#Porte Legno
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Living Room Home Bar in Florence Inspiration for a large, open-concept living room remodel with a dark wood floor, a bar, beige walls, a traditional fireplace, a concrete fireplace, and a wall-mounted television
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Living Room in Milan Inspiration for a mid-sized contemporary open concept dark wood floor and brown floor living room library remodel with beige walls and a media wall
#pavimento in parquet#soggiorno#library#mobili in legno#porte scorrevoli in vetro#divano#porte in legno bianche
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Florence Open Closet Inspiration for a mid-sized contemporary men's light wood floor walk-in closet remodel with open cabinets and beige cabinets
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"Mai successo un fatto simile!"
"Mai visto un disastro come quest'ultima alluvione!"
"Cambiamento Climatico!"
"Le stagioni non sono più quelle di una volta!"
Voci del popolino ignorante milanese, riportate con estrema soddisfazione dai TG, quotidiani, politici di sinistra, verdacci, ribadite da Sor Piccozza e da Farfallino Amoroso (Tozzi e Mercalli).
Invece:
Milano, 31 maggio 1917.
Il 30 maggio, in una Milano spettrale, abitata solo da donne, bambini e anziani, iniziò a piovere a metà pomeriggio, mentre forti temporali avevano già interessato la Brianza e la fascia Prealpina.
Negli ultimi giorni del maggio 1917 l’Italia era piegata dalla Grande Guerra; era in pieno svolgimento la terrificante carneficina della Decima Battaglia dell’Isonzo, in cui il generale Cadorna mandò al massacro 400.000 soldati italiani contro le trincee e le mitragliatrici austro-ungariche. I morti italiani furono 36.000, i feriti e i mutilati oltre 130.000 e 26.000 i fanti catturati dal nemico. Dopo un mese di scontri il fronte era rimasto praticamente invariato.
I Savoia avevano imposto la censura più totale agli organi di stampa, le notizie, quindi, filtravano a fatica.
I fiumi Seveso, Olona e Lambro erano tutti ingrossati, piovve tutta notte e all’alba Milano si svegliò come se fosse Venezia.
Tutti i corsi d’acqua erano esondati e i danni più rilevanti avvennero nei quartieri dove correva l’Olona, lungo la zona ovest della città. Anche le zone di Porta Garibaldi e Porta Nuova erano sommerse, così come il Ticinese, dove era esondata addirittura la Darsena.
Le chiamate di aiuto ai pompieri furono centinaia già poche ore dopo il tramonto e continuarono tutta notte, con cantine e androni dei palazzi sommersi in alcuni punti anche da un metro d’acqua.
Il torrente Merlata, che allora correva in superficie, esondò e lo stesso accadde per la roggia Poveretto, le acque invasero il Cimitero Maggiore di Musocco, allagando gli ossari con quasi tre metri di acqua. L’onda di piena dei due torrenti si unì poi a quella del non distante Olona e insieme raggiunsero il quartiere della Maddalena, oggi piazza De Angeli, sommergendo anche le zone vicine di corso Vercelli e del borgo di San Pietro in Sala, oggi piazza Wagner.
I pompieri montarono delle passerelle in legno sopraelevate per far camminare i milanesi, esattamente come a Venezia, ma ben presto anche quelle vennero sommerse da altre ondate di piena dell’Olona.
Vennero sospesi tutti i Gamba de Legn, i tram a vapore extraurbani, che da Milano si dirigevano verso l’area metropolitana a nord e a ovest.
Il Comune decise di far trasferire tutte le bare in attesa di inumazione lontano dal Cimitero Maggiore, per timore che venissero prese dalle acque e portate via. Il cimitero venne poi chiuso, totalmente sommerso da più di un metro di acqua. L’ultima volta era accaduto nel 1893, quando le acque dell’Olona superarono addirittura i due metri di altezza a Musocco e Garegnano.
Diversi stabilimenti e laboratori subirono ingenti danni.
Altri danni notevoli furono arrecati dal Seveso, soprattutto alle porte di Milano. A Palazzolo di Paderno Dugnano crollò un ponte sul Canale Villoresi, alla congiunzione col Seveso; l’onda di piena fu talmente forte da causare l’annegamento di 16 persone. A Milano i danni maggiori furono causati nel quartiere di Ponte Seveso, all’Isola Garibaldi, a Niguarda, a Prato Centenaro e al Mirabello, tutti sommersi da oltre un metro e mezzo di acqua.
A Niguarda crollò un palazzo, fortunatamente tutti gli abitanti riuscirono a fuggire pochi minuti prima del crollo. Il Villaggio dei Giornalisti fu totalmente allagato ed evacuato.
Poco dopo l’alba tutte le linee tranviarie che dal centro correvano verso nord e ovest vennero sospese.
I quotidiani, sottoposti a censura, minimizzarono l’accaduto, nonostante danni ingentissimi, mezza città sott’acqua, 16 morti, collegamenti sospesi e le acque che si ritirarono completamente solo due giorni dopo. Nessuna notizia venne riportata dopo il primo di giugno.
Le foto vennero scattate nel pomeriggio del 31 maggio, quando le acque si erano ormai quasi completamente ritirate. In una foto si vede il Gamba de Legn per Magenta, bloccato dalle acque in via Marghera all’angolo con via Sacco.
(Grazie a Francesco Liuzzi e a “Milano Sparita”)
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Sapevi che... Esiste un paese dove i tetti delle case sono la strada? Si trova a Masouled, Città di Masouleh in Iran. Antica città che fu costruita sul pendio della montagna di Alborz nel 10 a.C., anche se fu stabilita intorno al 10 d. C, a causa della sua predisposizione all'epoca, si optò per che le strade fossero i tetti delle case, ma possono transitare solo pedoni perché è vietato ogni tipo di veicolo. La città è famosamente conosciuta come 'Il cortile dell'edificio sopra è il tetto dell'edificio sottostante'. Attualmente questa città è ancora abitata da circa 564 abitanti, e gli edifici sono stati costruiti in mattoni di argilla con rivestimento di fango d'ocra, finestre e porte in legno.
(Fonte Artenauta)
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Kassandra
1890
Contea di Marvalia, Inghilterra nella camera del principe Wilder prima delle nozze.
Il servitore era morto a terra avvelenato, il calice a un passo dalla sua mano aperta.
"Ricardo, Ricardooo" (aveva origini italiane) urló Wilder preso dal panico, Kassandra lo aveva trasformato in un vampiro così si avvicinò e lo morse per salvarlo.
Era troppo tardi, lui era già morto e nel mentre il principe aveva sporcato il cadavere di sangue aprendogli il collo.
Le guardie reali entrarono nella sua stanza convinti che il principe fosse stato attaccato, invece era per loro il carnefice.
"Il principe ha ucciso il suo servitore!"
"No, non é cosí io stavo cercando di.."
ma mentre diceva ciò gli si potevano intravedere i canini.
"É un mostro! Presto chiamate suo padre!"
A Wilder venne tolta la possibilità di essere il prossimo erede in successione al trono, venne immediatamente condannato all'esilio con grande consenso del popolo.
Presto giró la notizia sull'erede al trono vampiro, quel ragazzo ammaliante era una creatura della notte.
La gente aveva così riservo nei suoi confronti che da quel giorno in poi gli era stato tolto il nome e soprannominato
"L'incantatore della notte", una macchia di terrore e vergogna sulla corona.
Tutto questo per la gelosia di Kassandra, l'incantatore era pronto a servirle la vendetta fredda, come il suo sangue.
Oggi
Era passata una settimana e Dominick era pronto, quella sera sarebbe stato Charles Moreau.
Pensava a come avrebbe reagito l'uomo, era sicuro che se non fosse stato geloso per la sua presenza sarebbe però andato su tutte le furie perché i suoi piani dovevano cambiare.
Magari quella sera non sarebbe morto nessuno, era sicuro che non avrebbe mai ucciso qualcuno davanti a lui.
"Devo andare in bagno", disse andando a prendersi i vestiti in camera per poi cambiarsi.
Avrebbe aspettato il loro arrivo per poi confendersi tra la calca, l'incantatore non sarebbe andato a controllarlo perché non lo voleva tra i piedi.
Qualche tempo dopo arrivarono, il ragazzo si mise per ultima la maschera e andò in scena.
L'uomo non l'aveva ancora notato, trovava ci fosse dell'ironia nel non avere la sua attenzione anche nei panni di qualcun'altro.
Osservava quegli uomini con giudizio, quali valori dovevano avere per trovarsi lì consapevoli di cosa li avrebbe aspettati, tranne per la parte in cui morivano che forse era per loro una specie di punizione divina.
Quello che piú trovava raccapricciante il ragazzo era quanto avessero d'ignobile quei signori, quello che facevano non l'avrebbero fatto alla luce del sole.
Probabilmente condannavano quelle cose, ma erano anche i primi a volerle praticare.
Che senso aveva avere tanto pudore per poi sviscerare in segreto tanta meschinità, lo disgustava come aveva fatto Charles.
Quella sera avrebbe interpretato il personaggio alla perfezione, divertendosi a scaturire la gelosia dell'incantatore.
Le porte della sua camera si aprirono, i ragazzi cominciarono ad entrarvi.
La camera era immensa ed ariosa, ricoperta d'oro e sull'entrata un tavolino di legno con dei calici per brindare.
Questi signori iniziarono ad abbandonare mano a mano come fosse un gioco elementi del loro costume, l'incantatore si giró e lo vide ancora sulla porta.
L'uomo gli sorrise, lo aveva riconosciuto subito e Dominick rispose a sua volta sorridendogli.
Il ragazzo andò dritto verso di lui per poi sorpassarlo e raggiungere un uomo che neanche conosceva, intento a provocarlo sotto gli occhi dell'incantatore.
Dominick si era seduto su una poltrona rossa dall'altra parte della stanza rispetto alla porta, si stava facendo baciare il collo dal suo compagno.
L'incantatore di fronte dando le spalle alla porta, con un uomo dietro la schiena che lo avvinghiava.
I due si guardavano intensamente, immaginavano di star facendo quelle cose con l'altro e nel mentre fingevano non fosse cosí.
Si istigavano a vicenda e contro le sue aspettative, Dominick iniziava ad apprezzarlo tornando a sentirsi potente.
Fu allora che l'incantatore lo raggiunse, si sedette a cavalcioni sopra di lui portando la schiena eretta, gli alzó il braccio e nel mentre fece scendere il suo intrecciando la mano nella sua.
Subito dopo il braccio di Dominick torno giù e con anche l'altro avvolse i fianchi della figura.
Dominick era estasiato, quasi gli aveva fatto dimenticare il motivo per cui era entrato, forse era il motivo stesso di questo spettacolo dell'incantatore.
Questo poi si alzò tornando alla porta e servendo i calici, il primo a Dominick per poi esortire con
"Un brindisi a Charles Moreau"
Dominick fece un accenno di sorriso e bevve.
Dominick apre gli occhi, era il giorno seguente doveva essere svenuto.
Gli aveva messo qualcosa nel bicchiere per sbarazzarsene, ecco perché il brindisi in suo onore e a lui il primo bicchiere.
Si trovava nella sua stanza, si guardó attorno pensando che avrebbe dovuto trovare qualcos'altro lì dentro.
Dopo varie ricerche pensò che non aveva mai aperto l'armadio, aveva ancora la sua vecchia valigia a terra.
Aprí l'armadio a fianco al suo letto e proprio quando stava per richiuderlo senza aver trovato niente, notó sotto i vestiti appesi un quadro.
Era più precisamente un ritratto, quello di un principe.
Si diresse verso la sala per la cena, avrebbe chiesto tutta la verità all'incantatore.
"Ora voglio sapere tutto"
"Di cosa parli?"
"Ti piaceva la mia innocenza perché pensavi mi avrebbe tenuto lontano dai tuoi segreti..beh non é così"
l'incantatore era entusiasta di come era cambiato il suo modo di parlare.
"Siediti, ne possiamo parlare" gli rispose.
Il ragazzo non ne aveva intenzione e si diresse a prendere il quadro in camera quando, una donna riccia e mora era apparsa alle sue spalle e davanti alla tavola al cui cospetto sedeva l'uomo.
Quando si giró riuscì a riconoscerla, era la stessa donna che aveva visto in camera e con cui aveva passato la notte.
La donna aveva in mano il quadro
"Cercavi forse questo?"
"Kassandra! sei tornata"
il ragazzo era tremendamente sconvolto.
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I gatti hanno sempre avuto un posto speciale nel cuore dei giapponesi.
Ma il capostazione Tama, una gatta tricolore, è riuscita a catturare il cuore di un'intera città e contribuire con 1,1 miliardi di yen all'economia locale.
La stazione di Kishi a Kinokawa, nella prefettura di Wakayama, in Giappone, fa parte della linea ferroviaria elettrica di Wakayama.
Nel 2004, la stazione rischiava la chiusura e venne salvata solo dalla protesta della gente del posto.
Tuttavia, due anni dopo, la compagnia ferroviaria decise di togliere il personale a tutte le stazioni sulla linea Kishigawa per risparmiare sui costi.
A quel tempo, il direttore della stazione era Toshiko Koyama, un uomo che aveva iniziato a nutrire un gruppo di gatti randagi che vivevano vicino alla stazione.
Una gatta di razza calico di nome Tama era particolarmente apprezzata dai pendolari, essendo sia mite che amichevole.
La si trovava spesso a prendere il sole alla stazione, felice di essere accarezzata e coccolata dai passanti.
Quando giunse il momento per il signor Koyama di procedere, chiese che la linea ferroviaria continuasse a prendersi cura di Tama.
Il presidente dell'epoca, Mitsunobu Kojima, era così preso dal gatto che non solo ne fece ufficialmente il capostazione nel 2007, ma le fece anche fare un cappellino.
Lo stipendio del gatto era pari a un anno di cibo per gatti e le fu dato un cartellino d'oro con il suo nome e la sua posizione impressi su di esso.
In qualità di capostazione, il ruolo di Tama non era solo quello di salutare i passeggeri e il personale ferroviario, ma anche quello di promuovere la ferrovia.
In effetti, la pubblicità aumentò il numero di passeggeri in visita a Kishi del 17% solo in quel mese.
A marzo 2007, le statistiche indicavano che il 10% in più di persone viaggiava sui treni solo per vedere Tama.
Il capostazione Tama guadagnò rapidamente fans...
Nel marzo 2008, Tama fu promossa a "capostazione super", un titolo che le valse addirittura un "ufficio" - vale a dire una biglietteria convertita con una lettiera e un letto.
Tama dimostrò di essere così popolare che il negozio di articoli da regalo iniziò a creare dei souvenir di Tama, come badge, portachiavi e caramelle.
I riconoscimenti continuavano e nell'ottobre 2008 Tama fu nominata cavaliere.
Per questo, un vestitino blu con volant al collo di pizzo bianco venne realizzato appositamente per il gatto.
Quando giunse la stagione dei bonus, Tama ricevette uno speciale giocattolo per gatti e una fetta di polpa di granchio, che le servì lo stesso presidente della compagnia.
Un suo ritratto speciale fu commissionato per essere appeso nella stazione.
Nel 2009, il pluripremiato designer industriale Eiji Mitooka fu assunto per progettare un "treno Tama" con raffigurazioni a fumetti del famoso gatto.
La parte anteriore del treno venne dotata di baffi, e all'interno le carrozze avevano pavimenti in legno e scaffali di libri per bambini.
Le porte si aprivano al suono preregistrato del miagolio di Tama.
Anche l'edificio della stazione venne ristrutturato da Mitooka nel 2010.
Il nuovo design assomigliava alla faccia di un gatto, incorporando le orecchie sul tetto.
Ci sono persino finestre stilizzate che sporgono dal tetto di paglia che imitano gli occhi di un gatto, specialmente la sera in cui le luci all'interno le fanno brillare di giallo.
Nel suo quarto anno come capostazione nel 2011, Tama fu promossa a Managing Executive Officer, la terza posizione più alta, appena sotto il presidente della società e l'amministratore delegato.
A quel punto, aveva già due assistenti capostazione: sua sorella Chibi e sua madre Miiko.
Dopo aver ricoperto il suo ruolo per sei anni, fu elevata al grado di presidente onorario della Wakayama Electric Rail.
Tuttavia, a questo punto, Tama aveva 14 anni e venne deciso che invece di essere visibile in ufficio dal lunedì al sabato, Tama sarebbe stata lì solo dal martedì al venerdì.
La sua morte avvenne il 22 giugno 2015 in un ospedale veterinario. Alcuni giorni dopo la scomparsa fu celebrato un funerale shintoista e Tama fu dichiarata "Onorevole Capostazione per l'Eternità".
Viene oggi onorata in un tempio vicino come divinità.
(Annalisa Susini)
(assemblato da Simone Chiarelli pag FB il piacere della scoperta)
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Ettore Sottsass Métaphores
Sous la direction de Milco Carboni e Barbara Radice
Skira Seuil, Paris 2002, 125 pages, 24x34cm, ISBN 97888849132491
euro 140,00
email if you want to buy [email protected]
Dans ce carnet intime, Ettore Sotsass, l'un des plus grands designers contemporains, laisse entrevoir ce qu'a été son expérience créatrice de la fin des années soixante au début des années soixante-dix. De cette période très féconde au plan artistique tant pour lui que pour bien d'autres artistes, Ettore Sotsass publie pour la première fois des projets et des photographies prises aux États-Unis, en Italie et en Espagne, entre 1968 et 1976. Soigneusement sélectionnées par ses soins, les pièces sont présentées dans le cadre d'une histoire par laquelle l'artiste convoque sa mémoire et dialogue avec son passé. Ce journal personnel en images permet d'accéder à l'univers culturel complexe de Sotsass et d'approcher son processus de création.
Progettato da Ettore Sottsass, il volume costituisce una sorta di diario intimo e di riflessione per immagini di uno dei più grandi designer del nostro tempo, con suggestive fotografie scattate dallo stesso autore. Interamente ideato e disegnato da Ettore Sottsass, il volume rappresenta le esperienze concettuali e artistiche compiute dal maestro milanese tra la fine degli anni ‘60 e i primi anni '70.
Considerato uno dei più acuti e provocatori designer del dopoguerra internazionale, fondatore di Memphis e icona della cultura postmoderna, Ettore Sottsass ha da sempre alternato l'attività di progettista a un uso continuo della fotografia come strumento per riflettere sulla realtà e sul ruolo della visione. Il volume raccoglie materiali fotografici e grafici realizzati negli Stati Uniti, in Italia e Spagna tra il 1968 e il 1976 fino ad oggi assolutamente inediti.
Le Metafore sono una sequenza di fotografie scattate da Ettore Sottsass Jr. durante i suoi viaggi nei deserti della Spagna (Barcellona, Madrid, Almeria, Grenada) e sui Pirenei. Le Metafore sono opere temporanee di land-art o pseudo-costruzioni architettoniche create nel paesaggio, fatte di oggetti poveri e fragili, pezzi di spago, legno, nastri, foglie, sassi, pezzi di abbigliamento, ecc.
In quel periodo Sottsass si interrogava sul ruolo e sulla responsabilità dell'architetto nella cultura industriale contemporanea e sentiva il bisogno di tornare alle origini dell'architettura: con questi edifici, sorta di "studio del linguaggio architettonico" (Barbara Radice), cercava di indagare il rapporto tra l'individuo e l'ambiente fisico. Case senza pareti e soffitti, porte che si affacciano sul vuoto, pavimenti senza fondo, letti dove non si può dormire e molti altri oggetti che pongono l'uomo come spettatore di fronte al vero significato della propria esistenza e del proprio destino.
18/06/24
#Ettore Sottsass#Sottsass#rare books#métaphores#metafore#Barbara Radice#Milco Carboni#photography books#sequenza fotografie#Spagna#fashionbooksmilano
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A Caval Donato...
Questa è una storia famosa, probabilmente tra le più famose di tutti i tempi, che mi è venuta voglia di raccontare perchè è rinvenuta alla memoria per una di quelle connessioni magiche (che è una spiegazione molto più bella, romantica e "sensata" della semplice casualità) tra le persone.
La domanda è: quanto siamo disposti a ritenerci ingenui?
La risposta è in parte suggerita dalla foto che ho scovato, una miniatura del Cavallo di Troia che fu usato nel film Troy (del 2004 diretto da Wolfgang Petersen, con un cast stellare) che riprende, molto liberamente, le vicende della Guerra di Troia.
Il Mito del Cavallo di Troia è l'emblema del più grande stratagemma del Mito, o è una pagina di assoluta ingenuità? Per chi non la ricorda, la storia è riassumibile così: al decimo anno di assedio della città di Troia, i Greci capitanati da Agamennone, che muove guerra alla città dopo il ratto di sua moglie Elena da parte di Paride, figlio del Re troiano Priamo, sfiniti da un conflitto che si trascina senza soluzione, costruiscono un enorme cavallo di legno. Lo fabbrica Epeo, ispirato dalla dea Atena, che lo consiglia su come farlo. L'idea è di nascondere guerrieri all'interno del gigantesco cavallo. Quanti? Le fonti sono discordanti, e per "convenzione" se ne contano 40, capitanati da Odisseo, il più astuto dei guerrieri achei. Diffondono la voce che stanchi sono in ritiro e che quel cavallo è un'offerta propiziatoria agli dei per un sicuro ritorno in patria. I Troiani viste le navi allontanarsi, aprono le porte della città e sulla spiaggia trovano questo gigantesco cavallo. Che farne? Alcuni vogliono bruciarlo, altri buttarlo da una rupe, altri sondano con le lance la pancia, per capire cosa ci sia all'interno. Però la maggior parte, tra cui il Re Priamo, vuole portarlo all'interno delle possenti mura, e consacrarlo a Re Poseidone, a cui l'animale è sacro. Sembra fatta, ma Laocoonte, il sacerdote, tuona la famosa frase riportata da Virgilio nell'Eneide: Timeo Danaos et dona ferentes (Ho paura dei Danai, (i Greci) e dei doni che portano). Viene portato a discuterne un prigioniero greco, Sinone, catturato pochi giorni prima, pieno di lividi: si era presentato come compagno di Palamede, nemico di Odisseo, che lo prese in odio, e fece si che l'indovino Calcante lo indicasse come capro espiatorio sacrificale per il ritorno in patria degli eroi Achei. In realtà, fu mandato come spia da Odisseo, e quei lividi furono fatti apposta dalle percosse degli altri eroi per far apparire realistica la sua versione. Con arte finissima, Sinone diviene fonte di informazioni per i Troiani, che gli chiedono: a che serve il cavallo? Sinone risponde: fu costruito come offerta ad Atena, dopo che Diomede con Odisseo rubò il Palladio, la più bella statua dedicata alla dea. Fu costruito così grande per impedire che i Troiani lo facessero bottino di guerra per introdurlo nelle proprie mura.
Si è ancora indecisi su che fare, quando un prodigio avvenne: Laocoonte, mentre sacrificava un toro, fu aggredito da giganteschi serpenti provenienti dal mare, che uccisero lui e i suoi due figli (in foto, la Statua del Laocoonte conservata ai Musei Vaticani).
Convinti che fosse la vendetta degli Dei per aver scagliato la lancia contro il Cavallo, i Troiani montano delle ruote e lo spingono dentro le mura della città. Non servono a nulla i richiami di Cassandra che questo porterà alla rovina di Troia: ma la sacerdotessa, che pure ebbe da Apollo il dono della profezia, fu dallo stesso condannata a non essere mai creduta, poichè non si concesse al suo amore. Il resto è noto: giunta la notte, i guerrieri greci escono dal cavallo, aprono le porte della città e segnalano alle navi, che erano appostate nella vicina isola di Tenedo che le porte sono aperte. In un assedio apocalittico, la città è saccheggiata tra battaglie, stupri, gesta incredibili.
Ma davvero i Troiani furono così ingenui? La domanda è nata come lo stesso mito, tanto che sin dai tempi antichi molti hanno cercato di andare oltre il "simbolismo" e dare spiegazioni pratiche: tra le più famose ipotesi, Pausania (nel suo leggendario Periegesi della Grecia) suppone che il cavallo fosse in realtà una macchina da guerra, simile all'ariete, che fu decisiva nell'abbattimento delle mura di Troia. E simili spiegazioni le danno Plinio il Vecchio (Naturalis Historia VII, 202), Servio Danilino (Servus Auctus) e altri commentari all'Eneide. Già perchè a dispetto di quello che si può pensare, nei due capolavori omerici non se ne parla affatto: l'Iliade finisce con la morte di Ettore, pochi mesi prima dell'episodio del Cavallo, l'Odissea si svolge dopo la guerra e l'episodio è solo accennato in qualche passaggio. Tutto quello che sappiamo sul Mito è frutto delle rielaborazioni di autori posteriori a Omero, sebbene è unanimemente riconosciuto dagli studiosi che il Mito del cavallo fosse ampiamente conosciuto già ai tempi del cieco cantore (il cosiddetto Ciclo Troiano è la raccolta di poemi epici greci che trattavano la storia della Guerra di Troia e il suo seguito. I poemi in questione sono i Cypria, l'Etiopide, la Piccola Iliade, l'Iliou persis (La caduta di Ilio), i Nostoi (I ritorni) e la Telegonia). Virgilio ne riporta una dettagliata descrizione quando lo fa raccontare dal troiano Enea, che si salvò come è noto dall'assedio, per poi andare a fondare la stirpe che fonderà Roma.
Tra le più recenti sfide al dibattito, quella del professore Tiboni, archeologo navale, che in vari articoli ipotizza che "il cavallo" fosse in realtà "una nave", chiamata così per una polena a forma di testa equina che campeggiava sulla prua: evidenti prove iconografiche smentiscono tale idea, la più famosa è il vaso pythos conservato al Museo di Mykonos
risalente al VII secolo a.C., che mostra i guerrieri all'interno di un cavallo gigantesco, portato con le ruote all'interno della città.
Ma ribadisco la domanda: fu solo ingenuità? Dietro lo stratagemma ci furono interventi di divinità, giochi di potere, la stanchezza della guerra. Ma se ancora può rimanere il sorriso sulla scelta troiana, ricordo un particolare interessante, totalmente moderno: i virus informatici che, con uno stratagemma, si insinuano nei nostri dispositivi, sono chiamati Trojan non per caso, e molti di loro giocano sull'intervento di chi li legge o vede (aprire un link, inviare una email e così via...): quante volte dopo aver fatto per emozione, per mancanza di attenzione, per fretta qualcosa, a mente fredda ragionandoci ci siamo dati degli ingenui? Siamo proprio sicuri che in ognuno di noi non scorra un po' di quel sangue Troiano?
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Chi abita la casa che ho abitato: chi accarezza il legno che ho accarezzato, chi vede gli splendori che ho visto, chi vive la penombra che ho vissuto,
chi sogna dai vetri in cui ho sognato, chi piange sulla scala dove ho pianto, chi apre le porte che io ho aperto, chi ride nell’andito dove risi,
chi va a cavallo della mia ombra, chi parla, grida, chiama e non mi nomina, chi le mie braccia con le sue ha scambiato,
chi riempie la mia sagoma ignaro, chi cammina verso la morte e inconscio con i piedi occupa i miei vecchi passi?
Manuel Díaz Martínez, Chi?, da Cuba internacional, 1984
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Per la rubrica THE MORE YOU KNOW: da quando nel 2019 ho cambiato le velux da quelle in legno al pvc, in estate ho l'equivalente del grill in mansarda. La maniglia e le guide in alluminio si scaldano da ustionarsi (non so quanto sia legale sta cosa btw) ho scritto all'azienda ma pippa. L'anno scorso ho messo delle pellicole trovate su AZ ma che sono purtroppo usa e getta e lasciano un residuo di colla. Una discreta rottura per sei velux. Poi l'altro giorno la svolta: sul gruppo degli accrocchi su fb leggo di una che ha oscurato le porte a vetri con… DELLA STAGNOLA E UNA SPRUZZATA D'ACQUA. Ho fatto la prova su una velux e funziona. Unica pecca le pellicole lasciavano passare un po' di luce, l'alluminio no.
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Soul Kitchen - Bugs Bunny Crazy Castle 3
Sono preso male quindi scrivo. Vediamo se mi passa...
Non sono qui per parlare del gioco in se, ma piuttosto delle sensazioni di un momento, in un posto che per qualche motivo riesco ancora a ricordare abbastanza vividamente.
Mi trovo nella cucina di casa di mia nonna.
E' un martedì pomeriggio, giorno di chiusura dell'attività dei miei nonni all'epoca (avevano un bar), e si stanno preparando per andare a fare la spesa per casa/bar.
Io sono in questa cucina che gioco a Crazy Castle 3 e di base non c'è¨ niente di strano, normale amministrazione di me che gioco allo stesso gioco da un sacco di tempo perché sono bloccato all'ultimo livello della seconda tranche cioè la Hall (le tranche sono, in ordine: Garden > Hall > Basement > Treasury).
Fuori fa freddo, è febbraio.
Il sole è già in procinto di salutarci, sono circa le 16.30.
Dalla porta semiaperta della cucina vedo la sala del bar, buia e vuota.
Ogni tanto anche ripensare al bar pieno mi fa quasi strano.
In quel periodo, ovvero inverno del 2000 ("ritmo del duemila / adrenalina puraaaaah" cit. Ritmo - Litfiba - Mondi Sommersi - 1997) come si confà a un individuo di 7 anni (manco compiuti, fai anche 6) non ho un accesso a internet e quindi ignoro bellamente cosa mi si parerà davanti dopo questa sequela di livelli della Hall di sto castello sempre più difficili e ostici.
Ad un certo punto il miracolo. Supero il (per me) famigerato livello 39, mi prodigo di trovare carta e penna per segnarmi la password per continuare poi dal livello 40, siccome in quel momento mi chiama mio nonno dicendomi esser pronti per andare.
E proprio in quell'istante qualcosa da qualche parte del mio cervello si materializza, e rimane li ancora oggi come una fotografia che riesco a rivedere se ci ripenso. Come una fotografia su pellicola di quel tempo, che a lungo andare perde in dettagli ma rimane sempre riconoscibile.
"La camera ha poca luce
E poi è molto più stretta di come da giù immaginavo"
diceva Ligabue in Bambolina e Barracuda, e devo dire che la descrizione corrisponde quasi del tutto.
Questa cucina è una stanza dalla forma rettangolare, ma non troppo lunga. Un rettangolo un po' tozzo ma comunque non Umberto.
Al centro un grande tavolo con piano in marmo grigio la fa da padrone, sopra di esso una fruttiera in vetro verde, sempre piena.
Ai lati del tavolo (punto di vista dalla porta d'entrata) rispettivamente:
A sinistra
subito dietro la porta un piccolo angolo credenza zeppo di libri di cucina (sopra), incarti di vari prodotti, sacchetti di carta per il pane (nel mezzo) e due piccole ante contenenti ogni sorta di attrezzo quali chiavi, cacciaviti o anche prodotti spray tipo insetticida e simili che ovunque stan bene tranne che in una cucina (sotto). Superato questo angolo il frigorifero, un vecchio frigorifero incassato ricoperto dall'anta in legno, seguito dal piano cottura, un doppio lavello e alla fine della parete una delle due finestre.
A destra
subito all'altezza del gomito inizia quello che è un mobile angolare in legno anch'esso con piano di marmo grigio che fa il paio con suo fratello The Table, che proseguirà sino all'altro capo della stanza.
La parte sotto è composta di semplici ante che nascondono il loro contenuto fra vecchie riviste, la stecca di MS Bionde e attrezzi da cucito in capo, il posto dove viene tenuto il pane della giornata nell'angolo e poi (perdonate la ridondanza) lungo la parte lunga tovaglie, tovagliette, tovaglioli, pentole, bicchieri (che non erano li da ieri), insalatiere, e altri suppellettili TASSATIVAMENTE DA NON USARE MAI.
Sopra questo mobile vi sono diverse situazioni, anche abbastanza diverse fra loro. Sempre in prossimità del gomito, qualora si stesse entrando, è visibile con la coda dell'occhio un posacenere blu dell'Aperol cui da che ho memoria ha sempre ospitato al suo interno un mazzo di chiavi del quale ho sempre ignorato quali porte avrebbe potuto aprire, un elastico giallo, una graffetta e una 200 lire.
A fianco immancabile è la combo Sorrisi&Canzoni + rivista di gossip a piacere. Ma più ci si addentra con lo sguardo e più la situazione si fa complessa.
L'angolo viene dominato da una tv a tubo catodico della Mivar (top orgoglio italiano non ironicamente), con lo schermo bombato che mangia buona parte delle barre dell'energia in quasi tutti i picchiaduro che era possibile giocare su ps2 da li a pochi anni.
Dietro questo Golia ai fosfori osserviamo un buco nero nel quale nemmeno la luce fa in tempo a venire assorbita, non lo raggiunge proprio.
Letteralmente la camera dei segreti, nella camera.
Si dice vi sia stato ritrovato di tutto dietro a quel monolito grigio opaco, da svariate sorprese di ovetti kinder a un centrotavola che sembrava essere andato perduto per sempre.
Li giaceva anche un misterioso contenitore grigio, in metallo, che ricordava la forma di quelli che si appendono in doccia per poggiarvi i vari shampoo, bagnoschiuma e simili. Forse il suo scopo in origine era proprio quello, ma poi qualche sconvolgimento spazio-temporale ha fatto si che venisse dimenticato in quell'anfratto nascosto.
Sempre dietro al televisore, oltre al suo cavo di alimentazione se si disponevano di arti lunghi a sufficienza ci si poteva addentrare fino a scoprire sia ben tre prese a muro più una spina volante, anche lei senza padrone.
Un cavo di alimentazione si, ma per chi?
Se ci si chiede chi controlla i controllori allora sarebbe giusto anche chiedersi cosa alimenta l'alimentazione? Who watches the Watchmen?
Superata la Notte Eterna ritorna la luce, e a fianco del televisore spunta un cesto di vimini con al suo interno vari giochi e fumetti miei fra cui macchinine, volumi di Topolino, quaderni di disegni, pennarelli e cosi via.
Accanto vi è quella che per forma e scopo risulta esser a tutti gli effetti un'anfora. Non dell'avidità ma quasi. "Quindi chi sei tu per giudicare?" direbbe qualcuno a riguardo.
La sua forma ricorda una donna di Willendorf per le sue rotondità che suggeriscono fertilità e abbondanza. E di abbondanza in quell'anfora ce n'era, sicché era stata riempita fino all'orlo di documenti, ricevute, scontrini, un blocchetto di assegni, collane, bracciali, orecchini, alle volte anche monete. Ovviamente era imperativo il "LASCIA STARE NON TOCCARE".
E noi senza toccare, limitandoci a guardarla in tutta la sua bianca e lucente ceramica, gettiamo l'occhio (e non il cuore) oltre l'ostacolo per incontrare un piccolo forno a microonde che termina l'allestimento del piano.
Fra il piano e il muro vi è un angusto spazietto di 1 metro circa, nel quale viene confinata una rossa sedia da giardino.
Quello che per anni ha rappresentato un angolo strategico in quanto era l'angolo del termosifone, luogo di sollievo per i lunghi inverni passati col Game Boy fra le mani, a cercare sia calore che un angolo illuminato in epoca pre GBA SP.
Ah, che male al collo.
A parete troviamo una composizione di pensili che segue il perimetro del mobile di cui sotto, anche questo pieno di situazioni abbastanza varie dietro alle sue ante marroni.
Anche qui si nascondono servizi di piatti e bicchieri che si e no si vedevano a natale, alcuni calici "griffati" di varie bevande che si servivano nel bar ma la sezione più pittoresca rimane quella perpendicolare al tv, che precedentemente abbiamo battezzato come Notte Eterna.
Anta ad angolo, che si apre piegandosi su se stessa rivelando due mensole dalla conformazione quasi simile ad una casa delle bambole. Mancava solo una piccola scala per rendere comunicanti primo piano e piano terra. Videocassette, nastri vergini, palette di trucchi, altre collane e gioiellini fra bigiotteria e non sono solo alcuni dei generi che si possono trovare all'interno. E, come sotto, un infinita oscurità.
"Putèl, andom?"
Le parole di mio nonno che mi chiama per andare con loro,
spengo il gbc dopo aver segnato la password e inizio a fantasticare su cosa troverò poi nel Basement, del quale ho visto solo la schermata di selezione del livello.[continua nei commenti]
#racconti#flusso di coscienza#immagini tumblr#images and words#images#raccontare#in memoriam#memoriaspoeticas
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Centoporte
Avevano questo nome le carrozze passeggeri che abbiamo usato in questo viaggio "Centoporte". Non erano esattamente cento le porte, ma si trovano quasi a ogni seduta.
Le sedute sono disposte 4 a 4 uno di fronte all'altro tutte in legno. È consigliabile scendere di spalle per evitare di cadere male e farsi malissimo.
Nonostante gli anni hanno il loro fascino.
#treno#treno storico#bellezza#centoporte#ferrovia#transiberiana d'Italia#la mia terra#se passate in abruzzo fatemelo sapere
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Nessun organismo vivente potrebbe conservare a lungo la sanità mentale in condizioni di realtà assoluta. Alcuni suppongono che persino le allodole e le cavallette sognano. Hill House, insana, se ne stava sullo sfondo delle sue colline racchiudendo dentro di sé l’oscurità; era rimasta così per ottant’anni e avrebbe potuto restarci per altri ottanta. Dentro, le pareti erano ancora dritte, i mattoni ben connessi fra loro, i pavimenti erano solidi, le porte giudiziosamente chiuse. Il silenzio gravava perenne sul legno e sulle pietre di Hill House e qualunque cosa vagasse sin lì vi andava sola.
Shirley jackson, L'Incubo Di Hill House
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Il divano su cui è cambiato tutto
🇮🇹 ("The sofa on which everything changed" Italian Version)
Il divano nuovo era rigido, la stoffa era tesa come una corda di violino, era come sedersi su una panca di legno. A Riccardo non sembrava di essere una persona seduta su un divano, pensava di essere più simile a un giocattolo appoggiato lì, dove qualche bambino sbadato l'aveva appoggiato e dimenticato.
Una tazza di tè, i piedi sul tavolino, un po' di musica...
Riccardo ascoltava la radio avvolto nella sua felpa in pile bianchissima, morbida e profumata. Aveva provato a mettersi comodo su quel divano nuovo, stava provando a sentirsi a casa nell'appartamento in affitto partendo dalle cose più semplici a cui riusciva a pensare. Il modo in cui era arrivato su quel divano però era tutt'altro che semplice, da qualche settimana la vita di Riccardo era stata completamente rivoluzionata.
Il padre di Riccardo, un uomo burbero e molto religioso, aveva insistito perché il figlio iniziasse a lavorare nel piccolo ferramenta di famiglia a Saronno. Riccardo invece voleva andare all'università, non sapeva nemmeno cosa volesse studiare ma era certo di non voler passare la sua esistenza tra brugole, sifoni e catenacci. "So io cos'è meglio per te " ripeteva il padre con tono secco e autoritario; Riccardo le aveva provate tutte per convincerlo, ma con la gran testa dura che aveva, l'uomo restava inamovibile sulla sua decisione.
Una sera Riccardo decise di giocare l'ultima carta che aveva a disposizione e dopo aver fatto accomodare i genitori sul divano prese coraggio e annunciò: "Papà, Mamma, mi piacciono i ragazzi". Il padre rispose con una risata, seguita solo dal silenzio. Resosi conto che non si trattava di uno scherzo, un velo di incredulità passò davanti ai suoi occhi, per poi esplodere in una rabbia feroce. L'avrebbe strozzato, quel figlio ingrato, come si era permesso? Le mani dell'uomo sarebbero state già strette attorno al gracile collo del giovane, se non fosse intervenuta la madre, che di rado faceva valere le sue opinioni. Mezz'ora dopo Riccardo era fuori dalla porta di casa e camminava curvo sotto il peso di un grosso zaino, trascinando due valige più grandi di lui. Dentro c'era tutta la sua vita, buttata alla rinfusa. Paradossalmente Riccardo non si era mai sentito tanto leggero e seppur ferito nell'animo, sorrideva al pensiero che il giorno successivo sarebbe andato a vedere l'università statale di Milano. Riccardo passò la notte in bianco alla stazione di Saronno; prese il primo treno per Milano alle 5:44 e poi puntò dritto all'università.
Giunto davanti al grosso edificio, dovette aspettare un’ora e mezza, perché il grosso portone veniva aperto alle 7:30. Nel piazzale quasi deserto i suoi occhi si posarono su un volantino arcobaleno appeso al muro: indicava gli appuntamenti del collettivo LGBTQ+ dell'università. Riccardo ci fece una foto con il cellulare pensando che forse tra i membri di quel gruppo qualcuno avrebbe potuto ospitarlo qualche giorno. Quando la guardia aprì le porte, Riccardo tentò di raggiungere il cortile interno, ma venne subito fermato: "dove va con tutte queste valige?" Chiese la guardia, “Servono per una lezione, sono qui preso perché devo montare tutto l'equipaggiamento. Mi han detto che siamo all'ultimo piano" mentì Riccardo. La guardia indicò con aria perplessa la strada per raggiungere un ascensore che portasse all'ultimo piano, e Riccardo ringraziò e si avviò con passo deciso, prima che la guardia potesse chiedere altro. Giunto nel bagno dell'ultimo piano, il povero ragazzo sfinito chiuse a chiave la porta si addormentò.
mezzogiorno era passato da un pezzo quando Riccardo si svegliò e si diresse alla riunione del collettivo LGBTQ+. Ovunque andasse tutte quelle valige lo facevano sentire come un marziano appena sceso sul pianeta terra. Riccardo individuò l'aula della riunione senza problemi, era quella più chiassosa di tutte. L’allegro vociare dei presenti non si fermò quando il ragazzo entrò nell'aula, ma qualche occhiata malcelata volò rapidamente dal viso del ragazzo, al suo corpo, ai pesanti bagagli.
Come di consueto, prima di iniziare la riunione ogni ragazzo a turno si alzò in piedi ripetendo a voce alta il nome, la facoltà, da quanti anni studiava e da quanti frequentava il collettivo. Quando fu il suo turno, Riccardo si alzò e disse "Sono Riccardo, ho 19 anni, non sono uno studente e mi hanno appena cacciato da casa". Poiché i presenti lo fissavano con sgomento e non accennavano a prosegue con le presentazioni, Riccardo continuò il suo racconto ricapitolando ciò che gli era successo nelle ultime ore.
Quella sera Riccardo dormì sul divano di un gruppo di coinquilini membri del collettivo, il giorno successiva i ragazzi del collettivo avevano diffuso la storia di Riccardo a mezza comunità LGBTQ+ milanese. Per tre settimane Riccardo rimbalzò da un divano all'altro, rapidamente trovò un lavoro come maschera al Carcano, il celebre teatro Milanese; infine si trasferì più o meno definitivamente affittando una stanza in un appartamento in periferia. Ora divideva la casa con Simone, un trentenne dal fisico massiccio, senza capelli, poco virile nei modi, che lavorava come assistente e ricercatore in università. I due andavano d'accordo, ma i loro orari erano talmente diversi che si incrociavano di rado nell'appartamento.
Quel giorno Simone doveva tenere una lezione in università, quindi Riccardo era solo in casa. Riccardo sedeva su quel divano rigido con la tazza in mano e mentre la bustina di tè colorava l'acqua, le dita del giovane rigiravano lo strano pacchetto di carta colorata dove la busta era conservata poco prima. "Ma Silvia dove le recupera ste cose?" pensò. Silvia era un'amica di Simone, una di quelle ragazze che si credono un po' streghe e collezionano cristalli e oggetti presunti magici; dove passava Silvia lasciava una scia di ninnoli e fesserie che lei credeva prodigiosi e Simone la lasciava fare, per farla contenta. La bustina aveva dei caratteri illeggibili sopra, ma per Riccardo era come se ci fosse scritto "Questo l'ha portato Silvia".
Il fumo si alzava silenziosamente dalla tazza di acqua calda, ed un aroma dolce si diffuse per la stanza. "...Vaniglia? ...Caramello? …Nocciola?" Si chiese Riccardo mentre inalava la fragranza intensa sprigionata dalla tazza. Era un profumo tanto corposo che sembrava penetrare nella pelle e scaldare il corpo come un bagno caldo. Ecco, forse per la prima volta dopo settimane Riccardo stava riuscendo a rilassarsi. "Se solo questo pile non prudesse tanto" pensò, ed iniziò a spogliarsi. Era un capo davvero strano, fino a qualche momento prima sembrava morbido e confortevole, ora invece pizzicava in modo insopportabile.
Stando a torso nudo sul divano Riccardo avvicinò la tazza alle labbra, soffiò, e poi ne bevve un piccolo sorso: era il the più buono che avesse mai bevuto, dolce ma non stucchevole, sembrava quasi il sapore di... Un bacio. Anche questo era un pensiero strano, Riccardo non aveva mai baciato le labbra di un uomo, eppure quello era il sapore a cui lo associava. Riccardo pazientò per far raffreddare un poco la bevanda, poi mandò giù alcuni sorsi. Il calore della bevanda si diffuse in ogni angolo del suo corpo, donando una profonda sensazione di benessere. Era una vita che Riccardo non si sentiva così bene, si sentiva vivo, aveva voglia di prendere e andare a fare una corsa fuori, di uscire e guardare il cielo, di iniziare un nuovo capitolo della sua vita…
"Devo chiedere a Silvia dove ha preso questa roba" pensò grattandosi la barba.
L'ennesimo avvenimento insolito: Riccardo non aveva mai avuto la barba, eppure ora c'era, fitta e nera, quasi come quella del suo coinquilino. Riccardo, in preda alla sensazione quasi orgasmica donata del tè colorato, non diede peso alla barba, né ai peli che iniziavano a crescere sul resto del suo corpo. La barba dava a Riccardo un'aria distinta, dimostrava qualche anno in più ma gli stava proprio bene. Con quei peli poi sembrava più muscoloso, ma era un’illusione o erano muscoli veri? Com'era possibile una cosa del genere? Ecco spiegato il desiderio di muoversi e correre, la sua nuova muscolatura era calda e pronta, come una moto da gara appena uscita dal concessionario. Ma correre per cosa? Correre da chi? Riccardo decise di rivestirsi e uscire, ma prima terminò il contenuto della sua tazza a grandi sorsi.
Il desiderio di uscire svanì immediatamente e Riccardo rimase seduto esattamente come prima, Imbambolato e incredulo. Un senso di improvvisa rilassatezza permeava il suo corpo, che progressivamente iniziò a sprofondare nel divano. I cuscini si piegarono e deformarono, sotto il peso improvviso della massa di Riccardo, che cominciò ad aumentare in modo impressionante. Il corpicino pelle e ossa che Riccardo aveva fino a pochi minuti prima non era che un lontano ricordo, ricoperto com'era di muscoli, carne e pelo.
La trasformazione che stava avvenendo avrebbe lasciato sbigottito chiunque, un omino di nemmeno vent'anni ora ne dimostrava tranquillamente più di trenta, ed aveva moltiplicato le sue dimensioni come mai avrebbe potuto fare in vita sua, nemmeno se avesse iniziato vivere di abbuffate e sollevamento pesi. Riccardo era satollo, rilassato e felice, un po' come ci si sente dopo un pranzo di Natale.
Quando quella sensazione si dissipò, raggiunse uno specchio e si osservò compiaciuto: Era proprio un bell’uomo. Nonostante l'assurdità della situazione, Riccardo restava calmo, come se tutto ciò fosse perfettamente sotto controllo, come se fosse stato lui a voler essere un'altra persona. Più si guardava nello specchio e più realizzava che la sua corporatura sembrava la copia identica di quella di Simone. Chissà cos'avrebbero detto i vicini? Con quei due gorilla nell'appartamento di fianco (uno dei quali probabilmente s'era mangiato quel ragazzo magrolino che non si vede più). A proposito di Simone, come avrebbe potuto spiegargli che quella bustina l'aveva trasformato in un bestione del genere? Alla parola "bestione" a Riccardo passò per la testa l'idea di controllare una parte del corpo importantissima, a cui non aveva ancora pensato. Ancora prima di mette la mano, non poté fare a meno di percepire un certo movimento nelle sue mutande, ma un rumore improvviso interruppe il delicato momento: erano le chiavi di Simone nella toppa della porta. Il cuore di Riccardo iniziò a battere tanto forte che sembrava essere cresciuto anch’esso. Per la prima volta un senso di preoccupazione permeò quel corpo nuovo e massiccio, che si diresse goffamente davanti alla porta d'ingresso.
La porta si spalancò rivelando una figura minuta ricoperta da una maglietta blu decisamente troppo grande. Un grazioso e accigliato ragazzetto biondo fissava Riccardo. "Simone?" Chiese Riccardo sbigottito.
Simone aveva bevuto lo stesso tè quella mattina, ma a lui era sembrato un tè normalissimo ed era andato a tenere la sua lezione. Durante il viaggio di ritorno in tram, aveva avvertito un capogiro improvviso e deciso di scendere, temendo che viaggiare sui mezzi peggiorasse la situazione. Mentre camminava verso casa aveva iniziato a rimpicciolire e ringiovanire, e mentre il suo corpo prendeva la forma di quello di Riccardo, sulla testa crescevano morbidi capelli biondi, la sua barba invece svaniva senza lasciare la minima traccia. Simone non poteva credere a ciò che stava succedendo, come poteva fermare questa cosa? Più il suo corpo si trasformava e più si accendeva in lui il desiderio di correre a casa, cosa che risultava abbastanza difficile con scarpe e vestiti decisamente troppo grandi, tanto da doverli necessariamente tenere su saldamente con le mani per non perderlo per strada. Il poveretto correva reggendo con due mani quei pantaloni enormi, sembrava quasi che stesse partecipando ad una corsa coi sacchi. Poiché i pantaloni cadevano da tutte le parti e non nascondevano nulla, erano ormai solo un intralcio e Simone decise di abbandonarli per strada. Correre in mutande gli permise di andare più veloce, dopotutto mancava solo l’ultimo pezzetto di strada.
Raggiunse la porta di casa ripetendo nella sua testa il discorso che voleva fare a Riccardo per spiegare cosa gli era successo, ma lo shock più grande doveva ancora arrivare.
Aprendo la porta Simone rimase esterrefatto, ma capì subito che quell'omone grande grosso a torso nudo con una visibile erezione nei pantaloni altri non era che Riccardo.
Non fu necessario dire una parola in più, i due sapevano esattamente cos'era successo all'altro, anche se non avevano idea del perché fosse successa una cosa simile. Poi sentirono più forte che mai quell'impulso a scattare, a correre, a raggiungere... L'altro. Era per quello che Riccardo voleva correre fuori, lo stesso motivo che spingeva Simone a correre a casa: Una forza magnetica li attirava l'uno all'altro. Simone deglutì, i suoi occhi si spostavano dal Viso di Riccardo al suo pacco gonfio, mentre i suoi piccoli piedi si muovevano portandolo verso l'omone. Mentre Simone camminava lasciò cadere anche le mutande, ormai fuori misura. Riccardo liberò Simone anche dalla la maglietta (che arrivava quasi alle ginocchia) e vide che anche Simone era molto eccitato. Mentre Simone tentava di ricambiare il favore e sbottonava la cintura del coinquilino, Riccardo non poté fare a meno di guardare il corpicino che aveva davanti, con la sua piccola erezione pulsante: "sei la cosa più carina che abbia mai visto" disse.
Simone arrossì e una volta sfilata la cintura dai pantaloni di Riccardo lo spinse verso la camera da letto e chiuse la porta d'ingresso.
Riccardo sollevò Simone e lo mise sul letto, pensò che fosse davvero carino ridotto così, poi senza esitare si tolse i pantaloni e le mutande.
Simone non fece nemmeno in tempo a realizzare che il membro di Riccardo era persino più grande di quello che aveva lui prima di trasformarsi. Riccardo raggiunse il coinquilino trascinando le ginocchia sulle lenzuola e si abbassò per dargli un bacio: era un bacio dal sapore dolce, forse perché le labbra di Riccardo sapevano ancora di The. Simone non aveva mai ricevuto un bacio del genere, avrebbe voluto che il tempo si fermasse lì. La pelle calda di Riccardo a contatto con quella di Simone era la sensazione più bella che avessero mai provato.
Riccardo si spostò, fece sdraiare Simone a pancia in su e gli aprì gambe, per infilare la faccia barbuta sotto sue le palle: era un punto talmente sensibile che Simone ebbe paura di venir subito, solo per essere toccato lì dalle labbra di Riccardo, che invece iniziò a leccare il piccolo buco del ragazzo. Simone fremeva di piacere (da quando era così sensibile?) mentre si aggrappava alle lenzuola nella sua testa si faceva spazio il desiderio di afferrare con entrambe le mani la virilità gigantesca di quell'omone.
Quando Riccardo sollevò la testa, Simone si spostò e lasciò il posto a Riccardo, notando che nella fretta aveva dimenticato di togliere i calzini. Mentre l'omone stendeva la sua larga schiena sul letto, Simone gli sfilò a fatica i calzini grigi, ormai deformati perché coprivano dei piedi che avevano appena moltiplicato la loro misura. C'era un che di eccitante in questa azione, Simone pensò che era strano, non aveva mai avuto gusti simili, in genere i piedi lo lasciavano indifferente, ora invece non poteva lasciare cadere la gamba pesante di Riccardo. Avvicinò invece il piede alle labbra e baciò la pianta del grosso piede, per poi farlo scorrere sulla pelle del torso, sino al pube. Riccardo sorridendo divertito solleticava con le dita dei piedi l'erezione di Simone che ora più che mai sembrava sul punto di esplodere. Eccitatissimo, Simone abbassò la faccia sul pube villoso di Riccardo e lo baciò ripetutamente. Anche l'erezione di Riccardo pulsava, Simone l'afferrò con una mano, mentre l'altra reggeva con delicatezza le due grosse palle. Riccardo improvvisamente si sentì totalmente succube di quell'audace biondino, ora che il suo poderoso nuovo attrezzo era interamente nelle sue mani. Simone avvicinò la faccia al prezioso bottino e lo prese in bocca, mettendo in pratica tutta l'esperienza che aveva in questo genere di cose. Riccardo di fronte a quella sensazione del tutto nuova, fu più volte sul punto di venire, ma prima di farlo c'era almeno un'altra cosa che voleva provare.
Simone si spostò e si mise a cavalcioni di Riccardo, come se fosse la risposta di un messaggio telepatico. Dopo aver lubrificato la zona a dovere ed avere messo il preservativo più grande che c’era nel cassetto di Simone, Riccardo infilò con delicatezza il suo membro nella sottile apertura di Simone, che in genere era versatile, ma ormai erano anni che non trovava un partner attivo che avesse rapporti con lui. Fu uno dei rapporti più intensi della sua vita, e pensò che qualsiasi cosa fosse successa era stata necessaria per portare li loro due, in quel momento, con quella forma, in quel letto. Vennero a pochi secondi di distanza l'uno dall'altro, poi si spostarono in bagno per pulirsi.
Con la mente un po' più lucida Riccardo chiese: "...e ora che si fa con questa faccenda?". Simone, seduto sul bidet, dava le spalle al coinquilino e senza alzare gli occhi rispose: "che vuoi che si faccia? Ora chiamo Silvia e le chiedo se questa cosa è temporanea o permanente, se serve staremo qualche tempo a casa aspettando che passi".
Il viso di Riccardo si rabbuiò, senza sapere perché non voleva che le cose tonassero come prima. "Se fosse solo una cosa provvisoria ti va di berci un'altra tazza di quel tè ogni tanto?" Chiese Riccardo con una timidezza che addosso ad un omone del genere faceva ancora più tenerezza. "Rifarlo? E se fosse permanente?" Replicò Simone con tono stupito e preoccupato. Riccardo si accovacciò dietro a Simone e gli diede un bacio sulla spalla, poi disse: "Se fosse permanente, ti andrebbe di uscire con me?"
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𝘓𝘦 𝘪𝘮𝘮𝘢𝘨𝘪𝘯𝘪 𝘪𝘯 𝘲𝘶𝘦𝘴𝘵𝘰 𝘱𝘰𝘴𝘵 𝘴𝘰𝘯𝘰 𝘱𝘳𝘰𝘷𝘦𝘯𝘪𝘦𝘯𝘵𝘪 𝘥𝘢𝘭 𝘸𝘦𝘣 𝘦 𝘢𝘭𝘵𝘦𝘳𝘢𝘵𝘦 𝘨𝘳𝘢𝘻𝘪𝘦 𝘢𝘭𝘭'𝘪𝘯𝘵𝘦𝘭𝘭𝘪𝘨𝘦𝘯𝘻𝘢 𝘢𝘳𝘵𝘪𝘧𝘪𝘤𝘪𝘢𝘭𝘦. 𝘚𝘦 𝘴𝘦𝘪 𝘪𝘯𝘧𝘢𝘴𝘵𝘪𝘥𝘪𝘵𝘰 𝘥𝘢𝘭𝘭𝘢 𝘱𝘳𝘦𝘴𝘦𝘯𝘻𝘢 𝘥𝘪 𝘲𝘶𝘢𝘭𝘤𝘩𝘦 𝘤𝘰𝘯𝘵𝘦𝘯𝘶𝘵𝘰 𝘤𝘩𝘦 𝘳𝘪𝘵𝘪𝘦𝘯𝘪 𝘦𝘴𝘴𝘦𝘳𝘦 𝘥𝘪 𝘵𝘶𝘢 𝘱𝘳𝘰𝘱𝘳𝘪𝘦𝘵à, 𝘤𝘰𝘯𝘵𝘢𝘵𝘵𝘢𝘮𝘪 𝘱𝘦𝘳 𝘳𝘪𝘮𝘶𝘰𝘷𝘦𝘳𝘭𝘰. 𝘨𝘳𝘢𝘻𝘪𝘦.
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𝘛𝘩𝘦 𝘪𝘮𝘢𝘨𝘦𝘴 𝘪𝘯 𝘵𝘩𝘪𝘴 𝘱𝘰𝘴𝘵 𝘤𝘰𝘮𝘦 𝘧𝘳𝘰𝘮 𝘵𝘩𝘦 𝘸𝘦𝘣 𝘢𝘯𝘥 𝘢𝘳𝘦 𝘢𝘭𝘵𝘦𝘳𝘦𝘥 𝘵𝘩𝘢𝘯𝘬𝘴 𝘵𝘰 𝘢𝘳𝘵𝘪𝘧𝘪𝘤𝘪𝘢𝘭 𝘪𝘯𝘵𝘦𝘭𝘭𝘪𝘨𝘦𝘯𝘤𝘦. 𝘐𝘧 𝘺𝘰𝘶 𝘢𝘳𝘦 𝘣𝘰𝘵𝘩𝘦𝘳𝘦𝘥 𝘣𝘺 𝘵𝘩𝘦 𝘱𝘳𝘦𝘴𝘦𝘯𝘤𝘦 𝘰𝘧 𝘢𝘯𝘺 𝘤𝘰𝘯𝘵𝘦𝘯𝘵 𝘵𝘩𝘢𝘵 𝘺𝘰𝘶 𝘣𝘦𝘭𝘪𝘦𝘷𝘦 𝘵𝘰 𝘣𝘦 𝘺𝘰𝘶𝘳 𝘱𝘳𝘰𝘱𝘦𝘳𝘵𝘺, 𝘱𝘭𝘦𝘢𝘴𝘦 𝘤𝘰𝘯𝘵𝘢𝘤𝘵 𝘮𝘦 𝘵𝘰 𝘳𝘦𝘮𝘰𝘷𝘦 𝘪𝘵. 𝘛𝘩𝘢𝘯𝘬 𝘺𝘰𝘶.
#gay body swap#gay tf#gay transformation#gaytamorfosi#male body swap#male tf#male transformation#age regression#age progression#male muscle growth#body swap#age swap
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Tu arrivasti alla mia anima quando era dimenticata:
le porte divelte, le sedie nel canale,
le tende cadute, il letto sradicato,
la tristezza curata come un vaso di fiori.
Con le tue piccole mani di donna laboriosa
ponesti tutte le cose in fila:
lo sguardo al suo posto, al suo posto la rosa,
al suo posto la vita, al suo posto la stuoia.
Lavasti le pareti con uno straccio bagnato
nella tua chiara allegria, nella tua fresca dolcezza,
collocasti la radio nel luogo appropriato
e pulisti la stanza di sangue e spazzatura.
Ordinasti tutti i libri dispersi
e stendesti il letto nel tuo enorme sguardo,
accendesti le povere lampade spente
e lucidasti i pavimenti di legno consumato.
Fosti d’un tratto enorme, ampia, potente, forte:
sudasti grandi fatiche lavando arnesi vecchi.
Apprendesti che nella mia anima d’avanzo era la morte
e la tirasti all’orto con pezzi di specchio.
Jorge Debravo
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