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Lucas Herzig: e spesso intendo sempre - MASI Lugano
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DANCING MAENADS: 2 Large Marble Frieze Reliefs H89 X W165 cm each, Roman "The female figures are faithful copies of the models created at the end of the 5th c. BC by the Greek sculptor Callimachus. Some, such as the maenad holding a basket full of fruit and the one screaming disheveledly brandishing two torches and with her arms wrapped in snakes, are however not typical of the Dionysian thiasos but refer to the iconography of an offering bearer or a Hora [season] and that of an Erinyes [personification of revenge especially towards those who attack one's family], themes that adapt to a funerary context." [txt ©MRT] White Marble Mid- 1st AD
LEFT [no faces preserved]
RIGHT [featured in this post].
Musei Reali Torino, Turin | MRT [Museum of Antiquities | Museo di Antichità, -1 Floor] • Web: https://museireali.beniculturali.it/en/archaeological-museum • FB: https://www.facebook.com/museirealitorino • IG: @ museirealitorino • X: @ MuseiRealiTo
MRT | Michael Svetbird phs©msp 18|02|24 6300X4200 600 [I.] The photographed objects are collection items of MRT, photos are copyrighted [non commercial use | sorry for the watermarks]
📸 Part of the "Reliefs-Friezes-Slabs-Sculpture" MSP Online Photo-gallery:
��� D-ART: https://www.deviantart.com/svetbird1234/gallery/72510770/reliefs-friezes-slabs-sculpture
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Micene
Dopo le surreali Meteore, il viaggio continua con la visita di alcuni luoghi legati alla Grecia classica. Il primo è Micene, luogo decantato da Omero nei suoi poemi epici e Patrimonio Unesco.
Secondo la leggenda, la nascita di Micene avvenne grazie a Perseo, figlio di Danae e Zeus, che chiese aiuto ad un Ciclope per erigere la cittadella fortificata (da qui l’attributo “ciclopiche” riferito alle mura che la circondano). Il prestigio di Micene è legato a quello di Agamennone, il re più famoso che la città abbia mai avuto, nonché il capo indiscusso di tutta la Grecia Antica dopo il trionfo nella Guerra di Troia. Le gesta di Agamennone furono narrate nell’Iliade di Omero e, proprio per via della passione per i poemi omerici, Heinrich Schliemann, un archeologo tedesco, si mise alla ricerca della «Micene ricca d’oro» tanto decantata fino a quando, nell’Ottocento, non ne scoprì per primo le rovine.
La visita ai resti della fortezza inizia con l’attraversamento della straordinaria Porta dei Leoni.
Si procedere poi con le gigantesche mura ciclopiche, le tombe reali ed il Palazzo di Agamennone.
Non dimenticate di guardarvi intorno perché grazie alla posizione elevata potrete godere del bel panorama.
A circa 400 metri dalla cittadella sorge un altro importante sito archeologico, il Tesoro di Atreo, noto anche come Tomba di Agamennone.
Per meglio comprendere la storia del sito e del suo ritrovamento è possibile visitare il Museo dell’Antica Micene che espone un gran numero di reperti, compresa una copia della famosa Maschera di Agamennone.
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A Torino la mostra coloniale “Africa. Le collezioni dimenticate”. Approssimativa, incompleta e piena di errori
A Palazzo Reale di Torino ha inaugurato “Africa. Le collezioni dimenticate” una “mostra che affronta il tema della colonizzazione italiana dell’Africa”. Almeno così dice il pannello introduttivo nella prima delle Sale Chiablese. “Non una mostra d’arte – afferma la direttrice Pagella – ma una mostra di storia”. Esposizione caratterizzata da errori grossolani, dimenticanze volute e omissioni…
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Nido Oscuro
Parte 1 -> Parte 2
L'incontro
1890
Contea di Marvalia, Inghilterra nel palazzo del Re Taurus tutto sembra procedere
perfettamente per le nozze del figlio, il prossimo in successione al trono, Wilder con la principessa Kassandra.
"É arrivato il grande giorno figliolo, ora questo regno dipenderà da te, devi essere pronto a governarlo con coraggio"
"Si padre, cosí com'è scritto" seguí in risposta. Il ragazzo si guardava nello specchio che poggiava sul banco della sua camera illustre con aria sconsolata, Kassandra non era certo ciò che voleva, mentre dal potere si faceva sedurre e non si faceva neanche lo scrupolo di nasconderlo. Poco dopo entrò nella stanza il suo lancillotto a occuparsi di lui e della sua bellezza. Nessuno poteva immaginare che di lì a poche ore sarebbe cambiato tutto.
Oggi
Un'epidemia si diffonde rapidamente nel regno di Marvalia, Dominick, giovane
aristocratico, viene mandato nella notte dai genitori, amici della famiglia reale, in ritiro
nel palazzo gotico di quello che viene chiamato "L'incantatore della notte", questo perché distante dal regno così da proteggerlo.
Il ragazzo viene scortato dalle guardie reali fino al castello di questa figura misteriosa. Nel tragitto percorre strade tortuose e cupe in cui nota strane ombre dalla tunica nera e con grandi maschere a gas, alcune si facevano luce con delle lanterne.
Dopo ore di viaggio in cui Dominick si faceva impaziente e timoroso, la macchina nera si fermò davanti a un grande campo lasciato a sé stesso in cui poggiava con imponenza il palazzo dallo stile grottesco.
"Siamo arrivati signore."
"Oh si certo, immagino che debba scendere".
Apre la portiera e con estrema classe scende dall'auto per poi innalzarsi davanti alla facciata principale della dimora, era sicuramente spaventato.
Si accinge al portone e bussa, la macchina se ne va ma poco dopo nessuno apre. Dominick è capace di aspettare perché troppo pudico per ritentare ancora, avendo lo scrupolo di disturbare, poco dopo si rende conto di una lieve fessura che portava con sé della luce laterale alla porta, la quale non era di fatti del tutto chiusa, così pone poca resistenza e si decide a tirare la porta in avanti così da poter entrare
"Permesso…" Disse titubante
"Son..sono Dominick" Il ragazzo percorse l'atrio e poi ancora
Si imbatté in delle maestose scale di legno che conducevano al piano di sopra ricco di stanze immacolate, si fece strada da solo intento a trovare l'uomo. Iniziava a sentire dei rumori, voleva tornare indietro ma le gambe lo spingevano a continuare, pensò anche che aveva lasciato la sua vecchia valigia all'ingresso.
D'un tratto i rumori cessarono e da una delle stanze uscì lui, questa alta figura dal corpo esile, sembrava un uomo la cui stravaganza ti strega, aveva una raffinata eleganza e un dolce profumo sulla pelle, aveva indosso un bellissimo completo scuro che sembrava disegnato su di lui, era ricoperto di gioielli, le sue scarpe erano lucide, sotto la giacca aveva una lunga camicia con maniche larghe e con gli sbuffi, erano merlettate e sul collo poggiava un grande fiocco bianco e a cospetto di questo poggiava sul petto una vecchia collana di perle che portava larga, aveva poi sulle mani dei guanti neri e poi non poteva non notare il suo mosso e lungo capello rosso, era eccentrico l'aveva capito
ma era anche affascinante, era semplicemente quello con cui tutte le cattiverie del regno iniziavano "L'incantatore della notte".
Sempre con fare elegante ma allo stesso tempo con simpatia, l'uomo porge la mano al ragazzo in un inchino, intento a fargli strada
verso la sua stanza, ricordandogli di andare a recuperare i suoi averi.
"C'è un brutto male là fuori eh? voglio dire a Marvalia."
"Sta succedendo tutto così in fretta, è destabilizzante"
"Beh si potrebbe dire che essere condannato a stare qui si è rivelata la mia fortuna"
"Lei è condannato a stare qui?"
"Mi piace la premura con cui ti rivolgi a me, ma te ne prego non ce n'è bisogno, voglio che tu ti senta libero qui"
"Non le piace parlarne?"
"L'hai fatto di nuovo"
"Cosa?"
"Questa distanza, non mi piace, non mi è mai piaciuta"
"Scusa non volevo..."
"Oh non scusarti trovo questa tua insistenza deliziosa" Il ragazzo si sentì il cuore in gola, quella casa e quella figura lo facevano sentire così impotente eppure era sempre stato visto come un uomo tutto d'un pezzo, questo dovuto anche alla sua corporatura, era leggermente robusto ed era bellissimo, la sua stazza andava in contraddizione con il suo viso pulito, puro, dolce aveva un mosso capello biondo e nei suoi occhi ci si poteva perdere, aveva i modi e il vestiario di un signore e aveva di certo un cuore nobile, nobile come lui.
"Sistemati pure in quella stanza, tra poco mangiamo, spero tu gradisca della carne ma ho idea che tu sia troppo ligio alle buone maniere perché tu mi dica il contrario, non oseresti"
il ragazzo si limitò a sorridere e si affrettò a prepararsi per la cena.
I due cenarono nella sala da pranzo, piena di ornamenti d'oro e con un grande lampadario di cristalli che poggiava sopra la lunga tavola antica. L'incantatore aspettò già in sala con ansia il ragazzo che tanto gli piaceva, e una volta che questo si era presentato alla porta, lui lo seguí con fare scherzoso:
"Dopo di lei? dovrei dire forse così?" Il ragazzo era divertito dalla sua ironia, ma aveva il costante timore di deluderlo anche se non lo conosceva, sentiva di aver già investito tanto in lui.
Una volta seduti iniziano entrambi a mangiare di gusto e prendendo il suo amato calice di quello che sembrava essere del vino, l'uomo esordí dicendo:
"Allora ti piace il mio palazzo?"
"Si mi piace perché è diverso"
"E questo ti fa paura?"
"Il palazzo?"
seguí immediatamente l'altro
"Il diverso..."
"Mi affascina, perché è qualcosa di nuovo, e le cose nuove ti fanno sentire eterno"
"E con tutta la gente che sta morendo, forse ce n'è anche bisogno, diventa un vizio immorale, una perversione, ma é pur sempre un desiderio"
"Non ti senti solo in un palazzo tanto grande?"
"Oh ma io non sono sempre solo"
"Avete qualcuno?"
"No di certo non quello, ma a volte vengono a farmi visita degli aristocratici come te o meglio non proprio come te"
"Che vuoi dire?"
"Intendo dire che non sono tutti cosí discreti o piacevoli come lo sei tu"
"Ti ringrazio"
"Non ringraziarmi, è quello che penso di te da quel poco che ti conosco"
"Non ha buoni rapporti con questi uomini?"
"No non é questo, é che mi fa sorridere come nonostante la tua giovane età tu sia più rispettoso di tanti signori la cui età ha portato via l'onore" Ripresero poi a mangiare in silenzio e poi ancora.
"Ah Dominick c'è una cosa che devi sapere" Il ragazzo s'irrigidí
"Non vorrei sembrarti scortese ma preferirei non entrassi nella mia stanza, che si trova alla porta dove ci siamo presentati, certe cose preferisco tenerle per me"
"Certo, certo capisco…”
"Certo che capisci" disse con fare amorevole l'uomo sorridendogli e parlando con una mano sotto il mento il giovane si faceva nervoso e fece finta di voler andare a dormire, così l'incantatore lo accompagnò e poi quando questo si mise a letto fece finta di dormire e la figura rimase ferma qualche secondo a contemplarlo, fece per giocare con i suoi capelli e con strazio pronunciò un nome "Ricardo" e se ne andò.
Ma Dominick l'aveva sentito, era ancora sveglio e stava iniziando a farsi delle domande "Perché era stato condannato a stare in quel palazzo? Perché non ha risposto alla mia domanda? Qual'era il suo titolo? E se non fosse riservatezza ma nascondesse qualcosa in quella stanza? Chi era Ricardo?"
Tutto questo mistero lo rendeva ancora più intrigante, voleva conoscerlo veramente anche se in parte si sentiva intimorito da lui, e l'idea di scoprire tutto di lui gli faceva pensare che potesse rovinare la sua bellezza.
#romanzogay#mascxfem#apocalisse#ahs#fantastico#elegante#estetico#passionale#oscuro#mistero#gay men#ossessione
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Altro giro, altro buco nell’acqua per la premier italiana, Giorgia Meloni, che da quando si è insediata a Palazzo Chigi ha deciso di dover diventare la trascinatrice di un’Europa (o meglio di un globo terracqueo) neghittosa verso il tema dell’immigrazione.
Dopo essersi trascinata al seguito la frastornata Ursula Von der Leyen, bisognosa di voti per una rielezione alla guida della Commissione Ue che pare sempre più a rischio, ieri Meloni è tornata in solitaria dall’autocrate tunisino Kaïs Saïed con un nuovo cesto di caramelle e dolciumi, solo per sentirsi rispondere che i dolci non piacciono al rais della sponda sud.
Sotterrati dall’indifferenza degli interlocutori, reali e immaginari, gli italiani hanno cambiato registro, avviando le scampagnate tunisine con Frau Ursula e altri premier europei a caso. Dopo varie promesse di aiuti comunitari, ahinoi sempre con robuste condizionalità, almeno viste dal versante di Saïed, ora Meloni torna da sola, e oltre alla faccia ci mette un po’ di soldi, rigorosamente italiani, con la promessa di fare lobbying pro Tunisi per far sbloccare gli agognati 900 milioni europei.
Meloni porta dunque a Tunisi 50 milioni per favorire gli investimenti nelle rinnovabili e altri 50 per finanziare linee di credito delle piccole e medie imprese tunisine, oltre a un non meglio definito “accordo quadro per la cooperazione su università e ricerca”, annunciando che a breve arriveranno quelli su Difesa e Cultura. Rigorosamente “su un piano paritario, non predatorio né paternalistico”, come recita il jingle.
In questa vibrante cooperazione, la richiesta minimale italiana a Tunisi resta quella di frenare l’immigrazione. Allo stato, pare del tutto improbabile che il sogno meloniano di creare in Tunisia un hotspot di filtro degli accessi verso l’Europa possa realizzarsi. Non diciamo “sul modello di quello albanese” perché quest’ultimo non è chiaro cosa sia esattamente, mentre i suoi costi diverranno sempre più chiari col passare dei mesi.
ADDIO SOGNI DI HOTSPOT
A questo riguardo, alcune ore dopo la partenza di Meloni da Tunisi alla volta di Bruxelles, Saïed ha fatto emettere una nota ufficiale per ribadire che la Tunisia non ha alcuna intenzione di essere “destinazione o punto di partenza per immigrati irregolari”, quindi addio alla bolla di sapone di realizzare un hotspot. Ma Saïed ha anche espresso evidente insoddisfazione verso gli europei, che non battono colpi sulla “adozione di un approccio collettivo al tema dell’immigrazione e della lotta contro la tratta di esseri umani”, malgrado “i grandi sforzi fatti per prendersi cura dei migranti” da parte di Tunisi.
Che tradotto significa che i soldi europei non si sono visti, che gli europei medesimi possono comunque scordarsi le loro bizzarre condizioni di erogazione del denaro ma che, malgrado questa evidente mancanza di buona volontà europea, Tunisi è impegnata con le sue sole forze a espellere verso il deserto migranti subsahariani e sudanesi, fatti oggetto di campagne di razzismo presso la popolazione locale, incolpandoli della situazione economica del paese. Ma è chiaro che i mezzi tunisini sono limitati, e quindi può accadere che parte di queste persone destinate all’espulsione verso il deserto partano alla volta dell’Italia. Sigh.
Le missioni tunisine di Meloni hanno prodotto soprattutto un geniale format di comunicazione: le conferenze stampa senza giornalisti. Anche ieri è andata in onda la messa in scena, con tanto di podio e la statista che parla, preceduta da uno stentoreo “buonasera”, con tanto di sguardo panoramico e avvolgente verso l’uditorio immaginario.
So quello che state per obiettare: “ma tu davvero pensi sia possibile, per la sola Italia, raddrizzare situazioni del genere?”. Ovvio che non lo penso. Quello che tento di farvi capire sono essenzialmente due cose: che il cosiddetto Piano Mattei altro non è che il reimpacchettamento mediatizzato e propagandistico di fondi per la cooperazione che ogni governo occidentale usa da decenni; e poi, che questa scatola vuota ma incartata con nastro luccicante viene usata a fini interni per permettere di affermare che “Meloni cambia verso all’Europa”. Perché lo ha detto anche “la prestigiosa rivista Time”, che Giorgia è tra le cento persone più influenti al mondo, mica pizza e fichi.
MISSIONE IN SAHEL
Dopo di che, affidiamoci a realismo e cinismo, incluso quello che porta gli occidentali a chiedere udienza alle giunte golpiste africane centro-occidentali di Niger, Mali e Burkina Faso, appoggiate da russi e cinesi. Sono atti necessari per limitare danni profondi, dopo la cacciata dei gendarmi francesi e con ogni probabilità anche quella degli americani dalla regione.
E infatti l’Italia vi partecipa, per provare a presidiare un corridoio di transito migratorio che rischia di avere conseguenze devastanti per l’Europa. Ad esempio, pare che le nostre truppe, uniche occidentali, riprenderanno la collaborazione e l’addestramento con i soldati nigerini. Per un motivo banale: che gli altri occidentali resteranno fermi parecchi giri, visti i pregressi. Poi, possiamo anche dirci che lo facciamo perché la giunta golpista ha promesso che, prima o poi, tornerà nelle caserme e la democrazia di rito subsahariano tornerà a fiorire. Manca uno straccio di roadmap ma chi siam noi per essere diffidenti, dopo tutto? Forse è questo, l’unico vero Piano Mattei. Ce lo faremo bastare, in caso.
Non siamo educande, quindi, ma sporchi realisti. Solo, per quanto possiamo sforzarci, ci risulta sempre più difficile berci la propaganda di colei che voleva i blocchi navali, sui quali è stata ovviamente fraintesa.
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La seconda: non chiedermelo più
Anche la tua, di bellezza, è una cosa irraggiungibile. Se ci penso mi ricorda una foto di dieci anni fa di un palazzo che è stato demolito ieri, o sentire casualmente per strada un odore del passato, ma inafferrabile, impossibile da collocare con precisione.
Anche se non ci parliamo più, e forse ti ricordi ogni tanto di me solo mentre spingi il pesantissimo cancello di casa tua, o nei pochi momenti in cui sposti i mobili della tua camera; io ricordo ogni giorno i tratti della tua bellezza. Nitidi, trasparenti: come se li avessi qui davanti in questo momento.
Sdraiata a letto hai in mano una bottiglia d’acqua quasi vuota, poi sei su un treno davanti a me, con una gonna lunghissima in piena estate. Mi dai un biglietto della metropolitana, ci vediamo a colazione, piangi perché hai perso un aereo, ridi con le stesse frasi di una canzone che ripetiamo allo sfinimento. Prendi un ascensore e per un attimo dimentichi il mio piano, ti nascondi in un bosco pieno di conigli, l’anno scorso mi hai detto che vuoi imparare a lavorare il legno.
Sfoglio distrattamente le migliaia di foto salvate sull’iPhone, e nella scheda Persone c’è un cerchio con dentro il tuo viso, e sotto un punto interrogativo. Dai un nome a questa persona?, mi chiede un sistema operativo pensato tanti anni fa in California. No, gli dico, perché dare un nome alle cose le rende reali, e tu non hai più niente a che fare con le mie mattine o le notti in cui non dormo. E mi sento così forte durante questa breve presa di posizione, mi sento così forte che tutti i pezzi mancanti della vita sembrano rimettersi al loro posto, prima di distruggersi di nuovo.
L’ennesimo rifiuto porta il telefono a darmi una via d’uscita, propormi il perfetto manuale della mia salvezza momentanea (è stanco pure lui di assistere a tutto questo): non chiedermelo più. Basta un tocco ed è tutto finito, il tuo viso sparisce, e la tua bellezza senza fine diventa concreta come tutte le cose che si possono dimenticare.
Va bene: domani lo faccio.
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House of the Dragon 2, Episodio 2 Rhaenyra The Cruel: Inchiostro e Sangue
Dopo lo sconvolgente finale della season premiere, la stagione 2 di House of the Dragon entra nel vivo e tutti i personaggi devono affrontare le conseguenze di quanto accaduto.
"Un figlio per un figlio": questo era il titolo del primo episodio della (attesissima) seconda stagione di House of the Dragon, lo spin-off de Il Trono di Spade tratto dal romanzo Fuoco e sangue di George R.R. Martin. Un titolo che non lasciava presagire nulla di buono e, dato che ci troviamo pur sempre nel mondo delle Cronache del ghiaccio e del fuoco, non poteva che essere così.
L'elaborazione del lutto
Rhaenyra è il cuore e l'anima di questo episodio
Forse è uno stratagemma degli autori, Ryan Condal in primis, per farci vedere l'approccio delle due fazioni in gioco per la corsa al Trono di Spade dopo la morte di Re Viserys. Ma resta il fatto che le reazioni dei Verdi e dei Neri a quanto gli è similmente accaduto tra il finale del ciclo inaugurale e l'inizio di questo secondo, sono molto diverse. Se Rhaenyra dopo la morte di Luke prova a tutti i costi a cercare la pace, prima di andare ufficialmente in guerra con il resto della famiglia, il primo istinto di Aegon II (Tom Glynn-Carney) è vendicare la morte del figlio con fuoco e sangue, nonostante il Concilio Ristretto gli consigli di andarci cauto, verificando i propri alleati tra le varie Case ed essendo sicuro di poter battere la concorrenza nel caso attaccassero: "I want to spill blood, not ink" ("Voglio versare sangue, non inchiostro") dice il giovane Re Usurpatore, confermando il proprio temperamento folle e la propria poca lungimiranza.
Non solo: il Concilio pensa ad un carro funebre in cui esporre il piccolo cadavere per ottenere compassione da parte del popolo. Helaena (Phia Saban) non è d'accordo ma aderisce suo malgrado, convinta dalla madre. La giovane vorrebbe che il dolore fosse solo suo e non di tutti, e qui si instaura un parallelismo con i personaggi pubblici, proprio come le famiglie reali moderne e contemporanee: nulla può essere vissuto in privato ma deve diventare "oggetto di tutti". Ognuno dei personaggi reagisce quindi in modo estremamente diverso nella propria elaborazione del lutto.
Verso la Danza dei Draghi
Alicent convince i figli a partecipare al carro funebre
La proverbiale guerra civile dei Targaryen si fa sempre più vicina non solo perché una morte sta rapidamente succedendo ad un'altra. Ma anche perché vi sono sempre più attriti anche all'interno delle due fazioni nella lotta per la successione al trono. Appena Rhaenyra (Emma D'Arcy) viene a sapere quanto accaduto, infatti, si infuria con Daemon (Matt Smith) e col suo agire impulsivamente che ritorna prepotentemente. La sceneggiatrice Sara Hess aveva promesso che si sarebbe esplorato meglio il rapporto tra zio e nipote: uno dei confronti fondamentali e più appassionanti di questa stagione avviene proprio in questa puntata e fa emergere come, nonostante non lo voglia per sé, allo stesso tempo è come se Daemon non desideri nemmeno che il Trono vada alla moglie, poiché avrebbe voluto che il fratello gliel'avesse almeno proposto. Sono passati molti anni ma è come se lui fosse rimasto lì, sospeso nel tempo. Questo elemento serve a gettare le basi per la nuova storyline del personaggio.
Senso di colpa
Ewan Mitchell è uno straordinario Aemond
L'emozione cardine dell'episodio, che si intitola Rhaenyra la Crudele, è il senso di colpa. Da una parte quello di Alicent (Olivia Cooke) e Ser Criston (Fabien Frankel) per essere stati impegnati nella loro relazione segreta, lasciando scoperta la Guardia del Palazzo di Approdo del Re e permettendo ai ratti di Daemon di entrare indisturbati ed uccidere il piccolo erede. Mentre la prima cerca di limitare i danni, il secondo continua a dimostrare il proprio voltagabbana mandando in missione qualcun altro per rimediare ai propri errori. Questo porterà ad uno scontro epico e poetico che ancora una volta mostrerà quanto entrambe le famiglie siano sguarnite verso le incursioni esterne, ricordandoci quanto la saga di Martin sia tutta incentrata sugli intrighi di palazzo e su quello che accade in quegli antichissimi corridoi del potere. Dall'altra il senso di colpa di Rhaenyra per aver lasciato che tutto accadesse sotto i propri occhi, preda del proprio lutto, sentendosi chiamare dal popolo "child killer". Ed ecco che arriva la conferma: i buoni e i cattivi sono ancora meno delineati, chiunque è capace di azioni indegne per il proprio tornaconto o per il bene della propria famiglia. Parallelamente c'è il sentimento della vendetta, che acceca molti dei protagonisti facendo perdere loro la bussola morale, se mai ne avessero avuta una.
Tutto in un bordello
Gli Hightower sopravvivono ad ogni costo
I bordelli sappiamo quanto siano ricorrenti e rivelatori nel mondo di Game of Thrones. House of the Dragon mantiene la tradizione e ne conferma l'importanza attraverso una scena dedicata a Aemond (Ewan Mitchell), in cui non solo l'attore regala una grande performance ma in cui scopriamo anche di più sul suo carattere sadico e vendicativo e sul suo complesso rapporto materno - è interessante notare come sia lui che il fratello abbiano una relazione quasi assente con Alicent. Per non parlare di Otto (Rhys Ifans), talmente impegnato nei propri giochi di potere da passare tranquillamente da un nipote all'altro, pur di ottenere qualcosa per sé: il suo riuscire a cavarsela sempre in qualsiasi situazione, e reinventarsi continuamente, non può che ricordarci Ditocorto. Un figlio per un figlio, certo. Ma anche una colpa per una vendetta, dando ufficialmente il via ad un pericoloso ciclo di morte che sarà davvero complicato provare a fermare.
Conclusioni
Il secondo episodio della seconda stagione di House of the Dragon si conferma un importante tassello che porterà alla cosiddetta Danza dei Draghi. Si parla di elaborazione del lutto, gestita in modo molto diverso dai vari Targaryen coinvolti, ma allo stesso tempo indice di una cattiveria sovrumana, e di senso di colpa che troppo spesso fa rima con vendetta. Parallelamente vengono approfonditi i personaggi di Aemond e di Otto, tra i più calcolatori di tutta Westeros, due “sopravvissuti” che non guardano in faccia a nessuno. Sangue e inchiostro sono le due anime di questa puntata, solo apparentemente statica ma in realtà ricca di suspense e colpi di scena che preparano il terreno per ciò che verrà.
👍🏻
Rhaenyra.
Il senso di colpa e la vendetta come motori dell’episodio.
L’istinto di sopravvivenza di Otto.
👎🏻
Alcune sequenze potrebbero sembrare inutili e riempitive.
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Palazzo Ducale - Sassuolo
Il trompe-l'œil è un genere pittorico che, attraverso espedienti, induce nell'osservatore l'illusione di guardare oggetti reali e tridimensionali, in realtà dipinti su una superficie bidimensionale.
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Berenice
- Edgar Allan Poe -
La sventura ha molti aspetti; la miseria sulla terra è multiforme. Domina il vasto orizzonte come l’arcobaleno e i suoi colori sono altrettanto variati, altrettanto distinti eppure strettamente fusi. Domina il vasto orizzonte come l’arcobaleno. In che modo ho potuto trarre un carattere di bruttezza da un esempio di bellezza? Dal sogno dell’amicizia e della pace una similitudine di dolore? Ma come, in morale, il male è la conseguenza del bene, ugualmente, nella realtà dalla gioia nasce l’affanno; sia che il ricordo del passato felice crei 1’angoscia dell’oggi, sia che le agonie reali traggano la loro origine dalle estasi che sono state possibili.
Io ho da raccontare una storia la cui essenza è piena di orrore. La sopprimerei volentieri se non fosse piuttosto una cronaca di sentimenti che di fatti.
Il mio nome di battesimo è Egeo, il mio nome di famiglia non lo dirò. Nella regione non c’è castello più carico di gloria e d’anni che il mio vecchio e melanconico maniero avito. Da molto tempo la nostra famiglia aveva nome di una razza di visionari; il fatto è che in molte particolarità notevoli- nel carattere della nostra casa padronale- negli affreschi della gran sala- negli arazzi delle camere- nei fregi dei colonnini della sala d’armi- ma più specialmente nella galleria dei vecchi quadri, nell’aspetto della biblioteca e finalmente nella natura peculiare del contenuto di questa biblioteca- si può trovare di che giustificare ampiamente questa persuasione.
I ricordi dei miei primi anni sono legati unicamente a quella sala e a quei volumi dei quali non parlerò più. Quivi morì mia madre; quivi nacqui io. Ma sarebbe ozioso dire che non ho mai vissuto prima d’allora- che l’anima non ha un’esistenza anteriore. Lo negate?- non discutiamo su questa materia. Io son convinto ma non cerco di convincere altri. C’è, del resto, una rimembranza, di forme eteree, di occhi spirituali e parlanti, di suoni melodiosi e melanconici, una rimembranza che non vuole andarsene; una specie di memoria pari a una ombra,- vaga, trasmutabile, indeterminata, vacillante; e di questa ombra essenziale non potrò mai disfarmene, finché brillerà il sole della mia ragione.
Io nacqui in quella stanza là. Emergendo così di mezzo alla lunga notte che sembrava essere ma non era la, non esistenza, per cadere ad un tratto in una regione fantasmagorica, in un palazzo fantastico- negli strani domini del pensiero e dell’erudizione monastica- non è meraviglia che io guardassi intorno a me con occhio ardente e sbigottito- che abbia consumato l’infanzia fra i libri e prodigato la mia gioventù in fantasticherie; ma quel che è strano- quando gli anni passarono e il meriggio della mia virilità mi trovò vivo ancora nella dimora dei miei antenati- quel che è strano è quel ristagno che si produsse nelle sorgenti della mia vita, quella completa inversione che si produsse nelle qualità dei miei pensieri più abituali. Le realtà del mondo agivano su me come delle visioni e solo come visioni, mentre che 1’idee folli del mondo dei sogni divenivano, in compenso, non solo il pascolo della mia esistenza quotidiana, ma effettivamente la mia stessa unica, la mia intera esistenza.
Berenice ed io eravamo cugini e crescevamo insieme nella casa paterna. Ma crescemmo disugualmente: io malaticcio e sepolto nella mia melanconia, essa agile, graziosa, esuberante di energia; a lei il vagabondare per le colline- a me gli studi da monaco io vivevo nel mio cuore stesso e mi votavo, anima e corpo, alla più intensa, alla, più ingrata meditazione- essa errava traverso alla vita, noncurante, senza pensare alle ombre del suo cammino né nella fuga silenziosa delle ore alla nere piume Berenice!- io invoco il suo nome – e dalle grigie rovine della mia memoria su levano a questo nome mille ricordi tumultuosi. Ah, La sua immagine è là, vive dinanzi a me come nei giorni primi della sua spensieratezza e della sua gioia! Oh, magnifica e insieme fantasiosa bellezza! Oh silfide nei boschetti di Arnheim! Oh naiade di quelle fontane! Poi- poi tutto diviene mistero e terrore storia che non vuole esser raccontata. Un male- un male tragico piombo sul suo corpo come il simoun; anzi mentre la contemplavo, lo spirito trasformatore passava su di lei e la rubava a poco a poco, impossessandosi della sua mente delle sue abitudini, del suo carattere, perturbando perfino la sua fisionomia in modo sottilissimo e terribile. Ahimé! il distruttore veniva e se ne andava; ma la vittima- la vera Berenice- che è diventata? Quella lì non la conoscevo o almeno non la riconoscevo più quale la Berenice di un tempo. Nel corteo numeroso di malattie apportate da quel fatale e principale attacco che produsse una rivoluzione così orribile nell’essere fisico e morale di mia cugina, la più tormentosa e la più ostinata era una specie di epilessia che spesso finiva in catalessi- catalessi che rassomigliavano in tutto alla morte, da cui essa, certe volte, si risvegliava in un modo brusco e improvviso. Nel tempo stesso il mio male- perché mi hanno detto che non potevo denominarlo altrimenti- il mio male aumentava rapidamente i sintomi erano aggravati dall’uso dell’oppio; e finalmente prese il carattere di una monomania di nuovo genere e mai vista. Ogni ora, ogni minuto, guadagnava in energia e alla fine conquistò su me il più strano e il più incomprensibile potere. Questa monomania se devo servirmi di questo vocabolo consisteva in una morbosa irritabilità delle facoltà dello spirito che il linguaggio filosofico comprende sotto il nome di “facoltà di attenzione”. È più che probabile che non sia capito; ma in verità, temo di non poter dare in nessun modo alla più gran parte dei lettori un’idea esatta di questa intensità d’interesse per la quale, nel caso mio la facoltà meditativa- eviterò il linguaggio tecnico – si applicava e si sprofondava nella contemplazione delle cose le più banali di questo mondo.
Riflettere infaticabilmente per ore ed ore, inchiodando l’attenzione su qualche puerile citazione in margine o nel testo di un libro- restare assorto per quasi tutta una giornata d’estate per un’ombra bizzarra che si allungava obliquamente sugli arazzi o sul pavimento- dimenticare tutto per una intera notte nel sorvegliare la fiammella diritta di un lume o la brace del caminetto- sognare giorni interi sul profumo di un fiore- ripetere in una maniera monotona qualche parola volgare fino a che il suono a forza d’esser ripetuto, non rappresenti più allo spirito nessuna idea- perdere ogni coscienza di movimento e di esistenza fisica in un assoluto riposo prolungato ostinatamente- queste erano alcune delle più comuni e perniciose aberrazioni delle mie facoltà mentali, aberrazioni che certamente non restano del tutto senza esempi, ma che certamente sfidano ogni spiegazione e ogni analisi. Anzi mi spiego meglio. L’anormale, intensa, morbosa attenzione eccitata così da oggetti in se stessi frivoli, non e di natura tale da confondersi con quella inclinazione al fantasticare che è comune a tutta umanità, a cui si abbandonano sopratutto le persone di ardente immaginazione.
Non solamente non era, come si potrebbe supporre a prima vista, un termine remoto, un’esagerazione di quell’inclinazione, ma anzi n’era differente per origine e per qualità. Nell’un caso il sognatore, l’uomo immaginativo occupato da un oggetto generalmente non frivolo, perde a poco a poco di vista il suo oggetto attraverso un’ infinità di deduzioni e suggestioni che ne scaturiscono fuori, cosicché in fondo ad una di queste meditazioni spesso piene di voluttà si accorge che l’incitamentum o causa prima delle sue riflessioni è completamente svanito e dimenticato. Nel caso mio invece il punto di partenza era sempre banale sebbene assumesse un’ importanza immaginaria e di rifrazione, traversando il campo della mia visione malata. Io facevo poche deduzioni- se pure ne facevo, e nel caso, esse tornavano ostinatamente all’oggetto principale come a un centro. Le meditazioni non erano mai piacevoli; e alla fine del sogno la causa prima lungi dall’essere fuori questione aveva raggiunto quell’importanza straordinariamente esagerata che era il tratto dominante del mio male. In poche parole la facoltà dello spirito in modo speciale acuita in me era, come dissi la facoltà, dell’attenzione, mentre che nel sognatore comune quella della meditazione.
In quel tempo i libri se non mi servivano proprio a irritare il male, partecipavano ampiamente come si può capire, nel loro carattere imaginativo e irrazionale, delle qualità peculiari del male stesso. Mi ricordo bene, fra gli altri del trattato del nobile italiano Celio Secondo Curione, Della grandezza del felice regno di Dio; la grande opera di S. Agostino, La Città di Dio e Della carne del Cristo di Tertulliano, il cui inintelligibile detto: credibile est quia ineptum est; sepultus resurrexit, certum quia est quia impossibile est– assorbì esclusivamente tutto il mio tempo, per più settimane di una laboriosa e infruttuosa investigazione.
Senza dubbio più d’uno concluderà che la mia ragione, scossa nel suo equilibrio da certe cose insignificanti, offriva una certa somiglianza con quella rocca marina di cui parla Tolomeo Efestio che resisteva immutabilmente a tutti gli attacchi degli uomini e al furore più terribile delle acque e dei venti e che fremeva al tocco del fiore chiamato asfodelo. A un giudice superficiale parrà semplicissimo e fuor di dubbio che la terribile alterazione prodotta della condizione morale di Berenice dalla sua malattia dovesse fornirmi più di una occasione ad esercitare questa intensa e anormale meditazione di cui a grave fatica ho potuto definirvi la qualità. Ebbene le cose non stavano punto in questo modo. Nei lucidi intervalli della mia infermità, la sua sventura mi cagionava è vero molto dolore; quella rovina totale della sua bella e dolce esistenza mi pungeva acutamente il cuore; io riflettevo spesso e amaramente sul modo misterioso e strano nel quale aveva potuto prodursi una sì rapida trasformazione. Ma queste riflessioni non avevano il colore proprio al mio male ed erano uguali a quelle che in circostanze analoghe si sarebbero presentate alla massa comune degli uomini. Quanto alla mia malattia, fedele al suo carattere, si faceva un pascolo dei cambiamenti meno importanti ma più visibili, che si manifestavano nell’organismo fisico di Berenice- nella strana e spaventevole distorsione del suo aspetto. È certissimo che nei giorni più luminosi della sua incomparabile bellezza io non l’avevo amata. Nella strana anomalia della mia esistenza, i sentimenti non mi sono mai venuti dal cuore e le mie passioni mi son sempre venute dallo spirito. Traverso alla pallidezza del crepuscolo- a mezzogiorno fra le ombre intrecciate della foresta- e la notte nel silenzio della mia biblioteca- essa mi era passata oltre gli occhi e io 1’avevo vista, non come la Berenice vivente e respirante, ma come la Berenice di un sogno, non come un essere della terra, un essere carnale, ma come l’astrazione di un tal essere; non come una cosa da ammirare, ma da analizzare non come oggetto di amore, ma come il tema di una meditazione tanto astrusa quanto anormale. E ora, ora tremavo al suo cospetto, impallidivo al suo avvicinarsi; intanto sebbene lamentassi amaramente la sua triste condizione di deperimento, mi ricordai che essa mi aveva amato lungamente e, in un momento infelice, le parlai di matrimonio. Il tempo fissato per le nostre nozze si avicinava quando un pomeriggio d’inverno- una di quelle giornate nebbiose che preparano la febbre al cuore- mi sedei credendomi solo nella stanza della biblioteca. Ma, alzando gli occhi, vidi Berenice dinanzi a me.
Fu la mia immaginazione sovreccitata, o l’influsso dell’atmosfera brumosa o la veste oscura, che avvolgeva la sua persona, che le diede quel contorno così tremante e indeciso? Non potrei dirlo. Forse dopo la sua malattia era cresciuta. Essa non disse una parola; e io non avrei pronunziato una sillaba per nulla al mondo. Un brivido gelato mi corse il corpo; una sensazione di angoscia insopportabile mi opprimeva; una curiosità divorante s’introdusse nel mio animo; e appoggiandomi riverso sulla poltrona rimasi un po’ di tempo senza moto e senza respiro cogli occhi inchiodati sulla sua persona. Ahimé era estremamente smagrita; dell’essere di una volta non era sopravvissuto vestigio né era rimasto neppure un lineamento. Finalmente i miei sguardi caddero sulla sua faccia. La fronte era alta, pallidissima e supremamente serena; i capelli, una volta di un nero corvino la coprivano in parte e ombravano le tempie incavate colle fitte anella, ora di un biondo caldissimo; e quel tono capriccioso di colore stonava dolorosamente colla malinconia dominante sulla sua fisionomia. Gli occhi erano senza vita e senza splendore, come senza pupille, e involontariamente io distornai lo sguardo da quella vitrea fissità, per contemplare le labbra affinate e aggrinzite. Esse si aprirono e in un sorriso stranamente espressivo i denti della nuova Berenice si rivelarono lentamente alla mia vista. Non li avessi mai guardati o fossi io morto subito dopo averli guardati.
Una porta chiudendosi mi scosse e, alzando gli occhi, vidi che mia cugina era uscita dalla camera. Ma nella camera sconvolta del mio cervello lo spettro bianco o terribile dei suoi denti restava e voleva andarsene più. Non una scalfittura, sulla superficie di quei denti, non un’ombra sul loro smalto, non una punta sul quel sorriso passeggero non fosse bastato a imprimere nella mia memoria. Anzi li vidi allora più nettamente che non poco prima. Quei denti! quei denti!- Essi erano qui- poi là, per tutto- visibili palpabili, dinanzi a me; lunghi stretti e bianchissimi, colle labbra pallide che si torcevano intorno, orribilmente tese, com’erano poco prima. Allora sopraggiunse la furia piena della mia monomania ed invano lottai contro la sua irresistibile influenza. Nella massa infinita degli oggetti del mondo esteriore, non avevo pensiero che per i denti. Tutte le altre cose, tutte le alterazioni diverse furono assorbite in quella unica contemplazione. Essi, essi soli, eran presenti all’occhio del mio spirito e la loro esclusiva individualità divenne il fulcro della mia vita intellettuale. Io li guardavo sotto tutte le luci; li volgevo in tutti i sensi; studiavo le loro qualità; osservavo i loro segni particolari; meditavo sulla loro conformazione. Riflettevo sull’alterazione della loro natura. Rabbrividivo attribuendo loro nella mia immaginazione una facoltà, di sensazione e di sentimento e anche, senza neppure il concorso delle labbra, una potenza d’espressione morale. Fu detto eccellentemente della signorina Sallé che tutti i suoi passi erano dei sentimenti e di Berenice io pensavo seriamente che tutti i denti erano delle idee.- Delle idee!- ah! ecco il pensiero assurdo che mi ha perduto!! Delle idee! ah! ecco dunque perché li desideravo così pazzamente! Sentivo che solo il loro possesso poteva restituirmi la pace e ripristinare la mia ragione. E la sera così discese su di me- e le tenebre vennero, si fissarono e poi se ne andarono- e una luce nuova comparve e le nebbie di una seconda notte si agglomerarono su di me- ed io ero sempre immobile in quella camera solitaria, sempre seduto, sempre sepolto nella mia meditazione, o sempre il fantasma dei denti manteneva la sua influenza terribile a tal punto che io la vedevo fluttuare qua e là e traverso la luce e le ombre cangianti della camera, colla più viva e la più orrida limpidezza. Finalmente in mezzo ai miei sogni scoppiò un gran grido di dolore e di spavento al quale successe dopo una pausa, con suono di voci desolate, intramezzato da gemiti sordi di dolore e di lutto. Io mi alzai e aprendo una delle porte della biblioteca trovai nell’anticamera un servo piangente che mi disse che Berenice non viveva più! Era stata presa dall’epilessia nella mattinata; e ora, sul cader della notte, la fossa aspettava la futura abitatrice e tutti i preparativi del seppellimento erano terminati.
…
Il cuore grave di angoscia, oppresso da sbigottimento, mi diressi con una certa ripugnanza nella camera da letto della defunta. La camera era vasta e oscura e ad ogni passo inciampavo nei preparativi della sepoltura. Le cortine del letto, mi disse un domestico, erano chiuse intorno alla bara, e dentro a questa bara, aggiunse o, voce bassa, giaceva tutto quel che restava di Berenice. Chi fu dunque che mi domandò se volevo rivedere il corpo? – Io non vidi che nessuno muovesse le labbra; eppure la domanda era stata proprio fatta e l’eco dell’ultime sillabe strascicava ancora nella camera. Era impossibile opporsi e con un senso di oppressione mi trascinai accanto al letto. Sollevai adagio il cupo panno dello cortine, ma nel lasciarle ricadere discesero sulle mie spalle e separandomi dal mondo vivente mi chiusero nella più stretta comunione colla defunta. Tutta l’atmosfera della camera sapeva di morte; ma l’odore particolare della bara mi faceva male, e mi pareva che un odore deleterio esalasse già dal cadavere. Avrei dato l’oro del mondo per scappare, per fuggire il pernicioso influsso della morte per respirare ancora 1’aria pura dei cieli immortali. Ma non avevo più la forza di muovermi; i ginocchi mi vacillavano; avevo preso radice nel suolo, guardando fissamente il cadavere rigido, steso in tutta, la sua lunghezza nella bara aperta. Dio del cielo! è mai possibile? Il mio cervello delira? o il dito della defunta si è mosso sotto la tela bianca che lo chiude? Tremando di un terrore indescrivibile alzai gli occhi lentamente per vedere la faccia del cadavere. Avevano messo una benda intorno alle mascelle, ma non so come si era sciolta. Le labbra livide si torcevano in una specie di sorriso e traverso alla loro melanconica cornice i denti di Berenice bianchi, lucenti terribili mi guardavano ancora con una realtà troppo viva. Io mi scostai convulsamente dal letto e senza dir parola mi slanciai come un maniaco fuor di quella camera di misteri, di orrore e di morte.
…
Mi ritrovai nella biblioteca, ero e solo. Mi sembrava di uscire da un sogno confuso ed agitato. Vidi che era mezzanotte ed io avevo preso le mie precauzioni perché Berenice fosse sepolta subito dopo il tramonto. Ma di quel che accadde durante quel lugubre intervallo non ho conservato memoria certa né chiara. Pure la mia mente era ingombra di orrore, tanto più orribile quanto più vago, di un terrore che l’ambiguità rendeva più spaventoso. Era come una pagina paurosa nel registro della mia esistenza scritto interamente con ricordi oscuri, orrendi e inintelligibili. Mi sforzai di decifrarli, ma invano. Pure di tanto in tanto simile all’anima di un suono fuggevole, un grido sottile e penetrante- come voce di donna- mi sembrava che si ripercuotesse nelle mie orecchie. Io avevo fatto qualche cosa, ma che cos’era mai? Io mi rivolgevo la domanda ad alta voce e gli echi della camera mi bisbigliavano per tutta risposta: Che era mai?
Sulla tavola accanto a me ardeva una lampada e accanto c’era una piccola scatola di ebano. Non era una scatola di stile notevole e 1’avevo già vista più volte perché apparteneva al medico di famiglia; ma come mai era venuta lì, sulla tavola, e perché mi venivano i brividi a guardarla? Eran cose che non valeva la pena di attrarre l’attenzione; ma gli occhi mi caddero alla fine sulle pagine aperte di un libro e su una frase sottolineata. Erano le parole bizzarre, ma molto semplici del poeta Ebn Zaiat: Mi andavan dicendo i compagni miei che se avessi visitato il sepolcro dell’amica i miei affanni sarebbero alquanto allievati.
Perché mai dunque a leggere quelle linee mi si rizzarono i capelli sulla testa e il sangue mi si ghiacciò nelle vene? Un colpo fu battuto alla porta, e un servo, pallido come un cadavere, entrò sulla punta dei piedi. Aveva gli occhi sconvolti dallo spavento, e mi parlo con voce bassissima, tremante, soffocata. Che mi disse? Io sentii qualche frase qua e là. Mi raccontò, sembra, che un grido spaventoso aveva turbato il silenzio della notte, che tutti i domestici si eran riuniti, e che avevan cercato nella direzione del suono, poi la sua voce bassa divenne chiara in modo da darmi i fremiti parlandomi di violazione di sepoltura, d’un corpo sfigurato, spogliato del lenzuolo, ma che ancora respirava e palpitava, che viveva ancora.
Mi guardò i vestiti; erano imbrattati di fango e di sangue aggrumato. Senza far parola mi prese dolcemente per mano; la mia mano aveva delle impronte di unghie umane. Poi richiamò la mia attezione sopra un oggetto appoggiato al muro, 1o guardai qualche minuto. era una vanga. Mi gettai con un grido sulla tavola ed afferrai la scatola di ebano, ma non ebbi la forza di aprirla e nel tremito mi sfuggì di mano, cadde pesantemente e andò in pezzi; ne uscirono rotolando con fragore di terraglia degli strumenti da dentista e con essi trentadue piccole cose bianche, simili ad avorio, che si sparpagliarono qua e là sul pavimento
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Note a margine di una fanfiction che parla di spiagge
Ciò che ho fatto è stato fondamentale mischiare finzione e realtà come mi faceva comodo, perché anche se l'accuratezza dei fatti è abbastanza irrilevante in una storia in cui fai scopare due personalità televisive, mi piace includere quanti più dettagli reali per creare una specie di zona liminale in cui sembra tutto verosimile ma chiaramente non lo è per un cazzo
Riguardo la durata temporale, Ama dice nel documentario "People from Cecchetto" che dovevano stare a Ibiza inizialmente circa due settimane, poi ci sono rimasti per tre mesi. A sentirla così sembra una cosa detta un po' a caso e anche iperbolica ma ho deciso di prenderla per buona
Altra cosa che ho preso per buona dallo stesso documentario è che avessero un palazzo con vari appartamenti in affitto per chi ne aveva bisogno della squadra di Cecchetto. Quest'ultimo nel suo libro parla di un solo appartamento in cui a rotazione ha vissuto un po' di gente. Difficile dire chi ricorda male, ma anche qui ho deciso di propendere per la versione del documentario
Temo che sia ultra palese che non ho un'idea molto chiara di cosa facessero esattamente in questo cazzo di programma. Cioè a parte per i pochi spezzoni che sopravvivono che ok, sketch comici di un minuto. ma non riesco proprio a capire con cosa riempissero le puntate (soprattutto dato che hanno girato per 3 mesi??). Quindi i riferimenti alle riprese in sé sono molto vaghi. Sorry :( se ne sapete di più a riguardo vi prego di dirmi se ho scritto qualcosa che non sta proprio né in cielo né in terra
A proposito di ciò, Jovanotti non c'era a Ibiza vero?? Mi permane il dubbio
I riferimenti ai partner reali sono stra vaghi perché it makes me uncomfortable includere persone che non sono personaggi pubblici se non proprio di sfuggita. MA ho preso anche la decisione di "giocare" un po' con i fatti della prima unione di Ama. Non so se fosse già fidanzato ai tempi di Ibiza ma date le tempistiche del matrimonio penso sia quantomeno probabile. Ho deciso di andare per questa opzione per aggiungere più Drama™️
Avvertimento doveroso al fatto che c'è dell'uso di droga in maniera per lo più tranqui e ricreativa ma ci sono anche delle menzioni alla successiva dipendenza di Fiore
Ho passato decisamente troppo tempo su google a capire se era realistico che mangiassero il mango a Ibiza nel 90. Pare che la Spagna sia la nazione principale coltivatrice di mango in Europa da diversi anni, quindi mi sento di dire di sì
Sì, quella dello spogliarello nei villaggi turistici è vera e documentata, per chi non ne fosse a conoscenza. E le foto sono tipo da magazine gay della san francisco degli anni 80. Gli uomini etero (?) sono pazzeschi, non si rendono conto di nulla
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Qualche giorno fa e morto un Savoia. È morto come muore ogni giorno tanta gente. Alcuni di questi sono virtuosi altri no. Alcuni sono coraggiosi e probi, altri disonesti e vigliacch e questo è insindacabile vivo o morto che tu sia.
Inconsapevole interprete di eventi che hanno visto protagonista il nonno ed il padre, non si può dire abbia spiccato per doti particolari atte a renderlo noto e desiderabile per un ipotetico ritorno della monarchia .
A Londra durante la II guerra mondiale
a principessina Elisabetta con Margaret accanto tutte le sere
parla alla radio per tranquillizzare i bambini e così anche le madri e i padri. già alla prima incursione, la regina aveva affermato "Sono contenta che siamo stati bombardati, ora posso guardare in faccia da pari a pari la gente dell'East End" (il popoloso quartiere che aveva subito più volte i maggiori danni per i ripetuti bombardamenti).
Fu suggerito ai sovrani di allontanare le due bambine, mandarle in Canadà, ma la regina rifiutò:
"Senza di me loro non partono,
io non parto senza il re,e il re non lascerà mai l'Inghilterra".
In Italia i "reali" scappavano abbandonando il paese al caos e mentre lo facevano elargivano titoli nobiliari a chiunque gli aiutasse in quella fuga. Indimenticabile il "conte della scaletta" uno sconosciuto che abbasso la scaletta dell aereo che li fece scappare abbandonando la Patria a se stessa.
Quando un clown entra in un palazzo non diventa re. È il palazzo che diventa un circo. #monarchiedadimenticare
#savoia
#italia
#storieditalia
#buffoni
#recialtroni
#clown
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#monaechia
#robertonicolettiballatibonaffini
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AMAZONOMACHY: Silver Cup with Heracles, the scene of Amazonomachy [miniature embossed figures] H = 6.5 cm, W [Rim] = 10.5 cm Ca end of the 1st c. AD - 2 AD Probably produced in Gaul Found in the Po river near Crescentino, Italy
Musei Reali Torino, Turin | MRT [Museum of Antiquities | Museo di Antichità, -1 Floor]
Web: https://museireali.beniculturali.it/en/archaeological-museum
FB: https://www.facebook.com/museirealitorino
IG: @ museirealitorino
X: @ MuseiRealiTo
MRT | Michael Svetbird phs©msp 18|02|24 6300X4200 600 [I.-III.] The photographed object is collection item of MRT, photos are copyrighted [non commercial use | sorry for the watermarks]
📸 Part of the "Small Format Sculpture and Miniature Artefacts" MSP Online Photo-gallery:
👉 D-ART: https://www.deviantart.com/svetbird1234/gallery/69450077/small-format-sculpture-and-miniature-artifacts
👉 FB Album: https://www.facebook.com/media/set/?set=a.859777984390780&type=3
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I'll be visiting Torino soon and I saw you post about it before so I wanted to ask, do you have some recommendations that wouldn't be found on a tourist guide? Grazie 💖
hiiiii (or, as the locals would say, cerea <3) :)
first of all, i'm so so happy you're visiting this beautiful city! i hope you'll love it at least half as much as i do (which is a lot. like. a lot)
under the cut!
as for my recommendations, i guess my biggest advice would be to just walk around and let the streets themselves guide you because a) the city centre (as in the very very centre and the neighbourhoods surrounding it) is not that big, so you could set some reference points, go for a long walk, and both see the main attractions and get to have a look at the city herself, b) because it's so worth it, torino really is so beautiful that even walking her streets is an experience by itself, c) torino is probably one of the easiest cities in the world to navigate because it was literally built like this:
in any case, here's a list of my favourite places/spots that oh my god you have to see/things you really need to do*
monte dei cappuccini (+ the church + the friars' back terrace in case they decide to open it to the public); the hill area is also really nice so i warmly suggest you get to the monte on foot
this is a classic, but the gran madre church - piazza vittorio - via po - piazza castello route is a must (and you can do it right after the monte dei cappuccini, to reach the city centre)
castello and parco del valentino (and especially the giardino roccioso) is beautiful (also psss the borgo medievale is fake lol)
close to the valentino, you can take a walk around the san salvario neighbourhood (my beloved) which feels a little bit bohemien and quite vibrant and lively. lots of beautiful churches, lots of interesting architectural styles, Thee synagogue (which you cannot visit, but it's breathtaking even from the outside)
close to piazza castello, the galleria subalpina is BEAUTIFUL and once you've seen it, instead of going back to piazza castello you can go straight to piazza carlo alberto, then piazza carignano and then reach via roma. you know. 'cause they're all beautiful and classy areas of the city centre
another galleria that i really recommend is the galleria san federico, which can take you from via roma to the embarrassingly beautiful piazza san carlo
the quadrilatero romano area might be a bit touristy (bc it's close to piazza castello) but it's so peculiar and i just love taking walks there. feels a bit like paris, but maybe let's not tell the locals. lol
the porta palazzo market is definitely An Experience; bonus points on saturdays and on the 2nd sunday of each month you will find the (gran) balon flea markets. definitely give them a go!
ah of course the mole, but that's like. Top 1 things you should see in torino so;
but! quite close to the mole, in corso san maurizio, go take a look at the "fetta di polenta". it's a building that literally looks like a slice of something
museums, duh
the lungo po is a great location for a lazy walk at sunset :)
for god's sake don't go looking for a pizza and a cappuccino in via po at 4pm but try to find a place that looks genuinely piedmontese because the local cuisine is amazing. you can also find quite a number of "piole" (they're called like that) that are supposed to be quite cheap but very good and "local"
bonus (totally out of context): piazza carlina (I’m so local now that I forgot its real name lol) and giardini reali superiori (if you’re lucky you might find the newly restored extra area open to the public, fingers crossed!)
eat a lot of gianduia, drink good wine and definitely try san simone (thee local amaro) [of course if you're into any of that, ça va sans dire]
just walk. fill your eyes, mind and heart with beauty <3
here’s some pics :)
#@ Stefano lo russo esigo la residenza onoraria senza passare per la burocrazia grazie mille aspetto una tua mail#of course many of these places are also incredibly popular but these are my personal torino experience recs so:
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Le alte torri di Valaskjalf si ergevano in lontananza, manifestandone tutta la loro imponenza.
I Vanir che ne sarebbero stati ospiti rimasero colpiti dall’oro che adornava il magnifico palazzo del regno eterno.
Segno tangibile di una terra nata dal sangue e dalla schiavitù.
Un’antica civiltà fiorente, costituita da fieri e indomiti guerrieri.
Un popolo che tuttavia mirava al futuro, nonostante fosse fedele alle proprie tradizioni.
Due giovani di entrambe le stirpi divine sarebbero presto convolate a nozze, principalmente per interesse politico.
Asgard sarebbe stata l’assoluta spettatrice del lieto evento, generando una miriade di pettegolezzi.
Ossia uno degli argomenti più chiacchierati della cittadella celeste.
Sigyn ammirò la bellezza del luogo, ritenendolo colmo di fascino.
Le Norne avevano filato per lei un triste destino, ma necessario per la salvaguardia dell’amata patria.
Un’alleanza tra due popoli era più che conveniente per le sorte di ambedue i regni.
Gli Einherjar liberarono il passaggio per lasciarli passare.
Iniziarono a percorrere i vasti corridoi della reggia, decorati da diversi affreschi che narravano la storia degli Æsir.
La Dea della Fedeltà si soffermò su uno in particolare: ovvero quello raffigurante i membri della famiglia reale.
Fu lesta ad osservare ogni singolo dettaglio del dipinto, incuriosita soprattutto dallo sguardo malizioso e intrigante del figlio minore dei sovrani.
Un sorrisetto furbo e crudele, intriso di inganni e bugie.
Proseguirono col cammino, finché non giunsero all’interno della maestosa sala del trono.
Odino avrebbe stabilito l’accordo matrimoniale con entrambe le famiglie.
L’anziano osò alzarsi dal proprio scranno, intimando a costoro di avvicinarsi.
Il suo unico occhio buono cominciò a scrutare l’esile figura della giovane, passando successivamente al futuro consorte.
Theoric era il suo nome.
Egli era noto per essere il capitano delle guardie personali di Padre Tutto, eppure i suoi atteggiamenti si rivelarono alquanto discutibili.
Ciò avvenne durante il pranzo dopo aver ultimato il colloquio con il re.
Manifestò un’aria rozza e volgare, disgustando i presenti.
Sigyn era intimorita, desiderosa di fuggire altrove.
Avrebbe dovuto sottostare al volere dei suoi familiari e dello stesso Odino, costringendola a sposare un soldato sudicio e gretto.
Prigioniera di una terribile sorte, costituita da una vita infelice.
Abbandonò il refettorio, recandosi ai giardini reali: costei avvertiva l’assoluto bisogno di riflettere.
Il clima primaverile le permise di provare un profondo benessere.
Uno stato di quiete, durato solo pochi attimi.
Il flusso dei suoi pensieri venne interrotto da un fruscio tra gli arbusti, come se qualcuno ne stesse osservando i movimenti.
Un sibilo improvviso la fece sussultare di paura, lasciandola sbigottita.
Si ritrovò nientemeno che un piccolo serpente attorno al braccio, scomparendo tramite la magia.
Un incantesimo ambiguo e al contempo inquietante da provocarle uno strano moto di nervosismo.
“Lo consideri come un modo per darle il mio benvenuto in codesto regno.”
Proferì dal nulla una voce beffarda e canzonatoria.
Ella si voltò di scatto, ritrovandosi dinnanzi a sé un giovane uomo dalla chioma corvina e la pelle diafana.
Costui indossava un’armatura dagli inserti verdi e dorati, donandogli un portamento regale ed elegante.
Lo riconobbe all’istante, rammentando lo sguardo smeraldino e malevolo raffigurato sopra l’affresco.
“Lei è Loki.”
Constatò gelida, guadagnandosi una risatina sardonica da parte dell’ingannatore.
“Perspicace, devo ammetterlo.”
Commentò sorpreso, quasi meravigliato in verità.
“Ha rischiato di spaventarmi, lo sa?”
Inveì la bella vanir, accigliando le iridi azzurre.
“Per un innocuo scherzetto ho osato spaventarla? Chiedo venia mia cara, ma lo ritengo divertente.”
Replicò il Dio dell’Inganno, protendo le braccia.
Una frase pronunciata col solo scopo di deriderla.
“Non si azzardi a prendermi in giro, è chiaro?”
Intimò la ragazza, alzando il tono vocale.
Tale reazione rallegrò Lingua D’Argento, ricevendo un’occhiata truce.
Stuzzicarla per puro divertimento sarebbe stato interessante.
“Alquanto indisciplinata oserei dire.”
Ghignò in maniera perfida, venendo colto alla sprovvista da una sfera d’energia.
Sigyn si permise di scagliargliela, lasciando intendere che padroneggiasse l’arte del Seiðr.
Arte di cui era un vero e proprio maestro, tramandatagli dalla madre e sovrana della splendida Asgard.
Una straordinaria virtù di cui entrambi disponevano.
“Sfidarmi è stato un errore, piccola figlia di Vanaheim.”
Sibilò infido, lanciandole un’occhiata maligna e sprezzante.
La figlia di Bjorn fu pervasa da un velato terrore, temendo il peggio.
Riuscì a salvarsi grazie all’arrivo dei genitori, impegnati con le ricerche nei confronti di quest’ultima.
L’ingannevole divinità si dileguò giusto in tempo attraverso un bagliore dai riflessi verdastri.
Si guadagnò un leggero rimprovero da parte loro, rientrando infine a palazzo con aria assorta.
Aveva rischiato di essere aggredita dall’astuto principe e signore indiscusso delle menzogne.
Uno scontro lasciato in sospeso per via di alcuni imprevisti.
Giunta nelle proprie stanze, Sigyn girò il chiavistello del portone, attivando il meccanismo della serratura.
L’idea di passare il resto dell’esistenza con Theoric Elvindson le fece raggelare il sangue.
Entro un anno sarebbe convolata a nozze con un individuo del genere.
Ciò che ebbe modo di turbarla maggiormente fu il primo incontro con lo spregevole Dio degli Inganni.
Molte volte aveva sentito parlare di lui e della sua natura illusoria, ricorrendone all’utilizzo per adescare le vittime prescelte.
Intrighi letali, nati appositamente per confondere e ingannare il malcapitato di turno.
Scrutò ogni angolo degli alloggi, finché non percepì una gelida sensazione sulla carne.
L’assalitore compì l’azzardo di imprigionarla in una morsa dolorosa e opprimente.
Sigyn tremò in preda ad una terribile angoscia.
“Apprezzo molto tale prodezza e coraggio da parte vostra, tuttavia ritengo inaccettabile chi osa sfidarmi.”
Sussurrò il famigerato Fabbro di Menzogne vicino al suo orecchio.
“Che cosa vuole da me?”
Chiese impaurita, provando ad ostentare un atteggiamento più risoluto e sicuro.
“Non ho alcuna intenzione di recarle del male, ma potrei essere costretto se proverà nuovamente a nuocere la mia persona tramite determinati mezzi.”
Minacciò il moro, ottenendo una risposta d’assenso.
Aveva commesso un madornale sbaglio sin dal principio, noncurante a cosa stesse andando incontro.
Sfidare il Dio delle Malefatte equivaleva ad addentrarsi nella tana del lupo.
La liberò, dissolvendo il pugnale dalla sua mano.
Dopodiché le afferrò un polso, voltandola delicatamente verso di sé.
Il verde dei suoi occhi iniziò a scontrarsi con quello azzurro della donna, producendo un gradevole contrasto.
Non si scomodò a poggiare le eleganti dita di mago, sollevandole il mento per squadrarla meglio.
Ammise quanto fosse graziosa ed eterea, basendosi che stesse divenendo la futura moglie del rozzo capitano degli Einherjar.
L’Amica della Vittoria provò un moto di sensazioni inspiegabili che stentava ad identificare.
“A presto, piccola Sigyn.”
Si limitò a pronunciare freddo e impassibile, abbandonandola al suo destino.
La suddetta assunse un’espressione esterrefatta, ripensando al contatto ravvicinato con l’oscuro Ase della città dorata.
L’effetto che suscitava nei confronti della bionda Vanir era alquanto strano e insolito.
Loki si ritirò all’interno delle camere private, rimuginando sugli ultimi avvenimenti.
Nessuna donna disponeva di un simile temperamento.
Provò persino a sfidarlo, suscitandone l’effettiva curiosità.
Nemmeno Sif si era mai presa la briga di agire in tale maniera.
Cacciò quegli assurdi pensieri, scuotendo la testa.
L’avrebbe considerata nient’altro che una sciocca ragazzina, proveniente da una terra straniera.
L’ennesima sprovveduta da non considerare.
Perlomeno era ciò che si sarebbe prefissato nei giorni a venire.
Ma non avrebbe mai rinunciato ad infastidirla: provocarne l’ira funesta lo dilettava parecchio.
Egli si concesse un bagno ristoratore, sorseggiando del buon vino in un calice d’argento.
Lo avrebbe aiutato a distrarsi dall’eventuale monotonia.
Ordire nuove trame e vendette si sarebbe rivelato il suo principale obbiettivo da raggiungere.
𝑭𝒊𝒏𝒆
One Shot:
~ Mischief And Fidelity ~
Name Chapter:
~ First Meeting ~
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Torinesi, falsi e cortesi, dicevano...
Viene sempre inteso come un insulto, ma la gente sottovaluta il valore della cortesia.
Per me e Sorella, cresciute nelle alpi lepontine piene di gente che ti mandava a fanculo solo perché eri ferma al semaforo davanti a loro, arrivare in una città in cui la cortesia era di base è stato come scoprire il paradiso. Chissenefrega se poi appena ci voltavamo ci insultavano, a noi interessava non sperimentare la frustrazione delle persone aggratis.
Peccato che a breve dovremo fare una richiesta di togliere "cortesi" dal pregiudizio dei torinesi.
È già diversi mesi che lo vedo, ma negli ultimi si sta inasprendo: c'è una tale cattiveria gratuita in giro (in auto specialmente), che a momenti vien voglia di tornare sulle alpi. Non solo, il menefreghisimo è sempre più esteso.
Non parlo di infichiarsene di quel che succede nell'appartamento accanto fintanto che il nostro sonno non viene interrotto, parlo di un atteggiamente alla Marchese del Grillo che non avevo ancora visto fuori dai circoli intellettuali.
Gli ultimi due eventi più importanti, che mi hanno fatto preoccupare ulteriormente, sono ancora marchiati a fuoco nella mia testa.
Evento uno
È sabato e sono in giro a fare commissioni al cazzeggio. Mi ferma una turista francese, una nonna allegramente in giro da sola che vuole andare al palazzo reale da Porta Nuova. Checcevò, direte poi, saranno 800 metri in linea d'aria. Certo, se sei una persona normodotata invece di avere una protesi per ogni gamba. La signora, che tra l'altro parlava italiano meglio della metà di certe persone ed era gentilissima, stava cercando la fermata del bus turistico a due piani. Era andata all'ufficio informazioni e cosa le avevano detto: "È davanti a questo hotel". Eh, e quindi? Quell'hotel non esiste più da prima delle Olimpiadi del 2006, al suo posto ora c'è la Decathlon, altre attività commerciali e appartamenti. La parte di strada adiacente al complesso è sì stata adibita a capolinea dei bus, peccato che ci sia un secondo problema: grazie all'incendio dell'anno scorso dell'edificio, gran parte della strada è occupata da ponteggi e non ci sono più indicazioni chiare su quali bus si fermano dove. Inoltre, l'azienda di questi bus turistici non risponde al telefono tra le le 12 e le 15 (capisco la pausa pranzo, ma se ci sono tour attivi non è esattamente una grande idea eh). Insomma, io sono stata l'unica cristiana a fermarmi, cercare di capire di cosa avesse bisogno (cosa che facevo anche a Venezia, tra l'altro), andarmi a cercare il dannato bus, chiedere pure agli altri bus lì presenti e alla fine dover dire alla signora: meglio se prende il taxi. Alla fine è andata a piedi (mettendoci probabilmente un'ora, poverina), ma mi è rimasta lì fissa, l'aver realizzato che manco l'ufficio informazioni si era sbattuto a sufficienza da darle informazioni reali (quel cantiere è lì da più di un anno, non da tre giorni, e l'ufficio è DI FRONTE, senza ostacoli a vederlo).
E ieri sera, l'evento due, che ancora non capisco come cazzo sia potuto succedere
Piazza Statuto, 18.10 circa. Traffico come non mai, che è normale a quell'ora in piazza. Arriva l'ambulanza. Si fa strada, un po' a fatica ma abbastanza celermente, tra le macchine che, giustamente, si mettono da parte o accelerano per farla passare. L'attraversamento pedonale è pure sgombro, quindi rimaniamo sul marciapiede ad aspettare che l'ambulanza passi. Tranne lui. Lui no. Lui vede che le macchine stanno rallentando o fermandosi e, con l'ambulanza dietro una sola macchina dalle strisce, decide che deve passare, che il raggiungimento della sua destinazione (a passo neanche troppo svelto) era più importante dell'esigenza di qualcuno di ricevere assistenza medica urgente. Certo, l'ha fermata per circa 7 secondi, ma l'ha comunque fermata. Poteva tagliare la strada alla macchina dietro l'ambulanza ma no, lui l'ha tagliata all'ambulanza.
La cortesia e l'empatia stanno morendo sempre di più a Torino (cosa che sospetto fosse già standard pre-2006) e, onestamente, non mi piace. Perché questa città è più di un dormitorio al servizio degli Agnelli, siamo più di un mero ricordo della prima capitale d'Italia e di una delle monarchie più ridicole d'Europa, siamo più dello smog e della collina dei ricconi che ci sovrasta.
Siamo la città a misura d'uomo, siamo la città cortese (la falsità è endemica nell'essere umano, statece), siamo la città che, se fa bello e c'è il sole, usciamo a goderci i parchi invece di fuggire o rifugiarci nei centri commerciali, siamo la Fiera del Libro, i Portici di carta, il Jazz Festival, le Luci d'artista, lo spettacolo di San Giovanni, le manifestazioni pacifiche in piazza, il Gay Pride (il primo, in assoluto, a essere mai stato organizzato in Italia), la maestosità semplice dei nostri viali e piazze, la città universitaria e della salute, del parlare a voce bassa, del tenere aperte le porte per chi è dietro di noi, dell'aiutare chi ha troppa spesa addosso o non riesce a scendere bene le scale col passeggino, del salutare cordialmente tutti i clienti, dell'offrire un gianduiotto, del cioccolato e dell'apericena, di quanto un artista dipingeva di rosa a sorpresa cose a caso in San Salvario e un altro vestiva i segnali stradali da robot, e tante altre cose.
Non ho anelato per anni lo spostamento della mia residenza per potermi chiamare ufficialmente torinese, per dover assistere il degrado umano avvolgerla e rovinare quindici anni di lavoro e orgoglio cittadino.
Ripigliatevi, o comincerò a castigarvi a parole (come avrei dovuto fare ieri sera, ma non ho ancora coltivato abbastanza pelo sullo stomaco per farlo).
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