Tumgik
#Imitazione di Cristo
Text
Fino a che punto imitare Gesù?
Gesù è calunniato e condannato. Dobbiamo imitarlo anche in questo…? I santi ci mostrano dove può e vuole giungere l’amore. Questo periodo quaresimale è il tempo propizio per approfondire il nostro amore e la nostra rassomiglianza al Cristo. (more…) “”
Tumblr media
View On WordPress
0 notes
Photo
Tumblr media Tumblr media Tumblr media
Da: SGUARDI SULL’ARTE LIBRO QUARTO - di Gianpiero Menniti 
LA REALTA' APPARENTE
Si può ancora oggi, discorrendo d’arte, essere platonici: ridurre la rappresentazione a imitazione di un’imitazione delle idee; oppure, considerare l’espressione artistica un accrescimento delle capacità di conoscenza del reale.  Non ho usato a caso le parole “rappresentazione” e “espressione”.  Platonicamente, la rappresentazione imita: la repraesentatio come ri-presentazione di un’immagine, re-ad-praesentare, rendere di nuovo presente.  Espressione, invece, è exprimere da cui deriva expressio che indica lo spremere, il fare uscire qualcosa da qualcos’altro. Dunque, imitare oppure trarre, trarre da sé, trarre rielaborando il fenomeno sensibile portandolo in una nuova forma alla percezione dei sensi, una forma che non è comune, che non è mera imitazione ma realtà nuova.  Il ritratto di una persona non è quella persona: è un’altra cosa, è un’altra essenza, è il percepito proposto in una nuova forma, è altro anche dall’oggetto imitato.  Lo stile diviene così il modo in cui un supporto (la tela) viene utilizzato per tracciare un segno originale.  Solo chi copia un dipinto imita: imita lo stile mediante la perfetta riproposizione di linee e colori.  Ma il dipinto originale non imita: è! L’atto artistico è pura creazione di una forma, ma è creazione intertestuale: è il pensiero dell’artista sulla figura divina della Madonna o del Cristo in croce, ma il pensiero dell’artista non è una tabula rasa poiché è costituito da una continua revisione della memoria di tutta la realtà percepibile attraverso i sensi.  Di qui lo stile che è unico.  E che si piega all’interazione comunicativa: atto creativo di un concetto sovrasensibile (l’immagine divina) in una forma comprensibile.  Poiché se chi scrive desidera farsi leggere, chi dipinge desidera farsi guardare. Ecco spiegata la ragione intrinseca di atto artistico attribuibile anche alle espressioni figurative vissute come banali (i rilievi dell’arte longobarda, l’altare di Rachis e molto altro) e che al contrario occorre definire sintetiche.  Quel sintetismo è coerenza espressiva: da una parte comunica l’essenziale e dall’altra satura ogni argomento sulla impossibile rappresentazione reale del soprasensibile. Se le cose stanno così, bisogna ammettere che il realismo pittorico e plastico altro non sono che il riflesso stilistico ed estetico di una lunga epoca, un’epoca che dalla fondazione della diffusa civiltà comunale in Italia e nelle aree più sviluppate del continente europeo, si è evoluta anche nelle forme artistiche e nel loro significato.  Quel significato che soggiace ad ogni segno e che non bisogna mai perdere di vista. L’atto artistico “significa” nello stesso momento in cui “è”. La ri-scoperta della prospettiva è dunque un fatto significativo oltre che di stile della rappresentazione.  Può risultare utile un esempio. Quando Piero della Francesca (1416 - 1492) dipinge “La flagellazione”, in una data incerta a cavallo del 1453, anno della caduta di Costantinopoli e dell’eclissi dell’Impero bizantino, non usa la prospettiva per un afflato geometrico ma per collocare due eventi distinti nello spazio pittorico, assegnando di riflesso all’organizzazione prospettica degli spazi un significato simbolico specifico.  A sinistra, la scena della flagellazione con Pilato vestito come l’imperatore bizantino – chiara comparazione concettuale tra le due figure, mentre il riferimento non è chiaro se possa essere attribuito a Giovanni VIII Paleologo oppure a suo figlio Costantino XI – mentre uno sconosciuto ripreso di spalle, vestito come un turco – forse è Maometto II, forse è suo padre Murad II che ad un passo dalla conquista di Costantinopoli decise di desistere - assiste alla scena ma accenna con la mano un gesto che potrebbe essere di clemenza ma che potrebbe anche connotarsi come atteggiamento di potere verso il Cristo (quindi verso il simbolo della cristianità rappresentata dalla città bizantina - sottoposto alle pene inflitte dai due carnefici.  La scena è posta a Gerusalemme, dunque è vissuta nel passato che si trasfigura nel presente attraverso una simbologia che non ha nulla da invidiare a quella rinomata medievale.  Una simbologia che si riafferma nella scena posta a destra nella quale, sullo sfondo di un paesaggio urbano, probabilmente italiano e visto di scorcio, tre figure sembrano assorte in una conversazione di alto profilo (citazione del tema delle conversazioni sacre): forse la metafora delle inutili discussioni in Occidente, a Ferrara e poi a Firenze, nel 1436, durante il Concilio che avrebbe dovuto sancire la riunificazione delle chiese scismatiche e la riedizione di una crociata per respingere gli ottomani e salvare Costantinopoli – simbolicamente anch’essa uno dei centri della cristianità in Oriente, area dove la fede era sorta – ovvero la trattativa tra un diplomatico di alto rango (a sinistra, forse il cardinale Bessarione) ed un “signore” italiano (siamo in un’epoca di dominatori combattenti nei novelli stati signorili italiani, da Federico di Montefeltro a Sigismondo Pandolfo Malatesta e Francesco Sforza, solo per citarne alcuni) che dovrebbe assumere il ruolo di difensore della cristianità.  In mezzo a loro, un giovane che sembra ascoltarli assorto, che ha lo sguardo lontano: forse il "Porfirogenito" (porta un abito rosso porpora ed ha un atteggiamento regale, di cortese distacco) che avrebbe dovuto riassumere per diritto dinastico il trono di Bisanzio.  Ecco, in questa semplificata ricostruzione del significato di un dipinto, sul quale si sono arrovellati e continuano a farlo illustri studiosi, c’è tuttavia l’esempio di quanto simbolismo si affermi in esso e di come la dimensione prospettica funga da “macchina del tempo” traslando l’evento contemporaneo in uno spazio-tempo intrecciato, come in due piani sequenza sovrapposti, usando con formidabile maestria l’atto di sintesi delle immagini sul supporto bidimensionale.  La pittura del ‘400 non sfonda la terza dimensione ma fonda un linguaggio per immagini del tutto nuovo, una sintassi diversa che aveva bisogno di una grammatica diversa, parole nuove per parlare ad un tempo nuovo, parole che cambieranno nel corso dei secoli ma che fermano l’attimo e lo colgono.  Certamente, questo nuovo linguaggio è misura della potenza espressiva che la tela rivela fissando un punto di vista obbligato ma potenzialmente infinito.  Eppure, non c’è nulla di progressivo in questo, non c’è un mondo in via di maturazione ma artisti che segnano la contemporaneità e la tramandano ad un pubblico che oggi si pone annose domande sul significato mentre all’epoca tutto era ben chiaro o volutamente ambiguo per essere compreso solo dalle élite cui la raffigurazione era destinata.  Se nell’arte si pone, gerarchicamente, un presente perennemente superiore al passato, non rimarrà nulla di essa.  Ogni atto artistico è contemporaneo, segna il proprio tempo e solo in questa dimensione deve essere riletto e rivisto.
In copertina: Maria Casalanguida, "Bottiglie e cubetto", 1975, collezione privata
9 notes · View notes
incamminoblog · 19 days
Text
DAL LIBRO DELLA «IMITAZIONE DI CRISTO»"DIO PARLÒ AI PROFETI E PARLA A TUTTI"
Dal libro della «Imitazione di Cristo»(Lib. 3, 3)Dio parlò ai profeti e parla a tutti     Il Signore dice: Ascolta, figlio, le mie parole, parole soavissime che oltrepassano ogni scienza difilosofi e di sapienti del mondo. Le mie parole sono spirito e vita (cfr. Gv 6, 63), né sono da pesare con la bilancia del senso umano, né da giudicare in base al gradimento degli uomini, ma da ascoltare…
0 notes
gabriele-85 · 4 months
Text
Tumblr media
Parola 31/05/2024
*AMA, E FA QUELLO CHE VUOI!*
Autor: Apolonio Carvalho Nascimento
La celebre frase di Sant'Agostino si riferisce certamente all'amore di Cristo, l'amore che possiamo vivere a imitazione di Cristo.
Questo amore ci libera da ogni condizionamento e ci rende liberi, soprattutto liberi dal peccato.
Sono libero di fare quello che voglio, purché sia amore. Pensare, parlare, fare, tutto per amore e con amore.
E poi, in aggiunta a tutto il resto, vivere l'amore mi permette di conoscere Dio. E la conoscenza di Dio è liberatoria perché ci fa conoscere la verità.
Chi ama è giusto e sa costruire la pace.
Quando si ama, si può fare tutto, perché chi ama non cade nelle trappole del peccato e la luce dell'amore illumina e guida le sue azioni.
0 notes
ildiariodibeppe · 7 months
Text
Tumblr media
GLI SREGOLATI MOTI DELL'ANIMA
Ogni qual volta si desidera una cosa contro il volere di Dio, subito si diventa interiormente inquieti. Il superbo e l'avaro non hanno mai requie; invece il povero e l'umile di cuore godono della pienezza della pace. Colui che non è perfettamente morto a se stesso cade facilmente in tentazione ed è vinto in cose da nulla e disprezzabili. Colui che è debole nello spirito ed è, in qualche modo, ancora volto alla carne e ai sensi, difficilmente si può distogliere del tutto dalle brame terrene; e, quando pur riesce a sottrarsi a queste brame, ne riceve tristezza. Che se poi qualcuno gli pone ostacolo, facilmente si sdegna; se, infine, raggiunge quel che bramava, immediatamente sente in coscienza il peso della colpa, perché ha assecondato la sua passione, la quale non giova alla pace che cercava. Giacché la vera pace del cuore la si trova resistendo alle passioni, non soggiacendo ad esse. Non già nel cuore di colui che è attaccato alla carne, non già nell'uomo volto alle cose esteriori sta la pace; ma nel cuore di colui che è pieno di fervore spirituale.
(cap. VI Imitazione di Cristo)
0 notes
sophiaepsiche · 1 year
Text
Le due facce del dolore
Tumblr media
"Perché in alcune tradizioni il dolore è esaltato, quasi cercato direi, e in altre è considerato qualcosa da superare?"
Perché sono le due facce della stessa medaglia.
Per prima cosa ricordiamo che la gestione del dolore è importantissima perché il dolore è l’emozione spartiacque tra i sentimenti di pace e quelli di distruttività. Non gestire il dolore porta alla distruttività, trascenderlo perfettamente porta all’amore e alla pace. Tra questi due estremi ci sono tanti gradi diversi di gestione: da quella puramente psicologica, ai primi tentativi di elaborazione in solitaria, che portano alla creatività, a quelli di presenza mentale, tipici della meditazione, fino ai risultati di trascendenza.
Chiunque abbia già una buona capacità di trascendenza del dolore ‘personale’ comincia a star meglio degli altri, non perché gli giungano meno colpi o abbia meno ostacoli ma perché li supera sempre meglio. Su questo mi soffermo un attimo per farvi notare che è sempre la pratica ad elevarsi e migliorare, mai il resto. Nessuno dovrebbe mai porsi limiti sulla pratica, i limiti dettati dalla natura umana sono più che sufficienti. Sappiamo teoricamente che esiste un grado talmente ottimale da non richiedere più uno sforzo ma il modo di arrivarci è di praticare sempre. I miei maestri, che non finirò mai di ringraziare, sono chiarissimi su questo punto.
Più capiamo che è la consapevolezza a risolvere tutto, meno la lasceremo andare. Meno la lasceremo andare e più risolverà tutto.
Tornando al dolore, quello che succede in chi supera ormai facilmente quello personale è molto importante: può cominciare a trascendere il dolore collettivo. Avendo compreso il carattere spartiacque del dolore, capirete che questo significa cominciare ad eliminare la distruttività dal mondo. Capite l’importanza evolutiva di queste persone? Forse no e purtroppo non si può dimostrare. Comunque, sebbene sia proposto in modo diverso nelle varie tradizioni, è una cosa naturale ed è presente in ogni insegnamento.
In oriente è generalmente più esaltato l’effetto positivo delle pratiche meditative: la serenità, la calma, la pace e si tende a dire meno che il realizzato è una specie di ‘macchina mangia karma’ dell’intera umanità. Si sa che è così e gli stessi illuminati a volte lo ammettono ma si dà più risalto al fatto che ne rimangono imperturbati. In occidente, soprattutto nel cristianesimo, è più esaltato il concetto di sacrificio, dell’offerta del dolore a Dio per salvare l’umanità, nello specifico per salvare ‘i peccatori’. Capisco che la terminologia cristiana è meno moderna e allettante ma è esattamente ciò che avviene. È solo formulato diversamente. Qui i concetti di ‘salvatore’ del mondo, per quanto riguarda Gesù, e di ‘co-redentori’, per i santi, sono da prendersi, per quanto mi riguarda, alla lettera. I santi non invitano il dolore per masochismo ma per consolidata capacità di trascendenza e il fatto di offrirlo a Dio rappresenta il loro motivo, ad imitazione di Cristo, esempio più straordinario mai giunto al mondo di tale capacità.
Il bilanciamento tra i due atteggiamenti apparentemente diversi, negli insegnamenti, è da cercarsi nell’eterna lotta tra conscio e inconscio. La pratica non è altro che questo.
La barriera del ‘personale’ è già molto ridotta nei praticanti esperti e le sensazioni in entrata, anche negative, non vengono neanche sempre percepite come proprie. So di ripetermi ma non è l’inconscio ad essere collettivo, è il collettivo ad essere inconscio. Qualsiasi sensazione salga al conscio, a prescindere se accompagnata o meno dalla sensazione ‘personale’, è un fenomeno collettivo. Questo il praticante esperto lo sa solo più degli altri.
Quando si presenta un’emozione sgradevole sa restare pienamente attento e fermo, in perfetta comunione con essa, determinandone la scomparsa.
Più fa questo, per i sentimenti, e più capisce e si allontana dal pensiero psichico, più acquisisce una sorta di trasparenza, dovuta proprio alla mancanza di barriera ‘personale’. Tale barriera, il nostro ego, è infatti solo un insieme di pensieri incessanti che riguardano il personale e di resistenze inconsce alle sensazioni che non vogliamo, il che sfocia, a seconda della gravità, in vari gradi di distruttività. Più va via la sensazione personale, più importante diviene il ruolo evolutivo dell’individuo per la collettività e più grande è la pace che egli prova. Questo è il secondo punto d'incontro che, nonostante la differenza tra terminologie, troviamo in tutti gli insegnamenti.
La pace è la meta di tutti.
‘Vi lascio la pace, vi do la mia pace’ dice Gesù. Anche se più sottolineata negli insegnamenti orientali, la pace è il risultato per tutti e, per fortuna, non è solo la meta finale, perché ogni tentativo di trascendenza, o anche di mera elaborazione del dolore, sarà ricompensato da una pace mai provata prima. Questa ricompensa spetta a qualsiasi praticante di qualsiasi livello. Intraprendere davvero questo cammino vuol dire cominciare ad accumulare talmente tanti vantaggi da non poter più neanche immaginare di vivere come prima.
Questa pace è da guadagnarsi interiormente attraverso ciò che, nel linguaggio meditativo, è presentata come ‘igiene mentale’, e, in quello devozionale, è espressa come ‘coscienza pulita’. Sono la stessa identica cosa. Qualsiasi sia il tuo maestro e la tua tradizione, o anche se non credi a niente e nessuno, la pace puoi averla se pulisci i contenuti psichici. Per farlo devi renderli dapprima consci, ed ecco le due facce della medaglia: la prima faccia del dolore non è tanto gradevole e dobbiamo imparare in primis ad accoglierlo, senza condanne o giustificazioni, senza resistenze, altrimenti non sale al conscio. Quando si presenta va ‘cercato’, proprio come dici nella domanda. Dopo tale accoglimento e in virtù di una totale comunione viene poi trasceso o ‘superato’… e arriva la pace, la seconda faccia del dolore.
Se si è molto pratici i due aspetti diventano quasi impercettibili, poiché meno c'è resistenza più c'è trasparenza.
Quando la purezza aumenta, infatti, si comincia una pratica più profonda in cui si trascende l’ego stesso e non più i contenuti psichici. Diverse tradizioni danno diversi nomi a questa pratica: ‘dimorare indipendente’, ‘dimorare nel sé’, dimorare nella ‘vacuità’, nel ‘silenzio’, nel ‘cielo’ dell’anima, nella ‘consapevolezza’, nell’‘auto-attenzione’, a volte lo chiamo samadhi. Qui si comincia a morire alla carne e a rinascere allo spirito. La sensazione di essere materia va via e l’evanescenza rivela la nostra vera natura. Che lo si chiami spirito, coscienza, consapevolezza o non lo si definisca affatto non importa, la cosa essenziale è che questa leggerezza la sperimenterai tangibilmente ogni volta che trascenderai il dolore, a qualsiasi livello lo farai, e potrai spingerti fin dove vorrai, anche fino al punto di non volerla più lasciare!
La teoria da sola non ha mai portato la pace a nessuno, la pratica sì.
Buona sperimentazione!
0 notes
amicidomenicani · 1 year
Text
Sacerdote (1832-1916) Enrico Cormier nacque l’8 dicembre 1832 ad Orléans, importante città della Francia settentrionale, e considerò sempre uno speciale favore della Provvidenza Divina l’essere nato e l’aver ricevuto il battesimo nel giorno dedicato alla Vergine Immacolata, la cui definizione dogmatica doveva avvenire quando il ventiduenne Enrico già pensava all’ideale domenicano come sua scelta di vita. La sua infanzia fu serena, immersa nella pietà cristiana che le famiglie cattoliche del XIX secolo vivevano come base naturale dell’esistenza. Di sua madre, Felicita Bracquemont, egli stesso disse: « La sua vita trascorse parte in campagna, parte negli affari di un umile commercio, parte nella cameretta dove morì dopo parecchi anni di malattia». Fu quindi una donna semplice, ma intelligente, accorta ed attiva, ed affrontò con coraggio l’avvenire della famiglia quando rimase vedova con i figli ancora piccoli. Di suo padre, Francesco, scrisse : «Era tanto pio e laborioso quanto poco ambizioso. La sua passione era la musica. Copiava il canto gregoriano su un quadernetto tascabile, di cui si serviva in chiesa. Il giovedì i tre fratelli organizzavano una specie di concerto e cantavano accompagnandosi ciascuno col suo violino».  Morì accidentalmente, in seguito alle ustioni riportate cadendo con una lampada accesa in mano. La mamma affidò la sua educazione ai Fratelli della Dottrina Cristiana , presso la scuola della parrocchia di S. Paolo, dove il bambino progredì nella formazione umana e religiosa. Quando lo zio Teofilo Cormier, prete e professore nel Seminario maggiore di Orléans, morì a trentasei anni di tisi, quasi naturalmente, Eugenio, il fratello maggiore di Enrico, volle prendere il suo posto entrando in seminario, mentre lui si accontentò di continuare a “giocare alla messa”, fino a quando, dopo aver ricevuto la prima Comunione e la Cresima, fu accolto nel Seminario minore La Chapelle: aveva tredici anni.  Si rivelò un ragazzo dolce e simpatico, dotato di una naturale propensione al canto, al disegno, alla poesia; più incline ad una certa spensieratezza che all’entusiasmo per lo studio. Ma la morte precoce del fratello seminarista, scomparso a 18 anni, indusse Enrico ad un serio ripensamento e formulò dei propositi così seri, che realizzò in quel momento un vero “distacco dal mondo”, come scriverà egli stesso vent’anni dopo. Tale “conversione” proseguì quando si iscrisse al Seminario maggiore nell’ottobre del 1851, mettendo per scritto un programma particolareggiato di vita con la decisione di custodire e salvaguardare i suoi impegni con la preghiera, «quell’orazione per la quale si dimora in una santa unione con Dio, si ascolta la sua parola, gli si parla a propria volta per domandarGli le sue grazie»: di questa intimità ininterrotta con Dio aveva sete l’animo generoso di Enrico.  Fu in questo periodo che maturò la sua decisione per una vita di più stretta imitazione di Gesù Cristo, prendendo in considerazione l’Ordine di S. Domenico, restaurato in Francia da pochi anni  ad opera del P. Henri-Dominique Lacordaire. Con lui ebbe anche un incontro, nel quale la sua vocazione domenicana fu giudicata “nulla o non matura” dall’illustre predicatore di Notre-Dame! Evidentemente, la voce interiore dello Spirito indicò con chiarezza al giovane seminarista la via da seguire e quella valutazione negativa non lo disarmò. Fece privatamente i tre voti e terminò i suoi studi conseguendo il grado di baccelliere in teologia. Quando fu ordinato sacerdote, il 17 maggio 1856, essendo già laico domenicano, annunciò anche che sarebbe presto entrato nel noviziato della Provincia francese dei Frati Predicatori, a Flavigny, dove ricevette l’abito insieme ad altri quattro giovani, il 29 giugno seguente, prendendo il nome di fra Giacinto Maria, per mettersi sotto la protezione del santo predicatore missionario polacco e della Vergine Immacolata. La sua vita di novizio, già sacerdote, fu pienamente
centrata in Cristo, pur affrontando le tentazioni e le difficoltà del tutto normali per un neofita. Ma una grande prova doveva ostacolare il suo cammino: la salute precaria preoccupava non poco i suoi superiori e lo stesso P. Vincenzo Jandel, Maestro Generale, cercò una soluzione prospettandogli di finire il noviziato in Italia, dove avrebbe trovato un clima migliore. La sua angoscia fu grande, quando anche sua mamma andò a trovarlo col preciso intento di portarselo via. «Gesù, cambiate il cuore di mia madre» - scrisse sul suo taccuino il 25 gennaio 1857. Alla fine venne deciso, con un procedimento insolito per l’epoca, che egli facesse la professione non in modo perpetuo e definitivo, ma temporaneo, per due anni : ciò avvenne il 29 giugno 1857. In seguito, il Maestro Generale ritenne opportuno condurlo con sé a Roma  nell’intento di giovare alla sua salute e per avere vicino quel giovane che si rivelava ricco di doti religiose ed umane. Gli affidò l’incarico di sotto-maestro dei novizi, dimostrando in lui il massimo della fiducia, tenuto conto che non era ancora professo solenne. La sua salute, purtroppo, non migliorò. Venne a trovarlo sua mamma, affrontando un viaggio lungo ed insolito per lei, manifestandogli forse ancora una volta il desiderio che ritornasse ad essere semplice sacerdote nella sua città, ma ripartì convinta della vocazione religiosa del figlio, il quale lasciò detto a questo proposito:« Mia madre fece il suo sacrificio». Allo scadere dei due anni il P. Jandel, preoccupato della situazione, ne parlò direttamente al Papa Pio IX, il quale risolse la questione dicendo: «Che abbia almeno la consolazione di morire professo!»  In questa decisione di umano buon senso non era certo assente lo Spirito Santo, che doveva servirsi dell’opera di quel frate dalla salute delicata per altri…57 anni! Fra Giacinto Maria fece la sua Professione solenne il 23 maggio 1859, nella sala capitolare di Santa Sabina, e si impegnò a cercare la propria perfezione nella manifestazione concreta della Volontà di Dio:«Osserverò la mia regola in tutti gli incarichi, in tutti i luoghi che il Signore mi assegnerà e che sono altrettanti portici della sua casa, cioè del cielo». Queste disposizioni interiori erano davvero necessarie ad un religioso come lui, che avrebbe trascorso la sua vita implicato in incarichi di governo. Ebbe infatti affidatigli una graduale successione di incombenze. Cominciò con l’essere nominato sottopriore a Santa Sabina, poi maestro dei novizi a Corbara, in Corsica, e quasi subito anche priore nella medesima comunità, dove le preoccupazioni erano molte, comprese quelle finanziarie : «Dopo la virtù, quello che manca è il denaro», ebbe a dire. A trentatré anni, fu nominato primo provinciale della Provincia di Tolosa e Marsiglia appena restaurata. La sua mamma, felice di rivederlo nella sua terra, lo incoraggiò: «Gli altri hanno imparato, imparerai anche tu!». In questo incarico si rese partecipe della fondazione di due istituti domenicani: Suore dell’Immacolata Concezione di Tolosa e di Santa Caterina da Siena di Auch. Egli pose a fondamento del suo programma due basi solidissime: l’umiltà e l’unione, poi si mise al lavoro per solidificare ed ingrandire la nuova provincia. A tale opera si dedicò dal 1865 al 1891, durante i ventisei anni in cui fu ininterrottamente superiore, o come provinciale o come priore in diversi conventi; ispirò ogni sua azione alla tradizione domenicana ed attinse a piene mani dalle memorie  storiche dell’Ordine, tutto riconducendo ai disegni di Dio. Mantenne sempre una profonda e filiale venerazione per il P. Jandel, di cui si considerò discepolo fedele e ne pianse la “morte preziosa”, come egli stesso la definì nella biografia che gli dedicò. Affrontò con prudenza e coraggio le difficoltà e le persecuzioni che provenivano dalla situazione politica dell’epoca, che aveva soppresso le congregazioni religiose e permetteva saccheggi e violenze nei conv
enti. Si adoperò per la costruzione di chiese e conventi, ma soprattutto si affaticò per riportare allo splendore primitivo lo spirito religioso dell’autentica vita domenicana, servendosi delle visite canoniche per incoraggiare nel cammino dell’osservanza fedele e insistendo sulla pratica delle virtù basilari, tutte riconducibili alla carità. Si prodigò con amorevole attenzione anche per il ramo femminile dell’ordine, sia per le suore di clausura che per le nascenti congregazioni di vita apostolica. Per le monache furono fondati i monasteri di Saint-Maximin  e di Prouille: quest’ultimo sorse sul luogo dello storico monastero fondato da S. Domenico, che era stato completamente distrutto durante la rivoluzione francese, e P. Cormier potè introdurvi nella clausura le prime nove monache. Numerose furono in questo periodo le religiose domenicane del Terz’Ordine Regolare che egli aiutò a sorgere o a consolidarsi come congregazioni di vita attiva, seguendole passo passo nel loro sviluppo, animandole con la direzione spirituale e con la predicazione di ritiri, consigliandole in modo concreto nei dubbi e nelle incertezze: nel 1880 si occupò in modo particolare delle Domenicane di Albi. Non esisteva ancora il nome di “famiglia domenicana”, ma P. Cormier ne viveva la realtà, unendo i vari aspetti nell’unico carisma di S. Domenico. Nel 1891 fu eletto Maestro Generale il P. Andrea Frühwirth e prese con sé come “socio” per le province di lingua francese il P. Cormier, il quale giunse a Roma il 1° ottobre. L’incarico di assistente è fatto soprattutto di lavoro nascosto, spesso ingrato, che richiede oculatezza per gli affari dell’Ordine e spirito di abnegazione. L’ex provinciale di Tolosa, ormai sessantenne, aveva le doti necessarie per espletarlo con competenza e la fede robusta per esercitare anche nelle riunioni ecclesiastiche, secondo un suo scritto, «ogni sorta di virtù: preghiera, umiltà, saggezza, fiducia, semplicità, sincerità…». Anche a Roma continuò il suo apostolato presso le comunità religiose e proprio nel 1892 fu per la prima volta presente in occasione di vestizioni e professioni nella nostra Cappella di Casa Madre, in via degli Artisti, presenza che si ripeterà per ben diciotto volte, comprendendo pure la celebrazione di alcune solennità, fino a due anni prima della sua morte. Nel 1896 venne nominato Procuratore Generale dell’Ordine, perciò incaricato di mantenere i rapporti con le Congregazioni della S. Sede e con il Papa stesso. Come  prevedeva la consuetudine del tempo, dovette scegliere uno stemma ed un motto. Allo scudo dell’Ordine, bianco e nero, aggiunse il pellicano che nutre i suoi piccoli, immagine di Cristo, ed il suo motto fu: ”Caritas veritatis”, che egli stesso commentò così: “Donare la verità è la più bella carità”.   Ebbe molte preoccupazioni in quegli anni a causa delle ostilità del governo francese che voleva separazione netta tra Stato e Chiesa e ostacolava le congregazioni religiose con leggi contrarie. Il 21 maggio 1904 il Capitolo Generale tenutosi nel convento di S. Maria della Quercia (Viterbo) lo elesse 76° successore di S. Domenico, contrariamente ad ogni previsione umana, data la sua salute sempre precaria e l’età avanzata. Dio voleva attuare i suoi disegni proprio servendosi di uno strumento fisicamente inadatto, ma ricco dell’ energia spirituale che deriva dall’umiltà e dalla fiducia in Lui. Il suo generalato si svolse in un periodo molto difficile per la Chiesa cattolica, segnata dalla crisi modernista, dalla rottura dei rapporti col governo francese e dalle gravi tensioni che portarono l’Europa allo scoppio della prima guerra mondiale. Fu anche grazie alla sua saggezza e alla stima che di lui ebbero i Papi Leone XIII,  Pio X  e  Benedetto XV se l’Ordine domenicano superò coraggiosamente questo grave momento storico. Egli portò a termine il suo mandato di dodici anni, adempiendo i suoi doveri con regolarità: presiedette i capitoli generali stabili
ti dalle Costituzioni, effettuò le visite canoniche, regolò gli affari dell’Ordine, continuò ad occuparsi delle congregazioni femminili che si rivolgevano a lui… Ma si dedicò anche ad opere di notevole impulso per la vita dell’Ordine: fondò il Pontificio Collegio Angelico, oggi Pontificia Università S. Tommaso d’Aquino, comunemente chiamata l’Angelicum, sorvegliandone egli stesso la costruzione e cercando i fondi necessari; si occupò dell’Università di Friburgo, dove la Facoltà Teologica, affidata ai Domenicani, attraversava momenti difficili; protesse e sostenne col prestigio della sua insospettabile ortodossia la Scuola Biblica di Gerusalemme, che rischiava una condanna da parte della Chiesa; si adoperò molto perché  l’Università domenicana di Manila, dopo l’avvento del governo americano nelle Filippine, che fece costruire una Università laica,  mantenesse intatto il suo prestigio. Nel Capitolo tenutosi a Friburgo, il 3 agosto 1916  fu eletto suo successore l’olandese P. Theissling. Tornato a Roma, l’ottantaquattrenne P. Giacinto Maria si stabilì nel convento di S. Clemente, dove secondo lui era trattato in modo così confortevole, che sembrava gli si volesse « impedire di morire». Ma alla fine di novembre sopraggiunse una pleurite, alla quale il suo fisico non fu più in grado di reagire. Il 16 dicembre chiese che la comunità si radunasse intorno a lui per cantargli la Salve Regina, secondo la consuetudine domenicana. Disse con voce chiara:«Rinnovo i tre voti della mia professione e ringrazio Dio di avermi concesso di perseverare nella vita religiosa». Si spense il giorno dopo, mentre nella Chiesa della Minerva l’Ordine domenicano celebrava il settimo centenario della sua approvazione, alla cui commemorazione aveva contribuito con la sua ultima lettera ufficiale come Maestro dell’Ordine. Stimato ed amato da superiori e confratelli, P. Cormier morì lasciando in chi lo aveva avvicinato fama di santità: non una santità spettacolare, miracolistica, inimitabile, ma una santità del dovere quotidiano compiuto con amore e fedeltà , giorno per giorno, nell’eroicità di una vita silenziosa, attenta a non perdere le occasioni per i piccoli atti di virtù, pronta a donarsi per il bene degli altri con generosità, senza fuggire davanti alla croce e alle spine degli incarichi. Due caratteristiche, in particolare, vennero sottolineate da quanti lo conobbero: «Non aveva mai una parola cattiva o amara per nessuno» e «Non parlava mai di sé». Fu uomo di pace e di unità, perché profondamente umile, e seppe intervenire in ogni circostanza col dono della prudenza soprannaturale, tacendo o parlando nel modo giusto al momento opportuno, nella ricerca sincera e continua della Volontà di Dio su di sé e sugli altri. Fu beatificato da papa Giovanni Paolo II il 20 novembre 1994 ed il suo corpo riposa nella Chiesa dei Santi Domenico e Sisto, presso la quale si è trasferito l’Angelicum  nel 1931.
0 notes
Text
SEI CRISTIANO?
Tumblr media Tumblr media
  SEI CRISTIANO?
  L'italia è considerata la fonte primaria del Cristianesimo, infatti è qui che da secoli vi è la sede della chiesa cattolica. Ma è davvero la vera chiesa e L'italia  il centro del cristianesimo? Gli Italiani sono davvero Cristiani?   Le prime comunità cristiane, dette "chiese", non rispondevano, come oggi, a un capo supremo. Ogni chiesa eretta dal presbiterio, un consiglio di anziani scelti per la loro moralità e fede:i collaboratori del presbiterio erano i diaconi, incaricati di amministrare i beni della comunità e di svolgere opere di assistenza ai poveri e ai perseguitati. A capo di più chiese stava l'episcopo, il vescovo. Nella chiesa primitiva non esisteva alcuna distinzione tra sacerdoti e laici: spesso i pasti, a imitazione di quanto accadeva ai tempi di Gesù e degli apostoli, venivano consumati in comune e i membri della Chiesa vivevano assieme tutti i momenti religiosi e sociali più salienti. Nasce la Chiesa cattolica Più tardi, in ogni città importante, fu eletto un vescovo che spesso assunse anche veri propri poteri politici. A Roma, però, avevano affrontato il martirio Pietro, il pescatore di cafarnao, discepolo prediletto di Cristo, e Paolo di tarso, il colto divulgatore del cristianesimo nel mondo ellenico. Ecco perché, nel 451 d.C., durante il concilio di Calcedonia, antica città poco distante da Costantinopoli, il vescovo di Roma fu proclamato successore di Pietro e gli si attribuiva il titolo di Papa e di capo indiscusso della cristianità. Da questo momento la chiesa divenne "cattolica" e assunse una struttura fortemente accentrata: il Papa divenne garante del rispetto delle verità di fede e difensore della vera religione contro ogni eresia o deviazione. I vescovi conservarono il loro potere ma dovettero rispondere delle loro operato direttamente a Roma. Per tutto il primo millennio della storia ecclesiastica, nonostante le prime frammentazioni, il nucleo principale era ancora rappresentato dalla “Chiesa indivisa” comprendente, cioè, la maggior parte delle comunità cristiane formatesi all’interno dell’Impero romano, sia nell’Oriente (di lingua greca), sia nell’Occidente (di lingua latina). Le differenze fra queste due grandi aree iniziarono però ad accentuarsi nel corso dei secoli, probabilmente per ragioni storiche, culturali, politiche, tanto che poi queste differenze sfocarono, dal punto di vista politico, nella divisione dello stesso Impero romano in due parti, d’Oriente e d’Occidente: le comunità cristiane orientali continuano a vivere nell’ambito dell’Impero romano d’Oriente, che ha la sua capitale in Costantinopoli e durerà fino al secolo lo XV. Mentre quelle occidentali subiscono le conseguenze della caduta dell’Impero d'Occidente nel V secolo, delle invasioni barbariche, delle nuove formazioni etniche e politiche europee. In queste diverse situazioni politiche, anche le differenze culturali, già notevoli all’inizio e rafforzate dalla diversità di lingua, cominciarono a risultare sempre più evidenti e senza una possibilità di mediazione, tanto che anche l’impegno missionario assunse direzioni diverse: le comunità orientali si volgono principalmente alle popolazioni slave, quelle occidentali all’Europa del Nord. Tutti questi fattori concorrono ad allontanare sempre più la Chiesa greca da quella latina e all’inizio del secondo millennio porteranno all’aperta rottura, la quale avvenne ufficialmente nel 1054, quando i legati del Papa scomunicarono il Patriarca di Costantinopoli, Michele Cerulario, e questi a sua volta scomunicò la Chiesa romana. Tali scomuniche durarono fino al 1965, quando l’abbraccio fra Paolo VI e il Patriarca Atenagora I, anche se non ricondusse le due Chiese ad una piena comunione, ristabilì certamente un clima di fraterna concordia. Dopo la frattura del 1054, la “Chiesa indivisa” si scinde dunque in due grandi aggregazioni   - Chiesa cattolica, quella occidentale, che riconosce il primato del Vescovo di Roma e fa proprio il nome di Chiesa “cattolica” dal greco katholikòs che significa universale   - Chiesa orientale, che si raccoglie intorno al Patriarcato di Costantinopoli, si riserva il titolo assunto dalle Chiese fedeli al Concilio di Calcedonia, cioè si definisce “ortodossa” dal greco orthòs, ovvero giusto e dòxa, che si può tradurre come opinione o dottrina, dunque “che professa la retta dottrina di fede”.   I contrasti s’inasprirono all’epoca delle crociate, quando le armate della cristianità occidentale conquistarono Costantinopoli (1204) e v’imposero un Patriarca latino: cercarono di porvi rimedio i Concili di Lione (1274) e di Firenze (1439): ma non fu trovata la via per una piena riconciliazione. Grandi passi in questo senso sono stati fatti negli ultimi decenni, a partire dal Concilio Vaticano II; ma i profondi sommovimenti avvenuti nell’Europa dell’Est dopo la caduta dei regimi comunisti hanno introdotto nuovi motivi di rivalità e di conflitto. Quindi la Chiesa cattolica è solo una parte della Chiesa Originale Apostolica. Tra l'altro .... nel 1517 inizio una nuova scissione con la nascita del protestantesimo. Il protestantesimo è una branca del cristianesimo moderno. Sorta nel XVI secolo in Germania e in Svizzera in contrasto con l'insegnamento della Chiesa cattolica, considerata non solo nella prassi, ma anche nella dottrina non più conforme alla Parola di Dio, a seguito del movimento politico e religioso, noto come riforma protestante, derivato dalla predicazione dei riformatori, fra i quali i più importanti sono Martin Lutero, Ulrico Zwingli, Giovanni Calvino e John Knox, il tutto circa un secolo dopo il tentativo riformatore da parte di Jan Hus nella vicina Boemia e quasi due dopo quello di John Wyclif in Inghilterra, e circa più di tre secoli dopo la fondazione del valdismo (poi confluito nel protestantesimo) ad opera di Pietro Valdo nell'Italia del Nord e in Francia del Sud. Il Protestantesimo prende origine inizialmente dalla protesta del frate agostiniano Martin Lutero, docente di teologia all'università di Wittenberg. Questi il 31 ottobre 1517, irritato dalla predicazione del frate domenicano Johann Tetzel, pubblicò 95 tesi, elenco di quaestiones da sottoporre a pubblico dibattito su simonia, dottrina delle indulgenze e suffragio dei defunti nel purgatorio, intercessione e culto dei santi e delle loro immagini, che perciò andavano a toccare punti nodali dell'ecclesiologia medievale. Da allora la galassia delle chiese protestanti è diventato davvero enorme ognuna con una sua idelogia e "interpretazione" della parola di Dio. Quindi possiamo affermare che la Chiesa Cattolica non il centro del Cristianesimo anzi visto il suo comportamento nei secoli (guerre, inquisizione, persecuzioni, omicidi, malaffare..) e nella epoca attuale, implicata in tante attivita poco chiare, pare davvero arduo riuscire a pensare che sia la chiesa di Dio e la rappresentanza in terra di Cristo! Gli Italiani non sono Cristiani posso affermare con certezza che sono Cristiani solo perche nascono in una nazione in cui per "regola" il popolo e cristianoe perche per usanza si fanno battezzare i neonati in chiesa, ma di fatto praticamente quasi la totalità del popolo Italiano non ha mai letto la Bibbia anzi non ne possiede neanche una copia e in special modo alle generazioni giovani non interessa manco lontamente possederne una copia o conoscere mezza frase di Cristo. Le persone che frequentano la "messa Cattolica" lo fanno per abitudine o perchè cercano "conforto o risposte" ma i sacerdoti cattolici non gli danno risposte non li invitano o li aiutano a studiare la parola di Dio. Si limitano a recitare una "Messa" scritta su un foglietto ugale per tutte le chiese,  a dire dei "sermoncini" senza collegamento alla comunità... o Semplicemente delle parole di "riempimento". La comunita dei praticanti cattolici e di una ignoranza sui temi della Bibbia a livelli di analfabetismo funzionale. Infatti sono facilmente preda di gruppi come i "Testimoni di Geova" che possono facilmente citando qualche scrittura "manipolata" meterli in dubbio e arruolarli nella loro comunità! (vedi articolo in questo sito chiesadidio.church/testimoni-di-geova-testimoni-di-verita) e anche di altre "sette" religiose che promettono una via di salvezza e benessere in questo mondo.  Ma gli Italiani non si sognano neanche di dire "Signore Signore" anzi manco gli passa questo pensiero per la testa, quindi la fase sucessiva "se uno mi ama .... osserverà la mia parola" non esiste assolutamente, anche per il fatto che gli Italiani non conoscono la parola anzi le parole di Cristo! E se provi a drgliele rischi di essere cacciato in malo modo e qualcuno magari usa metodi anche più "persuasivi"! Diciamolo Francamente gli Italiani sono fondamentalmente Atei e Menefregristi (come di fatto tutti i restanti popoli Europei) e di Cristiano hanno solo un "Pecetta" messa alla nascita. A conclusione di questo articolo alcune Frasi di Gesù Cristo ...   - „ Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!“ - „Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici.“ - „Vi è più gioia nel dare che nel ricevere!“ - „Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita.“ - „Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato.“ - „Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me.“ - „E non chiamate nessuno "padre" sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello del cielo.“ E COME CHIAMANO IL PAPA? "SANTO PADRE! be Gesù dice che non si deve fare.... (e fare una cosa vietata da Cristo fa della chiesa Cattolica la sua rappresentante?)  - „Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà. Qual vantaggio infatti avrà l'uomo se guadagnerà il mondo intero, e poi perderà la propria anima? O che cosa l'uomo potrà dare in cambio della propria anima?“ - „Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno.“ - „Ama il prossimo tuo come te stesso.“ - „Perché guardi la pagliuzza che è nell'occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo? Come puoi dire al tuo fratello: «Permetti che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio», mentre tu non vedi la trave che è nel tuo? Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio e allora potrai vederci bene nel togliere la pagliuzza dall'occhio del tuo fratello.“ - „Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi.“ - „Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri.“ - „Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce.“ e questa frase che le chiese occultano!  „Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada. Sono venuto infatti a separare il figlio dal padre, la figlia dalla madre, la nuora dalla suocera: e i nemici dell'uomo saranno quelli della sua casa. Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me; chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me.“ - „Come avvenne anche al tempo di Lot: mangiavano, bevevano, compravano, vendevano, piantavano, costruivano; ma nel giorno in cui Lot uscì da Sodoma piovve fuoco e zolfo dal cielo e li fece perire tutti. Così sarà nel giorno in cui il Figlio dell'uomo si rivelerà.“ - „Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama. Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch'io lo amerò e mi manifesterò a lui.“ Quanti Italiani "Cristiani" mettono in pratica questa ultima frase? Quanti Cristiani nel mondo lo fanno? quindi la conclusione è una sola i veri Cristiani sono davvero pochi. E tu Sei Cristiano o Ateo o Bugiardo?  Read the full article
0 notes
Photo
Tumblr media
MERCOLEDI 04 GENNAIO 2023 - ♦️🔸SANT'ANGELA DA FOLIGNO🔸♦️ Angela da Foligno (Foligno, 1248 – Foligno, 4 gennaio 1309) è stata una mistica e terziaria francescana italiana, beatificata nel 1693 da papa Innocenzo XII e canonizzata per equipollenza da papa Francesco il 9 ottobre 2013. Angela nacque in una famiglia di Foligno, si sposò in giovane età e trascorse una vita "selvaggia, adultera e sacrilega"[2]. Dopo una giovinezza della quale non conosciamo praticamente nessun particolare, Angela si convertì tramite una confessione al cappellano del vescovo in una data che gli studiosi collocano all'incirca verso il 1285. Dopo la morte del marito, dei figli e della madre, entrò nel Terz'ordine Francescano nel 1291 (altra data ipotetica), vivendo sull'esempio di Francesco d'Assisi in penitenza e nella radicale imitazione di Gesù Cristo, meditando soprattutto la sua Passione, come fece Margherita da Cortona e più tardi Camilla da Varano, ossia la clarissa suor Battista. Angela da Foligno morì il 4 gennaio 1309, come è scritto in uno dei diversi codici manoscritti del Liber[3] e venne da sempre venerata con il titolo di Beata e Magistra Theologorum, ossia Maestra dei Teologi, perché in vita attorno a lei si era raccolto un Cenacolo di figli spirituali, tra i quali si annovera Ubertino da Casale. Il suo corpo riposa a Foligno nella chiesa di San Francesco e santuario di Santa Angela. Da Il Santo del Giorno Tradizioni Barcellona Pozzo di Gotto - Sicilia Sicilia Terra di Tradizioni #Tradizioni_Barcellona_Pozzo_di_Gotto_Sicilia #Sicilia_Terra_di_Tradizioni Rubrica #Santo_del_Giorno (presso Tradizioni Barcellona Pozzo di Gotto - Sicilia) https://www.instagram.com/p/Cm_yh0us7pd/?igshid=NGJjMDIxMWI=
0 notes
lamilanomagazine · 2 years
Text
Bologna, Verità e illusione: mostra di figure in cera
Bologna, Verità e illusione: mostra di figure in cera. La mostra Verità e illusione. Figure in cera del Settecento bolognese - allestita al Museo Civico d'Arte Industriale e Galleria Davia Bargellini dal 19 novembre 2022 al 12 marzo 2023 con la curatela di Massimo Medica, Mark Gregory D'Apuzzo, Ilaria Bianchi e Irene Graziani - si configura come primo evento espositivo organicamente incentrato sulla ritrattistica in cera realizzata in ambito bolognese durante il Settecento, secolo che conobbe il maggiore rilancio dell'arte antica e intrigante della ceroplastica già praticata nelle epoche classiche e medievali. Dopo due importanti progetti espositivi che in anni recenti, a Venezia nel 2012 e a Francoforte sul Meno nel 2014, hanno segnato la riscoperta di una produzione ingiustamente dimenticata offrendone nuove chiavi di lettura, la storia di queste effigi artificiose a grandezza naturale dalle possibilità illusionistiche ambiguamente più reali del reale appare ancora oggi in grande parte da scrivere. Forma artistica scarsamente indagata dal circuito accademico per via dell'antico pregiudizio verso una materia metamorfica considerata priva di valore estetico e una tecnica in bilico tra arte e artigianato, proprio nel capoluogo emiliano, durante il XVIII secolo, la ritrattistica scultorea in cera ebbe un ruolo di primaria importanza godendo di fortuna e apprezzamento come rappresentazione congeniale ad una triplice funzione: la trattazione delle discipline scientifiche avviata nella rinomata scuola di anatomia umana dell'Università, la raffigurazione del potere e la devozione religiosa. Promossa dai Musei Civici d'Arte Antica di Bologna in collaborazione con il Museo di Palazzo Poggi afferente al Sistema Museale di Ateneo | Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, l'esposizione intende far conoscere al pubblico e rivalutare in una giusta prospettiva l'indubbia qualità di quanto ancora sopravvive di una produzione che, secondo le fonti documentarie, fu assai ricca e vide impegnati abilissimi scultori. A ricondurre con piena dignità questo patrimonio nel clima della gloriosa civiltà figurativa del Settecento bolognese fu lo storico dell'arte Andrea Emiliani, alla cui memoria l'iniziativa è significativamente dedicata, autore nel 1960 di un fondamentale saggio, ora ripubblicato nel catalogo che accompagna la mostra, in cui vi riconobbe una "realizzata unità fra imitazione, anzi super-imitazione del vero, e fantasia ricreante" in grado di evocare "un’allusione sconcertante all’umano". A partire dal nucleo di opere conservato al Museo Civico d'Arte Industriale e Galleria Davia Bargellini, il progetto espositivo traccia un ampio e dettagliato panorama dell'officina ceroplastica a Bologna riunendo per la prima volta 18 opere, di cui 16 figure in cera e 2 terrecotte, di notevole fattura presenti in raccolte museali ed edifici di culto cittadini, potendo inoltre godere del prestito straordinario di pezzi appartenenti a collezioni private e dunque raramente visibili. Accanto al Ritratto del conte senatore Paolo Patrizio Zambeccari (1670-1756) di Nicola Toselli esposto unicamente nella Mostra del Settecento Bolognese curata da Guido Zucchini nel 1935 a Palazzo d'Accursio, sono 3 i manufatti inediti visibili per la prima volta: la testa di Cristo in cera policroma, attualmente conservata presso il Museo provinciale dei Cappuccini di Bologna e attribuita a ceroplasta emiliano, e i due busti di San Carlo Borromeo e San Filippo Neri riferibili a Luigi Dardani, provenienti dal coretto della chiesa di Santa Maria di Galliera. Il rinnovato interesse che la ricognizione si propone di sollevare verso un capitolo della storia dell'arte poco conosciuto al pubblico costituisce dunque un importante momento di aggiornamento degli studi, anche grazie ai restauri conservativi operati in vista dell'evento espositivo, e di nuovi riposizionamenti attributivi in un ambito produttivo storicamente travagliato da incertezze interpretative. Il percorso espositivo si estende, naturalĭter, nella seconda sede del Museo di Palazzo Poggi dove si trova la "Camera della Notomia" dell'Istituto delle Scienze con la serie di otto statue in cera - di cui due nudi raffiguranti Adamo ed Eva, quattro Spellati e due scheletri - progettate ed eseguite tra il 1742 e il 1751 dal pittore, scultore e architetto Ercole Lelli su commissione del Cardinale Prospero Lorenzo Lambertini, asceso al soglio pontificio nel 1740 con il nome di Benedetto XIV. In una temperie di rinnovato fervore della vita culturale cittadina per impulso dell'ecclesiastico bolognese, la presenza di una fiorente scuola di studi anatomici favorì l'affermazione di Bologna come capitale della ceroplastica scientifica, con la formazione della prima vera scuola di modellatori in cera. Le prerogative di questa tecnica, tali da imitare la consistenza ed il colorito anche delle membrane più sottili e quasi invisibili, ne fecero, infatti, uno strumento assai efficace per scopi didattici. L'impegno strettamente connesso al mondo della scienza medica del capostipite della scuola bolognese Ercole Lelli venne in seguito assunto dai celebri coniugi Giovanni Manzolini e Anna Morandi, creatori di decine di preparazioni anatomiche in cera, anch'esse conservate nelle collezioni storiche dell'ateneo bolognese, che diedero un fondamentale contributo all'avanzamento delle conoscenze di anatomia e di fisiologia grazie alla rappresentazione di parti del corpo umano di raffinatezza e minuzia tecnica del tutto straordinari per l'epoca e ammirati in tutta Europa. Non solo per l'uso empirista guidato dalle prime pulsioni illuministe la città felsinea fu luogo di elezione per la produzione plastica in cera, come già non aveva mancato di rilevare il grande storico dell'arte austriaco Julius von Schlosser nella sua pionieristica Storia del ritratto in cera pubblicata nel 1911, dove ne sottolinea il contesto di “fruttuoso campo di azione nella scultura popolare religiosa”. Nella Bologna di Papa Benedetto XIV la ceroplastica si ritagliò infatti uno spazio di affermazione più ampio, ponendosi quasi a concorrenza con le altre arti tradizionali (la pittura, la scultura in terracotta), riuscendo a soddisfare le richieste di una committenza sedotta dall'alto potenziale di verosomiglianza garantito dalla modellazione in cera associata ad altri materiali. Ben compresa dal mondo della scienza, la strabiliante capacità di riproduzione del reale, di assoluta efficacia a fini didattici, si sarebbe infatti rivelata ugualmente strategica nel genere iconografico del ritratto "fra il documentario e l'agiografico", secondo la definizione di Stefano Tumidei. Costituite da più parti i cui componenti erano ottenuti tramite modelli e calchi, le figure in cera venivano montate su strutture portanti, forme in legno imbottite o addirittura veri scheletri. La cera, miscelata ai diversi colori, veniva colata in sottili strati, rifinita con la stecca e con velature dipinte, quindi verniciata. L'applicazione di capelli, occhi in vetro, accessori metallici e vestiti di stoffe preziose e l'animazione del volto assicuravano risultati di impressionante realismo. L'inserimento entro teche di vetro ne salvaguardava l'integrità, oltre a circoscriverne sapientemente l'ambientazione entro una sorta di scatola scenica. Ad inaugurare pubblicamente questa tipologia compositiva è il busto raffigurante Anna Maria Calegari Zucchini (1643-1741), tessitrice di modeste origini e analfabeta che ebbe fama di donna devota e in odore di santità, commissionato allo scultore Angelo Gabriello Piò ma eseguito dall'allievo Filippo Scandellari, che ne rivendicò la paternità dichiarandosi il primo ad aver introdotto a Bologna l'uso di realizzare figure in cera colorata. In questa creazione l'autore riesce a infondere forma sensibile alla profonda dimensione di fede della donna, che ha sopportato con gioia sofferenze e privazioni, incarnando un nuovo modello di santità presentato alla cittadinanza. Strumento efficace di edificazione, la ceroplastica non solo si prestava perfettamente alla divulgazione di nuovi modelli di venerabilità, ma spesso si poneva al servizio delle devozioni dal carattere maggiormente empatico. Si diffonde infatti anche una produzione di soggetti religiosi (Santa Famiglia, Ecce Homo, Maria Addolorata, santi), e soprattutto di busti a grandezza naturale che raffigurano personaggi dalla condotta di vita esemplare di cui si vuole promuovere il culto, come nel caso del busto di Padre Ercole Maria Giuseppe Isolani di cui è artefice lo stesso Scandellari. Perfettamente rispondenti ad un'esigenza di aderenza al "vero" e al "vivo", le figure in cera conquistano anche la dimensione mondana come nel caso dei magnifici ritratti degli aristocratici Francesco e Paolo Patrizio Zambeccari, appartenenti a una delle famiglie più importanti a Bologna per attività collezionistica, modellati, rispettivamente, da Luigi Dardani e Niccolò Toselli. Ma nella rassegna non mancano i borghesi (il ritratto commemorativo dell'architetto Carlo Francesco Dotti attribuito ad Angelo Gabriello Piò) e i "villani" (purtroppo perduti Il Fattore e La Fattoressa di Casa Ghisilieri). Documentata dalle fonti, ma anche da alcune testimonianze superstiti, anche la "testa di carattere" o "testa d'espressione" è una tipologia affrontata dalla ceroplastica. Se talvolta pare più evidente l'allusione a significati allegorici moraleggianti sottesi alla raffigurazione di semplici "villani", altre volte la presentazione di giovani di estrazione sociale non agiata sembra priva di ulteriori intenzioni e motivata unicamente dalla volontà di riconoscere il valore morale di un'umanità umile per origini, ma capace di fondare la propria esistenza su valori semplici e onesti. Così sembrerebbero indicare i due fanciulli della Fondazione Cavallini Sgarbi, ancora in cerca della mano dell'autore, che si pongono tuttavia come un corrispettivo delle più brillanti proposte pittoriche avanzate dagli anni Sessanta del Settecento dai talentuosi Ubaldo e Gaetano Gandolfi. Alcune cere non bolognesi del Museo Civico d'Arte Industriale e Galleria Davia Bargellini consentono di estendere lo sguardo sulla ceroplastica europea coeva all'epoca qui considerata. Dalla Germania provengono il Filosofo morente e il Matematico di Caspar Bernhard Hardy modellatore molto ammirato dai contemporanei, tra cui Johann Wolfgang Goethe. Interessato agli studi di fisiognomica di Johann Caspar Làvater, Hardy raffigura spesso i tipi umani per coppie antitetiche con l'intento di alludere a diverse o opposte qualità morali. Dalla Francia proviene invece il medaglione con Profilo femminile, probabile ritratto della principessa di Lamballe o della regina Marie-Antoinette, eseguito da un ignoto settecentesco verosimilmente negli anni della Rivoluzione francese. Come suggerisce il titolo, la mostra intende giocare sull'antitesi tra verità e illusione, cioè sull'apparente contrasto fra gli effetti di conturbante iperrealtà da un lato, e l'inganno dei sensi dall'altro, che il virtuosismo mimetico dell'arte della ceroplastica era in grado di procurare allo spettatore come commistione tra immagine e vita. E lo è tuttora, come immutato è il rapporto dell'uomo con la morte e con il divino. Il progetto espositivo si avvale di un comitato scientifico composto da Massimo Medica, Mark Gregory D'Apuzzo, Roberto Balzani, Ilaria Bianchi, Lucia Corrain, Irene Graziani e Antonella Mampieri. Il catalogo, a cura di Mark Gregory D’Apuzzo e Massimo Medica, viene pubblicato da Silvana Editoriale e contiene le prefazioni istituzionali di Osvaldo Panaro e Roberto Balzani; i saggi di Andrea Emiliani, Ilaria Bianchi, Lucia Corrain, Antonella Mampieri, Irene Graziani, Massimo Medica, Mark Gregory D'Apuzzo, Laura Speranza, Anna Maria Bertoli Bersotti; le schede critiche e la riproduzione a colori di tutte le opere esposte, comprensiva di una nuova campagna fotografica realizzata da Roberto Serra. Gli organizzatori della mostra desiderano rivolgere un ringraziamento particolare a Butterfly Trasporti e Oasi Allestimento per il generoso supporto. Per il prestito delle statue in cera di San Filippo Neri e di San Carlo Borromeo di Luigi Dardani, si ringrazia la Direzione Centrale degli Affari dei Culti e l'Amministrazione del Fondo Edifici di Culto del Ministero dell'Interno, in qualità di soggetto proprietario. La mostra è a ingresso gratuito. Con il titolo di ingresso al Museo Civico d'Arte Industriale e Galleria Davia Bargellini si accede a tariffa ridotta alla sede espositiva del Museo di Palazzo Poggi. Durante il periodo di apertura sono previste visite guidate per il pubblico adulto, attività laboratoriali per bambini e conferenze. Per modalità di prenotazione e costi di partecipazione di ogni appuntamento si invita a consultare i siti web Musei Bologna e Unibo.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
0 notes
zurich-snows · 2 years
Photo
Tumblr media
Roberto Cuoghi, Imitazione di Cristo (The Imitation of Christ), fragment from the figures of Christ recomposed on a dark wall; photos © Tanya Rusnak
info
26 notes · View notes
jorgedaburgos · 3 years
Text
Buona notte!
Tumblr media
1 note · View note
jamesvip65 · 13 years
Quote
Beate le orecchie che colgono la preziosa e discreta voce di Dio, e non tengono alcun conto dei discorsi di questo mondo. Veramente beate le orecchie che danno retta, non alla voce che risuona dal di fuori, ma alla verità che ammaestra dal di dentro.
Imitazione di Cristo
0 notes
incamminoblog · 1 year
Text
Dal libro della «Imitazione di Cristo»La verità del Signore rimane in eterno
Dal libro della «Imitazione di Cristo»(Lib. 3, 14)La verità del Signore rimane in eterno     Tu tuoni sopra di me i tuoi giudizi, o Signore, e di timore e tremore scuoti tutte le mie ossa.L’anima mia è molto sbigottita.    Rimango attonito e considero che i cieli non sono puri ai tuoi occhi. Se hai trovato difetti negli angeli (cfr. Gb 15, 15; 4, 18) e non li hai risparmiati, che cosa avverrà di…
Tumblr media
View On WordPress
0 notes
incamminoblog · 1 year
Text
DAL LIBRO DELLA «IMITAZIONE DI CRISTO»"DIO PARLÒ AI PROFETI E PARLA A TUTTI"
Dal libro della «Imitazione di Cristo»(Lib. 3, 3)Dio parlò ai profeti e parla a tutti     Il Signore dice: Ascolta, figlio, le mie parole, parole soavissime che oltrepassano ogni scienza difilosofi e di sapienti del mondo. Le mie parole sono spirito e vita (cfr. Gv 6, 63), né sono da pesare con la bilancia del senso umano, né da giudicare in base al gradimento degli uomini, ma da ascoltare…
Tumblr media
View On WordPress
0 notes
amicidomenicani · 1 year
Text
Quesito Buonasera Padre, mi potrebbe spiegare cosa sia un sacramentale? Grazie mille. Risposta del sacerdote Carissimo,  1. il codice di diritto canonico presenta i sacramentali in questo modo: “I sacramentali sono segni sacri con cui, per una qualche imitazione dei sacramenti, vengono significati e ottenuti per l'impetrazione della Chiesa, effetti soprattutto spirituali" (can.1166). Sono sacramentali tutti quei riti e quelle cerimonie che si fanno nella celebrazione dei sacramenti e che non costituiscono l'essenza del sacramento. Ad esempio, nel battesimo l'essenza del sacramento è costituita dall’effusione dell’acqua sul battezzando pronunciando le debite parole da parte del ministro. Tutti gli altri riti come il segno della croce, l’esorcismo, l’unzione col sacro crisma, la benedizione finale, la veste bianca, la candela accesa, il cero pasquale… sono sacramentali. 2. Si distinguono dai sacramenti essenzialmente per due motivi. Il primo: perché i sacramenti sono stati istituiti da Cristo, mentre i sacramentali sono istituiti dalla Chiesa. Il secondo: i sacramenti sono efficaci ex opere operato, mentre i sacramentali sono efficaci ex opere operantis, anzi, ex opere operantis Ecclesiae. Ex opere operato significa che per la loro stessa celebrazione producono effetto.  I sacramentali invece sono efficaci dipendentemente dalla devozione della Chiesa. L'intercessione della Chiesa è particolarmente potente sebbene non sia infallibile come quella dei sacramenti. Nei sacramentali la Chiesa chiede a Dio per coloro che ne usano degnamente l'effetto spirituale per il quale sono stati istituiti. 3. I sacramentali si distinguono in due classi: esorcismi e benedizioni. Gli esorcismi consistono nell'imposizione delle mani e nella recita di alcune preghiere allo scopo di espellere il demonio da coloro che ne sono posseduti. Le benedizioni, che sono una effusione di doni celesti, si distinguono in benedizioni costitutive e invocative. Le benedizioni costitutive si applicano agli uomini e anche agli oggetti (ad esempio i calici) allo scopo di consacrarli, e cioè di destinarli esclusivamente al culto di Dio. Le benedizioni invocative vengono date agli uomini per ottenere qualche beneficio divino. Vengono date anche alle cose affinché il loro uso giovi alla salute dell'anima e del corpo. Ad esempio, è un sacramentale la benedizione della mensa. 4. A proposito dei sacramentali San Tommaso scrive: “L'acqua benedetta e le altre cose consacrate non si chiamano sacramenti, perché il loro uso non produce l'effetto proprio dei sacramenti, e cioè il conferimento della grazia. Queste realtà dispongono a ricevere i sacramenti sia allontanando gli ostacoli, come l'acqua benedetta che è usata contro gli assalti del demonio e i peccati veniali, sia facilitandone il compimento e l'amministrazione, come l'altare e i vasi sacri che sono consacrati per il rispetto dovuto all'eucaristia (Somma teologica, III, 65, 1, ad 6). 5. Sono sacramentali anche gli oggetti che vengono benedetti, come il crocifisso, la corona del Santo Rosario, le medaglie… A questo proposito il domenicano A. Sertillanges scrive: “Gli effetti che da essi si attendono sono quelli che richiede la vita cristiana: la purificazione dell’anima, la soddisfazione della giustizia per le nostre colpe, l’espulsione degli spiriti maligni, il sollievo delle nostre pene se il nostro Padre celeste lo trova opportuno, l’allontanamento dei flagelli sotto le stesse condizioni e la libertà interiore dei figli di Dio. Tali sono quelli che registra la teologia. Gesti minuscoli e familiari, cose da nulla: un’aspersione, una croce tracciata sulla fronte o sul petto, una formula: queste cose, entrando nella grande corrente religiosa, diventano efficaci. E lo diventano a cagione della nostra costituzione psicologica nella quale il sensibile ha tanta parte. Lo diventano anche a cagione dell’istituzione della Chiesa che ha il potere di captare forze superiori: forza di associaz
ione che è creatrice riguarda l’individuo; forza del Redentore, nel quale la società cristiana trova il suo centro; forza di Dio che è congiunto al Redentore e che, per mezzo di lui e della chiesa, e congiunto con noi” (L’Eglise, II, p. 4). Con l’augurio che l’uso dei sacramentali sia di grande beneficio per te e ti introduca sempre di più nella vita di Dio ti benedico e ti ricordo nella preghiera. Padre Angelo
0 notes