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From: Adriano Spatola, Z di zeroglifico, (cardboard folder; set of six silkscreens on cardboard), Campanotto Editore, Udine, 1981, Edition of 100 [Fondazione Bonotto, Molvena (VI). © Adriano Spatola]
#art#poetry#concrete poetry#visual poetry#visual writing#folder#cardboard#cardboard folder#adriano spatola#campanotto editore#1980s
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Dentro la natura, oltre la realtà: Lucia Boni a Porto Viro con "Custode di dune"
La visionarietà come «capacità di vedere dentro le cose tangibili», mettendosi in ascolto della realtà, della natura. È, questa, una delle riflessioni che Lucia Boni, scrittrice e poetessa ferrarese, fa emergere dal suo libro “Custode di dune��� (Campanotto editore, 2018), un dialogo in prosa a due voci. Libro presentato la sera del 9 giugno scorso nel suggestivo Parco “Le Dune” di Porto Viro…
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20 giugno, macerata: presentazione di "presentimenti del mondo senza tempo. scritti su emilio villa", di aldo tagliaferri + mostra "verbovisioni"
20 giugno, macerata: presentazione di “presentimenti del mondo senza tempo. scritti su emilio villa”, di aldo tagliaferri + mostra “verbovisioni”
Lunedì 20 giugno, alle ore 19:00, nel contesto del festival La punta della lingua 2022, presso la Libreria Catap – a Macerata (piazza Mazzini 63c) Emilio Villa. Tra Labirinto e Sibilla Presentazione del volume Presentimenti del mondo senza tempo. Scritti su Emilio Villa di Aldo Tagliaferri a cura di Gian Paolo Renello, Argolibri, 2022, Intervengono: Gian Paolo Renello, curatore del…
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#Aldo Tagliaferri#Andrea Balietti#Argolibri#Campanotto#Carlo Marcello Conti#Catap#Collezione Campanotto#Emilio Villa#Emilio Villa. Tra Labirinto e Sibilla#Fabio Orecchini#Gian Paolo Renello#Giulio Segato#Giuseppe Sterparelli#intervista#La punta della lingua#Lamberto Pignotti#Libreria Catap#Macerata#Poliarte Accademia di Belle Arti Design#presentazione#Presentimenti del mondo senza tempo. Scritti su Emilio Villa#scritture di ricerca#scritture sperimentali#Verbovisioni
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#giovanni fontana#il corpo denso#campanotto editore#poesia#poesia visiva#poesia concreta#uh magazine
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https://weserburg.de/en/centre-for-artists-publications/publications/
Artists’ Books for Everything
This Publication documents the project Artistsʼ Books for Everything, in the Centre for Artistsʼ Publications, Weserburg Museum of Modern Art., 2.06. – 6.08.2017. The catalogue contains illustrations of 401 artists’ books, sent in response to the international Call for Artists’ Books of the Centre for Artists�� Publications, as well as a completed questionnaire on each book in facsimile. The project was held in connection with the two-semester seminar Künstlerbücher in Theorie und Praxis at the University of Bremen, Institute of Art Science and Art Education.
The publication was generously funded by Stiftung Kunstfonds.
Text: Dr. Anne Thurmann-Jajes Design and layout: Nicolas Pommier, Lyon Ed.: Anne Thurmann-Jajes, Centre for Artistsʼ Publications, 2019
ISBN: 978-3-946059-14-1
29,7 x 21 x 3,3 cm, 848 pages, with 401 full page illustrations, (German/English)
Incl. My work .. Ricevuto ieri!! Grazie Inga e Carlo Marcello Conti (Campanotto Editore - Zeta Rifili 335) Catalago poesia visiva 2013 dopo due exposizione a Treviso e Feltre (Italia)
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enzo minarelli - polipoesia mon amour
#enzo minarelli#polipoesia#mon#amour#CD#poetry#spoken word#ambient#music#italy#campanotto#editore#cover#cover art#artwork#design#album cover#graphic design#red#soundpoetry#losprimeros
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Intervista ad Antonio Trucillo
Il poeta che andiamo ad intervistare è Antonio Trucillo, nato a Napoli nel 1955 e vive a Minori (SA), sulla costa di Amalfi, dove insegna. Suoi testi sono apparsi su riviste e quotidiani: «Letture»; «clan-Destino»; «Nuovi Argomenti»; «Il Mattino di Napoli»; «La Repubblica»; sul blog «Nazione Indiana» e sulle rassegne on-line «Pangea» e «Formicaleone». È presente nel Dizionario critico della poesia italiana 1945-2020 (SEF, 2020), a cura di Mario Fresa. Traduce dal francese e dall’inglese. In volume ha pubblicato, le raccolte di poesia: Ko an di Aziz (Ripostes, 1982); Il mercato bianco (Lalli, 1985); Notizie dell’unicorno (Edizioni del Leone, 1989); Teofanìe (id., 1990); Anche nei villaggi (Campanotto, 1995); La nuvèla (Marietti, 2011); Nella luce di un giorno di paga (Edizioni Ensemble, 2017); Un’idea di bene (Ladolfi, 2019); Destino de la Garisenda (Oèdipus, 2020, premio “Rubiana - Dino Campana”, 2021). Nel 2020, presso Ensemble, è uscito il suo primo volume in prosa, Presso il re moro. Per lo stesso editore, nel 2021, ha curato La ghirlanda nunziale di lettere del mistico indiano Ramana Maharshi. * Vana da questa terra c’è l’aria e i simboli che fanno l’eco, andava dove il tempo andavae moriva. Io, l'odore del sonno, perché se piove è il sonno che quieta la terra, i corpi... se fosse anche il mio sonno e fossi come una volta. (da Un'idea di bene, Giuliano Ladolfi Editore, 2019, p. 79) Come ti sei avvicinato alla poesia? Ero molto piccolo. Leggevo tutte le poesie che trovavo sui libri di scuola. Le imparavo a memoria. Pascoli, soprattutto, ma non solo. Poi la mia passione è diventata la musica: il rock, il blues, Bob Dylan e Leonard Cohen di cui traducevo i testi, a modo mio, senza conoscere una parola degli originali. Verso la fine degli anni ’70 cominciai di nuovo a scrivere qualcosa che somigliasse vagamente alla poesia. Sull’onda dei Beats, Ginsberg e Burroughs su tutti. E nel 1982 pubblicai a mie spese il primo libro di poesie “Ko an di Aziza, reduce da viaggi in Marocco, Egitto e India e da una breve permanenza a Casablanca come insegnante nella scuola italiana. Un tributo ad Allen Ginsberg, molto ingenuo ma pieno di passione. Se i critici più bravi e più esperti di me, affermano che la poesia (o l’opera d’arte) si compie nella interpretazione, secondo te che ruolo ha la critica? La critica ha un ruolo importante ma ‒ credo ‒ non fondamentale. Può chiarire, aprire, perfino illuminare un testo. Ma forse la poesia basta a sé stessa. Che cos’è la critica per un poeta? E per te? Credo che per un poeta sia, in ogni caso, un punto di riferimento indispensabile. Anche per me. La mia vanagloria si manifesta quando qualche critico o poeta-critico mi dice qualcosa che posso commentare così: «Ha ragione, ha proprio capito!». Posto che non si riesce mai a definire una poesia, principalmente perché racchiude in pratica in sé tanti canoni diversi, da poesia a poesia, addirittura da verso a verso, tentiamo almeno di definire che cos’è un poeta o chi è un poeta. Francesco Iannone, nella prefazione al tuo volume, Un’idea di bene, ci dice che è «sangue e alluvione, arteria e flusso, ossigeno e respiro». Ma che cos’è o chi è per te un poeta? Un poeta è uno che o è poeta per 24 ore al giorno o non lo è. È un mestiere difficile. Non esiste “distrazione”. La poesia è l’espressione della profondità e della concentrazione che tu hai nei confronti della realtà. Anche se non è necessario essere profondi per essere poeti. Ci sono poeti, per così dire, “futili” che sono grandi poeti. Non è il mio caso. Non sono un grande poeta, senza dubbio, ma posso dire altrettanto di non essere futile. A proposito di Un’idea di bene, da cui abbiamo estratto la poesia che dà inizio a questa intervista. Emerge in esso che il bene si può ricavare a partire dalle parole, dalla disposizione dei linguaggi, ovvero dalla comunicazione tra i viventi, oggi alquanto decaduta: «Ma ora la vita è più acuta, / si fa nuda / sotto lo sguardo, ecco, una luce / occidentale, un’idea che si può / toccare, un’idea materiale, un’idea / di bene». Ma che cos’è per te il bene? Come si rapporta con la tua esistenza? Ecco un caso in cui il critico vede meglio dell’autore e scoperchia tutto un mondo. Per me il bene è proprio questo: la disposizione delle parole, la sovversione del linguaggio, la comunicazione tra i viventi. Sono le conseguenze di comportarsi in una certa maniera, con un atteggiamento di humanitas, di compassione, di comprensione. E la poesia è un bene o una dannazione? Una “regina” o una “schiava” in questa nostra società? Per me la poesia è un bene, comunque la si pensi. Può cambiare il mondo? Non lo so, ma certamente ha anche una funzione di donare quiete, appagamento, riposo, tregua. Dalla tua biografia noto che scrivi anche in prosa. Qual è ‒ secondo te ‒ la situazione della prosa, del romanzo in Italia? Fino a una decina di anni fa, leggevo molta narrativa italiana. Oggi ho smesso quasi del tutto. Francamente mi sembra tempo perso. Preferisco leggere cose che mi sono perso o classici riconosciuti come tali. Non vedo granché nel panorama letterario italiano. Si va per i premi e per vendere. Odio il concetto: Ho voluto raccontare una storia… Lasciamolo alle “Mille e una notte”, è molto meglio. Abbiamo parlato di un’idea di bene. Non possiamo esimerci ora dal parlare anche di gioia ‒ diciamo, per par condicio ‒ (un po’ azzardato ‒ mi rendo conto ‒ in questo preciso momento storico, tra la pandemia e una guerra assurda alle porte dell’Europa, praticamente di casa nostra), citando un altro tuo testo, Commentario a una specie di gioia, pubblicato con Oèdipus, del nostro corregionale e compianto amico Francesco Forte. Insomma: qual è questa specie di gioia che pare tu abbia individuato? Forse ne «I tram con il mare dentro / la trasparenza delle cose / sghembe come se lo stesso mare si sfrangiasse / in molte superficie o come se gli stessi tram - / aggeggi futuribili – si sfrangiassero / nella riviera verde» della tua bella Minori? Minori - Panorama È forse anche questo, cioè la vita nei suoi minimi dettagli ma, come ho detto prima, queste esperienze devono tradursi in qualche modo in poesia. La mia poesia cerca riposo, uscita dal dolore, mira, appunto, a “una specie di gioia”. C’è stato qualcuno che devi o vuoi ringraziare per averti dato, che so, dei consigli di come muoverti nel tuo percorso artistico? Insomma, c’è un modello che hai seguito o che segui? Non ho frequentato e non frequento abitualmente molti poeti o critici. Confesso che un po’ mi annoia. Preferisco le chiacchiere da bar e non me ne vergogno. I miei maestri sono stati i grandi poeti e i grandi scrittori: Bernhard, Handke, Céline, Singer, Dante, i poeti delle Origini, Leopardi, Montale, Hopkins, Lorca, Walser, la Ortese per citarne solo i primi che mi vengono alla memoria, alla rinfusa. Che cos’è per te l’amicizia? È fondamentale. So di dire una banalità ma fa lo stesso: ha la medesima importanza dell’amore. Cosa distingue l’uomo dal poeta? Ah no, è la stessa cosa, non sono inscindibili. Bisogna essere poeti anche quando si beve il caffè. Ti sei mai occupato di politica? Che idea hai della politica? Da giovane molto. Sono stato militante a sinistra. Sono sempre stato comunista e lo sono ancora. Come dice Saramago, è un’idea troppo bella per essere abbandonata. E della guerra in corso tra Russia e Ucraina? Credi che inviando armi agli ucraini, sanzionando economicamente i russi, accettando le richieste di entrare nella Nato di Svezia e Finlandia, due nazioni ai confini del conflitto in corso, siano scelte politicamente giuste o sono altre le strade per risolvere questo conflitto? No, credo che le due parti debbano entrambe abbassare le pretese. Solo così se ne esce. Occorre assolutamente una mediazione, un riconoscimento da parte di entrambe le parti. Inviare armi vuol dire allungare i tempi della guerra. Altri morti, più povertà, più arricchiti. Mi indigna il comportamento dei media italiani e di tutta Europa: nessuna voce discorde. Pensiero unico, come ormai in tutti i settori. Torniamo alla poesia, quelli di cui sopra sono decisioni che spettano ad altri. Cosa cerchi nella poesia? Quali sono gli argomenti alla base dei tuoi intenti? Il compito della poesia è comprendere la realtà. Tutta. In che modo? Non c’è una ricetta. Se è poesia, qualcosa del mondo è più chiaro, un po’ di oscurità se ne va via, i cieli diventano più tersi. Oggi il compito della poesia sembra un’auto-celebrazione. Sembra che i poeti non abbiano più nemici da contrastare. Troppi poeti della domenica, o sempre le stesse facce (poche) alle presentazioni di libri o letture poetiche; troppe poesie tutte dello stesso tono. Insomma: sembra esplosa in piccoli clan, e non sempre collegati tra loro, neanche nella stessa città. Qual è la tua opinione in merito? Sono d’accordo. Ripeto, frequento pochissimo l’ambiente letterario e uno dei motivi è proprio questo, quest’aria di autocelebrazione, questo tono da “primi della classe”, questa spocchia risibile di appartenere a una qualche conventicola. La tua scrittura segue delle linee o delle correnti culturali specifiche? Non credo. Certo, ci sono poeti italiani che mi piacciono molto e che sicuramente mi hanno influenzato. Penso al secondo Viviani, a Cesare Greppi, a Scarabicchi, a Marotta, ma, di fondo, ho l’ambizione di percorrere una mia propria strada. In letteratura si può incontrare l’amicizia, cioè fidarsi dei “colleghi”, o il poeta e lo scrittore sono destinati ad affrontare le problematiche in perenne solitudine? Il poeta è solo, sempre. Un consiglio per i giovani che si apprestano ad entrare nel tortuoso mondo della scrittura creativa. Leggere tutta la poesia possibile e immaginabile. Senza conoscere la poesia è vano e inutile mettersi a scrivere. La poesia non è uno sfogo. Sembra che oggi la poesia non venga presa con la dovuta serietà, finendo per essere un “passatempo”. Quanto prendi sul serio la poesia? Molto, moltissimo. Ciò non toglie che parlare di poesia, come ho già detto, spesso mi annoia. Oggi, con la crisi dell’editoria pubblicare un volume non è semplice: le grandi case editrici non ti filano se non sei legato alla politica o a risorse economiche; per di più le piccole (non tutte, per fortuna!) ti chiedono contributi economici, spesso esosi. Hai riscontrato difficoltà editoriali durante il tuo percorso poetico? All’inizio molto. Da qualche anno di meno. Ho trovato un paio di piccole case editrici “di buona volontà”, molto attente e attive, per fortuna. Oh lasciami ricordare, a questo proposito, una persona che non c’è più e che ha fatto moltissimo per l’editoria e per la poesia: Francesco Forte, che hai citato più sopra. Ci sentivamo per telefono ogni lunedì. Grande intellettuale, uomo di grande umanità. Avrebbe meritato una dimensione quanto meno nazionale. Mi manca molto. Se dovessi paragonare la tua poesia a un poeta famoso, a chi la paragoneresti e perché? Quale affinità elettive ci trovi con la tua poesia? So di meritare la fucilazione. A Dante. Ma poiché l’ho sparata grossa dico a Guittone d’Arezzo che, d’altra parte, Dante non amava. Cosa pensi dei libri digitali? Possono competere con l’editoria tradizionale, cioè con quella cartacea e perché? Non ne so quasi niente. So soltanto che io sono un accumulatore quasi patologico di libri e che non ne potrei fare a meno. Certo con gli e-book si guadagna un sacco di spazio ma io non saprei che farmene. E dei premi che idea ti sei fatto? Quale beneficio può arrecare un premio, ammesso che rechi benefici? Ho vinto il premio Rubiana-Dino Campana e sono stato rimproverato perché non sono andato a ritirarlo. Forse alcuni premi hanno una loro importanza e dubito molto su eventuali rilevanti benefici. Intendevo benefici culturali. Comunque, andiamo avanti. È risaputo che al giorno d’oggi si legge molto poco; gli autori, che siano poeti narratori o saggisti, a giusta ragione si lamentano di questa inedia. Ha mai cercato di dare una spiegazione a questo fenomeno? La lettura è qualcosa di faticoso. Racconto la mia esperienza. Avevo sette-otto anni ed ero già attratto dai libri. Ho dovuto fare una dozzina di tentativi per riuscire a finire lo “Schiaccianoci” di Hoffman, un vero capolavoro. Da allora non mi sono fermato più. È colpa dell’editoria che sforna libri scadenti o c’è qualcosa di più profondo in questa crisi di lettura? A proposito di editoria: c’è qualche editore non a pagamento che consiglieresti a chi si appresta a pubblicare e qualcuno da tenere alla larga, specie se a pagamento? Consiglio le Edizioni Ensemble di Roma. Molto intraprendenti e attivi. Poi c’era Oèdipus ma purtroppo Francesco Forte non c’è più. Sconsiglio, ma solo per esperienza personale, Pequod (a suo tempo con me scorrettissima) e Manni, che utilizza il doppio canale (chi è “famoso” non paga niente, altrimenti per pubblicare occorre un mutuo. Quel che avviene da Guida editore ‒ riferendoci a un editore a Napoli ‒ e lo so per esperienza personale. La soddisfazione maggiore – se c’è stata – che hai raccolto nel mondo letterario? Quando qualcuno mi ha detto che sono un poeta autentico. È sufficiente. E quella ancora da venire? Forse essere un po’ più conosciuto, non so, un po’ più considerato. Ma solo un po’. Giuro. Hai una ricetta per far uscire la poesia dallo stato comatoso in cui versa? Occorrerebbero più operatori culturali all’altezza, più critici onesti e disinteressati, più case editrici disposte a leggere e a giudicare la qualità, più distribuzione. E anche tanto altro ancora. In conclusione: quali programmi hai in cantiere? Mah, ho un libro in lettura che spero sia preso in considerazione per una pubblicazione. Se così avverrà, sarà la mia ultima cosa. Ho sessantasei anni. Non ho più l’energia. La poesia è anche buona salute. È proprio vero. Lontano da ogni patetismo, vorrei dedicare quanto mi resta alla traduzione di “The Wreck of the Deutschland” di Gerald Manley Hopkins. Un libro straordinario. Troppo avanti per i suoi tempi. Imprescindibile per ogni poeta. Read the full article
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Dovremmo sedere attorno alle cose alla loro vera posizione come dei messaggeri su un vecchio sentiero che riposano come gente che conosce ciò ch’è scritto senza la finzione che muove la voce dovremmo ristabilire la gravità che porta al centro non questo fracasso di strade che barcolla, con ancora il mattino incastrato fra i denti e si raccoglie agli angoli, attende l’agguato mentre il rumore di passi esita intuisce l’errore e la difesa ci costringe ad arretrare che stiamo qui, adesso che c’è poco spazio e i corpi stanchi sfregano consumano dimenticano
Stefano Lorefice da L’esperienza della pioggia, Campanotto 2006.
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“Dì ciò che il fuoco esita a dire, e muori d’averlo detto per tutti”: René Char e Paul Celan, poeti dell’impossibile. Dialogo con Marco Ercolani
“Siete uno dei rari poeti con cui vorrei incontrarmi”, gli scrive, due giorni dopo, nel luglio del 1954. Paul Celan gli aveva descritto l’“angosciata speranza che domina i miei rari incontri con la Poesia”, confessando il desiderio, “senza disturbarvi”, di incontrarlo. Segue, appunto, la risposta di René Char. A quella vertigine d’anni Char ha già pubblicato Feuillets d’Hypnos e Fureur et Mystère; Celan ha dato Papavero e memoria – che dedicherà “A René Char, che mi ha aperto la sua porta” – e lavora a Di soglia in soglia. Leggo queste lettere, il riconoscimento di poeti che sondano l’inconosciuto del linguaggio, che sono penetrati nel fiammeggiare del verbo, e mi commuovo. Ci sono incontri, in effetti, che mutano l’asse terrestre. I libri importanti, oggi, vanno cercati, tra le ombre. Le edizioni Carteggi Letterari hanno pubblicato, per la cura di Marco Ercolani, L’archetipo della parola. René Char e Paul Celan, testo di lucente necessità. Il libro presenta un florilegio di testi poetici di Char e di Celan (per le traduzioni di Francesco Marotta, Pasko Simone, Viviane Ciampi, Anna Maria Curci, Mario Ajazzi Mancini), e alcuni saggi di granitica necessità (di Peter Szondi e di Maurice Blanchot, una intervista di Jacques Derrida, la testimonianza di Peter Handke, “Allora ho osato tradurre René Char, e mentre lo facevo ho riletto i presocratici, in particolare Eraclito. Il mio lavoro di traduzione non si è mai svolto a casa, sul mio tavolo: la soluzione – sì, era una soluzione, un chiarimento – mi è sempre venuta stando fuori, davanti alla casa, e sempre mentre camminavo, specialmente su e giù nel giardino, mai quand’ero seduto, spesso fermandomi di colpo e ridendo, sempre in pieno sole”). A me pare un libro bellissimo, nella clandestinità editoriale, opera di chi, fuori dal cappio economico, presta il tempo e l’intelligenza al decisivo, al salvifico. Nel suo lavoro di cucitura, Marco Ercolani dichiara il gesto poetico, stratosfericamente esemplificato da Char e Celan, come “esperienza dell’impossibile”. In questo modo va letto l’altro suo libro, anamnesi della generosità, Fuochi complici (Il Leggio, 2019), in cui Ercolani raccoglie l’esito di una lettura decennale, l’incontro con poeti più o meno celebrati, nel sigillo della meraviglia. “Il poeta, da sempre, mette al centro della scena il dissolversi del mondo e il dolore della bellezza che svanisce, del tempo che ci ruba la vita”, scrive Ercolani, che s’immerga con stupefacente candore nella lirica, senza il peso della catastrofe e del pregiudizio. Consapevole della fragilità del verbo, dell’alfabeto d’ombra e di fiamma della poesia, parola gettata a destinatari inauditi, dalle cui palpebre si fanno culle, amaca al mostro. (d.b.)
Cosa ti ha portato a Char e a Celan, al loro intreccio, di poeti letali e liminali, nell’adozione di una lingua che sfida il nascosto e sfida l’inaudito, l’in-detto, l’indeciso e l’indecifrabile, eppure, per l’esistere, quasi opposti?
Quando avevo poco più di vent’anni, in una rivista genovese pubblicavo un saggio dedicato proprio a René Char e Paul Celan, con Osip Mandels’tam i poeti decisivi della poesia contemporanea, e lo intitolavo Poesia per una fine. Mi sono accorto, con il passare degli anni, che entrambi sono le due facce di una stessa medaglia: l’enigma petroso di Char non poteva che convivere con il folle affanno di Celan. Uno stesso mistero declinato da due versanti diversi, quasi opposti. E ho capito che la loro poesia non mi parlava di una fine” ma, al contrario, di un “inizio”, del quale discutere ancora oggi.
Del libro (“L’archetipo della parola”) vedo e apprezzo il lavoro comune, una comunità del limite. Come sono stati scelti i testi, e dove ti sei introdotto, tu?
Nel blog “La dimora del tempo sospeso”, curato da Francesco Marotta e Antonio Devicienti, ho scoperto ottime traduzioni di Char dello stesso Marotta, e lo splendido lavoro di Annamaria Curci, traduttrice di Celan e Szondi. Ho chiesto a Giuseppe Zuccarino traduzioni da Blanchot, Derrida, Handke. Lucetta Frisa ha ri-tradotto una poesia di Eluard dedicata a Char per i “Cahiers de l’Herne”. Io stesso ho scelto una breve antologia di lettere che testimoniassero l’incontro reale dei due poeti, e ho composto un saggio su Char. Più che una “comunità del limite” ho trovato una “comunità dei senza comunità”, in senso batailliano: delle persone capaci di partecipare a un lavoro collettivo che testimoniasse l’inutile e indispensabile bellezza della poesia, in un clima di sorridente e tragica “dépense”. Natalia Castaldi, direttrice di “Carteggi letterari Edizioni”, ha sostenuto con entusiasmo il progetto editoriale.
In forma di premessa dici: “Char e Celan sono interpreti di quell’esperienza dell’impossibile che è e sarà sempre la poesia”. Mi pare una poetica in pillole. Spiegala.
La sentenza di Char: «Dì ciò che il fuoco esita a dire, e muori d’averlo detto per tutti» è già un’indicazione che sgretola l’ego del poeta. La poesia deve innalzarsi e andare oltre di sé, come scrive Bonnefoy: «L’uccello varca il canto dell’uccello ed evade». L’enigma della poesia è essere “fuori di sé”, è costruire le forme di questa “evasione” con esattezza. Non vivere la pienezza del canto ma la sua radice, che è grido: e, in quanto grido, sperimentare l’impossibilità della parola di descrivere il suo oggetto. La poesia è stare ai margini dell’afasia, davanti a qualcosa che ammutolisce il linguaggio. Il suo stupor crea e reinventa con le parole le forme del suo stupore. Il poeta ha un solo dovere: fondare limiti nuovi al linguaggio poetico che esprime il dissolversi di ogni limite. Afferma con potenza Novalis: «La poesia è il reale veramente assoluto».
Come si salda quella tua poetica ‘dell’impossibile’ con gli autori con cui sei entrato in sintonia in “Fuochi complici”, e cosa intendi dunque per complicità (essa non è, in fondo, implicita nell’atto di lettura)?
Sono convinto, da lettore, che la complicità sia parte integrante dell’atto di lettura. In Fuochi complici sono entrato in personale sintonia con cento libri, in versi e in prosa, scritti tra il 2001 e il 2019 da cento poeti italiani, nati fra il 1929 e il 1985, dove il sigillo dell’autenticità si accorda alla logica interna del testo, e ne ho tratto delle mie note di lettura (il termine “note” rammenta sia l’idea del segno musicale sia la brevitas dell’annotazione). Questo libro-atlante, non classificabile e non esaustivo, condotto per gusti, analogie, assonanze, mi ha persuaso che la poetica dell’impossibile, di cui parlo, è il desiderio di trovare sempre, nell’atto poetico, nell’azzardo di una voce, quella felice ulteriorità, sintattica e tematica, che rompa gli schemi di una poesia innocua, banale, prevedibile – quella poesia tout court che Lev Lunc già ridicolizzava negli anni delle avanguardie russe.
Insomma, vorrei dirti, dato il frutto di una lettura proficua e ventennale: come sta la poesia italiana del nuovo millennio? Lo chiedo a chi, al di là di nichilismi assolutori (tutto fa schifo) e di bieco ottimismo (siamo nel migliore dei mondi lirici possibili) legge al cuore dell’alterità totale del poeta.
La poesia contemporanea non sta male. Molte voci la abitano, e testimoniano uno sguardo non allineato, “altro” rispetto a una visione comune. È sorprendente scoprire come in molti poeti, naturalmente ignoti alla maggior parte dei lettori, ci sia una libertà di sguardo transgenerazionale. Difficile, nella marea dei libri pubblicati, è operare una selezione e “trovare” quegli autori che ci convincano a leggere il loro libro senza provare la noia del già visto, del già letto. Trovarli è già una gioia. Un libro come Fuochi complici ha la presunzione di averne scoperti alcuni, e vorrebbe anche sottrarsi alla domanda implicita in ogni libro antologico: «perché hai scelto quei poeti e perché hai trascurato quegli altri?». La risposta è semplice: gli autori di cui parlo si accordano ai miei gusti, e cercano la “dépense”, l’alterità, il rischio, la sincera originalità del dettato, seguendo una musica interiore a me consona e una profonda dedizione esistenziale al fenomeno “poesia”. Aspetto, sempre e comunque, di leggere nuove voci presso nuovi editori, perché rinasca il desiderio di comporre un ulteriore libro sui poeti e sulla poesia, come già accadde per Fuoricanto, pubblicato nel 2000 da Campanotto, e Vertigine e misura, apparso nel 2008 per le edizioni La Vita Felice.
A un giovane, poco avvertito e con molta voglia (ne è pieno il tempo, oggi): che libro di poesia gli consigli, che poeta gli dai, per avventurarsi nell’avventato?
Due nomi: Lorenzo Calogero, poeta del sonnambulismo interiore, e Bartolo Cattafi, creatore di immagini materiche: due classici sommersi e diversi ma sempre fecondi, letti nella totalità della loro opera. Per la poesia contemporanea italiana molti sarebbero i nomi da fare, ma scoprirli da soli, per un lettore giovane, sarebbe già un bel viaggio, orientati dal web. Chi legge va sempre verso i suoi simili. Pronuncio appena qualche nome: Antonella Anedda, Lucetta Frisa, Massimo Morasso, Alfonso Guida, Ilaria Seclì.
*In copertina: René Char (1907-1988)
L'articolo “Dì ciò che il fuoco esita a dire, e muori d’averlo detto per tutti”: René Char e Paul Celan, poeti dell’impossibile. Dialogo con Marco Ercolani proviene da Pangea.
from pangea.news http://bit.ly/2VnEr22
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TRACCE DI SENSO: L’esperienza della pioggia di Stefano Lorefice, Campanotto Editore, Udine, 2006
Stefano Lorefice
di Gianluca D’Andrea
L’esperienza della pioggia di Stefano Lorefice, Campanotto Editore, Udine, 2006
La necessità etica che il linguaggio porta in sé, caratterizzando l’essere umano come entità scissa, separata da se stessa e dal mondo, trova conferma in molte operazioni condotte da autori “giovani” (categoria abusata, mi si perdoni l’uso del termine che in questa sede sembra…
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#Gianluca D&039;Andrea#L&039;esperienza della pioggia#Recensioni#Saggi e riflessioni#Stefano Lorefice
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From: Adriano Spatola, Z di zeroglifico, (cardboard folder; set of six silkscreens on cardboard), Campanotto Editore, Udine, 1981, Edition of 100 [Fondazione Bonotto, Molvena (VI). © Adriano Spatola]
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“Oltre lo sguardo, più in fondo, più lontano”: Custode di dune” di Lucia Boni “Custode di dune” è il nome dell’ultima fatica letteraria di Lucia Boni, edita da Campanotto editore. La poetessa lo presenta oggi pomeriggio, domenica 25 novembre, al MAF-Centro di documentazione del Mondo Agricolo Ferrarese di San Bartolomeo (via Imperiale, 263).
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editori di poesia, postpoesia? chi? dove? (una nota disordinata)
editori di poesia, postpoesia? chi? dove? (una nota disordinata)
Il panorama degli editori che si occupano di quelle scritture idiomatiche/singolari che intendono registrare in maniera imprevista e particolare il passaggio del senso; ossia il panorama degli editori di poesia (o postpoesia) è ormai da tempo in mutazione assai profonda. Garzanti ha quasi abbandonato il campo, parrebbe, o per anni è stata semi-muta; mentre va detto che sono solo motivi di…
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Renato Barilli, “Enzo Minarelli. Il polipoeta”, Campanotto Editore
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From: Adriano Spatola, Z di zeroglifico, (cardboard folder; set of six silkscreens on cardboard), Campanotto Editore, Udine, 1981, Edition of 100 [Fondazione Bonotto, Molvena (VI). © Adriano Spatola]
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Giancarlo Pavanello, Versi liberi e sonetti, (cardboard folder containing 6 silkscreens on cardboards), Campanotto Editore, Udine, Edition of 60 signed and numbered copies [Fondazione Bonotto, Molvena (VI). © Giancarlo Pavanello]
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