#Franco Visioli
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pier-carlo-universe · 19 days ago
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"Faust" di Goethe in Prima Nazionale al Teatro Vascello: una rivisitazione di Leonardo Manzan
Dal 10 al 22 dicembre 2024, il Teatro Vascello di Roma ospita una straordinaria prima nazionale
Dal 10 al 22 dicembre 2024, il Teatro Vascello di Roma ospita una straordinaria prima nazionale Il celebre Faust di Johann Wolfgang von Goethe torna a incantare il pubblico, questa volta sotto la regia del talentuoso Leonardo Manzan. L’adattamento promette di essere un viaggio unico e coinvolgente, che esplora il rapporto tra desiderio individuale e responsabilità sociale attraverso una lente…
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persinsala · 5 years ago
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La valle dell’Eden
Di fronte al romanzo fiume di John Steinbeck, East of Eden, e allo spettacolo in 4 atti in scena al Metastasio, firmato Antonio Latella, la recensione non potrà che essere… sintetica.
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senzalinea-blog · 6 years ago
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Venerdì 16 novembre 2018, Teatro Nuovo di Napoli Aminta di Torquato Tasso
Venerdì 16 novembre 2018, Teatro Nuovo di Napoli Aminta di Torquato Tasso
Il rigore del verso cinquecentesco diviene per Antonio Latella uno stimolo creativo per “confrontarsi” con Torquato Tasso, portando in scena al Teatro Nuovo di Napoli, venerdì 16 novembre 2018 alle ore 21.00 (repliche fino a domenica 18) un’inedita versione di Aminta, con la drammaturgia di Linda Dalisi, che vedrà in scena Michelangelo Dalisi, Emanuele Turetta, Matilde Vigna, Giuliana Bianca…
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tempi-dispari · 2 years ago
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Cirano deve morire: spettacolo-concerto tra poesia e rap
Uno spettacolo-concerto tra poesia romantica e rap, in bilico tra musical e dj set, costumi d’epoca e luci strobo per raccontare la storia d’amore e inganno di Cyrano de Bergerac di Leonardo Manzan, Rocco Placidi regia Leonardo Manzan con Paola Giannini, Alessandro Bay Rossi, Giusto Cucchiarini musiche originali di Franco Visioli e Alessandro Levrero eseguite dal vivo da Filippo Lilli fonico Valerio Massi luci Simone De Angelis, Giuseppe Incurvati scene Giuseppe Stellato costumi Graziella Pepe vincitore del Bando Biennale College indetto dalla Biennale Teatro di Venezia 2018. produzione de La Biennale di Venezia nell’ambito del progetto Biennale College Teatro – Registi Under 30 con la direzione artistica di Antonio Latella produzione nuovo allestimento 2022 La Fabbrica dell’Attore – Teatro Vascello, Elledieffe, Fondazione Teatro della Toscana
Durata: 90
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E’ una riscrittura per tre voci del Cyrano de Bergerac di Edmond Rostand. Uno spettacolo concerto con testi e musiche originali dal vivo che trasforma la poesia di fine ‘800 in potenti versi rap. Rime taglienti e ritmo vorticoso affrontano in modo implacabile il tema della finzione attraverso il racconto di uno dei più famosi triangoli d’amore della storia del teatro, due amici e la donna di cui entrambi si innamorano. Cirano deve morire recupera la forza del testo originale attraverso la poetica rap, scelta necessaria non solo per esprimere l’eroismo e la verve polemica del protagonista, ma anche per rendere contemporanea e autentica, quindi fedele a Rostand, la parola d’amore. info 065898031 [email protected][email protected] Teatro Vascello via Giacinto Carini 78 Roma Monteverde
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sguardimora · 6 years ago
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I “Passages” dalla residenza 
Sono stati presentati come un dittico, Oblò e Mind the Gap, i due lavori ideati e diretti da Giuseppe Stellato con la collaborazione performativa di Domenico Riso e la manipolazione sonora di Franco Visioli. 
Sulla scena di Oblò una lavatrice posizionata a centro palco viene sonorizzata attraverso l’installazione di microfoni da Domenico Rico che come un tecnico di scena entra ed esce dal palco. Poi si ferma e guarda l’oggetto che si fa sempre più extra-quotidiano mentre il rumore del lavaggio si fa via via più intenso tanto da sembrare il rumore stesso il motore che fa roteare i panni sporchi visibili attraverso l’oblò. La macchina perde il suo sapore famigliare e si fa quasi aliena fino a trasformarsi in qualcosa di mostruoso. Il performer esce di scena e, non appena il rumore della lavatrice si mischia al vociare di bambini, inizia a dipingere di rosso una barra di plexiglas, prima invisibile, posizionata a bordo palco. Come catapultati davanti a un video di you tube la barra di caricamento avanza mentre la lavatrice continua il suo ormai anonimo giro. Le grida di gioia di bambini immersi nel gioco si trasformano dopo il rumore di spari simil bombardamenti in grida di terrore, poi nel respiro affannato da una folle corsa. Qualcuno sta scappando mentre il rumore del lavaggio cerca di cancellarne le tracce. La barra rossa avanza, il tempo scorre e l’atmosfera si fa sempre più agghiacciante finché la lavatrice sembra prendere vita fino a esplodere.  Chi genera cosa? Chi alimenta chi? E’ l’immagine che vive del suo spettatore o lo spettatore che si nutre di quell’immagine?  Il performer rientra in scena e cerca di sistemare le cose quasi per cancellarne le tracce, tenta di tornare indietro per nascondere quello che è successo o per alimentarsi di nuovo di quella scena. Poi apre l’oblò e tira fuori una maglietta rossa che continua a sgocciolare un liquido rosso sangue e un paio di jeans, entrambi indumenti da bambino. L’immaginario è chiaro, il ricordo riacciuffa subito un immagine che è diventata virale qualche anno fa e la scena si chiude sul suono di quel mare che accoglie un’infinità di corpi che anonimi continuano a disfarsi sotto gli occhi di tutti. E quella barra, sonorizzata dal rumore delle onde riprodotto dal cellulare del performer, si fa subito un mare di sangue. 
Se la prima scena non porta fin da subito in un luogo preciso ma piano piano trascina lo spettatore verso un orizzonte sempre più chiaro fino a spiazzarlo, con Mind the gap lo spazio è subito dichiarato: siamo in una stazione. C’è un distributore di bibite e merendine confezionate mentre la voce di un altoparlante ripete di non oltrepassare la linea gialla. Domenico Rico attraversa il palco e di nuovo come una sorta di servo di scena prende un secchio e con un rullo inizia a disegnare una linea gialla segnando un limite invalicabile tra la macchina e chi le arriva davanti. Poi esce. Il sottofondo rumoroso di una stazione piena di gente entra subito in contrasto con l’immobilità della macchina sulla scena vuota. Ben presto però la staticità è spezzata dal rumore metallico e cigolante del distributore che come impazzito inizia a far fuoriuscire i viveri al suo interno. Il movimento rotatorio dei panni dentro la lavatrice di Oblò si ripete in Mind the gap nel movimento della spirale metallica che contiene gli oggetti nascosti dentro il distributore. E proprio osservando lo spazio vuoto della merce, come il titolo suggerisce traslando il significato reale (che in inglese suggerisce di fare attenzione al vuoto che c’è tra la banchina e la porta del treno), si viene catturati dal movimento rotatorio che getta lo spettatore dentro un nuovo rituale ipnotico dove tempo e spazio sembrano collidere per dar vita a un luogo che piano piano confonde i suoi confini. Al rumore metallico confuso dai suoni della stazione si sovrappongono parole frammentate - come mi racconterà poi il regista è il racconto di vita di un migrante che lui stesso ha intervistato. Dal distributore iniziano a scendere per caduta libera merendine, acqua mista a frutta secca, sabbia, pietre, pomodori, proiettili, un passaporto e tanti altri oggetti che raccontano di viaggi più o meno forzati, più o meno desiderati alla ricerca di un “altrove”. Il performer entra quasi a interrompere la scena e, come un tecnico delle macchine che tenta di sistemare un guasto improvviso, la apre e ne smonta il contenuto. Nel tentare di capire quale sia l’ingranaggio impazzito viene assorbito dalla macchina. Se in Oblò la macchina che genera il ricordo viene come bloccata dall’intervento umano che cerca di ricollocare la scena al suo posto, in Mind the gap al contrario la macchina che viene bloccata è come se si ribellasse al suo manovratore inghiottendolo. E così facendo lo trasforma in merce. 
Nell’interazione tra queste macchine, che apparentemente non hanno niente di straordinario, e il performer, che si muove sulla scena come se fosse guidato-chiamato dal meccanismo stesso che muove le macchine, l’umano sembra perdere un pò della sua coscienza annullandosi in questi oggetti che sono quotidiani. E sembra che sia proprio qui, in questa quotidianità usurata che si nasconda il mostruoso, alimentandosi proprio di quella inconsapevole e cieca fiducia nel mezzo. 
*nella prova aperta #Mind The Gap
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tmnotizie · 6 years ago
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MACERATA – Antonio Latella, regista della scena internazionale e direttore della Biennale di Venezia Teatro, sceglie Macerata per la residenza di allestimento del suo nuovo e atteso spettacolo Aminta di Torquato Tasso che debutta al Teatro Lauro Rossi in prima assoluta l’8 e 9 novembre nell’ambito della stagione promossa da Comune di Macerata e AMAT con MiBAC e Regione Marche e con il sostegno di APM.
Lo spettacolo, presentato in conferenza stampa alla presenza di Antonio Latella, dell’assessore alla Cultura del Comune di Macerata Stefania Monteverde e del direttore dell’Amat Gilberto Santini,  è prodotto da stabilemobile ed è realizzato in collaborazione con AbitiAMO le Marche, un progetto promosso da MiBAC, Consorzio Marche Spettacolo e AMAT con il Comune di Macerata, che intende sostenere la ricostruzione per le comunità colpite dal sisma, attraverso la promozione dello spettacolo dal vivo, nella consapevolezza del ruolo primario che la cultura può svolgere per favorire la coesione, rinnovare l’identità e promuovere la crescita personale.
Negli ultimi anni, le residenze creative hanno rappresentato nelle Marche una delle reali novità delle arti performative: luoghi e tempi dedicati alla ricerca, alla produzione e soprattutto all’incontro con la comunità ospitante.
“La residenza di Antonio Latella rappresenta un progetto che ci coinvolge direttamente e coinvolge Macerata, una città dove si sta bene, dove non solo si consuma cultura ma la si produce. Una città dove c’è un buon pubblico, colto, che partecipa attivamente così come gli studenti che si preparano allo spettacolo Aminta che aspettiamo con gioia”.
Lo spettacolo è accompagnato venerdì 9 novembre – alle ore 18 presso la Biblioteca Mozzi Borgetti di Macerata – da Gente di teatro, incontro pomeridiano con la compagnia per approfondire la conoscenza dialogando con gli attori in scena.
Le suggestioni di Antonio Latella su Aminta di Torquato Tasso, portano a confrontarsi con il grande autore italiano, partendo dalla compresenza in esso di due forze: la spregiudicata ricerca di innovazione linguistica, e la tensione verso un classicismo da reinterpretare. L’ambiente cortigiano, la censura, la lotta tra regola e natura (o tra regole e genio), l’attenzione alle questioni teoriche legate a letteratura e poesia, sono il terreno della crisi della seconda metà del Cinquecento, dove le regole accademiche alzavano un muro intorno alla libertà creativa.
Con Aminta, Tasso partecipò a una importante trasformazione dello spazio teatrale e dell’immaginario sociale del suo tempo. Ebbe uno straordinario successo nazionale e internazionale (60 edizioni in 70 anni e traduzioni in francese, spagnolo e inglese) che ebbe riflessi anche in altre espressioni artistiche come la musica e le arti figurative.
“L’amore esiste se non c’è inganno, di conseguenza AMORE non esiste. Il nostro tentativo – afferma Antonio Latella – è quello di lavorare sull’assenza dell’amore e sulla ricerca di esso, prendendo a prestito la grandezza dei versi di Torquato Tasso. Lavorare su questo piccolo teorema è stimolante soprattutto se per avvicinarsi ad esso si scelgono i versi, la loro spinta evocativa inarrestabile. È il verso che si fa dardo e la parola che si fa esperimento stimolando una trasparenza della regia; vorrei provare ad essere fuori dal gioco, non stabilire regole ma seguire regole che non vengono decise da me ma da chi ha scritto.
Penso a una regia che si affidi all’estetica stilistica della lingua, capace di una vertiginosa verticalità, piena di senso e non di analisi; un nuovo territorio di ricerca. Aminta di Torquato Tasso è un dramma pastorale che racconta le vicende del pastore Aminta e del suo amore per la ninfa Silvia. Il nome greco Amyntas deriva dal verbo greco amynein, “difendere, proteggere”, traducibile con “colui che protegge”; in latino, Amyntor. Proteggere cosa? Proteggersi da chi? Difendersi? Difendere una forza creativa al punto da negarla, negare l’amore perché possa riprodursi in fonte di ispirazione assoluta, lontana dalla storiella dell’innamorato non corrisposto”.
In scena ci sono gli attori Michelangelo Dalisi, Emanuele Turetta, Matilde Vigna, Giuliana Bianca Vigogna, la drammaturgia è di Linda Dalisi, le scene di Giuseppe Stellato, i costumi di Graziella Pepe, musiche e suono di Franco Visioli, luci di Simone De Angelis, movimenti curati da Francesco Manetti.
Lo spettacolo è accompagnato venerdì 9 novembre – alle ore 18 presso la Biblioteca Mozzi Borgetti di Macerata – da Gente di teatro, incontro pomeridiano con la compagnia per approfondire la conoscenza dialogando con gli attori in scena. Informazioni: biglietteria dei Teatri 0733 230735, www.comune.macerata.it , www.amatmarche.net . Inizio spettacolo ore 21.
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SANTA ESTASI Les Atrides de ANTONIO LATELLA
SANTA ESTASI, disons le tout de suite, est tout simplement exceptionnel. Le travail d’une année d’Antonio Latella auprès de jeunes auteurs et des acteurs a porté ses fruits. Le choix des textes d’Eschyle, Euripide et Sophocle disent bien le questionnement du metteur en scène concernant le tragique, la famille et sur la forme de peur que cela engendre. FESTIVAL AVIGNON 2017 – PREMIERE EN FRANCE
SANTA ESTASI : un tragique originel
L’histoire des Atrides est celle d’une lignée maudite dont l’origine du mal est un père – Tantale, fils mortel de Zeus – qui décide de faire manger son fils par les dieux. S’il est personnellement condamné au supplice, sa descendance est aussi irrémédiablement punie. Pendant quatre générations et ce jusqu’au jugement d’Oreste, se succèdent meurtres, parricides, infanticides, viols et incestes… Et chaque nom de cette généalogie pétrie de violence – Iphigénie, Hélène, Agamemnon, Électre… – est devenu sous le génie des Sophocle, Eschyle et Euripide un héros tragique, mythique, classique.
SANTA ESTASI : le projet
Antonio Latella prévient d’emblée : « le projet ne parle pas de moi mais des jeunes auteurs » qui ont réalisé la sélection des textes. Il souhaitait aussi les « mettre face au seul maître que je connais : le travail ». Le metteur en scène a proposé huit de ces histoires à sept jeunes dramaturges de moins de trente ans afin de les revisiter et de les donner à interpréter à une nouvelle génération de comédiens. Au sein de ce qui est devenu Santa Estasi, un spectacle de seize heures réparties sur deux représentations, le metteur en scène italien reconnaît avoir voulu poser deux principes. Une équation intellectuelle : celle de parler de la famille au sein d’une société qui n’offre aucune régulation possible. Doublée d’une réalité qu’il vit avec cette jeune équipe : travailler à la figure paternelle et être dans le concret de la tradition, de l’héritage et de la transmission. Mais Antonio Latella prévient qu’il ne faut absolument pas chercher dans les textes ou les interprétations des lectures psychanalytique : « la psychanalyse n’est pas une référence. Le XX° siècle est terminé, nous sommes au XXI° siècle qui n’est plus psychanalytique. Aujourd’hui, si on regarde un film porno, on ne trahit pas papa et maman ! » Le projet a pour intention de faire comprendre ce qu’est le travail théâtral, créatif : « il faut se retrouver ensemble, auteurs et acteurs, pour faire venir les choses ». Cette partie est importante car elle permet d’intégrer chez les jeunes acteurs le sens de celui-ci : « son talent est au service du projet. C’était l’inverse au XX° siècle où la psychanalyse primait sur tout ». Pour Antonio Latella, il y a deux aspects au théâtre. Le personnage, problème littéraire, qui survit à tout et toujours. Puis il y a nous. On oublie. Mais le texte reste. Cette dualité est un des fondements de son approche.
SANTA ESTASI : la famille, le fils et la transmission
La lecture de ces pièces mythologiques est politique car elles interrogent en profondeur la signification de la famille, cette « communion d’êtres humains » au sein de notre société. Avoir un fils ne signifie pas aimer ce fils. Avoir un fils c’est prendre la responsabilité de l’accompagner a minima au début de sa vie. Quels pères sont Pélops, Thyeste ou encore Agamemnon ? Quels accompagnements proposent-ils à leurs enfants ? Meurtres, viols, abandons, mensonges… Comment les héritiers peuvent-ils se construire sur ces indescriptibles violences ? Comment rompre ces cycles que certains aiment à nommer la fatalité ou le destin ? Ces immenses questions donnent matière en tant qu’homme pour le metteur en scène : « Je me sens une responsabilité : penser à l’avenir, penser à la jeunesse surtout dans un pays comme l’Italie. Il y a de grands metteurs en scène qui ont fait de grandes œuvres mais qui n’ont jamais travaillé qu’à leur seul et propre présent. À mon sens, ils n’ont pas été des pères mais des dictateurs ». Quel est alors le lien, le fil ? Une proposition qui, pour le nouveau directeur du théâtre de la Biennale de Venise, dit « clairement que nous devons nous libérer de la responsabilité de nos aînés pour trouver la nôtre et exister. »
On l’aura compris, le projet est abouti autant dans son contenu que dans la mise-en-scène. Les seize heures du spectacle en deux jours sont sublimées par une équipe de seize jeunes acteurs. Ils portent leurs personnages (chacun jouant plusieurs rôles au fil des huit séquences) sans ajouter leur pathos (bannie la psychanalyse !) ni sur-jouer. Les huits séquences des deux  jours bénéficient chacune d’une mise en scène particulière. Elles portent toutes le sceau d’Antonio Latella, c’est-à-dire une perfection dans la recherche d’une esthétique développée alliant économie de moyens et mise en visibilité du texte. Une réussite et une maîtrise complète d’Antonio Latella. Exceptionnel.
Distribution Adaptation Riccardo Baudino, Martina Folena, Matteo Luoni, Camilla Mattiuzzo, Francesca Merli, Silvia Rigon, Pablo Solari Mise en scène Antonio Latella Dramaturgie Federico Bellini, Linda Dalisi Scénographie et costumes Graziella Pepe Musique Franco Visioli Lumière Tommaso Checcucci Chorégraphie Francesco Manetti Assistanat à la mise en scène Brunella Giolivo Avec Alessandro Bay Rossi, Barbara Chichiarelli, Marta Cortellazzo Wiel, Ludovico Fededegni, Mariasilvia Greco, Christian La Rosa, Leonardo Lidi, Alexis Aliosha Massine, Barbara Mattavelli, Gianpaolo Pasqualino, Federica Rosellini, Andrea Sorrentino, Emanuele Turetta, Isacco Venturini, Ilaria Matilde Vigna, Giuliana Vigogna
Production Production Emilia Romagna Teatro Fondazione (Modène) Avec le soutien de la Fondation Cassa di Risparmio de Modène
Antonio Latella
INTERVIEW D’ANTONIO LATELLA
Antonio Latella est né dans la région de Naples en 1967. Issu d’une famille d’ouvriers exilés à Turin, il quitte le lycée à 17 ans et intègre la formation du Teatro Stabile avant de rejoindre la Bottega Teatrale, école fondée par Vittorio Gassman à Florence. Dès l’âge de 22 ans, il joue pour des metteurs en scène qui comptent dans l’Italie des années 80 comme Pippo Di Marca, Luca Ronconi, Massimo Castri ou encore Tito Piscitelli. À trente ans, il monte son premier spectacle, Agatha de Marguerite Duras. Il ne se consacrera plus alors qu’à ses propres recherches toutes marquées par une exploration minutieuse de l’univers des auteurs sur lesquels il se penche : Jean Genet, Christopher Marlowe, Samuel Beckett… En 2001, il remporte le prix spécial Ubu pour Shakespeare et au-delà, série de relectures de Othello (1999), Macbeth (2000), Roméo et Juliette (2000) et Hamlet (2001). Ses spectacles physiques, presque charnels, s’intéressent tout particulièrement à la famille et revisitent la grande tradition verbale du théâtre italien. Figure incontournable du renouveau théâtral de son pays, il a été récemment nommé à la tête de la Biennale de Théâtre de Venise.
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sguardimora · 6 years ago
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12/07/2017 - 22/07/2017 #Mind the gap
Inizia oggi e prosegue fino al 22 luglio la residenza creativa per la ricerca e la produzione del nuovo spettacolo di Giuseppe Stellato – stabile mobile compagnia Antonio Latella. 
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Mind the gap ideazione e regia Giuseppe Stellato collaboratore e performer Domenico Riso collaborazione alla drammaturgia Linda Dalisi musiche e sound design Franco Visioli luci Simone De Angelis production Brunella Giolivo management Michele Mele produzione stabilemobile in collaborazione con L’arboreto – Teatro Dimora di Mondaino, Olinda – ex Ospedale Psichiatrico Paolo Pini di Milano e l’asilo – Ex Asilo Filangieri di Napoli.
“È vietato oltrepassare la linea gialla” La voce proveniente dall’altoparlante si confonde con i rumori della stazione. Voci, conversazioni, telefonate. A pochi passi dalla linea gialla, un distributore di snack e bibite osserva la gente che passa, ne ascolta i pensieri, ne registra i ricordi, pronto a esaudire dei piccoli desideri in cambio di poche monete. Poi improvvisamente, senza che nessuno lo azioni, inizia a sputare fuori oggetti diversi: una scarpa, un libro, uno spazzolino da denti.. Oggetti smarriti, ricordi di qualcuno che è passato lì davanti, ognuno per un motivo diverso: chi andava al lavoro, chi tornava a casa, chi scappava. Ogni oggetto ci racconta una storia diversa, tanti viaggi diversi, ma che forse hanno tutti un minimo comune denominatore: il tentativo di migliorare la propria esistenza. Compreso il viaggio probabilmente più difficile da affrontare: quello per sopravvivere. Come il precedente Oblò, di cui può essere considerato una sorta di secondo capitolo, anche questo lavoro sonda il limite tra installazione e performance teatrale. Partendo dal rapporto uomo-macchina, lambisce il tema della migrazione e del viaggio, tentando una riflessione sulla percezione che la società contemporanea ha di se stessa e dell’ “altro”.
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