#Dolor materno
Explore tagged Tumblr posts
Text
DÍA DE LOS SANTOS INOCENTES: Un llamado a la Reflexión y a la Acción.
El 28 de diciembre, la Iglesia Católica celebra el Día de los Santos Inocentes , una conmemoración que recuerda la trágica masacre de niños ordenada por el rey Herodes en su intento por eliminar al niño Jesús. Por Luis Alberto Sánchez S. Este evento, narrado en el Evangelio de Mateo, no solo es un recordatorio de la crueldad del poder, sino también una invitación a reflexionar sobre las…
#Día de los santos Inocentes#Derechos de los niños#Dolor materno#Inocentes#Protección infantil#Reflexión sobre la infancia#Un camino de Fe#Un paso al día
0 notes
Text
Antonia Pozzi e la poesia "Maternità": La dolcezza di un sogno infranto. Recensione di Alessandria today
La struggente riflessione sulla maternità di Antonia Pozzi tra desiderio, bontà e redenzione
La struggente riflessione sulla maternità di Antonia Pozzi tra desiderio, bontà e redenzione. La poesia “Maternità” di Antonia Pozzi rappresenta un’intensa riflessione su uno dei desideri più profondi e universali dell’animo umano: il desiderio di trasmettere amore, bontà e speranza a una nuova vita. Scritta nel 1933, questa poesia è un ritratto delicato e commovente dell’idea di maternità,…
#amore e dolore#Amore in Poesia#amore materno poesia#Antonia Pozzi analisi#Antonia Pozzi biografia#Antonia Pozzi vita#desiderio di maternità#desiderio e redenzione#introspezione in poesia#Introspezione poetica#Maternità Antonia Pozzi#maternità desiderata#maternità desiderio#maternità e fede#maternità e religione#maternità impossibile#maternità poesia#poesia anni &039;30#poesia breve#poesia d&039;amore#Poesia Intima#poesia intima italiana#poesia italiana#poesia Maternità Pozzi#poesia novecento italiano#poesia simbolica#poesia sulla bontà#poesia sulla maternità#poetesse italiane#Pozzi maternità
0 notes
Text
Una hija triste
Ella decía que me amaba,
me miraba enardecidamente cada vez que le decía que no era así.
Desde niña, la nostalgia invadía mi corazón,
el dolor de saber que todo siempre sería mi culpa.
Ahora no sé quién o qu�� soy,
he perdido toda esperanza de ser amada como deseo.
Aislada de mi propia familia, el seno materno
suele ser más amargo de lo que podemos imaginar.
Siempre golpeada, siempre humillada, ultrajada,
siempre la burla de un amor sincero.
Pelear por el amor de un hombre
es menos doloroso que pelear por el amor de tu madre.
Ver cómo defiende a tus hermanos como nunca lo hizo contigo,
cómo la mejor comida, las mejores prendas, zapatos, tratos,
todo es para ellos.
Siempre siendo madre con ellos,
pero nunca conmigo.
Siempre siendo madre de todos,
menos la mía.
Supongo que no sientes la soledad tan profunda,
tan sin propósito como cuando ni siquiera tú mismo puedes amarte.
¿Pero cómo amarte?
Si no sabes cómo se siente amar.
Si no sabes cómo es ser amado.
Si no sabes qué es el amor.
Una ex pareja me dijo antes de irse lo valiosa y hermosa persona que era,
pero lo que más me impactó fue que no era una mala hija.
¿Alguna vez alguien me había entendido tanto como para decirme eso?
Me siento sola,
me siento triste.
Cuando era niña no podía describir mis sentimientos más allá de la frase:
"Nadie me quiere."
¿Se imaginan?
20 años sintiéndome sola.
-Mala poesía
79 notes
·
View notes
Text
La Stella
"L'onestà nelle Relazioni"
Questa è una Società destinata a spegnersi. A calare il sipario sulle Ferite del Passato. A destituire il Teatro delle Guerre e dei Conflitti intergenerazionali.
Lo farà con i suoi tempi e con avvenimenti impattanti che porteranno a rivedere la qualità dei rapporti e la sostenibilità delle antiche "battaglie di genere".
Uomini che screditano donne, donne che squalificano uomini.
Possesso, tradimento, prigioni familiari, aspettative deluse, gabbie dell'ego e della violenza, disagio psichico e gesti di efferata violenza e follia.
Una "separazione e una frammentazione" tra Uomo e Donna mai vissute con così tanto dolore e angoscia.
Separarsi è stato fino ad oggi ancora un movimento "altamente evolutivo" su questo Piano di Coscienza.
Staccarci dall'Altro ci riporta a "noi stessi". Ci consente di ripristinare funzioni, talenti, emozioni sedate o inespresse. Di conoscerci sotto altra forma. Di riacquisire "potere svenduto" o "umiliato".
Per entrambi: Uomini e Donne.
La schiavitù di "schema relazionale" non è solo un retaggio del femminile. O una colpa del maschile. E' una dinamica condivisa. E come tale va risolta nell'impegno di tutti. Per costruire nuovi rapporti sani e consapevoli, responsabili e altamente amorevoli.
Non si tratta di "giudicare" l'Altro, di massacrarlo di aspettative, di invettive o di colpe.
E' finito il tempo dei giudizi "morali", dei coltelli lanciati al presunto colpevole o delle rabbiose gabbie dell'infedeltà, dell'abbandono, della violenza domestica.
Una Donna può essere violenta tanto quanto un Uomo nelle Relazioni. E non accorgersene nemmeno. Squalificare l'Altro giorno dopo giorno e nascondersi dietro ai figli o al presunto potere della Maternità.
Un Uomo può essere esautorato passo a passo nel suo ruolo Paterno e sentirsi ricattato nel "restare", senza realmente far parte della famiglia.
Ci sono Uomini che odiano le Donne. E Donne che odiano gli Uomini. E restano comunque in una condizione di convivenza per fini strumentali, economici o di genitorialità condivisa.
Ci sono Donne che si sentono perfettamente autonome e autosufficienti e spingono via il Maschile, annullandone ogni profondo potere dell'Origine.
E ci sono Uomini che boicottano e violentano le Donne perché responsabili di possedere il Dono Generativo e di essere detentrici della Creazione e della Connessione dello Spirito.
E poi ci sono Donne che invalidano qualsiasi tentativo di crescita dei loro figli Maschi, costringendoli a vivere nel Mondo del Ricatto Emotivo, nel Possesso al Ventre Materno, nella Libertà Vigilata, nella Debolezza di Autonomia, per tutta la Vita. Togliendogli ogni possibilità di costruire una distinta identità di Relazione con le Compagne del Futuro.
Le Relazioni non sono giocattoli. E non sono bidoni della spazzatura.
Sono Sacre.
E vanno spogliate dal moralismo, dalla bestialità, dalla violenza del possesso e della compensazione.
Vanno restituiti i ruoli.
Va sanato il conflitto.
Va ripristinata la libertà di ciascun Essere Umano di slegarsi dalle Aspettative di sistema, dalle forme di Umiliazione e Sopruso, dal Disamore che si respira dentro ogni Relazione del Passato.
Non ci si approccia all'Altro con la Ferita che brucia ancora dentro.
Esso diverrà solo l'ennesima comprova della "inutilità" dell'investimento affettivo.
Ci si presenta davanti all'Altro senza Ferite aperte.
Risolti.
Un tempo forse si poteva "strumentalizzare" l'Altro per l'Evoluzione dello Schema, ma oggi non più.
Oggi siamo responsabili coscienti dei nostri "drammi". Non ci serve ricrearli nuovamente nella Materia.
Sarebbe solo per rispondere all'Automatismo.
Ma ha senso?
Chiedetevi se ha senso strumentalizzare l'Altro perché voi non volete ritornare dentro voi stessi, al vostro Dolore e rendervi responsabili delle vostre Ferite interiori.
I bambini attendono le sgridate dei Genitori per fare ciò che devono fare. Ma non gli Adulti.
Essi si prendono carico delle loro Ferite e non le "scaricano" sull'Altro in termini di accusa, di mancanza o di perdita.
Puliamo il nostro Campo dalle "erbacce emotive", prima di bussare al Cuore dell'Altro.
Altrimenti continueremo a mietere "Carnefici e Vittime".
E non cambierà mai nulla nelle nostre Relazioni.
Fatelo ora.
Prendetevi carico di voi stessi.
Non date la Colpa al "disgraziato di turno" se siete dove siete.
Lo avete attirato voi nel vostro Campo Energetico, tramite la Ferita.
E spetta a voi risolvere la "vostra parte".
E' tempo.
E' giunto il grande movimento energetico della "ri-unione".
E non è per tutti. Ma per coloro che si sono fatti carico della loro pulizia "psichica ed emozionale".
L'Altro non deve essere più un oggetto, una sperimentazione fallita, un bambolotto di pezza o la mammella ristoratrice della vostra Gioia o del vostro Dolore.
E' ciò che è.
E se non lo vedete, non potete pretendere di stare bene nelle Relazioni.
Non funziona così.
Ma oggi che possiamo "sapere" e "sentire" come funziona, approfittiamo per presentarci davanti all'Amore con il vestito più bello, con il sorriso più sincero e con la pace nel Cuore.
Risolti.
Nell'onestà. Nella Verità della vostra creazione interiore.
Mirtilla Esmeralda
8 notes
·
View notes
Text
Christina Onassis fue una de las mujeres más ricas del mundo, pero su vida estuvo marcada tanto por una inmensa riqueza como por una profunda tragedia personal. Su herencia era vasta, proveniente tanto del lado materno como del paterno de la familia, cada uno construido sobre la lucrativa industria naviera. A pesar de su poder financiero, su vida personal estuvo llena de desafíos, soledad y desamor.
El abuelo materno de Christina, Stavros Livanos, fue una figura prominente en la industria naviera, habiendo fundado el imperio naviero Livanos. La familia Livanos era una de las más ricas e influyentes de Grecia, asegurando que la madre de Christina, Athina Livanos, estuviera bien posicionada en la sociedad. Por parte de su padre, Aristóteles Onassis fue aún más formidable en el mundo de la navegación global. Conocido por su aguda perspicacia empresarial, Aristóteles construyó la mayor flota naviera de propiedad privada del mundo, acumulando una fortuna que lo convirtió en uno de los hombres más ricos del planeta. Su matrimonio con Athina Livanos unió a dos de las dinastías navieras más poderosas, creando un imperio de riqueza e influencia sin precedentes.
La estabilidad proporcionada por la riqueza de su familia se rompió por una serie de trágicos eventos que comenzaron en 1973. El hermano de Christina, Alexander, murió en un accidente aéreo a la edad de 24 años, una pérdida que devastó a la familia. Esto fue seguido por la muerte repentina de su madre, Athina, en 1974, bajo circunstancias que se creían ampliamente como una sobredosis de drogas. Solo unos meses después, a principios de 1975, Aristóteles Onassis también falleció, dejando a Christina como el último miembro sobreviviente de su familia inmediata.
Christina heredó la mayor parte de la herencia de su madre, estimada en 77 millones de dólares, y tras la muerte de su padre, recibió el 55% de su fortuna, valorada en aproximadamente 500 millones de dólares. El 45% restante se destinó a establecer una fundación en nombre de Alexander, cumpliendo el deseo de Aristóteles de honrar a su hijo.
A pesar de estas tragedias personales, Christina tomó el control del imperio naviero Onassis y demostró ser una empresaria capaz y decidida, gestionando los activos de la familia y expandiendo el negocio, continuando así el legado de su padre. Bajo su liderazgo, el imperio Onassis siguió siendo una fuerza formidable en la industria naviera global.
Sin embargo, las presiones de su vida personal pesaban mucho sobre Christina. La inmensa presión de cumplir con las expectativas de su padre, junto con la soledad y el trauma de perder a su familia, contribuyeron a sus problemas de salud mental. Diagnosticada con depresión clínica, le resultaba difícil formar y mantener relaciones personales.
En su búsqueda de compañía, Christina a menudo formaba relaciones basadas más en su riqueza que en un afecto genuino. Se casó cuatro veces, pero ninguno de estos matrimonios le trajo felicidad duradera. Un aspecto revelador de su soledad era su tendencia a rodearse de personas que dependían financieramente de ella. Luis Basualdo, un socialité a quien Christina pagaba 30,000 dólares al mes para que la acompañara y gestionara sus interacciones sociales, se convirtió en uno de los ejemplos más notables. Basualdo y su novia fueron figuras centrales en la vida de Christina, controlando efectivamente quién tenía acceso a ella, subrayando la profundidad de su soledad y su desesperación por compañía, incluso si eso significaba pagar por ella.
La vida de Christina Onassis, aunque llena de riqueza y privilegio, estuvo marcada por un profundo dolor personal. Murió a la joven edad de 37 años en 1988, supuestamente por edema pulmonar, aunque hubo especulaciones sobre la verdadera causa de su muerte.
9 notes
·
View notes
Text
Morire, cioè nascere
E' inconsolabile, inaccettabile la morte di chi ti è caro, lascia una voragine incolmata. C'è solo un modo di rielaborare il lutto e renderlo lievemente meno disperante. Pensa alla morte come a una gravidanza inversa: chi muore vive per sempre dentro di te, come una gravidanza senza parto che dura una vita, se non di più. Il neonato esce dal grembo materno, il defunto entra nel grembo di chi lo ama, e vi resta per sempre. Vive tramite te, scorre nelle tue vene. A volte scopri in te movenze, posture, atteggiamenti, modi di pensare, parole, che appartenevano a chi hai perduto, perfino cose che criticavi e che ora ti accorgi di ripetere. A volte lo vedi riflesso nelle tracce che ha lasciato, nel paesaggio che fu la sua circumstancia e negli oggetti che gli furono cari. Sapere che lo porti dentro di te non dissipa il dolore e non riempie il vuoto ma allevia, ricuce fili di continuità e lascia intravedere la sua presenza nel cuore dell'assenza. L'hai introiettato e niente potrà sottrartelo. Tutto ciò che ti è caro - del cielo, del mondo, del passato - te lo porti dentro. Vivi una solitudine gremita.
Ti consoli infine pensare che quando sarai tu ad andar via verranno a prenderti per mano i tuoi più cari, come testimoniano le esperienze dei morenti. Non si muore in solitudine ma si torna con loro negli organici dell'universo.
Marcello Veneziani
7 notes
·
View notes
Text
Los hijos Ancla
Si, los padres toman muchas veces desde la concepción a un hijo o hija para anclarlo a ellos y a sus destinos.
A veces mencionan frases como estas, otras veces las traen en el alma:
“ Ésta es para mi vejez”
“ Éste es por si su papá se va”
“ Está es mi felicidad”
“ Éste es para no sentirme sola”
“ Está o este no se va a casar, se quedará conmigo”
“ Esta se hará cargo del negocio de la familia”
“ Todos pueden irse, pero tú no”
“ Si ella está, su papá no nos dejará”
“ Tú me cuidarás en mi enfermedad”
“ Tu estás para ayudarme con tus hermanos cuando yo me muera“
Todas estas frases terroríficas las he escuchado y muchas de ellas las he visto cumplirse.
Hijos que jamás se han ido de la casa de sus padres; deseando hacerlo.
Hijos que creen que tienen que cuidar a sus padres de viejos,
también llamados los hijos “bastón".
Hijos que cargan con el mandato de viajar con sus padres,
de pasar las fiestas con ellos, de tener que hacerlos felices.
Hijos que no se han casado o formalizado con ninguna pareja porque están atados simbólicamente con mamá o con papá.
Hijos que se hacen cargo de sus hermanos por promesas hechas por el alma desde el vientre materno a los padres o en su lecho de muerte.
Revisa si papá o mamá fue un hijo o hija ancla en su sistema.
Quien la detiene, retiene y no pudo avanzar y sanar el impacto
generacional de ello.
¿Que hacer para sanar?
Los padres difícilmente sueltan a los hijos y menos si han creado un proyecto así desde el alma.
Pero si tú en algún momento lo pensaste, lo dijiste porque en ese momento era tu nivel de conciencia mira a tu hijo o hija a los ojos
y dile:
“ Te libero de mi”
“ Te libero de hacerte cargo de mi vejez”
“ Te libero de mi enfermedad”
“ Te libero de mis carencias”
“ Te libero de mis palabras “
Si eres un hijo o hija ancla
Que no avanza en sus proyectos
Que no logra tener pareja
Que vive en casa paterna
(aunque ellos estén muertos )
Si tienes de profesión:
Médico, enfermera, asistente social, trabajo con ancianos. Eres un hijo ancla.
Si no puedes viajar o concretar viajes, eres un hijo(a) ancla.
Si estás en el negocio de tus padres y tienes que dar y repartir a tu mamá o hermanos, eres un hijo ancla.
Si te casaste y tuviste que llevar a vivir contigo a tu mamá; eres un hijo(a) ancla.
Dolores, calambres, entumecimiento de piernas, tobillos y rodillas cada vez que planeas algún proyecto que te aleja de tu mamá o papá; eres un hijo ancla.
No se cumple ningún proyecto de vivir lejos, o en otro país; solo si das dinero para la vejez de tus padres. Eres un hijo ancla.
Para sanar nuestras palabras y miedos hacia nuestras generaciones, debemos tener el permiso como hijos de liberarnos del mandato de nuestros padres sin sentir culpa.
Puedes dar o aportar para su vejez. Pero no son tu responsabilidad.
La libertad de irse es el regalo más grande que podemos dar a nuestras generaciones.
Ningún hijo debe quedarse anclado a nuestro lado. Todo padre o madre sabio planea y tiene una visión para no cargar a ningún hijo
8 notes
·
View notes
Text
Capitolo 2
Tematiche mature: vietato ai minori di 18 anni.
Geta e Caracalla correvano attraverso i lunghi corridoi del loro palazzo. Il loro unico obiettivo in quel momento era salvare la loro amata imperatrice. Non capivano come fosse possibile che si fossero innamorati con solo uno sguardo scambiato con lei. Certo erano anime gemelle, ma non sarebbe dovuto succedere, giusto? Certo, anche a loro due era capitata la stessa cosa, ma non ci avevano fatto caso pensando che fosse perché condividevano tutto fin dal grembo materno. Ma forse era dovuto al loro caso.
Mentre partivano velocemente per raggiungere la sala del ricevimento in onore del generale ordinarono al generale di tornare indietro e di controllare in prima persona ciò che accadeva mentre loro davano ordini a pretoriani.
"Pretoriani, da oggi in poi avrete una terza persona da proteggere! Dovrebbe essere la compagnia di uno di noi due!" ordinò Geta, già pensando a cosa inventare e di chi doveva essere anima gemella.
Fin da quando avevano scoperto che erano anime gemelle, non avevano detto a nessuno che loro due gemelli, non erano solo fratelli, ma anche amanti destinati. Tutti pensavano che il loro rapporto era fraterno, che Geta stava sempre nella stanza del fratello perché era l'unico che riusciva a calmarlo durante una delle sue crisi. Ma non era così. Gli unici momenti in cui era concesso fino a quel momento ad altri di toccarli era durante i banchetti, ma si fermavano solo lì. Non potevano mostrare attacco in pubblico e per questo le notti le passavano molto spesso insonni per recuperare tutto il tempo in cui stavano separati durante la giornata.
"Tranquilla Lucrezia, stiamo arrivando! Quando arriviamo in sala da pranzo tu alza la mano, così ti riconosciamo!" pregò Caracalla tramite il loro legame.
"Non sono in sala da pranzo. Il figlio del senatore Trace mi ha trascinata in una sala qui vicino. Aiutatemi!" imploro Lucrezia, emanando disperazione che li indusse a correre ancora più velocemente e con più disperazione.
"Comandante, dica al generale che sua figlia non è al banchetto! Che tutte le guardie la cerchino! E se vedete il figlio del senatore Trace, rinchiudetelo nelle segrete!" ordinò Geta, provando sempre di più inquietudine.
Erano appena arrivati nei pressi della prima sala adiacente a dove si svolgeva la festa che iniziarono e sentire una sorta di pressione nel basso ventre. Non ci fecero caso, ma se ne pentirono immediatamente.
Un dolore lancinante colpì Geta, che si accasciò tenendosi la pancia. "Fratello" disse con voce soffocata dal dolore "senti anche tu tutto questo!" gemette.
Si preoccupò ancora di più quando sentì due urli, uno dalla sala dove stavano per entrare e l'altro al suo fianco. Girandosi vide Caracalla accasciato e che come lui si reggeva la pancia in preda a un dolore per loro incomprensibile.
Geta iniziò a pensare cosa fosse successo, chi poteva averli attaccati dal momento che erano circondati dalla guardia pretoriana, quando si ricordò cosa era successo quando il generale gli era andato addosso...
"Lucrezia" chiamò con urgenza nella sua mente "cosa sta succedendo?" Nel frattempo si preoccupò ancora di più quando vide il fratello alzare la mano che aveva messo sotto di sè e vederla tutta sporca di sangue, fece la stessa cosa e anche la sua mano era sporca di sangue.
Intorno a loro i pretoriani si stavano impanicando. Non sapevano cosa fare prima: dovevano andare a salvare la ragazza, dovevano portare al sicuro i loro imperatori o dovevano prima di tutto arrestare l'uomo che stava palesemente violentando la figlia del loro generale.
"Sbrigatevi" pianse Lucrezia tramite il loro collegamento "Sta cercando di venire dentro di me!"
Quella fu la frase che distrusse ogni aspettativa di Geta. La stava violentando. Il dolore che stavano provando è quello che provano tutte le donne. Guardò Caracalla e capì che anche lui era arrivato alla stessa conclusione.
Raccolse tutte le forze rimanenti nel suo corpo e ordinò: "Voi sette andate a recuperare la figlia di Acacio nella stanza da cui avete sentito arrivare l'urlo, portatela nella mia stanza e rinchiudete nelle segrete l'uomo che è con lei. Tu vai ad avvisare il generale che sua figlia è stata violentata. Voi otto andrete a chiudere ogni uscita del palazzo: nessuno entrerà o uscirà fino a quando Lucrezia non starà bene. Voi due prendete mio fratello e me e portateci nella mia stanza."
Dopo aver detto quelle parole si accasciò senza più forze, ma si costrinse a non svenire. Lui era il protettore nella loro relazione, doveva rimanere vigile fino a quando tutti i componenti del loro legami non erano tutti al sicuro.
Debolmente girò la testa per guardare il gemello, che gli prese subito con forza la mano cercando di sorridergli. Tramite il loro legame gli disse: "Cerca di riposare Caracalla, tra poco saremo al sicuro! Riposa, tranquillo!" E dopo aver sentito ciò Caracalla aveva chiuso gli occhi ed era apparso come spirito nel loro collegamento mentale.
Finalmente si sentì sollevare dalla guardia pretoriana e girando la testa verso dove giacevano precedentemente lui e suo fratello vide che per terra c'era una pozza di sangue.
Una volta arrivati nella sua stanza, Geta si fece sistemare sul letto e si fece sistemare tra le sue braccia il corpo svenuto del fratello. Quel contatto semplice bastò a far diminuire un po' il dolore che provava, ma non del tutto.
"Tranquillo, fratello. Ti proteggo io, come ho sempre fatto!"
Nel frattempo pregava che tutto sarebbe andato per il meglio. Tramite il collegamento non vedeva ancora l'immagine della loro povera anima gemella e Caracalla sembrava annoiato a morte mentre sedeva nella sala creata dalla loro mente. Aveva un letto così spazioso che ci sarebbero potuti stare loro tre più altre due persone. Una scrivania per leggere o scrivere o nel suo caso continuare a svolgere il loro lavoro. I colori che adornavano le pareti e il soffitto erano: blu, rosso, viola e arancione con dei motivetti dorati e le tende dorate. Lo avevano creato durante una delle volte in cui erano scappati dal padre e si erano nascosti e addormentati. Lo avevano chiamato il loro "Salva-spazio": quando il padre diventava aggressivo loro due si ritiravano e si addormentavano per rifugiarsi in quel posto per allontanarsi dalla vita reale.
Dopo qualche minuto in cui continuava a gemere e a soffrire in silenzio per non preoccupare Caracalla tramite il loro legame, Geta sentì finalmente che la porta della stanza si aprì.
Debolmente e senza staccare la presa da suo fratello, si girò verso la porta per vedere la giovane Lucrezia che giaceva tra le braccia di un pretoriano con gli occhi mezzi socchiusi. Era debole e respirava superficialmente, la veste viola era stropicciata, il peplo arancione strappato. La cosa che lo fece più soffrire era che le poteva leggere negli occhi che si era arresa, che era pronta a qualsiasi cosa le sarebbe successa.
Geta iniziò a spostarsi sul letto quel tanto che bastava per permettere a una seconda persona di inserirsi tra lui e suo fratello e attese che la guardia eseguisse l'ordine tacito che gli diede: mettila qui, deve stare qui.
La guardia la sistemò con cura e se ne andò.
Entrambi rimasero a fissarsi sul letto, probabilmente nessuno dei due capiva molto bene cosa stesse succedendo.
Poi Lucrezia parlò con voce debole: "Imperatore, cosa ci faccio nella vostra stanza? Perché tutto il dolore che ho provato fino ad adesso è diminuito? "
Geta le rispose guardandola che le avrebbe spiegato tutto e di riposarsi perché Caracalla la attendeva nella stanza del legame.
Lucrezia lo guardò sorpresa, annuì e poi chiuse gli occhi.
Geta osservò per un momento il suo volto rilassarsi tra le braccia di Morfeo. Racimolò ogni forza residua e si sollevò per baciare la fronte del fratello e quella della sua anima gemella. Poi, solo a quel punto si concesse di svenire e entrare finalmente nel loro mondo.
~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~
Lucrezia non capiva cosa stesse accadendo, un minuto prima stava parlando con il senatore Trace, la madre e il figlio del senatore e il minuto dopo veniva trascinata proprio da quel ragazzo in una stanza. Come se non bastasse quell'uomo si stava spogliando e aveva iniziato ad imporsi su di lei.
Non aveva la forza necessaria per ribellarsi, così chiese aiuto alle sue due anime gemelle che le promisero di stare arrivando.
Appena poco prima che venisse penetrata con violenza avvertì come un filo che spuntava dalla porta. Vide se stessa distesa su un letto con due uomini su entrambi i lati, ma vide anche la stanza e sulla scrivania c'erano le due corone d'alloro che indossano sempre gli imperatori. E allora capì: le sue anime gemelle erano i due imperatori di Roma.
Non finì il pensiero che il suo violentatore la penetrò con forza dicendole: "Ora nessun uomo ti vorrà! Sarai solo mia, di nessun altro! " Lanciò urla di dolore che si accorse venir doppiate da due voci all'esterno. Erano lì, erano arrivati e stavano soffrendo ciò che stava sopportando lei.
Una delle loro voci la chiamò chiedendole cosa fosse successo, lei piangeva come una pazza.
Sentì la voce dell'Imperatore dare ordini alle guardie, ma nulla di più. Il suo aggressore continuava imperterrito nelle sue deplorevoli azioni.
Proprio quando l'uomo stava per venire, la porta si spalancò e lui venne tirato con violenza fuori da lei, generandole un'emorragia ancora più violenta. Fuori vide le ombre di due uomini che venivano sollevati e portati via dalla guardia pretoriana, il suo aggressore con una spada puntata alla gola fu fatto vestire e condotto via, probabilmente nelle segrete.
Delicatamente un uomo si avvicinò, la prese tra le braccia e uscì dalla sala dove vide per terra una pozza di sangue.
Il tragitto per dove la stavano portando era molto lungo, sentiva di stare perdendo conoscenza, ma non voleva. Dove sapere, doveva capire cosa stava succedendo.
Una volta entrata in una stanza, vide i due imperatori gemelli stesi nel letto. Il più piccolo, l'imperatore Caracalla, già dormiente tra le braccia del più grande, l'Imperatore Geta.
Imperatore che proprio nel momento in cui era entrata si era voltato e l'aveva debolmente guardata. Poi si era spostato per farle spazio tra lui e Caracalla.
Si osservarono per quelle che sembravano ore poi gli chiese cosa ci facesse lì e perché finalmente stava meglio dopo che era entrata in quel letto.
La risposta debole che a stento si sentiva fu:" Tranquilla mia dolce Lucrezia. Ti daremo tutte le risposte che cerchi! Ora però riposati, Caracalla ti aspetta nella nostra stanza del legame! " Lo guardò con attenzione e capì che tutto quello che avrebbe fatto sarebbe stato proteggerli. A lei e a suo fratello. Così annuì e si abbandonò al sonno.
E il suo spirito entrò nella stanza in cui avevano già parlato mentalmente tutte quelle volte. Lì incontrò l'altro gemello, l'imperatore Caracalla che la salutò con un abbraccio. Dopo due minuti di abbraccio ad esso si unì anche Geta che nel frattempo si era addormentato.
A/n
Questa è la prima sorta di tortura che i nostri protagonisti subiranno durante la storia. Anche un'altra tortura che subiranno sarà di questo ambito ordinata da Macrino.
#acacio#emperor caracalla x reader#emperor geta x emperor caracalla#emperor geta x female reader#lucilla#lucilla x acacio#emperor caracalla#emperor geta#geta#geta and caracalla
2 notes
·
View notes
Text
♡ Medic service [ Privado ] • November 25, 2024. • Unknown place.
Después de años de relación, finalmente habían decidido casarse. La planificación de la boda estaba en marcha, y ambos estaban emocionados por comenzar su nueva vida juntos.
Pero, en medio de la emoción y la planificación, Hyland se sintió preocupado, pues Camille comenzó a sentirse mal. Tenía náuseas, dolores de cabeza y se sentía exhausta todo el tiempo por lo que le insistió en que fueran al médico para descubrir qué estaba pasando.
Fue así que juntos fueron al consultorio médico en San Mungo. Hyland no podía evitar sentir una mezcla de emociones: preocupación por la salud de Camille, pero también una pequeña esperanza de que la causa de sus síntomas fuera algo mucho más emocionante.
Mientras esperaban en la sala de espera. —No importa lo que pase, estoy aquí para ti. Siempre, mi amor. —Le susurró en aquella intimidad contra su oído, solo deseando que sus sospechas por los síntomas de ella fueran verdad, a lo que entrelazó sus dedos con los de su chica, y esperaba ciertamente que fuera verdad, se sentía nervioso, y a la vez emocionado, no podía esperar a que el médico hiciera la revisión tal cual, pues habia visto uno de esos aparatos para revisar el vientre materno…
—Señor Óregon, si puede ir a la sala de espera, por favor. —Habia dicho el medimago a lo que Hyland se puso de pie y se retiró de la sala de consulta tras dejar un pequeño beso sobre su cabeza con terneza. —Le llamaré una vez tengamos el resultado. —Habia indicado el médico a lo que Hyland asintió con un por supuesto, y salió de la sala.
2 notes
·
View notes
Text
Me lo ricordo ancora, sai, quando tu mi rincorrevi nel salotto, quando io dipendevo esclusivamente da te, quando aspettavo che le tue mani asciugassero le mie lacrime, quando mi bastava dire “mamma braccio” perché tu mi prendessi in braccio e mi permettessi di guardare il mondo dall'alto dandomi la sensazione di volare.
Mi ricordo anche quando più grande ti ho allontanata da me, quando ho cercato di tenerti fuori dalla mia vita perché una mamma a un certo punto diventa ingombrante, scomoda, rompiballe. Una mamma che vuole sapere con chi esci, a che ora torni, dove vai. Una mamma che il sabato aspetta il tuo rientro. Una mamma che ti chiede come stai, come vanno le cose a scuola, come ti senti, se ti va di parlare.
Con il tempo però, crescendo, ho capito tante cose. Ho incontrato figli che hanno detestato le loro madri. Madri menefreghiste, madri assenti, madri che non chiedevano, madri che non abbracciavano, madri distaccate. E altri che hanno detto “ti odio” a gran voce a madri interessate, preoccupate, presenti.
Insomma una madre, spesso, in un certo periodo della vita, diventa una persona di troppo, qualunque sia il suo modo di ricoprire il ruolo di madre. Troppo presente o troppo assente. Inevitabilmente troppo sbagliata. Una madre diventa il più delle volte un capro espiatorio: le colpe per ogni cosa diventano le sue.
Oggi, che l'adolescenza l'ho superata da un bel po', ho compreso che una mamma, una vera mamma come te, resta nonostante tutto. Non se ne va nonostante i “ti odio”, i“vai via”, i “fatti i fatti tuoi”. Perché una madre sopporta, spera che un giorno il figlio capirà. Capirà che la mamma gli è rimasta accanto, l'ha consolato nei giorni difficili, è stata al suo fianco in silenzio, ha allungato una mano sulla sua, ha assorbito come una spugna il dolore, ha pianto senza farsi vedere, all'improvviso si è messa in un angolo cercando di diventare invisibile.
Una mamma come te lascia andare suo figlio nel mondo degli adulti pur tenendolo sempre ancorato al suo cuore.
È arrivato il momento di dirti grazie mamma, perché ci sei e ci sei sempre stata.
Nessuna madre nasce già madre. Nessuna madre sa come comportarsi per non sbagliare. In tutto questo c'è solo una certezza: l'amore materno che resta, resiste al tempo, alle tempeste, agli uragani. Perché l'amore di una madre, di una vera madre... è per tutta la vita.
Sabrina Ferri
4 notes
·
View notes
Text
"Hay días que dueles tanto...
Mucho más que dolor de parto.
Mis ansias ,mi felicidad...mi amor...
me cegaron al riesgo...al dolor.
Que importaba yo! solo quería verte...
tocarte...tenerte conmigo...
El pecho a veces agrietado...
Que importaba, si mientras tironeabas
por no ser suficiente el alimento materno.
Yo me extasiaba mirándo
tus manitas pequeñitas ...
aferradas a mis pechos!
Y no dolía sabes???o si dolía...
podía más el amor,la bendición de tenerte.
Teníamos tanto que aprender los dos!!!
Yo debia aprender a soltar pasito a pasito...
Tú, tú debías. aprender de la vida...
Yo fui abriendo mis alas poquito a poco...
"porque no eras mío...eras de la vida" ...
Así me lo fui diciendo año tras año...
Y te dejé hacer...aún sabiendo que había riesgos...moría de miedo...
Porque la vida es riesgo y mis alas
no eran suficientes,porque debías
aprender a volar solo y no debía ser tu red.
Pero dueles...dueles tanto...a veces..!
Porque no te conozco...porque te fui perdiendo...porque mi amor...
no te fue suficiente...!
Dueles...dueles tanto hijo mío...!
Porque ya se nos fue el tiempo...
porque ya me hice todas las preguntas...
Porque tire el látigo de las culpas...
Que culpas???!!!solo que el amar ...
a un hijo más que a uno mismo sea culpa???
Porque no hay perdones que pedir...
ni absoluciones que dar...!
Solo hay días como hoy...tristes...
que dueles mucho...mucho...
Así como duele una bala dentro...
incrustada cerca del corazón...
que no se puede estirpar,
porque corremos el riesgo de morir.
Dueles...dueles mucho más...
que el parto de riesgo cuando te tuve...!
Porque ya no hay vuelta...porque
somos dos desconocidos unidos
por un cordón umbilical..."
TAROTCRIST
Marycrist
2 notes
·
View notes
Text
"Mamma" di Rosetta Sacchi: Una Poesia sull’Amore e la Fragilità del Tempo. Recensione di Alessandria today
Un ritratto struggente dell’amore di una figlia per la madre
Un ritratto struggente dell’amore di una figlia per la madre. La poesia Mamma di Rosetta Sacchi è un’opera intensa e delicata che esplora il legame indissolubile tra madre e figlia. Attraverso versi profondi e toccanti, Sacchi cattura l’essenza dell’amore filiale, reso ancora più prezioso dalla consapevolezza del tempo che passa. La madre, ritratta in una bellezza fragile e forte, diventa…
#amore e dolore#amore e fragilità#amore filiale#autrice Rosetta Sacchi.#delicatezza poetica#emozioni delicate#Emozioni profonde#Emozioni universali#empatia poetica#fragilità umana#Introspezione poetica#legame madre figlia#linguaggio poetico#Mamma poesia#maternità e poesia#nostalgia e amore#poesia contemporanea#poesia di Rosetta Sacchi#poesia di sensibilità#poesia dolce e forte#poesia emozionante#poesia italiana#poesia italiana contemporanea#poesia per le madri#poesia sul tempo#poesia sulla maternità#poesia sulla vita#poesia sull’addio#poesia sull’addio materno#poesia sull’amore materno
0 notes
Text
"La crescita è sofferenza, perché legata all’esistenza stessa. Siamo gettati in un mondo di dolore, fin da quando usciamo dal ventre materno. La vita è dolore, per tutti". - Antonio Pennacchi
2 notes
·
View notes
Text
Re di Coppe.
"Il Viaggio dell'Eroe".
Siamo incarnati in un Corpo.
Molti non accettano questo "Stato dell'Essere". Si adoperano per anni e anni, ricercando il modo di "ritornare all'Origine", di neutralizzare i limiti della Materia e riconnettersi al Tutto, di ricongiungersi nuovamente con la sensazione di "pura fusione" che dona l'esperienza dell'Unità Divina.
Nella spasmodica ricerca di snaturare e squalificare la propria esperienza terrena, si dimenticano di loro stessi. Si aggrappano a qualsiasi strumento di dissociazione dalla propria condizione emozionale ed emotiva. Abusano del loro Corpo. E lo strumentalizzano. Come fosse un fantoccio.
E nell'impossibilità di Amare il proprio involucro incarnazionale, nascondono il loro profondo Dolore di non essere stati amati, in un continuo atto di negazione e di impossibilità di ammettere l'evidenza.
Il Cuore lo sa. La Mente non lo accetta.
Lo stato più sacro di "Fusione con il Tutto" è il Ventre Materno.
Nell'esperienza della Simbiosi Materna, avviene il Miracolo dell'Amore. Quello Umano. Ma anche quello dell'Anima che incontra l'Incarnazione. Per la prima volta o per l'ennesima.
E se l'Anima non viene accolta con favore o sincera amorevolezza dal Sentito Materno, l'ingresso nella Percettività Terrestre si rende fin da subito un lungo e penoso calvario.
Se la Madre abbandona la sua funzione affettiva e nutritiva, non necessariamente con Volontà o Intenzione, "i frutti dell'Albero non matureranno mai".
Avranno bisogno di un lungo ricovero, di maggior Luce, di una intensiva cura d'Acqua e di Fertilizzante una volta approdati nel Mondo.
Ma nel Tempo, con Cura e Passione, essi ritorneranno forti e rigogliosi, avranno innestato nel terreno radici forti e resistenti.
Potranno tornare al Padre solo dopo un potente percorso di risanamento interiore e inchinarsi di fronte a lui.
Poiché solo alla risoluzione del "conflitto materno", il figlio del Padre sarà pronto a portare nel Mondo la sua Forza, il suo Coraggio, la sua Indipendenza, l'Amore per se stesso e per le Creature di questo Pianeta.
Il Padre allora potrà benedire la Spada e insignirla di onorificenze.
E' un percorso lungo, accidentato e coraggioso.
E' il viaggio dell'Eroe.
Rinascere si può.
Spezzare le catene del Disamore e risorgere dalle Ceneri delle Ferite Originali, è in nostro potere.
Ma si parte dall'Umano.
Sempre.
Si parte da ciò che neghiamo, da ciò che continuiamo a evitare, da ciò che ci rende vulnerabili e fragili. Da ciò che vediamo come un limite, anziché come la nostra Risorsa più immensa: la Sensibilità.
Se Sento posso trasformare il mio Mondo. Posso espandere la Conoscenza, la Visione, la Connessione, l'Amore.
Se chiudo il Cuore ai Sentimenti e alle Emozioni, se non radico il mio Corpo alla Terra, se "non mi accorgo", se vago per il Mondo come un burattino appeso al filo dell'Assenza e della Negazione, sarò condannato a cercare in maniera spasmodica, per tutta la Vita, ciò che è "già qui" e non si è mai spostato.
Ciò che è dentro, è la Chiave.
Ciò che sentiamo nel profondo, è la Soluzione.
La Fiducia è la Mano Invisibile che muove l'apertura del Cuore alla piena e radicata Connessione con noi stessi.
Non ci sono trucchi, né inganni. Non c'è "illusione" nella Verità di chi siamo veramente. C'è Bellezza, Sapienza e Pura Conoscenza.
Non continuiamo a cercare "fuori" ciò che è già "dentro".
Va solo ripulito e purificato dagli schemi del Passato.
Radicarsi alla Presenza e all'Accettazione dell'Incarnazione è il Dono più amorevole che potete concedere a voi stessi.
E allora tutto improvvisamente cambierà. E fiorirà di nuova Vita.
Mirtilla Esmeralda
2 notes
·
View notes
Text
Sobre desamores y rabia.
Esta es la primera vez que, abiertamente y sin miedo decido escribir algo sobre lo que siento. Siempre he sido halagada por mi destreza para la oralidad y mi capacidad para hablar sobre lo que me molesta, conmueve, arde o desajusta. Pero, como todas nosotras, siempre he creído que es mentira, que la gente que lo dice, lo dice porque me aprecia de alguna forma y que no hay mucho de qué escribir o mucho que decir en mis interiores.
Lo cierto es que, desde hace tiempo, la insistencia por hacer mil cosas al tiempo y auto-explorarme, se ha convertido en una necesidad para mitigar las increíbles efectos de un desamor. Un desamor inacabable, injusto, castrante, desalentador y a lo sumo, atroz. Entre esas mil cosas, escribir, ha sido el ejercicio más difícil pero el más sanador. Tengo muchas cosas que decir con respecto al desamor, su estructura, sus formas tan complejas de habitarnos, desde el género y la clase, que son las dos intersecciones que me atraviesan. Pero este espacio no es para eso, necesariamente. Que si existe alguna conclusión desde la reflexión, digamos, "académica", resulte orgánica y se incorpore a las reflexiones más profundas y que sean más cercanas para quién sea que lea esto. No es mi intención dar cátedra, pero si de algo estoy segura, es que le escritura representa, organiza nuestras ideas, coincide con otras vidas, da forma a las complejidades de nuestros pensamientos y confluye con otras personas que pueden decir: esto es lo que he estado sintiendo.
Para empezar y esto, en definitiva es asunto de clase, no he podido acceder a terapia. Por más que lo planee cada mes en mi presupuesto, siempre resulta una emergencia, un gasto imprevisto, una necesidad a atender. Y queda de nuevo, en espera. Así que, más que sanador, escribir sobre ello es exponer y transitar un dolor que me atraviesa profundamente y que necesita ser llevado a una profesional.
Este desamor del que hablo, es complejo. Estoy transitando hacia mejores formas de relacionarme y para eso necesito vivir el dolor de haber perdido una energía inmensa tratando de ser algo que yo no era. Me duelo a mí misma y me duelo por tantos llantos. Me duelo por las heridas que me ocasioné y las grietas tan profundas que me hice. Y en ese tránsito, me puse a pensar, que sólo hasta el punto de un gran desamor, yo emprendí una búsqueda seria y firme hacia mi interior. Sólo hasta quebrarme completamente, después de procesos tan dolorosos como dejar mi fe e irme a vivir lejos de casa, incluso después de eso, sólo hasta vivir el desamor fue que decidí mirarme profundamente y sin filtros.
Me estremecí mucho más, cuando por el algoritmo de Tiktok, (porque claramente se volvió un algoritmo triste y sólo sonaba "después de tanto amor, tu te vas y me abandonas") sólo me aparecían videos de mujeres hablando del famoso "glow up", todos, después de una ruptura amorosa. Y entonces todos los videos consistían en ellas yendo al gimnasio, a terapia, explorando sus hobbies, mudándose de ciudad, cambiando de amigas o haciendo más cosas y más creativas con sus amigas y dedicando tiempo a asuntos como la contemplación de la naturaleza y la conexión con ella. Y de repente yo me preguntaba, ¿acaso no es esto lo que debimos estar haciendo todo el tiempo, antes, durante y después de una ruptura de este tipo? ¿por qué esperamos hasta que un hombre nos vuelva trizas para encontrarnos con nuestra niña interior?¿no son acaso muchas de nuestras relaciones tortuosas, pero sólo, las amorosas son las que más nos mandan a un consultorio?
Pensaba entonces que yo fui criada para cuidar a otrxs. Que materno desde que tengo 12 años y que mis interacciones con las personas, son, casi siempre desde el cuidado. De la misma forma, fui criada para amar el amor romántico. La primera novela que leí fue "Del amor y otros demonios" de Gabo; y me resultaba fascinante y estremecedor que el amor nos sucumbiera en esos abismos tan dramáticos. Escuchaba mucho que debía vestirme y existir para que me miraran los chicos, performar todos esos estereotipos que ya todas conocemos. La centralidad hacia el amor y hacia la devoción por los hombres era cotidiana y es muy extraño porque mis cuidadoras fueron sólo mujeres. Sin embargo, bien sabemos, que el patriarcado no necesita de los hombres para ensancharse en la vida de todo el mundo. Sé que esto no me pasó sólo a mí. Que la mayoría de las mujeres que lean esto, sabrán de qué hablo. Todo estaba plagado del amor romántico, todo tenía que ver con darse, todo tenía que asumirse desde la negación de los deseos propios y cederse.
Después de todo esto que rastreé en mi interior, me invadió una profunda culpa. ¿Cómo me permití vivir esto? ¿Cómo le permití a otro hacerme esto? ¿cómo, yo, tan antipatriarcal y disruptiva, tan dueña de mí misma, tan independiente, tan capaz de hablar de lo que me atraviesa, accedí a cederme? No puedo mentir, me culpo todo el tiempo; me cuestiono y me fatigo enormemente con la pregunta: ¿por qué me permití estos dolores?
Pero, creo que ya no puede caber sólo la culpa. Si bien, creo que había asuntos que pude revertir, hay estructuras victimizantes que nos empujan a ciertos destinos. Hay embrollos, cómo ser criadas para ser consumidas, que nos implican ejercicios de reflexión tan fuertes, que muchas de nosotras no logramos terminar jamás. Unas porque no saben y otras, cómo yo, que son acompañadas de una profunda orfandad. Porque ser cuidadoras es una eterna soledad. Nadie cuida a los que cuidan. Y en esa fragilidad, permitimos atrocidades que, alguien con más herramientas, jamás toleraría. Me enoja absurdamente no haber hecho más por mí, pero me enoja más, que sigamos criando niñas para el consumo de los varones y del sistema. Que les sigamos diciendo a los escasos 4 o 5 años que si ya tienen novio, que cuidado con el niño de al frente; que les sigamos regalando bebés y cocinitas. Me enoja porque cuando tengan mi edad, hablarán con sus amigas del hombre que les rompió el corazón y cómo eso puede paralizar su proyecto de vida. Así como lo hace con miles de mujeres.
Me enoja que ahora mi sanación sea prioritariamente enfocada en las heridas que me dejó un hombre, teniendo otras igual de dolorosas causadas por mi familia o por amigxs. Y es prioritario porque es lo que más me paraliza por las mañanas. Es la herida que más supura, la más abierta, la más profunda. Las demás siguen ahí, pero de alguna forma, sé cómo convivir con ellas sin que me hagan retirar de una reunión porque me falta la respiración o que me lleven tres días a la cama.
Pero si algo he aprendido de Andrea Sañudo, es que la rabia es una disciplina. Se encauza y se gestiona para resistir y resignificar los dolores. Sí, la centralidad es sanar este desamor, no me voy a seguir culpando porque un hombre me esté mandando a terapia, por más antipatriarcal que yo sea, porque no tuve herramientas suficientes para evitar ser dañada y si así lo fuese, no creo tener que estar escribiendo esto para hacer catarsis. No puedo seguir culpándome por el dolor que me habita. Lo que puedo hacer ahora, es reconocerlo, desentrañarlo y transitarlo desde todas las orillas posibles, para que, algún día, ya me deje levantarme de la cama sin sentir que me ahogo. Y mientras tanto, enseñarle a mis hermanas, que el amor es amplio, está en todas partes, es una fuerza abrumadora que cobija nuestros miedos y nos hace sentir seguras. Que hay amor en cada esquina, que se ve y se siente en la cotidianidad y que negarse a sí mismas, es el verdadero pecado capital.
Con amor y mucha, mucha rabia,
Cami.
11 notes
·
View notes
Text
Chiedo perdono, ma a vent’anni con le scarpe da tennis nuove e l’arroganza di chi sa che in quel punto esatto non passerà mai più, ho sognato anch’io un figlio maschio. Nel sogno era scuro di capelli e lo davo alla luce faticosamente, ché a vent’anni i drammi sono tutti desiderabili, il dolore è un belletto vitale che regala fascino, e le lacrime lo spalmano sulle guance rendendoti fatale come una Turandot.
Nella mia testa quel parto scenografico è avvenuto mille volte, e la sofferenza era una forma di eleganza, la sfumatura più elevata di una maternità verace.
Non c’era un uomo a far da padre, non ne serve uno per partorire con dolore.
Nel mondo in frantumi dei miei vent’anni, l’unico padre pronunciabile era il Padre Nostro, pregato con la fiducia incosciente di chi ancora non si è sentito chiedere niente da sacrificare.
Nel mondo in frantumi dei miei vent’anni, io credevo di essere nata con una sola cosa intera per le mani: l’istinto materno, la vocazione all’essere ventre, come le brocche d’olio in magazzino.
Nel mondo in frantumi dei miei vent’anni, non dovevo cercare alcun perché all’esistere, mi sarebbe bastato trovare un per chi. Sposa di qualcuno, madre di chiunque, io non sapevo cosa fosse la vocazione ad essere me.
Ma quando i vent’anni passano, un figlio smette di essere materiale da sogno, e diventa un atto sovversivo. Dopo i trent’anni siamo tutti dei sopravvissuti, e i figli dei sopravvissuti sono gravidanze a rischio anche quando non li fai, anche quando li pensi e basta, perché non c’è pensiero che possa ancora dirsi innocente. Quando si comprende che orizzonte è solo un altro nome per chiamare il limite, ogni possibilità diventa rischiosa tensione all’utopia.
A quello stadio, se ancora figlio deve essere, non può più essere maschio.
Sarà femmina, e non avrà occhi facili. Vorrà sapere.
Seduta sulle mie ginocchia, mi chiederà chi è e chi siamo, e le mie risposte non uccideranno le sue domande. Perché non le venga la malattia dei figli unici, credersi la sola misura di se stessi, partorirò per lei i ricordi del futuro e le profezie del passato, in un tempo senza scarti, dove poter già essere quel che saremo. Mia figlia diventerà ricordo prima di essere progetto, e accoglierà il presente come fosse un seme ricevuto.
Non si addormenterà con i cartoni animati, no. Io le canterò una ninna nanna per stare sveglia, una ninna nanna per non chiudere gli occhi, perché abbiamo già dormito tanto e troppo, mentre altri plasmavano i nostri sogni in incubi di realtà.
Michela Murgia
2 notes
·
View notes