Sugli ultimi Napalm Death
Senza snobismi, ma quelli che parlano un po' a ruota libera dei Napalm Death perché a un certo punto si sono ammosciati, si sono inghippati in un suono modernista molto Earache fine anni 90, non hanno lasciato il segno cominciando a incidere dischi belli ma certamente non epocali (e fagliene pure una colpa), oppure si sono rivelati troppo ingenuamente desiderosi di battere strade nuove… non sanno o fingono di non ricordarsi che il vero capolavoro del 2000, quell’Enemy of the music business che ancora tira giù un palazzo, non solo fu salutato come un attesissimo e doveroso ritorno alle radici del sound (quando le radici, a ben vedere, erano state in parte potate già all’altezza del terzo disco, quindi di che radici parliamo?), ma, se possibile, fu capace di proiettare l’intero sound deathgrind verso la modernità.
Oggi un po’ tutti suonano così, basti sentire le derive grottesche dei Cattle Decapitation, fin troppo estremi per adeguarsi allo stile dei brummies ma chiaramente debitori di quel sound. Eppure all’epoca quel disco piacque veramente a tre persone, gli altri (maggioranza schiacciante quanto silenziosa) sorridevano di un sorriso pieno di pietà e affetto manco fosse la reunion dei Judas Priest, atteggiamento che ho sempre trovato superficiale e familista, ma l’impressione fu comunque che non avessero ascoltato il disco da cima a fondo. Ma, che volete, siamo metallari e ci si perdona ogni cosa, soprattutto se si considera che all’epoca la difesa dell’ in-group metallaro era un discorso che non eravamo pronti a criticizzare esplicitamente perché troppo impegnati nel metterlo in pratica esercitando un gatekeeping strenuo indotto dalle provocazioni nu metal e melodic death.
Mi sento di dire allora che il vero danno l’ha fatto il passaggio a Century Media: se Order of the leech ancora andava bene, anzi rincarava la dose aggiungendo un feeling più caotico (qualcosa alla Anaal Nathrakh, in cui Shane Embury avrebbe pure suonato per un breve periodo) alla formula del disco precedente, al tempo stesso apriva a produzioni un po’ troppo pompate, compresse, molto normie, insomma un po’ nello stile più classico dell’etichetta.
Poi, complice la dipartita di Pintado (RIP), rimasta la sola chitarra di Harris, le formule dei dischi successivi, al netto delle tracce più volutamente sperimentali (e per questo skippabili), la band ha virato verso un grind dal riffing più thrash metal, molto energico, tiratissimo ma un po’ troppo logorroico, senza contare qualche deriva, diciamo noise, che nelle intenzioni vorrebbe riportare ad intro e outro di FETO, nei fatti sono schiuma del tutto inutile.
E così ogni due anni un disco sempre sulla stessa falsariga, fino agli ultimi che la critica ha incensato senza ovviamente capirci un tubo, perché grind è quel genere che dovrebbero apprezzare i punk ma che alla fine venerano quasi solo i metallari.
Forse il vero problema è che un vero brutto disco i nostri non l’hanno mai inciso, ma da quando hanno smesso di dire qualcosa di veramente utile alla causa, i dischi hanno cominciato a dolermi sin dall’acquisto, obbligato purché fossero i Napalm Death.
Riesco ancora a ricordare l’amaro in bocca: ero ancora all’università e quell’anno usciva The code is red. Il primo riff della traccia d’apertura diceva tutto: thrashcore accompagnato da rullate vertiginose, seguite da un blastbeat pazzesco. Nulla di deludente ma anche qui, ribadisco, cattive scelte di produzione, non tanto di scrittura.
Non so dove volevo portarvi ma, opinione personalissima, avrebbero potuto essere i nuovi Jello Biafra, hanno preferito riempirsi di passatempi un po’ egocentrici. O magari servire la causa facendo un po' di scouting, creando festival, alimentando legami tra l'underground e la militanza ecologista e animalista… niente di tutto ciò: Hanno preferito perseguire un ideale di band troppo novecentesco per reggere agli anni che avanzavano, che però, incredibile a dirsi, non sembrano averli danneggiati nel fisico e nello spirito, forse solo nella creatività.
E allora sempre lunga vita ma forse è davvero tempo di bilanci.
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Chiedimi se sono felice è un film stupendo, perfetto
Pensare che è di 24 anni fa e rivederlo sta sera è sempre così emozionante, divertente, poetico, intelligente, sorprendente
Senz'altro uno dei migliori film del trio AGG.
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