#Carabinieri in borghese
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Fermati dai Carabinieri due "Pendolari del Crimine": Sventate Truffe agli Anziani a Pietra Marazzi e Masio
Grazie a una rapida operazione di intervento, i Carabinieri arrestano due truffatori in flagranza di reato, recuperando gioielli per un valore di 60mila euro
Grazie a una rapida operazione di intervento, i Carabinieri arrestano due truffatori in flagranza di reato, recuperando gioielli per un valore di 60mila euro. Un’operazione rapida ed efficace ha permesso ai Carabinieri di fermare due “pendolari del crimine” provenienti dal napoletano, arrestati in flagranza di reato mentre tentavano di truffare anziani nei comuni di Pietra Marazzi e Masio, in…
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Ogni volta che la politica manda a effetto una operazione contro la classe operaia, i primi a gioirne o, “meglio”, i primi a dare manifestazioni esteriori della loro contentezza non sono i “pezzi grossi”, commissari di polizia od ufficiali delle regie guardie o dei carabinieri, ma sono i più umili agenti, i più modesti carabinieri, l’ultima delle guardie regie. Sono cioè gli agenti del governo usciti dalle file del proletariato più arretrato, costretti a questo passo dalla miseria o dalla speranza di trovare, abbandonando il campo o l’officina, una vita migliore, dalla persuasione di divenire qualche cosa di più di un povero contadino relegato in un paesetto sperduto fra i monti, di un manovale abbruttito dal quotidiano lavoro d’officina. Questa gente odia, dopo averne disertato le file, la classe lavoratrice con un accanimento che supera ogni immaginazione. “Ecco le armi”, urlò trionfante non so se un agente investigativo od un carabiniere in borghese, scoprendo una rivoltella durante la perquisizione all’ “Ordine Nuovo”. E rimase stupito, spiacente che nonostante tutta la buona volontà non si riusciva a trovare nulla di compromettente per il nostro giornale. all’ “Ordine Nuovo”. E rimase stupito, spiacente che nonostante tutta la buona volontà non si riusciva a trovare nulla di compromettente per il nostro giornale. all’ “Ordine Nuovo”. E rimase stupito, spiacente che nonostante tutta la buona volontà non si riusciva a trovare nulla di compromettente per il nostro giornale. Pochi minuti dopo, un altro agente udendo uno scambio di parole tra il commissario ed un nostro redattore, esclamò: : “Finiremo per arrestarli tutti! Li arresteremo tutti!” A questo pensiero la sua bocca si aprì ad un riso tanto cattivo da sbalordire chiunque non sia abituato a questo genere di fratellanza umana. Ho compreso allora perché nelle caserme e nei posti di polizia, carabinieri, guardie regie ed agenti gareggino nel bastonare gli operai arrestati, nel rallegrarsi delle loro torture. E’ un odio di lunga data. Gli agenti dello Stato addetti al mantenimento dell’ordine pubblico sentono attorno a sé il disprezzo che tutta la classe lavoratrice ha per i rinnegati, per quelli che sono passati nell’altro campo, per i mercenari che impegnano ogni loro energia per soffocare qualsiasi movimento del proletariato. E al disprezzo del proletariato s’aggiunge quello di gran parte della borghesia che guarda con occhio diffidente tutta rinnegati questa puzza di questura. Perché? Perché questa è la sorte di tutti i mercenari: al disprezzo e all’odio degli avversari s’aggiunge quasi sempre il disprezzo dei padroni. Ed è naturale, è umano che nell’animo di questa gente mal pagata, che non sempre riesce a procurarsi quanto occorre per una vita piena di stenti e di privazioni e che si sente circondata da una barriera che la divide dagli altri uomini, che la mette quasi fuori dalla società, germogli l’odio, metta radici la crudeltà: odio contro quelli che prima erano i fratelli, i compagni di lavoro e che ora disprezzano con maggior forza, crudeltà che si esplica contro di essi sotto mille forme diverse. Così, arrestare un operaio è una gioia, un trionfo, bastonarlo e malmenarlo, una festa, rinchiuderlo in carcere una rivincita. Solo nel momento in cui essi tengono un uomo fra le mani e sanno di poter disporre della sua libertà, della sua incolumità, sentono di possedere una forza che in qualche momento della vita li rende superiori ai loro simili. La gioia di acciuffare un uomo non proviene dalla consapevolezza di servire la legge, di difendere l’integrità dello Stato: è una piccola bassa soddisfazione personale, è la gioia di poter dire: “Io sono più forte”. Quale altra gioia possono essi provare? Quanti di essi sono in grado di formarsi una famiglia senza che la vita di stenti diventi vita di patimenti? Non è forse vero che a molti di questi transfughi del proletariato la vita non riserva altre soddisfazioni che qualche umile offerta di una passeggiatrice notturna in cerca di protezione?
Noi li abbiamo visti pochi giorni or sono nella nostra redazione. Moltissimi, dall’abito, potevano benissimo essere scambiati per operai in miseria. E’ certo che erano umilmente, più che umilmente vestiti non solo per introdursi tra gli operai, per raccoglierne i discorsi, per spiarli, ma anche perché non potrebbero fare diversamente. E guardavano con gli operai veri, quelli che si dibattono tra la reazione e la fame e cercano affannosamente la via della liberazione. Essi comprendevano, sentivano che chi lotta è sempre superiore a chi serve. E quando hanno ammanettato i giovani che difendevano il giornale del loro partito il giornale della loro classe, il loro giornale, gli agenti hanno avuto un lampo di trionfo, hanno riso. Ma non era un riso spontaneo, giocondo. Era un riso a cui erano costretti dalla rabbia, dal disprezzo degli altri, dalla loro vita, dal destino a cui non potevano sottrarsi. Quel riso era la smorfia di Gwynplaine.
(A.Gramsci “L’Ordine Nuovo”, 30 agosto 1921)
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Napoli: Tenta di rubare il portafogli ad anziana signora, arrestato 57enne Il fenomeno del pickpocketing è una delle piaghe sociali delle metropoli e i carabinieri del comando provinciale di Napoli lo sanno bene. Sono diversi i servizi anti borseggio in più punti della città. Carabinieri che in borghese si mimetizzano tra i passanti osservando attentamente ogni movimento sospetti.... Leggi articolo completo su La Milano Read the full article
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Sbirri
Antonio Gramsci
Ogni volta che la politica manda a effetto una operazione contro la classe operaia, i primi a gioirne o, “meglio”, i primi a dare manifestazioni esteriori della loro contentezza non sono i “pezzi grossi”, commissari di polizia od ufficiali delle regie guardie o dei carabinieri, ma sono i più umili agenti, i più modesti carabinieri, l’ultima delle guardie regie.
Sono cioè gli agenti del governo usciti dalle file del proletariato più arretrato, costretti a questo passo dalla miseria o dalla speranza di trovare, abbandonando il campo o l’officina, una vita migliore, dalla persuasione di divenire qualche cosa di più di un povero contadino relegato in un paesetto sperduto fra i monti, di un manovale abbruttito dal quotidiano lavoro d’officina.
Questa gente odia, dopo averne disertato le file, la classe lavoratrice con un accanimento che supera ogni immaginazione. “Ecco le armi”, urlò trionfante non so se un agente investigativo od un carabiniere in borghese, scoprendo una rivoltella durante la perquisizione all’ “Ordine Nuovo”. E rimase stupito, spiacente che nonostante tutta la buona volontà non si riusciva a trovare nulla di compromettente per il nostro giornale. Pochi minuti dopo, un altro agente udendo uno scambio di parole tra il commissario ed un nostro redattore, esclamò: : “Finiremo per arrestarli tutti! Li arresteremo tutti!” A questo pensiero la sua bocca si aprì ad un riso tanto cattivo da sbalordire chiunque non sia abituato a questo genere di fratellanza umana. Ho compreso allora perché nelle caserme e nei posti di polizia, carabinieri, rinnegati, per quelli che sono passati nell’altro campo, per i mercenari che impegnano ogni loro energia per soffocare qualsiasi movimento del proletariato. E al disprezzo del proletariato s’aggiunge quello di gran parte della borghesia che guarda con occhio diffidente questa puzza di questura. Perché? Perché questa è la sorte di tutti i mercenari: al disprezzo e all’odio degli avversari s’aggiunge quasi sempre il disprezzo dei padroni. Ed è naturale, è umano che nell’animo di questa gente mal pagata, che non sempre riesce a procurarsi quanto occorre per una vita piena di stenti e di privazioni e che si sente circondata da una barriera che la divide dagli altri uomini, che la mette quasi fuori dalla società, germogli l’odio, metta radici la crudeltà: odio contro quelli che prima erano i fratelli, i compagni di lavoro e che ora disprezzano con maggior forza, crudeltà che si esplica contro di essi sotto mille forme diverse. Così, arrestare un operaio è una gioia, un trionfo, bastonarlo e malmenarlo, una festa, rinchiuderlo in carcere una rivincita. Solo nel momento in cui essi tengono un uomo fra le mani e sanno di poter disporre della sua libertà, della sua incolumità, sentono di possedere una forza che in qualche momento della vita li rende superiori ai loro simili. La gioia di acciuffare un uomo non proviene dalla consapevolezza di servire la legge, di difendere l’integrità dello Stato: è una piccola bassa soddisfazione personale, è la gioia di poter dire: “Io sono più forte”. Quale altra gioia possono essi provare? Quanti di essi sono in grado di formarsi una famiglia senza che la vita di stenti diventi vita di patimenti? Non è forse vero che a molti di questi transfughi del proletariato la vita non riserva altre soddisfazioni che qualche umile offerta di una passeggiatrice notturna in cerca di protezione? Noi li abbiamo visti pochi giorni or sono nella nostra redazione. Moltissimi, dall’abito, potevano benissimo essere scambiati per operai in miseria. E’ certo che erano umilmente, più che umilmente vestiti non solo per introdursi tra gli operai, per raccoglierne i discorsi, per spiarli, ma anche perché non potrebbero fare diversamente. E guardavano con gli operai veri, quelli che si dibattono tra la reazione e la fame e cercano affannosamente la via della liberazione. Essi comprendevano, sentivano che chi lotta è sempre superiore a chi serve. E quando hanno ammanettato i giovani che difendevano il giornale del loro partito il giornale della loro classe, il loro giornale, gli agenti hanno avuto un lampo di trionfo, hanno riso. Ma non era un riso spontaneo, giocondo. Era un riso a cui erano costretti dalla rabbia, dal disprezzo degli altri, dalla loro vita, dal destino a cui non potevano sottrarsi. Quel riso era la smorfia di Gwynplaine.
(A.Gramsci “L’Ordine Nuovo”, 30 agosto 1921)
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Conclusa la stagione estiva, il bilancio dell’attività dei Carabinieri nel nord Sardegna
Sassari. Nel corso della stagione estiva appena trascorsa i Carabinieri del Comando Provinciale di Sassari hanno attuato un mirato piano di controlli, integrato anche da appositi pattugliamenti in borghese, con focus su criminalità e sicurezza stradale. L’obiettivo dell’azione di prevenzione e repressione è stato duplice: da un lato, contrastare la criminalità predatoria; dall’altro, garantire un…
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Si dava notizia della decisione del Consiglio di Sicurezza dell'Onu di rinviare di tre settimane il dibattito su Trieste
La mattina del 3 novembre 1953, in una Trieste in cui la tensione aveva raggiunto livelli mai visti prima, i giornali pubblicavano notizie allarmanti: l’agenzia jugoslava “Tanjug” parlava di carabinieri in borghese entrati clandestinamente in città dopo l’8 ottobre per provocare, e lo stesso faceva il “Primorski Dnevnik”. Sullo stesso tenore le notizie riportate sull’indipendentista filo slavo…
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Si dava notizia della decisione del Consiglio di Sicurezza dell'Onu di rinviare di tre settimane il dibattito su Trieste
La mattina del 3 novembre 1953, in una Trieste in cui la tensione aveva raggiunto livelli mai visti prima, i giornali pubblicavano notizie allarmanti: l’agenzia jugoslava “Tanjug” parlava di carabinieri in borghese entrati clandestinamente in città dopo l’8 ottobre per provocare, e lo stesso faceva il “Primorski Dnevnik”. Sullo stesso tenore le notizie riportate sull’indipendentista filo slavo…
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Si inventano di tutto per far "carriera" nel mondo...
La battaglia di piazza degli anarchici insurrezionalisti a sostegno di Cospito è giusta e l'appoggiamo
Non condividiamo però l'abolizione del 41 bis perché sarebbe un regalo alla mafia
Il terrorismo non giova alla causa anticapitalistica
Alfredo Cospito, l'anarchico della FAI (Federazione anarchica informale) condannato all'ergastolo ostativo e al 41 bis come i peggiori boss mafiosi stragisti, per una strage che non c'è mai stata, ha superato i 110 giorni di sciopero della fame perché gli venga revocato il regime di carcere duro. Ha fatto sapere di aver rinunciato anche agli integratori e di assumere solo sali e acqua zuccherata, unicamente allo scopo di tenere attive le facoltà mentali, e di aver messo per iscritto la sua volontà di rifiutare ogni trattamento di alimentazione forzata qualora dovesse peggiorare fino a perdere conoscenza.
La senatrice di Verdi-Sinistra italiana Ilaria Cucchi, che lo ha visitato il 3 febbraio nel carcere milanese di Opera dove è stato trasferito dal carcere di Sassari, ha detto di averlo trovato “in condizioni a dir poco allarmanti, peggiora di giorno in giorno e di ora in ora”. Il suo avvocato, Flavio Rossi Albertini, che ha già presentato istanza di revoca del 41 bis sulla quale dovrà pronunciarsi la Cassazione il 7 marzo, ha rivolto un appello urgente al ministro della Giustizia Nordio, che avrebbe per legge la facoltà di revocarlo anche senza attendere il giudizio dell'alta Corte: “Le condizioni di Alfredo, il suo fisico provato, i quasi 110 giorni di digiuno, i 45 chilogrammi di dimagrimento non consentono più ritardi o attendismi di sorta”, ha sottolineato allarmato il legale.
Ricordiamo che Cospito, già condannato a 10 anni per aver gambizzato un dirigente dell'Ansaldo nucleare nel 2012, è stato condannato all'ergastolo ostativo (cioè senza possibilità di usufruire delle misure alternative al carcere e gli altri benefici di legge, il cosiddetto “fine pena mai”, articolo 4 bis), per un attentato del 2006 ad una caserma di allievi carabinieri a Fossano; attentato chiaramente dimostrativo perché compiuto di notte, con due bombe a basso potenziale in un cassonetto, e che non fece vittime. Ciononostante gli è stato applicato il reato di strage in base all'articolo 285 del codice penale che prevede l'ergastolo anche in assenza di vittime. Per la stessa vicenda è stata condannata a 20 anni di reclusione anche Anna Beniamino.
Gli appelli per togliere il 41 bis a Cospito
Si tratta di una sentenza mostruosa che discende dal fatto di aver equiparato i reati di mafia e criminalità organizzata a quelli di “terrorismo”, dove con quest'ultima definizione si può far rientrare di tutto e di più, cioè tutti coloro che non accettano le regole della dialettica borghese e si battono in modo risoluto e antagonista, con la violenza di massa, contro questo sistema economico e politico borghese.
L'ergastolo ostativo è stato infatti introdotto nei primi anni '90 dopo le efferate stragi di mafia e aveva lo scopo di indurre i boss a collaborare con la giustizia facendo leva sul terrore di finire la vita in carcere, come è successo a Riina, Provenzano e ad altri boss mafiosi. E il 41 bis, che prevede un isolamento quasi totale del condannato, quello di impedire che i suddetti boss potessero continuare a dirigere le cosche e dare ordini anche dall'interno del carcere. Ma il potere politico borghese, pur costretto ad approvare tali misure draconiane sotto l'incalzare del clima di indignazione popolare e dei magistrati, ne ha approfittato per estendere queste misure previste inizialmente solo per i reati di mafia e criminalità organizzata anche ai reati di “terrorismo”, precostituendosi così un'arma contro ogni possibile attività di “eversione politica”, come il caso Cospito appunto dimostra.
Il PMLI è stato il primo a denunciare la mostruosità dell'applicazione dell'ergastolo ostativo e del 41 bis all'anarchico, con un approfondito articolo su “Il Bolscevico” n. 46 del 22 dicembre 2022. Per la revoca del 41 bis all'esponente della FAI si è espresso inoltre lo stesso Segretario generale del PMLI Giovanni Scuderi, nel suo messaggio alla Commemorazione di Lenin a Cavriago del 22 gennaio scorso, in cui fra l'altro si legge: “Uniamoci per le urgenti lotte contro le bollette, il caro vita e il caro benzina, contro i decreti anti Ong e anti rave, contro l’autonomia differenziata e l’elezione diretta del presidente della Repubblica, per il lavoro, il clima e la revoca del regime del 41bis a Alfredo Cospito. Più in generale dobbiamo unirci per combattere e abbattere il governo neofascista Meloni e il capitalismo, per conquistare il socialismo e il potere politico del proletariato, seguendo la via dell’Ottobre”.
Per la revoca del 41 bis a Cospito si sono mossi anche diversi giuristi, intellettuali, religiosi e cittadini, tra cui Massimo Cacciari, Don Ciotti, Alex Zanotelli, l'ex pm di Mani pulite Gherardo Colombo, il presidente dell'unione delle Camere penali, Giandomenico Caiazza e molti altri, che hanno inviato un appello all'Amministrazione penitenziaria, a Carlo Nordio e al governo “perché escano dall'indifferenza in cui si sono attestati in questi mesi nei confronti della protesta di Cospito e facciano un gesto di umanità e di coraggio”. L'ex ministro della Giustizia Orlando (PD) si era espresso per una commutazione del 41 bis nel meno duro regime di alta sicurezza per Cospito.
Cresce la lotta di piazza di anarchici, studenti e centri sociali
A sostegno di Cospito si sono mobilitati gli anarchici insurrezionalisti, ai quali sono stati attribuiti alcuni attentati dimostrativi e senza vittime in Italia e all'estero. Ma si sono mobilitati e scesi in piazza anche studenti e centri sociali, con presidi, cortei, assemblee scolastiche e occupazioni, come quella del 2 e 3 febbraio dell'aula 1 della facoltà di Lettere dell'Università La Sapienza di Roma, promossa dai collettivi studenteschi, Cambiare rotta, Osa e anarchici. Presidi e manifestazioni si sono svolti il 3 febbraio a Pisa, L'Aquila, Cosenza, Rovereto, Bologna e Milano, dove circa 200 manifestanti hanno sfilato nelle vie intorno alla stazione centrale con striscioni per la revoca del 41 bis a Cospito e per la libertà “a tutti e a tutte”. E il 4 febbraio altre due consistenti manifestazioni si sono svolte rispettivamente a Roma, assediata da ingenti forze di polizia che hanno effettuato anche delle cariche contro il corteo di studenti, anarchici e centri sociali, e a Milano intorno allo stesso carcere di Opera.
Com'era prevedibile il governo neofascista Meloni ha imbastito su questa vicenda un'operazione politica sporca, da una parte facendo la faccia feroce contro il condannato, che ripetiamo non ha ucciso nessuno, dipingendolo come un efferato assassino e colluso coi boss della mafia per far abolire il 41 bis per tutti, per cui si merita di restare al carcere duro; e dall'altra trattando le manifestazioni in suo appoggio come un “attacco all'Italia” e una “sfida allo Stato” da parte degli anarchici, ingigantendo con la complicità della stampa neofascista il pericolo di un “assalto eversivo” alle istituzioni attraverso la convergenza tra anarchici insurrezionalisti e mafia. Gli scopi di questa infame operazione politico-mediatica del governo Meloni sono evidenti: ergersi a difensore della “legalità” e della “sicurezza” ed inflessibile nemico della mafia, facendo dimenticare le polemiche sul suo “garantismo” verso gli stessi mafiosi, i “colletti bianchi” e i politici corrotti; distogliere l'attenzione delle masse dalla sempre più grave situazione economica e sociale; rievocare il fantasma degli “anni di piombo” per creare un clima di emergenza favorevole a ulteriori provvedimenti liberticidi e fascisti.
Il cinismo di Nordio e della procura di Torino
Tra gli obiettivi di Palazzo Chigi c'è anche quello di mettere sotto schiaffo l'opposizione parlamentare, come dimostra l'attacco sferrato in parlamento al PD da parte del coordinatore nazionale di FdI e vicepresidente del Copasir, Giovanni Donzelli (basate su intercettazioni fornitegli dal sottosegretario alla Giustizia, Del Mastro, circa la visita di quattro parlamentari PD a Cospito nel carcere di Sassari), che ha accusato il PD di stare “con i terroristi e con la mafia” invece che con lo Stato. Per questo uso spregiudicato di dati riservati per compiere un attacco politico il PD e il M5S hanno chiesto le dimissioni di Donzelli e Del Mastro, ma sia Nordio che Meloni non solo hanno fatto quadrato in difesa dei due camerati, ma mentre la premier neofascista invitava ipocritamente “tutti” ad abbassare i toni, altri suoi scherani continuavano ad attaccare il PD, a dimostrazione che l'agguato parlamentare era stato ordinato proprio da lei.
Rispondendo in parlamento su questa vicenda e sul caso Cospito, Nordio si è coperto dietro gli atti della magistratura per sfuggire alla sua responsabilità di decidere se concedere o meno la revoca del 41 bis all'anarchico. In particolare ha invocato il parere preventivo della Direzione nazionale antimafia e del procuratore generale della Corte d'appello di Torino. Ciò non gli ha impedito comunque di esprimere la sua netta contrarietà sentenziando che “non si può fare la differenza tra un 41-bis applicato a un terrorista anarchico rispetto a un 41-bis applicato a un mafioso o a un camorrista”.
Contrariamente alla Dna, che com'era giusto ha aperto alla possibilità di commutare il 41 bis in regime di alta sicurezza per Cospito, il procuratore generale di Torino Francesco Saluzzo ha risposto pronunciando un “no” secco alla revoca del carcere duro, sostenendo che l'anarchico del FAI avrebbe continuato e potrebbe continuare ad agire da “apologeta e istigatore dell'associazione eversiva”, facendo da “catalizzatore” e da “riferimento” dei gruppi del mondo anarco-insurrezionalista. E quanto al pericolo di vita per il detenuto, il magistrato se n'è lavato le mani sostenendo che non sarebbe conseguente ad una malattia insorta nel tempo, ma sarebbe egli stesso “decidendo di non alimentarsi, a mettersi in questa situazione complicatissima”; per cui “il percorso penitenziario deve continuare”.
Ancora una volta la procura di Torino conferma la sua fama di accanita e spietata persecutrice dei movimenti di contestazione del sistema capitalista, che si tratti dei No Tav, dei centri sociali o dei gruppi anarchici. Il suo parere non era vincolante, ma tanto è bastato come alibi a Nordio per considerare chiusa per quanto lo riguarda la faccenda della revoca del carcere duro a Cospito.
Nessuna ambiguità sul 41 bis ai mafiosi
Noi appoggiamo la battaglia degli anarchici, degli studenti, dei centri sociali e di tutti gli anticapitalisti scesi in piazza affinché sia revocato il carcere duro a Cospito, e respingiamo fermamente la sporca manovra del governo neofascista Meloni per identificare questa battaglia con la strategia della mafia mirata alla cancellazione del 41 bis e del carcere ostativo per i suoi capi e gregari condannati. Allo stesso tempo non ci nascondiamo che i mafiosi si sono effettivamente inseriti in questa vicenda per strumentalizzarla a loro vantaggio, sfruttando l'ambigua parola d'ordine che la battaglia sarebbe per “cancellare il 41 bis a tutti”.
Noi siamo per la revoca immediata del 41 bis a Cospito e contro la mostruosa sentenza di devastazione, saccheggio e strage che prevede per lui l'ergastolo ostativo, sulla quale pende d'altra parte un ricorso di di legittimità alla Corte costituzionale. Ma non siamo contrari al mantenimento del 41 bis e dell'ergastolo ostativo per i boss mafiosi responsabili di efferate stragi e omicidi e che si rifiutano di collaborare con la giustizia. Perciò mettiamo in guardia gli anarchici e gli anticapitalisti dal cadere nella trappola della mafia e del governo: la battaglia giusta da fare è quella di mantenere l'applicazione di questi due dispositivi di legge solo ai reati di mafia e toglierla per il cosiddetto “terrorismo”, aggiunto apposta per poter perseguire anche chi lotta contro il sistema capitalista.
Allo stesso tempo bisogna rifiutare il terrorismo e il ribellismo piccolo borghese, anarchico, individualista e avventurista, che non giovano alla causa anticapitalista, non lavorano per cambiare veramente e radicalmente la società, ma bruciano inutilmente preziose forze giovanili rivoluzionarie e si prestano ad essere infiltrati, strumentalizzati e finanche eterodiretti dal potere borghese per rafforzare il regime neofascista, com'è successo con le “Brigate rosse”.
I sinceri anticapitalisti devono comprendere che solo con la direzione della classe operaia e del suo partito rivoluzionario le loro forze, anziché disperdersi in sterili e irrilevanti battaglie avventuriste, potranno confluire nel grande fiume della lotta di classe per abbattere il capitalismo e conquistare il socialismo e il potere politico del proletariato.
8 febbraio 2023
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Anniversario della morte di Borsellino
Tutti noi ti abbiamo ucciso. Non quando sei morto, ma dopo. Quando i telegiornali raccontavano le loro favole, stupiti che quanto ormai fosse già scritto, accadesse veramente. Ti abbiamo ucciso quando ci siamo chiusi in casa impauriti da quanto già sapevamo sarebbe accaduto. Ipocritamente stupiti che quanto era avvenuto con Falcone, accadesse di nuovo. Ci siamo chiusi nelle nostre paure, pecore nascoste in fondo all’ovile al sentire l’odore di morte dei lupi assassini. Invece dovevamo scendere in strada, correre da chi ti comandava e bruciare i loro uffici, le loro case perché avevano permesso che ti immolassero sull’altare del “nulla cambia”, dovevamo bruciare i tribunali e maledire le caserme perché era stata scambiata la tua vita con le strette di mano nell’ombra. Dovevamo urlare e battere a tutte le porte perché tutti uscissero a difendere la loro libertà, quella dei giusti e degli onesti, perché tutti corressero a difendere la verità, dovevamo correre alle case di chi si sentiva al di sopra dei diritti e dei doveri e che se la cavavano sempre grazie a conoscenze e violenze e dovevamo dar fuoco ai loro salotti dorati, alla loro ipocrisia borghese, ai loro vestiti firmati alle complicità e convivenze che avvelenano la nostra terra. Dovevamo giustiziare gli assessori corrotti, i sindaci conviventi, gli usceri accondiscendenti, i poliziotti collusi i giudici venduti, i carabinieri traditori, creare noi, miti e indifesi, un mondo dove i corvi on potessero vivere e gli orfani non dovessero sentire il peso dell’abbandono.
Invece, ci siamo nascosti nella rassegnazione, nell’attesa che una giustizia malata, agonizzasse su i suoi cancri e negasse ogni evidenza, contradicendo se stessa. Ci siamo lavati le mani nel vostro sangue: non potevamo, non dovevamo fare niente se non indignarci, se non vestirci con le vesti consunte del rimpianto, sentire i soliti discorsi, indossare uno sdegno di circostanza, finire il ricordo al bar, seppellirvi in un'altra celebrazione. Dovevamo essere fuoco e tempesta, immolarci chiedendo giustizia invece tutto è finito in parole consunto dal loro abuso in canzoni noiose che nessuno ricorda. È così che ancora una volta vi abbiamo ucciso, lasciando le ombre dove sono state messe per confondere gli onesti, distribuendo i vostri santini, prima di passare dalla rosticceria a parlare del tempo. È così che ancora una volta, abbiamo seppellito la verità e voi con lei.
We all killed you. Not when you are dead, but after. When the news broadcasts told their tales, amazed that what was already written, what really happened. We killed you when we locked ourselves in the house afraid of what we already knew was going to happen. Hypocritically amazed that what had happened with Falcone would happen again. We closed ourselves in our fears, sheep hidden at the bottom of the fold to smell the deathly smell of killer wolves. Instead we had to go down to the street, run to those in charge and burn their offices, their houses because they had allowed them to sacrifice you on the altar of "nothing changes", we had to burn the courts and curse the barracks because your life had been exchanged with handshakes in the shadows. We had to scream and bang at all the doors so that everyone would go out to defend their freedom, that of the just and honest, so that everyone ran to defend the truth, we had to run to the homes of those who felt above the rights and duties and who they always got by thanks to acquaintances and violence and we had to set fire to their golded salons, their bourgeois hypocrisy, their designer clothes to the complicity and cohabitation that poison our land. We had to execute the corrupt councilors, the cohabiting mayors, the condescending exiles, the colluding policemen, the sold judges, the traitor carabinieri, to create us, meek and defenseless, a world where the crows could not live and the orphans should not feel the weight of abandonment.
Instead, we hid in resignation, waiting for a sick justice to agonize over its cancers and deny all evidence, contradicting itself. We washed our hands in your blood: we could not, we had to do nothing but indignation, if not to dress in the worn garments of regret, to hear the usual speeches, to wear a disdain of circumstance, to finish the memory at the bar, to bury you in a other celebration. We had to be fire and storm, immolating ourselves asking for justice instead it all ended in words worn out by their abuse in boring songs that no one remembers. This is how we killed you once again, leaving the shadows where they were placed to confuse the honest, distributing your holy cards, before moving on to the rotisserie to talk about the weather. This is how once again, we have buried the truth and you with it.
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NON SI ERA TOLTO IL SIGARO DALLA BOCCA AL PASSAGGIO DEL GENERALE GRAZIANI, PER QUESTO L'ARTIGILIERE ALESSANDRO RUFFINI VENNE FUCILATO “Noventa di Padova, 3 novembre 1917 ore 16.30 circa. Il generale Andrea Graziani di passaggio vede sfilare una colonna di artiglieri da montagna. Un soldato, certo Ruffini di Castelfidardo, lo saluta tenendo la pipa in bocca. Il generale lo redarguisce e riscaldandosi inveisce e lo bastona. Il soldato non si muove. Molte donne e parecchi borghesi sono presenti. Un borghese interviene e osserva al generale che quello non è il modo di trattare i nostri soldati. Il generale, infuriato, risponde: “Dei soldati io faccio quello che mi piace” e per provarlo fa buttare contro un muricciuolo il Ruffini e lo fa fucilare immediatamente tra le urla delle povere donne inorridite. Poi ordina al T. colonnello Folezzani (del 280 artiglieria campale) di farlo sotterrare: “È un uomo morto d’asfissia” – e, salito sull’automobile, riparte. Il T. colonnello non ha voluto nel rapporto [porre] la causa della morte. Tutti gli ufficiali del 280 artiglieria campale possono testimoniare il fatto." La triste vicenda di Alessandro Ruffini viene così raccontata dal giornale socialista “L’Avanti!” il 28 luglio 1919. Il generale Graziani, lungi dal fornire alcuna giustificazione all’evento nei giorni seguenti rincara la dose dalle pagine de “Il Resto del Carlino” e dello stesso quotidiano del PSI. Egli infatti sostiene che mentre era in piedi sull’automobile, ad osservare la sfilata delle sue truppe udì dei soldati “ pronunciare ripetutamente – rivolti ad un compagno – le parole: ‘levati il sigaro, levati il sigaro.” Andrea Graziani rivolse allora lo sguardo a Ruffini e convinto di scorgere sul suo volto un sorriso beffardo non ci pensò due volte a farlo fucilare. “Valutai tutta la gravità di quella sfida verso un generale […], valutai la necessità, secondo la mia coscienza, di dare subito un esempio terribile atto a persuadere tutti i duecentomila sbandati che da quel momento vi era una forza superiore alla loro anarchia […] Legato il soldato dai carabinieri della scorta, lo ho fatto immediatamente fucilare contro il muro della casa vicina; tutto ciò si è svolto nel tempo di quattro o cinque minuti.” Graziani infine negò di aver fatto occultare l’accaduto e dichiarò solennemente che tutto ciò è avvenuto “per il bene della Patria in pericolo”. Così moriva Alessandro Ruffini, 23 anni, crivellato dai colpi dei carabinieri su un muro di Noventa. La sua colpa aver tenuto un sigaro o una pipa in bocca e forse, forse, aver fatto un sorriso di troppo. Cannibali e Re **************** e pensare che nella mia città c'è una via dedicata a quel maiale di Graziani
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Bologna 11 marzo 1977 - L'omicidio di Francesco Lorusso - Osservatorio Repressione
Alle 10, assemblea di Comunione e Liberazione: circa 400 persone. Cinque compagni di Medicina, presentatisi all’entrata, vengono malmenati e scaraventati fuori dall’aula. La notizia si sparge nell’università e accorrono una trentina di compagni che vengono dapprima fronteggiati da un centinaio di squadristi ciellini. L’aggressione da parte dei cosiddetti “autonomi” consiste nel lancio di slogans e scambi verbali (ad esempio: “Barabba libero”, “Seveso, Seveso”). Scatta la provocazione preordinata: i ciellini si barricano all’interno dell’aula; uno di loro, d’accordo con il prof. Cattaneo, che intanto aveva interpellato il rettore Rizzoli, chiede l’intervento della polizia e dell’ambulanza, prima ancora che succedesse qualcosa.
Nel frattempo, fuori dall’Istituto di Anatomia, si raggruppa un centinaio di compagni; quelli rimasti dentro, dopo aver cercato di sfondare la porta dell’aula, chiedono l’individuazione dei responsabili dell’aggressione, invitando gli estranei al fatto ad uscire. Vista l’inutilità di questi tentativi, i compagni si ricongiungono agli altri che fuori dall’istituto di Anatomia lanciavano slogans contro CL. Dopo appena mezz’ora, arrivano polizia e carabinieri con cellulari, gipponi e camion, in numero certamente spropositato. I compagni escono allora dal giardino antistante l’istituto e si raccolgono sul marciapiede nei pressi del cancello; un primo gruppo di carabinieri entra e si schiera nel giardino, un secondo gruppo esegue la stessa manovra: sta per entrare, si scaraventa contro i compagni, manganellandoli senza alcuna motivazione.
I compagni scappano verso Porta Zamboni; parte la prima scarica di candelotti. Ritornando verso via Irnerio, i compagni vengono bloccati da una autocolonna di PS e carabinieri ed é a questo punto che un carabiniere spara ripetutamente. Per difendersi, viene lanciata una molotov contro la jeep, causando un principio d’incendio. Poi, in Via Mascarella, un gruppo di compagni che ritornava verso l’università incontra una colonna di carabinieri proveniente da Via Irnerio: a questo punto il compagno Francesco Lorusso (militante di Lotta Continua) viene freddamente ucciso. Era rimasto a studiare fino alle 12,30 e solo allora era sceso in strada. I carabinieri caricano il gruppo in cui si trova Francesco e partono le prime raffiche di mitra: alcuni compagni scappano verso l’università, risalendo Via Mascarella. Una pistola calibro 9 si punta sui compagni ed esplode 6 – 7 colpi in rapida successione: lo sparatore (come testimoniano i lavoratori della Zanichelli) indossa una divisa, senza bandoliera, e un elmetto con visiera; prende la mira con precisione, poggiando il braccio su di una macchina. Francesco, sentendo i primi colpi, si volta mentre corre con gli altri e viene colpito trasversalmente. Sulla spinta della corsa percorre altri 10 metri e cade sul selciato, sotto il portico di Via Mascarella. Quattro compagni lo raccolgono e lo trasportano fino alla libreria Il Picchio, da dove un’autoambulanza lo porta all’ospedale. Francesco vi giunge morto.
Nel frattempo, la polizia dopo aver disperso i compagni in Via Irnerio, si ritira in questura. La voce che un compagno é stato ucciso si sparge rapidamente. Radio Alice ne dà la notizia verso le 13,30. Da allora in poi nella zona universitaria é un continuo fluire di compagni. Tutti gli strumenti di informazione che il movimento possiede sono in funzione, dalle parole alla radio. All’incredulità e al disorientamento si sovrappongono il dolore e la rabbia. L’università si organizza per evitare nuove provocazioni della polizia, vengono chiuse tutte le vie d’accesso, ogni facoltà si riunisce e dalle assemblee improvvisate (tutte le aule, la mensa, ogni spazio é riempito dai compagni che si organizzano) emerge con chiarezza che l’assassinio di Francesco é tutto tranne un “incidente”. Vengono fatte telefonate ai vari CdF e si manda una delegazione alla Camera del Lavoro per chiedere l’adesione al corteo. La rabbia e il dolore si fanno crescenti e la maggioranza dei compagni individua gli obiettivi e le risposte che il movimento vuole dare. La libreria di CL, Terra Promessa, ridiventa per la terza volta “terra bruciata”.
Finite le assemblee si organizzano i servizi d’ordine allo scopo di garantire l’autodifesa del corteo e da tutte le parti si grida che l’obiettivo politico da colpire é la DC. Si parte con un’imponente manifestazione di 8.000 compagni. Sono le 17,30. Il corteo é in Via Rizzoli: alcuni compagni se ne staccano e infrangono le vetrine della via centrale. In Piazza Maggiore il corteo sfila, raccogliendo i compagni rimasti, mentre un gruppo di aderenti al PCI si raccoglie attorno al Sacrario dei Caduti; l’attesa partecipazione dei consigli di fabbrica veniva meno. Il corteo si dirige in Via Ugo Bassi, dove altre vetrine vengono infrante.
Nei pressi della sede della DC, la polizia si scontra con la testa del corteo che riesce ad evitarne l’irruzione nel corteo stesso. Intanto, la coda si scioglie e si disperde nelle stradine laterali. Un primo troncone si ricompone in Via Indipendenza e si dirige alla stazione FS, occupando i primi binari. L’altra parte si ricompone in Piazza Maggiore e si immette in Via Indipendenza dove apprende la notizia dell’occupazione della stazione. Qui intanto iniziano gli scontri, la polizia entra nell’atrio principale, sparando candelotti; i compagni rispondono, riuscendo così ad allontanarsi da un’uscita laterale. Il resto del corteo é nel frattempo arrivato nella zona universitaria, dove ci si riunisce in assemblea, per una valutazione della giornata e per organizzare il viaggio a Roma dell’indomani; nel frattempo viene “aperto” il ristorante di lusso il Cantunzein e centinaia di compagni possono sfamarsi. L’assemblea, iniziata nell’aula magna di Lettere, per l’enorme afflusso di gente viene trasferita al cinema Odeon. Nei pressi del cinema, un compagno viene sequestrato da agenti in borghese, armi in pugno e trasportato via su un’auto con targa civile. Nella notte vengono effettuati numerosi arresti e perquisizioni domiciliari.
Nel tardo pomeriggio le federazioni bolognesi del Pci e della Fgci distribuiscono un volantino: “… Una nuova grave provocazione é stata messa in atto oggi a Bologna. Essa ha preso il via da un’inammissibiie decisione di un gruppo della cosiddetta Autonomia di impedire l’assemblea di CL e da gravi interventi da parte delle forze di polizia. Di fronte a una situazione di tensione nella quale ancora una volta é emerso il ruolo di intimidazione e di provocazione dei gruppi neosquadristici, si é intervenuto con l’uso di armi da fuoco da parte di agenti di PS e dei carabinieri… dev’essere isolata e battuta la logica della provocazione e della violenza che piú che mai é al servizio della reazione. Da tempo nella nostra cittá ristretti gruppi di provocatori, ben individuati, hanno agito all’interno di questa precisa logica“.
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Vent’anni dal G8 di Genova, 19-20-21 luglio 2001. Ci sono libri, rievocazioni, interviste, ricostruzioni. A me vengono in mente flash, parole e immagini, ancora nitide. Eccole. L’uomo di circa 60 anni che la mattina del 20 luglio scavalca la barriera ed entra nella zona rossa, i poliziotti lo guardano e basta. Il caldo torrido. Silvio Berlusconi che da presidente del consiglio passa per le vie di Genova, qualche giorno prima del G8, e dice che vanno tolti i panni stesi che se no si fa brutta figura con il mondo. Gianfranco Fini che è nella sala operativa della Questura di Genova e non dovrebbe esserci. La versione del Questore di Genova Colucci secondo cui c’era un accordo con le tute bianche per una violazione simbolica della zona rossa. Luca Casarini che in diretta a Porta a Porta, la sera del 20 luglio, mostra i bossoli di colpi sparati dalla polizia. Gianfranco Fini che a Porta a Porta dice che Carlo Giuliani aveva tra le mani una bombola d’ossigeno e lui l’ha riconosciuta perché è un sub. I giornalisti che in collegamento da un tavolino di un bar al porto di Genova commentano con cinismo quello che è successo. Le parole black bloc. Manu Chao che la sera del 19 luglio canta “Clandestino” in piazzale Kennedy. I poliziotti che il 21 luglio fanno ascoltare con i loro telefonini “Faccetta nera” ai fermati nella caserma di Bolzaneto. “Un due tre viva Pinochet” scandito dai poliziotti nella caserma di Bolzaneto. La discussione sul numero identificativo sul casco dei poliziotti che da allora è ancora ferma lì. Il funzionario di polizia che disse che alla Diaz c’erano stati una decina di feriti, la maggior parte pregressa. I certificati medici che attestano che alla Diaz ci furono 82 feriti, tre dei quali in modo molto grave. Gli avvocati che a mani alzate tentavano di entrare la sera del 21 luglio nella scuola Diaz. La corsia d’ospedale dove erano stati portati feriti della Diaz e i poliziotti che passano picchiando i manganelli contro il muro. Un agente della Guardia di Finanza in maglietta e pantaloni neri con protezioni in tutto il corpo e i giornali che titolano “Robocop” sotto la sua foto. Il funzionario di polizia che raccoglie un sasso vicino al corpo di Carlo Giuliani e urla ai manifestanti “L’avete ucciso voi”. Il dirigente di polizia Michelangelo Fournier che davanti alle domande di chi conduceva l’inchiesta sulla scuola Diaz usò le parole “Macelleria Messicana”, citando Ferruccio Parri che lo disse davanti ai corpi di Mussolini e dei gerarchi appesi in piazzale Loreto. Daniele Farina, del centro sociale Leoncavallo di Milano, che a Radio Popolare dice “Ci sono un centinaio di neri che fanno casino”. Silvio Berlusconi che il 22 luglio disse: “Ho avuto questa mattina una telefonata del ministro degli Interni, che mi ha rappresentato il ritrovamento di armi improprie all’interno del Genoa Social Forum e la individuazione di 60 persone appartenenti alle squadre violente”. L’autista della Polizia che nel luglio 2002 disse: “Le molotov nella Diaz le ho portate io, me lo ordinò un superiore”. I neri, tedeschi e di alcuni centri sociali torinesi e del Sud, che si contrappongono alle tute bianche dei centri sociali veneti e di Milano. Gli antagonisti greci fermati ad Ancona e non fatti scendere da una nave strapiena. I bambini che al mare alcuni giorni dopo si inseguono giocando al G8. Il rumore ritmato dei manganelli sugli scudi. Il vicequestore che davanti alle videocamere tira un violento calcio in faccia a un ragazzo. Il servizio d’ordine del corteo del 20 luglio che non è servito a nulla. I poliziotti in borghese lungo il corteo del 20 luglio che a un certo punto se ne vanno. Le 18 di Venerdì 20 luglio e le prime voci su un ragazzo morto in piazza Alimonda. I cinque neri che girano in tondo picchiando sui tamburi. Le tute bianche che si ritirano nello stadio Carlini e lasciano via libera al blocco nero. Il blocco nero che distrugge tutto ciò che trova. Mark Covell, ridotto in fin di vita alla Diaz, che durante l’inchiesta venne soprannominato “lo spirito” perché, nonostante lo avessero picchiato in tanti, nessuno ammetteva di averlo visto. Il 21 luglio l’uomo in mezzo alla strada, seduto a terra, che fa fatica a respirare e le decine di poliziotti che gli passano attorno ignorandolo fino a che uno non gli dà una pacca sulla spalla. La carica dei carabinieri che spezza in due il corteo in via Tolemaide il 20 luglio e che nessun dirigente dice di aver mai ordinato. I poliziotti che a Bolzaneto cantano “Te gusta el manganello” al ritmo di Manu Chao. Le videocamere dei giornalisti gettate a terra e sfasciate. Le minacce di stupro alle ragazze portate alla caserma di Bolzaneto. L’infermiere in servizio a Bolzaneto che poi raccontò tutto. La gente dai balconi che prima degli incidenti getta acqua ai manifestanti perché il caldo è insopportabile. Il capo dei medici di Bolzaneto che urlava «Ve lo do io Che Guevara, sporchi comunisti». La dirigente di Amnesty International che definì i tre giorni di Genova «la più grave sospensione dei diritti democratici in Europa dopo la seconda guerra mondiale». Il silenzio sui treni che ripartivano da Genova la notte del 21 luglio. La registrazione della poliziotta che dice a un collega, dopo la morte di Carlo Giuliani: “Uno a zero per noi”. Il capo della Polizia, Franco Gabrielli, che anni dopo dice: «A Genova un’infinità di persone incolpevoli subirono violenze fisiche e psicologiche che hanno segnato le loro vite. Non è stato sufficiente chiedere scusa a posteriori».
Stefano Nazzi
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Poggiardo, picchiano un loro coetaneo: emessi due provvedimenti "DACUR"
Poggiardo (Lecce), picchiano un loro coetaneo: emessi due provvedimenti "DACUR" Nel weekend scorso sono stati notificati due provvedimenti DACUR emessi dal Questore della provincia di Lecce nei confronti di due giovani a seguito di un grave episodio verificatosi a Poggiardo (Lecce), il 30 dicembre nei pressi del locale "Caffè borghese", ritrovo per i giovani del posto. Il fatto aveva visto un 28enne di Poggiardo e un 20enne nativo di Tricase, accanirsi per futili motivi su di un giovane, colpendolo ripetutamente e provocandogli traumi al volto. Nell'occasione sono intervenuti i carabinieri, che hanno denunciato i due aggressori per lesioni aggravate e percosse e hanno richiesto la misura di prevenzione del DACUR, che è stata emessa dal Questore ritenendola opportuna considerati i comportamenti dei due soggetti "effettivamente" e "potenzialmente" pericolosi per la sicurezza urbana. La misura di prevenzione del Divieto di Accesso Urbano (DACUR), necessaria per prevenire fenomeni di criminalità e illegalità che incidono sulla sicurezza dei cittadini é stata notificata nei giorni scorsi ai responsabili dell'aggressione e vieta loro di accedere e stazionare nei luoghi della movida del centro urbano di Poggiardo per due anni... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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UN grande di Lavello dimenticato:
È il 1975 quando Don Marco Bisceglia celebra il primo “matrimonio di coscienza” tra due omosessuali. Non erano una coppia di innamorati, ma due giornalisti del settimanale di destra Il Borghese, scesi in Basilicata solo per incastrare “il prete comunista” di Lavello. Riescono nel loro scopo: Don Bisceglia viene sospeso dalla Chiesa Cattolica e tre anni dopo è addirittura allontanato dalla sua parrocchia, con trecento poliziotti e carabinieri in assetto antisommossa a presidiare la chiesa. La seconda vita di Don Bisceglia, quella da attivista per i diritti degli omosessuali e fondatore di Arcigay
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26 AGOSTO 1974. ONORE !!
DECIMA COMANDATE !!
In Italia… dice una nota canzone, il Paese delle mezze verità… In Italia c’è un primo sottomarino U212/A (progetto tedesco)che si chiama S.TODARO, è da il nome alla classe, il secondo si chiama invece SCIRÈ, classe Todaro. Come nella maggior parte dei casi che fanno riferimento alla storia recente è tutto sbagliato.
S. Todaro fu una figura di secondo piano nella storia dei sommergibili italiani, J.V.Borghese fu invece il più grande comandante di sommergibili del mondo, a detta di tutti. Osannato da tutte le marine militari del mondo, mentre la X Flottiglia MAS e i suoi metodi di combattimento hanno dettato le regole di tutti i corpi speciali del mondo.
In un famoso e recentissimo film sui Navy Seal americani si vede un sottomarino classe 688 Los Angeles che porta sul ponte un contenitore per “Maiale” e la cosa viene fatta vedere con enfasi, noi lo facevamo già nel 1941, grazie allo Sciré, comandato da JV Borghese; tutti sono stati decorati con medaglia d’oro, ancora in vita, sia il comandante, sia l’equipaggio, sia il sottomarino. Quindi il primo sottomarino all’idrogeno italiano dovrebbe chiamarsi “J.V.BORGHESE” ed il secondo “S.TODARO” classe “Borghese”.
Todaro; pochi sanno che in Francia, a Betasom, la base sommergibili atlantici italiana nel 1942/44, durante una visita del grand admiral Karl Doenitz, fu definito dallo stesso «un buon comandante per navi ospedale», data la sua tendenza a salvare i naufraghi delle navi che affondava; mettendo però a repentaglio la vita del suo equipaggio.
Un accadimento che mi viene dalla testimonianza diretta di chi era lì a guardare e a sentire, quindi è cosa certa.
Non basta, magari fosse tutto lì… invece il 26 agosto 1974 moriva a Cadice il comandante J.V.Borghese due volte medaglia d’oro al valor militare, Cavaliere dell’ordine dei Savoia, croce di ferro al merito, eccetera.
Come molti sanno, suo figlio, il principe Andrea Scirè Borghese, è un mio intimo e caro amico e pertanto sappiamo con certezza che quando i figli giunsero a Cadice al capezzale del padre, la salma era già stata imbalsamata con l’asportazione di tutti gli organi interni. Per le tecnologie dell’epoca era a quel punto impossibile stabilire con esattezza le cause della morte, che furono accertate dal primo ed unico referto medico come: pancreatite acuta. Curiosamente l’effetto di alcuni noti veleni, produce proprio quella che sembrerebbe una pancreatite acuta, ma che tale non è.Junio Valerio Borghese sapeva molte cose sia sul finto golpe, mai avvenuto, sia su quello che stava capitando in Italia in quel triste periodo.
Le ultime parole dette alla stampa, dopo la sua assoluzione in contumacia per non aver commesso il fatto (il famoso golpe del principe nero) furono: «tornerò in Italia e dirò tutto».
Quella frase gli è certamente costata la vita, all’epoca non era ancora di moda il caffè alla Sindona, ma in Italia c’è tornato: morto ed imbalsamato, una cassa di frutta e verdura, in un furgone bianco senza insegne che doveva raggiungere Roma alla velocità minima di settanta chilometri all’ora, questi i dettami della Farnesina.
Ed ecco che cosa è giunto alla nostra redazione, speditoci da uno degli ultimi superstiti della RSI, una sigla che in Italia, in questo magnifico Paese, dove l’ultima cosa che si vende, ma proprio l’ultima è la giustizia, seguita a pari passo dalla verità, pronunciare RSI sembra un’eresia, all’epoca invece se eri in età di leva avevi due scelte: 1) andare in montagna e rubare i polli ai contadini, per mangiare, 2) presentarti al comando territoriale della RSI per evitare l’arresto e diciamolo francamente anche perché si mangiava meglio e senza dover rubare i polli. Chi ha scelto la montagna è diventato un eroe, chi l’arruolamento regolare per la molto imprecisa e disattenta storia ufficiale, un boia assassino che ne avrebbe fatte di tutti i colori. Per poi scoprire in epoche recenti che anche i meravigliosi partigiani ne hanno fatte di tutti i colori, vedi la Strage di Codevigo, nel film “Il sgreto di Italia” interprete Romina Power, che è stato ostacolato e messo alla gogna con ogni mezzo.
Tralasciando tutto quanto ci sarebbe da dire su una Italia vergognosa, ecco il testo della lettera e relativa denuncia arrivata a noi il 21 dicembre del 2008:
Denunciante Angelo Faccia, ex GNR
Oggetto: denuncia penale a carico degli ignoti autori dell’omicidio del Comandante Junio Valerio Borghese.
Ci si domanderà: perchè dopo tanto tempo? Perchè attendere 34 anni dalla sua morte?
È documentato nella nuova edizione del libro”Affondate Borghese!”
Nessuno aveva interesse che questa sconcertante verità venisse pubblicamente rivelata: da una parte i Carabinieri del SID con il sequestro del materiale investigativo e dall’altra ignoti killer che hanno tentato più volte di farmi tacere per sempre, ma… GOTT MIT HUNS, “Dio è con me”, era inciso sulla fibbia della cinghia dei camerati germanici…
E dato che oggi si ragiona in termini di “casta”, anch’io voglio poter dire che appartengo alla CASTA più nobile, mai conosciuta e mai esistita prima: quella dei combattenti dell’Onore, i Cavalieri della R.S.I. e come tale non potevo non presentarmi al più nobile dei Cavalieri di questa CASTA, il Comandante Junio Valerio Borghese, senza dirgli: Comandante, ho lottato fino all’ultimo, non vi ho abbandonato né come soldato né come amico.
Questo è l’unico scopo di questa mia iniziativa…
Sarei grandemente ingenuo se pensassi che la mia denuncia possa raggiungere uno scopo pratico…
Angelo Faccia – G.N.R.
Che altro si può dire?
Beh, innanzi tutto che l’omicidio non va in prescrizione, quindi che le autorità giudiziarie preposte dovrebbero chiedere, anzi ordinare l’esumazione della salma per stabilire con le moderne tecnologie se JV Borghese è morto per una pancreatite acuta o per avvelenamento. Se fosse vera la seconda ipotesi dovrebbero cercare e se ancora vivente/ti arrestare l’assassino o gli assassini.
Attenzione però, solo un idiota potrebbe pensare che lo abbiano ucciso i “compagni” italiani.
JV Borghese sapeva troppe cose, troppo compromettenti per i governi (uomini di potere dell’epoca), su un golpe mai avvenuto e entrato in cronaca ben tre mesi dopo la sua presunta esecuzione.
Se omicidio c’è stato è stato comandato da uomini di potere che volevano pararsi il culo, uomini che durante la “Guerra Fredda” non potevano essere messi in discussione. Si perché all’epoca l’idea del golpe circolava, eccome se circolava, all’epoca il sottoscritto lavorava con documenti Top Secret e di movimenti strani ne ho visti parecchi.
Borghese era presumibilmente in contatto con i servizi segreti americani e inglesi tant’è che uomini della Xa del Sud, passavano allegramente la Gotica avanti e indietro per portare notizie e altro e cambiandosi d’uniforme. Processato alla fine della guerra dagli americani, fu assolto da qualsiasi imputazione inerente a crimini di guerra. Ricordiamo anche che il Porto di Genova fu salvato dalla distruzione da uomini della Xa, che salvarono anche molte aziende del Nord per favorire la ricostruzione post bellica. Questa è la vera storia.
Marcello Toja
In Italy ... says a well-known song, the country of half-truths ... In Italy there is a first U212 / A submarine (German project) called S.TODARO, which gives its name to the class, the second is called SCIRÈ, Todaro class. As in most cases that refer to recent history it is all wrong.
S. Todaro was a second-rate figure in the history of Italian submarines, J.V.Borghese was instead the greatest commander of submarines in the world, according to everyone. Acclaimed by all the navies of the world, while the X MAS Flotilla and its fighting methods have dictated the rules of all the special forces in the world.
In a famous and very recent film on American Navy Seals, we see a 688 Los Angeles class submarine carrying a container for "Pig" on the deck and this is shown with emphasis, we were already doing it in 1941, thanks to the Sciré, commanded by JV Borghese; all were decorated with a gold medal, still alive, both the commander, the crew and the submarine. Therefore the first Italian hydrogen submarine should be called "J.V.BORGHESE" and the second "S.TODARO" class "Borghese".
Todaro; few people know that in France, in Betasom, the Italian Atlantic submarine base in 1942/44, during a visit by the grand admiral Karl Doenitz, was defined by the same "a good commander for hospital ships", given his tendency to save shipwrecked sinking ships; however, putting the life of his crew at risk.
An event that comes to me from the direct testimony of those who were there to look and hear, so it is certain.
Not enough, maybe it was all there ... instead on August 26, 1974, commander JVBorghese died twice in Cadiz, a gold medal for military valor, a Knight of the order of Savoy, an iron cross of merit, and so on .
As many know, his son, Prince Andrea Scirè Borghese, is a close and dear friend of mine and therefore we know with certainty that when the children arrived in Cadiz at their father's bedside, the body had already been embalmed with the removal of all the internal organs. For the technologies of the time it was impossible to establish the exact causes of death, which were ascertained by the first and only medical report as: acute pancreatitis. Curiously, the effect of some well-known poisons produces exactly what appears to be acute pancreatitis, but which is not such.
Junio Valerio Borghese knew many things both about the fake coup, which never happened, and about what was happening in Italy in that sad period.
The last words spoken to the press, after his acquittal in absentia for not having committed the crime (the famous coup of the black prince) were: "I will return to Italy and tell everything".
That sentence certainly cost him his life, at the time coffee alla Sindona was not yet in fashion, but in Italy it returned: dead and embalmed, a crate of fruit and vegetables, in a white van without signs that he had to reach. Rome at a minimum speed of seventy kilometers per hour, these are the dictates of the Farnesina.
And here's what came to our editorial staff, sent to us by one of the last survivors of CSR, an acronym that in Italy, in this magnificent country, where the last thing that is sold, but the very last is justice, followed by hand in hand with the truth, pronouncing RSI seems like a heresy, but at the time if you were of military age you had two choices: 1) go to the mountains and steal chickens from farmers, to eat, 2) present yourself to the territorial command of RSI to avoid arrest and let's face it also because we ate better and without having to steal the chickens. Those who have chosen the mountains have become a hero, those who regularly enlist due to the very inaccurate and inattentive official story, a killer executioner who would have made all kinds of them. To then discover in recent times that even the wonderful partisans have made all kinds of them, see the Massacre of Codevigo, in the film "Il sgreto di Italia" starring Romina Power, who was hindered and pilloried by any means.
Leaving aside everything there is to say about a shameful Italy, here is the text of the letter and related complaint that arrived to us on 21 December 2008:
Complainant Angelo Faccia, former GNR
Subject: criminal complaint against the unknown perpetrators of the murder of Commander Junio Valerio Borghese.
We will ask ourselves: why after so long? Why wait 34 years after his death?
It is documented in the new edition of the book "Sink Borghese!"
Nobody was interested in this disconcerting truth being publicly revealed: on the one hand the Carabinieri of the SID with the seizure of the investigative material and on the other, unknown killers who tried several times to silence me forever, but ... GOTT MIT HUNS, "God is with me ", was engraved on the belt buckle of the Germanic comrades ...
And since today we think in terms of "caste", I too want to be able to say that I belong to the most noble CASTA, never known and never existed before: that of the fighters of Honor, the Knights of the R.S.I. and as such I could not fail to introduce myself to the noblest of the Knights of this CASTA, Commander Junio Valerio Borghese, without saying to him: Commander, I fought to the last, I have not abandoned you either as a soldier or as a friend.
This is the sole purpose of my initiative ...
I would be very naïve if I thought that my complaint could achieve a practical purpose ...
Angelo Face - G.N.R.
What else can be said?
Well, first of all that the murder does not go on prescription, therefore that the judicial authorities in charge should ask, indeed order the exhumation of the body to establish with modern technologies whether JV Borghese died of acute pancreatitis or poisoning. If the second hypothesis were true they should try and if still alive / you arrest the killer or killers.
But be careful, only an idiot could think that the Italian "comrades" killed him.
JV Borghese knew too many things, too compromising for the governments (men of power of the time), about a coup that never took place and entered the news three months after its alleged execution.
If there was a murder, it was commanded by men of power who wanted to cover their asses, men who could not be questioned during the "Cold War". Yes, because at the time the idea of the coup was circulating, indeed if it did, at the time the undersigned was working with Top Secret documents and I have seen a lot of strange movements.
Borghese was presumably in contact with the American and British secret services, so much so that men from the Xa of the South happily passed the Gothic back and forth to bring news and more and changing their uniforms. Tried at the end of the war by the Americans, he was acquitted of any charges relating to war crimes. We also remember that the Port of Genoa was saved from destruction by men of the Xa, who also saved many companies in the North to encourage post-war reconstruction. This is the real story.
Marcello Toja
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Finalmente era partito. Ce l'aveva fatta. Era una settimana che ci rimuginava sopra. anche quando era in tutt'altre faccende affaccendato, il pensiero tornava sempre lì: al punto di partenza, o di arrivo, ciò era ancora da stabilire. Sperava e temeva, allo stesso modo. si era preso un giorno di riposo, tanto ne aveva accumulati così tanti, nel corso degli anni di servizio, che avrebbe potuto anche starsene a pancia all'aria per un bel pezzo. Era salito sulla sua ammaccata utilitaria bianca ed era partito alla volta del suo paese natale. direttamente in bocca alle proprie origini. Un viaggio breve, ma che aveva il potere di coprire la distanza di decine d'anni. non voleva ammetterlo, neanche con se stesso, ma era emozionato come un bambino il primo giorno di scuola.
Uscito dal Grande Raccordo Anulare, si immise sulla Statale Flaminia, la via che preferiva. La più tortuosa, vero, la più lenta, niente a che vedere con l'autostrada, o la Cassia, molto più veloci e agevoli, ma volevi mettere la bellezza! Sarebbe comunque arrivato in paese. Il suo paese. O, meglio, non più il suo, visto il tempo che aveva passato lontano. Ormai era, a tutti gli effetti, un cittadino, anche se non proprio un romano de Roma. Piuttosto uno dei tanti burini trapiantati nella capitale del mondo. Quindi, tirando le somme, non più un paesano e giammai un cittadino puro. In pratica senza radici e senza futuro. Un bel cazzo di risultato, c'era di che vantarsene! Il viaggio scivolò via come l'olio. Tenne accesa la radio per fargli compagnia. Il vantaggio della radio, rispetto alle cassette, già, perché lui ancora faceva affidamento su una di quelle anticaglie che si cibavano dei nastri, faceva fatica a disfarsene e ci era affezionato. Il vantaggio della radio, tornando al discorso, era che lei non ti costringeva ad ascoltare. Era una compagna discreta. potevi tranquillamente continuare a pensare ai cazzi tuoi, senza prestarle attenzione, non si offendeva mai.
Giunse all'Arco di Porta quasi senza accorgersene, potenza del riflesso condizionato. dicono che, in ultima analisi, la guida non sia altro che questo. D'ora in avanti, però, avrebbe dovuto procedere con i piedi di piombo, cercando di dissimulare quel fastidioso senso di nausea che lo stava avvolgendo come un putrido sudario. Il maresciallo Giovanni Ferri parcheggiò la sua affaticata autovettura in Piazza del Castello a si diresse, a passo deciso, verso il bar lì vicino, con la speranza... con quale speranza era un mistero anche per lui. Era quasi mezzogiorno, il valzer dei campari, secondo i suoi ricordi, e come da consolidata consuetudine, doveva già essere iniziato. O mancava poco.
"Buongiorno a tutti!" Disse aprendo la porta del locale, lo disse con troppa enfasi, troppa giovialità. Era solo, nessun altro cliente. "E buonanotte al cazzo!" Pensò subito dopo. "Che entrata da coglione. Anzi, peggio, da carabiniere." E pensare che stava in borghese. Per non dare nell'occhio, aveva rinunciato anche a portarsi la pistola, ma appena aveva aperto bocca, si era fatto riconoscere. Coglione! Si insultò ancora mentalmente. Che entrata di merda! Dalla porta del bagno, fece capolino un ragazzotto magro, rasato a zero. Un bel tipo, non tanto alto, magro come un chiodo del dieci, sguardo sveglio e intelligente, e sfoggiava una maglietta dei Clash.
"Buongiorno a lei. Posso esserle utile?" Disse cortesemente il ragazzo.
"E tu chi sei? E che fine ha fatto il sor Francesco?" Domandò il maresciallo, guardandosi intorno per la prima volta. Non era il bar che ricordava. Non era quello della sua adolescenza. Era stato stravolto. Chissà perché siamo portati a pensare che alcune cose non potranno mai cambiare. Soprattutto quelle legate alla nostra infanzia. Soprattutto se questa infanzia si è vissuta in un piccolo, immutabile paese. E non solo le cose, anche le persone, cristallizzate nella memoria come in un incantesimo.
"Non so chi sia il sor Francesco, ma io lo so chi sono: sono Alessandro, faccio il barista, per questo mi trovo qui." rispose sorridendo il giovanotto.
"Scusami, ti devo essere sembrato un coglione. Ma giuro che non è così. Il fatto è che sono moltissimi anni che manco dal paese e, vai a capire per quale stupido motivo, ero convinto di trovare tutto come lo avevo lasciato."
"Niente affatto. Sembri soltanto uno con dei bei ricordi. Non è poca cosa."
"Puoi darmi un Campari corretto con il prosecco, per favore?"
"Sono qui per questo" rispose il ragazzo, iniziando ad armeggiare con le bottiglie.
Buttò giù d'un fiato, pagò ed uscì in strada. Sarebbe tornato più tardi. Ora aveva voglia di fare un giro sulla macchina del tempo. si addentrò pigramente nel dedalo di viuzze, in cerca di visioni, odori, suoni a lui consueti. non riuscì a fare a meno di passare anche davanti alla sua vecchia casa. Quella dove era cresciuto, insieme a sua madre e a quel dettaglio trascurabile che era suo padre. Si fermò, imbacuccato nel suo cappotto di nostalgia, a cercare qualche segno del suo passaggio. Un muro scrostato, una macchia di vernice, una vecchia scritta sbiadita dal tempo, niente, come se non fosse mai esistito. Avevano ridipinto la facciata dell'edificio da non molto, di un orribile giallo smorto, c'erano panni stesi al balcone, di certo non erano suoi, si sentì come sa avesse subito un torto. Era come se fosse stato scippato della sua giovinezza. Salutò con un cenno del capo la sua vecchia dimora e proseguì nel giro di perlustrazione. Incrociò in tutto una decina di persone, non di più. non riconobbe nessuno. Non avrebbe potuto, sette su dieci erano stranieri, il carabiniere, a volte, prendeva il sopravvento sull'uomo. anche qui, in questo buco nero di paese, chissà cosa ci stavano a fare visto che di lavoro neanche l'ombra. Soltanto una decina di anni prima sarebbe stato impensabile. Gente che andava lì a cercare fortuna, cazzo, non fosse stato tragico, sarebbe stato davvero comico. Controllò l'orologio, l'una meno un quarto, era tempo di tornare al bar. sicuramente avrebbe avuto più fortuna, o almeno sperava. fu fortunato, la speranza non fu disillusa, non dovette neanche entrare per constatarlo, Tonino, il suo vecchio amico Tonino, stazionava davanti alla porta godendosi un aperitivo in compagnia di altre tre persone che immaginava di conoscere, ma che non riusciva proprio a riconoscere.
"Ciao, Tonino, come va? Posso unirmi alla compagnia?" Disse emozionato, arrivandogli alle spalle.
Tonino si girò di scatto, era il ritratto dello stupore. Rimase col bicchiere appoggiato alle labbra, sgranò gli occhi, ma non riuscì ad inghiottire neanche un sorso. Squadrò da capo a piedi il nuovo arrivato, per un tempo che sembrava non avesse fine, poi: "Guarda chi ti capita tra capo e collo," Disse "Qual buon vento, Bomba? O preferisci essere chiamato maresciallo Ferri?"
"Cosa? Maresciallo?" Chiese uno degli altri due. quelli di cui proprio non riusciva a ricordare i nomi.
"Già, il nostro amico è un maresciallo della benemerita."
"Uno sbirro!" Disse sempre l'altro, facendosi scuro in volto. Sputò per terra, buttò giù d'un fiato il suo Campari, consegnò il bicchiere al barista e: "Io con gli sbirri non ci bevo!" Grugnì allontanandosi seccato.
"Ti do ragione, neanch'io ci bevo!" Gli gridò dietro il maresciallo, ma l'altro neanche si voltò.
"Complimenti! Sei appena tornato e già hai trovato un nuovo amico. Complimenti vivissimi!" Lo prese in giro Tonino.
"Non è che la cosa mi turbi particolarmente. Può andare a farsi fottere dove vuole."
"Non farci caso, è sempre stata una testa di cazzo! Ordinati da bere, piuttosto." Disse il terzo, mostrando un sorriso privo di parecchi denti.
"E tu, Orco, che ne pensi? Neanche a te piacciono i carabinieri?"
Lo aveva riconosciuto non appena aveva aperto bocca. Quella dentatura fantasiosa e quel vocione sgraziato e cavernoso erano il suo marchio di fabbrica.
"Non particolarmente, Bomba, me se non ce l'hanno con me, facciano pure il cazzo che vogliono. Te compreso."
"Dai, facciamoci un altro giro, offro io. Dopo, se è possibile, se non hai troppo da fare, vorrei parlarti in privato. " Disse ancora il Maresciallo rivolto a Tonino.
"Perdi tempo, fratello, sono pulito!"
"Pulito è una parola grossa, diciamo che ripulito suona più veritiero."
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