#Giovanni della Croce
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radiosciampli-blog · 5 months ago
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sunusaix · 2 months ago
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PANNOCIATO E PÀ NNOCIATO
Vale la pena ricordare questo giorno festa dell’Esaltazione della Croce con anche la nostra tradizione culinaria marchigiana molto antica! PANNOCIATO E PÀ NNOCIATO Pannociato dolce Pà nnociato pane alle noci
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cristianesimocattolico · 11 months ago
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«Vi spiego l’influenza di san Giovanni della Croce su Wojtyła»
«Il lavoro giovanile di Karol Wojtyła sulle opere di san Giovanni della Croce durò circa otto anni», e culminò nella tesi di dottorato dedicata alla dottrina della fede nel santo spagnolo. La Bussola intervista don Andrzej Dobrzyński. Continue reading Untitled
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sophiaepsiche · 2 years ago
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La notte oscura dell’anima
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‘Il viaggio contemplativo, implicando la purificazione dell’inconscio, non è un tappeto magico verso la beatitudine. È l’esercizio di lasciare andare il falso sé, un processo che lo umilia, perché è il solo sé che conosciamo. Niente è più utile, a ridurre l’orgoglio, della reale esperienza del conoscere se stessi. Se ci facciamo scoraggiare da tale esperienza, non ne abbiamo capito il significato.’ (Padre Thomas Keating)
Conoscenza di sé nella notte dell’anima
Abbiamo considerato la prima notte sotto il punto di vista del conosci te stesso. La relazione tra conoscenza di Dio e conoscenza di sé è resa molto evidente da San Giovanni della Croce quando parla della seconda notte, ma prima vediamo come ha inizio. Mentre tutto sembra proseguire bene, e l’anima ‘con grande facilità trova subito in sé una contemplazione serena e piena d’amore’, può raggiungere un picco nella pratica mai avuto prima. Come per la prima notte, questo picco rappresenta l’inizio di un processo di purificazione e trasformazione. La maggior vicinanza alla coscienza pura non può che scatenare una purificazione più profonda della precedente. In alcuni avviene ‘a briciole’, senza grandi sconvolgimenti, in una sorta di altalena tra alti e bassi nella pratica. In rarissimi casi, invece, in cui Dio vuole elevare l’anima all’unione con sé, si attraversa questa notte. Dopo il picco, saliranno al conscio cose fino ad allora nascoste e questo turberà non poco l’aspirante. 
Dio ‘strappa dalle tenebre i segreti e porta alla luce cose oscure’, cita San Giovanni dal libro di Giobbe. L’anima ‘deve penare e soffrire come campo di combattimento in cui si confrontano due opposti che lottano l’uno contro l’altro, dal momento che la contemplazione va purificando l’anima dalle sue imperfezioni’. La luce della coscienza pura è uno di questi opposti e l’altro sono le impurità dell’ego. La grande luce ‘fa uscire tutte le sue brutture’. ‘Precedentemente non le scorgeva perché non illuminata da quella luce soprannaturale’. ‘Questa purificazione rimuove gradualmente tutti gli umori cattivi e viziosi che l’anima non riusciva a vedere perché profondamente radicati in lei. Non si rendeva conto di quanto male avesse dentro; ora, invece, perché li possa buttare fuori e distruggere, le vengono posti davanti agli occhi e li vede benissimo, illuminata dalla luce della contemplazione divina’.
Il dolore non è dovuto alla contemplazione di per sé, dunque, ma al conflitto che prova l’anima: ‘si sente talmente impura e miserabile da avere la sensazione che Dio le sia contro’. ‘Poiché riesce a vedere dentro di sé ciò che prima non vedeva, ha la sensazione chiara, non solo di non essere guardata da Dio, ma addirittura di essere aborrita da lui.’ ‘Questo è il motivo per cui all’inizio non sente che tenebre e dolore’. È inoltre ‘oggetto del medesimo abbandono e disprezzo anche da parte delle creature’. Anche a livello esperienziale, quindi, si dovranno affrontare prove che mirano a far guadagnare, in futuro, un ben maggiore distacco interiore e che scatenano, nell’immediato, reazioni da purificare e trascendere. Il povero praticante non deve far altro che perseverare nella prova, non fermarsi mai, continuare a praticare a prescindere dai risultati e senza farsi scoraggiare da ciò che sale al conscio.
Povertà di spirito
Un altro dei motivi per cui la notte provoca dolore è che, qualora prima si sperimentassero, qui, comunicazioni, estasi, consolazioni, visioni e locuzioni si interrompono. Non solo i sensi ma anche i gusti spirituali, ai quali soprattutto i mistici sono dolcemente abituati, subiranno una grande aridità. Questo rende la notte più penosa per i mistici che per chi segue le vie introspettive. San Giovanni rende chiaro se c’è attaccamento o un senso di proprietà verso queste grazie spirituali, deve essere purificato e ciò accade grazie a questa notte. L’aspirante deve procedere nel cammino per ‘fede pura’ e non per ricevere grazie o consolazioni. Distaccandosi anche dai gusti spirituali, la parte sensitiva si purificherà più profondamente e quella dell’anima arriverà alla famosa ‘povertà di spirito’. ‘Qui i sensi e lo spirito vengono completamente spogliati di tutte le percezioni e i gusti sensibili’. Dio svuota l’anima e la lascia nell’oscurità della contemplazione, la purifica e la illumina. ‘Non solo l’intelletto viene purificato del suo lume e la volontà dei suoi affetti ma anche la memoria dei suoi discorsi e delle sue conoscenze’. Questo è essenziale, poiché basta che affiori un affetto o un attaccamento ad un oggetto particolare, perché l’aspirante non senta  il ‘delicato sapore dello spirito’. ‘Occorre che l’anima sia nel vuoto e nella povertà di spirito, purificata da ogni attaccamento, conforto e percezione naturale di cose divine e umane.’
Ci sono delle pause di sollievo che donano coraggio e perseveranza all’aspirante. Queste pause produrranno un effetto molto netto, senza via di mezzo: ci si sente o pienamente nella luce e per sempre redenti oppure totalmente persi nell’oscurità. ‘Quando ci sono le sofferenze le sembra di non uscirne più e di aver perduto tutti i beni, quando al contrario le vengono accordati beni spirituali pensa siano finiti tutti i suoi mali’. Mi fermerei un attimo a parlare proprio di questa altalena che caratterizza, anche se molto più lievemente, tutto il percorso spirituale. O si è nella luce o nel purgatorio della mente e delle sue impurità. Questa è esattamente la differenza tra samadhi e meditazione o tra samadhi e vipassana, per i buddhisti. Il mistico direbbe che ‘o si conosce Dio o  la propria miseria’. Infine, i non duali direbbero che ‘o si conosce se stessi o ciò che non si è’. Questa dualità nella pratica, soprattutto quando giungiamo al samadhi, può essere penosa per tutti, ma è bene abituarsi poiché persisterà finché ci sarà dualità in noi. È da accettare quanto prima in quanto è la natura stessa del cammino spirituale. Se gli scarti inconsci non salissero, non potrebbero essere trascesi, e se non fossimo dalla parte della consapevolezza, non salirebbero. Luce e oscurità sono due facce della stessa medaglia. Sebbene il processo di svelare l’inconscio sia meno piacevole della pace del silenzio è inevitabile, sano e porta alla guarigione finale che tutti vogliamo. Ad accettare questo andirivieni possono aiutare molto gli insegnamenti sull’impersonalità di ciò che viene a galla e, sicuramente, anche gli insegnamenti non duali. Dobbiamo capire quanto prima che i contenuti che salgono sono comuni, collettivi, impersonali. Mentre affrontiamo un attaccamento o una tentazione o una reazione, stiamo trascendendo un contenuto della psiche umana, poco importa se in noi ha preso una particolare forma o un particolare oggetto. La dinamica rimane collettiva. Tutto è impersonale anche quando ‘sembra’ personale. Sarà proprio quando capiremo questo errore di percezione, tanto bene da non ripeterlo più, che smetteremo di soffrire. Ci arrenderemo alla pratica, senza resistenze, senza conflitti e senza ricreare l’illusione che ciò che vediamo è nostro. Ovviamente, parlando della notte dell’anima, non ci stiamo riferendo a dei praticanti normali; la sensibilità raggiunta da un aspirante tanto puro da essere introdotto nell’ultima notte è talmente raffinata da rendere quest’ultima fase molto più penosa. L’amore che nutre una tale anima per Dio, o per la realizzazione, rende angoscioso il sacro timore di smarrirsi. È giusto allora essere preparati e consolati da San Giovanni e capire che, per mezzo di questa notte contemplativa, l’anima, che sente di aver fatto innumerevoli passi indietro, sta, in realtà, solo prendendo la rincorsa per il salto finale, per giungere alla pace interiore che ‘sorpassa ogni intelligenza.’
Proprietà della notte
Questa notte ha delle proprietà protettrici notevoli. La contemplazione è, di per sé, celata e sicura. Tiene l’aspirante al riparo da eventuali errori e deviazioni che si potrebbero prendere se non comunicasse solo in spirito, cioè solo in silenzio, ma con visioni, locuzioni e quant’altro. La notte distrugge il desiderio dei gusti spirituali e di tutte le cose create, facendo spiccare il volo verso l’unione permanente. Ha inoltre la capacità di fortificare l’anima, poiché la purifica nella sofferenza, nella prudenza e nel sacro timore. Fa aumentare lo zelo nella conoscenza di sé, perché l’anima ‘esamina e scruta mille volte se stessa’ per non offendere Dio. Queste proprietà ‘mirano tutte alla sua sicurezza e salvaguardia perché ormai è molto vicina a Dio.’ L’aspirante durante questa notte è ben sicuro, nascosto e protetto dagli attacchi dell’ego e degli altri.
Frutto
Dopo aver vissuto una buona parte di questa purificazione, verso la fine della notte dell’anima, accade qualcosa di simile alla prima notte ma molto più profonda. Nasce una veemente passione d’amore per Dio o un desiderio inarrestabile per la realizzazione. L’incendio d’amore questa volta si accende nella parte più intima dell’anima. San Giovanni fa notare che la differenza principale con la prima è che, ora, l’anima non dà più ‘alcun peso alle sofferenze dei sensi’, è ‘senza rispetto per niente’, procede ‘senza tener conto di quello che fa’, è determinata e coraggiosa  e, pur sentendosi indegna, diventa ardita e inarrestabile, perché ‘l’amore le dà la forza’. ‘Quest’amore trova tanto più spazio e accoglienza nell’anima’ quanto più distacco da tutto il resto si è raggiunto nella purificazione. In queste fiamme Dio ‘lo illumina riempendolo d’amore e di afflizione finché tale fuoco d’amore non lo spiritualizza e lo raffina, perché purificato, possa partecipare all’unione’. In questo stato ‘non si può durare a lungo: o si ottiene ciò che si desidera o si muore’. Questo  stato ricorda, non a caso, il vjakulata di cui parla Sri Ramakrishna Paramahamsa, uno stato parossistico che precede la realizzazione finale. Una descrizione di tale stato è data dalla metafora per cui si deve desiderare la liberazione come un uomo tenuto sott’acqua desidera una boccata d’aria. L’anima arrivata qui è a un passo dall’unione.
Morte dell’ego
Come sempre, la fine del percorso, nelle vie di verità, coincide con la morte dell’ego. Nel cristianesimo si parla della morte dell’uomo vecchio e la nascita dell’uomo nuovo. L’anima ‘una volta svuotata di tutto è veramente povera di spirito e spoglia dell’uomo vecchio’. Una purificazione così profonda per l’anima, in cui ‘Dio la distacca naturalmente in questo modo da tutto ciò che non è lui, per rivestirla a nuovo, una volta spogliata e liberata della sua vecchia pelle’, è assolutamente necessaria. È un passaggio essenziale, in quanto ‘occorre che l’anima in certo modo si annichili e si distrugga, tanto è assimilata alle passioni e imperfezioni’. Se sostituiamo la parola ‘anima’ ad ‘ego’, e ‘assimilata’ a ‘identificata’, è facilissimo capire di cosa sta parlando il santo: ‘occorre che l’ego in certo modo si annichili e si distrugga, tanto è identificato alle passioni e imperfezioni’. Il punto centrale è sempre perdere l’identificazione con i contenuti, le passioni e le imperfezioni, che così vengono trascese con grande facilità, in modo da giungere finalmente all’unione naturale e perenne. La notte, allora, non è affatto un momento di depressione spirituale, sebbene sia un processo doloroso, ma è l’apice della pratica, in cui ‘Dio umilia profondamente l’anima ma per poi esaltarla’. ‘Le conviene passare per questa tomba di oscura morte per arrivare alla risurrezione spirituale che l’attende.’ La trasformazione completa ci darà un nuovo grande illuminato, un grande santo, ‘quest’anima appartiene ormai al cielo, è celestiale, più divina che umana’. Una sorte fortunata per l’intero pianeta.
Conclusione
San Giovanni propone poi un’accurata descrizione della scala d’unione a Dio ed altri interessanti approfondimenti sugli effetti della notte. Qui trovate il testo. Finirei aggiungendo, come al mio solito, un’avvertenza. Ce la facciamo suggerire dai due più grandi maestri non duali recenti, per ricordare quanto tutto questo processo di purificazione sia presente anche nella non dualità, i cui concetti, purtroppo, sempre più spesso vengono strumentalizzati da narcisisti senza scrupoli. Anche persone ben motivate spesso tendono a denigrare la parte della pratica in cui i contenuti che emergono non possono che essere testimoniati ed io lo trovo pericoloso. Non dobbiamo aumentare il conflitto con questa parte della pratica ma diminuirlo per renderlo più fluido possibile. È un bene che vengano alla luce tutte le impurtià, dice Sri Ramana Maharshi poiché ‘la jnana non può divenire stabile se ci sono vasana’. Occorre dunque continuare a praticare perché divenga stabile. Eccovi infine una considerazione di Sri Nisargadatta Marahaj, che distingue i risultati della prima notte con quelli della seconda, mettendo in guardia l’aspirante orgoglioso, così: ‘sono tanti quelli che confondo l’alba con il mezzogiorno […], per eccesso di orgoglio distruggono quel poco che hanno raggiunto. Umiltà e silenzio sono essenziali all’aspirante, per quanti progressi abbia fatto. Solo uno jnani maturo può concedersi la completa spontaneità. Il frutto interiore deve maturare. Fino a quel momento si deve continuare con la disciplina, vivendo nella consapevolezza. Gradualmente la pratica si fa sempre più sottile finché non diventa senza forma’.
La pratica senza forma è il sahaja samadhi di Sri Ramana, o l’unione con Dio di cui parla San Giovanni. Fino ad allora, che sia notte o giorno, scegliamo sempre  di offrirci alla consapevolezza!
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ugomaggengo · 2 years ago
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Amante del Crocifisso
Quando vediamo il crocifisso proviamo spesse volte sgomento e paura e per tale motivo, evitiamo di riversare il nostro sguardo su di Lui perché ci spaventa. Eppure ci sono stati santi che hanno amato il crocifisso, lo hanno contemplato. Uno di questi è San Giovanni della Croce, conosciuto per le eroiche tribolazioni sopportate e per le numerose opere mistiche scritte, dove egli si erge quale vero…
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zaydabuzaydrp · 3 months ago
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Abu Zayd, più precisamente Zayd Abu Zayd Ab-Alh-Rahmann III, meglio conosciuto come "il Moro Zeyt", è un altro dei grandi protagonisti della nascita del Regno cristiano di Valencia.
Ultimo signore almohade di Valencia, era il pronipote del califfo berbero Abd-Al-Mucmin. Pur essendo originario di Baeza, era stato avviato alla politica dal nipote, il califfo Yusuf II, che lo nominò governatore di Valencia.
L’ultimo re almohade di Valencia vide presto sorgere problemi, sia per la pressione delle truppe cristiane a nord sia per quella di altri signori musulmani a sud. Insieme alla corruzione politica, che già esisteva all’epoca, avevano soffocato il popolo.
Dopo la morte del califfo Yusuf II, la decadenza politica si aggravò. Fu allora che Abu Zayd fu costretto a chiedere la protezione di Ferdinando III, il re santo di Castiglia. I raccolti rovinati da una piaga di cavallette e la mancanza di cibo incoraggiarono la ribellione della popolazione. In questa situazione, Zayyan Ibn Mardanis, discendente del re Lobo, arrivò a Valencia da Onda e guidò il rovesciamento di Abu Zayd, che dovette lasciare la città con il suo seguito e la sua famiglia nel 1229, diretto a Segorbe (Castellón).
Qui storia e leggenda si fondono, poiché si dice che la conversione del "moro Zeyt" sia avvenuta a Caravaca de la Cruz, dove la leggenda vuole che sia apparso il simbolo della croce.
Secondo la tradizione locale più diffusa, si dice che dalla fine del 1230 o all’inizio del 1231, il re almohade di Valencia e Murcia, Abu Zayd, si trovava nei suoi possedimenti a Caravaca. Interrogò i cristiani che teneva prigionieri per scoprire quali mestieri esercitassero, con l’obiettivo di occuparli secondo le loro capacità. Tra loro c’era il sacerdote Ginés Pérez Chirinos che, come missionario, era venuto da Cuenca nelle terre saracene per predicare il Vangelo. Egli rispose che il suo compito era quello di celebrare la messa e il re moresco voleva sapere com’era. Fu ordinato di portare da Cuenca i paramenti corrispondenti e il 3 maggio 1232, nella sala nobile della fortezza, il sacerdote iniziò la liturgia. Tuttavia, poco dopo aver iniziato la liturgia, dovette fermarsi, spiegando che gli era impossibile continuare perché mancava un elemento essenziale all’altare: un crocifisso.
In quel momento, attraverso una finestra della stanza, due angeli scesero dal cielo e posero delicatamente una croce a due bracci sull’altare. Il sacerdote poté quindi continuare la celebrazione della messa e, in presenza di tale meraviglia, Abu-Ceyt (insieme ai membri della sua corte presenti) si convertì al cristianesimo. In seguito si scoprì che la croce apparsa era il pettorale del vescovo Roberto, primo patriarca di Gerusalemme, realizzato con il legno della croce dove morì Gesù Cristo.
Quando Abu Zayd si convertì, prese il nome di Vicente Bellvís, come riportano le cronache dell’epoca. Morì tra il 1265 e il 1270.
La morte di Abu-Zayd è precedente all’11 dicembre 1268, data in cui il documento lo dichiara defunto. I suoi figli e parenti ricevettero un’importante eredità e, essendo imparentati con la nobiltà aragonese, divennero anch’essi signori cristiani.
QUI GIACE D. VICENTIUS BELVIS CON I SUOI ​​FIGLI UN TEMPO ZEIT ABUSIÒ RE VALENTIA MAURUS ADEO IL PROTETTORE DELLA SUA RELIGIONE VT DUE UOMINI INNOCENTI BEATI GIOVANNI DI PERUSIA E PIETRO DI SASSO-FERRATICO FIGLI E COMPAGNI DI PADRE FRANCESCO CHE PREDICANO LA VERA FEDE DI CRISTO OTTENUTO ATTRAVERSO LA SPADA MA RICEVERE LA LUCE DEL PADRE ISPIRATORE OGNI PECCATO FU CONSUMATO DAL SANTO BATTESIMO E IL SEGNO DELL’ETERNA RICONCILIAZIONE EGLI DESTINÒ UNA VOLTA LA SUA SALA IN CHIESA E SEDE.
Intorno al 16 giugno 1860, a Valencia fu eretta una lapide che lasciava in vista alcuni resti umani, il cui stato denotava la loro antichità. Nello stesso luogo fu rinvenuta una pergamena che recitava come segue:
Data di nascita:
17 ottobre 1195
Data di morte:
11 dicembre 1268
Titoli:
-Principe musulmano
-Signore cristiano
Etnia:
Berbero
Religione:
Islam
Religione 2:
Cristiano cattolico
Dinastia:
Almohade
Amici:
Ismail Haniyeh e Yasser Arafat
Prestavolti nella trama:
-Alvaro Rico
-Walid Azaro
-Asier Cadenas
-David Raya
-Marco Mengoni
-Stephen Ammell
-Peter Porte (pv attuale)
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stregh · 2 months ago
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La lupa, #incipit
"Era alta, magra, aveva soltanto un seno fermo e vigoroso da bruna e pure non era più giovane; era pallida come se avesse sempre addosso la malaria, e su quel pallore due occhi grandi così, e delle labbra fresche e rosse, che vi mangiavano.
Al villaggio la chiamavano la Lupa perchè non era sazia giammai — di nulla. Le donne si facevano la croce quando la vedevano passare, sola come una cagnaccia, con quell’andare randagio e sospettoso della lupa affamata; ella si spolpava i loro figliuoli e i loro mariti in un batter d’occhio, con le sue labbra rosse, e se li tirava dietro alla gonnella solamente a guardarli con quegli occhi da satanasso, fossero stati davanti all’altare di Santa Agrippina. Per fortuna la Lupa non veniva mai in chiesa, nè a Pasqua, nè a Natale, nè per ascoltar messa, nè per confessarsi. — Padre Angiolino di Santa Maria di Gesù, un vero servo di Dio, aveva persa l’anima per lei.
Maricchia, poveretta, buona e brava ragazza, piangeva di nascosto, perchè era figlia della Lupa, e nessuno l’avrebbe tolta in moglie, sebbene ci avesse la sua bella roba nel cassettone, e la sua buona terra al sole, come ogni altra ragazza del villaggio."
Giovanni Verga ✍// Anna Magnani è in teatro "La lupa" , Franco Zeffirelli, 1965
#AccadeOggi: Il 2 settembre 1840 nasce Giovanni #Verga, noto per essere il principale esponente del verismo. Tra le sue opere più famose ricordiamo "I #Malavoglia" e "Mastro-don Gesualdo", che fanno parte del ciclo dei Vinti, sottolineando la realtà nuda e cruda. Appunto per questo si chiama "verismo", perché rappresenta il vero, dai rovesciamenti di fortuna ai vizi e peccati dell'umanità.
A proposito di peccati, non possiamo dimenticare "La Lupa", una novella che evidenzia la natura umana: la passione, la gelosia, l'esasperazione, l'ipocrisia, i pregiudizi, ecc. Quando leggo che vogliono abolire Verga o che è uno #scrittore di cui si può fare a meno, mi salgono i nervi.
Perché Verga ti sbatte in faccia la realtà, anche quella poco piacevole. Ti mostra la natura umana, anche negli aspetti più nascosti. Molte volte ti fa ragionare sui comportamenti e sui simboli, forse proprio per questo qualcuno lo vorrebbe "far fuori".
Il Magnifico Press
Ph.web
#accadevaoggi #Giovanniverga #novelle #romanzi #letteratura #letteraturaitaliana
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calabria-mediterranea · 9 months ago
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Revolt in Aspromonte - An early 20th century's tale of hopeless poverty in Southern Italy's Calabria
Gente in Aspromonte (which was translated in English as Revolt in Aspromonte) written in 1930 by Italian journalist and novelist Corrado Alvaro, is a short but powerful novel of peasant life in Southern Italy's Calabria and is recognized by Italians as one of the classics of their modern literature.
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Gente in Aspromonte is the story of the shepherd Argirò and his family––of their struggle for survival, and some shred of dignity, against the degrading oppression of the feudal family which controls their village. In his despair, Argirò believes that if only he can educate his youngest son, Benedetto, to be a priest he will achieve status and revenge on those who have wronged him. To this end, he sacrifices himself and the gentle older brother, Antonello. A simple tale––but told with a poetry of style which gives it a somber beauty.
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Corrado Alvaro (San Luca, 15 April 1895 – Rome, 11 June 1956) was an Italian journalist and writer of novels, short stories, screenplays and plays. He often used the verismo style to describe the hopeless poverty in his native Calabria.
Gente in Aspromonte, which examined the exploitation of rural peasants by greedy landowners in Calabria, is considered by many critics to be his masterpiece.
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He was born in San Luca, a small village in the southernmost region of Calabria. His father Antonio was a primary school teacher and founded an evening school for farmers and illiterate shepherds. Alvaro was educated at Jesuit boarding schools in Rome and Umbria. He graduated with a degree in literature in 1919 at the University of Milan and began working as a journalist and literary critic for two daily newspapers, Il Resto del Carlino of Bologna and the Corriere della Sera of Milan.
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He served as an officer in the Italian army during World War I. After being wounded in both arms, he spent a long time in military hospitals. After the war, he worked as a correspondent in Paris (France) for the anti-Fascist paper Il Mondo of Giovanni Amendola. In 1925, he supported the Manifesto of the Anti-Fascist Intellectuals written by the philosopher Benedetto Croce.
In 1926 he published his first novel L'uomo nel labirinto (Man in the Labyrinth), which explored the growth of Fascism in Italy in the 1920s. A staunch democrat with strong anti-Fascist views, Alvaro's politics made him the target of surveillance of Mussolini's Fascist regime. He was forced to leave Italy and during the 1930s he travelled widely in western Europe, the Middle East, and the Soviet Union. Journeys he later recounted in his travel essays. L'uomo è forte (1938; Man Is Strong), written after a trip to the Soviet Union, is a defence of the individual against the oppression of totalitarianism.
Alvaro is noted for his realistic, epic depictions of the Italian poor. His later work portrayed the contrasts between a yearning for the simple, pastoral way of life, and the aspiration to achieve material success that attracts people to the city. He died in Rome in 1956.
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elperegrinodedios · 2 years ago
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Parasceve. Questo è il giorno, questa è l'ora...
Pasqua significa "Pass-over", cioè passare oltre, risparmiare, salvare. La Pasqua, fu istituita per commemorare la liberazione del popolo ebraico dalla schiavitù egiziana. In essa si ricordava e si celebrava la memoria della notte in cui l'angelo sterminatore passò nelle case per uccidere tutti i primogeniti d'Egitto, risparmiando quei figli di Israele. L'ordine era: "Uccidete un agnello senza macchia per ogni famiglia e ogni casa, spargete il suo sangue sugli stipidi e sulle architravi degli ingressi. Quando l'angelo passerà non toccherà nessuna delle persone che si troveranno dentro le case segnate con il sangue, sugli stipidi delle porte chiuse. Cosi il sangue di quell'agnello sarà la salvezza di tutte le suddette persone, perchè l'angelo passerà oltre".
=🤍=
📖 Il giorno seguente, Giovanni vide Gesù che veniva verso di lui e disse: "Ecco l'agnello di Dio che toglie il peccato dal mondo!". (Gv. 1:29)
==Gesù è la nostra Pasqua==
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Senza difetto e senza macchia e il suo sangue è il suo segno di giustizia, davanti al Padre, per la nostra giustificazione, e per la nostra salvezza. Mentre lui versava il suo sangue prima e dopo la croce, chi ha creduto è stato risparmiato perchè il giudizio é "passato oltre", e per questo è stato salvato, ma chi non ha creduto o non crede sarà condannato. La Pasqua, è la commemorazione del suo trionfo e non della sua morte, ma della sua vita. La Pasqua, è il ricordo del sacrificio più grande che si sia mai fatto al mondo, a favore di tutta l'umanità. Gloria, lode a te Signore. Amen!
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(3)Disprezzato e rigettato dagli uomini, uomo dei dolori conoscitore della sofferenza, simile a uno davanti al quale ci si nasconde la faccia era disprezzato, e noi non ne facemmo stima alcuna. Eppure egli portava le nostre malattie e si era caricato dei nostri dolori; noi però lo ritenevamo colpito percosso da Dio, umiliato. (5) Ma egli è stato trafitto per tutte le nostre trasgressioni, schiacciato per tutte le nostre iniquità; il castigo per cui abbiamo la pace, è caduto su di lui e per le sue lividure noi siamo stati guariti. Noi tutti, come pecore eravamo erranti, ognuno di noi seguiva la propria via e l'Eterno ha fatto ricadere su di lui l'iniquità di noi tutti. Maltrattato ed umiliato, non aperse bocca. Come un agnello condotto al macello, come pecora muta davanti ai suoi tosatori non aperse bocca. (Isaia 53:3-7 📖)
=❤️=
Sono versato come acqua e tutte le mie ossa sono slogate. Il mio cuore è come cera che si scioglie in mezzo alle mie viscere. Il mio vigore, si è inaridito come un coccio d'argilla la mia lingua attaccata al mio palato tu m'hai posto nella polvere della morte. Poichè cani mi hanno circondato, ed uno stuolo di malfattori mi ha attorniato, mi hanno forato le mani e i piedi. Ora io posso contare tutte le mie ossa, ed essi mi guardano, e mi osservano. Spartiscono fra loro le mie vesti e tirano a sorte la mia tunica.
(Sl. 22:14-18)
=🙏=
A te la lode, la gloria, l'onore e la magnificenza, la maestà, e la potenza, nei secoli dei secoli. Grazie Signore!
lan ✍️
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vecchiorovere · 29 days ago
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DONATELLO
"Annunciazione Cavalcanti"
uno straordinario capolavoro di Donatello che è possibile ammirare all’interno della Basilica di Santa Croce, a Firenze.
L’opera realizzata in pietra serena serena dorata e in parte policroma fu commissionata all’artista da Giovanni Cavalcanti, cognato di Lorenzo de’ Medici il Vecchio, fratello di Cosimo, il Pater Patriae. Per tale ragione non è da escludere che la famiglia Medici abbia avuto un ruolo rilevante in questa commissione affidata a Donatello.
L’artista mise mano all’opera in età matura, nel 1435, poco prima di partire alla volta di Padova.
L’ubicazione originale dell’opera è ancora oggetto di dibattito tra gli studiosi.
Fonte Web
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tempodadisperati · 11 months ago
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Gesù Cristo figlio unico?
Puoi dimostrarlo con la Bibbia? 
Certo! 
Matteo 13,55:
Non è egli forse il figlio del carpentiere? Sua madre non si chiama Maria e i suoi fratelli Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda?
Marco 6,3:
Non è costui il carpentiere, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle non stanno qui da noi?
Nella Bibbia fratello è utilizzato in senso ben più ampio rispetto ai fratelli couterini o germani (Genesi 4,1-2; Matteo 4,21), e può essere riferito anche ai cugini (1Cronache 23,21-22), a zio e nipote (confronta Genesi 13,8 con Genesi 11,27), ai concittadini (Genesi 19,6-7), ai membri di una tribù (1Cronache 15,4-10), ai connazionali (Esodo 2,11; Deuteronomio 18,15; Atti 3,17), agli sposi (Tobia 7,12), ai bisognosi (Matteo 25,40), ai discepoli di Gesù (Giovanni 20,17-18) e a tutti coloro che fanno la volontà di Dio (Matteo 12,49-50).
La madre di Giacomo e di Ioses (forma ellenistica di Giuseppe) si chiama Maria
Matteo 27,55-56:
C’erano anche là molte donne che stavano a osservare da lontano; esse avevano seguito Gesù dalla Galilea per servirlo. Tra costoro Maria di Màgdala, MARIA MADRE DI GIACOMO E DI GIUSEPPE, e la madre dei figli di Zebedèo.
Marco 15,40-41:
C’erano anche alcune donne, che stavano ad osservare da lontano, tra le quali Maria di Màgdala, MARIA MADRE DI GIACOMO IL MINORE E DI IOSES, e Salome, che lo seguivano e servivano quando era ancora in Galilea, e molte altre che erano salite con lui a Gerusalemme.
La madre di Giacomo e di Ioses è talvolta chiamata l’altra Maria per distinguerla dalla madre di Gesù e dalla Maddalena
Matteo 27,61:
Erano lì, davanti al sepolcro, Maria di Màgdala e L’ALTRA MARIA.
Matteo 28,1:
Passato il sabato, all’alba del primo giorno della settimana, Maria di Màgdala e L’ALTRA MARIA andarono a visitare il sepolcro.
Marco 16,1:
Passato il sabato, Maria di Màgdala, MARIA DI GIACOMO e Salome comprarono oli aromatici per andare a imbalsamare Gesù.
Luca 24,9-10:
E, tornate dal sepolcro, annunziarono tutto questo agli Undici e a tutti gli altri. Erano Maria di Màgdala, Giovanna e MARIA DI GIACOMO. Anche le altre che erano insieme lo raccontarono agli apostoli.
Questa Maria, madre di Giacomo e di Ioses, è la moglie di Clèopa
Matteo 27,55-56:
C’erano anche là molte donne che stavano a osservare da lontano; esse avevano seguito Gesù dalla Galilea per servirlo. Tra costoro Maria di Màgdala, MARIA MADRE DI GIACOMO E DI GIUSEPPE, e la madre dei figli di Zebedèo.
Marco 15,40-41:
C’erano anche alcune donne, che stavano ad osservare da lontano, tra le quali Maria di Màgdala, MARIA MADRE DI GIACOMO IL MINORE E DI IOSES, e Salome, che lo seguivano e servivano quando era ancora in Galilea, e molte altre che erano salite con lui a Gerusalemme.
Giovanni 19,25:
Stavano presso la croce di Gesù sua madre e la sorella di sua madre, MARIA DI CLÈOPA, e Maria di Màgdala.
Maria di Clèopa è la cognata della madre di Gesù, e per questo è menzionata come sorella di lei. Infatti, secondo quanto afferma lo scrittore giudeo cristiano Egesippo (110-180), menzionato da Eusebio (Storia Ecclesiastica III, 11.32), Clèopa è il fratello di Giuseppe, lo sposo della madre di Gesù. Egesippo avrà ottenuto queste informazioni da qualche discendente di Clèopa. Perciò Giacomo il minore e Ioses sono cugini di Gesù. Giacomo il minore va identificato con l’apostolo Giacomo di Alfeo (Matteo 10,3; Marco 3,18; Luca 6,15; Atti 1,13), il fratello del Signore (Galati 1,19), primo vescovo di Gerusalemme (menzionato anche come una delle colonne della Chiesa [Galati 2,9]). Perciò Alfeo di Giacomo (da non confondere con Alfeo padre di Levi [Marco 2,14]) e Clèopa sono la medesima persona. Secondo Egesippo (Storia Ecclesiastica III, 11), anche Simone è figlio di Clèopa. Quanto a Giuda, autore della omonima lettera, si presenta come fratello di Giacomo (Giuda 1). Probabilmente si tratta dell’apostolo Taddeo, detto anche Giuda di Giacomo (confronta Matteo 10,3 con Luca 6,16 e Atti 1,13). Perciò Giacomo, Ioses, Simone e Giuda, menzionati nei vangeli come fratelli di Gesù, sono suoi cugini.
di Giuseppe Monno 
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sunusaix · 1 year ago
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PANNOCIATO E PÀ NNOCIATO
Festa dell’esaltazione della Croce insieme alle tradizioni popolari a Petriolo e dintorni Pannociato Pà nnociato ricetta salata con noci uva pecorino Pannociato dolce Pà nnociato alle noci Pà nnociato alle noci e pecorino
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cristianesimocattolico · 2 years ago
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Il divino silenzio della notte
Il divino silenzio della notte
Riformatore del Carmelo, esimio Dottore della Chiesa, san Giovanni della Croce delinea e incarna la sua spiritualità del “puro amore” nella sua stessa esperienza. Di croce in croce ci si eleva e purifica, fino alle vette della santità: questo il suo insegnamento e la sua testimonianza vissuta. (more…)
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sophiaepsiche · 2 years ago
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Il passero solitario
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Consigli ai contemplativi di San Giovanni della Croce
‘Le proprietà del passero solitario sono cinque. Prima: si porta più in alto possibile; seconda: non sopporta la compagnia di altri uccelli neppure della stessa specie; terza: tende il becco verso il vento; quarta: non ha un colore determinato; quinta: canta soavemente. L’anima contemplativa deve avere queste cinque proprietà, e cioè deve elevarsi al di sopra delle cose transitorie, non facendo di esse alcun caso come se non esistessero, e deve essere così amica della solitudine e del silenzio da non sopportare compagnia di altra creatura. Deve inoltre tendere il becco al soffio dello Spirito Santo, corrispondendo alle sue ispirazioni, affinché comportandosi in tal modo si renda maggiormente degna della sua compagnia. Non deve avere un colore determinato, non lasciandosi determinare da alcuna cosa, ma solo da ciò che è volontà di Dio; deve infine cantare soavemente nella contemplazione e nell’amore del suo Sposo.’
‘Ci sono delle anime che, come alcuni animali, si rivoltano nel fango, ed altre che volano come gli uccelli i quali nell’aria si purificano e si puliscono.’
‘Lo spirito molto puro non si distrae in estranee attenzioni né in considerazioni umane ma, solo, nella solitudine di tutte le forme, con saporosa quiete interiore comunica con Dio, la cui conoscenza avviene soltanto nel silenzio divino.’
‘Non ti conoscevo, o Signore mio, perché volevo ancora conoscere e gustare le cose’.
‘Scegliti invece uno spirito robusto, distaccato da tutte le cose e troverai dolcezza e pace in abbondanza.’
‘Se vuoi giungere al santo raccoglimento, devi avanzare non accettando ma rifiutando.’
‘L’anima la quale esamina spesso i suoi pensieri, le sue parole e le sue opere, che sono i suoi capelli, facendo ogni cosa per amore di Dio, avrà i suoi capelli molto lisci. Lo Sposo le guarderà il collo, ne rimarrà rapito’
‘Noi rubiamo a Dio qualsiasi pensiero che non sia diretto a Lui’
‘Rinnega i tuoi desideri e troverai quello che il tuo cuore desidera’
‘Come colui che tira un carro su per una salita, così cammina verso Dio l’anima che non respinge la preoccupazione e non spegne l’appetito.’
‘Ricordati che Dio regna solo nell’anima pacifica e disinteressata.’
‘Abbia un interno distaccato da tutte le cose e non ponga il gusto in nessuna cosa temporale e l’anima sua raccoglierà beni inaspettati.’
‘Abbia in cuore la forza contro tutte le cose che vorrebbero condurla a ciò che non è Dio e sia amica della passione di Cristo.’
‘Procuri sempre che le cose siano un niente per lei ed ella un niente per esse ma, dimentica di tutto, rimanga nel suo raccoglimento con lo Sposo’
da ‘Parole di amore e di luce’ San Giovanni della Croce 
fonte: Monastero Virtuale
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zaydabuzaydrp · 5 months ago
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Abu Zayd, più precisamente Zayd Abu Zayd Ab-Alh-Rahmann III, meglio conosciuto come "il Moro Zeyt", è un altro dei grandi protagonisti della nascita del Regno cristiano di Valencia.
Ultimo signore almohade di Valencia, era il pronipote del califfo berbero Abd-Al-Mucmin. Pur essendo originario di Baeza, era stato avviato alla politica dal nipote, il califfo Yusuf II, che lo nominò governatore di Valencia.
L’ultimo re almohade di Valencia vide presto sorgere problemi, sia per la pressione delle truppe cristiane a nord sia per quella di altri signori musulmani a sud. Insieme alla corruzione politica, che già esisteva all’epoca, avevano soffocato il popolo.
Dopo la morte del califfo Yusuf II, la decadenza politica si aggravò. Fu allora che Abu Zayd fu costretto a chiedere la protezione di Ferdinando III, il re santo di Castiglia. I raccolti rovinati da una piaga di cavallette e la mancanza di cibo incoraggiarono la ribellione della popolazione. In questa situazione, Zayyan Ibn Mardanis, discendente del re Lobo, arrivò a Valencia da Onda e guidò il rovesciamento di Abu Zayd, che dovette lasciare la città con il suo seguito e la sua famiglia nel 1229, diretto a Segorbe (Castellón).
Qui storia e leggenda si fondono, poiché si dice che la conversione del "moro Zeyt" sia avvenuta a Caravaca de la Cruz, dove la leggenda vuole che sia apparso il simbolo della croce.
Secondo la tradizione locale più diffusa, si dice che dalla fine del 1230 o all’inizio del 1231, il re almohade di Valencia e Murcia, Abu Zayd, si trovava nei suoi possedimenti a Caravaca. Interrogò i cristiani che teneva prigionieri per scoprire quali mestieri esercitassero, con l’obiettivo di occuparli secondo le loro capacità. Tra loro c’era il sacerdote Ginés Pérez Chirinos che, come missionario, era venuto da Cuenca nelle terre saracene per predicare il Vangelo. Egli rispose che il suo compito era quello di celebrare la messa e il re moresco voleva sapere com’era. Fu ordinato di portare da Cuenca i paramenti corrispondenti e il 3 maggio 1232, nella sala nobile della fortezza, il sacerdote iniziò la liturgia. Tuttavia, poco dopo aver iniziato la liturgia, dovette fermarsi, spiegando che gli era impossibile continuare perché mancava un elemento essenziale all’altare: un crocifisso.
In quel momento, attraverso una finestra della stanza, due angeli scesero dal cielo e posero delicatamente una croce a due bracci sull’altare. Il sacerdote poté quindi continuare la celebrazione della messa e, in presenza di tale meraviglia, Abu-Ceyt (insieme ai membri della sua corte presenti) si convertì al cristianesimo. In seguito si scoprì che la croce apparsa era il pettorale del vescovo Roberto, primo patriarca di Gerusalemme, realizzato con il legno della croce dove morì Gesù Cristo.
Quando Abu Zayd si convertì, prese il nome di Vicente Bellvís, come riportano le cronache dell’epoca. Morì tra il 1265 e il 1270.
La morte di Abu-Zayd è precedente all’11 dicembre 1268, data in cui il documento lo dichiara defunto. I suoi figli e parenti ricevettero un’importante eredità e, essendo imparentati con la nobiltà aragonese, divennero anch’essi signori cristiani.
QUI GIACE D. VICENTIUS BELVIS CON I SUOI ​​FIGLI UN TEMPO ZEIT ABUSIÒ RE VALENTIA MAURUS ADEO IL PROTETTORE DELLA SUA RELIGIONE VT DUE UOMINI INNOCENTI BEATI GIOVANNI DI PERUSIA E PIETRO DI SASSO-FERRATICO FIGLI E COMPAGNI DI PADRE FRANCESCO CHE PREDICANO LA VERA FEDE DI CRISTO OTTENUTO ATTRAVERSO LA SPADA MA RICEVERE LA LUCE DEL PADRE ISPIRATORE OGNI PECCATO FU CONSUMATO DAL SANTO BATTESIMO E IL SEGNO DELL’ETERNA RICONCILIAZIONE EGLI DESTINÒ UNA VOLTA LA SUA SALA IN CHIESA E SEDE.
Intorno al 16 giugno 1860, a Valencia fu eretta una lapide che lasciava in vista alcuni resti umani, il cui stato denotava la loro antichità. Nello stesso luogo fu rinvenuta una pergamena che recitava come segue:
Data di nascita:
17 ottobre 1195
Data di morte:
11 dicembre 1268
Titoli:
-Principe musulmano
-Signore cristiano
Etnia:
Berbero
Religione:
Islam
Religione 2:
Cristiano cattolico
Dinastia:
Almohade
Prestavolti nella trama:
-Alvaro Rico
-Walid Azaro
-Asier Cadenas
-David Raya
-Marco Mengoni
-Stephen Ammell
-Peter Porte (pv attuale)
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thegianpieromennitipolis · 2 years ago
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Da: SGUARDI SULL’ARTE LIBRO QUARTO - di Gianpiero Menniti 
PARADIGMI 
Tre dipinti. Medesimo soggetto. Identico autore. Eppure, la scena muta: nell'ultima, scompaiono i due "ladroni". E nelle prime due, non sono in croce: il simbolo appartiene a Cristo. Fatta questa constatazione, banale, evidente, il pensiero corre altrove. S'innesta sul tema dei paradigmi, modelli interpretativi nei quali la cristianità, come religione e tradizione, espressione antropologica e riflessione culturale, s'è fatta storia. I vangeli sinottici narrano la predicazione di Cristo. Il vangelo di Giovanni è già un'interpretazione che fonda la teologia sulla figura di Gesù: la forma del linguaggio attribuito al Redentore appare fin subito differente, aulica, profonda. Dunque, già i Vangeli mettono in luce paradigmi diversi, segnando il corso del pensiero cristiano lungo direttrici che riflettono la molteplicità delle espressioni. Questo spiega la storia e consente di capire l'arte dedicata al culto, collocandola nella temperie degli eventi. Così, Antonello da Messina vive gli anni di culmine dell'arte sacra occidentale, tra la monumentalità iconica di Piero della Francesca, la pittura tonale veneta, le influenze fiamminghe. Nuovi paradigmi.  Nuove interpretazioni. Eppure, nonostante sia palese il crogiolo nel quale sobbolle, il pensiero cristiano giunge fino a noi, fino al tempo di un nuovo paradigma, quello della modernità. Una sorta di miracolo. Giustificato da un esempio: il sole non ha mai mutato la sua essenza e la sua collocazione, trapassando dalla teoria tolemaica a quella copernicana. In fondo, questo è il segno lasciato della teologia di Hans Küng. La storia si fonda sugli uomini. Il senso della religione, pur bistrattato e manipolato, riemerge, sempre, nella sua identità originaria. Questo richiamo ci permette ancora di ammirare, tra le molte altre, anche le opere di Antonello da Messina. E di riflettere. Sul passato. E sul presente. 
- Antonello da Messina (1430 - 1479): "Crocifissione", 1460, Museo Nazionale Brukenthal, Sibiu (Romania); "Crocifissione", 1475, Musée Royal des Beaux-Arts, Anversa; "Crocifissione", 1475 (data incerta), National Gallery, Londra
- In copertina: Maria Casalanguida, "Bottiglie e cubetto", 1975, collezione privata
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