#Gaetano Azzariti
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L’attività della Corte straordinaria di Bologna iniziò ufficialmente il 12 giugno 1945
Ad esempio, anche se tra il 1944 e il 1947 si registrò in Italia un’azione parlamentare volta ad abrogare la legislazione razzista in vigore dal 1938 e predisporre le disposizioni riparatorie <145, la persecuzione razziale non costituì, nell’ambito della giustizia di transizione, né uno specifico reato, né un’aggravante <146. Secondo l’analisi di Franzinelli, le CAS «sottovalutarono i risvolti…
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#12#1938#1944#1945#aeroporto#Bologna#Cas#ebrei#epurazione#fascisti#Gaetano Azzariti#giugno#giustizia#Lidia Celli#orlì#persecuzione#razziale#settembre#strage#transizione
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L’attività della Corte straordinaria di Bologna iniziò ufficialmente il 12 giugno 1945
Ad esempio, anche se tra il 1944 e il 1947 si registrò in Italia un’azione parlamentare volta ad abrogare la legislazione razzista in vigore dal 1938 e predisporre le disposizioni riparatorie <145, la persecuzione razziale non costituì, nell’ambito della giustizia di transizione, né uno specifico reato, né un’aggravante <146. Secondo l’analisi di Franzinelli, le CAS «sottovalutarono i risvolti…
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L’attività della Corte straordinaria di Bologna iniziò ufficialmente il 12 giugno 1945
Ad esempio, anche se tra il 1944 e il 1947 si registrò in Italia un’azione parlamentare volta ad abrogare la legislazione razzista in vigore dal 1938 e predisporre le disposizioni riparatorie <145, la persecuzione razziale non costituì, nell’ambito della giustizia di transizione, né uno specifico reato, né un’aggravante <146. Secondo l’analisi di Franzinelli, le CAS «sottovalutarono i risvolti…
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L’attività della Corte straordinaria di Bologna iniziò ufficialmente il 12 giugno 1945
Ad esempio, anche se tra il 1944 e il 1947 si registrò in Italia un’azione parlamentare volta ad abrogare la legislazione razzista in vigore dal 1938 e predisporre le disposizioni riparatorie <145, la persecuzione razziale non costituì, nell’ambito della giustizia di transizione, né uno specifico reato, né un’aggravante <146. Secondo l’analisi di Franzinelli, le CAS «sottovalutarono i risvolti…
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Processo al carcere
Difendendo i primi operai socialisti in un processo politico, nel 1892 Giovanni Bovio provò invano a dar voce alle loro ragioni e ad ammonire le classi dirigenti; «Per carità di voi stessi, giudici, per quel pudore che è l’ultimo custode delle società umane, non fateci dubitare della Giustizia. Noi fummo nati al lavoro, non fate noi delinquenti e voi giudici!». I tribunali però li «fecero…
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#Acciarito#Aldovrandi#Alfredo Rocco#Aristide Donadio#Bresci#Cancellieri#Carlo Alibey#Centro Gandhi associazione per la nonviolenza#codice Zanardelli#Crispi#Cucchi#De Gennaro#Dossetti#Francesco Pugliasi#Frezzi#Gaetano Azzariti#Giovanni Bovio#Guido Leto#Legge Pica#Luigi Oggioni#Marcello Guida#Parri#Passannante#Pertini#Pinelli#Processo al carcere#Rosselli#Spartaco Mortola#Terracini#Uva
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Two cousins haven’t spoken for almost twenty years, thanks to the enmity that their fathers feel toward one another. But an accident suddenly brings the cousins back together and thrusts them deep into the heart of the mafia. Credits: TheMovieDb. Film Cast: Gaetano: Salvatore Ficarra Paolo: Valentino Picone Olga: Anna Safroncik Antonio: Claudio Gioè Ignazio, l’esattore: Domenico Centamore Il vecchio sposo: Tuccio Musumeci Don Gino: Pino Caruso don Mimí: Mario Pupella mamma di Paolo: Mariella Lo Giudice mamma di Gaetano: Rosa Pianeta Pietro: Giovanni Martorana commissario di Polizia: Gino Astorina agente Pappalardo: Gaetano Pappalardo Svetlana: Maria Di Biase cameriera: Marzia Cavallo amministratore dell’albergo: Angelo Pellegrino …: Antonio Pandolfo Film Crew: Set Decoration: Paola Bizzarri Conductor: Paolo Buonvino Story: Francesco Bruni Director of Photography: Roberto Forza Editor: Claudio Di Mauro Story: Salvatore Ficarra Story: Valentino Picone Story: Giambattista Avellino Assistant Camera: Federico Angelucci First Assistant Director: Gianni Costantino Story: Fabrizio Testini Production Manager: Gianluca Passone Assistant Editor: Simone Rosati Producer: Attilio De Razza Line Producer: Giulio Gallozzi Executive Producer: Tore Sansonetti Casting: Chiara Meloni Costume Design: Cristina Francioni Assistant Costume Designer: Olivia Cutore Makeup Department Head: Simona Castaldi Still Photographer: Maurilio Scaduto Production Coordinator: Barbara Busso Boom Operator: Corrado Azzariti Sound Editor: Gianluca Carbonelli Second Assistant Director: Giovanni Calvaruso Sound: Mario Iaquone Unit Production Manager: Francesco Startari Key Grip: Enrico Stella First Assistant Director: Manuel Carlucci Assistant Editor: Roberto Pelliccioni Location Manager: Pino Cori Unit Production Manager: Federico Cori Assistant Costume Designer: Elena Moncada Script Supervisor: Cinzia Liberati Camera Operator: Davide Sondelli Production Secretary: Gianni Enrico Cori Second Assistant Director: Davide Catania Assistant Camera: Flavia Califano Still Photographer: Dario Palermo Still Photographer: Maria Pina Mastropietro Set Designer: Marcello Fida Assistant Set Designer: Aldo Di Meo Assistant Costume Designer: Stefania Lo Russo Makeup Artist: Antonella Muzzetta Assistant Makeup Artist: Isabella Sturniolo Hair Department Head: Desirè Di Mattia Hairstylist: Alfredo Danese Assistant Hairstylist: Anna Maita Gaffer: Pino Meloni Gaffer: Alfredo Meloni Key Grip: Piero Bosi Movie Reviews:
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Il costituzionalista Azzariti: «Il premierato di Meloni è la democrazia del capo»
Il professore critica la riforma di Meloni la norma antiribaltone? Non ha senso Il costituzionalista Gaetano Azzariti dice che il premierato è una forma di democrazia del capo. In un’intervista a La Stampa il professore dell’università La Sapienza critica la riforma di Giorgia Meloni. E dice che «ciò che impressiona è che si discute della riforma costituzionale guardando puramente agli interessi…
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Suider-Afrika 3.3.3. Menswaardigheid in biowet: potensiaal en grense van a
problematiese konsep
Wat tot dusver in die saak van menswaardigheid gesê is, lei daartoe dat die probleme van wat algemeen as 'n tipiese objek van die bio-etiekreg beskou word, onderstreep word. Dit kom veral na vore hoe hierdie konsep slegs gedeel word solank dit beperk is tot 'n "minimale" en vanselfsprekende inhoud (marteling, slawerny) en op 'n vlak van algemene en generiese formulering (formule van die objek) bly; dit wil sê, stop by die aanduiding wat bestaan uit die behandeling van elke mens as 'n doel en nooit bloot as 'n middel nie. Wanneer 'n mens egter 'n breër beskerming daaraan wil heg of dit wil toepas, aanpas, by spesifieke en konkrete gevalle, blyk dit egter dat hierdie konsep 'n baie besondere verdelende potensiaal ontketen. As dit op etiese gebied is, blyk dit duidelik en heeltemal verstaanbaar dat hierdie formule in kontekste en vir verskillende doeleindes gebruik word en dikwels
gekant, sou 'n mens verwag het, op die juridiese gebied,
15% Die verwysing gaan na die verslag gegee deur D. SCHEFOLD oor Menswaardigheid op 11 April 2003, by die LUISS in Rome: wenke in die relatiewe Bulletin, n. 4 van 2003: http://www.luiss.it/semcost/index.html"dirittifundamentali/resoconti 200304.html-right. Algehele, die ander deelnemers aan die vergadering, insluitend Gaetano Azzariti, Paolo Ridola, Adele Anzon, Sergio Panunzio en met groter onderskeidings het ons gelyk of ons Sergio Lariccia en Sergio Stammati begryp Die - literatuur in hierdie verband is baie omvangryk.Sien onder andere: C. SMITH, More Disagreement Over Human Dignity: Federal Constitutional Court's Most Recent Benetton Advertising Decision, in German Law Journal, 2003, 533, waarvolgens: «Menswaardigheid is ook een van die mees ontwykende konsepte in die Duitse grondwetlike grasperk.
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“Parlare di principi è sempre difficile e si fatica ad esprimere un’opinione coerente quando i termini della questione sono complessi. Eppure, è questo uno di quei casi in cui dobbiamo difendere i principi, razionalizzandone il contesto. Come ha nitidamente affermato su questo giornale Gaetano Azzariti, «al dunque la questione di fondo è: sin dove possono spingersi gli obblighi e le limitazioni alle libertà individuali per la tutela dell’interesse pubblico alla sanità e alla sicurezza?».La questione è spinosa, perché la risposta non è univoca.
Ci sono due aspetti: la legittima scelta che ognuno di noi deve poter fare di non assumere il vaccino e la limitazione della libertà di contatto, circolazione e frequentazione di luoghi pubblici per chi non sia vaccinato. Detto che il vaccino appare al momento come il migliore mezzo per rallentare la diffusione del virus e che tutti andrebbero invitati a vaccinarsi, non per questo si può accettare che chi non ritiene di farlo venga discriminato o, peggio, «criminalizzato». Perché ci sono molti motivi ancora per nutrire legittimi dubbi, incertezze. E quei motivi sono ugualmente fondati su ragioni «scientifiche» quanto quelli di chi afferma che bisogna vaccinarsi comunque.
Dei vaccini sperimentati e ora praticati per il coronavirus non si conoscono gli effetti ultimi ed eventuali. Vi sono rischi, per ora ignoti, e la decisione che è stata universalmente presa è basata sulla convinzione che questi siano inferiori ai vantaggi che il vaccino presenta. Non si sta difendendo qui, sia chiaro, le posizioni «complottiste» di molti «no-vax». Ma il rapporto con la salute e con la medicina, per molti, è molto più complesso di quanto non si voglia ammettere. Non ci sono solo le posizioni di chi difende la medicina «alternativa», che sono spesso informate e ben coscienti (non si parla qui né di omeopatia né di pratiche magiche, ma di impostazioni molto più serie e fondate).
Vi è anche chi critica, ad esempio, l’approccio della medicina dominante che guarda solo alla cura della patologia specifica senza guardare al contesto in cui questa matura e si insedia (sin dalla iatrogenesi di Ivan Illich, per semplificare). Chi scrive ha scelto di vaccinarsi. Ma non arriverebbe ad additare il «campo di concentramento» per chi decide di non farlo. Taluni strali illiberali dei difensori della libertà di tutti che sovrasta quella individuale fanno venire i brividi.
Il tema, quindi, è come far convivere una maggioranza che ha accettato di vaccinarsi con una minoranza che questo rischio non vuole correrlo (o che ha altre opinioni, per quanto fantasiose). «Liberi di non vaccinarsi, non di contagiare gli altri», come afferma Massimo Villone. Come garantire, dunque, la libertà di chi sceglie di non vaccinarsi? Paolo Flores D’Arcais argomenta che è come limitare l’accesso ai luoghi pubblici ai fumatori: una misura chiaramente discriminatoria, che pure è stata accettata dai più.
Ma nessuno, in generale, si sogna di additare un fumatore come un untore (anche se avviene anche questo). L’intolleranza nel nome della maggioranza è sempre in agguato. Se vuoi farti venire un tumore ai polmoni, sei libero di farlo nella tua dimensione privata, non in pubblico (anche se c’è chi sostiene che anche questo andrebbe limitato, perché il costo della cura ricade poi sul sistema). Eppure, Cacciari e Agamben ricordano che la stessa Unione Europea ha sancito che chi ha scelto di non vaccinarsi non deve essere in alcun modo discriminato (anche se, va detto, è difficile aderire alle posizioni di Agamben sulla pandemia). Come non discriminare? In alcuni locali, ci sono «le stanze per fumatori».
Può essere quello un modo? Forse no, eppure il problema si pone. Il fatto è che non ci siamo ancora abituati all’idea che questa pandemia diverrà endemica. Il Covid-19 è qui per restare (ce lo dicono gli scienziati). Non solo le mutazioni e le varianti continueranno a riprodursi, ma la stessa immunità è destinata a venire meno e così l’effetto dei vaccini (che non sono del tipo messo a punto contro il vaiolo, che invece «vale per tutta la vita»). Il SARS-Cov-2, come tutti i coronavirus influenzali, muta sempre, e dovremo sempre rincorrerlo con nuovi vaccini. Che fare dunque? Anche quando il vaiolo non era ancora stato completamente sradicato (e ciò è avvenuto grazie al vaccino), non erano certo discriminati in alcun modo coloro che non erano vaccinati. Eppure, con gli anni, si è arrivati ad estirparlo. Dovremo sempre avere un «green pass» con noi assieme ai nostri documenti d’identità? Forse maggiore ragionevolezza e meno intolleranza potrebbero servire di più.
C’è troppa animosità in giro, troppo desiderio di controllo, che ha trovato linfa nella grande incertezza che ci sovrasta. Il salubrismo del bio-capitalismo del controllo ha trovato un nuovo terreno, facendoci dimenticare quanto sia responsabile del penoso stato in cui ci troviamo, e la medicina dominante ne è il suo «braccio operativo». Non perdiamo la bussola e manteniamoci liberi e tolleranti cercando un modus di convivenza e di resistenza contro l’ultima ratio totalizzante del controllo dei corpi.” Pier Giorgio Ardeni Da Il Manifesto, Lunedì rosso del 2 Agosto 2021
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Appello per la liberazione immediata di Dana Lauriola firmato da oltre un centinaio di membri del corpo accademico, giuristi, intellettuali ed esponenti del mondo della cultura. Dana, attivista notav, è detenuta in carcere da ormai quasi sei mesi per aver parlato in un megafono durante una manifestazione contro il raddoppio della Torino-Lione
Alla Ministra della Giustizia
prof. Marta Cartabia
Al Garante nazionale delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale
Mauro Palma
Al Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale per il Piemonte
Bruno Mellano
e, per conoscenza
Al Tribunale di sorveglianza di Torino
Dana Lauriola, militante No Tav, è in carcere dal 17 settembre 2020 ‒ e, dunque, da quasi sei mesi ‒ in esecuzione di una condanna a due anni di reclusione per il reato di violenza privata (per il quale, con il bilanciamento tra aggravanti e attenuanti, la pena prevista dalla legge parte da 15 giorni).
I fatti per cui è stata condannata risalgono a nove anni fa e sono stati commessi nel corso di una manifestazione di protesta e di solidarietà con Luca Abbà, agricoltore valsusino in quei giorni in bilico tra la vita e la morte dopo essere rimasto folgorato su un traliccio dell’alta tensione su cui si stava arrampicando, inseguito da un agente di polizia, in un’azione dimostrativa contro l’apertura del cantiere della Nuova linea ferroviaria Torino-Lione. La manifestazione si concluse con il blocco, per alcuni minuti, delle sbarre dei caselli di accesso all’autostrada Torino-Bardonecchia. Il danno subito dalla società concessionaria dell’autostrada per il mancato pagamento del pedaggio da parte degli automobilisti in transito è stato quantificato dal tribunale in 777 euro e a Dana Lauriola è stato contestato «di avere, usando un megafono, intimato agli automobilisti di transitare ai caselli senza pagare il pedaggio, indicando le ragioni della protesta». Diventata definitiva la sentenza, Dana Lauriola ha chiesto di scontare la pena in misura alternativa, ma il Tribunale di sorveglianza di Torino ha respinto l’istanza, pur in assenza di precedenti condanne definitive e nonostante l’esistenza di un lavoro stabile di notevole responsabilità e le valutazioni ampiamente favorevoli dei servizi sociali dell’amministrazione della giustizia. La motivazione del rigetto è che Dana Lauriola «non ha preso le distanze» dal movimento No Tav e che il suo domicilio «coincide con il territorio scelto come teatro di azione dal movimento No Tav, il quale ha individuato il cantiere di Chiomonte per la realizzazione della futura linea dell’Alta Velocità come scenario per frequenti manifestazioni e scontri con le Forze dell’ordine».
La vicenda ci lascia sbigottiti/e e preoccupati/e, come cittadini e cittadine impegnati/e nell’associazionismo, nella politica, nell’informazione, nel mondo dell’arte e della cultura. Per la sorte di Dana e per il trattamento del dissenso nel nostro Paese.
Non entriamo, qui, nel merito della qualificazione giuridica dei fatti e di altri aspetti (pur inquietanti) inerenti la ritenuta responsabilità di Dana e la concezione del concorso di persone nel reato sottesa alla condanna, ma denunciamo, da un lato, l’evidente sproporzione tra i fatti (commessi senza violenza alle persone e con un danno patrimoniale di assoluta modestia) e la pena e, dall’altro, la sorprendete anomalia della mancata concessione di una misura alternativa al carcere (pur consentita dalla legge e coerente con le condizioni soggettive di Dana). Il nostro stupore e la nostra preoccupazione, poi, aumentano guardando alle motivazioni con cui l’istanza di misura alternativa è stata respinta: Dana non può beneficiare della pena alternativa e, quindi, merita il carcere per aver tenuto fermi i propri «ideali politici» e la propria opposizione al Tav e perché abita nella valle in cui ci sono i suoi affetti, i suoi interessi, i suoi compagni di vita e di militanza!
Percepiamo la carcerazione di Dana come una grave ingiustizia sul piano personale e come un pesante attacco alla libertà di tutti di manifestare ed esprimere le proprie idee e di dissentire da scelte politiche ritenute sbagliate e dannose. La nostra denuncia e la nostra preoccupazione sono condivise dalla grande maggioranza di una valle che da trent’anni chiede inutilmente di essere ascoltata e da molti cittadini e cittadine che non sono contrari alla Nuova linea ferroviaria ma hanno a cuore le libertà e i diritti fondamentali.
Per questo vi chiediamo, ciascuno nell’ambito delle proprie competenze, di adottare ogni iniziativa utile a favorire l’immediata scarcerazione di Dana: per porre rimedio a un’ingiustizia in atto, per dare un segnale di attenzione ai temi implicati dalla vicenda, per ripristinare condizioni di agibilità politica anche (e soprattutto) per chi dissente.
4 marzo 2021
FIRMATARI
1) Maria Luisa Boccia (Centro per la Riforma dello Stato)
2) Daniela Dioguardi (Udipalermo)
3) Ketty Giannilivigni (Udipalermo)
4) Franco Ippolito (Fondazione Basso)
5) Livio Pepino (Volere la luna, Edizioni Gruppo Abele)
6) Tamar Pitch (Università di Perugia)
7) Grazia Zuffa (Società della ragione)
8) Alessandra Algostino (Università di Torino)
9) Stefano Anastasia (Università di Perugia)
10) Gaetano Azzariti (Università di Roma La Sapienza)
11) Letizia Battaglia (fotografa)
12) Mauro Biani (vignettista)
13) Alessandra Bocchetti (saggista)
14) Luciana Castellina (politica e scrittrice)
15) Franco Corleone (già sottosegretario alla Giustizia)
16) Maura Cossutta (Casa internazionale delle donne)
17) Maria Rosa Cutrufelli (scrittrice)
18) Teresa Degenhardt (Queen’s University, Belfast, Studi sulla Questione criminale)
19) Giuseppe De Marzo (Libera – Rete dei Numeri Pari)
20) Ida Dominijanni (filosofa e giornalista)
21) Claudio Fava (presidente Commissione antimafia Regione Sicilia)
22) Lorenzo Fazio (direttore editoriale casa editrice Chiarelettere)
23) Luigi Ferrajoli (Università di Roma3)
24) Angelo Ficarra (Anpi, Palermo)
25) Marcello Fois (scrittore)
26) Maria Grazia Giammarinaro (magistrata)
27) Elisabetta Grande (Università del Piemonte orientale)
28) Sabina Guzzanti (attrice e regista)
29) Loredana Lipperini (giornalista, scrittrice e conduttrice radiofonica)
30) Luigi Manconi (A Buon Diritto)
31) Lea Melandri (saggista)
32) Luca Mercalli (climatologo e giornalista scientifico)
33) Paolo Mondani (giornalista)
34) Tomaso Montanari (Università per stranieri di Siena)
35) Michela Murgia (scrittrice)
36) Francesco Pallante (Università di Torino)
37) Giovanni Palombarini (già magistrato)
38) Valeria Parrella (scrittrice)
39) Mariella Pasinati (Udipalermo )
40) Valentina Pazé (Università di Torino)
41) Marco Revelli (Università del Piemonte orientale)
42) Maria Concetta Sala (Udipalermo, Palermo)
43) Giorgia Serughetti (filosofa politica)
44) Evelina Santangelo (scrittrice)
45) Vincenzo Scalia (Università di Winchester, Studi sulla Questione criminale)
46) Anita Sonego (presidente Casa delle donne Milano)
47) Armando Sorrentino (avvocato)
48) Sergio Staino (vignettista)
49) Vittorio Teresi (già magistrato)
50) Chiara Valerio (scrittrice)
51) Simone Furzi, ricercatore
52) Laura Cima, ecofemminista
53) Alberto Castiglione, regista
54) Alessandra Sarchi, scrittrice
55) Helena Janeczeck, scrittrice
56) Teresa Ciabatti, scrittrice
57) Rossella Milone, scrittrice
58) Caterina Bonvicini, scrittrice
59) Hamid Ziarati, scrittore
60) Elvira Seminara, scrittrice
61) Marta Bellingreri, reporter l’Espresso, Al-Jazeera English
62) Alessio Mamo, fotoreporter l’Espresso, Guardian
63) Vittoria Tola, UDI
64) Giulia Potenza, avvocata, responsabile nazionale UDI
65) Adriana Laudani, avvocata
66) Emma Dante, regista
67) Valentina Chinnici, insegnante, consigliera comunale Palermo
68) Lorenzo Teodonio, fisico climatologo
69) Lorenzo Coccoli, storico
70) Rita Di Leo, docente di relazioni internazionali
71) Giulio De Petra, docente di tecnologie digitali
72) Carmelo Caravella, sindacalista Cgil
73) Luisa Simonutti, ricercatrice di filosofia politica, Cnr
74) Alessandro Montebugnoli, economista
75) Bianca Pomeranzi, esperta di cooperazione e politiche di genere
76) Fulvia Bandoli, politica ecologista
77) Mario Dogliani, costituzionalista
78) Alberto Olivetti, filosofo di estetica
79) Caterina Botti, filosofa morale
80) Laura Bazzicalupo, filosofa politica
81) Claudio De Fiores, costituzionalista
82) Chiara Giorgi, storica
83) Laura Ronchetti, costituzionalista
84) Nicola Genga, Ministero dei Beni culturali,
85) Rocco D’Ambrosio, sacerdote filosofo politico
86) Giuseppe Cotturri, docente di teoria del diritto e delle istituzioni
87) Stefania Vulterini, saggista
88) Emilio Giannelli avvocato
89) Gisella Modica Udipalermo
90) Giovanna Martelli, già parlamentare
91) Claudia Pedrotti, avvocata Udipalermo
92) Rita Barbera, già direttora istituti di pena
93) Elvira Rosa, coordinamento antiviolenza palermo
94) Gisella Costanzo, attrice
95) Sandra Rizza, giornalista
96) Laura Piretti, UDI
97) Alida Castelli, UDI
98) Liviana Zagagnoni, UDI
99) Pina Mandolfo, operatrice culturale
100) Francesca Traina, Udipalermo
101) Loredana Rosa, Il femminile è politico: potere alle donne
102) Rita Calabrese, Udipalermo
103) Marina Leopizzi, Udipalermo
104) Giovanna Minardi, docente Università Palermo
105) Mimma Grillo, Forum antirazzista Palermo
106) Ida La Porta, Udipalermo
107) Bice Grillo, Udipalermo
108) Toni Casano, redattore Pressenza
109) Alessandra Notarbartolo, coordinamento antiviolenza Palermo
110) Agata Schiera, Udipalermo
111) Beatrice Monroy, scrittrice
112) Emi Monteneri, Udipalermo
113) Angela Militello, Udipalermo
114) Etta Sgadari, Udipalermo
115) Elena Diliberto, Udipalermo
116) Mimma Argurio (segretaria generale Fisac Sicilia)
117) Elvira Morana (CGIL Sicilia)
118) Anna Maria Tirreno (segretaria Camera del lavoro CGIL Palermo)
119) Rita D’Ippolito (insegnante in pensione)
120) Rosario Nicchitta (architetto)
121) Novella Nicchitta (formatrice)
122) Ornella Russo (insegnante)
123) Anna Di Salvo (Città Felice, Rete la Ragna-Tela)
124) Enza Longo (Coordinamento antiviolenza 21luglio Palermo)
125) Maria Rosa Turrisi (preside in pensione)
126) Angela Galici (Coordinamento antiviolenza 21 luglio Palermo)
127) Simona Sorrentino (medica)
128) Elvira Rosa (Il femminile è politico: potere alle donne)
129) Gemma Infurnari (UDIPalermo)
130) Elisa Romano (Università di Pavia)
131) Maddalena Giardina (avvocata, UDIPalermo)
132) Anna Marrone (docente, UDIPalermo)
133) Emilia Martorana (Coordinamento antiviolenza 21luglio Palermo)
134) Katia Orlando (insegnante, consigliera comunale Palermo)
135) Maria Concetta Pizzurro (UDIPalermo)
136) Silvia Miceli, docente (UDIPalermo)
137) Maria Grazia Patronaggio (Le Onde onlus)
138) Valeria Andò (docente Università di Palermo)
139) Benita Licata (dirigente Scolastica)
140) A. Maria Catalano (dirigente Scolastica)
141) Gaia Nicita (docente)
142) Valeria Ferrauto (docente)
143) Margherita La Porta (funzionaria MEF)
144) Giusi Vacca (agente pubblicitaria)
145) Flora Arcuri (docente)
146) Cetti Iovino (imprenditrice agricola)
147) Alessandra Jaforte (docente)
148) Claudia La Franca (architetta)
149) Virna Chessari (docente)
150) Gilda Messina (docente)
151) Valeria Adamo (docente)
152) Giorgia Calì (docente)
153) Nadia Saputo (docente)
154) Claudia Calzolari (docente)
155) Gabriella Pucci (imprenditrice agricola)
156) Daniela Gennaro (dirigente scolastica)
157) Cristina Fatta del Bosco (imprenditrice agricola)
158) Amelia Crisantino (docente/scrittrice)
159) Anna Maria Ruta (dirigente scolastica)
160) M. Antonietta Spadaro (storica dell’arte)
161) Anna Cottone (docente Università Palermo)
162) Tommaso Di Caccamo (redattore tecnico)
163) Agostina Passantino (bibliotecaria)
164) Licia Masi (pensionata, operatrice sociale volontaria)
165) Rossella Reyes (dipendente regionale)
166) Sabina Cannizzaro (pensionata regionale)
167) Cristina Pecoraro (pensionata regionale)
168) Rosalba Rinaudo (insegnante in pensione)
169) Carmelo Lucchesi (insegnante in pensione)
170) Francesca Citarrella (operatrice sociale)
171) Laura Zizzo (guida turistica)
172) Michela Fiore (casalinga)
173) Antonia Cascio (pensionata)
174) Adriano Di Cara (ingegnere)
175) Antonino Di Cara (operatore sociale)
177) Sandra Giovanna Cascio (casalinga)
178) Alessandra Bruno (avvocata)
179) Emilia Esini (Maghweb)
180) Gabriele Tramontana (Maghweb)
189) Fabrizio Cacciatore (Maghweb)
190) Vincenzo Allotta (Maghweb)
191) Sofia Calderone (Maghweb)
192) Epifania Lo Presti (Maghweb)
193) Elisa Chillura (Maghweb)
194) Chiara Ercolani (Maghweb)
195) Marianna Castronovo (Maghweb)
196) Giuseppe Grado (Maghweb)
197) Marta Cutrò (docente)
198) Sebastiana Zangla (docente)
199) Maria Clara Provenzano (docente)
200) Maria Oliva Caldarella (docente)
201) Emanuela Bajardi (docente)
202) Candida Di Franco (docente)
203) Alessandra Martorana (docente)
204) Gabriella Costanzo (docente)
205) Teresa Burderi (docente)
206) Elvira Leone (pediatra)
207) Gisella Duci (docente)
208) Maria Di Chiara (docente)
209) Donatella Lombardo (docente)
210) Francesca Koch (storica)
211) Francesca Martino (musicista)
212) Ugo Mattei (Università di Torino, Generazioni Future)
Per adesioni:
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"La guerra dei cafoni"al cinema
Il 27 aprile arriva nelle sale cinematografiche italiane il nuovo film di Davide Barletti e Lorenzo Conte, prodotto da Minimum Fax Media con Rai Cinema , Amedeo Pagani e col contributo della Direzione generale cinema del Ministero dei Beni Culturali e di Apulia Film Commission. In realtà ci sarà un'anteprima per il Bif&st domenica 23 aprile a Bari e delle presentazioni speciali in Salento, visto che il film è stato girato in luoghi meravigliosi del Salento. Il film s'ispira a un bellissimo libro dello scrittore tarantino Carlo D'Amicis ed è ambientato in un villaggio immaginario Torrematta ,che vede contrapposte due fazioni di adolescenti. Da un lato ci sono i cafoni, figli di contadini e pescatori, dall'altro i figli dei signori. Siamo negli anni 70. Ci troviamo senz'altro di fronte a un affresco sociale ambientato in un sud Italia fantastico ed incontaminato, tra mare, spiagge deserte, trulli, case nobiliari abbandonate , boschi incantati. A capo delle fazioni c'è, da un lato il bel Francisco e dall'altro davvero un brutto ceffo, Scaleno. La guerra dura da sempre, ma quell'estate accade qualcosa , arriva CUGGINU , un nuovo alleato dei cafoni e Mela, una cafona che destabilizza il potere di Francisco. Ma proprio su Cugginu ci vorremmo soffermare un attimo, per sottolineare la magistrale interpretazione del giovane ANGELO PIGNATELLI di Gravina in Puglia, che si è cucito addosso il personaggio del cafone Cugginu, come una seconda pelle, rendendolo davvero credibile . Tra gli altri protagonisti ricordiamo i tanti giovani pugliesi, che hanno recitato ciascuno nel proprio dialetto...: tra i cafoni, Donato Patierno(Scaleno), Letizia Pia Cartolaro(Mela), Piero Dionisio, il già citato Angelo Pignatelli, Marco dell'Aglio, Pierpaolo Donno, Nicolò Grassi, Angelo Cucinelli, Leonardo Morello, Gaetano Fiore, Francesco De Taro,Luigi Indiveri. Per i signori: Pasquale Patruno( Francisco), Alice Azzariti( Sabrina), Kevin Magri',Pierluigi Elia, Angelo Corelli, Stefano Pellegrini, Davide Giarletti, Aleksander Di Tano, Pasquale Lepore, Domenico Lacriola, Mariano Barnaba' ed altri ancora. Non manca un piccolo cameo, Claudio Santamaria. Il film è davvero un capolavoro . Facciamo i nostri complimenti a tutti coloro che hanno contribuito a rendere grande questo film.
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Non era solo questione di amnistia, tribunali compiacenti, assoluzioni facili... Lo scenario internazionale stava cambiando, era iniziata la Guerra fredda e molti fascisti, cambiato il colore della camicia, potevano tornare utili. Anche per questo l'epurazione fu stentata e viziata da complicità e compromessi, e la defascistizzazione dello stato rimase incompiuta. Nel complesso, in tutta Italia furono rimossi dal lavoro solo quattrocentoquarantanove dipendenti pubblici. Un esponente di spicco del regime come Guido Leto, ex capo dell'Ovra, fu chiamato a dirigere le scuole di formazione della polizia. Nel 1957 Gaetano Azzariti, ex presidente del famigerato tribunale della razza, divenne presidente della corte costituzionale! Nel 1960, sessantadue prefetti su sessantaquattro provenivano dall'amministrazione fascista, e con loro tutti i duecentoquarantuno viceprefetti, centoventi questori su centotrentacinque e l'intero novero dei centotrentanove vicequestori. Di tutti costoro, soltanto cinque avevano trascorsi nella Resistenza o nell'antifascismo.
Wu Ming 1 & Roberto Santachiara, Point Lenana
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Gaetano Azzariti è stato un giurista e politico italiano, presidente della Commissione sulla razza durante il regime fascista, ministro di Grazia e Giustizia nel primo governo Badoglio e presidente della Corte costituzionale dal 1957 al 1961. Wikipedia
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Perché prendersela con la Digos?
Appena caduto il fascismo, l’Italia mussoliniana si intreccia con quella antifascista. La formazione tecnica della polizia finisce in mano a Guido Leto, ex capo dell’OVRA, i magistrati che avevano inflitto secoli di galera e confino gli oppositori non sono epurati, ci teniamo il codice Rocco, i docenti fascisti, persino gli sciagurati del Manifesto della razza e in attesa di libri repubblicani…
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#Aldo Garosci#Altiero Spinelli#Anfuso#Carlo Rosselli#Carofiglio#codice Rocco#Digos#Enzo Tagliacozzo#Ernesto Rossi#Fausto Nitti#Gaetano Azzariti#Gobetti#Guido Leto#Joice Lussu#Manlio Magini#Marisa Tulli#Massimo Salvadori#No al fascismo#OVRA#Tranchiani
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29 ago 2018 18:30
C’ERA CHI DICEVA NO – MASSIMO BONTEMPELLI FU L’UNICO SU 896 DOCENTI UNIVERSITARI A RIFIUTARE LA CATTEDRA DI UN EBREO ESPULSO PER LE LEGGI RAZZIALI. MARCHIATO DAI FASCISTI COME “IDIOTA E CAROGNA” E POI BOLLATO DALLA SINISTRA COME “VOLTAGABBANA”, FU ELETTO AL SENATO NEL 1948 E BUTTATO FUORI PERCHÉ COMPROMESSO CON IL REGIME. PROPRIO LUI CHE AVEVA AVUTO LA DIGNITÀ DI DIRE NO
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Gian Antonio Stella per il “Corriere della Sera”
E solo Massimo Bontempelli disse no. Ottant' anni dopo, a rileggere la storia infame dei «Provvedimenti per la difesa della razza nella scuola fascista» firmati dal re Vittorio Emanuele III nella tenuta di San Rossore il 5 settembre 1938 («la data della vergogna per la cultura italiana», ha scritto lo storico Giovanni Belardelli) spicca il silenzio assordante degli 895 docenti universitari su 896 che dissero sì.
E accettarono servili e contenti (quando non sgomitarono per contendersi il bottino) quelle cattedre regalate loro grazie alla espulsione dei professori ebrei.
Una pagina nera. Diventata nerissima quando, a guerra finita, i docenti espulsi, costretti all' esilio o scampati ai campi di sterminio, chiesero di riavere il loro posto. E si trovarono davanti a una montagna tale di ostacoli burocratici, accademici e politici (dice tutto il titolo del decreto del 27 maggio 1946: «Riassunzione in ruolo di professori universitari già dispensati (sic!) per motivi politici e razziali») che molti preferirono nauseati lasciar perdere, altri rimasero là dove si erano rifugiati e qualcuno si uccise per il doppio rifiuto.
Come il biologo Tullio Terni, che si tolse la vita con una fiala di cianuro il 25 aprile 1946, primo anniversario della Liberazione. Alla vigilia di quel decreto firmato dal diccì Guido Gonella che, scrivono Francesca Pelini e Ilaria Pavan nel libro La doppia epurazione (il Mulino, 2009), non voleva «turbare gli equilibri dati al momento della fine del conflitto».
Equilibri che chi aveva approfittato della «manna» (così la chiamò Ernesto Rossi) dell' espulsione di tutti quei docenti e di altri 727 studiosi ebrei buttati fuori dalle accademie e dalle istituzioni culturali, ringhiosamente difese, rivolgendosi perfino alla magistratura neo-democratica per non restituire il posto arraffato grazie alle leggi fasciste.
Una vergogna tale, ricorderà Giorgio Israel ne Il fascismo e la razza. La scienza italiana e le politiche razziali del regime (il Mulino, 2010), che dopo decenni era «assai facile trovarsi di fronte a reazioni virulente per aver soltanto osato ricordare i trascorsi razzisti di alcuni maestri di cui ancora oggi gli allievi, o gli allievi degli allievi, coltivavano un' adorazione intatta!».
Basti ricordare, come fece anni fa sul «Corriere della Sera» Paolo Mieli, il matematico Mauro Picone, che in una lettera del 1939 scriveva: «Urge che gli scienziati di razza ariana collaborino il più attivamente possibile per mostrare come la scienza possa egualmente progredire anche senza l' intervento giudaico» e solo sette anni dopo, ricordando il matematico Guido Fubini morto esule nel 1943 a New York, «ebbe la sfrontatezza di scagliarsi contro "gli stolti, infami provvedimenti razziali", da lui a suo tempo applauditi e ora definiti "eterna vergogna"».
«La reintegrazione dei docenti ebrei», ha scritto Pierluigi Battista ricordando l' esempio pisano, «fu registrata con estrema freddezza dalle autorità accademiche che affrontarono la questione con il distaccato stile burocratico di chi doveva risolvere una complicata e molesta incombenza». Una vergogna rimasta a lungo velata, fino ai libri di denuncia come L' università italiana e le leggi antiebraiche di Roberto Finzi (Editori Riuniti, 1997) e altri ancora.
Ecco, in questo impasto di orrori, furbizie, omertà, complicità e ipocrisie che infettarono l' università italiana a cavallo tra il «prima» e il «dopo» le leggi razziali, la guerra perduta e la lotta di Liberazione, Massimo Bontempelli pagò dazio due volte. Prima perché marchiato dai fascisti come «idiota e carogna», poi perché bollato dagli «antifascisti» (compresi certi convertiti dell' ultima ora) come un «voltagabbana» dal passato destrorso.
Nato a Como nel 1878, studente anarchico («fui orgoglioso di portare qua e là pacchi di manifesti sovversivi»), laurea in Filosofia con una tesi sul libero arbitrio e in Lettere con una sull' endecasillabo, docente, poeta, interventista, corrispondente di guerra, collaboratore del Fascio politico futurista di Filippo Tommaso Marinetti, tessera del Partito fascista fatta insieme col suo amico Luigi Pirandello (dirà: «Mai fatto vita di partito; anzi fino al 1948 non ero mai stato iscritto ad alcuno: il fascista non conta, non era un partito, era un' anagrafe»), cominciò a staccarsi dal regime nel 1936, dopo la guerra d' Abissinia.
La prova? «Molti episodi documentatissimi», scriveranno anni dopo vari intellettuali (dal critico Luigi Baldacci al poeta Eugenio Montale, dal musicista Goffredo Petrassi al pittore Renato Guttuso) indignati per una feroce critica a Bontempelli di Mario Picchi, che sull'«Espresso» aveva scritto d' una «miserabile coscienza morale» per poi rincarare: «Artista piccolino, fascista grandicello».
«Bontempelli è stato vittima d' un trattamento disonesto e di un abuso», scriverà Carlo Bo. «Eppure nei famosi vent' anni del periodo fra le due guerre è stato uno degli spiriti più vivi e attenti ai moti della società italiana».
Certo è che diede prova d' aver la schiena dritta almeno in due momenti chiave.
Il primo, dicevamo, quando fu l' unico (unico!) docente a rifiutare il dono di una cattedra «per chiara fama» rapinata a un ebreo, nel suo caso il grande Attilio Momigliano.
Il secondo quando, nel novembre di quel 1938, ricordò Gabriele d' Annunzio, davanti ai gerarchi convenuti a Pescara, denunciando «il nuovo costume intonato al feticismo della violenza». Denuncia che gli costò non solo gli insulti di Achille Starace («Ho tolto la tessera all' accademico Bontempelli perché più idiota e carogna di così si muore»), ma l' ostracismo totale: vietata la ristampa dei suoi libri, vietato chiedergli conferenze Più l' imposizione del domicilio coatto: Venezia.
Ma solo per sopire lo scandalo. «Fu il periodo più bello della sua vita», scriverà Bo nel suo ricordo dopo la morte, definendolo «un prosatore stupendo» e «il più libero e nello stesso tempo più depurato del secolo». «Nel palazzo sul Canal Grande che lo ospitava diventò per la parte più responsabile della cultura italiana un riferimento, un piccolo faro d' indipendenza». Cosa che non gli bastò, anni dopo, a evitare l' umiliazione più grande della sua vita.
Scampato dopo l' 8 settembre 1943 alla condanna a morte decretata contro di lui dai nazisti per un libro del 1919 contro la Germania, sopravvissuto alla guerra, candidato a Siena col Fronte delle sinistre alle elezioni del 1948, Massimo Bontempelli fu eletto al Senato, ma subito trascinato davanti alla Giunta per le elezioni.
Gli rinfacciarono d' aver firmato nel 1935 un pezzo intitolato Milizia santa su un' antologia (Oggi) di letture per le scuole medie contenente, come tutti i libri dell' epoca, parole d' esaltazione per il regime e il Duce. Antologia, tra l' altro, che lo scrittore aveva delegato, secondo il critico Franco Petroni, «a un perseguitato dal fascismo, che aveva bisogno di fare un po' di soldi e non poteva firmare col proprio nome».
Un peccato secondario, rispetto a quelli dei tanti razzisti riciclati come il fisiologo Sabato Visco, che era stato «capo dell' ufficio per gli studi e la propaganda sulla razza del Minculpop», o il giurista Gaetano Azzariti, già a capo del Tribunale della razza (e destinato perfino alla presidenza della Corte costituzionale), o l' ex segretario di redazione della «Difesa della razza» Giorgio Almirante (eletto in quella stessa tornata) e altri ancora.
Eppure fu lui, che Bo definiva «tutto fuor che uno scrittore impegnato e questo perché la sua fantasia non accettava nessun legame con la realtà», ad essere buttato fuori dal Senato come fascista. Il solo che, dopo quelle leggi infami sull' università, aveva avuto il fegato e la dignità di dire no.
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