#Golena del Po
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pier-carlo-universe · 14 days ago
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"Le streghe non dormono" di Alice Bassoli. Recensione di Alessandria today
📖 Titolo: Le streghe non dormono✍️ Autore: Alice Bassoli📅 Data di pubblicazione: 4 febbraio 2025📚 Genere: Thriller, Giallo psicologico, Narrativa contemporanea⭐ Valutazione: ★★★★☆ (4.1/5) Una casa semidiroccata nella golena del Po, un gruppo di ragazzini annoiati e una notte che cambierà per sempre il destino di Fossanera. Le streghe non dormono di Alice Bassoli è un romanzo avvolgente e…
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sanzameta · 4 months ago
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Il sogno nella Golena
Nella golena del fiume Po (la Golena di Veratto, Piacenza), c’è una azienda agricola che da 19 anni viene gestita da Camilla che, nel momento che prese in mano i campi di famiglia, la cambiò passando da una agricoltura ti tipo convenzionale ad una azienda sostenibile che si dedica alla ricerca dei cultivar storici del piacentino. Ora si coltivano erbe officinali: alloro, origano, salvia, timo,…
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Schiacciato da una ruspa in una cava, muore operaio 68enne
Un uomo di 68 anni è morto schiacciato da una ruspa nell’area delle cave dell’impresa Bacchi, nella golena del Po a Guastalla, nella Bassa Reggiana. È successo poco dopo le 9. Stando alle prime ricostruzioni, la vittima – un operaio, addetto alla guida dei camion – si trovava vicino al suo mezzo in attesa di essere caricato di sabbia da una ruspa condotta da un altro operaio. Quest’ultimo, in…
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radiciposterzine-blog · 7 years ago
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Una storia non del tutto inventata
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CAPITOLO 1 "progetti"
Ore 19:15 solito aperitivo “vetrina” dove i più si guardano in giro fingendo di aspettare qualcuno o rileggono i messaggi di whatsapp per mostrarsi occupati. Mi annoio, da quando è nata questa cosa degli aperitivi forzati il mercoledì e ogni sera del weekend, la cosa del trovarsi con gli amici ha perso un po’ senso, spesso non abbiamo niente da raccontarci e finiamo col criticare questa o quella persona. <Hey Matte! ti ho mai parlato dell’idea dell’ex macello?> <No Nico, mi ricordo che mi avevi parlato di costruire una palafitta in golena…> <Ah si! beh, quella era un’altra idea che prima o poi si farà! no, no, quindi non ti ho mai detto del collettivo?! sarà una cosa figa!>.
CAPITOLO 2 "tanti progetti"
Giro in bici. Quanto è bella la nostra terra?! In dieci minuti passi da strade asfaltate a caradoni ghiaiati (strade bianche) con solchi di 30 centimetri scavati dai trattori. <Ohi Fabri, non sarebbe bello creare una rete di ciclabili che passano per il Po e uniscono l’Emilia alle altre regioni?! un po’ come nella zona del lago (per lago noi intendiamo quello di Garda)> <è si Nico! però sai quanti traffici bisogna fare? poi siamo in Italia…> <si ok! bisognerebbe parlare con qualcuno del comune o un’urbanista…> <Nico, e l’idea della zattera?!> <è si, il progetto l’ho disegnato ma devo trovare collaboratori> .
CAPITOLO 3  "non è vero che non ricordo. Ricordo anche il nome del pub! ma non ha importanza…"
Serata tranquilla di un weekend tranquillo. Decidiamo di spostarci in un altra città par evitare i soliti due pub e per non vedere le stesse facce. <ohi Nico, io vorrei scrivere, cioè, scrivo già ma vorrei fare qualcosa, un blog o una rivista.> <Ah si sere?! spiegami.>.
CAPITOLO 4  “Si fa!”
Tum Patum-za Tum, Padova, capodanno 2017 e Reggaeton, la mezzanotte è passata già da un po’ e ora si balla e si beve per inerzia, alcuni ballano e si fanno foto con lo spumante magnum di Pier… <Nico, spiegami, allora fate una rivista te e la Sere?!> <Si Verdi!! sarà figo! e non sarà solo una rivista, coinvolgeremo tanta gente!> la vedo, mi guarda come si guarda uno che straparla. E infatti <Tu Nico hai sempre mille progetti!> non le do torto… < si, Ma stavolta SI FA!>.
La Sere non è sintetica quindi lo sarò io ;)
Grazie a chi c'è stato, a chi c'è e a chi ci sarà!
Di Nicolò Artoni
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freedomtripitaly · 5 years ago
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Dici “Emilia Romagna” e immagini relax e spensieratezza. È questo l’effetto che fa questa splendida Regione, patria italiana del divertimento e del turismo. Anche lento. Un tipo di turismo che si sviluppa tra splendidi paesaggi fatti di colline, sentieri nel verde, borghi, rocche medievali nei pressi di bellissime città d’arte a misura d’uomo. Nel piacentino c’è il Parco regionale fluviale del Trebbia, che va dal borgo di Rivergaro fino alla confluenza nel Po. Il greto e i terrazzi sono luoghi amatissimi dagli appassionati di birdwatching, ai quali non sfugge l’occhione che il parco ha scelto come simbolo. Il rarissimo volatile è però solo una delle meraviglie che si possono osservare in un’area colorata dalla fioritura di orchidee. Qui, il castello di Rivalta, in particolare, ancora animato dall’antico spirito di conquista, sembra volersi appropriare del corso d’acqua del quale sorveglia il movimento. Dai pressi della rocca, partono alcuni dei sentieri che permettono di toccare da vicino la golena, camminando per strade campestri o immergendosi in un ambiente selvaggio. Alle porte di Reggio Emilia c’è poi la Riserva naturale Rupe di Campotrera, nei pressi del castello di Rossena e non lontano dalle vestigia del famoso castello Canossa, sorti su delle rupi nell’epoca medievale in cui visse Matilde di Canossa, così come la vicina torre di Rossenella. Una passeggiata qui permette di osservare l’aspetto rupestre e selvaggio della zona, i rari minerali, le piante tipiche degli ambienti rupicoli e l’interessante avifauna che trova rifugio sulle pareti del rilievo sono gli elementi di maggiore attrazione dell’area protetta. I castelli della donna più importante del suo tempo diventano lo spunto per scoprire paesaggi naturali aspri e incantevoli, tra orizzonti lunari di calanchi e affreschi boschivi che incorniciano mulattiere, borghi e affascinanti rocche incastonati nel Parco nazionale dell’Appennino tosco-emiliano. Vicino a Parma, la Riserva naturale dei Ghirardi occupa 370 ettari, uno spazio sufficiente per sfoderare un campionario di boschi, radure e corsi d’acqua che fanno di quest’area un trionfo della diversità ecologica. Querce, castagni e faggi si alternano a prati fioriti, dai quali contemplare il volo dei rapaci e osservare le corse di daini e caprioli. La flora e gli habitat dell’Appennino settentrionale sono il cuore del “Percorso Natura” che parte dal Centro visite di Predelle ma anche gli altri sentieri, liberamente accessibili e identificati da quattro colori, offrono l’opportunità di addentrarsi in un universo di giganti verdi e calanchi. All’Oasi dei Ghirardi si possono fare anche attività guidate a cavallo. La rocca di Canossa @Simone Lugarini https://ift.tt/2AGns1P In Emilia, itinerari naturali tra fiumi, boschi, rocce e rocche Dici “Emilia Romagna” e immagini relax e spensieratezza. È questo l’effetto che fa questa splendida Regione, patria italiana del divertimento e del turismo. Anche lento. Un tipo di turismo che si sviluppa tra splendidi paesaggi fatti di colline, sentieri nel verde, borghi, rocche medievali nei pressi di bellissime città d’arte a misura d’uomo. Nel piacentino c’è il Parco regionale fluviale del Trebbia, che va dal borgo di Rivergaro fino alla confluenza nel Po. Il greto e i terrazzi sono luoghi amatissimi dagli appassionati di birdwatching, ai quali non sfugge l’occhione che il parco ha scelto come simbolo. Il rarissimo volatile è però solo una delle meraviglie che si possono osservare in un’area colorata dalla fioritura di orchidee. Qui, il castello di Rivalta, in particolare, ancora animato dall’antico spirito di conquista, sembra volersi appropriare del corso d’acqua del quale sorveglia il movimento. Dai pressi della rocca, partono alcuni dei sentieri che permettono di toccare da vicino la golena, camminando per strade campestri o immergendosi in un ambiente selvaggio. Alle porte di Reggio Emilia c’è poi la Riserva naturale Rupe di Campotrera, nei pressi del castello di Rossena e non lontano dalle vestigia del famoso castello Canossa, sorti su delle rupi nell’epoca medievale in cui visse Matilde di Canossa, così come la vicina torre di Rossenella. Una passeggiata qui permette di osservare l’aspetto rupestre e selvaggio della zona, i rari minerali, le piante tipiche degli ambienti rupicoli e l’interessante avifauna che trova rifugio sulle pareti del rilievo sono gli elementi di maggiore attrazione dell’area protetta. I castelli della donna più importante del suo tempo diventano lo spunto per scoprire paesaggi naturali aspri e incantevoli, tra orizzonti lunari di calanchi e affreschi boschivi che incorniciano mulattiere, borghi e affascinanti rocche incastonati nel Parco nazionale dell’Appennino tosco-emiliano. Vicino a Parma, la Riserva naturale dei Ghirardi occupa 370 ettari, uno spazio sufficiente per sfoderare un campionario di boschi, radure e corsi d’acqua che fanno di quest’area un trionfo della diversità ecologica. Querce, castagni e faggi si alternano a prati fioriti, dai quali contemplare il volo dei rapaci e osservare le corse di daini e caprioli. La flora e gli habitat dell’Appennino settentrionale sono il cuore del “Percorso Natura” che parte dal Centro visite di Predelle ma anche gli altri sentieri, liberamente accessibili e identificati da quattro colori, offrono l’opportunità di addentrarsi in un universo di giganti verdi e calanchi. All’Oasi dei Ghirardi si possono fare anche attività guidate a cavallo. La rocca di Canossa @Simone Lugarini Splendidi paesaggi fatti di colline, sentieri nel verde, borghi e rocche medievali alle porte di bellissime città d’arte.
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personal-reporter · 6 years ago
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Omaggio a Gianni Brera, giornalista della Bassa
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“Il mio vero nome è Giovanni Luigi Brera. Sono nato l'8 settembre 1919 a San Zenone Po, in provincia di Pavia, e cresciuto brado o quasi fra boschi, rive e mollenti (...). Io sono padano di riva e di golena, di boschi e di sabbioni. E mi sono scoperto figlio legittimo del Po” Così Gianni Brera scrisse in una sua presentazione in uno dei suoi scritti più noti, Se Po c'è ancora, dove era il narratore della sua infanzia e della millenaria storia padana. Gioânnbrerafucarlo, come amava firmarsi, fu il più famoso giornalista sportivo italiano e ha lavorato per testate come Il Guerin Sportivo, Il Giorno, Il Giornale e La Repubblica, ma ha anche scritto libri di atletica leggera, calcio, ciclismo, gastronomia, divertendo e commuovendo lettori di ogni età. Quello del calcio fu però il mondo che più a lungo ha frequentano ma parlava saggiamente di tutto, senza aver timore di ricorrere a umori e pregiudizi e leggerlo era come discutere con un amico. Brera, col suo miscuglio di passionalità e d'ironia, conduceva alla simpatia e al rispetto, come uno scrittore truccato da cronista, che utilizzò la frequentazione adolescenziale della letteratura come una tecnica per affrettare i tempi del giornalismo. Inventò un linguaggio nuovo, colorato ed espressivo, ricco del gusto del ritratto proprio al narratore e la fantasia ludica del poeta, poiché chi è nato sul Po era autorizzato a spendere fantasie. Per raccontare le vicende pedatorie chiamava a soccorso la mitologia, con la sua musa Eupalla e la memoria storica conservata nel sangue delle squadre e degli allenatori. Chi non amava Brera lo accusava di scrivere sempre la stessa cosa, ma lui era un infaticabile inventore di neologismi e molte voci del volume Parole degli anni Novanta del professor Antonio Stella dell’Università di Pavia sono il frutto del suo genio. Per lui sigarette, sigari e pipa erano il pretesto per una ginnastica polmonare e attribuiva alla nicotina varie virtù curative. Grande esperto di gastronomia, per Brera bere era il miglior modo per esorcizzare l'atavica paura di aver sete, ma l'Acqua Fiuggi non era il suo forte e al ricercato vino francese, preferiva il nettare delle sue amate colline pavesi, con il Barbacarlo sopra tutti. Brera morì, in un incidente stradale, il 19 dicembre 1992 a Codogno, nella sua Padania, con tre amici, aveva 73 anni. Oggi la sua tomba è in un cimitero in riva all'amata Olona, dove ogni anno viene posato, in suo ricordo, un sigaro toscano. Read the full article
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pangeanews · 6 years ago
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“Se pubblicano Catalano ed Evan come poeti, io non sono più un poeta ma un anacoreta, uno scrivano di nome Bartleby che dice sempre di no, un uomo pleonastico, pleistocenico”. Elogio, da Cotignola, di Giovanni Strocchi, una specie di Dino Campana
Rivive a Cotignola il rito dell’Arena delle balle di paglia, alla sua undicesima edizione. Dove il Canale emiliano romagnolo incontra il fiume Senio nascerà quindi anche quest’anno il più grande teatro di paglia del mondo, che avrà per tema i somari che volano. Una suggestione quasi bambinesca, che ritrova le sue radici in antichi modi di dire e di fare capaci di creare associazioni di pensiero non sempre corrette e non sempre sensate: l’Arena, come un somaro che vola, esiste e non esiste, è fatta di una parte concreta e di altre parti – le più importanti – effimere, impalpabili, come le relazioni che servono per costruirla o i sentimenti che risiedono in chi la vive.
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Lo scenario naturale è quello di un’ampia golena del fiume illuminata dalla luna e dalle stelle, dominata da un ordinato boschetto di acacie che fanno da sfondo al palcoscenico. Un’arena greca effimera immersa nella campagna. Concerti, teatro, narrazioni, land art, esplorazioni ed incontri poetici, che nascono sul filo della paglia e dell’immaginazione.
Dall’11 al 16 luglio cosa succede se guardi dentro gli occhi di un asino che riflette sulla tua vita? Cosa ti suggerisce un paese che si racconta in un quaderno del dopoguerra? Cosa rispondi ad una casa che decide di trasformarsi in un museo? Cosa ti succede dentro, se vedi scomparire un bosco di fiume? Domande che si raccolgono come stati d’animo, carezze d’estate da mettere sotto spirito, come le ciliegie di maggio, sentimenti dispersi e aspersi. Il programma è succulento, si va da Roberto Mercadini a Gianni Parmiani (grandi attori troppo poco conosciuti), da Nada a Cavazzoni. Tra una bisciagallina e una spiga di grano il somaro del Senio ti accoglie con gli occhi di lucertola e il corpo da pesce di fiume che entra ed esce dalla terra dell’argine. Nelle ore notturne vola come un drago, ma lo fa quando non lo vede nessuno per non suscitare l’invidia dei cavalli, che si credono gli unici in grado di volare. C’è poi lo spigare storie nella stanza delle finestre, il gomitolo matto di maschere di paglia, il trebbo del canale, il bar delle acacie, perché alla fine tutti siamo responsabili a fare bene!
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Ma qualche anno fa, fra le solite balle, in un tempo sempre presente, gli allungo affabile qualche libercolo di poesie spicciole e speciali. Gianruggero fingeva gentilezza e giubilo e si mette i volumetti sotto le ascelle come baguette, prima di riporle elegantemente nella sua borsa di pelle e montare a cavallo della sua moto americana come uno sceriffo della Bassa Padania. Mentre il Manzoni fuma l’ennesima sigaretta – Mi piace pippare – mi fa, con quell’aria da contrabbandiere armeno un po’ spia, un po’ sicario, io non so cosa rispondergli, vorrei starnutirgli tutto il mio raffreddore da fieno di quella serata incommensurabile e irrespirabile, ma la vera questione è che il poeta vero è un altro e il Manzoni è lì per questo, per lui: Giovanni Strocchi, nato a Faenza 43 anni or sono e risiedente a Barbiano, Cotignola (fra un soggiorno facoltativo in strutture psicoaffabili e trattamenti obbligatori in ospedali psichiatrici, rimpinzato e bombardato di antidepressivi e calmanti), una specie di Dino Campana, con però l’unico elettroshock della poesia. Lo Strocchi è già al terzo libro, dopo un esordio innato e osannato dalla critica, nel lontano 2010, con Una Finta Manana, in cui Guido Vicari lo mette fra i vacui gridi, posizione profetica e fatale, e di cui Gianruggero incastra e incastona una raggiante e invitante prefazione, a cui segue Nereide Cervese, storia d’amore marittima di cui esce un introvabile audiolibro, legge Franco Costantini, voce tetra e teatrale che rende al meglio i passaggi densi dei versi sparsi e spersi. Tra un reading e l’altro al teatro Binario e al circolo del dimenticatoio, eccoci alla terza fatica. Dopo annui di bui ragionamenti sono qui a proporvi estratti del nuovo lavoro.
La mia è più un’ostensione che una recensione.
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Conosco Giova da tempo, da quando i miei passi vagabondi e raminghi si fermarono qui, tra lande desolate e pianure scompaginate dai venti e dalle nebbie, dove il mio pellegrinaggio ha trovato riposo e ristoro, bonifica delle mie paludi più melmose. Con grande stupore e ammirazione ho ritrovato anche qui poeti di alto calibro e artisti un po’ troppo narcisisti, tra questi orizzonti verdi e fissi, a perdita d’occhio, lineari e piatti come il cardiogramma di un morto, fra lagne di campagna, nella bassissima romagna, stroncata dal sole e dall’umidità.
L’amicizia con Giova, intervallata dai ricoveri, si ripropone e si rinnova ogni volta che ci rincontriamo, questa volta in una trattoria di Godo, Russi, e subito fra un bicchiere di burson e uno di rambela, mi allunga un’email con le nuove composizioni – Adesso sto abbastanza bene, ho ricominciato a scrivere, devo chiedere a un mio amico un giudizio critico, ma sarei onorato e lusingato se tu le leggessi e mi dicessi un tuo incontaminato parere. Alcune parlano della figa, ma lascia stare, ogni uomo ha le sue tare. Ora ho un contatto con una rivista americana – mi sovviene Emanuel Carnevali, glielo accenno, madido di grazia, lui fa finta di non conoscerlo, ignoranza superba, nosocomi che si ripetono come un mantra.
Me le divoro come un latte brulè, me le assoporo come un tortello di zucca, come un filetto di carne cruda, gustandomele bene sulle papille neuronali. Degne di nota, di merito, merito di una mente classica e filosofica, greca e persiana, persa persino fra persiane e psicofarmaci, le ultime liriche hanno un’intensità sita fra tra una coltre di nuvole e un solco di terre aride. Credo che nel panorama italico attuale Giovanni Strocchi sia voce fuori dal coro, che nasca già arcaico e classico, tra Pound, Hölderlin borderline e Montale, epigoni e paragoni di agoni agonizzanti. Versi liberi, disadattati e distanti apertamente da certe idiozie pubblicate oggi – Sono in contatto con La Bradipo Edizioni. La vera poesia non si pubblica per deontologia – gli dico. Se pubblicano Catalano ed Evan come poeti, io non sono più un poeta ma un anacoreta, uno scrivano di nome Bartleby che dice sempre di no, un uomo pleonastico, pleistocenico, che verga sulla pietra segni indecifrabili, e ghigna in una grotta. La parola di Strocchi è alta, vera e non può sottomettersi al mercato, deve infiltrarlo come l’acqua, asciugarlo come un vento, deve indagare l’animo, deve scavare varchi e scovare disastrose menti.
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Strocchi lima il verso per entrare come uno stiletto, col verso giusto in pieno petto, al cuore del cervello. Strocchi è difficile, ti devi fermare, soffiare, soffermare, tortuoso ma lineare, armonico musicale, ti devi bloccare come in un rilassamento autogeno e masticare e digerire il senso, altrimenti il senso non lo sa, se no il senno se ne va, sotto il setto l’insetto nasale. Creta è vicina e Zeus guarda dall’alto la turpitudine di creta, di fango, dell’uomo adamitico – una mela al giorno leva l’eden di torno. Tornando allo Strocchi e ai suoi occhi malocchi, compagno di bevute e di bagigi (arachidi in lughese), il suo poetare mi porta altrove, attratto dalla tristezza ad attraccare in territori e in porti che non portano da nessuna parte, ma mai visti, valli velleitarie, vette attive come vulcani, volere arrivare a rive veraci e virali e varare nuove e rare vie, nel rivivere lo scacco di Archiloco su madrigali magri e fedoni fedifraghi. Se Giovanni è dono di dio secondo la sua etimologia, la sua poesia è eretica perché estatica, scismatica e sciamanica. Con questi scritti Strocchi dissotterra il terreno con un aratro che verga un solco che non si cancella, come dire solo semi si nasce, semi miseri, semi di rami, Semiramidi smemorate.
Non scrivere una poesia al giorno, se vuoi che la tua identità sia conservata, mi scrive a mo’ di epigrafe, come introduzione alle liriche postate. In oggetto di posta, in palio, la posta è altissima e messa a repentaglio in un’esistenza funambolica da maudit, che passa da una clinica all’altra e torna a casa solo per ricominciare ad impazzire.
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Anamnesi
Come grani deposti a fioritura sono gl’anni, e tu cominci a contarli dall’omega. Intanto il tempo parte prima di finire, e l’ombra delle meridiane ne è misura. Come sai che ciò che dirai dopo sarà la stessa cosa che sapevi prima? Memoria e verità si sdipanano all’indietro, ma il filo lungo delle inesistenze che noi chiamiamo anamnesi è un tipo sempre falso di sapere.
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Il furto
Hanno tempo i lucidi occhi bellissimi che hai, trapassarono le età dei sonni in notte vera, desti o cupi, apparenti od illustri di chiarità. Ma troppa fatica di fede è di grado distogliere: sono infiniti i rivali dello spirito, ed a colui che passa inavvisato e senza volontà ruberemo il dèmone.
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Il cappello
La morte è una sorella antica, madre e nemica dell’inganno che amiamo chiamare cose che non sono con il nome giovinezza. Fine e principio di ogni beltà radiante dal viso, quanti ritorni di fiori avrai come respiri? Il tormento del pensiero è posto alcuni gradi dell’essere più giù del sommo essere piacere. Ma quando passi il limitar degl’anni che non desideravi, o scruti come un augure i futuri, allora cada il tempo, e se la Moira lo vorrà, un dio si volga all’Ade – quando la fronte s’allarga e il tuo cappello è già lì.
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Socrate il cinico
Per le nebbie del Tartaro, Socrate ha smarrito la via delle domande: voleva sciogliere piogge di dubbi e ragioni sospese. Interrogando i sapienti, il cane dell’agorà voleva confutare un dio!
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Tetti d’inverno
Gli amanti della lana sono pigri. Fuori del mio anello un nevischio non attacca e quasi piove. Lungo le scarse vie, le mani indurite o scorticate volgono a sparire. La strada lassa si scioglie dove per largo alcuno non ha piede, o come forse dice Omero: – Tutti stanno sotto il coperchio delle case.
*
Nell’ora del morire
Forse nel bruno sparso il giorno si riposa, o dorme risanando la memoria: una nebbia eternamente dimezzata. Da queste ore del morire credo di non essermi mai mosso: questa pace finale desidera preghiera.
*
E nel frattempo, nel mio girovagare a zonzo fra i canali magri e laidi di Lugo, dove la pioggia fa il sugo e il sole si nasconde dentro il Pavaglione come in un baco da seta una crisalide, dove la gente è arcigna e spiovente come le ombre strette fra le case a strapiombo e le strade distratte, incontro Filippo Margionti, un ragazzo ventenne così timido che il sole lo arrossisce, che la sua ombra lo spaventa, che esce di casa solo per una boccata d’aria (che talvolta gli va di traverso) e scrive canzoni che nessuno ha mai ascoltato.
Un incrocio fra Francesco Guccini e Claudio Lolli, un personaggio fantastico, appassionato di manga e Stephen King, dotato di una cultura cinematografica eccellente (ama Haneke e Kim Ki Duk) e letteraria disarmante (cita Cioran su tutti), unite ad una gentilezza e affabilità degne di un Oscar Wilde senza ostentazioni. Una testa di capelli brizzolati sopra a un corpo già appesantito lo rendono molto più vecchio di quello che è, e il suo eloquio forbito e preciso oltre a quello che canta (bene), che suona (meglio) e che scrive (ottimamente, per essere così giovane e autodidatta) fanno di lui un nome da tenere d’occhio, anche se la sua predisposizione al massacro e a scomparire, insieme ad un cinismo e ad un ironia spietata  e lontana dalla ragionevolezza e dalla socievolezza, potrebbero precludergli parecchie strade, soprattutto mainstrem, ma quello che racconta ha l’esattezza cristallina di una feritoia di luce in una stanza buia, il disincanto e la critica feroce e centrata alla massa e all’attuale condizione umana di orwelliana memoria e un’analisi così accurata e diagnostica che sembra sia in possesso di una visione radiografica a raggi X. Spero di deliziarvi, come lui ha fatto con me, con le sue canzoni, che purtroppo qui potete solo leggere, iniziando dai quattro funerali.
Luca Gaviani
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E poi disse che “sembrava come perso nel primo sonno profondo” ma alle volte c’è chi al pianto c’è chi al mondo non resiste e senza portar con sé alcun segreto lascia il mondo per ritornare indietro, senza sprecar parole senza simboli nel cuore; e lui ch’era silenzioso nella sua piccola bara non volle aggiunger nulla sulla Provvidenza amara d’esser morto nella culla così piccolo e indifeso come poi lo siamo tutti quando arriva il dì inatteso; poi i parenti e i loro amici in quel clima nero e tetro si avviarono alle auto, mentre lui rimase indietro.
E poi disse che “mi sembra di vederlo, così giovane e anche forte” ma si dice nella Bibbia che nel pieno della vita camminiamo con la morte, e le giovani ambizioni possono restare incolte; e poi disse “sembra ancora qui con noi, sembra ancor così presente” benché chiuso in una bara, benché pallido ed assente; e il buon senso ci racconta che era caro al nostro Dio, che ora è in un posto migliore e il suo corpo è ancora qui per dirgli addio.
E si disse “non può essere successo, sarai nelle mie preghiere, e non so se veramente da lassù ci puoi vedere… a noi restano i sorrisi di tante foto-ricordo del tuo volto, l’universo non restituisce mai il maltolto; e quante ore avrà lavorato sodo il tuo imbalsamatore, guarda qui che risultati! Sembra quasi come se stessi dormendo ma se è vero che morendo non devi più preoccuparti per il tuo futuro e non vale più la pena di tenere ancora duro né di lottare per qualcosa che comunque non è fatto per durare; ora hai il riposo eterno per poterti riposare! Amica mia, di mezz’età, là dove sei che cosa c’è da fare?”
E poi dissero “le nostre più sentite condoglianze” è sempre molto triste ritrovarsi solo in queste circostanze; però nonostante tutto si va avanti, d’altra parte è solo un vecchio uguale a tanti; quindi niente che non sappia di già visto il lutto non è molto grande se l’età poi l’ha previsto; forse nelle prime file si sospira un po’ il dolore, fuori piove e la giornata sta perdendo il suo colore; “Tutto è buio” rantolava mentre se ne stava andando; il necrologio all’aria aperta si sta già consumando; e poi è andato all’improvviso con un’espressione oscena che diceva tutto e niente che ricorda tanta pena; e il ricordo del suo viso è già un po’ più evanescente ora che stanno portando il suo corpo putrescente, finché non rimarrà niente, a murarlo nel cemento, mentre con tutti i parenti si dà voce al testamento.
L'articolo “Se pubblicano Catalano ed Evan come poeti, io non sono più un poeta ma un anacoreta, uno scrivano di nome Bartleby che dice sempre di no, un uomo pleonastico, pleistocenico”. Elogio, da Cotignola, di Giovanni Strocchi, una specie di Dino Campana proviene da Pangea.
from pangea.news https://ift.tt/2LOhsXM
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ansaemiliaromagna · 6 years ago
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Svolta nel caso Willy Branchi, ci sono indagati per omicidio
Il diciottenne ucciso 31 anni fa e abbandonato nella golena del Po http://bit.ly/2WOlsdC
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gazzettadimodena · 7 years ago
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Antonella Barbieri, 39 anni, originaria di Carpi ha soffocato la piccola nella loro casa di Suzzara In auto ha raggiunto la golena del Po a Luzzara e ha accoltellato a morte il bambino più grande http://ift.tt/2AEGSzB
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colospaola · 7 years ago
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Tra storia, arte e natura, il territorio lombardo è ricco di campagne, laghi, fiumi e salite, infatti, una pista ciclabile, un argine o i tornanti di un colle fanno parte del lungo viaggio ideato dal progetto “In Bici In Lombardia”, un nuovo modo di vivere il cicloturismo con dieci nuovi itinerari che esplorano in ogni dettaglio la regione.
Presentato al velodromo Vigorelli, per la partenza della Milano Ride, la granfondo sponsorizzata da radio Deejay, lo scopo del progetto è quello di valorizzare la regione con la rete d’itinerari cicloturistici nei luoghi più iconici, i paesaggi più suggestivi e le città più affascinanti della regione.
“E’ fare della Lombardia un punto di riferimento della cicliclabilità e del cicloturismo” spiega l’assessore allo sviluppo economico della Regione Mauro Parolini “Per ciò abbiamo reso disponibile un bando che ha permesso di sostenere investimenti per 17,8 milioni in interventi infrastrutturali e di promozione di percorsi ciclabili”.
Un ulteriore impulso a quello che è un settore in forte espansione, quello dello slow-travel, e che attira sempre più turisti sul territorio, facendo conoscere al meglio non solo i paesaggi e la storia ma apprezzare anche tutti i sapori e la varietà che l’enogastronomia locale può offrire.
Per inaugurare l’iniziativa sono partiti sette team con sportivi, ex ciclisti, giornalisti, blogger e imprenditori, che hanno pedalato in sette suggestivi percorsi, scelti come simbolo dei dieci itinerari turistici proposti da In Bici in Lombardia.
Tra di loro c’erano il vincitore del Giro d’Italia del 1994, il russo Evgenij Berzin, altri ex professionisti come due storici velocisti come Stefano Allocchio e Guidone Bontempi, quindi Giuseppe Guerini, Alessandro Vanotti e Danilo Gioia, la campionessa di sci Lara Magoni ora dirigente sportiva, i blogger Alberica di Carpegna e Laura Magoni e gli imprenditori Matilde Atorino, Camilla Alberti e Lorenzo Serafini, per essere testimonial di un progetto che lancia il cicloturismo come una forma di promozione per i territori lombardi.
Percorsi più o meno impegnativi che si snodano lungo tratti turistici della regione che prevedono itinerari adatti sia per una passeggiata domenicale in famiglia, sia come allenamento per qualche gara.
Da Bergamo alle dolci colline e ai vigneti della Franciacorta, tra le anse del Po fino ad arrivare Mantova, sulle sponde del Lago di Garda e di quello di Como, Varese, Cremona, la Brianza per toccare poi Pavia, i navigli e Abbiategrasso. Questi sono i territori e i luoghi del progetto “In Bici In Lombardia”.
La ciclovia del Mincio si dipana lungo le acque del fiume che dal lago di Garda scendono fin verso il Po. Si parte dalla splendida Desenzano e si entra poi nel Parco Regionale del Mincio. Superata la Centrale del Corno, si pedala fino a Pozzolo dove la pista lascia il fiume. Si arriva quindi a un mulino medioevale ancora funzionante. Altri 10 km per arrivare a un naviglio da dove partono diramazioni di percorsi sterrati.  Si abbandona la strada e si pedala in campagna fino a raggiungere Mantova.
La seconda ciclovia è all’insegna della tradizione enogastronomica, il percorso si sviluppa tra i territori bergamasco e bresciano, partendo dalle Terre del Vescovado, attraversando la Val Cavallina, per poi ripartire verso le Torbiere e il Sebino.
Vede la partenza da Rovato nel bresciano, dal Convento dell’Annunciata, si prende per Erbusco tra le dolci colline e i vigneti della Franciacorta, poi per Adro e Capriolo. Si arriva a Paratico, sul lago d’Iseo, da cui parte la pista ciclabile che arriva fino a Brescia e che si segue fino alle Torbiere del Sebino sulle passerelle in legno. Subito dopo il Monastero di San Pietro in Lamosa, si riprende l’itinerario ciclabile che risale verso le colline della Franciacorta.
Il terzo itinerario è quello varesino, che parte proprio dalla centrale e storica sede della Provincia, villa Recalcati. Si scende poi dolcemente verso il lago di Varese, imboccando la pista ciclabile che scorre per 28 km lungo il perimetro dello specchio d’acqua. Si passa tra ville antiche, cascine, borghi, dalle ghiacciaie di Cazzago Brabbia, alle paludi e attraverso un percorso che si dipana attraverso un patrimonio mondiale dell’Unesco come i resti palafitticoli risalenti anche a 7000 anni fa. Poi si punta sul vicino lago Maggiore, Cittiglio (patria di Alfredo Binda con il suo museo), la Val Cuvia, si attraverso il Parco Regionale del Campo dei Fiori, si arriva a quindi a Brinzio da cui inizia la salita della Rasa, da qui poi il ritorno verso Varese è tutto in discesa.
Dalle sponde del Lago Maggiore si seguono le ciclovie che portano a Milano e ai Navigli, per poi proseguire, in un viaggio tra natura e storia, ville spettacolari, fino all’arrivo nell’affascinante Pavia dei Longobardi e delle risaie. Per un percorso complessivo da fare in due/tre giorni.
Il quarto itinerario vede le Valli Bergamasche protagoniste. Territori che conservano il fascino delle montagne con delle valli del Serio e del Brembo, dei loro piatti e dei loro vini forti
Il quinto percorso vede dalla Valtellina a Milano s’intraprende una lunga discesa dalle cime delle Alpi fino alle luci della città, seguendo il corso dell’Adda, un tempo confine naturale e lungo le sponde del lago di Como, tra le province di Sondrio, Lecco e Milano.
Il sesto percorso è praticamente tutto brianzolo, tra Monza e il Lario.  Un itinerario che dalla Villa Reale di Monza, porta alle vette sopra il Lago di Como, regalando paesaggi unici, lungo le storiche e affascinanti salite della Brianza. Alcune di queste hanno scritto la storia del ciclismo mondiale.
Da Monza ci si porta verso il lago di Alserio, si pedala poi costeggiando il lago di Montorfano e si raggiunge Como. Dal capoluogo lariano si continua a pedalare in direzione di Cernobbio e da qui inizia la parte più spettacolare ma più impegnativa: la salita al Monte Bisbino sono 15,7 chilometri di pedalata con una pendenza del 6,9% e 1.000 metri di dislivello. Una strada che scorre attraverso i boschi e una pineta, costruita a inizio 900 come un tratto della linea difensiva Cadorna. Un percorso che regala una visione incredibile non solo sul lago di Como, ma sull’intera pianura padana e sulle vette alpine svizzere.
Questo itinerario prevede anche una possibile deviazione. Superato il lago di Alserio si può continuare in direzione di Erba e proseguire verso Asso, costeggiando il lago del Segrino fino a Canzo e oltre, dove si sfiorano i 1.400 metri di altezza. Da Sormano si giunge al Muro, salita storica del Giro di Lombardia. Da qui all’altra storica salita del Ghisallo mancano 6 chilometri, magari per una tappa al museo del ciclismo.
Il settimo itinerario prevede un percorso tra i laghi e monti dell’Alto Garda  che inizia a Salò da cui si prende la Gardesana Occidentale in direzione di Riva, 15 chilometri in piano che conducono fino a Gardone, poi si continua verso Maderno e quindi Gargnano.
Salendo si trova Valvestino a cui si arriva dopo una salita di 7,5 km con una pendenza media del 5,5%, poi la strada conduce a Molino di Bollone e a Magasa verso Cima Rest, con davanti una salita di 8 chilometri con punte del 10% di pendenza che porta a prati e pascoli a 1.100 metri di quota.
Un itinerario di primavera e autunno come ottava proposta, un giro che parte da Cremona e continua in direzione sudest lungo l’itinerario ciclabile della Golena del Po, un tratto della più lunga e ampia ciclopedonale VenTo che collegherà Venezia a Torino.
Dopo aver viaggiato per il Po tra cascine e campi, attraverso l’oasi Lipu fino a Casalmaggiore, l’itinerario ciclabile prosegue sulla sponda destra del Po, sempre lungo il fiume che scorre fino a 5 metri sopra il livello dei campi e quindi anche sopra la pista ciclabile.
Il nono itinerario al 100% asfaltato conduce da Pavia ad Abbiategrasso lungo le acque del Ticino, con partenza al Ponte coperto di Pavia, poi si pedala lungo l’argine tra rogge, campi e cascine.
Dopo il bivio del Mulino di Limido, si continua per Zerbolò, quindi per Parasacco e si passa per il ponte delle Barche di Bereguardo, poi si prosegue dritti lungo un falsopiano fino a Bereguardo.
Infine c’è la Greenway dell’Oglio, 279 km suddivisi in cinque tappe che vi porteranno dalle Alpi Retiche al Lago d’Iseo per poi arrivare al fiume Po dopo aver seguito fedelmente il corso del fiume Oglio attraversando il suo parco.
Dalle pendici dell’Adamello è una lunga via ciclabile immersa nel verde che attraversa la Valle Camonica, fino ad arrivare al Lago d’Iseo e proseguire sempre vicino alle sponde del fiume.
La prima tappa vede Passo del Tonale – Breno (62km), tutta in discesa. Si passa dai 1883 metri del passo del Tonale ai 343 metri di Breno, in Val Camonica lungo il percorso dell’Oglio, con la possibilità di visitare le incisioni rupestri della Valcamonica, patrimonio dell’Umanità, gustare il prodotto dei vigneti attraversati, godendo al meglio del panorama e dei prodotti del territorio, come i formaggi come la Mascherpa agli insaccati come lo Strinù, senza dimenticare i dolci come la Spongada.
Seconda tappa da Breno a Iseo (47 km), si passa tra i vigneti, di Marzemino e Merlot.
A Darfo Boario Terme, per chi vuole mettersi alla prova ci sono i tornanti che portano al Lago Moro; la strada è ripida e porta a un tranquillo laghetto a mezza costa sulla montagna. Per recuperare le energie non c’è niente di meglio di una visita alle famose terme della zona.
Una volta ritemprati si prende a seguire l’Oglio che confluisce nel lago di Iseo. Il lago ha un suo percorso ad anello di 62km che corre tutt’attorno, magari v’inviterà a restare una notte in più. Vi darà prospettive sempre nuove su Monte Isola, al centro dello specchio d’acqua e la possibilità di visitare Lovere, uno dei borghi più belli della Lombardia ma non solo.
Terza tappa da Iseo a Orzinuovi (55 km) magari prima una passeggiata sul lungolago e nel centro storico, scoprendo la medievale Pieve di Sant’Andrea e il castello Oldofredi, e assaggiate una tinca appena pescata, al forno con polenta. Appena dopo la partenza sulla sinistra la Riserva naturale Torbiere del Sebino. Si pedala sulla sponda sinistra del fiume Oglio, fra campi coltivati, splendide cascine ristrutturate. Si entra poi in Palazzolo sull’Oglio e quindi si arriva a Orzinuovi.
Quarta tappa della Greenway da Orzinuovi a Ostiano per 53 km, si prosegue lungo il percorso del fiume Oglio, attraversando il suo lungo parco naturale. All’altezza di Acqualunga una deviazione porta a incrociare il naviglio civico di Cremona, che permette di pedalare verso l’omonima città oppure di andare verso Crema.
L’attraversamento del fiume Mella, uno degli affluenti dell’Oglio, annuncia l’arrivo a Ostiano, termine di questa tappa.
Ultima tappa da Ostiano a San Matteo (62 Km). L’itinerario si allontana per qualche chilometro dal fiume Oglio per arrivare fino a Redondesco, luogo di diverse battaglie, sin dai tempi antichi. Il fiume Oglio sfocia nel Po vicino alla località San Matteo, le strade arginali del Po sono molto adatte, e possono essere percorse per esplorare il grande fiume in entrambe le direzioni.
In Bici In Lombardia. Dieci itinerari da scoprire Tra storia, arte e natura, il territorio lombardo è ricco di campagne, laghi, fiumi e salite, infatti, una pista ciclabile, un argine o i tornanti di un colle fanno parte del lungo viaggio ideato dal progetto…
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visitparma · 8 years ago
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A Mezzani fervono gli ultimi preparativi per la cena "Sotto le stelle del Po" con partenza alle 19.30. Volete assaggiare le tagliatelline alle ortiche di golena e Porcini? Chiamate il 3401488598 per gli ultimi posti disponibili. Ci vediamo li questa sera! #visitparma #unpodisport #cenasottolestelle #igersparma #ioamoparma #vivoparma #volgoparma #parmense #parma #po #fiume #grandefiume #golena #ig_parma #igparma (presso Porto Turistico Di Mezzani)
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madeinpop · 8 years ago
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Made In PoP ® > eventi Rock in Veneto > settimana dal 1° al 7 Giugno 2017 > stagione 14
Ciao Ciao Made-In-PoPpers, scusate l'assenza della settimana scorsa ma un infortunio c'ha impedito di essere al vostro servizio, per quanto riguarda questa settimana, fate bene attenzione che i festival da ora in poi saranno tantissimi. Buoni Concerti. CHECcO & LoRIS   «Sostenete la Musica, Andate ai Concerti»     ► FESTIVAL ◄ ▲ Festival delle BASSE Anfiteatro del Castello Marchionale ESTE (Pd) 2/4 Giugno terza fantastica edizione tra cultura, teatro, reading e grande musica MOTTA, NU BOHEMIEN, 6 1 0 (Radio2), Andrea CHIMENTI e tanto altro. programma completo http://www.festivaldellebasse.it/programma-2017/ ▲ REVIVE Festival Villa Maschio via Belle VILLAFRANCA Pad.na (Pd) 1/4 Giugno nuova edizione per il festival organizzato da I Villani con un ottimo programma, suoneranno TALK to HER, FREEZ, PLASTIC LIGHT FACTORY, ANUDO, CACTUS? e DIPLOMATICS (Shyrec), tutte le info https://www.ivillani.it/ ▲ SUMMER STUDENT Festival golena San Massimo via San Massimo 37 PADOVA fino 3 Giugno si terrà la XVIª edizione del Je T'Aime festival, fantastico appuntamento di fine primavera, sempre con grandissimi ospiti come LONE (Uk) The KVB (Uk) GAZEBO PENGUINS, BRUUNO, scoprili qua https://www.facebook.com/events/182981252216116/ ▲ FABRIK Festival 2017 via Boschetti FONTANIVA (Pd) presso lo JARA Park, il 2 e 3 Giugno andrà in scena la seconda edizione, con band come ALTRE di B, GOMMA, The SLAPS e altre ancora, programma qui https://www.facebook.com/events/324837454597660/ ▲ BRANCOTYPE Festival via Veneto 38 TAGLIO di PO (Ro) preso il museo della Bonifica di Ca' Vendramin, si terrà dal 1° al 4 Giugno dedicato alle Alternative Fotogrfiche Sperimentali, con tanto di 24 ore di camera oscura, ci sarà il concerto/performance dei MATTATOIO5 con Vasco Mirandola e Samuela Barbieri. programma http://www.brancoottico.fineartlabo.com/brancotype-festival-alternative-fotografiche-sperimentali/ ▲ BIRRAMMANO 2017 riviera Marconi LOREO (Ro) 1/4 Giugno grande festa della birra artigianale e grandissima musica in collaborazione con il DELTABLUES Festival. programma https://www.facebook.com/events/212175235940589/ ▲ HORTIS Festival parco Ca'Diedo via Mazzini ODERZO (Tv) 1/4 Giugno quarta edizione sempre più in evoluzione, con ospiti NAIVES (Uk) The CYBORGS, CANOVA, ALTRE di B e altri da scoprire qui https://www.facebook.com/events/129964427550206/ ▲ RIVIERA FOLK Festival via Vittorio E. Orlando VICENZA 1/4 Giugno sulla strada del Tormeno va in scena la XVIIIª edizione di questo festival, ricca di ospiti quali HELL SPET, The REAL McKENZIES, BOMBA TITINKA, PHIL REYNOLDS e molti altri. programma https://www.facebook.com/events/244665092665746/ ▲ FROGGIE SOUND Fest imp.sportivi Crosare via Ca'Persa BOVOLONE (Vr) 1-2 Giugno seconda edizione per questo giovane festival che ospiterà tra gli altri GAZEBO PENGUINS e NU BOHEMIEN, il resto qua https://www.facebook.com/events/1921978251356335/ ▲ PIC NIC Festival via Citella 50 BUSSOLENGO (Vr) gli amici dell'Emporio Malkovich vi aspettano dalle 12 per una giornata di cibo e musica buoni in una cornice bellisima, suoneranno EDDA, i POP X, MAKAI, Greta Narvik, O'Ciucciariello e altro ancora. https://www.facebook.com/events/1847857085467439/ ▲ SOUND VITO 2017 piazza Madonna della Pace SAN VITO di Legnago (Vr) 1-3 Giugno nuova grandissima edizione per questo festival in una piccola frazione, super band presenti come MOLOTOV JUKEBOX (Uk) DEROZER, ACTIONMEN, REBUKE (SWE), DARKO (Uk), PAN del DIAVOLO e POLAR for the MASSES, programma completo da scoprire qui http://www.soundvito.com/   ► La SETTIMANA ◄   ► GIOVEDÌ 1° GIUGNO 2017 ▲ BENICIO Live Gigs via E.Porcu 63 Santi Angeli GIAVERA del Montello (Tv) per finire al meglio la stagione, passeranno qua i DOOMSDAY STUDENT (ex Arab on Radar) alfieri della scena alt/rock/noise/nowave di Providence, in apertura MEANLOVER post/post/punk. ▲ TOCCHETTO Osteria via Risorgimento 37 MONTEBELLUNA (Tv) Tokket night dedicate alla musica indipendente, con la supervisione de La Sotterraneo Community, stasera si esibiranno L'ENTRATA di CRISTO a Bruxelles e gli interessanti The SEABROOK. ▲ OLD SALOON Birreria via Feltrina 19 PEDEROBBA (Tv) in collaborazione con RocKonnection lo stoner dei locali RUDHEN e il doom metal dei bolognesi SLOW ORDER. ▲ NASTY BOYS Saloon via Pellicciaio 4 TREVISO volge al termine la stagione dei live, uno degli ultimi è la reunion dei TOYS of GIRLS, a seguire djset Roger Ramone. ▲ AL RITROVO Bar piazza Luzzatti 4 MOTTA di Livenza (Tv) debutto per un supergruppo locals The ADMIRALS roots in levare. ▲ GATTO ROSSO via Forte Marghera MESTRE apre la stagione dei concerti sul palco grande con l'indie pop delle local band GmG & the ß Project e JUST FOUR DAYS. ▲ JACK the RIPPER pub via Nuova 9 RONCÀ (Vr) stasera sarà ospite l'one man band THE BLUES AGAINST YOUTH il nome, un programma, da non perdere.   ► VENERDÌ 2 GIUGNO 2017 ▲ PARCO della MUSICA via Venezia PADOVA concerto organizzato da EveryWhereGigs che vedrà sul palco LUCIO CORSI giovane ed eccentrico cantautore grossetano. ▲ JICARILLA Risto Pub via Postioma Centro 164 San BIAGIO di Callalta (Tv) puntuali alle 20 parte il Treviso Ribelli, appuntamento punk con le band GOOFY HEAD, NOT 4 FUN, WITHOUT WHISTLE, SKULLJERKS e The DINASYT (An). ▲ AL BIANCO piazzale Consolini VITTORIO Veneto (Tv) riparte la stagione dei live con l'alternative rock dei BELFAST. ▲ CHINASKI Music Pub via Cadorna STRETTI di Eraclea (Ve) serata postrock con ospiti gli amici HOLOGRAPHIC HUMAN ELEMENT dalla Bosnia accompagnati dai WHITE JUNK nuovo progetto nato dalle ceneri dei Kiran. ▲ PREVIEW LINE Festival SCHIO (Vi) presso l'anfiteatro di palazzo Toaldi Capra si terrà un succoso antipasto del festival estivo, dalle 18 esibizioni per ATLANTICO indietronica + The EAST emocore + HÅN darkpop + LES ENFANTS indiepop. ▲ GROOVE Bar via Martiri della Libertà LUGO di Vicenza (Vi) festa in giardino estivo con il live dei grandissimi CUT che presentano il loro recente disco + djset. ▲ VIAROMA17 va Roma 17 DUEVILLE (Vi) qui stasera ospiti la storica band krutrock teutonica EMBRYO. ▲ WEINEREI Tipoenoteca via Sant'Antonio 16 MAROSTICA (Vi) dalle 18 evento barostica dedicato alle giovani band emergenti, stasera DRAFT alt/indie WEST RED alt/hard e PORNO CIRCUITO lo-fi rock. ▲ TODOMODO via Ca'Morosini 41 BASSANO del Grappa (Vi) inaugura il giardino estivo del bassanesse, presso Villa Angaran, con i live, dalle 21, dei PYJAMARAMA e dei SAVANA BEAT CLUB, powerpop garage. ▲ TERZO PONTE via Ceramica 7 BASSANO del Grappa (Vi) serata indie rock con illive degli interessanti MOONSOON giovane band che mescola synthpop, trip-hop e folktronica in maniera psichedelica.   ► SABATO 3 GIUGNO 2017 ▲ PARCO della MUSICA via Venezia PADOVA un'icona per la scena rock indipendente italica, oltre che cantante di successo capace di vincere Sanremo giovanissima, NADA Malanima accompagnata in questo tour estivo dagli A TOYS ORCHESTRA. ▲ IN ANGURIARA via Torino 3 ROSOLINA Mare (Ro) il ritorno dopo due anni di inattività live dei SIXTEENS AGAIN melodic punk. ▲ TOCCHETTO Osteria via Risorgimento 37 MONTEBELLUNA (Tv) con il contributo delle Teste Ribelli una sana seratina punk con i NORMAN BATES, i DELTAMETRINA poppunk e i marchigiani The DINASYT melodic HC. ▲ PORKY's Music Festival presso Bar da CAPOTA strada Brussa 501 CAORLE (Ve) dalle 18 One-Day festival con i concerti di WASTED PIDO one/man/band TROMPE LE MONDE sperimentale LA DOLCE VITA punk/wave e The 1969 CLUB psych/stoner/FRANCIA + djset del Porky's guest Roger Ramone. ▲ SPAZIO AEREO via delle Industrie 27 MARGHERA (Ve) in collaborazione con TRIVEL sarà qui, per la prima volta in Italia, la multietnica band berlinese INDIAN NIGHTMARE metalcore, a supporto i locals WARHAWK. ▲ MIRROR contrada Porta Santa Lucia 18 VICENZA dalle 18 Questa Non è Arte presenta il finissage della mostra "Personal Relations" con gli artisti David Riganelli attore, ONE MAN PIER il cantabarista, due ballerini e un poeta a sorpresa. ▲ TERZO PONTE via Ceramica 7 BASSANO del Grappa (Vi) concerto dei ferraresi THE DICE e la loro miscela di rockabilly, swing, country e rocnk'n'roll.   ► DOMENICA 4 GIUGNO 2017 ▲ Anfiteatro del VENDA via Sottovenda 54 GALZIGNANO Terme (Pd) dalle 15 EveryWhereGigs ospiterà il cantautore americano RYLEY WALKER folk/country, a fare gli onori di casa TOBJAH frontman dei C+C=Maxigross. ▲ YOKELZ Plan B Pub piazza Marconi TREBASELEGHE (Pd) dalle 17 ultimo appuntamento KICK the WEEK della stagione, prima della pausa estiva, con i live per SWALLOW hc/grindcore/Venezia e per HATE & MERDA noise/post-hc/Firenze. ▲ LIGHTHOUSE Pub via Noalese Sud 2 NOALE (Ve) dalle 17 presentazione libro Italia Skins, djset vinilico della grande MANEKI STEFY e live di punk stradaiolo per GLI ULTIMI (Roma) e JENNY WOO's HOLY FLAME (Ita/Can), con la supervisione della TROJAN Legion North East. ▲ LATTERIA 2465 San POLO calle de la Laca 2465 VENEZIA dalle 20 grande sessione di blues e folk con Mr. WOB & Dr. JINX duo crossroad. ▲ IL CHIOSCO via Ariosto 10 PADOVA festa di compleanno per lo studio di registrazione STUDIO 2 che avrà come grandi ospiti la super band THE WINSTONS e MORGAN più altri special guest.   ► LUNEDÌ 5 GIUGNO 2017 ▲ vediamo se restiamo in "testa" malgrado i nove punti tolti.   ► MARTEDÌ 6 GIUGNO 2017 ▲ RIO SELVA Fattoria Didattica via Rio Selva 11 PREGANZIOL (Tv) dalle 20 su prenotazione via mail (alberto[at]macacorecords.com) cena kilometri zero e poi concerto di KING AYISOBA artista dirompente che con ilsuo strumento, il Kologo, ci porterà dentro la musica ghanese mescolata a beat contemporanei. ▲ PARCO della MUSICA via Venezia PADOVA in tour per presentare l'ultimo disco, live per JAPANDROIDS duo canadese indie'n'roll.   ► MERCOLEDÌ 7 GIUGNO 2017 ▲ GROOVE Bar via Martiri della Libertà LUGO di Vicenza (Vi) Slimer Records party con live da Los Angeles de* DEATH VALLEY GIRLS (desperate garage Burger Records) + Art expo + djset.   • http://shyrec.bandcamp.com/ • https://telegram.me/madeinpop/ • https://www.facebook.com/NewsletterMadeinpop/ • https://www.facebook.com/Shyrec/ • https://www.facebook.com/threeblackbirdsfree/
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pangeanews · 6 years ago
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“Ne avevo piene le tasche delle persone, così ho abitato in una casa galleggiante sul Po”: Gianluca Barbera dialoga con Davide Bregola di burattini, verità, letteratura e scrittori di successo (i più simpatici)
Davide Bregola sembra un angelo, nell’aspetto e nei modi. Ma chi lo conosce bene (è il mio caso) sa che in lui c’è un diavoletto corrosivo e implacabile sempre pronto a balzare fuori. Al suo occhio non sfugge nulla. Di ogni persona o situazione sa cogliere in pochi tratti l’essenza, il lato comico o se preferite grottesco (tutti ne abbiamo uno, nonostante l’importanza che a volte ci diamo). Il suo sguardo di scrittore si situa tra Leskov (Il viaggiatore incantato), Eichendorff (Vita di un perdigiorno) e l’Huckleberry Finn di Twain. Ma naturalmente risente anche di molto altro, come spiega lui stesso nell’intervista. Bisogna però fare attenzione alle sue parole, perché a volte ci si scotta. Bregola è uno scrittore di strada, un osservatore panico, dotato della capacità di trasferire ogni cosa sulla pagina con meraviglia e incanto, e una certa dose di imperdonabile felicità. È un globetrotter della letteratura, che girovaga da una parte all’altra della penisola, infaticabile, solare, eterno Peter Pan, con la sua disarmante umanità sempre tra le mani. Questo e molto altro, credetemi, è Davide Bregola, scrittore mantovano (ma nato a Bondeno, in provincia di Ferrara), vincitore nel 2017 del Premio Chiara coi racconti La vita segreta dei mammut in Pianura padana (Avagliano), e che vanta un esordio rimarchevole: nel 1996 esce nella storica antologia Coda con due racconti (Frenchi Fagiano è un tecnovillano e Gioventù sonica); tre anni dopo si aggiudica il Premio Tondelli, vero e proprio segno di riconoscimento per un autore.
Caro Davide, in esergo a Fossili e storioni, tua ultima opera, è riportata una frase di Robert Macfarlane che mi ha fatto riflettere. Davvero un luogo può insegnarci qualcosa su di noi? E come?
La citazione è tratta da un libro e non dice esattamente “insegnare” dice “cosa so io di un luogo che non posso sapere da altre parti…” dice “sapere”, quindi. C’è molta differenza tra insegnare e sapere. Io non sono per l’insegnamento ma per la sapienza.
Che cosa ti ha spinto a trascorrere sette mesi su una casa galleggiante ancorata lungo il Po? Dimmi la verità.
Dovevo fuggire da qualcuno, forse dai miei stessi demoni. Inoltre ne avevo piene le tasche delle persone. Ho viste e ascoltato veramente troppa gente in questi ultimi due anni. Dovevo purificarmi, ripulirmi dal blabla generale. Molto faticoso, per me, incontrare molte persone senza idee. Mi spossa.
Ci trascorrevi anche la notte? Non avevi paura?
C’erano rumori sconosciuti, bui diversi dalla città. Fatta l’abitudine poi a un certo punto diventa tutto rassicurante. C’è da dire inoltre che lì la golena e il paese sono molto vicini. Il Po in altre città è molto lontano dai centri abitati. A Sermide, Felonica e tutto il ferrarese spesso il campanile della chiesa si rispecchia nell’acqua del fiume. Non fa paura dormire su una brandina cullati dalla corrente dell’acqua.
Da quella esperienza è nato Fossili e storioni. Notizie dalla casa galleggiante, edito da Avagliano e uscito da poco. Che bilancio trai di quella esperienza? Qual è la cosa più importante che hai imparato e che ti resterà?
Ho scritto il mio primo reportage narrativo. È una scrittura molto diversa da quella di un romanzo perché non c’è una trama a orologeria. C’è quel che accade. Accadono molte cose, bisogna affinare i sensi per capire cosa riportare e cosa scartare. Ti accorgi che tante cose che pensi, tante parole che senti, sono inutili. Scrivere da lì significa trovare subito soluzioni coerenti ed efficaci per provare a riportare tramite la scrittura qualche descrizione, dialogo, narrazione, sensati. Alla fine mi resteranno le storie narrate dagli avventori.
I luoghi cambiano la prospettiva? O contano di più le persone?
A me è il luogo e la voglia di stare in quel luogo che mi aiuta a trovare interessanti le persone. C’è un genius loci in ogni luogo. Ognuno di noi ha una predisposizione migliore in alcuni luoghi rispetto ad altri. Lì ero a mio agio, anche il becchettio di un picchio mi ispirava. Bastava poco per far scaturire la narrazione.
Nel libro compaiono diversi personaggi. Hermes il barcaiolo, che sembra sapere tutto di quei luoghi e col quale compi delle scorribande sul fiume. Jenny la cantante, che si presenta ogni tanto per “parlarti di sogni” e per interrompere il tuo romitaggio. Sono i momenti più belli. E alla fine sembra che sia sempre l’uomo a illuminare le cose, perfino la natura.
Sì, per noi è sempre l’uomo a fare andare avanti la trama. Penso sia il nostro pregio e la nostra condanna pensare all’universo antropocentrico. “Dopo di noi, il diluvio!” diceva Madame de Pompadour a Luigi XV che guerreggiava contro i prussiani. È un po’ così per ognuno di noi. Non pensiamo che se l’uomo sparisse la natura non farebbe nessun dramma. Non ci pensiamo mai che se ne frega di noi, è matrigna!
A un certo punto parli di spleen padano. Tu ne sei da sempre un cantore, fin dai tempi dei “tecnovillani” (termine da te coniato) e dei tuoi primi racconti, per arrivare alla tua ultima opera narrativa, La vita segreta dei mammut in Pianura padana (Premio Chiara 2017). Puoi fissare in pochi tratti, con un’immagine o un aneddoto quella particolare atmosfera che caratterizza gli stralunati abitanti della Pianura padana, celebrati anche da Celati?
Baudelaire aveva avvalorato nella seconda metà dell’Ottocento la poetica dello spleen di Parigi. Erano piccoli poemi in prosa, scritti con arguzia e precisione, nei quali emergeva un sentimento di malinconia, insoddisfazione e noia ammantate di poesia e grazia, leggerezza e sorpresa. È un registro che mi si addice assieme alla figura del Flâneur. Direi che se dovessi dire in due parole quel che sono, direi: ho l’indole del Flâneur che, invece di vagare senza fretta tra le vie cittadine, osserva e ascolta, con calma, a volte oziando, l’Italia profonda, fatta da piccoli paesi sperduti e campagna. I personaggi, assieme al paesaggio spesso “corrotto” dal lavoro dell’uomo, mi incuriosiscono e mi viene voglia di scrivere. Guardo uno un po’ strano e mi viene voglia di costruirci sopra la sua vita, vedo una statua gigante del Cristo Redentore di fianco a un Motel a Bergantino (Ro) e mi viene da chiedere perché? Provo ad associare l’uomo “strano” al Cristo sul modello del Monte Corcovado, e scatta la narrazione… Mi faccio sempre due domande: Perché? e In che senso? Se le risposte non sono ovvie parto con la scrittura.
Tieni atelier di scrittura a casa tua e in giro per l’Italia e organizzi spettacoli di burattini per i bambini. Burattini che si sei fatto costruire su misura. Dirigi anche delle collane per alcuni editori. E insegni all’università, se non sbaglio. Puoi parlarci di queste tue esperienze?
Sì, tutto il mio progetto ha un fine ben preciso. Non agisco random, ma ogni aspetto del mio procedere sottende l’idea della forza generativa della narrazione. Al POLIMI, alla Facoltà di architettura, ho un contratto annuale di 100 ore in cui insegno ai ricercatori, non agli studenti, a raccontare le ricerche che stanno compiendo. Sono persone già laureate che hanno intrapreso temi di ricerca e devono provare a raccontarli. Spesso all’università si arriva a un tale grado di specializzazione e linguaggio settoriale da essere incomprensibili. La narrazione aiuta a sbrogliare il bandolo della matassa e a riformulare i propri pensieri e le teorie. La narrazione è un esercizio mentale che auguro a tutti di incontrare nella propria vita perché può mettere chiarezza dentro di sé. Rientra nell’idea del potere della narrazione anche tutta la serie di seminari e atelier che tengo in giro in biblioteche, scuole, enti pubblici e privati. A casa mia non li faccio più, perché ora ho un mio spazio, un ufficio, e ogni 4 mesi organizzo lì seminari per il fine settimana con un ristretto numero di persone selezionate. I temi sono antichi: Miti, Archetipi, Origini delle parole. Tutto finalizzato alla scrittura. Sono temi fuori moda, argomenti che non si ritrovano sui manuali di scrittura creativa o alle scuole di scrittura, però sono i temi fondativi dell’immaginario che porta alla scrittura. Ci sono argomenti che non possono essere trattati sui libri, hanno bisogno dell’oralità, e io da qualche anno a questa parte faccio questo. Non grazie ai libri, ai manuali, ma nonostante i libri e i manuali.
E i burattini?
I burattini nascono come idea didattica attraverso i quali insegno ai bambini della scuola Primaria a immaginare, inventare, creare poesie, raccontini, rime. I burattini e in genere il teatro di figura, sono delle grandi macchine narrative. Divertono e insegnano allo stesso tempo. C’è tutta una scuola didattica su questo, e grazie a magie, pupazzi, burattini, mi ritrovo a scuola davanti a centinaia di bambini, a parlare di Toti Scialoja, Queneau, Palazzeschi, e tanti grandi artisti che ho il piacere di proporre ai più piccoli.
Del tuo lavoro di consulente editoriale che mi dici?
Dirigo un paio di collane per due differenti editori. La Daimon per Il Rio editore è una collana in cui inserisco dentro rarità e fuori catalogo di classici: Saint-Exupéry, Rimbaud, Twain, Jerome, Austen, Maupassant e molti altri. In francese li traduco io, in altre lingue trovo i testi e li passo a qualche traduttore. Mentre per Oligo ho fatto partire una collana di narrativa chiamata χρυσός in cui cerco autori che rispetto per la loro scrittura, per la loro biografia, per il loro immaginario. Ho già i primi due titoli del 2019 che sono inediti di Roberto Piumini e di Helga Schneider. Il primo è già uscito, la seconda uscirà in autunno. Insomma una gioiosa macchina narrativa che prende forma dalla scrittura e si sviluppa anche nel resto.
Sei una strana figura di scrittore, un vero outsider, nel nobile senso dato al termine da Colin Wilson e non solo. Prova a descriverti: che tipo uomo e che tipo di scrittore sei?
Sai quante volte provo a guardarmi estraniandomi dalla mente? Mi guardo con un processo metafisico, da fuori. Ho l’indole di chi vuole sapere le ragioni di ciò che accade e avviene. Da sempre dove c’è la massa guardo, e mi sposto. Nei gusti culturali, artistici, nelle scelte di vita… guardo dove vanno tutti, guardo dove va la maggioranza, e cambio strada. La maggioranza non ha mai ragione, nel senso che ha “ragione” sul momento, e solo per certi argomenti. Ma il momento dura poco. Adesso sembra che un algoritmo possa capire tutto di noi. In verità l’algoritmo si basa su statistiche matematiche e valuta l’individuo come consumatore. Mai come essere umano. Così, da ragazzo, mi appassionavo in ciò che veniva pubblicato da Shake editore, dalla casa editrice underground Nautilus di Torino: Burroughs, Hakim Bay, le culture alternative, i pirati, il Situazionismo, le zone temporaneamente autonome, le BBS (i siti ante litteram, prima dell’avvento di Internet), la Mail-Art, Mille Piani di Deleuze e Guattari, Raoul Vaneigem, Alfred Jarry, Artaud. Seguivo la cosiddetta controcultura, perché la cultura dominante non mi stimolava per niente. La controcultura mi faceva venir voglia di fare cultura e così fin da ragazzo organizzavo associazioni culturali, incontri, dibattiti. Sempre lontano dalle istituzioni, lontano dalla politica convenzionale. Penso che il mio tratto più significativo sia di assumere per partito preso opinioni e atteggiamenti contrari o in contrapposizione a quelli della maggioranza.
Già, ti conosco abbastanza bene per sapere che è così…
Naturalmente è una posizione scomoda e poco redditizia. Funzionano i Gialli? Io scrivo reportage narrativi. Vanno i romanzi? Io scrivo racconti. Tutti si occupano di montagna? Io scrivo di acqua. Bisogna fare una sola cosa per essere riconoscibili e fidelizzare? Io ho un disegno totalmente diverso e dissipo, sparpaglio, consumo, regalo idee a chi non ne ha senza recriminare alcunché. È di moda la scrittura idiomatica? Io scrivo in un italiano letterario. Non è una presa di posizione razionale, è la mia natura, è un’attitudine. Così facendo non si ottiene nulla, solo che si precorrono i tempi. Spesso si sanno cinque anni prima i gusti della massa o i posizionamenti individuali nel mondo culturale. Direi che è una forma di preveggenza…
Sei stato per molti anni direttore artistico del Festival del racconto di Carpi. Hai conosciuto molti intellettuali e scrittori, italiani e stranieri. Conoscendoti, immagino che la maggior parte ti abbia deluso, incontrandoli. Quali sono quelli che ti sono sembrati all’altezza della loro fama o che ti hanno folgorato? Un paio di nomi…
Gli scrittori che apprezzo di più sono gli scrittori defunti. Hanno scritto, hanno vissuto. Non possono deluderti umanamente perché non li conoscerai mai di persona. Sinceramente, avendo fatto per dieci anni prima parte del comitato scientifico di un festival e poi il direttore artistico, li ho conosciuti tutti. Quelli che mi sono più simpatici sono gli scrittori di successo. Quelli che arrivano, come Valerio Massimo Manfredi, in Maserati con interni in pelle rossa, fanno il loro incontro davanti a centinaia di persone e si va assieme, dopo l’incontro, a parlare di Adriano o Marco Aurelio o della Mètis di Zeus. Oppure come quelli alla Sveva Casati Modignani che arrivano con l’autista, parlano di trame davanti a lettrici infervorate ed esigenti e si cena con due foglie d’insalata scondita e un bicchiere d’acqua a temperatura ambiente. Li adoro. I più deludenti, che assurgono a valore di mediocrità, sono quelli senza patente, che arrivano in pullman, devi andarli a prendere alla fermata del bus, non hanno i soldi per il caffè. Magari un libro l’hanno pure azzeccato. Di solito è il libro d’esordio. Ma è fortuna, non c’è nessun disegno nel loro operare. Adoro gli scrittori ricchi, appagati.
Qualche amore a prima vista?
Eccome. Sono stato folgorato dalla poetessa Mariangela Gualtieri. Ci siamo guardati negli occhi e ci siamo detti: “Come sei bella/o!”. Anche con Tahar Ben Jelloun è stato amore a prima vista: ad andare in giro con lui per l’Emilia tra interviste, risate, torte e aceto balsamico, c’è da divertirsi. Magari vincerà pure il Nobel, vuoi mettere? In generale, ora come ora, apprezzo molto le persone ricche e gli imprenditori. Mediamente hanno molto più gusto e intelligenza rispetto alla media. Se dovessi pensare a chi ce la farà in futuro, con questa crisi, potrei scommettere sui ricchi e gli imprenditori di successo. I poveri si scanneranno tra loro, i ricchi e i sapienti, come fece Noé, s’innalzeranno sopra al diluvio, galleggiando sopra a tutti gli altri.
Viste tutte le relazioni che hai sviluppato in ambito letterario, dovresti essere una addentro alle cose, invece mantieni una tua distanza. Perché? Cosa pensi del mondo editoriale italiano e dei premi letterari?
Quando vado a una fiera del libro impiego dieci giorni per riprendermi. Non ci vado più. Vedere ciò che per te è vitale buttato lì come la mozzarella nel reparto frigo o una vite della Brico, ti mette una tristezza infinita. Il mondo editoriale ha poca immaginazione, le persone meno creative che abbia mai conosciuto appartengono a un ambiente che dovrebbe avere l’invenzione e la creatività come stile di vita. Invece… ognuno deve prendere ordini da qualcun altro che è un po’ più in su e così tutto è bloccato. Intanto il mondo va avanti.
Quali sono i tuoi autori di riferimento, se ne hai?
Alla fine mi sono sempre stancato di tutti gli autori. Ne faccio una fissazione, poi l’interesse scema. Nel frattempo ho appreso qualcosa. Una decina di anni fa per fare lo snob dicevo persino che i miei autori di riferimento erano Richard Bach, quello del Gabbiano, e Sergio Bambarèn, l’autore de “Il Delfino”. Lo dicevo perché sono scrittori da milioni di copie vendute e sono sempre stato affascinato dagli autori di pochi libri di successo: Saint Exupéry, Collodi, Gibran. Seriamente invece, adesso apprezzo molto René Daumal sia come studioso che come narratore e amo la poesia di Osip Ėmil’evič Mandel’štam. Mi nutro molto di poesia negli ultimi anni, anche la poesia in prosa. Il decadimento della nostra società italiana è andato di pari passo col disinteresse nei confronti della poesia. Sicuro.
Quanto conta per te la felicità? O hai bisogno di essere malinconico, depresso o arrabbiato col mondo per scrivere, come capita a molti?
Una felicità ha senso se porta da qualche parte, cioè se apre possibilità. In inglese, happy, “felice” e happen, “succedere”, sono parole apparentate. In italiano felicità, felicitas in latino, deriva da una radice indoeuropea, e dall’accadico, ma in definitiva ha a che fare con la mammella e l’atto di succhiare. Per cui felicità, semplificando, indica l’appagamento del bambino quando succhia il seno materno. Già svezzato, per fortuna! Quando scrivo devo essere semplicemente entusiasta.
Cosa sono per te il bene e il male, se esistono? E nel mondo c’è più dell’uno o dell’altro?
È un problema antico, no? Che va di pari passo col giusto e con lo sbagliato. Nel secondo e terzo capitolo della Genesi Dio dice: Quell’albero lì lasciatelo stare. L’albero del giusto e dello sbagliato, lasciatelo perdere. Non cascateci anche voi… ragionate in base a quello che sentite e che non sentite. Ragionate in base a quello che sentite così così o sentite meno. Moltiplicate i fattori di giudizio, non riportate tutto a questa sciocca dicotomia giusto e sbagliato, bene e male, perché vi rovinate tutte le storie del mondo. Poi vi sentirete bloccati e non saprete più cosa fare. Finirete che anche vedendo una zanzara vi chiederete se è giusto ammazzarla oppure no, così vi sentirete stupidi, non in grado di giudicare le cose, e vi potranno fregare come vogliono, in tutti i modi, perché sarete talmente confusi sulla semplice alternanza bene e male che vi imbroglieranno, vi faranno ingoiare tutte le schifezze del mondo prendendovi in giro come quelli che fanno il gioco delle tre carte. Qui invece c’è il gioco delle due carte: giusto e sbagliato. Bene e male. Purtroppo non hanno ascoltato Dio. Dicono che è stata Eva a cascarci per prima. Comunque hanno assaggiato e siamo nei guai per quello. Quell’albero lì, quella mela, in una ipotetica analessi, non sarebbe da assaggiare, l’uomo dovrebbe disinteressarsene completamente.
E la verità? Esiste? Ed è così importante o contano di più altre cose: per esempio l’etica?
Anche la questione legata alla Verità è uno di quei temi “trappola” come “Amore”, “Realtà”, “Cultura”, “Morale”… sono parole che sentiamo e usiamo ogni giorno, così facilmente comprensibili che sembrano ovvie e scontate per tutti. Se però ci addentriamo nelle sfaccettature di questi termini, scopriamo che non si arriva a una situazione definitiva. Sono trappole, sono parole vuote. Veritas ha una radice come Var– che significa “credere”. Capisci che se verità significa credere, non è più quel che pensavamo significasse, ma Verità è un atto di fede. In russo fede si dice vera… Quando dico: Quella è la verità, nel profondo è come se mi dicessero: credici. Abbi fede. Ma io non voglio credere, io voglio la verità… ma verità significa “credere” e io allora a cosa devo credere? Di cosa devo aver fede per sapere la Verità? Se un politico o un creatore di opinioni mi dice: “La verità”, e io non la metto in discussione, come società alimento tutti quegli idola theatri legati alla cattiva comprensione, e la verità diventa una credenza, un atto di fede. In Italia, quindi Verità significa “fidarsi”, ma anche l’inglese true cioè vero nella lingua antica è “fidarsi”. Capisci come agisce nella mente delle persone la “verità” come “fede”, come fiducia? È un concetto dispotico, che non dipende da te, ma dall’esterno. È impositivo, dittatoriale. Per quanto riguarda l’etica, sarebbe un’abitudine, un costume, una consuetudine, un carattere. Per chi lavora con l’immaginazione, con l’arte, con la creazione di storie, con una visione, l’abitudine, il costume, dovrebbero essere letali come la peste nera. Parlare di “etica” include un senso di colpa di fondo. Etica non è la Morale, bensì presuppone un comportamento individuale. C’è un’etica del criminale, con delle sue razionali espressioni, rispetta certe sue personali esigenze, che non sono quelle della Morale. Mi viene da pensare che nella costruzione di un personaggio bisognerebbe lavorare sull’edificazione di una sua etica. Se uno è privo di etica, rischia di obbedire a una morale, ossia a un comportamento dettato dagli altri. È chiaro che farà molta fatica a vivere perché cercherà sempre l’approvazione degli altri e ne sarà imprigionato. Nella nostra vita la morale e l’etica sono un’ansa del fiume in cui è meglio non ficcarsi!
A cosa stai lavorando: puoi dircelo? Parlo di nuovi libri o progetti letterari…
Ho appena finito di scrivere una novella di 80.000 battute ambientata dal 1979 al 1981. Sto scrivendo un romanzo lungo, con una trama a capitoli alternati in cui ci sono marionettisti, gitane che gestiscono un circo, leggi razziali e Giorgio Bassani ventenne.
Quale vorresti che fosse il tuo epitaffio? Come vorresti essere ricordato?
C’è un bellissimo libro sugli epitaffi greci del periodo ellenistico. Una Spoon River di tanto tempo fa. Da me sarebbe bello leggere: “Ha cercato di sedurre la Musa Calliope”.
Ah ah, molto bello! Che altro dire, se non che ti ringraziamo per ogni tua parola. C’è molto sale, in te. Alla prossima. E che il tuo bosco cresca rigoglioso come promette, sempre di più.
Gianluca Barbera
L'articolo “Ne avevo piene le tasche delle persone, così ho abitato in una casa galleggiante sul Po”: Gianluca Barbera dialoga con Davide Bregola di burattini, verità, letteratura e scrittori di successo (i più simpatici) proviene da Pangea.
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colospaola · 8 years ago
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“Io sono padano di riva e di golena, di boschi e di sabbioni. E mi sono scoperto figlio legittimo del Po”.
Giovanni Luigi Brera detto Gianni, uno dei nomi più importanti del giornalismo nostrano, nacque dal barbiere Carlo e da Marietta Ghisoni, l’8 settembre del 1919 in quel di San Zenone Po, cioè al classico tiro di schioppo da dove l’Olona, si getta nel Po, in quel di Portalbera.
E il Brera prima di sentirsi profondamente lombardo, si sentiva olonate con uno stretto e forte legame con il fiume, condiviso con un altro grande raccontatore del grande fiume, Giovanni Guareschi. San Zenone Po, un paesino all’incrocio di due fiumi, nella bassa pavese al confine con l’Emilia, sconosciuto ai più ma ricco di talenti: è infatti dello stesso luogo, anche Gualtiero Marchesi, uno degli chef più famosi al mondo.
Gianni Brera lasciò il paese natale a quattordici anni per trasferirsi a Milano presso la sorella Alice e iscriversi al liceo scientifico, giocò a calcio in una delle squadre giovanili che facevano capo al Milan, il “G.C. Giosuè Carducci” di Milano, dove, sotto la guida dall’allenatore Renato Rossi, vinse nel 1935 il Torneo Baravaglio organizzato dal Guerin Sportivo a Torino. Pur continuando a giocare, il sedicenne Brera iniziò a scrivere piccoli articoli a commento del campionato della Sezione Propaganda per il settimanale milanese “Lo schermo sportivo”.
La forte e crescente passione calcistica, lo portava a trascurare gli studi, così il padre e la sorella gli imposero di smettere di giocare e di spostarsi a Pavia, dove terminò il liceo e s’iscrisse all’Università (Scienze Politiche). Nel frattempo scoppiò la Seconda Guerra Mondiale e Giuanin fu costretto a partire soldato, diventando prima ufficiale e poi paracadutista, scrivendo in questa veste alcuni memorabili articoli per diversi giornali di provincia.
La sua bravura non passò inosservata, venne chiamato per alcune collaborazioni giornalistiche al Popolo d’Italia e al Resto del Carlino, testate decisamente importanti anche se controllate dal regime fascista. Durante quel periodo, circa due anni, vennero a mancare i suoi genitori, ma nonostante ciò Gianni si laureò, con una tesi su Tommaso Moro, e in seguito si sposò.
In seguito partì per la capitale per assumere il ruolo di redattore capo di Folgore, la rivista ufficiale dei paracadutisti. Intanto, in Italia gli oppositori del regime andavano organizzandosi sempre meglio, qualche esponente della resistenza contattò anche Brera che, dopo non poche esitazioni, decise di collaborare.
A Milano partecipò con il fratello Franco alla sparatoria della stazione Centrale, uno dei primi atti di resistenza contro i tedeschi. Insieme catturarono un soldato della Wehrmacht, e lo consegnarono ad altri estemporanei ribelli.  Seguì qualche mese di clandestinità. Brera si nascose, a Milano presso la suocera, a Valbrona dalla cognata; dopo un po’ ricomparve partecipando attivamente alla lotta partigiana in Val d’Ossola. Organizzò un piano per sventare un attentato al traforo del Sempione. In seguito si vantò sempre di non aver mai sparato a un uomo per tutta la durata della seconda Guerra mondiale. Il 2 luglio del ’45, a guerra finita, riprese l’attività di giornalista per la Gazzetta dello Sport, dopo la soppressione del giornale da parte del regime fascista, avvenuta due anni prima. Il suo è arrivo fu fortemente voluto dallo storico direttore Bruno Roghi. In pochi giorni cominciò a organizzare il Giro d’Italia di ciclismo, che avrebbe preso l’avvio nel maggio successivo.
Nel 1949, dopo essere stato corrispondente da Parigi e inviato per la Gazzetta alle Olimpiadi di Londra del ‘48, fu nominato, a soli trent’anni, condirettore del giornale assieme a Giuseppe Ambrosini. Ma nel 1954, dopo aver scritto un articolo poco compiacente sulla regina britannica Elisabetta II, provocando una polemica, Gianni Brera si dimise, con una decisione irrevocabile, dalla ‘rosa’.
Lasciata la Gazzetta, Brera compì un viaggio negli Stati Uniti e al suo ritorno fondò un settimanale sportivo, Sport giallo. Di lì a poco Gaetano Baldacci lo chiamò a “Il Giorno”, il giornale appena creato da Enrico Mattei, uno dei fautori del miracolo italiano negli anni 50/60, per assumere la direzione dei servizi sportivi. Iniziava un’avventura che avrebbe cambiato il giornalismo italiano. Il Giorno si distinse subito per l’anticonformismo, non solo politico. Nuovi erano infatti lo stile e il linguaggio, più vicini al parlare quotidiano, e l’attenzione dedicata ai fatti di costume, al cinema, alla televisione. Grande, inoltre, lo spazio dedicato allo sport.
Brera qui mise a punto il suo stile e il suo linguaggio. Mentre l’italiano comune oscillava ancora tra un linguaggio formale e l’emarginazione dialettale, egli si serviva di tutte le risorse della lingua, allontanandosi al tempo stesso dai modelli paludati e dalle forme più banalmente usuali, e ricorrendo in più a una straordinaria inventiva. Tale era la sua fantasiosa prosa che è rimasta famosa la dichiarazione di Umberto Eco, che definì Brera come un “Gadda spiegato al popolo”. Brera fu conteso perché scriveva tanto, cinque cartelle l’ora era la sua media, e perché scriveva bene, uno dei pochi giornalisti studiato dagli epigoni per l’uso dei settenari doppi.
Per “Il Giorno”, Brera seguì le grandi corse ciclistiche, il Tour de France e il Giro d’Italia, prima di dedicarsi completamente al calcio, senza smettere però di amare profondamente il ciclismo, su cui ha scritto, tra l’altro, “Addio bicicletta” e “Coppi e il diavolo”, stupenda biografia del “Campionissimo” Fausto Coppi, del quale fu amico fraterno.
Nel 1976 tornò come editorialista alla Gazzetta dello sport. Intanto, continuava a curare sul Guerin Sportivo la rubrica “Arcimatto” (il cui titolo sembra fosse ispirato all’Elogio della follia di Erasmo da Rotterdam), mai interrotta e mantenuta fino alla fine. Qui Brera scriveva non solo di sport, ma anche su temi di storia, letteratura, arte, caccia e pesca, gastronomia. Scrisse con l’amico e gastronomo Luigi Veronelli “La pacciada”. Mangiarebere in pianura padana, un monumentale lavoro che analizza la cucina e le abitudini contadine di un tempo nella Pianura Padana. Anzi, come rispolverò lui, Padania, per indicare la Pianura padana e il Nord Italia in generale.
Ribadiva che il ragù d’oca della sua Bassa era il miglior cibo del mondo, altro che quello degli chef stellati dei grandi ristoranti d’Oltralpe. Ammetteva una leggerissima superiorità dei piemontesi (Langhe, Monferrato, Astigiano) sui lombardi (vigneti delle sue colline pavesi).
Chiusa la parentesi di editorialista alla Gazzetta, il giornalista di San Zenone Po fu di nuovo al “Giorno” e passò poi, nel ‘79, al Giornale, fondato da Indro Montanelli, dopo la sua fuoruscita dal Corriere della Sera.
Nell’82 fu chiamato da Eugenio Scalfari a La Repubblica. Precedentemente, comunque, aveva iniziato anche una collaborazione saltuaria e poi fissa, alla trasmissione televisiva “Il processo del lunedì”, condotta da Aldo Biscardi. Moltissime in seguito sono state le apparizioni televisive di Brera, come ospite e opinionista in programmi sportivi, e perfino come conduttore sull’emittente privata Telelombardia.
Prima dei Mondiali di calcio del 1982 in Spagna, dichiarò che se l’Italia di Enzo Bearzot avesse vinto il titolo, si sarebbe recato a piedi in un santuario di devozione mariana che si trovava in un paese a pochi chilometri da Milano, dove abitava. Non era passato un mese dal trionfo del Bernabeu che Brera, si fece fotografare in abito penitenziale e scalzo mentre attraversava il sagrato del santuario.
Disse no a Paolo Mieli che, da direttore del Corriere della Sera, si vide rigettare l’offerta di diventare giornalista sportivo di punta in via Solferino. Era l’inizio del dicembre 1992 e, per sua stessa ammissione, Brera si sentiva ormai un po’ stanco. Quello fu l’ultimo “no” della sua vita: qualche giorno dopo il 19 dicembre 1992, al ritorno dalla rituale cena del giovedì, immancabile appuntamento con il gruppo dei suoi amici, sulla strada tra Codogno e Casalpusterlengo, il grande giornalista perse la vita in un incidente. Aveva 73 anni.
Brera rimane indimenticabile per molte cose, una delle quali è la sua nota, la sua teoria “biostorica”, per cui le caratteristiche sportive di un popolo dipendevano dall’etnos, cioè dal retroterra economico, culturale, storico. Così i nordici erano per definizione grintosi e portati all’attacco, i mediterranei gracili e quindi costretti a ricorrere all’arguzia tattica.
Inoltre, è quasi impossibile elencare tutti i neologismi entrati nel linguaggio comune, tuttora in uso presso redazioni e bar sport: la palla-gol, il centrocampista (nome di conio elementare ma cui nessuno aveva mai pensato), il cursore, il forcing, la goleada, il goleador, il libero (proprio così, il nome al ruolo l’ha inventato lui), la melina, l’incornata, il disimpegno, la pretattica, la rifinitura, l’atipico… Celebri anche i nomi di battaglia che appioppò a molti protagonisti del calcio italiano. L’amico dell’adolescenza Giuseppe Bonizzoni (calciatore e allenatore), con cui “tirava” al pallone sul campo di Lambrate, divenne Cina, per via degli occhi a mandorla, “el cinès”. Rivera fu ribattezzato “Abatino”, Riva “Rombo di tuono”, Altafini “Conileone”, Boninsegna “Bonimba”, Causio “Barone”, Oriali “Piper” (e quando giocava male “Gazzosino”), Pulici “Puliciclone”, e così via.
Giuanin Brera, è stato anche un discreto autore letterario. Come l’altro uomo di fiume Guareschi, tutta la sua scrittura deriva per ispirazione dalla terra d’origine: le pianure della campagna pavese, nebbiose d’inverno ma con il sole a picco d’estate. La “Trilogia di Pianariva” è l’opera principe di questo lombardo, che trae il nome da un paesino di fantasia accostabile al borgo natio. Ed è qui che si giocano le sorti di un popolo semplice, che cerca di sbarcare il lunario, nella massacrata Italia del primo dopoguerra.
Poi è la volta de “Il corpo della ragassa” del 1969, con cui si apre la trilogia, una sorta di “My fair lady” in salsa padana. Tirisin è una bella ragazza, circuita dal potente prof. Ulderico Quadrio in cambio di un posto nella società che conta. Ma con le sue doti seduttive, la piccola Teresa saprà tenere al guinzaglio Ulderico, invertendo il rapporto di sottomissione. Racconto da cui ne venne tratto anche un film alla fine degli anni 70, per la regia di Pasquale Festa Campanile con Lilli Carati ed Enrico Maria Salerno.
Non meno sanguigno è il secondo volume, “Il mio vescovo e le animalesse”. Tra il Po e l’Olona si trova un sinistro podere, la Speziana, dove il Male ha preso residenza. Il vescovo Rovati dovrà fronteggiare la pioggia di perversioni e di sacrilegi che la potenza distruttiva del demonio emana. Per concludere, “La ballata del pugile suonato”. Claudio Orsini e la sua lotta a colpi di ganci e diritti in una bassa pavese dove si incrociano fascisti e partigiani.
Oggi come oggi il suo nome è tenuto vivo da siti Internet, premi letterari e giornalistici. Inoltre, la gloriosa Arena di Milano è stata ribattezzata come “Arena Gianni Brera”.
“Frequentando le scuole, ho preso per inconscio narcisismo ad amare i luoghi dove sono nato e a farmi un vanto di avere la casta Olona come madre e il grande Po come padre.”
GIANNI BRERA, OVVERO UNA CLASSICA STORIA DI FIUME "Io sono padano di riva e di golena, di boschi e di sabbioni. E mi sono scoperto figlio legittimo del Po".
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colospaola · 8 years ago
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“Io sono padano di riva e di golena, di boschi e di sabbioni. E mi sono scoperto figlio legittimo del Po”.
Giovanni Luigi Brera detto Gianni, uno dei nomi più importanti del giornalismo nostrano, nacque dal barbiere Carlo e da Marietta Ghisoni, l’8 settembre del 1919 in quel di San Zenone Po, cioè al classico tiro di schioppo da dove l’Olona, si getta nel Po, in quel di Portalbera.
E il Brera prima di sentirsi profondamente lombardo, si sentiva olonate con uno stretto e forte legame con il fiume, condiviso con un altro grande raccontatore del grande fiume, Giovanni Guareschi. San Zenone Po, un paesino all’incrocio di due fiumi, nella bassa pavese al confine con l’Emilia, sconosciuto ai più ma ricco di talenti: è infatti dello stesso luogo, anche Gualtiero Marchesi, uno degli chef più famosi al mondo.
Gianni Brera lasciò il paese natale a quattordici anni per trasferirsi a Milano presso la sorella Alice e iscriversi al liceo scientifico, giocò a calcio in una delle squadre giovanili che facevano capo al Milan, il “G.C. Giosuè Carducci” di Milano, dove, sotto la guida dall’allenatore Renato Rossi, vinse nel 1935 il Torneo Baravaglio organizzato dal Guerin Sportivo a Torino. Pur continuando a giocare, il sedicenne Brera iniziò a scrivere piccoli articoli a commento del campionato della Sezione Propaganda per il settimanale milanese “Lo schermo sportivo”.
La forte e crescente passione calcistica, lo portava a trascurare gli studi, così il padre e la sorella gli imposero di smettere di giocare e di spostarsi a Pavia, dove terminò il liceo e s’iscrisse all’Università (Scienze Politiche). Nel frattempo scoppiò la Seconda Guerra Mondiale e Giuanin fu costretto a partire soldato, diventando prima ufficiale e poi paracadutista, scrivendo in questa veste alcuni memorabili articoli per diversi giornali di provincia.
La sua bravura non passò inosservata, venne chiamato per alcune collaborazioni giornalistiche al Popolo d’Italia e al Resto del Carlino, testate decisamente importanti anche se controllate dal regime fascista. Durante quel periodo, circa due anni, vennero a mancare i suoi genitori, ma nonostante ciò Gianni si laureò, con una tesi su Tommaso Moro, e in seguito si sposò.
In seguito partì per la capitale per assumere il ruolo di redattore capo di Folgore, la rivista ufficiale dei paracadutisti. Intanto, in Italia gli oppositori del regime andavano organizzandosi sempre meglio, qualche esponente della resistenza contattò anche Brera che, dopo non poche esitazioni, decise di collaborare.
A Milano partecipò con il fratello Franco alla sparatoria della stazione Centrale, uno dei primi atti di resistenza contro i tedeschi. Insieme catturarono un soldato della Wehrmacht, e lo consegnarono ad altri estemporanei ribelli.  Seguì qualche mese di clandestinità. Brera si nascose, a Milano presso la suocera, a Valbrona dalla cognata; dopo un po’ ricomparve partecipando attivamente alla lotta partigiana in Val d’Ossola. Organizzò un piano per sventare un attentato al traforo del Sempione. In seguito si vantò sempre di non aver mai sparato a un uomo per tutta la durata della seconda Guerra mondiale. Il 2 luglio del ’45, a guerra finita, riprese l’attività di giornalista per la Gazzetta dello Sport, dopo la soppressione del giornale da parte del regime fascista, avvenuta due anni prima. Il suo è arrivo fu fortemente voluto dallo storico direttore Bruno Roghi. In pochi giorni cominciò a organizzare il Giro d’Italia di ciclismo, che avrebbe preso l’avvio nel maggio successivo.
Nel 1949, dopo essere stato corrispondente da Parigi e inviato per la Gazzetta alle Olimpiadi di Londra del ‘48, fu nominato, a soli trent’anni, condirettore del giornale assieme a Giuseppe Ambrosini. Ma nel 1954, dopo aver scritto un articolo poco compiacente sulla regina britannica Elisabetta II, provocando una polemica, Gianni Brera si dimise, con una decisione irrevocabile, dalla ‘rosa’.
Lasciata la Gazzetta, Brera compì un viaggio negli Stati Uniti e al suo ritorno fondò un settimanale sportivo, Sport giallo. Di lì a poco Gaetano Baldacci lo chiamò a “Il Giorno”, il giornale appena creato da Enrico Mattei, uno dei fautori del miracolo italiano negli anni 50/60, per assumere la direzione dei servizi sportivi. Iniziava un’avventura che avrebbe cambiato il giornalismo italiano. Il Giorno si distinse subito per l’anticonformismo, non solo politico. Nuovi erano infatti lo stile e il linguaggio, più vicini al parlare quotidiano, e l’attenzione dedicata ai fatti di costume, al cinema, alla televisione. Grande, inoltre, lo spazio dedicato allo sport.
Brera qui mise a punto il suo stile e il suo linguaggio. Mentre l’italiano comune oscillava ancora tra un linguaggio formale e l’emarginazione dialettale, egli si serviva di tutte le risorse della lingua, allontanandosi al tempo stesso dai modelli paludati e dalle forme più banalmente usuali, e ricorrendo in più a una straordinaria inventiva. Tale era la sua fantasiosa prosa che è rimasta famosa la dichiarazione di Umberto Eco, che definì Brera come un “Gadda spiegato al popolo”. Brera fu conteso perché scriveva tanto, cinque cartelle l’ora era la sua media, e perché scriveva bene, uno dei pochi giornalisti studiato dagli epigoni per l’uso dei settenari doppi.
Per “Il Giorno”, Brera seguì le grandi corse ciclistiche, il Tour de France e il Giro d’Italia, prima di dedicarsi completamente al calcio, senza smettere però di amare profondamente il ciclismo, su cui ha scritto, tra l’altro, “Addio bicicletta” e “Coppi e il diavolo”, stupenda biografia del “Campionissimo” Fausto Coppi, del quale fu amico fraterno.
Nel 1976 tornò come editorialista alla Gazzetta dello sport. Intanto, continuava a curare sul Guerin Sportivo la rubrica “Arcimatto” (il cui titolo sembra fosse ispirato all’Elogio della follia di Erasmo da Rotterdam), mai interrotta e mantenuta fino alla fine. Qui Brera scriveva non solo di sport, ma anche su temi di storia, letteratura, arte, caccia e pesca, gastronomia. Scrisse con l’amico e gastronomo Luigi Veronelli “La pacciada”. Mangiarebere in pianura padana, un monumentale lavoro che analizza la cucina e le abitudini contadine di un tempo nella Pianura Padana. Anzi, come rispolverò lui, Padania, per indicare la Pianura padana e il Nord Italia in generale.
Ribadiva che il ragù d’oca della sua Bassa era il miglior cibo del mondo, altro che quello degli chef stellati dei grandi ristoranti d’Oltralpe. Ammetteva una leggerissima superiorità dei piemontesi (Langhe, Monferrato, Astigiano) sui lombardi (vigneti delle sue colline pavesi).
Chiusa la parentesi di editorialista alla Gazzetta, il giornalista di San Zenone Po fu di nuovo al “Giorno” e passò poi, nel ‘79, al Giornale, fondato da Indro Montanelli, dopo la sua fuoruscita dal Corriere della Sera.
Nell’82 fu chiamato da Eugenio Scalfari a La Repubblica. Precedentemente, comunque, aveva iniziato anche una collaborazione saltuaria e poi fissa, alla trasmissione televisiva “Il processo del lunedì”, condotta da Aldo Biscardi. Moltissime in seguito sono state le apparizioni televisive di Brera, come ospite e opinionista in programmi sportivi, e perfino come conduttore sull’emittente privata Telelombardia.
Prima dei Mondiali di calcio del 1982 in Spagna, dichiarò che se l’Italia di Enzo Bearzot avesse vinto il titolo, si sarebbe recato a piedi in un santuario di devozione mariana che si trovava in un paese a pochi chilometri da Milano, dove abitava. Non era passato un mese dal trionfo del Bernabeu che Brera, si fece fotografare in abito penitenziale e scalzo mentre attraversava il sagrato del santuario.
Disse no a Paolo Mieli che, da direttore del Corriere della Sera, si vide rigettare l’offerta di diventare giornalista sportivo di punta in via Solferino. Era l’inizio del dicembre 1992 e, per sua stessa ammissione, Brera si sentiva ormai un po’ stanco. Quello fu l’ultimo “no” della sua vita: qualche giorno dopo il 19 dicembre 1992, al ritorno dalla rituale cena del giovedì, immancabile appuntamento con il gruppo dei suoi amici, sulla strada tra Codogno e Casalpusterlengo, il grande giornalista perse la vita in un incidente. Aveva 73 anni.
Brera rimane indimenticabile per molte cose, una delle quali è la sua nota, la sua teoria “biostorica”, per cui le caratteristiche sportive di un popolo dipendevano dall’etnos, cioè dal retroterra economico, culturale, storico. Così i nordici erano per definizione grintosi e portati all’attacco, i mediterranei gracili e quindi costretti a ricorrere all’arguzia tattica.
Inoltre, è quasi impossibile elencare tutti i neologismi entrati nel linguaggio comune, tuttora in uso presso redazioni e bar sport: la palla-gol, il centrocampista (nome di conio elementare ma cui nessuno aveva mai pensato), il cursore, il forcing, la goleada, il goleador, il libero (proprio così, il nome al ruolo l’ha inventato lui), la melina, l’incornata, il disimpegno, la pretattica, la rifinitura, l’atipico… Celebri anche i nomi di battaglia che appioppò a molti protagonisti del calcio italiano. L’amico dell’adolescenza Giuseppe Bonizzoni (calciatore e allenatore), con cui “tirava” al pallone sul campo di Lambrate, divenne Cina, per via degli occhi a mandorla, “el cinès”. Rivera fu ribattezzato “Abatino”, Riva “Rombo di tuono”, Altafini “Conileone”, Boninsegna “Bonimba”, Causio “Barone”, Oriali “Piper” (e quando giocava male “Gazzosino”), Pulici “Puliciclone”, e così via.
Giuanin Brera, è stato anche un discreto autore letterario. Come l’altro uomo di fiume Guareschi, tutta la sua scrittura deriva per ispirazione dalla terra d’origine: le pianure della campagna pavese, nebbiose d’inverno ma con il sole a picco d’estate. La “Trilogia di Pianariva” è l’opera principe di questo lombardo, che trae il nome da un paesino di fantasia accostabile al borgo natio. Ed è qui che si giocano le sorti di un popolo semplice, che cerca di sbarcare il lunario, nella massacrata Italia del primo dopoguerra.
Poi è la volta de “Il corpo della ragassa” del 1969, con cui si apre la trilogia, una sorta di “My fair lady” in salsa padana. Tirisin è una bella ragazza, circuita dal potente prof. Ulderico Quadrio in cambio di un posto nella società che conta. Ma con le sue doti seduttive, la piccola Teresa saprà tenere al guinzaglio Ulderico, invertendo il rapporto di sottomissione. Racconto da cui ne venne tratto anche un film alla fine degli anni 70, per la regia di Pasquale Festa Campanile con Lilli Carati ed Enrico Maria Salerno.
Non meno sanguigno è il secondo volume, “Il mio vescovo e le animalesse”. Tra il Po e l’Olona si trova un sinistro podere, la Speziana, dove il Male ha preso residenza. Il vescovo Rovati dovrà fronteggiare la pioggia di perversioni e di sacrilegi che la potenza distruttiva del demonio emana. Per concludere, “La ballata del pugile suonato”. Claudio Orsini e la sua lotta a colpi di ganci e diritti in una bassa pavese dove si incrociano fascisti e partigiani.
Oggi come oggi il suo nome è tenuto vivo da siti Internet, premi letterari e giornalistici. Inoltre, la gloriosa Arena di Milano è stata ribattezzata come “Arena Gianni Brera”.
“Frequentando le scuole, ho preso per inconscio narcisismo ad amare i luoghi dove sono nato e a farmi un vanto di avere la casta Olona come madre e il grande Po come padre.”
GIANNI BRERA, OVVERO UNA CLASSICA STORIA DI FIUME "Io sono padano di riva e di golena, di boschi e di sabbioni. E mi sono scoperto figlio legittimo del Po".
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