#Maurizio Mussi
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" «Con la cultura non si mangia» ha dichiarato […] Tremonti il 14 ottobre 2010. Poi, non contento, ha aggiunto: «Di cultura non si vive, vado alla buvette a farmi un panino alla cultura, e comincio dalla Divina Commedia». Che umorista. Che statista. Meno male che c’è gente come lui, che pensa ai sacrosanti danè. E infatti, con assoluta coerenza, Tremonti ha tagliato un miliardo e mezzo di euro alle università e otto miliardi alla scuola di primo e secondo livello, per non parlare del Fus, il Fondo unico per lo spettacolo e altre inutili istituzioni consimili. Meno male. Sennò, signora mia, dove saremmo andati a finire?
In questi ultimi anni, però, l’ex socialista Tremonti non è stato il solo uomo politico a pronunciarsi sui rapporti tra cultura ed economia. Per esempio, l’ex ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, Maurizio Sacconi, ha sostenuto che per i laureati non c’è mercato e che la colpa della disoccupazione giovanile è dei genitori che vogliono i figli dottori invece che artigiani. Sapesse, contessa… E il filosofo estetico Stefano Zecchi, in servizio permanente effettivo nel centrodestra, ha chiuso in bellezza, come del resto gli compete per questioni professionali: ha detto che in Italia i laureati sono troppi. Insomma, non c’è dubbio che la destra italiana abbia sposato la cultura della non cultura e (chissà?) magari già immagina un ritorno al tempo dell'imperatore Costantino, quando la mobilità sociale fu bloccata per legge e ai figli era concesso fare solo il lavoro dei padri. (Non lo sapeva, professor Sacconi? Potrebbe essere un’idea…) E la sinistra o come diavolo si chiama adesso? Parole, parole, parole. Non c’è uno dei suoi esponenti che, dal governo o dall'opposizione, non abbia fatto intensi e pomposi proclami sull'importanza della cultura, dell'innovazione, dell'istruzione, della formazione, della ricerca e via di questo passo, ma poi, stringi stringi, non ce n’è stato uno (be’, non esageriamo: magari qualcuno c’è stato…) che non abbia tagliato i fondi alla cultura, all'innovazione, all'istruzione, alla formazione, alla ricerca e via di questo passo. Per esempio, nel programma di governo dell'Unione per il 2006 si diceva: «Il nostro Paese possiede un’inestimabile ricchezza culturale che in una società postindustriale può diventare la fonte primaria di una crescita sociale ed economica diffusa. La cultura è un fattore fondamentale di coesione e di integrazione sociale. Le attività culturali stimolano l’economia e le attività produttive: il loro indotto aumenta gli scambi, il reddito, l’occupazione. Un indotto che, per qualità e dimensioni, non è conseguibile con altre attività: la cultura è una fonte unica e irripetibile di sviluppo economico». Magnifico, no? Poi l’Unione (o come diavolo si chiamava allora) vinse le elezioni e andò al governo. La prima legge finanziaria, quella per il 2007, tagliò di trecento milioni i fondi per le università. Bel colpo. Ci furono minacce di dimissioni del ministro per l’Università e la Ricerca, Fabio Mussi. Ma le minacce non servirono. Tant’è che, nella successiva legge di bilancio, furono sottratti altri trenta milioni dal capitolo università a favore… degli autotrasportatori. E inoltre, come scrivono Francesco Sylos Labini e Stefano Zapperi, nel 2006 con il governo Prodi «c’è stato un calo del trenta per cento circa dei finanziamenti, cosicché il già non generoso sostegno alla ricerca di base è diminuito, da circa centotrenta a poco più di ottanta milioni di euro, proprio nel periodo in cui al governo si è insediato lo schieramento politico che, almeno a parole, ha sempre manifestato un grande interesse per la ricerca». Certo, dopo quanto avevano scritto nel programma, non sarebbe stato chic e «progressista» avere la faccia tosta di dire che bisognava sottrarre risorse alla scuola e all'università, e allora non l’hanno detto. Però l’hanno fatto, eccome. "
Bruno Arpaia e Pietro Greco, La cultura si mangia, Guanda (collana Le Fenici Rosse), 2013¹ [Libro elettronico]
#Bruno Arpaia#Pietro Greco#La cultura si mangia#saggistica#intellettuali italiani#economia#Giulio Tremonti#industria culturale#scritti saggistici#produzione creativa#libri#Italia contemporanea#scuola#ricerca scientifica#educazione#economia della conoscenza#artigianato#formazione#Maurizio Sacconi#Stefano Zecchi#centrodestra#centrosinistra#Fabio Mussi#Francesco Sylos Labini#Stefano Zapperi#Romano Prodi#Fondo unico per lo spettacolo#Divina Commedia#lavoro#società italiana
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Il mio lavoro Ritorni è parte di Sciame Project.
Il progetto nasce dall’esposizione annuale d’arte contemporanea Lucisorgenti, iniziativa ideata nel 2008 da Franco Troiani a sostegno dei giovani artisti, la cui X edizione è stata interrotta a causa del terremoto che ha colpito il centro Italia nel 2016.
SciameProject, fondato da Miriam Montani, è una pagina web, una raccolta di pensieri e opere di oltre cento partecipanti tra artisti, curatori, critici, operatori culturali e voci sul territorio.
Impermanenza, Memoria, Abitare, Disabitare, Radicamento, Sradicamento e Motus sono le tematiche affrontate, scandagliate dal terremoto come causa ed effetto. SciameProject si pone come contributo immateriale per far rigermogliare la materia ceduta, in un momento in cui ci troviamo nel punto di scegliere se disabitare la terra o radicarci ancora, con tutte le forze sensibili.
Sciameproject è:
Fabio Giorgi Alberti, Marta Allegri, Francesco Amato, Bruno Amplatz, Marco Andrighetto, Claudia Angrisani, Daniela Ardiri, Alexo Athanasios, Sara Baggini, Giulia Maria Belli, Stefano Baldinelli, Rob Van Den Berg, Elisa Bertaglia, Bianco-Valente, Marta Bichisao, Jaspal Birdi, Sofia Bonato, Federico Borroni, Thomas Braida, Giovanni Sartoti Braido, Gianluca Brando, Annarosa Buttarelli, Alessandra Caccia, Gruppo Cairn, Cristina Calderoni, Riccardo Caldura, Simone Cametti, Chiara Campanile, Tiziano Campi, Lucilla Candeloro, Francesco Capponi, Daniele Capra, Sauro Cardinali, Simone Carraro, Tommaso Ceccanti, Giorgia Cereda, Francesco Ciavaglioli, Adelaide Cioni, Nicola Cisternino, Luca Clabot, Jonathan Colombo, Irene Sofia Comi, Isabel Consigliere, Corale, Cristina Cusani, Gabriella Dalesio, Maria Elisa D’Andrea, Emanuele De Donno, Matilde Di Pietropaolo, Maurizio Donzelli, Simone Doria, Arthur Duff, Léa Dumayet, Chiara Enzo, Tommaso Faraci, Silvia Faresin, Diana Ferrara, Giulia Filippi, Penzo+Fiore, Danilo Fiorucci, Roberta Franchetto, Enej Gala, Benedetta Galli, Elisa Gambino, Maria Luigia Giuffrè, Maddalena Granziera, Aldo Grazzi, Gabriele Grones, Silvia Hell, Interno3, Myriam Laplante, Virginia Di Lazzaro, Iva Lulashi, Annamaria Maccapani, Rita Mandolini, Valerio Magrelli, Fabio Mariani, Luca Marignoni, Nereo Marulli, Alice Mazzarella, Stefania Mazzola, Vittoria Mazzoni, Cecilia Metelli, Leila Mirzakhani, Montanari Testoni Norcia-Cascia, Miriam Montani, Jessica Moroni, Francesca Mussi, Aran Ndimurwanko, Valerio Niccacci, Matteo Nuti, Laura Omacini, Mattia Pajè, Monica Palma, Valeria Palombini, Federica Partinico, Laura P, Ugo Piccioni, Mary Pola, Gianluca Quaglia, Emanuele Resce, Sofia Ricciardi, Paolo Romani, Maria Diletta Rondoni, Marco Rossetti, Antonio Rossi, Elisa Rossi, Marotta & Russo, Giulia Sacchetto, Carlo Sala, Gabriele Salvaterra, Matilde Sambo, Michele Santi, Thomas Scalco, Sa Paradura (fotografie di Massimo Chiappini, testo di Alessia Nicoletti), Sachi Satomi, Carlo Scarpa, Catia Schievano, Alice Schivardi, Davide Serpetti, Nicolò Masiero Sgrinzatto, Hsing-Chun Shih, Davide Silvioli,Thoms Soardi, Meri Tancredi, Sio Takahaschi, Eva Chiara Trevisan, Cristina Treppo, Carmine Tornincasa, Franco Troiani, Sacha Turchi, Matteo Valerio, Silvia Vendramel, Alberto Venturini, Matteo Vettorello, Luigi Viola, Medina Zabo, Andreas Zampella, Vincenzo Zancana, Karin Zrinjski.
In occasione del terzo anniversario del terremoto che ha colpito il centro Italia, il 30 ottobre 2019 SciameProject è ospite al MACRO ASILO per una presentazione e talk con i partecipanti presenti.
Programma della giornata:
10.00 – 10.30: colazione di benvenuto
10.30- 10.50/11.00: introduzione del progetto e degli artisti che prenderanno parola, verrà inoltre annunciato il preludio di un nuovo progetto all’interno di SciameProject (“Sciame Mobile Residence”, ideato insieme a Athanasios Stefano Alexo, Stella Stefani, Karin Zrinjskj, Vincenzo Zancana, Andreas Zampella).
11.00- 13.00 Talk con: Elisa Bertaglia (artista), Jaspal Birdi (artista), Alessandra Caccia (artista), Isabel Consigliere (artista), Cristina Cusani (artista), Emanuele de Donno (curatore, autore, editore Viaindustriae), Giulia Filippi (artista), Maddalena Granziera (artista), Gabriele Grones (artista) Myriam Laplante (artista), Rita Mandolini (artista), Fabio Mariani (artista), Alice Mazzarella (artista), #VittoriaMazzoni (artista), Mary Pola (artista), Francesca Mussi (artista), Matteo Nuti (artista), Gianluca Quaglia (artista), Emanuele Resce (artisti), Davide Serpetti (artista), Comitato Sa Paradura (Cascia), Davide Silvioli (curatore), Franco Troiani (artista), Luigi Viola (artista), Medina Zabo (artista), Vincenzo Zancana (artista).
INFO
Museo Macro Asilo
Via Nizza, Roma
30 ottobre 2019 H 10-13
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Finale di Partita / Mare mosso / Out! / Di tutti i colori - Collinarea Festival
Finale di Partita / Mare mosso / Out! / Di tutti i colori – Collinarea Festival
Prima giornata dal Festival Collinarea edizione 2017 la cui parola chiave potrebbe essere, per l’appunto, Poesia, declinata secondo tre diverse sfumature di significato. Peccato per chi non c’era. (more…)
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#Ananias Dissekuoa#Collinarea Festival#Eros Carpita#Festival Collinarea 2017#Gaia Nanni#Gianfranco Pedullà#Gianfranco Quero#Loris Seghizzi#Marco Mannucci#Maria Grazia Fiore#Massimiliano Ferrari#Maurizio Mussi#Michelangelo Ricci#Recensione Di tutti i colori#Recensione Finale di partita#Recensione Mare mosso#Recensione Out!#Scenica Frammenti#Scenica Frammenti Collinarea Festival#Simona Baldeschi#Vincenzo Infantino
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I comunisti sono sempre stati bravi latinisti. Prova ne sia non solo l'indimenticato Concetto Marchesi, ma anche Fabio Mussi che, nel 1999, recitò in Parlamento un' intera ode di Orazio (quella del carpe diem), per dimostrare alle destre l'amore che i Ds portavano alla cultura classica. E in questa nobile impresa fu sostenuto da un compagno di partito, il quale, a raffica, si mise a scandire in aula versi asclepiadei. Se i comunisti furono e a quanto pare, restano bravi latinisti; se lo furono ovviamente i democristiani, Andreotti in primis (non sono informato sulla competenza latina degli attuali Follini e Giovanardi); se infine i leghisti hanno dato e danno l' impressione di preferire le lingue celtiche alla lingua di Roma, i socialisti del Psi erano per certo un po' sbuccioni. Si era ai tempi della cosiddetta Prima Repubblica, allorché Claudio Martelli comunicò a Ciriaco De Mita, allora presidente del Consiglio, che il suo governo pentapartito sarebbe durato solo a patto che avesse rispettato il programma: «Simul stabunt, simul cadunt» recitò solennemente. Dai banchi dell'opposizione il solito Alessandro Natta replicò pronto «Cadent, Martelli, cadent!», avvisando così l' oratore del fatto che aveva sbagliato desinenza. Ma si sa com' erano i socialisti tiravano sempre diritto. Qualche giorno dopo infatti Bettino Craxi in persona ripeté al Tg2 lo sciagurato «Simul stabunt, simul cadunt». A questo punto tre deputati dell'opposizione invitarono l' allora ministro della Pubblica istruzione a rassicurare ufficialmente gli studenti con apposita circolare: «Malgrado le opinioni di alcuni dirigenti del Psi» recitava il testo «il latino non è cambiato. La terza persona plurale del futuro di "cado" è e resta "cadent". Ineluttabilmente».
Dall’articolo "Quando i politici si rifugiano nel latino" di Maurizio Bettini
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4 mar 2021 14:44
SUONA IL GONG PER LE ONG - NELLE CARTE DEI PM DI RAGUSA GLI ARMATORI DELLA ''MARE JONIO'' CHIESERO 270 MILA EURO (POI NE ARRIVARONO 125 MILA) PER SALVARE I 27 MIGRANTI DEL MERCANTILE MAERSK ETIENNE - I DANESI SMENTISCONO ACCORDI PREVENTIVI: "FU UN RISARCIMENTO SPESE" - SOCCORSI PILOTATI PER AVERE PIÙ VISIBILITÀ, REPORT MEDICI FALSI, SCAFISTI FATTI SBARCARE: TUTTE LE ACCUSE ALLE NO PROFIT DEL MARE...
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1 - "MARE JONIO CHIESE 270 MILA EURO" LE CARTE DEI PM SULLA NAVE DEI MIGRANTI
Fabio Tonacci per "la Repubblica"
L'inchiesta della procura di Ragusa che contesta agli armatori della Mare Jonio l'accusa peggiore per chi fa della solidarietà la propria ragione di essere - aver portato illegalmente in Italia 27 migranti, trasbordati dal mercantile Maersk Etienne l'11 settembre scorso, "col fine di trarre un profitto di 125.000 euro" - comincia a svelare le proprie carte. E a suscitare le perplessità non solo degli indagati, ma anche della compagnia danese coinvolta.
Il decreto di perquisizione firmato dal procuratore capo Fabio D'Anna e dal sostituto Santo Fornasier, riporta i capi di imputazione a carico di Giuseppe Caccia e Alessandro Metz (soci della Idra social shipping srl, che possiede il rimorchiatore Mare Jonio utilizzato da Mediterranea per i salvataggi), del capomissione Luca Casarini e del capitano Pietro Marrone: favoreggiamento dell'immigrazione clandestina e violazione del codice della navigazione.
L'idea che si sono fatti i pm è che Caccia, Metz e Casarini si siano accordati preventivamente con l'armatore della petroliera Maersk Etienne, bloccata da 37 giorni in mare con i naufraghi a bordo perché le autorità maltesi non la autorizzavano a sbarcare, per effettuare, dietro compenso, il trasbordo e risolvere lo stallo.
Il prezzo del favore è arrivato due mesi dopo, il 30 novembre, sul conto della Idra: un bonifico di 125.000 euro corrisposto dalla Maersk Tankers. "Elargito - scrivono i magistrati - a fronte di una richiesta di Caccia di 270.000 euro". A sostegno dell'ipotesi dell'accordo preventivo allegano i tabulati delle utenze di Caccia, che mostrano, tra l'8 e l'11 settembre, 4 chiamate a un numero danese "di cui non è stato identificato l' intestatario", ma per cui hanno "il fondato motivo che riconduca alla Maersk".
Il patto verbale si sarebbe perfezionato il 6 ottobre, quando Caccia si è incontrato a Copenhaghen con Tommy Thomassen, direttore tecnico del Reparto Tankers Maersk, "per accelerare la trattativa".
E qui, però, nel castello della pubblica accusa si sentono scricchiolii. Intanto perché quel numero sconosciuto non è della Maersk, ma di Maria Skipper Shwenn della Danish Shipping, l'associazione che riunisce gli armatori danesi. «Caccia ci stava parlando - spiega a Repubblica Alessandro Metz - perché il caso della Etienne era diventato la vergogna d'Europa e stavamo cercando di convincere la Danish a fare pressione su Ursula Von Der Leyen».
Gli stessi dirigenti della Maersk, che gli inquirenti non hanno ancora sentito, specificano: «Prima e durante l'operazione di settembre, non c'è stato alcun accordo o promessa di compenso finanziario. Era una situazione umanitaria. Mesi dopo abbiamo incontrato delegati di Mediterranea in un meeting (a Copenhagen, ndr) e abbiamo deciso di contribuire con 125.000 euro per coprire in parte i costi che avevano sostenuto».
Nel decreto di perquisizione, però, c'è altro. Per giustificare il trasbordo e la successiva richiesta di attracco in Italia (accordato dal Centro di coordinamento soccorsi di Roma), il team della Mare Jonio avrebbe volutamente esagerato le condizioni sanitarie dei 27 naufraghi.
Dopo lo sbarco a Pozzallo, infatti, il medico Usmaf del ministero non ha trovato niente di patologico e ha accertato l'insussistenza di una presunta gravidanza. «A fare il report medico è stata una dottoressa seria che ora lavora in ospedale», ribatte Metz. «Solo dei pm in malafede possono sostenere che quelle persone, dopo tutto ciò che avevano passato in Libia e da 37 giorni confinate in uno spazio di 20 metri quadrati sulla prua della petroliera, non fossero in stato di necessità. Stanno criminalizzando la solidarietà».
2 - LE GRANDI ONG VERSO IL PROCESSO: "SOCCORSI PILOTATI PER AVERE VISIBILITÀ"
Alessandra Ziniti per "la Repubblica"
Nessun passaggio di soldi. Mai. Quei soccorsi, anche se con modalità sospette, furono comunque effettuati per salvare vite umane. E però, i comandanti e i capimissione che tra il 2016 e il 2017 si susseguirono sulle navi di Medici senza frontiere e Save the children, agirono «nell'interesse e a vantaggio delle Ong che così ottenevano maggiore visibilità pubblica e mediatica con conseguente incremento della partecipazione - anche economica - dei propri sostenitori».
Sono parole che gettano ombre molto lunghe su due delle più grandi Ong quelle delle pm Brunella Sardoni e Giulia Mucaria che, coordinate dal procuratore Maurizio Agnello, hanno chiuso la prima inchiesta sui soccorsi nel Mediterraneo aperta nell'estate 2017 con il sequestro della Iuventa della tedesca Jugend Rettet. Tre anni e mezzo dopo, con la nave ancora bloccata a Trapani, 24 avvisi di garanzia, due dei quali raggiungono Msf e Save the children, annunciano l'imminente richiesta di rinvio a giudizio.
Soccorsi concordati con i trafficanti, scafisti portati in Italia mischiati tra i migranti, barconi e persino salvagente restituiti ai criminali, luci per segnalare la posizione, trasponder spenti per evitare la localizzazione, interventi non comunicati alle autorità marittime italiane e una serie di falsi per trasformare in eventi Sar quelli che - secondo l'accusa - sarebbero state delle vere e proprie consegne.
Accuse pesantissime che le due Ong respingono. «Si apre un altro lungo periodo di fango e di sospetti sull'operato delle organizzazioni in mare. Ribadiamo la piena legittimità della nostra azione, che abbiamo sempre svolto in modo trasparente, sotto il coordinamento delle autorità competenti e nel rispetto della legge, con l'unico obiettivo di salvare vite umane», replica Msf.
«Siamo certi di aver sempre agito nel pieno rispetto delle legge e del diritto internazionale e in costante coordinamento con la Guardia Costiera Italiana unicamente per salvare vite umane», aggiunge Save the children.
Ma le due Ong dovranno misurarsi con accuse, rivolte ai loro uomini, suffragate da foto e filmati realizzati da un agente di polizia sotto copertura fatto imbarcare sulla Vos Hestia di Save the children dopo la singolare denuncia di un contractor incaricato della sicurezza che si premura anche di contattare la Lega.
È l'estate 2016, quella in cui la neonata flotta delle navi umanitarie scende in mare. Il codice di autoregolamentazione di Minniti è di là da venire. La Iuventa, piccola nave di giovanissimi volontari tedesca, staziona spesso al limite delle acque libiche, soccorre i migranti e li trasborda sulle più grandi Vos Hestia e Vos Prudence che fanno la spola con la Sicilia. Non si va per il sottile per il primo anno, l'obiettivo è portare via dalla Libia più gente possibile.
Il 18 giugno 2017, dopo aver preso a bordo i migranti, i volontari di Iuventa vengono fotografati mentre restituiscono ai trafficanti tre barche legate con una fune. Sono 264, «una vera e propria consegna concordata», scrivono i pm.
La Vos Hestia, invece, sarebbe stata informata in tempo reale delle partenze dalle coste libiche: il 4 maggio 2017,«dopo aver appreso nel pomeriggio dell'avvenuta partenza di più imbarcazioni, si dirige verso un preciso tratto di mare senza dare alcuna comunicazione alle autorità competenti», scrivono i pm. Alle 6.45 del giorno dopo prende a bordo 548 migranti.
La sera del 22 maggio, le luci del ponte della nave restano accese (cosa vietata), due battelli vengono messi in acqua e prelevano un gruppo di altri 120 migranti. Il 26 giugno, in sole sei ore, la nave carica 1.066 persone da più imbarcazioni. Alcune di loro hanno giubbotti di salvataggio. I volontari di Save the children fanno indossare ai migranti quelli con il loro logo e restituiscono ai trafficanti quelli vecchi.
Alcuni degli scafisti vengono fatti salire a bordo. Mischiati tra i profughi anche loro arriveranno in Italia sulle navi umanitarie. Dall'inchiesta sono state stralciate le posizioni di alcuni indagati, tra cui la comandante della Iuventa Pia Kemp e il sacerdote eritreo don Mussie Zerai, punto di riferimento per i migranti che si mettono in viaggio dall'Eritrea.
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I “pirati” di Soros denunciano l’Italia
di Francesca Totolo (Esclusiva Byoblu)
Francesca Totolo
L'”allegra brigata” di Soros denuncia l’Italia alla Corte Europea, per i morti in mare del novembre 2017. Ecco tutti gli opachi intrecci delle ONG coinvolte, con nomi e cognomi. Ed in un video esclusivo anche le prove che la Guardia Costiera libica ha ragione: Sea Watch fa “pirateria” umanitaria, e solo l’intervento dei libici salva quelle vite che tutte le ONG mettono cinicamente a repentaglio.
di Francesca Totolo.
Un’agguerrita alleanza, formata da organizzazioni non governative, associazioni italiane, un centro di ricerca e una parte dei nigeriani sopravvissuti alla strage del 6 novembre scorso davanti alle coste della Libia, porta l’Italia davanti alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per gli accordi stipulati con le autorità di Tripoli.
Partiamo dal caso scatenante la denuncia dell’allegra brigata sorosiana: il 6 novembre del 2017, la ONG tedesca Sea Watch irrompe durante un salvataggio già praticamente concluso dalla Guardia Costiera Libica, coordinata dal Maritime Rescue Coordination Centre (MRCC) di Roma. A bordo del gommone in difficoltà, si trovavano principalmente uomini nigeriani. Questi, molti già a bordo della motovedetta libica, alla vista dei gommoni dell’organizzazione, hanno iniziato a buttarsi in mare, consci e istruiti dagli scafisti che raggiungendo i tedeschi avrebbero sicuramente raggiunto l’Italia. Qui è iniziato il caos generato dalla Sea Watch, che nonostante gli ordini della Guardia Costiera Libica e dell’MRCC, ostinatamente non ha lasciato la zona del soccorso. Cinque persone morte affogate, questo è stato il bilancio dell’azione piratesca della ONG.
Video 1
Le immagini lasciano poco spazio ai dubbi in merito alle responsabilità dell’accaduto, e questo non è stato l’unico episodio di “pirateria umanitaria” di Sea Watch senza autorizzazione della MRCC di Roma e in acque di competenza libica. Solo il buon senso della Guardia Costiera Libica ha evitato ulteriori morti.
La responsabilità di Sea Watch, nella strage del 6 novembre scorso, è altresì testimoniata dal documento di EUNAVFOR MED Operazione Sophia, deputata al monitoraggio della Guardia Costiera Libica, inviato alle autorità europee competenti: “La motovedetta della Guardia Costiera Libica, la RAJ, è stata la prima nave ad arrivare sulla scena dell’operazione, mentre la nave della ONG Sea Watch è arrivata successivamente”.
Non appagata da ciò, la ONG Sea Watch lancia l’iniziativa della denuncia alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) che vede come imputata l’Italia e gli accordi con le autorità di Tripoli per il contrasto al business dei trafficanti di esseri umani che operano in Libia.
Oltre all’organizzazione non governativa tedesca, i fautori dell’accusa contro il nostro Paese sono: il centro di ricerca Forensic Oceanography di Forensic Architecture, l’organizzazione Global Legal Action Network, le associazioni italiane ASGI e ARCI, oltre al sostegno dichiarato di Luigi Manconi, ex senatore del Partito Democratico, attuale coordinatore appena nominato dell’UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali, che distribuisce i fondi governative alle associazione) e presidente dell’associazione pro immigrazione, A Buon Diritto.
Tutti gli attori citati, oltre a vari interessi circa il proseguimento del flusso migratorio verso l’Europa, hanno una caratteristica che li accomuna: la Open Society Foundations di George Soros.
ASGI (Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione) è tra i progetti sviluppati in Italia dalla fondazione di Soros, e dalla stessa ampiamente finanziata soprattutto per intraprendere pressioni a livello istituzionale riguardanti le tematiche legislative sull’immigrazione.
Durante la conferenza stampa di presentazione del ricorso al CEDU del 9 maggio, Loredana Leo, avvocato di ASGI, ha spiegato che l’Italia ha ripetutamente violato il “diritto alla vita” dei migranti e l’articolo 3 della Convenzione dei Diritti Umani (divieto dei trattamenti inumani), “operando dei respingimenti collettivi in accordo con la Libia”.
Ricordiamo anche che due degli avvocati di ASGI, Maurizio Veglio e Guido Savio, sono gli autori del programma immigrazione del Movimento 5 Stelle.
Dello stesso sostegno economico, ne beneficiano anche ARCI e A Buon Diritto di Manconi.
Passiamo a Forensic Oceanography di Forensic Architecture, centro di ricerca già autore di diversi report a sostegno delle ONG come “Blaming the Rescuers” (dove si affermava che il pull factor delle navi umanitarie davanti alla Libia non è provato) e/o a scopo scagionante riguardo alle accuse fatte dalle Procure italiane alle stesse, come nel caso dell’indagata Jugend Rettet. Un piccolo appunto a proposito di quest’ultimo report: Lorenzo Pezzani, nel team di ricercatori di Oceanography Architecture è anche tra i fondatori della piattaforma Watch The Med, creata da Padre Mussie Zerai, indagato per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina dalla Procura di Trapani nella medesima inchiesta di Jugend Rettet.
E non è tutto: Forensic Architecture è finanziata e sostenuta da ONG a loro volta finanziate dalla Open Society Foundations di George Soros, come Amnesty International, Human Rights Watch, International Federation for Human Rights, European Center for Constitutional and Human Rights e OAK Foundation. Si può affermare che il centro di ricerca inglese sia stato fortemente voluto dallo speculatore ungherese.
Un altro autore della denuncia contro l’Italia è la Global Legal Action Network (GLAN), un’organizzazione senza scopo di lucro “che persegue azioni legali, sfidando gli Stati e gli altri potenti attori coinvolti che violano i diritti umani”. Nel comitato di azione legale, non poteva ovviamente mancare un ex collaboratore fedelissimo della fondazione sorosiana, Itamar Mann.
Inoltre la Global Legal Action Network è development partner dell’organizzazione Advocates for International Development che annovera tra i principali finanziatori proprio la Open Society Foundations.
Il solito sistema ben avviato della scatole cinesi.
Gli avvocati di Global Legal Action Network rappresenteranno quindi i 17 nigeriani (2 riportati in Libia dalla Guardia Costiera Libica e poi di nuovo fuggiti, e 15 accolti in Italia subito dopo la tragedia), che hanno sporto denuncia contro l’Italia per “trattamento inumano”, presso le aule della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. I legali di GLAN hanno dichiarato: “C’è una responsabilità diretta del governo italiano perché firmando questi accordi l’Italia non poteva non conoscere il modus operandi violento e minaccioso della Guardia costiera libica (soprattutto con migranti soccorsi da organizzazioni umanitarie) denunciato da diversi rapporti delle Nazioni Unite (report senza alcuna documentazione probatoria). E non poteva non sapere che i migranti che vengono ricondotti in Libia vengono immediatamente riportati nei centri di detenzione le cui condizioni inumane sono conosciute a tutti“.
A tal proposito, vogliamo ricordare che i migranti salvati e riportati in Libia dalla Guardia Costiera, sono assistiti sia durante le operazioni di sbarco sia nei centri di detenzione governativi da IOM e UNHCR Libya, che operano in sinergia con le autorità di Tripoli. Quindi per gli “umanitari” che vorrebbero il nostro Paese multato dalla CEDU, le agenzie delle Nazioni Unite sono complici nelle torture e nelle violenze?
Quindi chi vuole che il nostro Paese sia pesantemente sanzionato dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo è, più o meno apertamente, finanziato da George Soros, l’uomo che da anni sostiene economicamente l’immigrazione illegale e indotta, che ha speculato anche nei Paesi più poveri aumentandone la miseria, che ha destabilizzato volutamente intere nazioni come l’Ucraina, che ha fomentato le Primavere Arabe e le Rivoluzioni Colorate. Gli “umanitari” non si fanno nessun scrupolo morale nell’accettare i finanziamenti da chi, dichiaratamente, si è reso protagonista di queste vicende grondanti di sangue. Un vero paradosso.
Un’ultima curiosità: tra i giudici del CEDU troviamo un altro fedelissimo di Soros, il bulgaro Yonko Grozev, che è stato amministratore dell’Open Society Institute di Sofia, del Bulgarian Lawyers for Human Rights e dell’Open Society Justice Iniziative di New York.
Una vera garanzia per il nostro Paese, “cornuto e mazziato”.
Originale, con video: https://www.byoblu.com/2018/05/10/i-pirati-di-soros-denunciano-litalia-di-francesca-totolo-esclusivo-byoblu/
https://ift.tt/2L38UJF
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Siamo persone privilegiate perché nel nostro cammino abbiamo incontrato una persona straordinaria come Don Mussie Zerai, da cui tanto tuttora impariamo. Lo abbiamo incontrato quando c’era da piangere e celebrare i morti e quando c’era da salvare i vivi, chiunque, indipendentemente dalla provenienza. Abbiamo apprezzato negli anni lo scrupolo con cui ha sempre operato nel pieno rispetto di quelle istituzioni – come la Guardia costiera italiana – impegnate ad affrontare drammi umanitari che passeranno alla storia, considerandole partner di riferimento, soggetti a cui affidare la sorte di chi era sull’orlo dell’abisso, in mare così come nei paesi di transito. Lo abbiamo conosciuto mentre sosteneva “Mare Nostrum” e mentre tentava di far conoscere l’osceno commercio di organi nelle montagne del Sinai. Lo abbiamo visto, infaticabile, gettare fiori in memoria della strage del 3 ottobre insieme ai sopravvissuti, lo abbiamo sentito denunciare con forza l’inerzia complice dei governi europei, incapaci di far terminare la strage ventennale che si realizza nel Mediterraneo Centrale. Ne abbiamo condiviso il coraggio quando, con pochi altri, raccoglieva o rispondeva a chiamate di soccorso che sarebbero altrimenti rimaste senza esito, trasmettendole immediatamente alle istituzioni competenti nel rispetto di quanto previsto dalle legislazioni nazionali e internazionali. Tra l’omissione di soccorso e l’intervento umanitario non ci sono margini di scelta. Abbiamo gioito speranzosi quando è stato proposto per il Nobel per la Pace: lo abbiamo considerato un segnale importante, soprattutto perché Don Mussie cominciava a ricevere minacce esplicite dal governo eritreo. Quando ci capita di incontrare uomini o donne che si sono salvati grazie al suo intervento, dichiararsi suoi amici significa ricevere uno sguardo di gratitudine eterna. Don Mussie Zerai lascia dietro di sé l’immagine di una persona umile a cui si deve semplicemente la vita. Eppure, in questi giorni di pausa d’agosto e di guerre in arrivo, si prova, ancora una volta, a screditare il suo operato, a insinuare sospetti, dubbi, mezze verità. Siamo certi che quando incontrerà i suoi accusatori, Don Mussie saprà difendersi e far valere le ragioni della solidarietà. L’impresa di metterlo sul banco sugli imputati si rivelerà fallimentare e suicida Su quel banco dovranno un giorno finirci i responsabili, a vario titolo, di stragi, sofferenze, violenze, violazioni dei diritti umani, e coloro che contribuiscono a sostenere la dittatura di Isaias Afewerki. Ma nel frattempo il dubbio sulla sua figura si insinuerà – come è già successo per le Ong che salvano i migranti in mare – erodendo l’onorabilità di chi agisce disinteressatamente per aiutare il prossimo. Colpendo, anche solo col sospetto, Don Mussie si finirà per colpire i tanti uomini e le tante donne che hanno deciso di restare dalla parte degli ultimi. Non possiamo permettere che il “reato di solidarietà” si imponga come un dato di fatto, nutrito da populismi xenofobi, interessi geopolitici, disinformazione o cattiva informazione diffusa, e avveleni ancora di più il nostro paese, già incamminato verso un declino morale e politico. Per questo siamo con Don Mussie Zerai e invitiamo uomini e donne di ogni fede e cultura politica a schierarsi dalla sua parte: non solo per il profondo rispetto che non si può che nutrire nei suoi confronti, ma perché nell’insensata logica di distruzione di ogni senso civico, di ogni barlume di solidarietà, la prossima vittima potrebbe essere ognuno/a di noi. ADIF Per adesioni [email protected] Primi Firmatari Sen. Francesco Martone, Alessandro Dal Lago (Genova), Comitato Nuovi Desaparecidos nel Mediterraneo, Cornelia Isabelle Toelgyes (Cagliari), Nicola Teresi, Emmaus Palermo, Maurizio Acerbo (Segretario Prc S.E.), Giuseppina Cassarà (medico Palermo),
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