#aiuto ai bisognosi
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pier-carlo-universe · 29 days ago
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Alessandria: al via le Giornate di Raccolta del Farmaco dal 6 al 10 febbraio
Un'iniziativa solidale per garantire farmaci alle persone più bisognose: il ruolo fondamentale delle farmacie come presidi sanitari
Un’iniziativa solidale per garantire farmaci alle persone più bisognose: il ruolo fondamentale delle farmacie come presidi sanitari Alessandria, 6 febbraio 2025 – Da martedì 6 febbraio a sabato 10 febbraio tornano le Giornate di Raccolta del Farmaco, un’importante iniziativa solidale che permetterà di raccogliere farmaci da banco destinati alle persone più fragili e bisognose. L’evento è…
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susieporta · 3 months ago
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❓️A CHI GIOVA IL PROCESSO DI MOSTRIFICAZIONE DEL MASCHILE ? IL PATRIARCATO E' UNA FORMA DI CONTROLLO DI TUTTI, NON SOLO DELLE DONNE
Nella giornata internazionale contro la violenza sulle donne proponiamo di uscire dalla narrativa che degli uomini sembra saper solo restituire un'immagine mostruosa e pericolosa.
Come siamo arrivati a vedere degli uomini solo sotto questo aspetto? Perchè le uniche parole che si spendono per descrivere la psicologia maschile sono più o meno sempre le stesse?
Assistiamo quotidianamente a profezie che si avverano, laddove gli uomini sembrano non avere strumenti alternativi alla violenza per manifestare la propria fragilità. Ed in effetti è così. A fronte di un sistema nervoso che alla nascita è più immaturo e sensibile nei maschi rispetto alle femmine, tale per cui i bambini maschi avrebbero bisogno di maggior accudimento e vicinanza perchè oggettivamente più bisognosi e meno autonomi, abbiamo sviluppato una cultura educativa che li spinge precocemente ad essere indipendenti, a negare i propri bisogni di vicinanza ed evolutivi in genere.
A questo scopo i modelli maschili a tutti i livelli insegnano che per produrre l'illusione del maschio adeguato alle aspettative culturali occorra imparare a sopprimere e a non ascoltare le proprie emozioni, in particolare quelle della paura e della tristezza, antidoti naturali alla rabbia e all'ira che sono alla base degli agiti sia auto ( i suicidari sono in larga maggioranza di sesso maschile) che eterolesionisti ( non solo violenza sulle donne, ma condotte pericolose come la guida ad alta velocità).
In pratica è come se per avere l'illusione di saper guidare una macchina altamente sofisticata si dicesse ai conduttori di disattivare delle spie e regolarsi unicamente su un paio: la rabbia e il disgusto.
In questo video provo a dimostrare come tutta questa ignoranza sul funzionamento psicologico degli uomini sia delle donne che degli uomini stessi favorisca una dimensione immatura delle relazioni che porta necessariamente a poter controllare più facilmente gli uni e gli altri attraverso l'influenza esterna come i modelli culturali che gli uomini forti e sicuri sarebbero più attraenti.
A pensarci bene l'indicazione che viene data ai maschi fin dalla tenera età è "Non essere te stesso. Fa di te una copia del modello dominante".
Ed è proprio questa distanza sempre più siderale tra l'immaturità interiore e l'immagine esteriore, di negazione del bisogno dell'altro, che porta gli uomini a rifugiarsi nelle dipendenze in generale, non solo dalle donne, ma anche da sostanze o da lavoro: gli uomini anestetizzati sono burattini, soldatini, schiavi che non possono che muoversi in copioni copia e incolla, fortemente influenzabili e controllabili che non reggono all'impatto di una realtà, come quella intima, che chiede loro di esistere, di esserci.
La deriva di tutto questo si manifesta nella solitudine profonda in cui vive la maggior parte degli uomini: privati della capacità di condividere la propria interiorità, resi totalmente muti, privi di parole per dire cosa stanno vivendo e incapaci di chiedere aiuto, perchè non legittimati a farlo per non sprofondare in una vergogna che annichilisce, non resta loro che obbedire al mondo esterno e reagire ad esso come sistemi ipersemplificati stimolo-reazione, incapaci di portare una mediazione personale che verrebbe dal mondo interiore.
Anche questo è un lato del patriarcato di cui non si parla.
La lotta alla violenza passa anche dal creare una #cultura che aiuti e supporti i maschi a fare una ormai sempre più necessaria rivoluzione.
Servono nuovi Ulissi, pronti a scoprire le terre del mondo interiore maschile e donne in grado di affrontare il maschile immaturo e a tenervi testa, proprio come fece Penelope con i proci.
Il nostro contributo alla creazione di questa cultura proviamo a darlo, come abbiamo già fatto in passato in altre occasioni pubbliche, organizzando insieme al Comune di Mozzo la presentazione del libro di Alberto Penna "Uomini che piangono poco" (Ed. Garzanti) mercoledi 4 dicembre ore 20.30 presso la Sala Civica della Biblioteca di Mozzo.
L'evento è gratuito e a prenotazione obbligatoria. Il contrasto alla cultura della Violenza parte dalla creazione di premesse culturali diverse.
Contaminiamoci con nuove idee. Allarghiamo gli orizzonti di senso.
🤗ecco il link per iscrivervi all'evento:
https://www.eventbrite.it/e/maschi-che-piangono-poco-tickets-1082914248669?aff=oddtdtcreator
Centro Divenire Bergamo
#uominisidiventa
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parmenida · 1 year ago
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Un filantropo, un uomo colto, mite e gentile, che nonostante i grandi mezzi a disposizione ha sempre condotto una vita umile, in campagna, coi suoi amati animali. Un uomo privato della sua libertà perché troppo generoso col prossimo.
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Carlo Gilardi ha 90 anni ed è molto ricco. E, nel pieno delle sue facoltà mentali, ha scelto di vivere aiutando gli altri. È un benefattore della comunità di Airuno, vicino Lecco, dove viveva prima di essere dichiarato incapace e costretto a stare rinchiuso contro la sua volontà in una rsa.
Ha messo a disposizione le sue case a chi non poteva pagarsi un affitto, ha donato soldi e beni immobili, ha regalato al Comune un parcheggio e un parco per i bambini. Ha reso più bella la vita dei suoi compaesani. Ha liberamente deciso, lui che non ha eredi legittimi, di destinare ai bisognosi la sua fortuna. Ma da tre anni, con un atto di forza, vive in amministrazione controllata e non può disporre dei suoi beni. Dal 27 ottobre, poi, Carlo è costretto all’isolamento dentro una rsa, dove è stato ricoverato con la forza dalla sua amministratrice di sostegno. Nessuno sapeva dove fosse, neanche il suo avvocato e i familiari, e nessuno a oggi ha potuto incontrarlo e fargli visita. Neanche al 41bis si riserva ai detenuti un trattamento simile.
Il caso di Carlo è finito sui giornali ed è stato trattato anche da Le Iene l’altra sera. Il filantropo non voleva essere rinchiuso: in una registrazione mandata in onda lo si sente urlare disperato “io voglio la mia libertà che mi avete sottratto”. Eppure la sua tutrice legale, che ne amministra il patrimonio, afferma che Gilardi lo abbia seguito volontariamente. Ma qualcosa non torna, come svelato dalla trasmissione, a cominciare dalla chiara volontà dell’uomo di non andare in rsa, per finire con una quantomai sospetta sensibile diminuzione negli ultimi mesi dei suoi averi, a cui Carlo però non può accedere da tempo. Che fine hanno fatto i suoi soldi?
Inutili le giustificazioni della tutrice e di altri personaggi che ruotano attorno alla vita del pover’uomo, “colpevole” solo di essere ricco e generoso: secondo loro Carlo andava protetto da se stesso, perché aiutava troppo il prossimo ed era vittima di approfittatori. Ma già prima di venire portato in rsa, il filantropo aveva scritto lettere in cui chiedeva aiuto alla stampa: temeva che lo volessero chiudere in un ospizio per gestire liberamente i suoi soldi. E si era spontaneamente sottoposto a luglio scorso a una perizia psichiatrica che ne aveva certificato l’integrità mentale e psichica.
Eppure Carlo Gilardi da 50 giorni è come un prigioniero, strappato alla sua vita, privato della libertà e della facoltà di disporre del suo patrimonio. E come se lo avessero sepolto vivo. Non gli permettono di vedere i familiari e il suo avvocato. Peggio di un carcerato. Ma l’unico “reato” commesso da Carlo è quello di essere stato troppo generoso con chi era meno fortunato di lui. E adesso sta soffrendo per questo.
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lecodellariviera · 4 months ago
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Cena della Stella Mercedes: 100 invitati, amicizia, fiducia e solidarietà ai bimbi della Casa grande di Giz.
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"Non sappia la tua sinistra ciò che fa la destra". Vangelo secondo Matteo: quando ciascuno di noi, ricco o bisognoso, fa un gesto generoso nei confronti del prossimo meno fortunato deve restare nell'ombra. Matteo continua: "non suonare la tromba come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade per essere lodati dagli uomini. In verità vi dico il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà".
Sono passati secoli, il mondo è mutato, ribaltato, si sono raggiunti traguardi inimmaginabili, si programmano viaggi-vacanze sulla Luna, su Marte ma, paradossalmente, incredibilmente, disumanamente aumentano uomini, donne, anziani, famiglie, soprattutto bambini sempre più bisognosi di "mani destre" che aiutano. Troppo spesso Stati, Nazioni, Governi, partiti, politici che dovrebbero provvedere, risolvere, sono assenti, lontani. Per dirla col Manzoni sempre "in tutt'altre faccende affaccendati". Sinagoghe e Palazzi di vetro continuano ad ospitare ipocriti. Per fortuna sulla terra, oggi come ieri, non cresce solo gramigna. Lentamente, ma qualcosa sta cambiando.
Promuovere, dare una mano nei modi giusti, anche visibilmente a chi ne ha bisogno, rendendo noto, pubblicizzando ..... non turba, non è peccato. Anzi. Ci sono persone, pubblici amministratori, imprenditori, aziende, marchi, professionisti, società, medie, piccole, anche internazionali, artigiani, scienziati, agricoltori, tanti privati, artisti, campioni, leader, gente comune che non stanno più fermi, aiutano, producono per se e per gli altri. Studiano, organizzano meeting, fiere, inaugurano, partecipano a manifestazioni culturali, musicali, artistiche, sportive. Offrono fondi, raccolgono, aiutano, danno una mano, ossigeno, speranza a chi ne ha bisogno.
Anche in Riviera sono stati e continuano ad accendersi riflettori nel campo solidale e sociale. Tante iniziative locali come il Barrel On the Beach-Baudino o i Tabaccai di Taggia nel ricordo di Anna Rosa, solo per citarne alcune. Anche importanti sigle nazionali come Conad ed internazionali a partire dalla Mercedes-Benz, concessionario Gino S.p.A -Cuneo, Cascina Malaspina. Proprio in questi giorni nei saloni, show room e tecnologica officina della filiale aperta dalla casa automobilistica di Stoccarda ad Arma di Taggia, diretta da decenni con successo e vendite record da Stefano Morbidelli, è stata organizzata la "Cena  della Stella", in collaborazione con "La Casa grande di Giz", associazione di volontariato nata a dicembre 2021 per aiutare bimbi autistici.  Bambini con disturbi del neurosviluppo, fragilità neurocognitive e psichiche, disturbi del movimento nelle diverse fasi della vita e le loro famiglie anche per quanto riguarda l'elevato carico sanitario, sociale ed economico.
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Fondatore e presidente è Giacomo Casagrande, meglio conosciuto come "Mino", nonno coraggioso, instancabile, determinato, pronto a sacrifici per la sua famiglia ed aiutare chi ha bisogno. "Con La Casa grande di Giz - ha spiegato - ho voluto assicurare il futuro a mio nipote Giacomino appena gli è stato diagnosticato, purtroppo, un ritardo cognitivo e, nello stesso tempo, dare una mano a tutte le persone che si trovano ad affrontare questo delicatissimo problema e non sanno a chi rivolgersi, come affrontarlo, curarlo nel modo migliore possibile. Le porte della Casa grande di Giz sono aperte a tutti. A chi economicamente può e a chi non può. Tutti da noi troveranno aiuto, medici, infermieri, volontari. A questo sogno, a questa struttura ho voluto dare il mio cognome, diviso a metà "casa grande", unito alle iniziali di mio nipotino Giacomo, "Giz". Abbiamo iniziato in un mini locale di Via Flora, ad Arma, ai primi di gennaio del 2022 con soli due bimbi. Dopo 7 mesi, ad agosto, ne curavamo già 35. Oggi il numero è aumentato così tanto e così in fretta che è stato necessario trovare una struttura più ampia. Sono cresciuti pure i costi, il numero di medici, specialisti, tecnologie, aiuti necessari per chi non ha sufficienti mezzi economici. Non è facile, ma ce la stiamo facendo grazie ad enti, persone generose che capiscono, che hanno cuore. Venendo a conoscenza della nostra missione e serietà, ci danno sostegno, forza, coraggio per poter continuare ad aiutare sempre più bambini, famiglie che da soli non potrebbero farcela".
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L'unione tra pubblico, privato, volontariato e la virtù teologale della carità per chi è credente, sta facendo miracoli. I bimbi assistiti ad Arma da "Giz" ne sono la prova: da 2 che erano all'inizio oggi sono già un centinaio. E il telefono 348 7292946 continua a squillare.
    La "Cena della Stella", iconico marchio Mercedes, organizzata splendidamente da Gino e Morbidelli e' stata un successo. Cento invitati, a partire dal sindaco di Taggia, l'architetto Mario Conio e signora, il Presidente ad interim della Regione Liguria, Alessandro Piana, il generale dei Carabinieri Luciano Zarbano, leader della lista civica "Imperia senza padroni", il sindaco di Santo Stefano al Mare, Marcello Pallini, tanti noti imprenditori, Silvano (edilizia), Fera (costruzioni) o Raffaele Fasuolo (Fun seven Bikes s.r.l.), per citarne alcuni. Oppure Francesco Barlaam, il più longevo e noto tassista di Sanremo (in pensione) primo cliente Mercedes quando il Concessionario Gino il secolo scorso, con Stefano al timone, ha  aperto il punto vendite, tanti liguri, anche stranieri, francesi, professionisti, medici, tecnici, sportivi, artigiani, operatori turistici, impiegati, insegnanti, eleganza, musica, cordialità, forte interesse per i bolidi esposti, i nuovi modelli, l'intero catalogo della Stella, grande solidarietà per " La Casa grande di Giz", sempre aperta a chi bussa alla sua porta.
La cena-evento si è conclusa nel migliore dei modi, strette di mano, brindisi, sorrisi, commozione, qualche lacrima e la consegna, da parte della Mercedes di un assegno, un contributo di 1.500 euro alla "Operazione Mino" ed alle centinaia dei suoi piccoli ospiti, bisognosi di assistenza e solidarietà. Applausi sentiti e meritatissimi a volontari e specialisti che li assistono con grande umanità aiutandoli a crescere, a vivere meglio. "La nostra azienda - ha dichiarato con legittimo orgoglio Stefano Morbidelli - da tempo è attenta al sociale e questo incontro, questo abbinamento con il mondo di Giz, poter aiutare bambini e le loro famiglie, ci è sembrato il modo migliore per ringraziare la fiducia e la fedeltà dei nostri sempre più numerosi ed affezionatissimi clienti". 
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Roberto Basso.       
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personal-reporter · 2 years ago
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Il fenomeno delle "Gattare"
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Il fenomeno delle "gattare", ovvero donne che si dedicano al servizio degli animali randagi, è sempre più diffuso al giorno d'oggi. Ci sono molte ragioni per cui le donne scelgono di adottare e prendersi cura di gatti randagi, ma una delle più importanti è l'amore e la compassione per gli animali. Ma cosa spinge una donna ad abbracciare il ruolo di "gattara" e dedicare così tanto tempo ed energia per prendersi cura di questi animali senza padrone? In primo luogo, l'amore per gli animali è una motivazione principale delle "gattare". Molte donne si preoccupano del benessere degli animali e vogliono assicurarsi che abbiano tutto ciò di cui hanno bisogno, compresi cibo, acqua, cure veterinarie e un rifugio sicuro. Questa passione per gli animali spesso si estende oltre i gatti randagi ad altri tipi di animali bisognosi, come cani, uccelli e roditori. In secondo luogo, molte donne vedono la cura dei gatti randagi come una forma di attivismo sociale. Infatti, prendersi cura di questi felini può aiutare a sensibilizzare l'opinione pubblica sulla situazione degli animali randagi e sulle modalità per risolvere il problema. In questo modo, le "gattare" diventano attiviste per la causa degli animali, offrendo un duro lavoro e una voce ai loro amici a quattro zampe. In terzo luogo, le donne "gattare" trovano un senso di soddisfazione nell'aiutare gli animali bisognosi e nel far parte di una comunità di persone che condividono la loro passione. La relazione tra una "gattara" e i suoi gatti è spesso molto forte, e questo può fornire un senso di appagamento e realizzazione nella vita quotidiana. Infine, molte donne "gattare" vedono la cura degli animali come una forma di auto-guarigione. Prendersi cura di gatti randagi può fornire un senso di scopo e un senso di auto-realizzazione in un momento in cui le donne possono sentirsi sole o isolate. Questo è particolarmente vero per le donne anziane che potrebbero non avere più una famiglia o un lavoro a cui dedicarsi. La cura dei gatti randagi può comportare un lavoro faticoso e a volte sconfortante, ma molte donne "gattare" vedono anche il lato positivo di questo lavoro. Ad esempio, la compagnia dei felini può alleviare l'ansia e lo stress ed essere un'opportunità per prendersi una pausa dalla vita quotidiana. Inoltre, dare a un gatto randagio una nuova casa può essere una fonte di gioia e gratificazione per le "gattare". Nonostante tutte le motivazioni citate, ci sono ancora molte donne che subiscono pregiudizi per il loro ruolo di "gattare". Alcune persone pensano che sia un lavoro poco importante o addirittura ridicolo, ma questo non scoraggia le donne che amano gli animali. La verità è che le "gattare" sono essenziali per la cura dei gatti randagi, che senza di loro potrebbero rimanere senza cibo, riparo o cure mediche. Inoltre, le "gattare" possono creare una rete di aiuto per i felini bisognosi, coordinando i rifugi, la sterilizzazione, la castrazione e le adozioni. In Italia, il problema degli animali randagi è così grave che le donne "gattare" sono diventate una vera e propria forza di attivismo sociale. Queste donne sono impegnate nell'organizzazione di eventi di sensibilizzazione, nella creazione di gruppi di supporto e nella stretta collaborazione con le autorità locali e le associazioni di volontariato. Le "gattare" hanno anche assunto un ruolo importante nella cura dei gatti randagi durante la pandemia di COVID-19. Infatti, molte strutture che erano il principale punto di riferimento per i gatti randagi sono state chiuse o limitate nell'accesso, e quindi le donne "gattare" sono state ancora più importanti come supporto per questi animali. In Italia ci sono tante storie di donne "gattare" che hanno fatto la differenza nella vita di molti gatti randagi. Uno dei casi più famosi è quello di Romea, una gatta randagia a cui una donna "gattara" ha offerto una casa e un riparo sicuro. Romea è diventata l'emblema del fenomeno delle "gattare" in Italia, simbolo di amore verso gli animali e di altruismo. Le donne che dedicano il loro tempo e la loro energia per prendersi cura dei gatti randagi svolgono un ruolo importante nell'attivismo sociale, nella sensibilizzazione della popolazione e nella cura degli animali. Anche se a volte sono oggetto di pregiudizi, le donne "gattare" sono una forza positiva nella società e un esempio di altruismo e compassione per tutti noi. Fonti: - https://www.lifegate.it/animali/gattara - https://www.greenme.it/vivere/animali/gattare-roma-gatti-randagi/ - https://www.ilpost.it/2020/05/25/coronavirus-gatti-randagi-gattare-roma/ Read the full article
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bombonierecerimonia · 2 years ago
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Matrimonio solidale
Matrimonio solidale
I matrimoni solidali sono una tendenza sempre più diffusa nel mondo occidentale che consiste nell’organizzare il proprio matrimonio in modo da sostenere progetti a scopo benefico o ambientale. Si tratta di un modo per celebrare l’amore tra due persone in maniera responsabile e rispettosa dell’ambiente, e al tempo stesso di contribuire a rendere il mondo un posto migliore.
  E’ possibile ad esempio scegliere di destinare parte o la totalità delle donazioni ricevute a progetti di solidarietà o di sostenibilità ambientale, come ad esempio la costruzione di pozzi d’acqua in Paesi in via di sviluppo o la tutela di specie animali a rischio estinzione. Inoltre, è possibile organizzare il matrimonio in modo eco-sostenibile, utilizzando materiali biodegradabili per le bomboniere, scegliendo cibo biologico e a km 0 per il ricevimento, e optando per fiori e decorazioni naturali.
  Se stai pensando di organizzare il tuo matrimonio in modo solidale, ci sono numerose risorse online e associazioni che possono aiutarti a scegliere il progetto più adatto alle tue esigenze e ai tuoi valori. Qui una piccola lista di punti da considerare per l’organizzazione del tuo matrimonio solidale:
  Location solidale:
La scelta della location per un matrimonio solidale può essere un modo per sostenere progetti umanitari e cooperative sociali. Esistono diverse associazioni che mettono a disposizione spazi per organizzare rinfreschi e banchetti e che utilizzano il ricavato dell’affitto per finanziare iniziative a favore dei più bisognosi. Inoltre, ci sono diverse cooperative sociali che offrono la possibilità di organizzare il matrimonio presso la loro location o di richiedere il loro servizio di catering.
Scegliere una location solidale per il proprio matrimonio significa quindi compiere un gesto concreto a favore di progetti e iniziative che aiutano le persone in difficoltà. Inoltre, la scelta della location può essere un modo per personalizzare il matrimonio e per creare un’atmosfera unica e speciale. Infatti, ci sono molte soluzioni diverse e adatte a tutti i gusti, dalle location all’aperto alle sale eleganti, dai castelli storici ai parchi naturali.
  Lista nozze solidale:
  Se avete deciso di organizzare un matrimonio solidale e non avete bisogno di molti regali, potete aprire una lista nozze solidale online  come per esempio le varie associazioni che trovate in questo elenco permettono di fare. Il processo è semplice e veloce: basta accedere al portale dedicato e creare la vostra lista nozze, condividendo il link con amici e parenti. In questo modo, potranno scegliere il regalo solidale che preferiscono e compiere un gesto di beneficenza, contribuendo a finanziare progetti di aiuto ai più bisognosi. Inoltre, scegliendo la lista nozze solidale, si risparmia tempo e si evitano inutili doppioni o regali non graditi.
  Partecipazioni solidali:
  Oggi è possibile anche scegliere partecipazioni solidali per il proprio matrimonio. Ad esempio, Save the Children offre la possibilità di ordinare inviti per matrimonio direttamente online. Si può scegliere la carta, il formato e la personalizzazione desiderati, proprio come per le partecipazioni tradizionali. Tuttavia, scegliendo gli inviti solidali si contribuisce a fornire un aiuto concreto ai bambini in difficoltà, inviando un messaggio importante agli ospiti del matrimonio. In questo modo, si può rendere il proprio matrimonio ancora più speciale e significativo.
  Ci sono diverse ragioni per cui scegliere un matrimonio solidale al posto di uno tradizionale. In primo luogo, si tratta di un modo per dare un senso più profondo all’evento e per trasmettere valori importanti come la solidarietà e la sostenibilità ambientale ai propri invitati. Inoltre, organizzare un matrimonio solidale rappresenta un’opportunità per fare la differenza nel mondo e per contribuire concretamente a progetti di solidarietà o di sostenibilità. Inoltre, scegliere di destinare parte o la totalità delle donazioni ricevute a progetti benefici o ambientali può essere un modo per ringraziare gli invitati per la loro presenza e per coinvolgerli in un progetto importante.
  Infine, un matrimonio solidale può essere anche un modo per ridurre l’impatto ambientale dell’evento, utilizzando materiali biodegradabili, cibo biologico e a km 0, e fiori e decorazioni naturali. In questo modo, si può contribuire a creare un mondo più sostenibile anche attraverso le scelte personali.
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avalonishere · 3 years ago
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DOPO L’ORRORE (Toni Capuozzo)
La prima domanda che mi sono fatto è : pensi che sia impossibile che i russi, ritirandosi, abbiano fatto, per vendetta e odio, una strage di civili ? Non lo ritengo impossibile, ho visto troppe volte che la guerra porta a dare il peggio di sé. La seconda domanda è stata: pensi che sia impossibile che gli ucraini, aggrediti, bisognosi di aiuto, ansiosi di coinvolgere la comunità internazionale, abbiano “costruito” la scena ? Ho una lunga esperienza, dal Kossovo al Libano, da Betlemme a Belgrado, di situazioni forzate, modificate, usate: in guerra ogni mezzo è buono. In più, in questo caso, ci sono i precedenti della ragazza di Mariupol (diceva la verità allora, o la dice adesso ?), il mistero del teatro di Mariupol, i numeri che vengono forniti dalle Nazioni Unite e dagli ucraini su vittime civili e perdite militari russe (sarebbero morti 400 militari russi per ogni civile ucciso….). Il mestiere del giornalista è farsi domande, anche quelle scomode. E allora mi ha sorpreso una sequenza di date:
- il 30 marzo le truppe di Putin abbandonano Bucha
- il 31 marzo il sindaco, davanti al municipio, rilascia una dichiarazione orgogliosa, sul giorno storico della liberazione. Non parla di vittime per le strade.
-il 31 marzo Maxar Technologies pubblica le foto satellitari che rivelano l’esistenza di fosse comuni attorno alla chiesa. E’ una scoperta che poteva essere fatta a terra: è la fossa che pietosamente gli abitanti del posto hanno iniziato a scavare il 10 marzo per seppellirvi i propri morti nella battaglia – siamo poco lontani dall’aeroporto di Hostomel- in cui nessuno avrebbe fatto distinzioni tra civili e militari.
Il 1 aprile va in onda a Ukraine TV24 l’intervista al sindaco. Non è accompagnata da alcun commento su morti per strada.
Il 1 aprile un neonazi che si fa chiamare Botsman posta su Telegram immagini di Bucha. Dice solo di aver trovato un parlamentare, in città, non parla di morti. Ma lo si sente rispondere a una domanda: “Che facciamo cpn chi non ha il bracciale blu’?” “Sparate”, risponde.
Il 2 aprile la Polizia ucraina gira un lungo filmato sul pattugliamento delle strade di Bucha (che non è enorme:28mila abitanti). Si vede un solo morto, un militare russo, ai bordi della strada. Nel filmato, lungo 8 minuti ci sono abitanti che escono dalle case, e passanti che si fermano a parlare con la polizia. Lieti di essere stati liberati, ma nessuno parla di morti per strada. La cosa peggiore è quando uno racconta di donne costrette a scendere in una cantina, e uomini prelevati per essere interrogati.
Il 3 aprile il neonazi su Telegram incomincia a postare le foto dei morti. A tre giorni pieni dalla Liberazione.
Il 4 aprile, ieri, il New York Times pubblica una foto satellitare che riprende i morti per strada, spiegando che è stata scattata il 19 marzo (quindi i corpi sarebbero per strada da quasi due settimane, sembrano le amri chimiche di Saddam).
Va da sé che onestà e indipendenza (che poi uno scambi l’indipendenza come dipendenza da Mosca mi fa solo ridere amaramente) impongono domande. Com’è che gli abitanti di Bucha che, sotto l’occupazione russa, seppellivano i propri morti, questi invece li lasciano sulle strade ? Com’è che attorno ai morti non c’è quasi mai del sangue ? Se una vittima viene sparata alla tempia, è una pozza, finchè il cuore batte. Se gli spari che è già morto, niente sangue. Com’è che in una cittadina piccola e in guerra, dove nessuno presumibilmente si allontana da casa, nessuno ha un gesto di pietà, per tre giorni, neanche uno straccio a coprire l’oscenità della morte ? Erano morti nostri o altrui ? Se uno vuole credere, se cioè è questione di fede, anche l’osservazione che i morti, per bassa che sia la temperatura non si conservano così. Pronti per il camera car che è una gimkana tra i corpi. Una volta tirai un sasso a un randagio, io che amo gli animali, perché si stava cibando del corpo di un terrorista, e non era in una città affamata.
Purtroppo mi interessano poco le testimonianze de relato – “mi hanno raccontato che”- o i servizi che aggiungono alla scena solo rabbia e indignazione, e pietà all’ingrosso. Ricordo ancora a Gerusalemme il responsabile della sede scrivere una mail privata ai dirigenti palestinesi attorno alle immagini di un linciaggio a Ramallah: “La Rai non avrebbe mai mandato in onda immagini che vi danneggino”. I gonzi pubblicarono la mail di solidarietà sui giornali. Né mi turbano le accuse dei tifosi, dei trombettieri e dei tamburini. Senza insulti sono disposto a discutere con chiunque, e so che quelle persone, chiunque fossero, in qualunque circostanza fossero state uccise, a qualunque scopo venissero esibite (i russi per terrorizzare, gli ucraini per emozionare il mondo) sono morte nel modo peggiore, e meritano pietà e giustizia, non propaganda
Resta l’orrore, e la speranza che commissioni severe indaghino e la facciano pagare ai responsabili. Se sono russi, irraggiungibili, resteranno nell’album delle infamie. Se qualche ucraino ha abbellito o costruito la cosa, è giusto almeno porsi un altro paio di domande scomode.
Come fai a non mandare armi a un popolo così martoriato, come fai a non reagire all’orrore ?
Come fai a convincere l’opinione pubblica mondiale che bisogna mandare altre armi e puntare a punire l’invasore, non a negoziarne il ritiro ? Come si giustifica un’escalation ?
In poche parole: a chi giova ? Ma, attenzione, anche rispondere a questa domanda non dà alcuna certezza. Perché la guerra è calcolo, ma ancora di più follia e stupida ferocia.
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corallorosso · 3 years ago
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Alimenti dell’Unione Europea destinati ai bisognosi? Cercateli nella spazzatura! di Natalia Carpanzano Sprecare cibo è una cosa deprecabile, soprattutto in tempi di crisi economica ed ambientale. Ma il gettarlo via deliberatamente si configura come un vero e proprio atto criminale nel caso in cui gli alimenti in questione riportino sulle confezioni la scritta “Aiuto UE FEAD – prodotto non commerciabile”. Su numerose testate giornalistiche locali, periodicamente e con una certa uniformità geografica, si leggono notizie riguardanti ritrovamenti di generi alimentari perfettamente conservati e non scaduti, riportanti chiaramente l’appartenenza agli aiuti alimentari di cui sopra. San Benedetto del Tronto nel 2018, Ischia e Lanciano nel 2019, Crotone nel 2020. Sono sono alcuni dei luoghi dove sono stati rinvenuti centinaia di chili di pasta, latte, riso, verdure in scatola gettati nei cassonetti o in zone periferiche poco battute. Ad Ispica, in provincia di Ragusa, dal 2015 si ravvisa una scia ininterrotta di ritrovamenti, che siano rigatoni o biscotti per l’infanzia fa poca differenza, trattasi sempre di alimenti che dovrebbero trovarsi nelle dispense dei bisognosi ed invece sono stati gettati fra i rifiuti. (...) In Italia l’Organismo Pagatore è l’AGEA, che organizza il sistema di distribuzione di aiuti alimentari destinati alle persone in condizione di indigenza acquistando direttamente cibo e beni tramite gare d’appalto e fornendoli alle organizzazioni partner che ne facciano richiesta. Le organizzazioni partner possono essere organizzazioni non governative che dichiarano all’AGEA il numero e la tipologia di nuclei familiari in stato di bisogno e richiedono la tipologia di aiuti secondo loro più idonea. Tali organizzazioni ricevono, inoltre, una somma forfettaria a rimborso delle spese amministrative, di trasporto e di magazzinaggio sostenute, pari al 5% del valore dei prodotti alimentari. Datosi che i quantitativi che periodicamente vengono richiesti dalle organizzazioni partner all’AGEA hanno come unità di misura i quintali si capisce bene come questo 5% di rimborso spese possa essere corredato da diversi zeri al seguito. Cosa ci fanno dunque dei preziosi carichi di alimenti gettati tra i rifiuti? Cosa spinge qualcuno a liberarsi di nascosto di cibo perfettamente conservato, destinandolo al macero invece che alle dispense delle famiglie che hanno bisogno di assistenza persino per mangiare? Risulta poco credibile che i prodotti alimentari siano arrivati ai beneficiari e siano stati gettati via da loro perché sgraditi, in quanto le estreme condizioni di indigenza dichiarate dovrebbero essere motivo primario per riempirsi lo stomaco con il cibo recapitato. Esiste dunque qualche altra ragione? È possibile che gli alimenti non siano mai arrivati a destinazione perché in realtà quelle famiglie indigenti non esistono nel numero dichiarato o la consegna degli alimenti risulta troppo onerosa? Qualcuno che ne capiva di certi affari diceva di seguire i soldi, quindi ricapitoliamo. Ci sono soldi che si palesano come derrate alimentari da consegnare, ci sono soldi che entrano per l’organizzazione di attività atte a favorire l’inclusione sociale (leggi ad esempio corsi educativi e formazione) e soldi richiesti a rimborso forfettario delle spese teoricamente sostenute per immagazzinare e consegnare i beni da distribuire. Serve fare anche un disegno?
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harusphotos · 4 years ago
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iniziativa21058 · 4 years ago
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Scatole di Natale
PRO LOCO Solbiate Olona aderisce all'iniziativa Scatole di Natale - Milano, un progetto di solidarietà per dare un po' di aiuto e gioia ai più bisognosi, in questo periodo così complicato ma pur sempre natalizio.
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Che cosa devi fare??? Prendi una scatola delle scarpe e mettici dentro 1 cosa Calda (guanti, sciarpa, cappellino, maglione, coperta ecc.); 1 cosa Golosa; 1 Passatempo (libro, rivista, sudoku, matite ecc.); 1 prodotto di Bellezza (crema, bagno schiuma, profumo ecc.); e 1 biglietto gentile... perché le parole valgono anche più degli oggetti! Qualche precisazione: Scatola Uomo/Donna: * La Cosa Calda e il Passatempo: possono essere "usati" ma in buono stato * La Cosa Golosa: Cibo non deperibile e nuovo * Il Prodotto di Bellezza: Deve essere nuovo...non penso vi piacerebbe ricevere un bagno schiuma a metà * Il Biglietto Gentile: forse la cosa che scalderà di più il cuore di chi aprirà la vostra scatola! Scatola Bimbo: * La Cosa Calda e il Passatempo: possono essere "usati" ma in buono stato - indicare sempre età e sesso sulla scatola * La Cosa Golosa: Caramelle sarebbero apprezzatissime * Il Prodotto di Bellezza: Un dentifricio o uno spazzolino per bambini, dei gioiellini per bambini ecc. * Il Biglietto Gentile: Un disegno fatto dal vostro bambino potrebbe essere un bellissimo pensiero. Incarta la scatola, decorala e scrivi in un angolo a chi è destinato il dono: donna, uomo o bambino/a (aggiungere fascia età). Ovviamente potete fare più di una scatola!!! Dove consegnare la vostra scatola? Sabato 5 dicembre, in Piazza Gabardi Solbiate Olona (Chiesa del Sacro Cuore), dalle 14 alle 16,30, ai consiglieri Pro Loco. Saremo noi poi, ad occuparci della consegna di tutte le scatole al centro di raccolta, nelle date stabilite. RICORDATE SEMPRE: "E' la solidarietà ad essere Contagiosa!!!" Vi aspettiamo numerosi: sappiamo che possiamo contare su di VOI!
https://www.facebook.com/prolocosolbiateolona1998
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pier-carlo-universe · 25 days ago
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🙏 La Giornata Mondiale del Malato: un momento di riflessione e solidarietà 💙
L’11 febbraio si celebra la Giornata Mondiale del Malato, istituita nel 1992 da Papa Giovanni Paolo II, nella memoria liturgica della Beata Vergine di Lourdes
L’11 febbraio si celebra la Giornata Mondiale del Malato, istituita nel 1992 da Papa Giovanni Paolo II, nella memoria liturgica della Beata Vergine di Lourdes. Questa giornata rappresenta un’occasione per riflettere sull’importanza della cura dei malati, sul valore della sofferenza vissuta con dignità e sul ruolo fondamentale degli operatori sanitari, volontari e familiari nel supporto ai…
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ohronikagirl · 4 years ago
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Aiutare gli animali domestici a rifugiarsi durante l'epidemia di COVID-19
Aiutare gli animali domestici a rifugiarsi durante l'epidemia di COVID-19. La crisi umana che si sta svolgendo durante l'epidemia di COVID-19 è straziante, ma per gli amanti degli animali, la crisi degli animali domestici del rifugio è un ulteriore motivo di preoccupazione. Abbiamo chiesto a Sarah Hodgson di Sarah Says Pets, un'amica di Goodnewsforpets di Goodnewsforpets, una rinomata autrice, addestratrice di cani, volontaria di un rifugio e adottatrice seriale di cani, di condividere i suoi pensieri sinceri e modi per aiutare in questo post sul blog degli ospiti - Lea-Ann Germinder, Editor + Editore. Sei un amante degli animali che ama scorrere siti come Pet Finder e The Dodo? Hai una lista, come me, dei futuri nomi di animali domestici sul tuo comodino? Sei un cane, un gatto o un animale domestico certificabile?
Ebbene, prima di chiudere a chiave le porte per tutta la durata, c'è un settore in crescita della nostra popolazione che ha un disperato bisogno di aiuto: gli animali da compagnia che ora sono lasciati in numero crescente nei rifugi per animali in tutto il mondo. Mentre diversi fattori contribuiscono alla causa - arresti forzati, persone - dal personale, ai volontari ai potenziali adottanti, l'improvviso squilibrio tra gli animali abbandonati e le case per prendersi cura di loro è sconcertante. Per non parlare del crescente numero di arresti del proprietario dovuti in gran parte alla disinformazione tra il virus e la capacità dei nostri animali di trasmetterlo. Il Center for Disease and Control (il C.D.C.) rassicura che gli animali domestici non mostrano alcuna prova di essere in grado di diffondere COVID-19; tuttavia, i numeri aumentano.
Con donazioni a tutti gli enti di beneficenza in declino e gli animali domestici che non sono in grado di sfuggire ai propri confini per partecipare alle adozioni o godersi le uscite a causa dell'attuale crisi sanitaria, questi esseri senzienti avranno meno sostenitori. & Nbsp; & nbsp;
Qui è dove puoi aiutare a essere parte di una soluzione!
Dona piccole cose & nbsp; I rifugi in tutto il mondo hanno un disperato bisogno di tutto; I piccoli gesti contano. Considera l'idea di lasciare cibo, giocattoli, coperte o prodotti per la pulizia. Se non ti senti a tuo agio o non puoi uscire di casa a causa delle attuali linee guida, fai una donazione online in modo che il rifugio possa acquistare ciò di cui ha bisogno. & Nbsp;
Prendi in considerazione l'affidamento & nbsp; In qualità di genitore di animali domestici, accetti di ospitare e nutrire un animale da ricovero per un determinato periodo o fino a quando qualcun altro non adotta l'animale. Il rifugio generalmente assorbe le spese mediche e il cibo viene fornito o deducibile dalle tasse. In qualità di genitore adottivo, sei responsabile delle interazioni quotidiane come l'alimentazione, il vasino e il gioco. Se decidi di allevare un animale domestico e, nel farlo, ti innamori del tuo piccolo orfano, l'adozione è spesso facile da organizzare.
Scegli di adottare & nbsp; Se stai pensando di diventare un genitore di animali domestici e sei disposto ad andare in un rifugio, ci sono molti animali amorevoli alla disperata ricerca di una casa. E i rifugi per animali non sono solo per cani! Puoi trovare tutti i tipi di animali domestici nel tuo rifugio locale, da cani e gatti a uccelli, porcellini d'India e conigli. Alcuni rifugi si prendono cura anche degli uccelli senzatetto. Chiama il tuo rifugio per scoprire cosa ti aspetta. & Nbsp; & nbsp;
Se stai aspettando i mesi più caldi per adottare un animale domestico o che il mondo si raddrizzi di nuovo, fermati a riconsiderare. Ci sono così tanti animali domestici amorevoli e bisognosi nei rifugi in tutto il mondo; tante anime riconoscenti che altrimenti andrebbero perse per sempre. Adotta ora: potrebbe essere il momento migliore in assoluto. & Nbsp; & nbsp;
Supervisionare gli animali domestici intatti. & Nbsp; Con la diffusione radicale del COVID-19, il governo chiede ai veterinari di ritardare i controlli sanitari di routine e interrompere gli interventi chirurgici facoltativi se non ritenuto necessario dal punto di vista medico. Oltre a proteggere i medici e il personale, alla loro comunità viene chiesto di donare e conservare forniture, come dispositivi di protezione individuale (DPI) e ventilatori, alla medicina umana. L'AVMA sta sviluppando linee guida che vengono aggiornate continuamente sul proprio sito.
Ecco come puoi aiutare i rifugi se il tuo animale domestico è intatto. Tieni tutti gli animali domestici intatti sotto supervisione per evitare accoppiamenti accidentali. Quando il divieto viene revocato, pianifica la riparazione del tuo animale domestico. Se il denaro è un problema, contatta il tuo centro di accoglienza locale per trovare cliniche a basso costo nella tua zona. & Nbsp;
Questi sono tempi duri per tutti noi. Mentre la nostra salute dovrebbe essere la nostra preoccupazione numero uno, molti di noi possono diventare un po 'pazzi e avere difficoltà a cercare di rimanere produttivi; perché non trascorrere il necessario isolamento con alcuni compagni a quattro zampe? La gratitudine e il dono si presentano in molte forme: se sei un amante degli animali, forse puoi considerare di aprire le tue porte in questo momento di bisogno.
Sarah Hodgson di Sarah Says Pets sta reinventando il modo in cui viviamo con i nostri animali domestici. Un rinomato autore di oltre dodici manuali di addestramento per cani tra cui "Puppies for Dummies, 4a ed." (Wiley and Sons Press, 2019), "Modern Dog Parenting" (St. Martin’s Press, novembre 2016), Sarah Hodgson è anche una rinomata addestratrice di animali domestici e consulente comportamentale per famiglie amanti degli animali domestici. & Nbsp; Visita Sarah Says Pets per ulteriori informazioni.
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libero-de-mente · 5 years ago
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PASQUA 2020
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Buona Pasqua a chi ha fino a ora soffocato le sue urla di disperazione, perché impegnato a sorreggere i bisognosi. A chi ha pianto nascondendo le lacrime con una mascherina o dietro una visiera di protezione. Buona Pasqua a chi non si è fermato perché impegnato ad aiutare il prossimo o semplicemente per chi ha lavorato per distribuire loro i beni di prima necessità. Buona Pasqua a coloro che hanno compreso che era giunto il momento di esserci, che non hanno aspettato di aver un momento libero. A coloro che non hanno mai detto a nessuno di come si sentono veramente, di quanto sono stremati. Buona Pasqua a chi il bene e la generosità li fanno senza pubblicizzarsi, senza vantarsi. A coloro che schivano foto o pubblicazioni, perché impegnati a lavorare sodo. Buona Pasqua a chi ha usato il proprio corpo come diario di questi giorni, annotando le sofferenze e il dolore con segni e lividi. Con ferite nell'animo per quello che hanno visto e udito. Buona Pasqua a chi non giudica, urla, accusa ma che si adopera perché di questo noi tutti abbiamo bisogno. Coloro che ai proclami hanno preferito tendere le mani. Buona Pasqua a coloro che non hanno visto passare il tempo ma spegnersi intere vite. Quelle che a casa poi hanno combattuto contro il vuoto pneumatico in cui il loro cuore ha vissuto le ore precedenti. Buona Pasqua a chi dovrebbe essere salvato da una situazione del genere, ma non importa... loro sono andati avanti a salvare non curandosi di se stessi. Buona pasqua a chi ha capito che il silenzio e lo stare al proprio posto è un grande aiuto anche quello, per chi è in prima linea. Buona Pasqua a chi qualcuno lo ha perso, perché quando una persona amata se ne va fa un rumore assordante per il cuore. A chi oggi non c'è più perché si è sacrificato. Buona Pasqua a chi ha avuto paura di non credere più nella vita, a chi da questo male è risorto e può comprendere fino in fondo il vero significato della Resurrezione. Che va oltre il Crocefisso di Gesù. Buona Pasqua a chi non crede negli angeli, perché impegnato ad aiutare. Non comprendendo che lui stesso è un angelo. Infine, per tutti coloro che hanno pianto e si sono disperati credendo di non farcela, ma che invece sono riusciti a continuare nel proprio operato va il mio grazie e il mio augurio di una Pasqua di resurrezione del loro cuore. Lo so, risorgerete più forti di prima quando tutto sarà finito. Anche con l'aiuto di chi vi starà vicino.
- @libero-de-mente​
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dueagosto · 5 years ago
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" Il vino Albana bevuto la sera prima contribuì a farci assopire. Quando il treno si fermò, alle ore 10.15, ci affacciamo al finestrino per informarci della località raggiunta. Ci trovavamo alla stazione centrale di Bologna.Per una volta rinunciammo a scendere sul marciapiede - cosa che di solito facevamo sempre - per acquistare qualche bibita per i nostri familiari. Il venditore di bevande lo vedemmo poco dopo, morto, sotto la nostra carrozza, la Nr. 612.
Poco prima della prevista ripresa del viaggio, all’incirca davanti al nostro scompartimento, ad una distanza di circa 5 metri, apparve una vampata subito seguita da uno scoppio assordante e nello spazio di un secondo l’intera carrozza fu avvolta da una nuvola di polvere. Non c’era più alcuna visuale. Contemporaneamente sopra e accanto al nostro vagone si udì come un bombardamento sotto forma di colpi che facevano pensare che il mondo stesse per essere scardinato. Nessuno sapeva cos’era successo. Fitta polvere lasciava trasparire una scena spettrale. Credevamo tutti che saremmo dovuti soffocare. C’era puzza di polvere. Qualcuno gridò: “Fuoco”. Con le ultime forze mi fu possibile aprire la malridotta porta dello scompartimento e spingere gli occupanti fuori dal vagone colpito. Tutti gli occupanti erano totalmente sotto shock e riuscivano appena a pronunciare parola. Tranquilli e senza panico si diressero verso l’uscita e a tastoni, in mezzo alla nebbia polverosa, si diressero verso il marciapiede, passando sopra a una collinetta di detriti che si era riversata sul binario. La nuvola di polvere stava lentamente svanendo. La disgrazia successa stava diventando visibile. Più o meno davanti ai nostri due vagoni era crollata una parte della stazione di una larghezza di circa 40-50 metri e una parte della parete esterna era caduta sul treno. Anche se sanguinanti e con leggere ferite dovute a tagli, eravamo contenti che i nostri compagni apparivano attraverso la nebbia uno dopo l’altro come figure spettrali. Quando davanti ai nostri occhi vedemmo giacere persone lacerate imploranti aiuto, ci rendemmo effettivamente conto di quale fortuna ci era stata riservata. Per loro e per noi i secondi trascorsero come un’eternità. Ci sarebbe bastato poter fornire a quella povera gente anche un solo sorso d’acqua. Non avevano nemmeno la forza per urlare, lamentarsi. Non c’era posto per le lacrime. Il sangue copriva i volti. Regnava un silenzio di morte. [...] Pensai a scattare delle fotografie. Mi sarei vergognato nel fare ciò. Anche così non dimenticherò mai quel pover’uomo con un buco della grandezza di un pugno nel viso, con una gamba schiacciata che giaceva in una pozza di sangue, che mi fissava chiedendomi aiuto e al quale non potei far altro che porre un asciugamano sotto la testa. Non gli si poteva dare età. I suoi occhi avevano uno sguardo come da un altro mondo. Vicino a lui c’era un bambino, del quale era difficile stabilire se era una ragazza o un maschietto. Era totalmente coperto di sangue. L’azione di soccorso iniziata dalla città di Bologna ci impressionò quasi quanto la disgrazia.
Già alle 10.40 le prime ambulanze arrivarono arrivarono e, attraverso le strade già chiuse al traffico dalla polizia, trasportarono i feriti nei diversi ospedali senza sosta. Dopo che mi fui assicurato che la nostra compagnia era tutta radunata, iniziai il mio soccorso sulla parte interna del marciapiede. Offriva un quadro raccapricciante che assomigliava a un campo di battaglia. In quel momento arrivavano anche centinaia di soldati che effettuarono ricerche tra le macerie con l’aiuto di pale meccaniche e camion, nel tentativo di portare alla luce superstiti. Dovunque erano in azione speciali apparecchiature attrezzate per la ricerca di bombe.
Durante il viaggio verso l’Ospedale Maggiore, accanto a me giacevano due persone completamente schiacciate. Il primario era al corrente che nei successivi minuti sarebbe giunto un gran numero di feriti gravi. Io potei spiegargli la dinamica della disgrazia. In breve tempo l’ospedale fu trasformato in un grande lazzaretto. Il primario impartiva istruzioni ai 30 medici circa arrivati senza essere stati tutti contattati e allo stesso tempo venivano procurati letti e montagne di lenzuola. Allo stesso modo, in brevissimo tempo, furono compilate liste dei diversi feriti degenti nei vari ospedali e le stesse furono portate a conoscenza degli ospedali stessi. Io diedi un’occhiata ai cittadini svizzeri e stabilii che tutti erano curati ottimamente. L’organizzazione in questo senso funzionava perfettamente, tanto che il mio adoperarmi ulteriore apparve a me stesso di disturbo e per questo lo abbandonai. [...] Cercai in tutto l’ospedale Stephan Vogel, il figlio del mio amico Edgar, che mancava all’appello. [...] Non lo trovai e decisi quindi di ritornare sul luogo dell’incidente. Non avevo denaro. Un uomo all’uscita mi diede spontaneamente 1000 lire. [...] Con il bus mi recai alla stazione, attraversando la città. Il panorama che mi appariva lateralmente mostrava che mi trovavo in una magnifica città. Ebbi perfino il tempo di ammirare il meraviglioso complesso del parco con le fontane. [...] Noi iniziammo la ricerca di Stephan [...] un signore molto gentile iniziò a telefonare per noi nei vari ospedali. Le linee erano occupate. L’uomo mi scrisse i diversi numeri telefonici su un guanto di un soldato. Fummo poi accompagnati all’Ufficio postale della stazione. Il gentile signore che stava alla scrivania deve essere stato il responsabile. Egli telefonò senza sosta e con nostro sollievo scoprì che Stephan si trovava nell’ospedale S.Orsola. [...]
Volli quindi sapere se l’Amministrazione cittadina aveva organizzato un servizio di assistenza e come funzionasse. Alla stazione ci diedero l’indirizzo. Ci recammo in Piazza Maggiore all’Amministrazione della città di Bologna, Dipartimento Sicurezza Sociale. Un grande stato maggiore era mobilitato. Senza complicazioni ci furono date 30.000 lire a persona e ognuno ebbe un “buono per un pasto gratuito da consumarsi presso la Self-service”. Ci fu anche data dell’acqua che, in un simile momento, aveva il valore dell’oro. Nel locale “Self-service” ci fu spiegato che potevamo avere quello che desideravamo. Non credo di aver mai mangiato degli spaghetti migliori in vita mia. Al nostro ritorno presso l’Amministrazione cittadina ci informammo di nuovo circa cittadini svizzeri bisognosi d’aiuto. Ci fu assicurato che per tutti ci si occupava con cura, della qual cosa nel frattempo ci eravamo potuti convincere abbondantemente. Un vigile ci condusse di nuovo alla stazione con l’automobile. La zona della stazione assomigliava a un teatro anfibio. Una moltitudine di persone si era radunata e osservava muta il luogo della disgrazia, chiedendosi il motivo, il senso.
Soltanto ora vedemmo che, dalla parte opposta della stazione, in un raggio di circa 300 metri, tutti i vetri dei negozi erano andati in frantumi ed avemmo nuovamente un’immagine della potenza che doveva aver avuto la bomba. [...]
Esemplare è da considerare anche il servizio di donazione del sangue della popolazione italiana. Migliaia risposero alla chiamata della radio ed il sangue fu donato perfino sulle spiagge adriatiche e inviato a Bologna con l’aereo.
Un caro saluto alla telefonista dell’Amministrazione cittadina di Bologna che, sopraffatta da mediatori, non riusciva più a parlare e piangeva molto, molto amaramente. Dopo questa esposizione dei fatti, non ci riesce certo difficile esternare i nostri ringraziamenti a tutti quelli che al momento del bisogno e durante le ore più difficili della nostra vita ci aiutarono in qualsiasi modo e ci sono stati vicini. Questo ringraziamento non va alle singole persone, bensì a tutta la popolazione di Bologna, poiché abbiamo sentito veramente che ognuno era pronto a porgere la sua mano per prestare aiuto.
Auguriamo alla città di #Bologna un futuro più felice. Una città, entro le cui mura vivono così tante brave persone, non si merita attacchi di questo genere." Hans Jurt, amministratore comunale
Dall' Archivio Storico Comunale - Bologna pubblichiamo questo straordinario racconto di chi visse in prima persona l'orrore, il dolore, lo strazio, la reazione di quel terribile giorno.  
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paoloxl · 5 years ago
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Esiste una linea nazionale che accomuni le realtà conflittuali in tempi di contagio? Al di là delle letture, spesso ideologiche e consolatorie, della realtà quella che manca è proprio una visione complessiva che permetta di individuare obiettivi e pratiche comuni. I limiti appena descritti non riguardano solo le singole organizzazioni, non tutte ma quasi, o i coordinamenti che vorrebbero presentarsi dal basso quando poi sono frutto di realtà, magari piccole, organizzate e di quadri sindacali. Ben vengano i tentativi di ricomposizione reale che non siano tuttavia la ennesima iniziativa per portare acqua alle singole organizzazioni o per inseguire la retorica dell'unità quando poi materialmente si lavora alla divisione,  poi c'è chi pensa di andare ad assemblee e congressi nazionali per scindere l'atomo alla ricerca della purezza assoluta, incapaci di costruire perfino una lettura univoca e dare supporto alle realtà locali, per intenderci chi sui territori fa il vero sindacato a contatto ogni giorno con la forza lavoro. La coerenza non è mai abbastanza specie se ogni giorno strilli contro gli accordi sottoscritti da altri, quanti criticavano la sudditanza del sindacato alla politica oggi non sapendo piu' cosa dire per giustificare la propria presenza straparlano di assenza del soggetto politico. O se urli ai quattro venti che con certe organizzazioni non firmerai mai nulla salvo poi ritrovarti (magari a ragione una volta tanto) a sottoscrivere piattaforme. Insomma si naviga a vista cambiando pelle e analisi per auto assolversi e giustificare il proprio operato. Ma tutto ciò può bastare? Sicuramente no. Molti delegati\e raccontano di essere stati letteralmente abbandonati, basti ricordare dei lavoratori licenziati per avere violato i codici etici e di comportamento aziendali quando invece hanno solo denunciato l'assenza di dpi in azienda e il rischio concreto di ammalarsi e morire. I vari uffici legali potrebbero costruire una rete di supporto valida erga omnes ma invece si va in ordine sparso. Dietro a molti proclami di vittoria ci sta semplicemente la nostra impotenza, alcuni risultati importanti sono stati conquistati perché tutti, perfino settori confederali, hanno marciato nella medesima direzione guadagnando perfino il sostegno dei Consulenti del Lavoro come nel caso degli assegni familiari negati ai beneficiari del Fis. Ma a nessuno è venuto in mente che gli ammortizzatori sociali attuali poi sono gli stessi ridotti a brandelli dal Governo Renzi, anderebbero ripensati per una platea decisamente piu' ampia e in tempi dilatati rispetto agli attuali, dovremmo intervenire nel merito della questione costringendo le imprese a non ricorrere ai soldi pubblici per affrontare la riduzione della domanda quando poi dividono utili a più cifre tra gli azionisti. Ma sugli ammortizzatori sociali poco o nulla è stato fatto, si sono trovate (per fortuna) intese sul reddito di quarantena ma da qui a tradurre la proposta in iniziativa politica, sociale, sindacale e culturale corre grande differenza. Del resto perfino sul reddito di cittadinanza non siamo riusciti a dire qualcosa di significativo, sarebbe stato sufficiente proporre dei lavori socialmente utili con copertura previdenziale al posto del reddito decidendo in partenza interventi e opere necessarie per la cittadinanza e il settore pubblico. Ma anche nel caso del reddito non siamo usciti dalla vulgata liberista o l'abbiamo contrastata in termini ideologici con ideologie ormai avulse dal sentire comune. E tra qualche mese si scatenerà la guerra tra poveri con i settori più a rischio a rivendicare maggiore salario giudicando chi si è fermato o è finito a casa con gli ammortizzatori sociali una sorta di privilegiato. Un altro terreno dove misurare la nostra iniziativa dovrebbe essere quello dei buoni alimentari ma non siamo andati oltre comitati spontanei che vanno in cerca di cibo dai negozi per distribuirlo gratuitamente ai bisognosi (iniziativa importante ovviamente) o alla critica verso i criteri decisi dai singoli Comuni funzionali a favorire qualche area sociale a discapito di altre. Ad esempio alcuni Enti locali di centro destra hanno inserito criteri a favore dei lavoratori autonomi, altri invece hanno fatto prevalere il rapporto tra entrate in famiglia e il numero dei componenti per strizzare l'occhio alla Chiesa cattolica e alle famiglie numerose. Sui buoni alimentari abbiamo perso l'occasione di entrare nel merito di cosa sia oggi la povertà e degli interventi necessari per contrastarla, chi siano i nuovi poveri e dove si trovano, non ci risulta poi che le amministrazioni locali abbiano ripensato il lavoro, ad esempio favorendo progetti e servizi nuovi in smart working o recuperando le mense scolastiche come supporto reale per la consegna di pasti caldo a domicilio. È poi mancata una iniziativa comune nelle aziende e fabbriche aperte anche nei momenti più drammatici del contagio, gli scioperi sono stati locali e spontanei, per lo più ove non corre l'obbligo dei servizi minimi essenziali. Ma una piattaforma comune e trasversale, unità minima di intenti, sarebbero stati indispensabili per non abbandonare le singole Rsu ad un confronto impari con i datori di lavoro. Perfino sulla regolarizzazione dei migranti in agricoltura non c'è stata l'iniziativa necessaria, eppure l'esempio del Portogallo dovrebbe indurre ad alcune riflessioni. E infine sulla fase due del contagio, la cosiddetta ricostruzione che vedrà a capo della task force un manager, qualche idea di come affrontare il nemico di classe dovremmo pur averla senza far finta che nulla sia cambiato da fine 2019. Tra poche settimane ci ritroveremo con aziende e realtà aperte e andare in ordine sparso senza neppure alcune idee comuni non sarà di aiuto a quanto resta delle aree sindacali, sociali e politiche conflittuali. Se cogliamo noi, dalla periferia, i limiti e le contraddizioni, immaginiamoci quale potrà essere la reazione delle classi subalterne che vengono da anni di ubriacatura liberista e al di là della retorica generica dell'unità non sono da anni abituati a ragionare e ad agire insieme. Qualcosa possiamo fare ma serve un cambio di passo e di cultura politico sindacale. E qui iniziano le vere difficoltà, è inutile nascondere la testa sulla sabbia o fare fughe in avanti, la realtà, bella o brutta che sia, va sempre compresa ed affrontata.
BLOG delegati e lavoratori indipendenti Pisa
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pomposita6292 · 6 years ago
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Quando i fascisti lo convocano, quel giorno, Gino Bartali ha paura.
Ma non può non andare, sanno dove abita, ha un bimbo piccolo.
Non che non lo abbiano mai controllato, dopo lo scoppio della guerra: durante gli allenamenti tra Firenze e Assisi era facilissimo che lo fermassero. Ma ogni volta che vedevano la sua faccia e riconoscevano il campione già vincitore del Giro d'Italia e del Tour de France e della Milano Sanremo e di tante altre gare, tutto filava liscio.
Quel giorno è diverso, perché lo hanno convocato a Villa Triste, come è soprannominato il palazzo dove è alloggiata la Banda Carità che lo cerca.
La banda, che prende il nome dal comandante Mario Carità, è una delle più crudeli formazioni fasciste, specializzata in rastrellamenti, torture e infiltrazioni dentro i gruppi partigiani per arrestarne e ucciderne i componenti.
Villa Triste è famosa per le grida che provengono dalle vittime che i fascisti torturano.
A volte, dalle sue stanze, arriva la musica di un pianoforte, suonato per coprire le urla dei poveretti.
Appena arriva, Bartali viene condotto nelle cantine, dove capisce che è tutto vero quanto ha sentito dire: vede esposte armi, bastoni e vari strumenti di tortura che sembrano medioevali e con cui si fanno parlare le persone, quando le botte non bastano.
Anche Gino, un uomo durissimo e capace di soffrire ogni tormento sui pedali, è spaventato.
"Erano tempi in cui la vita non costava niente. Era appesa a un filo, al caso, agli umori degli altri", dirà.
E la sua vita, quel giorno, è appesa agli umori del terribile Mario Carità.
Il gerarca ha intercettato delle lettere, indirizzate a Bartali, che vengono dal Vaticano e lo ringraziano per il suo aiuto.
Le lettere sono lì, sul tavolo.
“Di che aiuto si tratta, Bartali? Cosa ha fatto per meritarsi i ringraziamenti del Vaticano? Ha portato armi?"
“Io nemmeno so sparare!".
"E allora ha portato altre cose! Lo confessi".
"Ho solo mandato caffè, farina e zucchero e altro cibo ai bisognosi".
"E lei mi vuole far credere che il Vaticano scriverebbe a un campione come lei per ringraziarla di aver mandato caffè, farina e zucchero?".
“Questa è la verità" insiste Bartali.
Carità lo fissa con i suoi occhi da rettile.
"Vediamo se in cella si schiarisce le idee".
Gino finisce incarcerato per due giorni, nelle stanze di Villa Triste.
Al terzo giorno lo riportano in cantina, ma Carità non è solo, si è portato tre altri militari. L'aguzzino fascista gli rifà la stessa domanda.
"Cosa ha fatto per il Vaticano, Bartali? Portava armi? O altro?".
Gino insiste: "Caffè, farina e zucchero".
Carità perde la pazienza, urla, ma uno dei tre ufficiali con lui è un militare che ha avuto Gino al suo servizio, ai tempi della leva.
“Conosco Bartali, è sempre stato uno sincero, uno che dice la verità. Se i ringraziamenti erano per farina e zucchero, allora è vero. Non perdiamo tempo con lui”.
Carità, riluttante, si convince a liberare il ciclista, anche perché gli americani si avvicinano a Firenze e c’è bisogno di lui e dei suoi uomini per combatterli.
Gino esce tutto intero da Villa Triste, incredulo di essersi salvato per le parole di quel militare che pensava di conoscerlo così bene.
Ma sbagliava, perché Gino ha mentito.
Non sono caffè, farina e zucchero, i motivi per cui il Vaticano lo ringrazia.
Per tutto il tempo in cui ha corso lungo la Firenze – Assisi, nel telaio della bicicletta cui si accede staccando il sellino, Bartali ha nascosto fotografie e altre carte necessarie a fabbricare documenti falsi destinati a centinaia di ebrei da salvare.
Lo ha fatto per conto del Vescovo di Firenze Elia Dalla Costa, l’uomo che ha celebrato il suo matrimonio e che ha pensato a Bartali come unica possibilità di passare i controlli.
“Ma non devi dire nulla a nessuno, Gino! Nemmeno alla tua famiglia. O quelli ammazzano tutti”.
Non solo: ogni volta in cui arrivava un treno da Assisi su cui viaggiavano ebrei che volevano prendere coincidenze per fuggire in altre parti d’Italia, Gino è andato al bar della stazione ferroviaria. Lì si è fatto vedere bene da tutti, si è messo in mostra per i tifosi e il caos creato dalla sua presenza ha fatto sì che la polizia fascista e i soldati tedeschi non riuscissero a controllare bene i documenti e facessero passare un po’ tutti.
E poi ancora, altri viaggi in bici, fino a Genova e in Svizzera, per prendere lettere e denaro. Senza contare un’intera famiglia ebrea che è nascosta da un anno nella cantina di una sua casa.
In tutti questi modi, in quegli anni, Bartali ha salvato la vita a un numero imprecisato ed enorme di persone.
Gino, però, mantiene la promessa fatta al Cardinale; non racconta nulla a nessuno, nemmeno ad Adriana e Andrea, per proteggerli. E anche dopo, a guerra finita, tiene il segreto per sé, perché crede che “quando fai un favore ci pensi per una notte, ma te ne dimentichi il giorno dopo”.
Solo quando il padre è ormai molto vecchio, il figlio Andrea, che ha sentito girare alcune voci su questa storia, riesce a farsi spiegare dal babbo come sono andate le cose.
“Ma tu non devi dirlo a nessuno, eh!” insiste il campione. "Il bene si fa, ma non si dice. E certe medaglie si appendono all'anima, non alla giacca".
Riccardo Gazzaniga, Abbiamo toccato le stelle - Storie di campioni che hanno cambiato il mondo, Rizzoli
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