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Ah, L’Amore! Tanto amato e tanto odiato. Ho 16 anni, sinceramente non so cosa significa essere amati, ma so cosa vuol dire amare. Per me l’amore è qualcuno che quando è in giro ti compra qualcosa dicendo “ho pensato a te“. L’Amore è mio padre che nonostante le difficoltà fa di tutto per me e la mia famiglia. L’amore è la lettura un miliardo di storie che ti coinvolgono in una avventura unica e irripetibile. L’amore è guardare le stelle e pensare che ne esiste una per ognuno di noi abbastanza lontana per impedire ai nostri dolori di offuscarla. L’amore sono i protagonisti dei miei libri preferiti, che nonostante tutto trovano sempre un modo per amarsi. Ma soprattutto per me l’amore sono io, che nonostante le delusioni continue non smetto mai di amare, perché dopo tutto continuo ad avere un grande bene per le mie vecchie relazioni. Se dovessi dire cosa rappresenta l’amore senza dubbio risponderei così.
Per esperienza passata posso dire che l’amore è libertà, senza oppressione, ma sempre con un pizzico di gelosia.Non esiste amore,se ti vieta la gioia, la vita e la libertà. Sono dell’idea che l’amore ossessiona, invade la mente e il cuore ; ognuno di noi cerca un amore passionale che ci stravolge l’anima, e senza ossessione a parer mio non si può amare al 100%, mi spiego meglio: Amare significa lasciare la persona per cui proviamo questi sentimenti libera, tuttavia se noi non abbiamo un pizzico di ossessione, questa persona non può invadere ogni cellula del nostro corpo. Amare vuol dire impazzire all’idea di perdere chi amiamo, non dormire la notte dopo un litigio, provare nonostante tutto a risolvere.
Sono dell’idea che ci siano centinaia di modi diversi per amare, ma come disse una mia vecchia conoscenza “Io ti amo, ma non nella mia concezione d’amore”, sarò onesta, questa frase mi ha tormentato le giornate, settimane e settimane a rimuginarci su, però alla fine ho capito che esistono due tipi di persone, chi ama e chi viene amato. Chi ama vive la relazione con passione, con dedizione assoluta e con romanticismo. Chi è amato, si limita ad essere idolatrato. Non dico che amare sia brutto, non fraintendetemi, ma la verità è che si soffre moltissimo.
Non possiamo amare se non siamo pronti a soffrire. L’amore è 50% anche dolore, non scordiamolo mai.
Però sono dell’idea che non ci sia cosa più bella di essere innamorati, con le farfalle nello stomaco e la testa tra le nuvole, ma se vogliamo amare dobbiamo essere pronti anche al lato doloroso dell’amore, cioè la sofferenza che ci porta la perdita della persona amata, perché ci vuole un coraggio immenso per amare ed essere pronti anche all’effetto collaterale.
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I libri della renna
Il regalo di Natale delle biblioteche di Milano consiste, naturalmente, nei nostri consigli di lettura, scelti per offrire al pubblico un’occasione per distrarsi in totale relax.
È ambientata proprio in tempo di feste l’ultima fatica di Valerio Varesi, L’affittacamere, ma è un Natale un po’ cupo per il commissario Soneri, costretto a scavare anche nel proprio doloroso passato per venire a capo dell’omicidio di un’anziana affittacamere dalla vita piuttosto torbida: “La nostalgia è la sublimazione della paura che ci fa il tempo che passa”. Forse Varesi è riuscito a darci, una volta per tutte, la spiegazione della passione per i libri gialli: “La vita, dopotutto, non assomiglia tragicamente a un omicidio? Non si concludeva sempre con un morto? Non ci ammazzava il tempo logorandoci ogni giorno con un piccolo affronto fino al cedimento? E il tempo non ha bisogno di un alibi come non ce l’ha il boia: compie semplicemente il suo mestiere”. Scritto molto bene, sembra di passeggiare insieme al protagonista per le vie nebbiose di Parma, durante le festività natalizie.
Antonio Manzini, nel titolo del suo ultimo libro della serie del vice questore Rocco Schiavone, Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Sud America?, fa il verso al noto film di Ettore Scola con Nino Manfredi e Alberto Sordi, ma l’amico, in questo caso, è misteriosamente scomparso in Sud America e non in Africa. Spassoso e divertente anche durante la trasferta, il coriaceo Rocco sembra ricordare la risposta che Aldo Fabrizi diede ai giornalisti che lo rimproveravano di parlare solo in romanesco: “Sono sicuro che se anche fossi nato altrove parlerei romanesco lo stesso”: è così anche per i nostri eroi, che si trovino a Roma, ad Aosta, a Buenos Aires o in Messico. Buon divertimento!
Anche in La ricreazione è finita, recentissimo romanzo di Dario Ferrari, si respira aria di Natale, ma in questo caso il riferimento cinematografico non è a Scola bensì al Fellini dei Vitelloni, perché il protagonista gigioneggia in quel di Viareggio senza decidersi a dare una svolta, matrimoniale e professionale, alla sua tardo-fanciullesca esperienza personale. Egli riesce però, del tutto inaspettatamente, a vincere un dottorato di ricerca in università e viene incaricato di occuparsi degli scritti del compatriota Tito Sella, morto in carcere dove era stato rinchiuso per il reato di terrorismo. Diversi generi letterari e temi, il romanzo di formazione, il mondo accademico, le suggestioni cinematografiche, storiche e metaletterarie, si intrecciano in questo romanzo davvero accattivante.
Feste decisamente spensierate per chi sceglierà Le imprudenze di Archie di Wodehouse, recentemente ripubblicato da Mursia. Inossidabile humour inglese di ottima lega, del suo stile l’autore diceva: “consiste nel costruire una specie di commedia musicale senza musica, ignorando del tutto la vita reale”. E proprio così, in assoluta leggerezza, vive Archie, il protagonista di questo romanzo che vi lascerà con il sorriso stampato durante tutta la lettura. “Mentre considerava la sua situazione alla fine del primo mese di vita matrimoniale, ad Archie pareva che andasse tutto per il meglio nel migliore di tutti i mondi possibili. … C’erano dei momenti in cui gli sembrava che New York fosse solo stata in attesa del suo arrivo prima di dare ufficialmente inizio ai bagordi”.
Le festività natalizie sono l’occasione giusta anche per affrontare un bel romanzo storico, di quelli “cappa e spada”, soprattutto per chi ha amato I promessi sposi. Il conte Attilio di Claudio Paglieri è infatti il prequel del capolavoro manzoniano e ci offre un punto di vista diverso sulla personalità del famigerato cugino di Don Rodrigo, ma l’ambientazione è sempre la stessa: la nostra grande Milano e le meravigliose sponde del lago di Como.
Ancora in tema con le feste vi proponiamo Un lungo capodanno in noir, in cui dieci autori contemporanei tra i più seguiti ci offrono la loro versione delle feste. Diversi sono anche gli scenari: Roma, Firenze e Milano “con i suoi quartieri e la sua gente; Milano che negli anni Venti ospitava Antonio Gramsci a San Vittore, uno che il Capodanno lo odiava proprio”. Poi un borgo del centro Italia, e infine Barcellona e la Svizzera: un ampio panorama per feste colorate di giallo!
Chiudiamo questa breve rassegna con una garanzia assoluta, ovvero l’ultima raccolta di racconti gialli di Simenon pubblicata da Adelphi: I misteri del Grand-Saint-Georges, anch’essa, in qualche modo, in tema con il Natale perché ambientata nei paesaggi innevati della Lituania. Una tremenda vendetta è l'argomento della prima storia, un “racconto di Natale per grandi” è il sottotitolo della seconda, mentre l’ultima, Il piccolo sarto e il cappellaio, sarà poi sviluppata nel romanzo I fantasmi del cappellaio: basta un semplice pezzettino di carta per suscitare i più atroci sospetti e scatenare la tensione.
Di nuovo auguri di buone feste a tutti i nostri fedelissimi lettori!
#georges simenon#valerio varesi#antonio manzini#ettore scola#dario ferrari#pg wodehouse#claudio paglieri
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Pensieri di https://www.tumblr.com/self-less
Penetrare
e adesso come te lo spiego che significa anche altro!?
Quella storia del dare nomi ad ogni cosa, ad ogni azione, perché non vi sia fraintendimento, non regge. Ti parlo per esperienza esperita: se in una mente s'è formato un pensiero, potrebbe diventare, se non condiviso immediatamente, la chiave di lettura di ciò che arriva dall'esterno, sia esso gradito o meno .. e già le interpretazioni personali sono, di per sé, possibili fraintendimenti.
Detto ciò, è questione di scegliere bene con chi elevare il verbo penetrare a significati più alti di una pura e semplice esperienza sessuale che per profonda che sia ...magari chiamiamo "scopata", e rimane li finché non finisce nei "rifiuti".
Si, magari è un appello ad usare bene la Lingua (rieccoci) non la lingua per baciare ecc, quella italiana, l'idioma nel quale ti esprimi, ma vabbè devo ancora capire che non tutto si può spiegare.
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Ed eccoci di nuovo qui con la rubrica a cadenza mensile e precisamente l'ultimo giorno di ogni mese, curata dalla nostra utente e amica Valentina Pace
Questa rubrica nasce anche e soprattutto da una riflessione che ci accompagna da un po' di tempo: per una "piccola" biblioteca di un piccolo paese non è sempre facile stare al passo con le richieste, i suggerimenti, le necessità degli utenti e non. Per questo motivo, con l'aiuto di Valentina scopriremo nuovi autori e nuove letture, consigli e spunti di riflessione, insieme a curiosità e notizie sui nostri cari libri. E allora, diamo il benvenuto a questo nuovo spazio culturale dove si viaggerà alla scoperta delle case editrici indipendenti: ʟᴇᴛᴛᴜʀᴇɪɴᴅɪᴇ.
La casa editrice di questo mese è: Neri Pozza
Buona lettura a tutti!
OMICIDIO A CAP CANAILLE - CHRISTOPHE GAVAT
“… il comandante sa bene che i delinquenti marsigliesi non hanno nulla da invidiare ai loro colleghi della capitale in materia di criminalità. In quanto a tecniche per uccidere il prossimo il marsigliese, benché provinciale, non manca mai di immaginazione, e tiene a dimostrare al parigino che in questo campo, come su quello da calcio, il migliore è lui. E che non ha paura di dégun – di nessuno.”
Cos’hanno in comune un cadavere carbonizzato trovato nel portabagagli di un’auto abbandonata a Marsiglia: il cosiddetto “barbecue”, un sistema atroce per regolare i conti tra fuorilegge, con una serie di rapine a furgoni portavalori a Parigi?
Il comandante Henri Saint-Donat, da poco trasferito alla Brigata criminale della città provenzale dal 36 quai des Orfèvres, la celeberrima sede della Polizia giudiziaria di Parigi, capisce subito di trovarsi di fronte ad un caso molto complesso.
Henri ha un curriculum di tutto rispetto, è un poliziotto di grande esperienza ed estrema sensibilità; dopo tanti anni di matrimonio è ancora molto innamorato della sua Isabelle, ma è anche un uomo tormentato a causa di una tragedia familiare che lo ha segnato nel profondo e di cui nessuno dei suoi colleghi è a conoscenza.
Negli uffici dell’Eveché, sede della polizia giudiziaria, nel dedalo di strade che attraversa La Cayolle, quartiere labirintico e malfamato di Marsiglia, nei corridoi delle Baumettes, il tetro penitenziario, Henri non è solo. Lo supportano il giovane tenente Basile Urteguy e il capitano Lucie Clert.
Basile è un ragazzo pieno di vita, un appassionato di musica, un genio dell’informatica e, allo stesso tempo, un poliziotto di grande perspicacia: nel corso dell’indagine il suo apporto sarà fondamentale.
Lucie, invece, è una forza della natura: una gran bella donna dal carattere impossibile che ha il brutto vizio di saltare subito alle conclusioni. Sul lavoro è testarda e professionale, ma la sua vita privata è un vero disastro. Chissà che non trovi l’amore proprio nel corso dell’indagine…
“Omicidio a Cap Canaille” è un polar di azione che mostra al lettore le tecniche di investigazione della polizia francese, ma dà anche molto spazio alla vita privata e ai sentimenti dei suoi protagonisti.
I capitoli sono estremamente brevi e il linguaggio è semplice, diretto, crudo nel raccontare l’evolversi dell’inchiesta giudiziaria, ma altrettanto evocativo nelle pagine dedicate alla descrizione dei luoghi e degli stati d’animo, anche quando i sentimenti, le emozioni e il privato dei protagonisti prendono il sopravvento sul dovere professionale.
L’autore, Christophe Gavat, è lui stesso un commissario della polizia francese e, leggendo il romanzo la passione per il suo lavoro, il rispetto e l’ammirazione per i colleghi sono del tutto evidenti.
“È ancora un piedipiatti nell’anima, perché ama quell’atmosfera ovattata e notturna dell’Evêché, dove i passi riecheggiano nei corridoi vuoti, dove solo poche luci negli uffici, qualche grido o un’invettiva qua e là suggeriscono che ci siano ancora dei poliziotti al lavoro. Lavorano sempre. Soprattutto, sa di amare quegli agenti dal carattere forte, che non mancano né di energia, né di abnegazione, né di senso dell’umorismo per svolgere ogni giorno con passione il loro mestiere, tanto da farlo anche di notte.”
COSA MI È PIACIUTO
La lettura di “Omicidio a Cap Canaille” è stata la mia prima esperienza con un polar e ho apprezzato moltissimo la descrizione vivida dei luoghi, l’approfondimento psicologico dei personaggi e l’analisi dei rapporti che si creano tra di loro.
COSA NON MI È PIACIUTO
Il finale prevedibile.
L’AUTORE
Christophe Gavat, nato nel 1966, è entrato in polizia nel 1989. Parigi, Marsiglia, Grenoble, Guyana: nella sua carriera pluritrentennale è stato decorato al valore, messo sotto inchiesta e reintegrato. Ha avuto a che fare sia con i grandi casi che catturano l’attenzione mediatica, sia con i piccoli casi quotidiani che lasciano il segno. Già autore di tre libri sulla sua vita di poliziotto, con questo suo primo romanzo si è aggiudicato nel 2021 il Quai des Orfèvres, premio deciso da 21 giurati tra poliziotti, avvocati, magistrati e giornalisti.
LA CASA EDITRICE
Neri Pozza è una casa editrice veneta rinomata e prestigiosa, fondata nel 1946 dall’omonimo scrittore e ha pubblicato, nel corso degli anni, opere di autori molto famosi della letteratura italiana come Carlo Emilio Gadda, Eugenio Montale, Goffredo Parise, Massimo Bontempelli, Giuseppe Berto ai quali si affiancano oggi nomi internazionali grandiosi quali Romain Gary, Natsuo Kirino, Tracy Chevalier, Eshkol Nevo, Herman Koch.
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es. «Non intendevo offenderti, era un gesto apotropaico!»
Questa parola ci mette in contatto con uno stadio di credenze antico, radicatissimo e infestante, che si è semplicemente avviticchiato alle religioni e ai paradigmi di credenze successivi. Sono credenze che leggono nella nostra esperienza del mondo un continuo dardeggiare di influssi maligni, vere e proprie gragnole scagliate da enti naturali e sovrannaturali che ci portano male e arrivano da ogni parte. Secondo questa chiave di lettura della realtà, ogni bene, ogni fortuna che si manifesta ha una sua fragilità — e questo in effetti è un dato che non si può sconfessare — perciò serve una protezione magica speciale per allontanare, deflettere questi influssi.
Ora, questo modo di pensare non è frutto di una cultura specifica: è praticamente universale. Però culture diverse hanno trovato modi diversi di compiere questi allontanamenti (apotrépo è proprio ‘stornare, allontanare’). Noi, come gesti apotropaici, facciamo le corna, attacchiamo ferri di cavallo, fino a qualche tempo fa sputavamo per scacciare il diavolo, facevamo pernacchie e linguacce — e mostrare la croce non serve solo a tener lontani i vampiri; conosciamo risposte e formule da dire per scongiurare prospettive indesiderabili, o perfino qualche formula di guarigione; abbiamo una certa consuetudine con scope di saggina inchiodate al muro esterno della casa, e con amuleti e talismani a forma di viso, di occhio — minor fortuna hanno invece avuto da noi quelli a forma di fallo, anche se il loro antico nome ha portato il significato il fascino stesso. Ce ne sono poi di meno ovvi, pratiche desuete come il murare nelle pareti delle case scarpe e oggetti con iscrizioni, o dare nomi che tengano lontano il male alludendo a condizioni desiderate, o al loro contrario.
Il termine ‘apotropaico’ ha il potere stupendo di significare questa sterminata galassia di usi contro demoni e malocchi appartenendo a un registro elevato, distaccato. Da prestito dotto novecentesco (non ha cent’anni), riesce a collocare questi usi in una lettura antropologica, a prenderli per quello che sono, da un lato senza involgersi in giudizi sprezzanti, dall’altro coprendo anche la volgarità che a volte li caratterizza — un passo fuori dal loro paradigma. Dire che l’amica, alla nostra previsione, ha fatto un gesto apotropaico, o che l’amico ha sempre pronta qualche formula apotropaica ogni volta che è in ballo un esito incerto, lascia un simpatico spazio di non detto, lasciato all’immaginazione con un esito perfino comico…
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Per dire Calvino (nelle sue cose tipo situazioni famigliari o la vita nella modernità a lá formica argentina) che adoravo al liceo ora mi triggera pianto ogni tre parole
Magari quando la mia di terapia avrà fatto i suoi frutti ci tornerò su
Ma dopo due decenni di prosa la poesia mi servirebbe
Tra parentesi trash io ho rivalutato molto la dance anni 90 che all'epoca probabilmente legavo troppo ai bulli del mio paese
Ora sto scaricando remix di prezioso e Marvin che all'epoca non avrei manco degnato di uno sguardo
L'unica lezione è che una volta esposti alla cultura quella ti segue, e ti serve sempre, tipo il koala e quella roba di cui si assuefanno
Calvino l’ho sviscerato bene per un esame (palomar ❤️) però devo dire che lo trovo molto chirurgico, non mi suscita affatto il pianto.
Secondo me crescendo impariamo a fregarcene e smettiamo di cercare l’approvazione di un singolo e specifico gruppo di individui con gusti fin troppo codificati.
Per me va bene spaziare da taylor swift a Gaga alla disco anni 80’ turca (stendiamo un velo pietoso sul come ci sono arrivata) alla colonna sonora di the greatest showman.
Ps per la lettura datti tempo, non ricordo chi (forse Eco) rivendicava il potere del lettore di saltare pezzi, interi paragrafi o capitoli, perché il libro è suo, e lui è l’artefice della sua esperienza di lettura, non l’autore. Io ho avuto bisogno di staccare per tanto tempo, e ora eccomi qua, che leggo di nuovo serenamente e avidamente.
Ps il mio excursus trash si è preoccupato di guarire il mio inner child: ho comprato i libri di twilight in inglese e chissenefrega se non è cool esporli in soggiorno. Loro stanno là. Gne gne gne.
Poi vabbè ho voluto leggere la saga di torment ma mio Dio che orrore (e intanto me la sono fucilata tutta in 4 giorni). Però oh mi è servito. Ho riso tantissimo e sono stata a spasso in un mondo leggero prevedibile e senza pretese.
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Suggerimenti di lettura
Se volete davvero imparare a scrivere racconti dovete mettervi a leggere gli scrittori che hanno raggiunto l'eccellenza in questo genere letterario. Per quanto riguarda la mia esperienza di lettore, ci sono alcuni Maestri con cui fare obbligatoriamente i conti. Per l'Italia, secondo me, dovete stare su Bocciaccio, Verga, Pirandello, De Amicis, Morovich. Passando dalla Francia, non potete scansare Maupassant. Non dimentichiamo la lingua tedesca: qui l'ineludibile è Kafka. Non potete evitare nemmeno alcuni russi: Gogol, Puskin, Cechov. Per quanto riguarda gli americani, avete solo l'imbarazzo della scelta: Fitzgerald, Yates (Richard, eh), Cheever, Carver. Sicuramente ho dimenticato un sacco di autori. Ho citato giusto quelli che mi sono venuti in mente nell'improvvisare questo brevissimo testo. Ma credo ne abbiate a sufficienza. Almeno per il momento.
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Cosa pensi dei fumetti di fumettibrutti?
È una domanda che ha diverse risposte, ho conosciuto in modo (ovviamente) superficiale Yole perché faceva anche lei l’accademia a Bologna, ci ho scambiato due parole una volta, simpatica, gentile, credo sia una ragazza molto intelligente e con tanto carisma, è risaputo anche, detto innanzitutto dai nostri stessi professori, che il modo di disegnare che ha è stato suggerito da questi ultimi perché lei, non volendo usare un font già scritto, scrivesse talmente male che per matchare con il tratto gli dissero di disegnare “più storto”. Per quanto riguarda le tematiche, credo che abbia un grandissimo potenziale e tantissimo potere mediatico per portare alta la voce delle minoranze di cui fa parte, cosa che secondo me sfrutta poco e minimizza ma non le do nemmeno la colpa, il fatto che sia così famosa parte dal fatto che in Italia la gente non legge fumetti, non ha nessuna competenza di lettura dell’immagine e non ha mezzi di paragone per quanto riguarda l’estetica, non legge e non si informa. Personalmente, i disegni non mi piacciono per niente e nemmeno cosa scrive, ma lei deve vendere, quello è il fatto, si è accaparrata una fetta di pubblico che ha un target preciso e ora deve soddisfare i requisiti che sono imposti da editori come Feltrinelli che a tutto pensano tranne a fare le cose fatte bene, l’editoria in Italia questo è; un cumulo di immondizia, se hai firmato un contratto quello che devi e quello farai. Penso possa fare molto di più? Si. Penso abbia molto di più da dire? Si. Penso lo farà? Si dai, lo credo. La stimo come persone e come lavoratrice del settore perché se dovessi dire che non lavora e che non fa un cazzo direi una puttanata e non sarebbe nemmeno da me, si fa assolutamente il culo per la sua carriera e lo riconosco. Il fatto è che non può girare per anni ancora dietro al concetto di troia li succhiacazzi la, boh, sterile, non mi interessa, non è ciò che voglio leggere, a volte alla gente piace comprare cose che già conosce (perché viste sui social), poco impegnative, facili da comprendere, semplici da guardare, e alla fine va bene così, la maggioranza vince sempre dopotutto ed infatti lei è una donna di successo con ormai tanta esperienza e tante opportunità mentre io sono qua a farmelo in mano quindi la cogliona probabilmente so io
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"Adesso" di Silvia De Angelis: Un'Esplorazione Poetica dell'Attimo Presente
Una riflessione sulla fugacità del momento attraverso versi evocativi
Una riflessione sulla fugacità del momento attraverso versi evocativi Nel suo recente componimento intitolato “Adesso”, pubblicato su Alessandria Today il 24 novembre 2024, la poetessa Silvia De Angelis offre una meditazione profonda sull’importanza dell’istante presente. Analisi del testo La poesia si apre con l’immagine di una “trama d’ingegno” che costruisce un “progetto d’attimo unico e…
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Le Cem Evleri
Le Cem Evleri sono luoghi di culto e di comunità della fede alevita, una delle più grandi minoranze religiose in Turchia.
"Cem" in turco significa "riunione" o "assemblea" quindi letteralmente si traduce come "case delle riunioni" o "case delle assemblee".
In una Cem Evi gli aleviti si riuniscono per praticare il loro culto, che comprende la lettura di poesie sacre, la musica, la danza e le loro pratiche spirituali. Le Cem Evleri servono anche come centri culturali e sociali, promuovendo la solidarietà e l'unità tra i membri della comunità.
Le differenze principali tra le Cem Evleri e le moschee sunnite includono la pratica del culto e le credenze religiose.
Mentre le moschee sunnite seguono la tradizione islamica ortodossa, le Cem Evleri sono caratterizzate da pratiche religiose uniche degli aleviti, che differiscono da quelle del sunnismo. Ad esempio, gli aleviti non praticano le cinque preghiere quotidiane prescritte nell'Islam sunnita, ma si riuniscono per le cerimonie collettive nelle Cem Evleri, qui i partecipanti si dispongono spesso in un cerchio per creare un'atmosfera di comunità e di unità. Questa pratica riflette l'importanza dell'uguaglianza e dell'armonia all'interno della comunità alevita. Inoltre, è importante notare che nelle Cem Evleri non ci sono separazioni tra uomini e donne, e non sono presenti il mirhab e il minbar, caratteristici delle moschee sunnite. Inoltre, le Cem Evleri possono includere dipinti e raffigurazioni che non si trovano nelle moschee. Raffigurazioni come Ali, figura centrale nella spiritualità alevita, e Mevlana Rumi il celebre poeta e mistico sufi.
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Oggi lo dico con orgoglio, sono una Persona Altamente Sensibile.
Una delle cose più importanti avvenute durante il mio percorso di crescita e' stata la scoperta degli studi della Dottoressa Elaine Aron e del tratto della personalità da lei descritto, l'Alta Sensibilità. Venni a conoscenza degli studi della Dottoressa Aron durante una delle mie innumerevoli ricerche personali, svolte online tra semplice Instagram e Google talvolta o PubMed e Nature altre volte. Un periodo molto intenso quello tra Marzo e Maggio 2023, quando ho avuto esperienza di un profondo Insight o presa di coscienza, se detto in termini psicologici, o Awaken e risveglio se invece vogliamo parlare in termini spirituali; magari di questo argomento specifico ne parlerò in un futuro post.
Sulla prima pagina del libro ho annotato il giorno in cui cominciai a leggerlo, 9 Aprile 2023. Proprio con questo libro ho preso l'abitudine di scrivere sulla prima pagina un messaggio che la me del post libro possa leggere. Ora lo faccio con ogni libro di crescita personale che leggo.
Ecco cosa mi scrissi.
In questo giorno di Pasqua entro con un cuore consapevole di aver perso tante cose per poter andare avanti. In questo giorno scelgo di iniziare questa lettura perché so di essere diversa e scelgo di iniziare ad amare questa mia diversità. Scelgo di accudirla, di comprenderla e darle una nuova forma. Cerco di accettare che sia un "superpotere" nelle mani di chi la sa usare. Scelgo di smettere di scappare e rinnegare una parte di me. Scelgo di prendermi la responsabilità di chi sono e imparerò a mostrarmi agli altri. Buon viaggio piccola Gaia. Ci vediamo dall'altra parte. In questo blog ripercorrerò pezzi del mio viaggio con un duplice obiettivo. Il primo è quello di continuare la mia collezione di frammenti, infatti solo vedendomi per intero posso progredire. Secondo e non meno importante, spero che la mia testimonianza possa essere da aiuto per chiunque lì fuori stia cercando delle risposte e si stia chiedendo se sia possibile, se c'è posto per persone come noi, se si può sopravvivere ad un mondo che ci fa sentire costantemente overstimolati e disallineati. Come resto accesa/o? Come resto in vita?
La risposta è sì, c'è posto anche per noi. Anzi per fortuna ci siamo noi. Noi Persone Altamente Sensibili.
#persone altamente sensibili#highly sensitive person#highly sensitive people#mental health matters#healing#consciousness#carl jung#mental health#self care
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Consigli per sostenere un colloquio per posizioni da project manager? Soprattutto per quanto riguarda la parte motivazionale e partendo da nessuna esperienza nel settore?
Non ti saprei rispondere, cioè in queste cose io sono una pippa, o meglio mi viene naturale quindi non saprei spiegare come affrontare un colloquio.
Guarda la mia collega ha fatto colloqui per due nuovi account (project manager chiamali come vuoi). Lei gli ha chiesto delle loro esperienze lavorative e non e dei propri hobby. Ha immediatamente scartato persone timide, persone insicure, persone che rispondono a monosillabi, perché per fare questo lavoro hai a che fare con i clienti e con gli altri reparti. Quindi ci vuole sicurezza, essere estroversi e un po’ paraculi.
Il mio capo mi ha detto che il motivo per cui gli piaccio è perché ci so fare con la gente, perché parlo, coinvolgo, ho quell’intelligenza emotiva che mi permette di capire l’altra persona, oltre alla giusta dose di paraculaggine e stronzaggine (parole sue).
Quindi boh se ti dicono qual è il tuo hobby preferito, non dire che ne so “io leggo” ma intortali “nel mio tempo libero mi piace molto dedicarmi alla lettura, infatti cerco di rimanere costantemente aggiornato sull’editoria e sui premi letterari” cagate del genere.
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PENSARE E' DIVENTATO UN TABU?
Da bambino restavo per ore a guardare nelle lunghe settimane d'estate il pollaio di mio nonno. Le galline beccavano senza sosta il loro mangime sparso a terra. Erano i tempi immortalati da Paolo Conte in Azzurro dove anche all'oratorio non restava "nemmeno un prete per chiaccherare". Ma erano anche quelli di Cochi e Renato che spiegavano in una loro celebre canzone che "la gallina non è un animale intelligente". Il mio sguardo di bambino perlustrava il comportamento delle galline per scoprire le ragioni di questa diagnosi impietosa. Improvvisamente l'illuminazione: sono stupide perché non smettono di mangiare, perché dipendono dalla presenza costante dell'oggetto che deve essere sempre a portata di bocca. Era forse questo il segreto della loro intelligenza ridotta? Le galline non sono animali intelligenti perché non sanno fare esperienza dell'assenza dell'oggetto, del suo ritrasi altrove, non sanno guardare oltre la semplice presenza? Non a caso per Freud è proprio questo passaggio dalla presenza all'assenza che è all'origine dell'attività del pensiero; solo se il bambino fa esperienza dell'assenza dell'oggetto (il seno è il suo prototipo) può accedere all'atrazione simbolica del pensiero. Ma non è forse questa la condizione imposta dall'esistenza del linguaggio? Non è forse l'evento della parola che ci insegna che qualcosa può essere evocato grazie a un segno senza che sia necessaria la sua presenza? Non nasce da qui - da questa sostituzione della presenza con l'assenza -, la straordinaria magia della scrittura e della lettura: fare esistere mondi, renderli presenti nella loro evocazione simbolica, sullo sfondo della loro assenza? Lacan lo teorizava radicalmente in modo hegeliano: il linguaggio uccide la Cosa. La parola "elefante" esiste e rinvia al suo significato senza che sia necessaira la presenza reale dell'elefante.
Il nostro tempo ha reso il pensiero un tabù? Quello che più conta oggi non è tanto il pensare quanto l'agire. Sembra un'evidenza: non è il pensiero a essere la virtù più celebrata quanto l'agire. Ma quando l'azione si stacca dal pensiero - come insegna con abbondanza di esempi la clinica psicoanalitica - tende ad assumere la forma di un passaggio all'atto, ovvero di una scarica all'esterno di quelle tensioni interne che la vita non riesce a tollerare. Non è forse questo un modello che aiuta a comprendere la spirale di violenza che ci circonda? Anzichè elaborare simolicamente i conflitti che attraversano la nostra vita indivudale e collettiva, meglio evacuarli direttamente nella realtà attraverso passaggi all'atto cruenti. La via breve della violenza vorrebbe sostutire la via lunga del pensiero.
Ma perché il pensiero, diversamente dal passaggio all'atto, esige tempo? Esso sorge circondando l'assenza dell'oggetto più che la sua presenza. In questo senso il pensiero è affine al lavoro del lutto così come il passaggio all'atto è affine al suo rigetto. Secondo Bion il bambino accede al pensiero a partire dalla frustrazione legata alla assenza del seno. Di fronte a questo vuoto si aprono due possibilità: una è quella di allucinare l'oggetto assente rendendolo presente, l'altra è quella di sperimentare l'assenza dell'oggetto rendendola generativa di pensiero. Tuttavia c'è, sempre secondo Bion, un'altra condizione essenziale affinché l'esperienza del pensiero si renda possible come alternativa a quella del passaggio all'atto: il pensiero non è autoctono, non si genera da sè, ma si nutre dei pensieri della madre, di come, innanzitutto, la madre "pensa" il suo bambino. Il che significa che la possibilità di rispondere all'assenza frustrante dell'oggetto non dipende da un qualche inattivismo, ma dalla presenza dell'Altro che coi suoi pensieri nutre, feconda, fertilizza il mio stesso pensiero. E' quello che Bion definisce rèverie materna: il pensiero della madre consente la germinazione del pensiero del figlio.
Il pensiero sta diventando oggi davvero un tabù? Viviamo nel tempo dove il passaggio dalla presenza all'assenza che custodisce l'origine del pensiero sembra ostruito. La dipendenza dalla presenza degli oggetti - sopratutto di quelli tecnologici - rafforza l'esigenza della presenza perpetua a scapito di quella dell'assenza. L'accorciamento straodinario delle distanze se per un verso è una grande opportunità per la nostra vita sociale, per un altro contribuisce a evitare l'esperienza, necessaria alla parola e al pensiero dell'assenza. Tutto è permanentemente connesso, accessibilie, potenzialmente sempre presente. Ma se tutto è sempre presente, accessibile, se tutto ciò che esiste è solo tutto ciò che è presente, allora non viene lasciato salcuno spazio alla possibilità della poesia, dell'evocazione dell'assenza, dell'esperienza della distanza che non si colma. In una parola al pensiero. E' una evidenza psicologica diffusa: gli esseri umani fanno sempre più fatica a rinunciare alla presenza dell'oggetto. In un convegno di qualche anno fa discussi animatamente con un celebre psicologo nordamericano che esaltava l'ipotesi, a suo giudizio niente affatto remota, che il nostro setesso corpo fosse destinato nei prossimi decenni a "riempirsi" di protesi tecnologiche in grado di assicurare una connessione perpetua al mondo virutale. Sono quegli oggetti che Lacan non a caso descriveva già alla fine degli anni Settanta del secolo scorso come delle "ventose" destinate a modificare l'assetto del nostro stesso corpo. Si tratta di una nuova "mutazione antropologica" che radicalizza le analisi di Pasolini intorno all'incidenza degli oggetti di consumo sulla vita umana. Non solo l'oggetto finisce per essere sempre più essenziale alla vita ma trasforma la vita stessa in una sua protesi rovesciata.
I Tabù del mondo - Massimo Recalcati
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Ieri ho trascorso una pessima giornata, come non mi capitava da un po’. Ho pianto tutto il giorno, sono tornati i soliti pensieri negativi su di me, le mie scelte, le mie relazioni, il mio futuro. Tutto è partito dal messaggio di una mia compagna di università in cui diceva che il mese prossimo partirà per l’Erasmus. Io mi sono sentita uno schifo perché ho rifiutato la mia borsa, per una serie di motivi che non elenco. Il pensiero mi è andato a quel ragazzo che frequentai l’anno scorso, che mi trattò uno schifo ma da cui tutt’ora sono ossessionata. Lo conosco molto poco, non sono innamorata né nulla. Semplicemente lui rappresenta tutto ciò che io avrei voluto fare e non riesco a fare. A 22 anni ha già un curriculum ricchissimo: laureato con lode alla triennale mentre faceva parte di un’associazione, prendeva lezioni di pianoforte più, ovviamente, esperienza Erasmus. Dopo la triennale si è trasferito a Milano per frequentare una facoltà prestigiosa, e anche qui media altissima, tante esperienze lavorative e ulteriori esperienze all’estero. Aggiungendo il fatto che ne ero molto attratta poiché uno dei pochissimi ragazzi che mi sia piaciuto fisicamente in questi anni. Odio aver avuto a che fare con lui perché ora, per me, rappresenta quell’ideale che io non raggiungerò mai. Mi sento così inferiore rispetto a queste persone, alla loro voglia di fare tanto in pochissimo tempo. Io nella mia vita studio, vado in palestra, cerco di mantenere una certa costanza con la lettura e fino a poco tempo fa ero in terapia (un impegno vero e proprio. Faccio così poco eppure a stento ci riesco. Durante i corsi torno a casa stremata, ma quando finiscono mi rendo conto che il solo studiare e dare esami non mi soddisfa neanche lontanamente. In più ogni tanto ho dei dubbi riguardo alla materia che ho scelto di studiare, gli esami non mi coinvolgono più e mi scoccia vedere gli insegnante chiedere il minimo indispensabile (lo studio dai riassunti) per far passare l’esame. Mi ritrovo con gente che così facendo studia in due settimana quando io ci metto anche un mese per studiare dai manuali e confrontare le varie fonti. E mi dico che alla fin fine potrei spendere quelle energie in altro, ma in cosa? Non mi entusiasma l’idea di far parte di un’associazione. L’esperienza all’estero mi sarebbe piaciuta ma con la meta assegnata ho incontrato troppi problemi e ho preferito rifiutare. Mi chiedo quando troverò l’occasione giusta per cambiare. Il fare la magistrale fuori potrebbe essere un primo passo e sono motivata ad entrare all’università che ho scelto, in fondo anche per questo mi sto dedicando molto allo studio e al conseguimento di certi voti. Però insomma, c’è sempre qualcosa che non va, sempre un senso di incompletezza che mi fa sentire da meno rispetto agli altri, rispetto a chi fa. Per non parlare del confronto fisico, quello mi devasta e mi sto mettendo l’anima in pace perché non lo supererò mai.
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Book Review: Gli amori difficili, Italo Calvino [IT]
This blossoming book review of Italo Calvino's Gli amori difficili (Difficult Loves) — as probably any future works from Italy — will be written in Italian, for the sake of practicing the language. Again, let me know if you'd like to read an English translation!
“Era inutile, nulla eguagliava il sapore di vita che è nei libri.”
Calvino è stato il primo autore che mi ha introdotto alla letteratura italiana. Il primo libro che ho letto in italiano è stato il suo Il castello dei destini incrociati (1969). Dunque, sono entusiasta di ritornaci quasi dieci anni dopo.
Gli amori difficili (1970) non è proprio quello che mi aspettavo. Avevo questa idea di Calvino come uno scrittore del fantastico a causa del mio primo rapporto con lui. Questa raccolta di racconti, invece, è più realistica, ironica e critica rispetto al gioco combinatorio del Castello. Mi sembrava di star leggendo un altro autore, come se stessi scoprendo un’altra versione di Calvino — prova della sua ecletticità. Sebbene sia stata pubblicata dopo, i racconti che compongono questa opera sono stati scritti tutti prima, fra il 1949 e il 1967.
I brevi racconti che compongono la prima parte del libro, chiamata proprio “Gli amori difficili”, si leggono benissimo e hanno una forma scorrevole. Fanno parte del periodo “figurativo” di Calvino e presentano un umore sottile che anche se qualche volta funziona, altre volte non riesce a toccare la superficie della lettura. Questo problema, per me, culmina nell’ultimo e più grande racconto dell’opera, “La nuvola di smog”, che insieme a “La formica argentina” compone la seconda parte del libro, “La vita difficile”.
“Gli amori difficili”, cui titoli cominciano sempre con “L’avventura”, non sono proprio amori ma le difficoltà delle relazioni e delle “avventure” quotidiane: sia un rapporto tattile che non riesce nemmeno ad essere relazione (come vediamo nella banalissima “Aventura di un soldato”); sia il rapporto tra una bagnante e il suo corpo desnudo vicino a una spiaggia affollata; sia la relazione di una coppia che lavora in turni lavorativi opposti; sia la relazione tra un fotografo e i suoi oggetti o addirittura il rapporto casuale tra una bagnante e un lettore che non vuole relazionarsi con niente che non sia il suo libro.
Questi due ultimi racconti sono quelli che mi sono piaciuti di più. In “L’avventura di un fotografo”, Calvino riflette sul fenomeno fotografico (che in quell’epoca si era appena sviluppata per scopi privati) in un modo così familiare per il lettore del XXI secolo, che sembra prevedere il rapporto della società contemporanea con la tecnologia dei telefonini e delle reti sociali. Siamo “quelli che inseguono la vita che sfugge, un cacciatore dell’inafferrabile, come gli scattatori d’istantanee”. È affascinante vedere come, già negli anni 50, “il gusto della foto spontanea naturale colta dal vivo uccide la spontaneità, allontana il presente” e “la vita che vivete per fotografarla è già in partenza commemorazione di se stessa”. In queste citazioni, potete già vedere come questo racconto si legge quasi come un saggio filosofico sull’immagine.
Inoltre, “L’avventura di un lettore” è un esercizio metaletterario poiché ha come tema centrale la lettura stessa: un uomo, leggendo in spiaggia, ha un conflitto interiore su approcciare una bagnante chi dimostra interesse o restare nella sua beatitudine silenziosa. Questo conflitto tra la vita sociale e il nostro mondo interiore è probabilmente una esperienza universale per tutti gli avidi lettori. Impaurito dall’idea di dover interrompere la lettura e “dello sforzo d’attenzione che sempre richiede il far conoscenza anche superficialmente con una persona”, lui decide che “non c’era altra storia, altra attesa possibile oltre a quella che aveva lasciato in sospeso tra le pagine dov’era il segnalibro, e tutto il resto era un intervallo vuoto.”
“L’avventura di una bagnante”, invece, è uno dei racconti che non mi sono piaciuti. Qui, Calvino cerca di riflettere sul rapporto di una donna con il suo proprio corpo, portandoci qualche punti interessanti che tuttavia non esprimono la vera esperienza femminile. Parla anche della relazione tra le donne come se fossero private di “bontà solidale e spontanea”, un’idea un po’ patriarcale e per niente rappresentativa della realtà. L’altro racconto che non mi è piaciuto molto, “La nuvola di smog”, è il più grande della raccolta e appartiene alla seconda parte del libro, “La vita difficile”. Sebbene abbia idee interessanti sulla vita contemporanea nelle città postindustriali, sembra di tentar fare delle osservazioni critiche su troppi argomenti (dall’inquinamento alle rivendicazioni sindacali) eppure lasciandoli incompiuti.
Insomma, questa raccolta di Calvino mi ha generato dei sentimenti contrastanti; pur aver adempiuto le mie necessità linguistiche, non tutti i racconti mi hanno soddisfatto letterariamente.
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