AFFERMAZIONI]
Come state immaginando il rapporto con il pubblico? Che cosa si deve aspettare il pubblico della settimana delle Residenze Digitali dalla prova aperta?
Giacomo Lilliù: Abbiamo già fatto degli esperimenti in cui il pubblico era libero di commentare, e questo ci ha destabilizzato perché abbiamo sottovalutato la tentazione ad intervenire in un contesto come quello della nostra performance. Per questo ora immaginiamo che da un punto di vista pratico ci siano solo una o due finestre all'interno delle quali si chieda esplicitamente al pubblico di intervenire, non perché vogliamo censurarlo ma semplicemente per rendere l'esperienza più intensificata ed esteticamente coerente e per non disperdere l'energia di risposta. Rispetto al lavoro del 2021 - si tratta di Woe - Wastage of events progetto creativo di Giacomo Lilliù/Collettivo Onar e Lapis Niger - in cui potevamo permetterci di stare in ascolto del lavoro e attraverso l'ascolto del lavoro ascoltare il pubblico, ora avremo un pubblico più distante. In più abbiamo effettivamente molto da fare: c'è da gestire un atto creativo costante e imprevedibile su cui stare molto concentrati e anche questo pone un filtro in più tra noi e gli spettatori. Inoltre Telegram, per come viene usato comunemente, è una piattaforma multitasking, non la possiamo rendere una piattaforma immersiva. Dobbiamo riuscire a semplificare il più possibile il tipo di dinamica che vogliamo instaurare con il pubblico e avere chiarezza sugli spazi di intervento. In generale il potenziale del meme e dello shitposting è abbastanza dirompente da tutti i punti di vista. C'è un grosso rischio: quello del meme che viene utilizzato come ritrovato per una comunicazione efficace. Abbiamo superato la fase in cui il meme poteva servire come oggetto di artivismo e hacktivismo. Adesso sempre più persone si misurano con la ricerca del meme dank (ovvero, diciamo, all'avanguardia), ma principalmente come strumento di posizionamento dentro la loro community e di credibilità per la loro maschera/personaggio. Siamo in una fase in cui il meme ha ancora colpi da sparare nel momento in cui, piuttosto che venire strumentalizzato per fini utilitaristici, trova ambienti in cui essere accolto, come per esempio quello delle performing arts, per farli saltare in aria. Ci auguriamo che l'esperienza di Teatropostaggio, che immaginiamo possa arrivare a degli spettatori che provengono da una cultura teatrale, sia anche straniante. Teniamo sempre un occhio sul potenziale dinamitardo del meme cercando di conservarlo il più possibile. È un’alchimia tra quanto ci possiamo permettere di spaventare chi si collega senza farlo scappare a gambe levate. Stiamo cercando di fare qualcosa che abbia senso dal punto di vista dell'integrità della proposta, il che non vuol dire che debba essere un’opera ombelicale che dia soddisfazione solo a noi. Se riuscissimo a trovare un pubblico predisposto alla sorpresa, ci piacerebbe innescare un percorso in cui anche il pubblico entri tanto nel gioco da diventare un ulteriore partecipante alla dinamica dello shitposting, un pubblico che possa memare insieme a noi creando una conversazione in cui tutti i termini saltano, come avviene appunto nello shitposting. Altra cosa interessante sarebbe mischiare i pubblici come abbiamo fatto con WOE, dove l'obiettivo era portare dentro l’esperienza anche gente che fruiva quotidianamente di Twitch. Se su Telegram porteremo gente a cui interessa la creazione memetica a incrociare anche i linguaggi performativi, allora sarà un successo. Poniamo le basi per l'incontro, ma il contesto deve per forza apparire creativamente fertile. Se il teatro, al di là di Residenze Digitali, ritrova il suo ruolo di luogo in cui è possibile fare delle cose allora stiamo lavorando nella direzione giusta.
Francesca Giuliani, Chiara Mannucci
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Residenze Digitali 2023
Sono stati pubblicati i nomi dei 4 vincitori della quarta edizione del bando Residenze Digitali. I lavori sono stati selezionati dai rappresentanti dei 9 partner organizzatori e dalle 3 tutor, le studiose 𝗟𝗮𝘂𝗿𝗮 𝗚𝗲𝗺𝗶𝗻𝗶, 𝗔𝗻𝗻𝗮 𝗠𝗮𝗿𝗶𝗮 𝗠𝗼𝗻𝘁𝗲𝘃𝗲𝗿𝗱𝗶, 𝗙𝗲𝗱𝗲𝗿𝗶𝗰𝗮 𝗣𝗮𝘁𝘁𝗶.
𝗜𝗹 𝗧𝗲𝗮𝘁𝗿𝗼𝗽𝗼𝘀𝘁𝗮𝗴𝗴𝗶𝗼 𝗱𝗮 𝘂𝗻 𝗠𝗶𝗹𝗶𝗼𝗻𝗲 𝗱𝗶 𝗗𝗼𝗹𝗹𝗮𝗿𝗶 di MALTE & Collettivo ØNAR
𝗔𝗶 𝗟𝗼𝘃𝗲, 𝗚𝗵𝗼𝘀𝘁𝘀 𝗮𝗻𝗱 𝗨𝗻𝗰𝗮𝗻𝗻𝘆 𝗩𝗮𝗹𝗹𝗲𝘆𝘀 <𝟯 di Mara Oscar Cassiani
𝗖𝗶𝘁𝗶𝘇𝗲𝗻𝘀 di Simone Verduci, con la consulenza per il concept coreografico e la regia di Ariella Vidach Aiep
𝗛𝘂𝗺𝗮𝗻𝘃𝗲𝗿𝘀𝗲 di Martin Romeo
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