#Gianfranco Pedullà
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paeseseratoscana · 4 years ago
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Detenuti attori alla Gorgona con Ulisse o i colori della mente. Il video Sull’isola di Gorgona, va in scena “Ulisse o i colori della mente”, primo spettacolo del laboratorio di teatro e musica "Il teatro del mare" che coinvolge i detenuti/attori della casa di reclusione dell'isola di Gorgona, nell’arcipelago toscano.
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sogniesintomi · 5 years ago
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ANTONIO PIZZUTO, RITRATTO DI UN IRREGOLARE
Accingersi a scrivere un articolo, una recensione o un qualsiasi tipo di nota critica su qualcosa di Antonio Pizzuto, (1893-1976), cercando magari in questo modo di riscattarlo dall’oblio letterario nel quale è stato da anni confinato, può apparire opera improba. I suoi testi magmatici, oscuri, ermetici, il suo stile del tutto inedito, impervio a ogni convezione, certamente non aiuta, e se un articolo deve riuscire in qualche modo a decodificare il segno, le invarianze e la specificità della parola, materia prima di un testo e tutte le specole del suo linguaggio, nel caso in questione un tale tentativo può essere destinato al fallimento, perché parlandone in qualche modo si rischia di far svanire l’incanto, un po’ come è accaduto a Orfeo che fa dissolvere in una nuvola d’aria l’amata Euridice, voltandosi poco prima che questa vedesse la luce uscendo dall’Ade, come gli era stato prescritto di non fare.
L’incanto della penombra è propria dello scrittore siciliano e forse non varrebbe nemmeno scriverne, ecco forse perché da decenni non se ne sente più parlare. Forse questa è la condanna e il paradosso di una sua lettura critica, spesso superficiale o  assente del tutto e che lo ha destinato alla sparizione dagli scaffali di librerie e biblioteche, in ossequio a una strana legge e perverso atteggiamento culturale molto diffuso che vuole che ci si interessi a un autore in modo inversamente proporzionale alla complessità del suo discorso narrativo.
Ne ho avuto in qualche modo conferma procacciandomi nella biblioteca della mia città due suoi testi, quando la bibliotecaria, benché stupita, si è mostrata entusiasta di andarmi a trovare in un’ala nascosta della stessa, in un fondo chiuso alla consultazione pubblica, dietro una sorta di porta blindata dove evidentemente giacciono tutti i libri dimenticati, i due volumi da me richiesti, aggiungendo che meno male c’ è ancora qualcuno che legge Pizzuto e che proprio perché  i suoi libri non sono richiesti da nessuno che non li tengono sugli scaffali, in libera consultazione e che lei stessa ci aveva messo così tanto per trovarli, nascosti come erano evidentemente nell’Ade dei libri. Mi sono immaginato a una tale rivelazione come l’ex-questore nato a Palermo, avrebbe accennato una scrollata di spalle e una sardonica risata.
I due volumi in questione sono Signorina Rosina, suo romanzo di esordio e un bellissimo e utilissimo volume critico dal titolo più che invitante in tal senso: Pizzuto parla di Pizzuto a cura di Paola Peretti, con una poderosa introduzione di Walter Pedullà. Il volume edito nel 1977 dall’editore storico di Pizzuto, Lerici, lo stesso di Signorina Rosina, è un’intervista svolta nel corso dell’ultimo anno di vita dell’autore. Secondo la moda del tempo è arricchita e intercalata a ogni pagina da stralci di note critiche all’opera dello scrittore siciliano che ne testimoniamo sia l’importanza del suo innovativo percorso narrativo  e, per gli stessi motivi, il quasi naturale scetticismo se non ostracismo verso una lettura critica approfondita dei suoi romanzi, proprio per una sospettata “indecifrabilità”, tanto da far domandare ai suoi sparuti e sempre troppo frettolosi recensori se la fatica svolta avesse potuto portare a dei risultati concreti dal punto di vista filologico che ne potessero giustificare lo sforzo.
L’effetto di questa mancata attenzione e approfondimento a testi che con la loro solo apparente non leggibilità ne avrebbero meritata, incentivandone in tal modo la lettura e trasmissione a un pubblico più vasto, lo ha confinato negli anni alla totale sparizione dal dibattito letterario pubblico. Se si fa eccezione degli scritti di Gianfranco Contini, a partire dal suo lusinghiero articolo sul Corriere della sera del 6 settembre del 1964 su Paginette, fino all’attenta analisi di Cesare Segre apparsa su Strumenti critici del giugno 1967, e altre rare e meritevoli analisi, sull’opera di Pizzuto è infatti sceso il buio. La cosiddetta critica militante, almeno dal 1968 in poi, ha semplicemente liquidato le sue come manipolazioni letterarie avanguardistiche, proprio lui che pur avendole lambite aborriva le avanguardie, in quanto ancora intrise di quello “storicismo” che  stilisticamente e ideologicamente rifiutava, o nel migliore dei casi relegando le sue opere a astruse sperimentazioni, mettendosi così al riparo sotto l’ombrello della diffidenza e della stigmatizzazione. Quanto invece c’è di realistico nella sua prosa, a partire dal suo esordio letterario, alla tenera età di anni sessanta con Signorina Rosina, dopo il pensionamento da questore e aver ricoperto addirittura il ruolo di vicecommissario di quella che è l’attuale Interpol (quando si parla dell’artista puro verrebbe da dire), è un tema degno di studio e approfondimento e non come mero esercizio filologico o accademico rivolto al passato, ma anche come possibile studio sul futuro del romanzo al tempo attuale e sulla sua capacità di leggere la realtà, viste anche certe più a noi prossime tendenze, fra ibridazioni varie, vere o presunte rivoluzioni stilistiche, polverizzazione dei generi di riferimento in sottogeneri e sottogeneri di sottogeneri.
L’attualità di un Pizzuto in tal senso potrebbe emergere solo cimentandosi pazientemente con il suo testo, magari proprio partendo dal suo breve romanzo di esordio, appena 146 pagine nell’edizione Paperbacks di Lerici del 1967, titolo uscito per la prima volta nel 1956 con scarso successo e riproposto nel 1959. Questo romanzo, lo chiamiamo così per convenzione, è un caleidoscopio infinito di storie. La Rosina al di cui titolo è una  pura traccia, è una, trina, tetragona e forse ancora di più, tante sono le sue oggettivazioni in modo apparentemente casuale all’interno della narrazione, sotto forme diverse, con l’unico comun denominatore che è un’identità di nome, assumendo di volta in volta le sembianze di una vecchia rattrappita e moribonda, la quale poco dopo e praticamente a inizio romanzo muore sul serio, per poi riapparire sotto forma di una donna incontrata per caso al Luna Park, la quale riassetta un bottone cadente al (protagonista)? Bibi, fino a materializzarsi sotto forma di una perpetua che prepara i pasti per il parroco che dà alloggio allo stesso Bibi, fino ad assumere addirittura le fattezze di un asino, di una nave e di un fuoco fatuo nel cimitero dove il suddetto Bibi, altro motore transfuga del romanzo, condannato e sballottato nelle più insulse incombenze, era stato chiamato per certi lavori di riparazione.
Di carneadi, più che personaggi, in Signorina Rosina se ne trovano molti altri ma è Rosina il fulcro invisibile. Il suo eterno ritorno, anche se solo il nome, la connota come il motore immobile del romanzo, è l’irrompere nelle sue varie occorrenze della presenza di un elemento eccentrico, il dato inutile che interviene nell’apparente utilità della vita. Rosina è il rumore bianco, un nome intorno al quale si muove la narrazione che è pura musica, la quale non necessita in sé di una sua spiegazione, di un suo svolgimento orizzontale o connessione, perché come ci dice lo stesso autore “alla musica non è chiesto di giudicare” e allo stesso modo “chiarire significa uccidere”. L’andamento musicale è il dato più evidente della prosa di Pizzuto, la musica degli amati Bach e Beethoven. Lo spirito e il senso musicale è assorbito sicuramente in famiglia: il nonno fu un apprezzato latinista e la madre una poetessa citata persino nei versi che aprono Rimi e ritmi dal Carducci. Sono più i suoni a commuovere che i significati, i significanti a predominare sui significati direbbe Lacan.
Come ebbe a dire Oreste Del Buono, un altro dei suoi pochi, generosi e attenti critici, leggere Pizzuto è sprofondare nella sua musica, un combinato di spontaneità e logica che volendolo riassumere in una formula, come suggerito dall’autore, può essere definito “indeterminismo narrativo”, formula con la quale come suggerito dallo stesso autore si può racchiudere il suo credo estetico, la più appropriata connotazione stilistica per definire in modo assiomatico come sia la forma letteraria la generatrice della sostanza del rappresentare, non del raccontare, termine da lui aborrito in quanto un richiamo alle incrostazioni di un ingenuo realismo. Indeterminismo narrativo, non è un esercizio di stile, come potrebbe essere tacciato di avanguardismo? Un avanguardista a 70 anni? Ci scherza su Pizzuto, non è la scrittura automatica, non è Proust o Joyce al quale in particolare viene spontaneamente e frettolosamente assimilato da certa critica, pur dovendone per certi versi riconoscerne il suo ruolo di epigono, anche se Il nominalismo dello scrittore ed esule irlandese, padre del modernismo amplia a dismisura il dettaglio polverizzato in modo lirico, mentre quello dello scrittore siciliano lo restringe fino a renderlo microscopicamente irriconoscibile, adoperando  in alcuni casi dei rivoluzionari espedienti e miracoli stilistici, facendo ad esempio di tutte le subordinate delle principali.
La realtà, la sostanza, la vita, seppure nella forma minima di impiegati, amanti, maestrine di provincia rimane e si fa rappresentare pur in modo apparentemente disconnesso, per effetto della formidabile, prodigiosa memoria del suo autore, nella piena consapevolezza che solo la forma di un’opera determina la sua sostanza, per quanto mai sfuggente e parcellizzata. L’indeterminismo non è un vezzo, ma elogio della molteplicità, irriducibilità del reale pur rappresentato dal nostro nelle sue sfrangiature e polverizzazioni, con il lessico, con la sintassi, con il ritmo, spesso in dissonanza. La prosa di Pizzuto non trasfigura il mondo, è il mondo che non può che essere quella forma verbale grandiosa e insieme modesta grammaticalizzazione dell’essere. Signorina Rosina ne è il primo e forse più fulgido esempio all’interno di tutta la sua opera. E’ il relativismo della coscienza, oltre che la storia di un amore improbabile. Le vicissitudini di Bibi e le varie “apparizioni” di Rosina sono intercalate come in contrappunto dalle vicende e dal monologare dialogante di Compiuta, l’amante di Bibi, la complicazione dell’amore, oltre a altri personaggi che appaiono in filigrana: la maestrina, Properzia, figlia di Bibi, la gattina Camilla, ricordi di infanzia forse, quanto di proustiano c’è in Pizzuto, figure da ricomporre nell’ immaginario di un autore sfuggente, puntini da riempire come in un cruciverba.
Si va per approssimazioni, tracce che sfuggono, in un  processo di conoscenza contro-intuitivo. Ci sono spazi bianchi da riempire fra i vari episodi e al lettore è dato il compito di farlo, forse di riscrivere il libro? Una linearità della prosa fatta a “tozzi e bocconi”, “lampi e baleni” come ebbe a definirla Montale.
È La sua sintassi nominale, l’andamento paratattico della sua prosa che riducendo al minimo le indicazioni di casualità e successione dissemina sulle pagine un mero allineamento di parole che segue il libero flusso della memoria e tramite le quali il lettore si dovrà sviluppare per ricomporre le varie tessere di un puzzle dai pezzi infiniti, per trovarne un senso o solo un barlume di decifrabilità che lo possa incoraggiare a proseguire. Proprio come in un cruciverba tutte le opere di Pizzuto richiedono l’attiva partecipazione del lettore, l’interazione diremmo oggi, arrivando in tal modo a una sorta di riscrittura, la cella e il regno dell’interpretazione che è qualcosa di dannatamente post-moderno, cosa della quale forse nemmeno l’autore si è reso conto fino in fondo.
I suoi romanzi sono oggetti ai quali è necessario educarsi. Una lettura svelta e vorace sarebbe sicuro causa di choc titillante e puntilistico nel quale pare di intravedere un disegno anche se è difficile precisarlo. Le cose sono vive anche se l’occhio nel profluvio di parole non riesce a determinarle, come se l’occhio del lettore riuscisse solo a scorgerle a una determinata tensione, mentre invece sono lì da sempre e Pizzuto ce le fa vedere quella tensione, quando scatta il giudizio che le fa vivere. Leggere Pizzuto mette di fronte alla fatica della sua decifrazione, come i discorsi raccolti fra la gente nella folla. Gli elementi strutturali del romanzo tradizionale sono invertiti, tanto da dare l’idea che il libro scomposto e ricomposto nelle sue parti potrebbe assumere la fisionomia di un racconto tradizionale. La forma quindi prima di tutto. Eppure un romanzo come Signorina Rosina dove verità e poesia sono indissolubilmente avvinte, nei frammenti degli episodi slegati come le nostre diverse carni, nell’alea della sua scrittura, nell’anarchica sintassi, perché questa in fondo è la vita, quella cosa che da sempre imita la letteratura e non viceversa, trasuda ancora un certo “naturalismo” se è lecito utilizzare degli ismi per un autore che ha sempre rivendicato orgogliosamente di non appartenere ad alcuna scuola e non voler essere il maestro di nessuno e alcunché.
Con Rosina  siamo ancora nei territori del figurativismo, di un riconoscimento, anche se solo nominale, cosa che a partire dalla terza opera pubblicata dall’ex questore e insieme a altri scritti postumi, da Paginette, a Giunte e caldaie,  è del tutto abbandonato e sembra  lì di immergerci in un puro astrattismo. Ravenna, la sua terza prova,  appare in una sorta di cameo meta letterario in questo esordio e quasi a sancire nel modo lapidario di un manifesto tutta la sua opera successiva: “Certo manoscritto Ravenna, vera e propria empietà, insulto alla ragione e al buon gusto dicevano, tessuto di farneticamenti dai quali sotto il velo dello stile impuro, traluceva lo spirito della rivolta”
Rivolta stilistica certo, e metodologica, per dire quanto di non improvvisato ci sia in questo autore. L’adesione al realismo di Pizzuto, quella che testimonia la presenza povera, concreta, immotivata delle cose, come dire che esistono  delle Bambole da riparare, è un dato difficilmente riscontrabile a occhio nudo e la sua scrittura  ha un fascino difficilmente descrivibile, proprio qui sta il suo ipnotismo e la sua bellezza. Se la realtà è una fusione imperfetta e molteplice dei più svariati oggetti, lo scrittore con la prosa, perché secondo Pizzuto la prosa più di tutte le altre forme letterarie “rappresenta” il reale, come atto creativo, intendendo come reale non la pura materia, Pizzuto dice infatti: “Lo spirito è un fatto, la materia un opinione”, determina la lettura del mondo. La prosa fa questo in maniera compiuta, non il teatro che lo “registra” nell’atto irripetibile, non la poesia che è chiusa in una sua autosufficienza stilistica. Il procedimento è induttivo, in un percorso inverso dove i principi non sono punti di partenza ma di arrivo, contrariamente a quanto avviene nelle scienze naturali e potremmo dire nelle forme letterarie tradizionali, quindi: il relativo dall’assoluto, il naturalistico dall’informale, la cultura dall’arte, la letteratura dalla musica.
Ecco, se disposti ad addentrarci nel suo studio ci si accorgerebbe  che questo non è frutto di un banale spontaneismo, di una certa fascinazione verso l’écriture automatique  o il puro estetismo con un certo gusto del kitsch, in quanto si trovano impregnate nella sua prosa nozioni filosofiche, la teoria della conoscenza come trasmessagli dal suo maestro di speculazione Cosmo Guastella per il quale “ogni conoscenza deriva dal’esperienza” e in senso più ampio dall’empirismo inglese di Berkeley e Locke con il suo assioma “Esse est percipi”, dallo scetticismo di Hume, nonché dalla grande corrente fenomenologica e dagli “Orizzonti  inglobanti” di Jaspers, una conoscenza non meramente fattuale e materica, ma trascendentale. Pizzuto stesso ammette il suo debito verso questi grandi pensatori e la necessità di inquadrare entro i loro riferimenti il sostrato della sua opera: “sono le grandi linee del mio sistema filosofico: che è il fondamento e il pilastro della mia narrativa, perché senza conoscere tutto questo, se uno prende in mano un mio libro non capisce neanche una parola”.
Le fondamenta della narrativa di Pizzuto sono in modo insospettabile sature di teorizzazione e il suo stile presuppone la sistematizzazione di una fondata struttura filosofica che è poi anche il fondamento delle più piccole e minime cose della vita, le stesse che possono diventare materia narrativa. È la filosofia della conoscenza a impregnare le sue pagine. Tramite un testo narrativo Pizzuto ci introduce alla filosofia di Cosmo Guastella diventando già un breve romanzo come Signorina Rosina uno stimolo a interrogarci sul nostro stesso porci di fronte alla realtà delle cose e dei segni. La sua adesione alla forma romanzo in tal senso sembra un espediente, una convenzione della quale si serve per demolirlo direbbero gli avanguardisti. Forse Pizzuto se ne serve per sondarne la praticabilità nella rappresentazione (non registrazione) della realtà, nella sua irriducibile molteplicità, in un periodo storico nel quale fra l’altro il realismo tradizionale nelle sue varie forme, letterario, cinematografico e figurativo mostrava le prime crepe.
Per effetto della sintassi nominale, nei romanzi di Pizzuto la totale abolizione della categoria del tempo ha sottratto al romanzo borghese la sua classica linearità orizzontale entro la quale il personaggio vi agiva all’ interno di una forma costituita, e i singoli momenti non contano più per se stessi, ma all’interno di un reale pulviscolare e inafferrabile tanto da far apparire i personaggi stessi pre-testuali, figure minime che si stagliano dallo sfondo come potrebbe fare un paesaggio o un elemento decorativo in un’ elegante casa di signori di provincia, la media borghesia fatta di ingegneri, impiegati, ufficiali a riposo, dattilografe, o parroci di paesi di campagna.
Lo sguardo di Pizzuto cerca proprio di cogliere e rendere sulla pagina questa molteplicità, esporta da oltralpe la tradizione dell’École du regard e il Nouveau roman, senza che quasi nessuno se ne sia accorto, un autore che se sessant’anni  fa avessero pubblicato in Francia un suo romanzo avrebbero gridato al capolavoro, forse facendo impallidire Sarraute e Butor e che da noi, pur essendo stato a suo tempo enfatizzato l’interesse suscitato dalla critica italiana e straniera, è passato unicamente sotto l’etichetta dello sperimentalismo e relegato ben presto nel dimenticatoio.
Pizzuto, già con Signorina Rosina, rompe sicuramente la tradizione del romanzo nostrano, prima delle avanguardie. Lo fa abbattendo gli stessi presupposti del  pensiero classico, chiuso, conservatore, circolare e che riporta sempre sugli stessi pensieri. Rosina e tutti altri scritti di Pizzuto sono invece la rottura di questa divina circolarità per una via lunga e dritta ove i suoi personaggi vanno a una velocità tale che si disintegrano. La rottura ha la forma del quadrato, è la dissonanza al posto dell’armonico circolo del ritorno, a dispetto del ricorrere nominalista. Il nonimalista Pizzuto per il quale conoscere lingue diverse non significa avere modi diversi per dire la stessa cosa, ma modi diversi di esprimere i propri pensieri, pensieri in sé diversi, intraducibili, indecifrabili, quanto meno a prima vista.
Il “cubista” Pizzuto entro queste forme a malapena riesce a rendere riconoscibili i suoi personaggi che assumono le fattezze di simulacri o pittogrammi sotto la mano del suo burattinaio, colui che dichiara che “la narrativa non ha a che fare con la ragione, con il  ragionamento, non è razionalità. La narrativa deve essere spontanea, non avere nessi logici e intellettualoidi” sebbene già siamo a conoscenza delle solide basi teoriche della sua scrittura, e senza che questo sfoci nell’onirismo o nel surrealismo, perché sotto il simbolismo di tali forme ancora si nasconde la “registrazione” storiografica del “fatterello”, dominion del realismo ingenuo. L’iconoclasta Pizzuto che non riesce a dissimulare il suo candido disprezzo per il lettore di consumo, l’autore per il quale scrivere è un attività che fa il pari  con l’atto stesso di vivere, la vita stessa si genera con la scrittura, più di un manifesto estetico questo assieme alla implicita parte strutturale filosofica dei suo lavori che altrimenti non potrebbe essere compresa.
In tal senso Pizzuto crea la sua identità nel linguaggio, nasce a cinquant’anni anni, battezzato quasi a settanta, quando i suoi scritti hanno ottenuto un minimo di visibilità, a partire proprio da Signorina Rosina nel quale ha iniziato il suo frugare dappertutto nella realtà, per rappresentarla, fino alle opere successive, dopo l’intermezzo di Si riparano bambole, l’episodio più autobiografico, a partire da Ravenna in poi, dove il dato intimo e in qualche modo proustiano della memoria è polverizzato nei fratti  di Paginette, in Pagelle, nella loro dis-connessione da collage, vere e proprie frantumazioni degli oggetti della scrittura in un universo in sé chiuso, un autosufficiente monadismo verbale, opere strutturate  in lasse senza accapo, infiniti capitoli a sé stanti, narrazioni che procedono in modo pulviscolare e con una loro autotomia da cellule grammaticali e di significanti, sintassi asservita a periodi  che avanzano come un’infinita sequenza di parentesi senza che queste vengano mai chiuse. Sempre più il tema della narrazione diventerà la narrazione stessa, il cerchio entro il quale si svolge si restringe sempre più su sé stesso, auto-rispecchiandovisi, non come in Signorina Rosina, dove ancora sopravvivono nelle pagine fratti di tempi, oggetti, persone, la vita minima insomma, fino a un puro astrattismo, gioco di forme che pure crea la vita, la letteratura che ne è la struttura.
È certamente vero che rovesciando versi non si compone La Divina Commedia, seppure secondo i precetti del calcolo infinitesimale ognuno di noi da qui all’eternità potrebbe essere l’autore del poema dantesco, ma noi viviamo in un tempo finito e il capolavoro di Dante è già stato scritto, forse solo questo Pizzuto ha voluto dirci con i suoi libri. Pizzuto è sovra-letterario, meta-letterario, intra-letterario, da qualunque parte lo leggi ti sfugge e questa è la sua bellezza. Uno scrittore d’eccezione, tale da sbalordire e lasciare perplesso anche il lettore più preparato. Pur definito da alcuni critici del suo tempo il Pollock della narrativa, uno che poteva vantare di aver letto l’Ulisse di Joyce e La critica della ragion pura di Kant in originale, dettagli non da poco se si fa riferimento al suo credo estetico, rimane un mistero come possa essere scomparso dal dibattito letterario pubblico ed è  questa una lacuna che dovrebbe essere sanata.
Signorina Rosina può essere una valida porta di ingresso al mondo pizzutiano e a un mondo letterario con il quale forse non siamo più abituati a corrispondere, forse per una semplice questione di educazione delle nostre orecchie, una nostra deficienza nell’ascolto del segno letterario che ancora parli della realtà, della sua irriducibilità a vuote e astratte formule troppo spesso farcite di ismi. Citando Bibi che al cimitero si rivolge all’ immagine di Rosina invocandola: – Ma ritornerà Zia Rosina? Ritornerà? Basta pensarmi, pensarmi è chiamare –  così dovremmo augurarci che possa avvenire per la letteratura di Antonio Pizzuto, che ancora in molti la pensino. In gioco vi è la verità dell’arte, il suo stesso spirito musicale che non chiede di giudicare, come lo stesso Pizzuto, l’ex questore nato a Palermo, trasferito a Roma e prestato alla letteratura, il borghese isolano inurbato non giudica quel mondo di piccole cose quasi gozzaniane che ha inteso solo rappresentare, innestando sulla pagina assieme il futile e il sublime, elevandosi a dispetto del buco nero che lo ha risucchiato, a uno degli splendidi cantori dell’inutilità e della bellezza della letteratura.
di Simone Bachechi
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persinsala · 7 years ago
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Finale di Partita / Mare mosso / Out! / Di tutti i colori - Collinarea Festival
Finale di Partita / Mare mosso / Out! / Di tutti i colori – Collinarea Festival
Prima giornata dal Festival Collinarea edizione 2017 la cui parola chiave potrebbe essere, per l’appunto, Poesia, declinata secondo tre diverse sfumature di significato. Peccato per chi non c’era. (more…)
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giancarlonicoli · 3 years ago
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19 ago 2021 18:24
I BARONI UNIVERSITARI SONO SEMPRE ESISTITI – NEGLI ANNI SESSANTA NATALINO SAPEGNO E CARLO BO BOCCIARONO IL PIU’ GRANDE CRITICO LETTERARIO DEL NOVECENTO, GIACOMO DEBENEDETTI, PERCHÉ IL SUO CURRICULUM NON ERA “IMMACOLATO”. LE SUE COLPE? AVEVA LAVORATO "NEL CINEMA" E LA SUA CULTURA ERA TROPPO VASTA – CARLO BO LO BOCCIO’ QUANDO ERA GIA’ AMMALATO E STAVA PER MORIRE – I VERBALI DI ALLORA, L’IRONIA DI MONTALE E LE LACRIME DI COCCODRILLO DELL’ELITE UNIVERSITARIA…
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Pierluigi Panza per https://fattoadarte.corriere.it/
Baroni universitari? Non certo una novità, piuttosto un male endemico che opera sempre allo stesso modo: cooptare i meno pericolosi e lasciare fuori dal recinto i migliori e più meritevoli.
La biografia “La casa dalle finestre sempre accese” di Anna Folli (Neri Pozza) su Giacomo Debenedetti, presentata al Premio Comisso, introduce anche all’episodio della “cattedra mancata”, o meglio, “negata”, al più grande critico letterario del Novecento.
Non facciamo i nomi di chi gliela negò, ma anche i cognomi: la prima volta presiedeva la commissione che non lo mise in cattedra Natalino Sapegno; un’altra volta Carlo Bo. Prosit.
Eugenio Montale, che con quella sua inarrivabile sensibilità poetica e con quel suo curriculum così poco accademico non si pose mai l’idea di andare in cattedra (troppo bravo e, al contempo, troppo lontano dal cursus honorum) si inoltrò nel “mistero” del perché Debenedetti non fosse in cattedra, capendo perfettamente le ragioni psicologiche delle parti in causa.
“C’è qui un mistero che non mi interessa chiarire”, scrive Montale con una sorta di litote.
Debenedetti, chiedendo di andare in cattedra, ovvero “di salire un ulteriore gradino, commise forse una ingenuità” scrive con finta ironia Montale: era troppo importante per sperare che colleghi-competitor gli concedessero il dovuto riconoscimento.
D’altra parte, aggiunge il Premio Nobel, “molto maggiore è il torto di chi respinse il suo desiderio”. Da una parte l’ingenuità; dall’altra la malafede.
Siamo all’inizio degli anni Sessanta, ma a leggere i verbali della commissione (li ha approfonditi Paola Frandini) il tempo sembra essersi fermato.
Quello che si legge allora sono parole che si leggono anche oggi paro paro, del tipo: il candidato dimostra grande padronanza ma…, il candidato è di grande livello ma non pertinente al raggruppamento disciplinare… ecc. ecc.
Nella nota della Commissione del primo concorso al quale partecipa, Sapegno (e gli altri docenti, per altro “amici” di Giacomo) lodano la sua “inconfondibile personalità” e la sua “ricca cultura estesa ad ambiti diversi” (e già con questa affermazione si preparano a far cadere l’asino), ma la Commissione si duole che non si possa riconoscere un “progresso” nella produzione di Debenedetti (un po’ come oggi, che valgono solo le pubblicazioni degli ultimi cinque anni perché si utilizzano pseudo sistemi scientifici), al quale si rimprovera un “indubbio allontanamento, una certa involuzione dispersiva”.
Come scrive la biografa Folli, “non contano le pubblicazioni dei Saggi critici, gli scritti su Saba, Proust, Svevo, Alfieri, l’ascendente sugli studenti. Conta invece che Giacomo non abbia seguito il classico curriculum di chi vuole diventare professore ordinario.
E le sue esperienze nel cinema e al Cinegiornale Incom … sporcano l’illibatezza accademica”. Insomma, Debenedetti ha dovuto lavorare e questo non va bene, si è avvicinato pure al giornalismo (oggi diventata uan disciplina universitaria anch’essa) e ciò lo rende persino pericoloso: sarà in parte così anche per Umberto Eco, ma con risultato, fortunatamente, opposto.
Nel ’64, Debenedetti sta per lasciare Alberto Mondadori, ci risiamo.  Va al concorso ma niente da fare. Tre anni dopo, quando Carlo Bo presiede la Commissione, Debenedetti crede di farcela: ma l’esito sarà lo stesso.
Gli vengono riconosciuti “cospicui meriti acquisiti nella complessiva e varia attività svolta nell’ambito della cultura” (e, di nuovo, quel varia e il troppo ampio termine cultura lasciano intendere che lo vogliono segare), ma sembra che abbia scritto troppo poco. Incredibile!
Debenedetti morirà pochi mesi dopo e, immediatamente, si aprirono le cateratte del coccodrillismo: “Possedere un tale esemplare nel nostro erbario – scrisse Gianfranco Contini – e non accorgersene e cosa di cui noi tutti letterati contemporanei dobbiamo rendere ammenda”. E giù una serie di rimpianti (Walter Pedullà, Natalia Ginzburg) e scaricabarile. Buonanotte.
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qdmnotizie-blog · 7 years ago
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CHIARAVALLE, 10 maggio 2018 – “Mia madre mi ha insegnato la libertà; mia madre mia ha insegnato a saltare sulle onde del mare”.
Finisce così, tra mille emozioni e un po’ di commozione, “Maria Montessori o la scoperta del bambino”, l’intenso, profondo, emozionante spettacolo messo in scena al teatro Valle da Gianfranco Pedullà e dagli allievi di VisionArea, il laboratorio teatrale che il comune di Chiaravalle è tornato a proporre sulla scia di quello che fu il Centro di Educazione Teatrale, attivo dal 1995 al 2001.
Una pièce appassionata e coinvolgente, che ha presentato soprattutto la vicenda umana e singolare di una donna profonda e originale, mai scontata, una scienziata apprezzata in ogni angolo del mondo per il suo metodo pedagogico, che era soprattutto una donna coraggiosa, controcorrente, fuori dal coro.
Una donna, Maria Montessori, che anche oggi sarebbe attuale come contemporaneo e moderno è il suo metodo che mette al centro di ogni cos, a il bambino e le sue necessità.
Nello spettacolo di Pedullà si analizza anche il rapporto tra Maria Montessori e il figlio Mario, nato da una relazione extraconiugale.
Dopo diversi anni di separazione i due si ritrovarono e si unirono in uno stretto connubio esistenziale e anche di lavoro. Pedullà ha approfondito tanti aspetti dell’eccezionale biografia della Montessori sottolineando i punti salienti della sua ricerca scientifica, pedagogica e umana.
Si parte dalla nascita avvenuta nel 1870 in una casa di piazza Mazzini a Chiaravalle e poi il trasferimento a Roma, gli studi di medicina, la scoperta dell’infanzia, in particolare dei bambini disabili e svantaggiati, la creazione del suo metodo educativo innovativo e rivoluzionario, il ricongiungimento con Mario, i libri che la fecero conoscere nel mondo, i viaggi negli Stati Uniti, in India, l’adesione non convinta al fascismo, i contrasti col potere politico e poi l’abbandono dell’Italia, il maturare costante delle sue idee e delle sue ricerche, il ritorno tanto desiderato a Chiaravalle (“adesso sono contenta, adesso anche se muoio ho rivisto il mio paese!” disse Maria al figlio dopo essere tornata nella sua terra natale nel 1947) e poi la morte in Olanda il 6 maggio 1952.
A 66 anni di distanza la Montessori appare più viva, vitale e moderna che mai anche grazie all’emozionante spettacolo di Pedullà e dei bravi allievi di VisionArea:  Cinzia Caimmi, Valeria Cupis, Roberta Della Bella, Joele Ferri, Lara Giancarli, Elisa Giulietti, Ilaria Lucaroni, Roberta Marchetti, Rachele Medici, Ruggero Novembre, Patrizia Parasecoli, Sara Petrini, Francesco Pierini, Jacopo Pietroni, Silvia Rettaroli, Beatrice Rondini, Samuele Sgroi, Kejsiana Tafani e la partecipazione dell’unica professionista del gruppo, Rosanna Gentili.
Della Montessori e dello spettacolo colpisce soprattutto il segno profondo lasciato a favore dell’emancipazione delle donne e il suo convinto ed eterno messaggio di pace, che anche a Chiaravalle, la città della Montessori, alcuni dovrebbero far proprio, mettendo da parte rancori e pregiudizi, odi e violenze verbali in questo periodo incandescente di campagna elettorale.
  Gianluca Fenucci
CHIARAVALLE / TEATRO: EMOZIONANTE LA MARIA MONTESSORI RAPPRESENTATA DA GIANFRANCO PEDULLA’ E VISIONAREA CHIARAVALLE, 10 maggio 2018 - "Mia madre mi ha insegnato la libertà; mia madre mia ha insegnato a saltare sulle onde del mare".
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gimiplay · 5 years ago
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Mi aggrappo alla memoria. Può essere un buon ricostituente. Tiene traccia dei sentieri. Accumula indicazioni. Trasforma il passato in una bussola. Sono riuscito a recuperare tracce della mia prima appariscente apparizione teatrale: Paul Snyder in “Santa Giovanna dei Macelli” ispirato all’opera di Bertolt Brecht. Anno 1995, maestro di scena Gianfranco Pedullà. Un progetto di Teatro Popolare d'Arte, Comune di Arezzo e Festival Il Teatro e il Sacro. ➡️ Info e link al filmato: https://giannimicheli.blogspot.com/2020/04/paul-snyder.html?m=1 . . . #teatro #bertoltbrecht #arezzo #santagiovannadeimacelli #teatropopolaredarte #theatre #tuscany #italy #art #toscana #spettacolo #italia #arte #igersarezzo #love #italianstyle #instagood #homedecor #musica #igersitalia #performance #volgoarezzo #music #travel #travelgram #photography #madeinitaly #igerstoscana #actor #instalike (presso Arezzo, Italy) https://www.instagram.com/p/B_LN1LZIvmT/?igshid=kdzbmk777pg4
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infosannio · 6 years ago
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Nuovi leader a Sinistra. Adesso tocca a Micciché
Nuovi leader a Sinistra. Adesso tocca a Micciché
Il difensore dei super stipendi della Regione siciliana dà dello str… a Salvini e oscura pure Martina
  (di Gaetano Pedullà – lanotiziagiornale.it) – Sulla nave Diciotti sventolano le nuove bandiere della Sinistra italiana: Pippo Baudo e Gianfranco Miccichè. Chi l’avrebbe mai detto al popolo indottrinato dai cari leader sul palco delle Feste dell’Unità, dove tutti sembrano essere scappati da…
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okmugello · 7 years ago
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Le foto ed il video del bello spettacolo teatrale dal titolo “IL RISCATTO” di e con Mohamed Ba, che è andato in scena a Vicchio la scorsa settimana, in occasione della Festa della Toscana.
Lo spettacolo è parte del progetto IL VIAGGIO che, giunto alla terza edizione, diventa “IL VIAGGIO e LA MEMORIA”. Quest’anno il progetto ha avuto inizio il 3 ottobre scorso in occasione della “giornata in memoria delle vittime dell’immigrazione”.
Il Progetto proseguirà tra dicembre e gennaio con una serie di incontri/laboratorio nelle classi terze con Benedetta Manfriani di Intercultura nell’ambito dei 70 laboratori promossi dal CRED nelle scuole del Mugello.
Anche quest’anno verrà percorsa a piedi una tappa della via Francigena (tra San Gimignano e Monteriggioni) con i ragazzi delle classi seconde delle scuole Mugellane.
Un secondo spettacolo teatrale “Mare mosso”, di Gianfranco Pedullà (Teatro popolare d’arte) in collaborazione con Catalyst, sarà rappresentato a tutte le classi delle Scuole secondarie di primo grado, l’ultimo giorno di scuola prima delle vacanze di Natale.
Numerose le esperienze sul territorio e gli incontri che svilupperanno i vari modi di declinare il “Viaggio” come avventura, studio, pellegrinaggio, deportazione e fuga dalla guerra e dalla fame.
Dal 13 al 18 marzo prossimo, alcuni alunni parteciperanno, con il contributo del Comune, al Viaggio della Memoria ad Auschwitz-Birkenau, Terezin e Flossenbürg.
  Mohamed Ba a Vicchio, video e foto dello spettacolo per i ragazzi. E ‘Il Viaggio’ continua… Le foto ed il video del bello spettacolo teatrale dal titolo “IL RISCATTO” di e con Mohamed Ba, che è andato in scena a Vicchio la scorsa settimana, in occasione della Festa della Toscana.
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tempi-dispari · 7 years ago
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Teatro Palladium: la rassegna nazionale di teatro in carcere Destini Incrociati
Dal 15 al 17 novembre il Teatro Palladium ospiterà la quarta edizione della rassegna nazionale di teatro in carcere “Destini incrociati” [progetto ministeriale “Destini incrociati” riconosciuto e finanziato dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo] e un convegno di studi per tracciare un bilancio sull’attività svolta negli ultimi anni e promuovere nuove prospettive per la scena penitenziaria italiana.  Tre giornate di spettacoli, conferenze, proiezioni, video e laboratori frutto della collaborazione tra il Dipartimento di Filosofia, Comunicazione e Spettacolo dell’Università Roma Tre, il Coordinamento Nazionale Teatro in Carcere, il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo e il Ministero della Giustizia/Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. Il progetto, che si inserisce tra le attività che l’Ateneo Roma Tre porta avanti nell’ambito della “Terza Missione” e fa seguito al Festival “Made in Jail. Carcere & Cultura” (dicembre 2014), diretto da Valentina Venturini, docente di Storia del Teatro presso l’Università Roma Tre, è parte del Protocollo d’intesa su “teatro e carcere” tra l’Università degli Studi Roma Tre/Dipartimento di Filosofia, Comunicazione e Spettacolo, il Ministero della Giustizia/Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e il Coordinamento Nazionale Teatro in Carcere L’intento è quello di creare, anche a partire dai luoghi in cui si svolgeranno gli eventi (il Teatro Palladium, l’Istituto Penitenziario di Rebibbia Femminile, la Biblioteca Hub Culturale Moby Dick della Regione Lazio, il DAMS dell’Università Roma Tre), un ponte tra il carcere e la società “esterna”; un ponte che, ci si augura, più che tracciare una strada, riveli l’altra immagine di questi universi: tanto diversi eppure così uguali quando la prospettiva dalla quale li si osserva è quella teatrale. «La diversità di queste esperienze rispetto al teatro istituzionalizzato – spiega il Presidente del Coordinamento Nazionale Teatro in Carcere Vito Minoia – non appare come una moda teatrale, ma come una condizione genetica che ci consente di delineare un ambito di lavoro teatrale, con una forte connotazione artistica e al tempo stesso educativa e inclusiva, una zona pratica della scena contemporanea ricca di implicazioni sociali e civili. Tra gli altri spicca il dato della sensibile diminuzione della recidiva in chi fa teatro in carcere: si riduce dal 65 al 6%». In questa quarta edizione della rassegna, così come accaduto nelle precedenti (Firenze 2012, Pesaro 2015, Genova 2016), agli spettacoli, frutto di laboratori produttivi realizzati con detenuti, si alterneranno conferenze, mostre, dimostrazioni di lavoro. Verrà in questo modo restituito un panorama ampio delle nuove esperienze drammaturgiche sperimentate da registi e autori professionisti che da anni lavorano sul campo. Assisteremo a spettacoli nati dalle narrazioni e dalle biografie di detenuti, spesso direttamente coinvolti anche nel processo di scrittura e allestimento, come L’infanzia dell’alta sicurezza scritto e diretto da Mimmo Sorrentino: sul palcoscenico otto detenute della casa di reclusione femminile di Vigevano, condannate per reati associativi, mettono a nudo la loro esistenza e il loro dolore (15 novembre h.21). Saranno rappresentati spettacoli frutto della reinterpretazione di testi classici e di repertorio:  La favola bella con la regia di Grazia Isoardi  presentato dalla compagnia Voci Erranti, con i detenuti della casa di Reclusione di Saluzzo (17 novembre h.21); Amleta se lei è pazza allora sono pazza anch’io, rivisitazione al  femminile della celebre opera shakespeariana, in scena la compagnia Le donne del Muro Alto del carcere femminile di Rebibbia, diretta da Francesca Tricarico (16 novembre  h.10.30 presso la Casa circondariale femminile di Rebibbia, accesso limitato ad un numero di persone previa autorizzazione). Il 15 novembre sarà rappresentata  la pièce della compagnia # SineNOmine (con i detenuti della Casa di Reclusione di Spoleto h.17) Sorveglianza Speciale 82/diciassettesimi AR con la regia di Giorgio Flamini, il 16 novembre assisteremo allo spettacolo Fortezza della compagnia AdDentro (con i detenuti dalla Casa di Reclusione di Civitavecchia, h. 18) regia di Ludovica Andò, il 17 novembre sarà in scena l’opera teatrale  Studio per un finale con la regia di Livia Gionfrida (realizzata della compagnia Metropopolare  con i detenuti della Casa circondariale di Prato h.17). La rassegna ospiterà inoltre, il 16 novembre alle h.20.30 Giovanna Marini, che presenta lo spettacolo-concerto Fogli volanti con il Coro Inni e Canti di Lotta della Scuola Popolare di musica di Testaccio diretto da Sandra Cotronei. Una storia d’Italia cantata e vista dalla parte di chi, dal basso, è stato protagonista di un percorso partecipativo e democratico. Le canzoni proposte sono infatti il frutto del recupero di brani della tradizione orale dell’ Italia operaia e contadina, dalla fine dell’Ottocento al Novecento inoltrato. «Le canzoni “viaggiano” e possono arrivare lontano… Passano di bocca in bocca, di cuore in cuore, e nel loro volo vivono tante altre vite dando origine ad altri racconti che diventano storie. E le storie fanno la storia…». Non mancherà una sezione interamente dedicata alla proiezione di video, selezionati e scelti dalla direzione artistica dell’intera Rassegna composta da Ivana Conte, Vito Minoia, Valeria Ottolenghi, Gianfranco Pedullà e Valentina Venturini. L’audiovisivo è uno strumento indispensabile per documentare le esperienze di teatro in carcere, in grado di restituire la ricchezza, l’articolazione e la diffusione ormai capillare di questo importante settore del teatro italiano, che ha evidenti ricadute sulla funzione di riabilitazione che il carcere deve istituzionalmente sviluppare. Parte integrante del progetto saranno i laboratori di accompagnamento alla visione degli spettacoli destinati ai detenuti e agli spettatori della Rassegna, curati da Agita (associazione nazionale e agenzia formativa) e quelli di critica teatrale per gli studenti universitari del DAMS/Dipartimento di Filosofia Comunicazione e Spettacolo, curati dall’Associazione Nazionale dei Critici di Teatro con la collaborazione del Teatro di Roma. In conclusione della rassegna un convegno di studi e una conferenza. Il convegno, a cura dell’Università Roma Tre e del Garante dei Diritti dei Detenuti del Lazio, sarà dedicato al “futuro” del teatro in carcere (Dagli Stati generali alla riforma penitenziaria. Prospettive per il teatro in carcere. 17 novembre, h. 9.30); la conferenza, tenuta dal Prof. Franco Ruffini, accademico e storico del teatro, sarà invece una riflessione storico-scientifica sui rapporti tra teatro e carcere (Teatro e Carcere. Una contraddizione in termini. 17 novembre, h. 18.30).
Durante la rassegna il foyer del Teatro Palladium ospiterà la mostra Prigionie (in)visibili, il teatro di Samuel Beckett e il mondo contemporaneo, curata dallo studioso giapponese Yosuke Taki. Insieme a Eduardo De Filippo, Beckett è l’autore più rappresentato in carcere, sin dal periodo successivo alla seconda guerra mondiale, quando un prigioniero di un istituto  penitenziario tedesco tradusse e rappresentò il suo En attendant Godot. La mostra illustrerà alcune esperienze di messa in scena di opere di Beckett all’interno di prigioni, in Italia e all’estero. Saranno anche esposti materiali sulla carriera di Rick Cluchey, l’ex-ergastolano statunitense che ottenne la grazia per meriti artistici per le sue attività teatrali nel carcere di San Quentin e che, dopo il suo rilascio, recitò in diverse opere con la regia dello stesso Beckett. 
La Rassegna si colloca nell’ambito del Progetto Nazionale di Teatro in Carcere DESTINI INCROCIATI con il contributo del Ministero dei Beni e Attività Culturali e del Turismo, Direzione Generale Spettacolo, ai sensi dell’articolo 43, Promozione/Progetti di inclusione sociale. È promossa in Rete da 22 organismi aderenti al Coordinamento Nazionale di Teatro in Carcere, avendo come soggetto capofila l’Associazione Teatro Aenigma. DESTINI INCROCIATI si svolge in collaborazione con il Dipartimento di Filosofia, Comunicazione e Spettacolo dell’Università Roma Tre, con il Ministero della Giustizia, Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e il Dipartimento Giustizia Minorile e di Comunità, con la partecipazione del Garante nazionale dei Diritti delle persone detenute o private della libertà personale e del Garante dei Diritti dei detenuti, Consiglio Regionale del Lazio e con il patrocinio del Comune di Roma, Assessorato alla Crescita culturale
Info: www.teatrocarcere.it  https:/www.facebook.com/ProgettoeRassegnaAnnualediTeatroinCarcere/?fref=ts Ufficio stampa Rassegna Destini Incrociati: Valeria Buffoni +39 347 4871566 – [email protected]
Teatro Palladium – Università Roma Tre Sito ufficiale: http://teatropalladium.uniroma3.it/ Pagina FB: https://www.facebook.com/search/top/?q=teatro%20palladium
Organizzazione e promozione Teatro Palladium: Music Theatre International Ufficio stampa: Elisabetta Castiglioni +39 06 3225044 – +39 328 4112014 – [email protected]
  SCARICA COMUNICATO STAMPA E FOTO  DI SEGUITO: https://drive.google.com/open?id=0B7xlDP3S1TH8UmlFOTU1V1UyclE
CARTELLA STAMPA DELLA STAGIONE SCARICABILE AL LINK: https://drive.google.com/open?id=0B7xlDP3S1TH8aGY0aXY2MERFbGc
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DESTINI INCROCIATI – IV Rassegna Nazionale Teatro in Carcere
Roma 15-17 novembre 2017
IL PROGRAMMA 
Mercoledì 15 novembre
15.00-16.00  Foyer Teatro Palladium APERTURA UFFICIALE della rassegna alla presenza delle autorità 
16.00-17.00  Foyer Teatro Palladium PRIGIONIE (IN)VISIBILI IL TEATRO DI SAMUEL BECKETT  E IL MONDO CONTEMPORANEO Inaugurazione della mostra a cura di Yosuke Taki
17.00-18.00   Teatro Palladium SORVEGLIANZA SPECIALE 82/DICIASSETTESIMI AR spettacolo della Compagnia #SIneNOmine regia di Giorgio Flamini  Casa di Reclusione di Spoleto
18.30-19.30   Moby Dick Biblioteca Hub Culturale  LABORATORIO DI ACCOMPAGNAMENTO ALLA  VISIONE DEGLI SPETTACOLI DELLA GIORNATA a cura di Ivana Conte, Paolo Gaspari, Loredana Perissinotto  e Fabrizio Cassanelli per AGITA-Associazione Nazionale per la Ricerca  e la Promozione della Cultura Teatrale nella Scuola e nel Sociale
18.30-19.30 ▶ DAMS Università Roma Tre, Aula A6 RASSEGNA VIDEO prima sessione
21.00-22.00   Teatro Palladium L’INFANZIA DELL’ALTA SICUREZZA spettacolo della Compagnia TeatroIncontro regia di Mimmo Sorrentino  Casa di Reclusione femminile di Vigevano
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Giovedì 16 novembre
10.30   Casa Circondariale Femminile di Rebibbia AMLETA spettacolo della Compagnia Le donne del Muro Alto regia di Francesca Tricarico  Casa Circondariale Femminile di Rebibbia
14.00-16.30  DAMS-Università Roma Tre, Aula A6 RASSEGNA VIDEO seconda sessione
15.45-16.45  Moby Dick Biblioteca Hub Culturale LABORATORIO DI ACCOMPAGNAMENTO ALLA VISIONE DEGLI SPETTACOLI DELLA GIORNATA  a cura di Ivana Conte, Paolo Gaspari, Loredana Perissinotto  e Fabrizio Cassanelli per AGITA-Associazione Nazionale per la Ricerca  e la Promozione della Cultura Teatrale nella Scuola e nel Sociale
16.45-17.45 ▶ Moby Dick Biblioteca Hub Culturale Presentazioni editoriali  CERCARE, CARCERE ANAGRAMMA DI Rivista semestrale (Edizioni Nuove Catarsi)  partecipano all’incontro Valeria Ottolenghi per la direzione artistica di Destini Incrociati e Giulio Baffi, presidente dell’Associazione Nazionale dei Critici di Teatro. Saranno segnalate altre pubblicazioni.
18.00-19.00  Teatro Palladium FORTEZZA spettacolo della Compagnia AdDentro  Associazione Sangue Giusto regia di Ludovica Andò  Casa di Reclusione di Civitavecchia
20.30-21.30  Teatro Palladium FOGLI VOLANTI spettacolo con  Giovanna Marini e il coro Inni e Canti di  Lotta della Scuola Popolare di Musica di Testaccio,  diretto da Sandra Cotronei
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Venerdì 17 novembre 
9.30-12.30  DAMS-Università Roma Tre, Aula A6 DAGLI STATI GENERALI ALLA RIFORMA PENITENZIARIA.  PROSPETTIVE PER IL TEATRO IN CARCERE. Convegno a cura del DAMS-Università Roma Tre e del Garante  dei Diritti delle persone sottoposte a misure restrittive della  libertà personale – Consiglio Regionale del Lazio Sottoscrizione dell’Appendice operativa del Protocollo d’Intesa su Teatro e Carcere tra Ministero di Giustizia / Dipartimento dell’Amministrazione  Penitenziaria e Dipartimento di Giustizia Minorile e di Comunità,  Coordinamento Nazionale Teatro in Carcere e Università Roma Tre
14.15-16.30 ▶ DAMS-Università Roma Tre, Aula A6 RASSEGNA VIDEO terza sessione
15.45-16.45  Galleria Teatro Palladium LABORATORIO DI ACCOMPAGNAMENTO ALLA VISIONE DEGLI SPETTACOLI DELLA GIORNATA  a cura di Ivana Conte, Paolo Gaspari, Loredana Perissinotto  e Fabrizio Cassanelli per AGITA-Associazione Nazionale per la Ricerca  e la Promozione della Cultura Teatrale nella Scuola e nel Sociale
17.00-18.00 Teatro Palladium STUDIO PER UN FINALE spettacolo della Compagnia Metropopolare regia di Livia Gionfrida  Casa Circondariale di Prato
18.30-19.30 ▶ Moby Dick Biblioteca Hub Culturale TEATRO E CARCERE. UNA CONTRADDIZIONE IN TERMINI FRANCO RUFFINI accademico, storico del teatro 
21.00-22.00  Teatro Palladium LA FAVOLA BELLA spettacolo della Compagnia Voci Erranti regia di Grazia Isoardi  Casa di Reclusione di Saluzzo
I luoghi della rassegna: Teatro Palladium, Piazza Bartolomeo Romano 8 Roma DAMS dell’Università Roma Tre, via Ostiense 139 Roma (a 800m dal teatro Palladium) Moby Dick Biblioteca Hub Culturale, via Edgardo Ferrati 3 Roma (a 50 m dal Teatro Palladium) Casa Circondariale femminile di Rebibbia, via Bartolo Longo 92, Roma
Direzione generale Vito Minoia Direzione artistica Ivana Conte, Vito Minoia, Valeria Ottolenghi, Gianfranco Pedullà, Valentina Venturini Direzione organizzativa e Comunicazione Antonio Cioffi e Elisa Candelaresi Ufficio stampa Valeria Buffoni Coordinamento tecnico Francesca Zerilli Documentazione fotografica Fabio Galli Riprese video Maria Celeste Taliani Contatti con gli Enti pubblici Ludovica Andò / Compagnia Sangue Giusto.
Coordinamento Nazionale Teatro in Carcere – Via Peschiera 30 – 61030 Cartoceto PU
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allinfoit · 8 years ago
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Tutto Scorre di Massimo Sgorbani con Rosanna Gentili e Gilberto Colla, regia di Gianfranco Pedullà e Massimo Sgorbani
Tutto Scorre di Massimo Sgorbani con Rosanna Gentili e Gilberto Colla, regia di Gianfranco Pedullà e Massimo Sgorbani
Tra i nomi più apprezzati della nuova drammaturgia italiana, Massimo Sgorbani firma, con la regia di Gianfranco Pedullà, lo spettacolo “Tutto scorre”, da lunedì 3 a domenica 9 ottobre al Teatro Tordinona di Roma (ore 21 – domenica 9 ore 17,30 – biglietti 10/8 euro – Info e prenotazioni: tel. 067004932 – [email protected]). (more…)
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paeseseratoscana · 5 years ago
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A Lastra a Signa il teatro resta aperto. Un segnale forte
A Lastra a Signa il teatro resta aperto. Un segnale forte
Prudenza ma anche un netto no alla psicosi. E dare ossigeno, nel suo piccolo, alla cultura e a chi di cultura vive. È quanto ha deciso di fare il Teatro delle Arti di Lastra a Signa. «Pur aderendo allo spirito e alle norme presenti nel recente decreto governativo sull’emergenza del virus Covid 19 – scrive il direttore Gianfranco Pedullà – La direzione del Teatro delle Arti ha deciso di mantenere…
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paeseseratoscana · 5 years ago
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A casa di Falstaff s'incontrano Shakespeare e Verdi
A casa di Falstaff s’incontrano Shakespeare e Verdi
Una versione della commedia shakespeariana che s’incrocia in modo quasi naturale con l’opera lirica Falstaff di Giuseppe Verdi, ultima creazione del grande compositore. Lunedì 15 luglio al Teatro Romano di Fiesole (ore 21,15) la Compagnia Teatro Popolare d’Arte presenta  Falstaff – o L’educazione del Principe, progetto drammaturgico di Gianfranco Pedullà, a cui è…
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