Il posto dove non sdrammatizzerò i miei problemi con battute effettivamente divertenti, in cui sarò senza filtri e senza paura di offendere nessuno. Il posto in cui posso includere tutti i dettagli e i pensieri da sottona che mi faccio continuamente. L'unico posto in cui mostro la me vulnerabile, dolce e schifosamente romantica e sognatrice. Il mio posto per fingere di seguire il mio vecchio sogno di diventare scrittrice..
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Recap?
E’ ironico che io riesca a scrivere qui l’ultimo giorno dell’anno. Da quando sono tornata nella mia città natale per le feste ho procrastinato questo blog un sacco di volte. Oggi, però, mi sento di scrivere. Non perché sia successo qualcosa, non perché voglia fare il resoconto di quest’anno, ma perché mi sento estremamente depressa. Sono quasi le 13 e ho dormito tutta la mattina, nonostante non avessi sonno. I miei mi hanno proposto di fare una passeggiata sul mare più volte e per quanto mi piaccia l’idea e voglia farlo, non riesco a farlo. Forse è così che ci si sente ad essere clinicamente depressi. Io non lo sono, o almeno non penso. Raramente ho questo tipo di giornate, ma sono arrivata al punto da essere satura di qualsiasi cosa intorno a me. Non esco e non vedo i miei amici dal 23 dicembre, sono chiusa in casa con persone che mi trattano ancora come una bambina, o che comunque continuano a dirmi cosa fare, e voglio solo tornare a Roma. Non sono più abituata ad avere persone che mi diano istruzioni o che mi impongano di togliere la mia roba di mezzo, sistemare la mia camera, e cazzate così. Ormai sono abituata a farlo con i miei ritmi, e questa situazione mi sta facendo impazzire.
Come se non bastasse, non vedo Milo da settembre, e ci rivedremo a metà gennaio perché verrà a trovarmi, ma mi sono stancata. Mi sono stancata delle nostre conversazioni, mi sono stancata di non vederlo, mi sono stancata di alimentare una passione che è palese non esserci più. Non perché è svanita, ma perché si è assopita: come tieni qualcuno interessato solo per messaggi? Soprattutto quando non c’è chissà quale relazione duratura alle spalle. La verità è che non puoi. E mi sorprende che lui sia ancora dell’idea di continuare questa “cosa,” non si può chiamare in nessun altro modo. Almeno, lui sembra convinto, sicuramente. La verità è che penso ad una vita normale con lui, in cui possiamo vederci quando ci pare, passare tempo insieme, fare gite fuori porta e vacanze e giornate intere solo io e lui, e ne ho una voglia assurda. Voglio lui, voglio viverlo, conoscerlo, averlo intorno. So che sarei felice. Che sarebbe tutto diverso. Ma so anche che sto idealizzando qualcosa che non è mai accaduto, che non so se potrà mai accadere, e soprattutto, che non so se accadrà mai come lo immagino io. Questa è una delle mie maledizioni: attaccarmi all’idea di qualcosa piuttosto che vedere la situazione per ciò che è.
La verità, ancora una volta, è che se questa stretta sulle regioni d’Italia per colpa della pandemia non si allenta, non potremo mantenere neanche un rapporto a distanza, perché non riusciremo a vederci abbastanza da tenere la fiamma accesa. A volte mi dico che vale la pena mollare, che ciò che sto facendo e che sto mandando avanti non ha senso, e che starei meglio senza. Poi però mi dico che l’alternativa non sarebbe molto più rosea; io ora voglio solo Milo. E puntualmente decido di vivere questa cosa, che al momento è solo un rapporto epistolare che mi dà più i nervi che altro, fino a quando il destino non deciderà di portarla a termine. Voglio viverla ogni giorno per quello che è, in maniera più leggera, senza rimanerci male o deprimermi o farmi film mentali eccessivi.
A dicembre 2021 mi laureo. In questi giorni sto guardando le specialistiche e i master che mi piacerebbe fare, e li sto guardando solo a Milano. In parte perché mi manca la città, mi manca il vibe che mi trasmetteva, e perché l’ambito della comunicazione è particolarmente fruttuoso lì. In parte perché renderebbe le cose molto più semplici per me e Milo. Onestamente, non faccio troppo affidamento sul fatto che tra un anno staremo ancora a sentirci o a vederci quando possiamo. Okay che sono ingenua, ma non sono delirante. Se già mi sono scocciata ora di avere un amico di penna con cui faccio sexting senza entusiasmo (da parte mia), non immagino possa durare a lungo, non senza delle “visite” periodiche. Sarei davvero contenta di tornare a Milano. Nonostante io sia innamorata di Roma, non sono ancora convinta di sentirla mia.
Togliendo tutti questi argomenti incerti, negativi e deprimenti che hanno affollato la mia mente nelle ultime settimane, penso sia doveroso guardare anche alle cose positive. Innanzitutto, ho concluso il semestre con il massimo dei voti. Mi sono fatta il culo, senza mezze misure, e sono contentissima di come sia andata. Ammetto che l’assenza totale di movida, vita notturna, e l’impossibilità di uscire e spostarsi liberamente hanno aiutato molto il tempo che passavo studiando. Non avendo niente di meglio da fare, stare ore al computer non mi pesava più di tanto. Ho scritto tantissimo, per l’università, quindi non vale come journaling, però è stato parzialmente terapeutico. Mi sono ritrovata a posticipare la stesura di diversi paper perché temevo l’inizio, ma una volta superato quello scoglio andavo come un treno. Questo mi ha dato un bel boost di autostima; ora sono un po’ più convinta di essere in gamba in quello che faccio. Sono entusiasta per l’inizio del nuovo semestre, e voglio che vada proprio così, al massimo. Spero di riuscire anche ad alternarlo con dei momenti di svago, COVID permettendo. Ho ripreso ad allenarmi lunedì, dopo essermi fermata 2-3 settimane, inizialmente per il ciclo, e poi perché una volta che ti fermi è difficilissimo ricominciare. Ma l’ho fatto, e sono molto contenta. Dolorante, ma contenta. Spero di non interrompermi più per un bel po’, almeno fino a maggio.
Ah, a maggio mi rifaccio il naso. Sono al settimo cielo per questo, non pensavo che ci sarei mai riuscita davvero. Sono entusiasta, curiosa, spaventata, felice e preoccupata. Insomma, sono un sacco di cose. Ma sento che piano piano sto realizzando i sogni e i progetti che mi sono preposta in passato. Ho ovviamente fatto una lista di buoni propositi per il 2021 e chissà, forse li posterò qui più tardi. Magari in inglese, just because. Altra cosa positiva è che sto passando tempo con i miei, come probabilmente non facevo da tanto, e mi fa piacere. Mi fa impazzire, ma so che sarò grata per questi momenti per sempre. Ciò che manca per svoltare in meglio la mia vita, a parte questi progetti, sogni e film mentali, sarebbe ricominciare a leggere, cosa che non faccio da giugno praticamente. Vedremo se il 2021 mi porterà bene. Per ora concludo qui, ho scritto anche abbastanza per qualcuno che si sentiva depresso mezz’ora fa.
E devo ammettere che sto molto meglio.
Buon anno.
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In Sospeso
Sono in zona gialla. Paradossalmente, la regione della capitale non è in una situazione critica tanto quanto altre. Questo mi rasserena, se evito di considerare che la metà dei contagi nel Lazio si trovano a Roma. Mi rasserena anche perché qui le attività sono rimaste aperte; posso ancora andare a fare colazione nei miei posti preferiti, posso passeggiare per le strade, posso vivere più o meno normalmente fino alle 18.
Non so quando rivedrò Milo. Lui è di Milano, il che vuol dire che è praticamente in quarantena. Esce solo per andare a lavoro e sta impazzendo. Lui è bloccato lì, e io non posso entrare in Lombardia per andare a trovarlo. Non ci vediamo dal 20 settembre. E chissà quando ci sarà l’occasione di incontrarsi; se ci penso troppo mi viene da piangere.
Nel frattempo, però, ci siamo detti un po’ di cose importanti. Lui mi ha fatto capire che non ha nessun altro in testa, che vuole solo me e che non riesce a spiegarsi il perché, ma vuole continuare a percorrere questo “binario,” come dice lui, fino a quando può, perché gli piaccio veramente tanto. Ovviamente, tutto ciò che ha detto è reciproco. Milo mi piace così tanto che a volte mi fa male. Ed è paradossale, essersi visti così poco e conoscersi da così poco, ma nonostante ciò, avere un’intesa e una sintonia quasi inquietanti. Sono spaventatissima: mi sono invaghita del classico ragazzo che se le scopa tutte, che non si affeziona, che è estroverso e socievole con tutti ma che difficilmente si mostra davvero a qualcuno. E lui si è invaghito di me. Sono spaventatissima perché non so se sono abbastanza per farlo cambiare davvero. E per la cronaca, non voglio che cambi ciò che è, ma vorrei che rinunciasse a parte della sua vita di prima per me. Tutto questo sta già accadendo, da quello che posso vedere. Mi ha detto tante di quelle cose che solo a leggerle volevo urlare di felicità; mi ha rassicurato tanto senza nemmeno provarci, e so che è sincero. Si sta aprendo, è molto più a suo agio nell’esprimere i suoi sentimenti, e lui stesso mi ha confessato di non aver mai avuto questo tipo di rapporto con una ragazza (tra le altre cose meravigliose che ha detto). Sembro una folle innamorata, lo so, ma la verità è che sono spaventosissima e combattuta al massimo. Parte di me salta continuamente di gioia per aver trovato Milo, l’altra parte è rannicchiata in un angolino con le ginocchia al petto che cerca di silenziare i traumi passati.
Ho una rabbia immensa per la mia relazione passata, per come mi ha trasformato in qualcuno che non si fida, in qualcuno che ha paura e che cerca sempre il marcio in tutto. Anche in una persona che da agosto ad oggi non ha fatto niente di sbagliato e, anzi, mi sta dimostrando di voler investire davvero in qualcosa di serio. Ma poi penso che se qualcuno ha vissuto per anni e anni in un modo, è davvero raro che cambi per qualcuno, soprattutto se il qualcuno sono io. Suonerà un po’ da vittima, lo so, ma ad oggi non credo di essere quel tipo di persona così speciale da far cambiare un uomo. Diamine, il mio ex mi ha cornificata ripetutamente nonostante io gli stessi dando l'anima.
E poi penso che lui non era la persona per me, che avrei potuto pure diventare la sua schiava (non è lontano dalla realtà), ma non sarebbe mai stato fedele per me. E quindi mi dico, magari stavolta è diverso. Ma lo sarà? Non ne ho la certezza, non potrò mai averla. Specialmente perché siamo lontani 600km l’uno dall’altra e quindi rifiutiamo di etichettarci in qualsiasi modo. Non ho bisogno di etichette con tutte le conversazioni che abbiamo avuto, ma resto comunque spaventata. E in sospeso.
In sospeso fino a quando non ci rivedremo. In sospeso fino a quando non ci saranno più restrizioni geografiche. In sospeso fino a quando non andrò a vivere a Milano e potrò stare con lui.
E sì, lo so, non ci si trasferisce per un ragazzo. Ma lui sarebbe solo un valore aggiunto nel disegno che ho per la mia vita. Non contemplavo di tornare a Milano, ma non mi sarebbe dispiaciuto. Ora ho solo una ragione in più. E porco cazzo, spero che duri abbastanza da laurearmi e trasferirmi lì.
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Cattive notizie
Due cattive notizie mi portano a scrivere qui. Si può dire che questo sia il lato positivo delle mie sventure. Non pensavo che sarei tornata a versare i miei pensieri su questo blog prima di... Natale circa; sto scrivendo e leggendo fin troppo per via dell’università. Ogni tanto vorrei aprire un libro o un romanzo non accademico, ma poi penso che anziché leggere quello potrei star leggendo qualcosa per l’uni e per gli esami che avrò a breve. Quindi non lo faccio. Sbagliato a mio parere, perché è sempre bello staccare dagli obblighi, ma i miei pareri non hanno rilevanza in quello che poi accade nella mia vita (se la avessero, non sarei la procrastinatrice seriale che sono). Le mie giornate passano tra lezioni, studio, caffè americani e cibi morbidi. Sì, sono ancora in post-operatorio, anche se sono in dirittura d’arrivo. Per cinque giorni dovrò ancora mangiare morbido e freddo (o meglio, non caldo), per cinque giorni non potrò bere alcol, fumare o fare attività fisica. Dopo questi fatidici giorni dovrebbe finire tutto. Non vedo l’ora di ricominciare ad allenarmi, a mangiare bene e... basta, non so se voglio riprendere a fumare. Sarebbe l’occasione perfetta per smettere. Ma torniamo a noi.
La prima brutta notizia è che confermo ancora una volta di essere una sottona estremamente vulnerabile, e di sentire i miei sentimenti e le mie emozioni in maniera eccessivamente intensa. So di non essere l’unica, e probabilmente il mio modo di “avvertire” i sentimenti è completamente normale (sicuramente), ma ogni volta mi chiedo come sia possibile che delle reazioni a livello chimico e di sistema nervoso possano essere così... non so neanch’io come descriverle. Così irradianti fisicamente e mentalmente. Irradianti non è la parola giusta, ma non mi viene altro. Sarà il mio talento innato per il pensare troppo, o per farmi film mentali, o per idealizzare le persone nella mia testa. Ma questo ragazzo mi piace davvero tanto. E siamo stati fisicamente insieme per 6 giorni in totale, da quando ci conosciamo (= due mesi e mezzo). Milo mi piace così tanto che è un’ora che sto piangendo. Ma piangendo davvero. La mia vulnerabilità è una brutta notizia perché ODIO mostrare le mie debolezze, odio provare sentimenti che invalidano la mia facoltà di giudizio, la mia razionalità e la mia “impassibilità” di fronte agli eventi. Però allo stesso tempo penso che i sentimenti, brutti e belli, ci rendano umani, e quindi siano una cosa meravigliosa. E non vorrei mai essere apatica. Tranne in momenti come questo.
La seconda brutta notizia è il motivo per cui sto piangendo. Non riuscirò ad andare a Milano a fine mese. Non riuscirò ad andare a trovarlo per un weekend. Ma la cosa più brutta è che non è colpa di nessuno. È colpa della situazione covid in Italia. Viaggiare è troppo rischioso. Ho litigato di brutto con i miei genitori, perché io ci sarei andata lo stesso — tanto saremmo rimasti in casa tutto il tempo *wink wink* — ma in fondo so che hanno ragione. Il problema è che non ci vediamo da un mese, e ora chissà quando potremo rivederci. Ho paura che salti tutto. Ho paura che lui non sia disposto ad aspettare. Ho paura che si perda quell’intesa e interesse nel sentirsi ogni giorno perché non c’è una data definita per il prossimo incontro. Ho paura che non riuscirò a vederlo per tutto il resto del 2020. Ho paura di tutto. I rapporti a distanza esistono e sono sostenibili, ma fino a un certo punto. Non si può sostenere un rapporto a distanza che non è neanche una relazione, perché non ha ancora avuto il tempo di diventarlo. Non abbiamo avuto il tempo di diventare niente.
E quindi sto scrivendo. E stavo piangendo fino a due secondi fa. E sono le 23 e io non ho ancora cenato. E voglio solo addormentarmi ma so che mi ci vorranno un paio d’ore da quando chiudo gli occhi prima che succeda. Questo aggiornamento lo chiudo qui, asettico, sintetico, scritto male. Non voglio sembrare poetica, volevo solo distrarre il mio corpo dal pianto e concentrarlo su una tastiera.
E voglio vederlo.
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Hiatus non volontario.
Beh, manco da un po’. L’8 luglio ho scritto i miei pensieri e aggiornamenti per l’ultima volta. Inutile dire che sono cambiate alcune cose. Forse tutto.
Iniziamo dalle cose piccole: ho cambiato username, prima ero lunasteroide, in “onore” del soprannome datomi dal ragazzo di cui parlo nei miei post precedenti. Ora c’è il mio nome, che mi fa uscire un po’ dal totale anonimato, ma credo vada bene. Sto scrivendo dal mio nuovo, freschissimo laptop: un MacBook Air, il primo che abbia mai avuto. Il mio pc precedente era funzionante, ma non al massimo, e ho avuto la possibilità di prendere questo, quindi non me ne sono privata. Strano scrivere su una tastiera diversa, comunque. Menomale che c’è il correttore automatico.
Parlando di novità più grandi, non ho più le tonsille. Le ho tolte mercoledì 7 ottobre, quattro giorni fa. Mi davano problemi da due anni, problemi seri per cui ho dovuto ricoverarmi tre volte, due delle quali ad un mese di distanza l’una dall’altra. Al momento sono in convalescenza, muoio di dolore per 3/4 della giornata e in quello restante studio e ho fame. Sto mangiando solo cose liquide, cremose e fredde. E questo ovviamente mi provoca la voglia irrefrenabile di qualsiasi cibo sulla faccia della Terra. Ma devo tenere duro ancora qualche giorno per il dolore, una settimana e mezzo per tornare a mangiare liberamente. Inutile dire che mi sono già stancata. Che dire, sono incasinata con lo studio e ho paura di non passare i corsi di questo semestre al meglio delle mie capacità. Mi sto perdendo la mia stagione preferita dell’anno, a metà tra l’estate e l’autunno, quando fa freddo la sera e si sta bene durante il giorno; in altre parole, il periodo delle giacche di pelle. Però con i casi covid che aumentano ogni giorno di più, una parte di me è sollevata di dover stare a casa.
Andando un po’ a ritroso, come ho passato questi ultimi tre mesi? Ammetto di aver voluto scrivere, ma ho sempre procrastinato perché mi stavo divertendo troppo. Sono andata al mare praticamente sempre, ho acquisito un’abbronzatura invidiabile e sono stata con i miei amici. Ho visto le mie amiche poco e niente, dato che lavoravano sempre e quando erano libere non uscivano. Anche i miei genitori li ho visti poco, non sono mai stata a casa e ammetto di non aver passato del tempo con loro, e abbiamo discusso tanto per questo. Ora le cose si sono attenuate un po’ perché l’estate è finita, un po’ perché sono tornata a Roma, un po’ perché risolta una questione se ne presenta subito un’altra per litigare.
Che ne è stato di quel ragazzo di cui parlavo? Dov’è Mauro?
Ho beccato Mauro due volte, deliberatamente. Tutte le altre volte ci incontravamo in giro dato che i luoghi di movida sono limitati. Entrambe le volte ci siamo ritrovati sotto casa mia, ed entrambe le volte mi ha baciata. Ci siamo baciati a lungo quelle due sere, la prima l’ho salutato con i primi bagliori del mattino. Ho provato a chiedergli perché stesse agendo così, ma non ho mai avuto risposta. D’altro canto, non l’ho mai contattato dopo questi episodi, né per chiedere spiegazioni, né per avere un terzo incontro, né per parlargli e chiarire. Se avesse voluto spiegarmi l’avrebbe fatto, ma neanche lui mi ha cercata i giorni seguenti, quindi ho lasciato che le cose scemassero da sole. Strano, si potrebbe pensare. A giudicare dai post precedenti ero persa per questo ragazzo. È vero, ammetto, ma mi son fatta una ragione delle cose che ci siamo detti a inizio estate. L’ho superata. Mauro non mi sarà mai indifferente, mi si stringerà sempre un pochino lo stomaco nel vederlo in giro, sarò sempre un po’ troppo emozionata nello scambiarci due chiacchiere, ma va bene così. Certe persone sono speciali, e anche se non ci sarà mai niente rimarranno tali. Ho sentito che sta per laurearsi, spero che sia felice in questo preciso momento.
In assenza delle mie amiche asociali e senza spirito vitale, ho avuto modo di legare tantissimo con un mio vecchio amico, che ora considero uno dei migliori. Lo chiamerò DJ, e se gli assegno un nome fasullo vuol dire che lo nominerò ancora in futuro. Insieme a lui e ad altri amici siamo andati a ballare, ci siamo ubriacati più volte di quante possa contare, abbiamo celebrato l’estate. Siamo stati con dei miei amici del nord che vengono nella mia città quasi ogni estate. Due di loro sono rimasti per un mese, quindi abbiamo avuto tempo di goderci agosto come si deve. Gli altri miei (e loro) amici sono scesi per qualche giorno, e si sono divertiti come i pazzi nonostante il soggiorno breve. Quest’anno, per la prima volta, hanno portato con sé Milo. Milo è un loro carissimo amico che per qualche ragione non è mai riuscito a venire nella mia città per l’estate, ma la sua fama lo ha preceduto. Per me, lui era un rimorchiatore seriale, uno sciupafemmine incallito; in altre parole, un puttaniere. Lo so perché i suoi/miei amici me l’hanno nominato più e più volte, ipotizzando qualche scintilla tra di noi. Ho sempre scartato l’idea con una risata, non saprei che farmene di uno sciupafemmine. E poi è arrivato.
Inutile dire che Milo è la ragione principale per cui sto scrivendo questo post (un po’ anche per la gola che mi sta uccidendo). È stato nella mia città tre giorni; pochissimi, ma abbastanza per produrre una fiamma mai vista. Il secondo giorno ci siamo baciati in preda ai fumi dell’alcol, ma l’avremmo fatto anche da sobri. Il giorno dopo siamo andati a letto insieme, e non credo di aver mai avuto esperienza migliore. Un ragazzo che conosco da un giorno e mezzo, una scopata improvvisata e una chimica inverosimile. Non è stato per il fatto che fosse bravo, perché è bravo, ma per il fatto che ci incastravamo perfettamente. Si muoveva lui, mi muovevo io, niente imbarazzo, niente disagio, solo chimica. Forte, infuocata, inspiegabile chimica. Mi sembrava di conoscerlo da molto più tempo. Prima che diventi un racconto pornografico, Milo e i nostri amici sono ripartiti alla volta del nord Italia, ma da quel giorno (che è indicativamente il 20/21 agosto) non abbiamo smesso di sentirci un attimo. Un continuo parlare, scherzare, inviare messaggi piccanti. Non sapevo perché ma mi divertiva. I suoi amici mi dicevano che non aveva mai fatto così, non si era mai continuato a sentire con una ragazza dopo aver “ottenuto quello che voleva.” Iniziavano anche ad ipotizzare un nostro futuro fidanzamento. Ho nuovamente scartato l’idea con una risata, perché sia per me che per lui era una cosa puramente fisica.
Eppure entrambi lo sapevamo. Sapevamo che non era così. Si sa, le prime volte con una persona nuova raramente sono piacevoli; c’è quel disagio, quell’imbarazzo, quei movimenti impacciati, non si conosce la persona da quel punto di vista. Non si sa ciò che piace e ciò che non piace, non si sa come ci si incastra con un corpo nuovo. Ma per noi non è stato così. È stato come se fosse la cosa più naturale del mondo, come se lo avessimo già fatto milioni di volte.
L’ho invitato a Roma un weekend. Ad un mese dal nostro primo incontro, avendomi “vissuta” solo per tre giorni, Milo ha preso un treno ed è sceso a Roma per stare da me. Non avrei potuto chiedere di meglio da quel weekend. Tralasciando i dettagli sulle ore passate a letto senza dormire, ho scoperto che quella chimica indicibile c’era anche fuori dalle lenzuola. Tre giorni, ventiquattro ore su ventiquattro con una persona che conosco appena, in giro per la capitale, liberi di fare quello che ci pare. Non mi sono annoiata un secondo, non c’è stato un solo momento morto. Quando non stavamo facendo cose, parlavamo di tutto, scherzavamo, ci facevamo domande, ci scoprivamo. Giravamo per la città senza regole precise, parlando ininterrottamente, con il suo braccio intorno alle mie spalle nonostante il caldo atroce. Penso sia ovvio dove voglio arrivare. Penso di aver incontrato il corrispondente maschile di me. Non mi era mai successo di conoscere una persona e sentirmi così fin da subito. “Così” è difficile da descrivere, ma penso che il sentimento sia comune. Dopo un intero weekend solo noi due, il germoglio di un sentimento è nato in entrambi. Ce lo siamo detto chiaramente, nonostante io sia ancora scottata dalla mia ultima relazione e quindi non mi fidi. Mi sto lentamente aprendo con lui, e lui sta facendo lo stesso con me.
Il piccolo problema insormontabile è che viviamo a 600km di distanza l’uno dall’altro. E no, di iniziare una relazione a distanza non se ne parla. Non perché io non sia disposta (sono una sottona dopotutto), ma perché non mi fiderei. Milo è una persona particolare, c’è una ragione per cui ho descritto la sua reputazione prima di descrivere come mi sono sentita con lui, e non l’ho fatto per character development. È una situazione più unica che rara, quella di sentirsi con una ragazza, di pensare solo a lei, di volere solo lei. Ciò che mi sta dando è tantissimo, considerato il suo passato (per cui non lo giudico assolutamente). Neanch’io sono una santa, figuriamoci, ma sono un’inguaribile romantica e se inizio a provare qualcosa lo provo davvero intensamente. Escludo al 100% una relazione a distanza, ma se voglio continuare a sentirlo, devo accettare questo limbo, in cui ci comportiamo da fidanzati ma in realtà non c’è nessun legame che ci “limiti” nei nostri... affari privati. Vivo con l’ansia latente che lui possa incontrare un’altra, ma me lo faccio andare bene, e mi ripeto che non voglio una relazione a distanza; non per illudermi che sia vero, ma perché ho un minimo di razionalità che mi permette di riconoscerlo.
A fine mese vorrei andare a Milano. Sarò completamente guarita dall’intervento (si spera), sarò sommersa dagli esami e dovrò litigare con mio padre per convincerlo ad andarci. Ma voglio andare a Milano da lui. Ne ho parlato con mia madre, che ha paura ancora più di me che io venga ferita. Ma una parte di lei vuole farmi andare, lo so.
In tutto questo, mi sento di dire che non è una storia così romantica come sembra, è tutto nato dal sesso e il sesso è ancora la parte principale del nostro rapporto, nonostante non ci sia, data la distanza. Insieme a quello, però, sono scaturite tante emozioni che nessuno dei due provava da tempo. Quindi resto realistica, disillusa, provo anche a restare cinica, ma voglio conoscerlo. Conoscerlo davvero, non attraverso un telefono. Voglio fargli vedere che può essere felice con me, felice per davvero.
Domani rileggerò tutto ciò e vomiterò per il livello di sdolcinatezza che c’è, ma a mezzanotte del 12 ottobre mi sento di dire tutte queste cose, e vorrei dirne molte di più, ma sarà per il prossimo post. Per adesso posso dire che sono potentemente invaghita, in convalescenza, sommersa dallo studio e anche un po’ assonnata. E voglio andare a Milano.
Magari a fine mese tornerò con aggiornamenti positivi, ma in realtà spero di tornare a scrivere più frequentemente. Se qualcuno è arrivato fino qui, caspita, chapeau.
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Punti di rottura
Riprovo a scrivere dopo un mese di silenzio e ovviamente mi si spegne il computer senza salvare il documento. Ora ho poca voglia di riscrivere cose che avevo già raccontato a questa tastiera, ma ci proverò comunque. Sono stata assente per quasi un mese, non solo da questo blog, ma da tante altre cose della mia vita. Dallo sfortunato evento di un grande litigio con mio padre, durato una settimana, non trovo più quell’entusiasmo e quella voglia di migliorarmi che aveva caratterizzato l’inizio della mia estate. Il suddetto litigio si è risolto da tempo ormai, ma se dovessi identificare il momento dal quale mi sono un po’ “spenta” direi quello. Prima di allora, stavo passando uno dei periodi più rosei in assoluto con mio padre, con cui di solito sono in contrasto. Poi invece ho smesso di scrivere, di leggere, di aggiornare l’agenda, di avere motivazione. L’unica cosa che sono riuscita a mantenere è l’attività fisica. Mi sto ancora allenando senza saltare un giorno, perché sinceramente non mi va di vanificare tutti gli sforzi che sto facendo da ormai più di due mesi. Purtroppo però, è l’unico elemento di “crescita personale” che sto mantenendo. Devo dire, però, che se questo testo vedrà mai la luce del sole (e la mia home di Tumblr) vorrà dire che sono sulla strada giusta per riprendere in mano la mia vita.
Ho litigato di brutto anche con due miei cari amici. Uno di loro più stretto dell’altro, ma entrambi colpevoli di qualcosa. A ventidue anni non puoi mettere in giro voci completamente false su una tua amica e pensare che la verità non venga a galla. Ma soprattutto non puoi fare questo stesso errore a 18 anni, a 20 e di nuovo a 22. Vuol dire che hai dei problemi seri di autostima e un enorme bisogno di sentirti validato. Si vede tanto che sono ancora arrabbiata per questa cosa? Insomma, credo che mi riappacificherò con uno dei due, quello ai miei occhi più maturo e più simile a me, con il quale posso quindi avere una conversazione decente (spero). Lui è uno che non voglio perdere. L’altro invece, quello che si è intelligentemente inventato una puttanata su una sua amica (la mia migliore amica) per poi diffonderla all’interno del nostro gruppo può sviluppare una bella impotenza per quello che me ne sbatte.
Che dire, è stato un po’ un casino questo mese. Ah, l’ultima novità è che ho praticamente avuto un crollo emotivo per via della mia vita qui in città. Sono stata nervosa per tipo due settimane di fila senza battere ciglio, credendo che facendo un respiro profondo avrei risolto le cose. E invece per ogni respiro che facevo, il peso sul mio petto aumentava. Sono stata nervosa per lo stesso problema con cui convivo da anni: le mie amiche. Sono nello stesso gruppo di ragazze da più di 6 anni, forse anche più di 7, e ne abbiamo passate (e superate) tante. Questo però non cambia alcune fondamentali differenze che ci sono tra noi, e più in particolare tra me e la mia migliore amica, e tutte le altre. Credo che questo sia un argomento che devo affrontare in un post a parte perchè c’è davvero tanto da scrivere, ma ciò che posso dire ora è che ancora una volta mi sono ritrovata a sentire le mie ali tarpate, la mia fiamma spenta e il mio entusiasmo calpestato. Non colpevolizzo del tutto le mie amiche, alla fine loro hanno una visione del mondo e io ne ho un’altra, ma per quanto io ogni volta che sono a Roma senta la mancanza di loro e della mia città, quando resto qui per più di una settimana impazzisco. E ormai sono qui da due mesi, quindi manca poco ad un corto circuito.
Da un paio di giorni va meglio, ma solo perché è stato il compleanno di una del gruppo, perché sono venuti a trovarci dei nostri amici di Milano e perché io mi sono sfogata piangendo contro mia madre circa tre giorni fa. Insomma tutto liscio come l’olio. Lunedì vado a Roma e ci resto fino a sabato, e non potrei essere più felice. Non vedo l’ora di tornare nei posti che mi mancano, di sentire un po’ di urla romanacce per le strade di Trastevere e di rivedere la mia migliore amica di lì. Ora vado al sushi in maniera molto improvvisata, e vedrò di tornare qui a scrivere molto presto. Ho bisogno di parlare della mia comitiva ma ho ancora più bisogno di riprendere i ritmi che stavo sviluppando a maggio/giugno. Non sono neanche soddisfatta di questo testo, lo trovo vago, frettoloso e boh, senza capo nè coda. Ma avevo bisogno di porre fine al mio blocco del pseudo-scrittore per ricominciare a sentire che questa tastiera mi appartiene e non è qui solo per riprodurre i brani su Spotify.
Ah, per non parlare poi della mia vita sentimentale inesistente, quello sì che sarà un argomento divertente.
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Qualche giorno fa mi sono messa a scrivere e continuavo a cancellare qualcunque frase vedessi apparire sullo schermo. Ero nervosissima, arrabbiata con i miei genitori, i miei amici, oggetti inanimati. Non riuscivo a spiegarmi il perché. Mi sono anche allenata, e le endorfine prodotte avrebbero dovuto migliorare la situazione, invece non è cambiato niente. Il giorno dopo mi è arrivato il ciclo, ed è stato svelato l’arcano. Non ho mai avuto un PMS così forte come questo mese; ero letteralmente vittima di emozioni incontrollabili. Per fortuna ora va meglio e sono di nuovo padrona dei miei pensieri.
A proposito di questo, però, e a prescindere da periodi del mese vari, sento avvenire dei cambiamenti nel mio modo di pensare, di essere e di vivere le cose e le situazioni intorno a me. La prima cosa che sto notando è che sono molto più... unapologetic. In altre parole che non so ben articolare: non me ne frega niente. Di niente. Sono sempre stata più o meno così, non mi vergogno di fare casino in giro o di fare una figuraccia perché saluto qualcuno che penso di conoscere e magari non è così. Ci rido molto su, sulle mie gaffe intendo. Mi ritengo abbastanza autoironica ed è una qualità che mi riconosco. Tuttavia questa “caratteristica” è sempre andata inutilizzata nei confronti dell’universo maschile. Con i ragazzi sono sempre voluta apparire al mio meglio, sia esteticamente che caratterialmente. Non importa se fossero miei amici, conoscenti, o ragazzi da cui non ero attratta; ho sempre voluto che pensassero fossi una strafiga. Non è una cosa che mi piace di me, questo bisogno di approvazione e ammirazione esterni. Tuttavia sento di poter dire che qualcosa sta cambiando. Sicuramente non esco in pigiama, struccata e con i capelli sporchi, ho ancora un minimo di decenza. La cosa che sta cambiando è proprio la percezione che ho di me stessa. Dopo una quarantena dove ho guadagnato qualche chilo in più del solito e mi vedevo flaccida e informe, ora sto iniziando a vedere i risultati di un’alimentazione più sana (grazie mami) e di attività fisica regolare. Oltre ad essere tornata ad una forma che mi piace, mi vedo anche più tonica, più in salute, e neanche così magra com’ero quest’inverno. Certo, mancherebbe solo una bella abbronzatura, ma per ora non sono ancora potuta andare al mare. Il succo del discorso è che sto avendo un boost di autostima che sta migliorando la visione di me stessa e dei miei dintorni. Non mi sono mai ritenuta un roito, riconosco i miei difetti e ho un bel po’ di insicurezze, ma riconosco anche i miei pregi. Ho passato così tanto in tempo chiusa in casa struccata, che guardare la mia faccia al naturale ha acquistato un valore che prima non aveva. Ora non mi interessa se mi trucco pochissimo o per niente, perché mi piace la mia faccia “acqua e sapone.” Quando mi impegno e faccio la make-up artist, mi vedo ancora meglio.
Detto ciò, non mi interessa più impressionare il genere maschile. Mi sento bella e sexy anche senza flirtare con nessuno, cosa che prima amavo fare. Mi piace ancora, sia chiaro, è uno dei miei hobby preferiti, ma sono proprio gli uomini che mi sono... scaduti. Questo non è direttamente collegato agli eventi dei giorni precedenti, ma penso sia comunque una conclusione a cui sono arrivata col tempo. Non ho più bisogno di impressionare nessuno, non ho più voglia di mantenere rapporti falsi, ipocriti e superficiali con le persone; voglio solo crescere mentalmente e migliorare fisicamente. Voglio leggere, allenarmi, imparare a guidare come una pro (ci sono molto vicina!), capire come funziona il mondo del lavoro e del denaro, iniziare a farmi una cultura su come guadagnare in futuro, o magari iniziare a farlo già da adesso.
Il mio obiettivo sta diventando quello di diventare multimilionaria. Una cosa da poco, lo so. Non ritengo che i soldi facciano la felicità, ma sicuramente ritengo che tale frase sia una stronzata. I soldi sono uno strumento che porta alla salute, al benessere, alle esperienze, all’agiatezza, alle opportunità, alla possibilità di fare del bene. Quindi sono uno strumento che non garantisce la felicità, ma almeno la favorisce. Ah, voglio anche andare a vivere all’estero; non mi dispiacerebbe stare a Roma o a Milano, ma la situazione politica in Italia mi sta dando talmente sui nervi che non penso di farcela ancora a lungo. La situazione in America è ancora peggio, quindi mi sa che devo puntare altrove. Ci sono molti paesi europei con una qualità di vita impressionante, devo solo capire dove mi porterà il mio cervellino. E la mia laurea. Come si fa a capire che lavoro fare o dove indirizzarsi una volta usciti dall’università? Attendo risposte da un’entità sconosciuta. Nel frattempo leggo libri e faccio caffè sul mare.
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Prendere le cose con filosofia
Gli aggiornamenti che porto quest’oggi sono veri. Venerdì non ho visto Mauro, e questo mi ha portato a diventare nevrotica nei confronti della situazione generale. Avevo il bisogno fisico e mentale di avere questo incontro e questa fatidica conversazione per muovermi dal punto di stallo che era diventata la mia vita. Quest’ultima settimana ho bevuto meno acqua e più alcol, mi sono allenata in orari strani anzichè rispettare gli orari che mi ero prestabilita, non ho guidato quanto avrei voluto... insomma è saltato un po’ tutto, ovviamente a causa del pensiero fisso che non riuscivo a togliermi: parlare con Mauro.
Non ci siamo visti venerdì, ma ci siamo visti sabato, cioè ieri. Dopo averlo contattato per la terza volta in una settimana, calpestando il mio orgoglio e buttandolo dalla finestra, ci siamo incontrati per una birra al tramonto. Abbiamo chiacchierato tanto perché avevamo bisogno di aggiornarci, come fanno due vecchi amici. E anche perché avevo bisogno di raccogliere tutto il coraggio che avevo in corpo per introdurre il discorso. Ci ho provato un paio di volte, fallendo e tornando a parlare di cose poco serie. Poi però ho realizzato che era “ora o mai più.” Gli ho detto tutto ciò che mi passava per la testa in quel momento, senza filtrarlo o organizzarlo in discorsi poetici o quantomeno sensati. Non sono riuscita a dirgli tutto ciò che ho pensato negli ultimi mesi, tutti i film che mi sono fatta o le frasi ad effetto con cui volevo colpirlo. Gli ho detto che la quarantena mi aveva portato a pensare a lui, a quello che c’era stato, e a come mi ero comportata. Mi aveva provocato un change of heart, grazie al quale vedevo la situazione con occhi diversi. Gli ho confessato che ho realizzato di aver sbagliato e che ora vivrei le cose in maniera molto diversa. Gli ho anche detto che l’estate scorsa lui mi ha fatto tanto bene. Poi ho smesso di mettermi in ridicolo e ho chiesto una sua opinione.
Anche lui in quarantena aveva avuto tanto a cui pensare. Mi ha avvisato che sarebbe stata una storia lunga, quindi ci siamo messi comodi su una panchina in riva al mare e l’ho lasciato parlare. Per tipo quaranta minuti. Non scriverò tutto ciò che mi ha detto perché, nonostante non stia usando il suo vero nome, mi sentirei di star tradendo la sua fiducia. Mi ha raccontato che dopo l’estate che avevamo condiviso, erano successe parecchie cose. Quest’inverno lui è stato con un’altra ragazza, storia finita a gennaio perchè il Natale precedente ha rivisto la sua ex ad un anno e mezzo dalla loro rottura. Loro non si erano mai più visti nè parlati da allora, quindi è stata una botta non irrilevante. Quel Natale si sono parlati, si sono confrontati e, in preda all’alcol, si sono anche baciati. E questo è stato ciò che lo ha fatto pen(s)are per tutta la quarantena. Abbiamo entrambi avuto la mente piena, insomma. Lui ha realizzato che nonostante avesse superato la rottura e i sentimenti che provava, è tutto immediatamente riaffiorato a causa delle circostanze. Per concludere, lui sta aspettando di incontrare suddetta ex e avere un confronto, un dialogo, un chiarimento sulla questione: ci può essere di nuovo qualcosa o è tempo di chiudere questo capitolo — questo libro — aperto ormai da troppo tempo?
Per concludere, ho avuto l’ennesima prova che io e Mauro siamo inquietantemente simili. Non è una novità; parte del motivo per cui mi piace così tanto è che mi sembra di guardare in uno specchio quando sono con lui. Anche lui aveva e ha bisogno di confrontarsi con un’altra persona per smuoversi da una situazione di stallo. Fondamentalmente, dopo il suo lungo discorso, mi ha detto che siamo in ritardo di un anno — pugnalata al petto — e che ora come ora non riuscirebbe a “vivere” nessuno come si deve, perché la sua mente e il suo cuore sono altrove. In tutta risposta, dopo averlo lasciato parlare ancora un po’ con qualche domanda, gli ho mostrato empatia. Ho detto che nella mia vita queste sono quelle che mi piace chiamare questioni irrisolte. Ho una vera e propria fissa per queste situazioni, perché non riesco a vivere bene fino a quando non le ho, appunto, risolte. Ne ho vissute tante in passato, con ragazzi, amiche, conoscenti. Ho sempre avuto il bisogno di confrontarmi con l’altra parte interessata e chiarire tutto ciò che c’era da chiarire. Per questo ho detto a Mauro che lo capivo benissimo, ed è la verità. Mentre mi parlava, dalla mia mente iniziava a defluire il pensiero che io e lui fossimo destinati a stare insieme, e ad introdursi l’ipotesi che magari lui aveva già la persona a cui era destinato, solo che non ero io. Questo pensiero non è entrato nella mia mente come qualcosa di negativo o doloroso, ma semplicemente come qualcosa di possibile.
Gli ha fatto strano raccontarmi di questa storia, un po’ perché la sanno in pochissimi, un po’ per via dei trascorsi tra noi. L’ho rassicurato, dicendogli che ero felicissima di aver avuto questa conversazione e che lui fosse stato così aperto con me. Gli ho detto che mi piace, non posso negarlo, ma che questa era la conversazione che dovevo avere perché altrimenti me ne sarei pentita per sempre. Gli ho anche fatto presente che se mai avesse bisogno di parlare con qualcuno, io ci sarei sempre stata. Non ricordo cos’altro è stato detto, e ciò che ricordo non voglio scriverlo, voglio tenermi qualche segreto solo nel mio cervello. Ci siamo alzati e ci siamo incamminati verso le rispettive case.
E’ difficile spiegare come mi sento. In una sola parola, direi che mi sento dolceamara. Non voglio fare la gradassa, ammetto che mi dispiace che non sia andata come speravo. Per questo mi sento il cuore un po’ pesante, e lo stomaco un po’ chiuso. D’altra parte però, ho finalmente avuto il confronto che aspettavo da mesi, ho fatto sapere alla persona interessata ciò che ritenevo lei dovesse sapere, e ho ottenuto la versione dei fatti esterna a quella nella mia testa. Non sento più il bisogno impellente di controllare se lui mi abbia guardato le storie su Instagram, o se ne abbia pubblicate di sue. Non sento più di doverlo cercare con lo sguardo in ogni luogo in cui mi trovi. Non sento più il macigno di parole non dette, confessioni non fatte e sentimenti non espressi sulle spalle. Ora sono libera. Posso tornare ad essere la me che mi piace, quella che si concentra su se stessa e che fa di tutto per migliorarsi ogni giorno. Quella me il cui scopo principale è essere felice. Quella la cui estate può finalmente svilupparsi intorno a ciò che voglio fare, alle persone con cui voglio stare e ai posti in cui voglio andare, e non intorno ad una possibile storia con un ragazzo. Non sono mai stata il tipo di ragazza che cerca il fidanzato, o che si sente scoraggiata se non trova nessuno con cui avere una storia. Sono cose irrilevanti per me, so di avere successo con l’altro sesso ma so anche di avere standard e aspettative estremamente alti per colui che un giorno vorrò come fidanzato.
Non aspetterò Mauro. Se tutto va bene, lui dovrebbe avere questo fatidico confronto quest’estate, e in entrambi i casi (che finisca bene o male) lui sarà contento. Come lo sono stata io con il nostro incontro. Ma non sarò nei dintorni ad attendere qualcosa che potrebbe non arrivare mai. Se il loro confronto dovesse andare a buon fine, torneranno insieme; se dovesse terminarsi brutalmente, lui non avrebbe testa, cuore e voglia di dedicarsi a qualcun altro, per un bel po’ di tempo. E io ho tanti di quei programmi, di quei piani, idee e desideri che non posso permettermi di aspettare qualcuno. Tuttavia, come una volta Rachel ha detto a Ross, “with you it’s never off the table.” Ed è così. Con Mauro non sarà mai una storia completamente chiusa, o almeno questo è ciò che penso al momento. Certo, ora nella mia testa scorrono i titoli di coda di tutti i film che mi sono fatta durante questi mesi, ed è questo l’importante. Finalmente ho tempo per mettere su il film della mia estate e chissà, magari mi divertirò anche di più di ciò che ho immaginato.
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Predicare bene, razzolare malissimo
Questo inverno la mia migliore amica ha chiuso definitivamente col suo fidanzato storico. Ora che sono tornata nella mia città e sta iniziando la bella stagione, lei vuole che la aiuti ad entrare nel mondo delle frequentazioni meno serie. Partendo dal presupposto che è una delle persone più recidive che conosca, e che quella col suo ragazzo era una delle relazioni più tossiche e codipendenti che abbia mai visto, ho comunque deciso di crederle quando mi ha detto che non ci tornerà mai più insieme. Dato che ho avuto interazioni con più uomini rispetto a lei, mi ha designata come insegnante. Ora, sicuramente non sono Carrie Bradshaw e il mio lavoro non consiste nell’uscire con più uomini possibile e scriverci una rubrica, però ho anch’io i miei insegnamenti e lezioni che ho imparato col tempo. Non li condividerò qui perché sono preziosi, a tratti (se non sempre) brutali, e soprattutto sono tantissimi. Dovrei dedicarci l’intero blog, non solo un post.
Il punto principale che sto cercando di inculcare nella mente della mia migliore amica è la leggerezza. Le voglio insegnare a vivere le cose con tranquillità, perché nessun uomo sarà mai perfetto abbastanza da impazzire per lui. E con impazzire intendo stalkerarlo, pensarci ossessivamente, cambiare ogni priorità per incontrarlo/parlarci/stare con lui, mettere in secondo piano la propria persona per lui. Non importa se il ragazzo in questione ha il fisico di Chris Hemsworth e il cuore del Dalai Lama. Nessuno è così importante da mettere se stessi in secondo piano, perché nessuno ci considererà mai una priorità tale da metterci in primo piano, per quanto possano farcelo credere. Non è una caratteristica del genere maschile, è proprio una questione umana. Sono io che devo mettermi in primo piano sempre, perché qualcuno potrebbe farlo per un po’ di tempo, ma io sono l’unica che sarà con me per tutta la vita.
Questo concetto, insieme a molti altri, costituisce le lezioni che sto provando a diffondere tra le mie amiche, una più sottona dell’altra. Non so quale sia la differenza tra me e loro, ma loro hanno sempre avuto problemi con i ragazzi e hanno sempre sbagliato. Il bello è che io ho tutta questa conoscenza proprio perché ho sentito tante storie, tante esperienze di persone vicine a me, ho letto tanto a riguardo, e sono comunque riuscita a stare male. Nella mia unica relazione forse sono stata più stupida che tutte le mie amiche messe insieme. Non mi riconoscevo più, perché la me di sempre era scomparsa. Per fortuna dopo aver chiuso, col tempo sono riuscita a ritrovarmi, mi sento più forte di prima, ma so che l’amore ci rende sempre deboli sotto alcuni punti di vista. So anche un’altra cosa, e cioè che io sono bravissima a impartire lezioni e insegnamenti, predico benissimo, ma spesso razzolo molto molto male. Esempio calzante è la situazione che sto vivendo proprio in questi mesi.
Sono sempre dell’idea che no guy is worth going crazy for (suona meglio in inglese), ma puntualmente, come ho accennato in precedenza, impazzisco per il ragazzo di turno. Certo, è qualcosa di provvisorio e non duraturo; è un fuoco di paglia che divampa subito e si estingue ancora prima. Tuttavia, ho anche accennato che negli ultimi mesi ho sperimentato una certa debolezza nei confronti di un determinato ragazzo. Devo aver anche già scritto che volevo che ci vedessimo per parlare, ma finora non l’ho mai visto. E’ per questo che domenica 31 maggio, verso l’una di notte, sono stata costretta convinta dalle mie amiche a inviargli un messaggio. Gli ho chiesto se gli andasse di bere una birra una sera di queste, e la mattina dopo mi ha risposto che sì, lui non dice mai di no alla birra. L’ho raccontata in maniera molto blanda, perché in tutto ciò io ero nel panico più totale. La cosa brutta è che l’estate scorsa, quando ci frequentavamo ma anche quando abbiamo deciso di essere “amici,” non sono mai stata così nervosa nello scrivergli o nel parlargli. Dio, venerdì scorso non sono nemmeno riuscita ad andare a salutarlo. Questo è uno dei fattori principali che mi ha fatto capire che qualcosa in me era cambiato rispetto all’estate. Quindi ora mi ritrovo a dare lezioni di vita mentre sto super sotto per Mauro. Coerente. Dovremmo vederci venerdì, quindi tra due giorni, ma non è sicuro. Gli scriverò dopo il suo esame.
Non mi sono programmata nessun discorso da dirgli, il che è insolito da parte mia. Certo, ho ancora quella bozza di messaggio che ho scritto sulle note del telefono, ma non so se gliela farò leggere di persona, avrei paura di vedere una sua reazione. Quindi, sono in un punto di stallo. La birra me la faccio volentieri perché mi manca passare del tempo con lui, ma se dovessi vedere che non è “ben disposto,” non gli dirò niente. Non è giusto dargli anche questa cosa a cui pensare quando magari lo vedo già stressato o sovrappensiero. C’è anche da dire, però, che se non gliene parlo, se non gli dico quello che mi passa per la mente da praticamente un anno, me ne pentirò amaramente. Tralasciando il fatto che avendo parlato col suo migliore amico, che in passato mi ha detto che non condividono sangue ma sono comunque fratelli, molto probabilmente Mauro sa perché l’ho invitato a farsi una birra. In un certo senso, parto svantaggiata, perché magari lui sa cosa penso e cosa voglio dirgli e quali sono le mie intenzioni, ma io non so niente di quello che passa per la sua testa. Questa cosa mi impanica totalmente. E menomale che so che nessun uomo ne vale la pena.
Non ne parlerò più, almeno non prima di venerdì, perchè sono già in ansia di mio e scriverne mi ci fa solo pensare di più. Mi andrò a mangiare un muffin e stasera uscirò per cercarlo ovunque con lo sguardo, e con la consapevolezza che non sarà lì.
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Non-aggiornamenti
Sono libera di uscire da due giorni e, perdonerete il gioco di parole, ma non ho un momento libero. Ho passato una quarantena sommariamente positiva, se devo essere sincera. Avevo il tempo e la calma per organizzare tutte le cose che volevo fare, le nuove buone abitudini che volevo instaurare, gli allenamenti e i momenti di relax. Ora voglio mantenere quei ritmi di produttività dovendoli accostare alle uscite con gli amici e alle guide con mio padre. Io sono uno di quegli animali mitologici che ha la patente ma non ha mai guidato, quindi fondamentalmente sono una pippa. Non mi metto a guidare da sola in mezzo alla città perchè non ho un desiderio di morte ma soprattutto non voglio fare figure di merda, dato che in questa città ci conosciamo tutti. E santo Dio, è una cosa che non mi era mancata per niente.
Ieri sera sono andata con tre miei amici a bere una birra nel locale invernale per eccellenza; nei mesi freddi la piazza in cui è situato è così piena di gente che se perdi il tuo amico puoi star certo che non lo ritroverai. Insomma, dato il clima autunnale che sta caratterizzando questi ultimi giorni, il locale è ancora aperto (d’estate chiude). Insomma, per essere nel mezzo di una pandemia c’era un assembramento degno della festa patronale di un paesino della Campania. Tante tante persone che non vedevo da gennaio, l’ultima volta che sono stata nella mia città prima di adesso. Mi ritengo una persona abbastanza socievole, molto amichevole e a cui piace il casino non eccessivo. Tuttavia, come menzionato in precedenza, l’estate scorsa ho fatto diverse conoscenze, sia in fatto di ragazzi che in frequentazioni amichevoli. La maggior parte di queste si sono rivelate superficiali, a tal punto che quando ieri ho rivisto determinate persone sono stata colpita da un senso di risentimento, un rancore perchè non eravamo riusciti a mantenere i rapporti. Sensazione insensata, dato che come loro non si erano impegnati a diventare best friends con me, anch’io avevo mostrato lo stesso menefreghismo. Però sì, l’elevato numero di conoscenti intorno a me ieri sera mi ha fatta sentire un attimo contrariata dalla vita. Non ero proprio a mio agio.
La questione principale è che, dopo due giorni in giro per la città, non ho ancora visto Mauro. So che è impegnato con lo studio, se la memoria non mi inganna a breve dovrebbe laurearsi. Però mi dispiace lo stesso. Mi dispiace anche perchè la prima sera, l’altro ieri, avrei almeno incontrato i suoi amici se non fosse stato per il mio gruppo. La mia compagnia di amici è un argomento che merita un post a sè stante, perchè ho così tante cose da dire che scriverò 82mila parole a riguardo. Insomma, per via della asocialità dei miei amici abbiamo virato dal percorso convenzionale e anzichè andare nel famoso locale menzionato pocanzi (dove gli amici di Mauro sarebbero andati) ci siamo diretti in un altro pub che non mi va particolarmente a genio. Essendo l’unica contraria, ha vinto la maggioranza. Oggi, però, le cose sono diverse.
Oggi è venerdì e sono certa di alcune cose. Ho la consapevolezza che la maggior parte dei miei amici uscirà e vorrà divertirsi, quindi andremo cercando la movida. So anche che un mio amico ha fatto un esame stamattina, quindi vorrà bere per festeggiare. Ho la certezza che il miglior modo per festeggiare è bere in compagnia di più persone possibile, e di conseguenza si andrà nel famoso locale dove sono quasi sicura che andrà anche il gruppo di Mauro. La consapevolezza finale che ho, è che lui non rinuncia mai al beverdì. Sicuramente uscirà stasera; non so dove andrà, ma le probabilità di trovarci nello stesso posto sono alquanto alte. E’ un peccato che non possa scrivere il nome del locale, perchè è davvero carino, ma preferisco mantenere la mia privacy. A proposito, sul versante “infatuazione” non ho molte novità. Il panico e la fibrillazione che mi assalivano prima quando pensavo a lui si sono un po’ calmate, ma penso che sia perchè non lo vedo da tanto e sono così impegnata che non ho neanche il tempo di farmi venire le farfalle allo stomaco. C’è anche da dire che ogni volta che esco di casa non faccio altro che cercarlo con lo sguardo. Dettagli.
Ho parlato con il suo migliore amico, lo chiameremo... C. Con una scusa ho risposto a una sua storia e abbiamo finito per avere una delle nostre tipiche conversazioni vaghe, in cui entrambi sappiamo cosa vogliamo dire ma non lo diciamo mai apertamente. Ho cercato di ottenere qualche indizio, qualche risposta alle mie tante domande. Sono arrivata anche a chiedergli schiettamente “ho ancora speranze o no?” Ci mancava solo che includessi il nome del suo migliore amico nella domanda. Ovviamente, non ho ricevuto risposte soddisfacenti, ma solo frasi molto ambigue e confusionarie in cui lui mi diceva “Tranquilla, se quest’estate le cose si tranquillizzano avrai un fidanzato.” Ammetto che, parafrasata e decontestualizzata, questa frase è davvero strana. La cosa brutta è che anche la frase originale collocata nel contesto a cui appartiene è una merda. Io e C ci piacciamo molto, abbiamo mentalità simili e penso che sia una persona davvero speciale. Ma sa essere davvero un bastardo. I miei tentativi di estorcere informazioni sono falliti, quindi non ho certezze su niente. C mi ha detto, in pratica, che appena sa qualcosa me lo fa sapere. Ciò che lui non ricorda è che in passato mi ha detto che lui e Mauro si dicono qualsiasi cosa, quindi se ci fosse stato qualcosa da sapere su questo fronte, lui in questo momento ne sarebbe a conoscenza. Ha solo scelto di non dirmelo. Penso che prima di dirmi cose che potrebbero risultare compromettenti o significative, lui voglia parlarne con Mauro. Infatti penso che se non è accaduto ieri, sicuramente ne discuteranno oggi o stasera. Questa cosa che sono l’oggetto di conversazione quando sono assente mi mette ansia.
E niente, purtroppo non ho cose poetiche da dire o riflessioni profonde da pubblicare. Però oh, è il mio blog e ci scrivo quello che mi pare. I viaggi mentali assurdi scritti su tastiera arriveranno molto presto. Per ora voglio riuscire a leggere, scrivere, allenarmi, bere tanta acqua, uscire con gli amici e imparare a guidare. Lasciandomi anche un po’ di tempo per i caffè pomeridiani al bar. Sopravviverò?
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Vite Passate
Oggi è uno di quei giorni in cui mi manca vivere a New York. Non ci ho mai vissuto davvero, e l’ho vista solo due volte, per un paio di giorni a testa. Ma credo che il mio legame con questa città vada ben oltre questa vita.
Ho delle teorie abbastanza strane sui temi più disparati, ma una cosa in cui credo fermamente è la reincarnazione. Isieme a questa, credo anche che le nostre vite precedenti lascino delle tracce, dei “residui” nelle vite che le succedono. Ad esempio, i dejavù o i sogni premonitori, che nel mio caso sono due cose che si sovrappongono. Io sogno cose e qualche tempo dopo, una volta dimenticate, si presentano nella mia vita esattamente come le ho sognate. Incontri, luoghi, scene intere della mia vita sono già accadute nella mia testa durante la notte giorni, mesi o anche anni prima. Sembra una cosa assurda ma mi succede da ormai circa otto anni. Tuttavia, non è il momento di esporre le mie abilità psichiche (non ancora).
Credo nelle tracce che le nostre vite passate ci lasciano nel presente, e che prendono le forme più varie: un talento innato, una particolare affinità a un animale o un posto, l’inspiegabile attrazione (non necessariamente fisica) verso una persona sconosciuta. Ma anche le fobie, quelle paure paralizzanti e irrazionali che ognuno ha dentro sè. Io ritengo di avere due certezze riguardo le mie vite precedenti. La prima è che ero anglofona, quindi originaria di un Paese la cui lingua principale era l’inglese. Altrimenti non riuscirei a spiegare la mia innata familiarità con tale lingua. Non l’ho mai studiata se non superficialmente, ricordo a stento le regole grammaticali insegnate a scuola, ma la parlo come se fosse la mia lingua madre. Ed è sempre stato così. Non a caso oggi vivo con due lingue che si alternano costantemente nella mia testa. Il fatto che io faccia l’università in inglese poi è un valore aggiunto.
La seconda cosa di cui sono assolutamente certa è che, in una vita o nell’altra, io abbia avuto qualcosa a che fare con New York. Si potrebbe considerare una banalità; è una delle città più belle e famose del mondo, e la maggior parte delle persone ci andrebbe volentieri in vacanza. Il mio problema è che da quando ho memoria, sono sempre stata attirata — se non ossessionata — da New York. Non del tipo “Voglio guardare la città dalla cima di un grattacielo mentre ascolto Empire State of Mind e mi immagino scene di Gossip Girl.” Sicuramente mi piacerebbe fare anche quello, ma non è ancora al livello del legame che mi unisce a quella città. Ricordo che avevo 11 anni e andavano troppo di moda le pagine su Facebook. Ho in mente l’immagine nitida di me che frugo attraverso l’Internet per trovare le immagini perfette, le modifico su Picnik e creo la pagina “New York: My Dream” scritto tutto in caratteri particolari che si sarebbero poi rivelati alfabeto greco.
Se questo non è abbastanza, penso valga la pena menzionare che quando sento la mancanza di New York — sì, avverto effettivamente nostalgia nei suoi confronti — sento dolore fisico. Sento come una stretta allo stomaco, un disagio in tutto il corpo, come se in quel preciso istante non dovessi trovarmi dove mi trovo, ma dovrei essere in quella città. Il mio organismo è inevitabilmente attratto dal pensiero di New York, non saprei come altro spiegarlo. Quando ci sono andata, ad ottobre e poi dicembre 2015, avevo gli occhi lucidi solo perchè camminavo per le strade di Manhattan. Ogni volta che ripenso a quei giorni vengo investita dall’impulso irrefrenabile di partire, dalla consapevolezza che dovrei essere lì e non qui.
Quando mi chiedono la città dei miei sogni, o dove vorrei vivere, rispondo sempre New York, ed è forse la cosa meno idealizzata che ci sia nella mia testa. In altre parole, non immagino una New York fiabesca, dove i sogni si avverano e trovo l’amore della mia vita mentre passeggio per Central Park. No, immagino le strade strapiene di gente e turisti e senzatetto accampati sui marciapiedi, ratti che sgusciano tra i tombini e nei vicoli bui tra un grattacielo e l’altro. Ricordo il vicoletto dietro un ristorante a China Town dove io e una mia amica ci siamo nascoste a fumare una sigaretta a sedici anni, con le aragoste che ci scrutavano dall’acquario del ristorante e i passanti che non si sprecavano neanche a girarsi per guardarci, ma continuavano per la loro strada perchè avevano di meglio da fare. Penso a quanto sia difficile fermare un taxi e a quanto costi la vita lì, ma penso anche ai ristorantini take-away aperti tutta la notte; credo che New York sia uno dei pochi posti in cui puoi ordinare thailandese alle 4 del mattino. Penso alle corse sul ponte di Brooklyn in mezzo ai fumi delle auto. Penso a tutti i difetti di questa città, ma penso che sia perfetta così. E’ come una ragazza problematica, con tante fisse e tanti difetti, e nonostante questo c’è un ragazzo che la ama alla follia per tutto ciò che è.
Penso a New York ogni giorno. A ciò che rappresenta per me, a come vorrei viverci, e quale sarebbe il costo (non solo economico) del trasferirmi lì. Non dico che voglio invecchiare in quella città, ma voglio avere l’esperienza e la possibilità di dire: io ce l’ho fatta. Ho vissuto nella giungla di asfalto, ho camminato per quelle strade, sotto i grattacieli, ho guardato dalla finestra le migliaia di luci, ho esplorato fino a trovare le librerie e i negozi di dischi e le boutique più nascosti e sconosciuti. Voglio poter dire che l’ho fatto. Voglio sentire la calamita che mi lega a questa città. Voglio costruire il mio futuro lì, per poi arrivare a un punto dove posso permettermi di andare ovunque.
Dopotutto, come diceva un saggio (o Jay-Z), “Since I made it here, I can make it anywhere.”
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“Vecchia” Cotta
“Le nostre impronte non sbiadiscono sulle vite che tocchiamo.”
Ho letto questa frase come didascalia sotto una foto di Instagram. Inizialmente ho pensato fosse stata pronunciata da qualche personaggio storico letterario importante, o che fosse parte di un grande classico della letteratura che non ho mai letto. E invece è una frase del film Remember Me. Niente di sbagliato in questo, è anche un bel film, ma ancora una volta idealizzo cose e poi vengo delusa dal mio stesso cervello. Questa frase mi è rimasta impressa come un tatuaggio per mesi, da quando ha fatto capolino nella mia mente; non se n’è mai andata.
Era agosto l’anno scorso, ed ero nel bel mezzo di una delle innumerevoli guerre con me stessa, con parti di me che vogliono una cosa, ed altre che vogliono l’opposto. Faceva tanto tanto caldo e cinque mesi prima avevo concluso la prima, unica relazione seria della mia vita. Ecco un flashback nel flashback per dare contesto: una volta purificato tutto il cattivo sangue che avevo fatto scorrere nelle mie vene nei mesi d’inverno, avevo iniziato l’estate a mente fresca, ripromettendomi che l’avrei vissuta all’insegna della leggerezza, del divertimento e del disimpegno. All’inizio ho frequentato diversi ragazzi, il primo dei quali era una mia cotta epocale dai tempi delle medie. Ero così su di giri all’idea che potessi piacere a uno come lui (sì, era questo l’effetto che mi faceva) da non accorgermi che ero strafatta di desiderio di amore e infantile infatuazione, e vedevo cose che non erano. Come tutte le cose che solitamente mi riprometto, non ho minimamente mantenuto la leggerezza e il disimpegno che volevo, e ho detto al suddetto ragazzo che stavo iniziando a provare qualcosa per lui. Di tutta risposta, se l’è data a gambe, lasciandomi ancora una volta sconfitta, amareggiata e incazzata con l’amore. Senza entrare troppo nei dettagli su quanto quel ragazzo fosse in realtà un deficiente, è giusto dire che quella batosta è però servita a farmi prendere sul serio ciò che avevo stabilito per me stessa. Da quel momento, avrei davvero seguito le mie regole. E così sono passata per altre frequentazioni senza scopo; non me ne pento, penso ancora che una ragazza single dovrebbe pensare a divertirsi come meglio crede, non a trovare marito. Tuttavia, come tutte le storie che si rispettino, ben presto è successo qualcosa che non mi sarei aspettata.
Dopo aver conquistato la mia cotta epocale, insieme a diversi altri ragazzi che mi avevano attirato in passato, mi sentivo inarrestabile. Sentivo di poter attrarre a me qualunque uomo volessi. Era diventato quasi uno sport per me; volevo vedere se riuscivo ad attirare qualsiasi ragazzo potesse interessarmi. Per un po’ è stato divertente (anche se sbagliato perchè li illudevo e poi li abbandonavo, cattiva bambina), ma stava diventando una cosa che facevo involontariamente, anche su persone che non volevo attirare. Un giorno, sdraiata con i miei amici su un agglomero di teli mare in spiaggia, ci si sono avvicinate persone che i miei amici conoscevano, ma che io avevo solo sentito nominare. Con il sole caldo del tramonto, mi copro gli occhi con la mano per vedere meglio, e identifico un certo ragazzetto, anche lui una mia vecchia cottarella, ma molto più latente rispetto a quella precedente. Non saluto nessuno, ma li guardo e ascolto le loro chiacchiere. A una certa penso anche di essermi alzata per parlare con altre persone; fatto sta che mi sono detta: “Basta, con lui non proverai a far niente, non è giusto.” In quel momento interpretai quel pensiero come pigrizia, come noia di fare sempre la stessa cosa. Qualche giorno dopo, puntuale come un orologio svizzero, quel ragazzo mi ha iniziato a seguire su instagram, una delle mosse più significative e inequivocabili della nostra generazione, specialmente se inizi a seguire qualcuno che non conosci ufficialmente o con cui non hai mai parlato.
Per farla breve, io e il ragazzo in questione, che chiameremo Mauro, ci siamo frequentati per una o due settimane. In quel lasso di tempo ho dato un nuovo significato all’espressione: “Sembrava ci conoscessimo da sempre.” Passavamo le ore a chiacchierare di tutto, a ridere per le battute idiote sue o mie, non c’era alcun disagio. Ero ansiosa prima di vederlo, ma quando eravamo insieme il tempo si fermava, o avrei voluto che lo facesse. Eravamo in una bolla di leggerezza e felicità, che mi sono trovata a scoppiare. Mauro ha iniziato a presentarmi ai suoi amici, a dire e agire in maniera particolare, una maniera che mi ha fatto capire che era preso. E non poco, nè in maniera leggera. Non appena me ne sono accorta, mi sono allontanata. Non volevo una relazione, volevo leggerezza, divertimento, disimpegno. Non potevo impegnarmi con qualcuno, e non potevo continuare a frequentarlo perchè l’avrei ferito. Perchè non provavo lo stesso. Giusto?
La risposta a tale domanda mi è arrivata nei giorni successivi, come un enorme, violento schiaffo in faccia. Mi mancava. Sentivo la sua mancanza. La mancanza di qualcuno che conoscevo da due settimane. Mi mancava stargli vicino, parlargli, ridere con lui, baciarlo. Mi mancava lui. E così, dato che condividevamo la stessa spiaggia, mi ci sono riavvicinata, in punta di piedi. Senza mai sbilanciarmi troppo per non dare un’idea sbagliata, senza mai essere libera di essere me stessa. Ma era difficile; quando lo guardavo era come se mi specchiassi in un’acqua cristallina e non mi riconoscessi. Vedevo in lui piacere nello starmi vicino, che però mal celava il malessere dello starmi accanto come... amico? Conoscente? Come una persona non ben identificata. I giorni passavano, come le settimane e infine i mesi. Il sentimento che pensavo di non avere, o non volere, cresceva in silenzio, lontano dagli altri ma pericolosamente vicino a lui. Abbiamo iniziato a parlare allo stesso modo, fare lo stesso tipo di battute e gli stessi riferimenti a episodi del passato. Abbiamo iniziato ad avere una sintonia anomala per due persone che si conoscono appena. E io su queste cose rifletto tanto. Ci ho riflettuto così tanto che è arrivato agosto, dove questa guerra interiore ha avuto inizio. Ho scoperto che sarei andata a vivere a Roma tre giorni prima della mia partenza. Sono stata felicissima, e lo sono ancora. Sono innamorata di quella città come mai avrei pensato possibile. La mia ultima sera, Mauro e i suoi amici avevano deciso di dare una “festa di fine estate” nel locale della città in cui andavamo sempre tutti. Io sono uscita con i miei amici, e prevedibilmente ci siamo diretti nello stesso posto. E’ stato inevitabile trovarci, un po’ perchè eravamo entrambi lì e un po’ perchè ho incrociato il suo migliore amico e sono rimasta a parlarci fino a che Mauro non è venuto a cercarlo. Da lì, mi sono un po’ aggregata al loro gruppo. Tra una chiacchiera e l’altra abbiamo iniziato a passeggiare per il lungomare e io e lui siamo rimasti indietro.
Ho deciso di sfogarmi e dirgli la verità: quanto fosse stato incredibile conoscerlo, quanto strana mi sentissi nello stare con lui, ma uno strano piacevole, rigenerante. Gli ho detto quanto mi sia dispiaciuto aver stroncato il nostro rapporto ancora prima che potesse davvero nascere e soprattutto, gli ho detto che spero di potermi tenere in contatto con lui, che non voglio perdere una persona così preziosa appena dopo averla trovata. In pratica, gli ho detto che lo volevo ancora nella mia vita. Una mossa egoista, visto che volevo restargli vicino senza garantirgli una relazione o un rapporto più profondo. Nonostante questo, però, sono stata contenta di dirgli tutto ciò che pensavo, mettendo da parte orgoglio o castelli fasulli che ereggevo nella mia mente. Lui ha ricambiato le belle parole; era evidente che pensassimo le stesse cose l’uno dell’altra. In preda ai fumi dell’alcol da parte sua e per via della mia partenza il giorno dopo, abbiamo finito per baciarci per ore poggiati ad un chiosco gelati chiuso sul ciglio della strada. Erano le 3 del mattino, non c’era praticamente nessuno, e anche se ci fosse stato, noi non ci saremmo fermati. Sono stati i baci più passionali che ci siamo dati, e non volevo che finissero. Parte di me voleva anche proporre di scendere in spiaggia per... stare più comodi. Ma non ho detto niente. Temevo che qualsiasi parola o passo falso avrebbe frantumato quel momento che mi sembrava così fragile e così intenso. Dopo esserci consumati, ci siamo salutati senza fiato, e lui si è incamminato da solo sul lungomare per raggiungere i suoi amici. Io sono tornata a casa, e il giorno dopo mi sono trasferita, rimpiangendo qualcosa che non c’era stato e che non sapevo neanche se volessi o meno.
Durante i mesi d’autunno ci siamo tenuti in contatto, ma più gli scrivevo e più mi accorgevo di un’insolita freddezza da parte sua. Mi ci sono mangiata le mani. Ho anche parlato con il suo migliore amico, una persona che stimo moltissimo, e che mi ha dato quel tough love di cui avevo bisogno. Mi ha fatto realizzare che Mauro aveva tutti i diritti di ergere un muro tra me e lui, anche se magari non lo stava facendo intenzionalmente. Non mi dava nessuna colpa per quello che era successo, ma non poteva permettersi di lasciarsi andare con una persona che non poteva dargli ciò che cercava. Lo stesso ragazzo mi ha fatto anche notare come in quei mesi d’estate lui mi avesse messo il suo tempo su un piatto d’argento; si era completamente dedicato a me ogni volta che volevo. Io non potevo dire lo stesso. C’era sempre una parte di me che mi ricordava di non sbilanciarmi perchè ehi, una relazione non è quello che voglio. Così facendo c’è sempre stato uno squilibrio tra le due parti. Dopo un lungo discorso ho deciso che non avrei mai più fatto niente per ferire Mauro, perchè anche se lui avrebbe potuto perdonarmelo, io non ci sarei riuscita.
Quindi abbiamo smesso di sentirci assiduamente, ma nei mesi d’inverno mi ha invitata alla sua festa di compleanno, nonostante ci fossero solo pochi amici intimi, ed è venuto a Roma con due suoi amici a febbraio. Tra le mie lezioni all’università e i loro impegni in città, siamo riusciti a vederci solo un pomeriggio. Siamo stati colti dalla pioggia e ci siamo rifugiati nel locale in cui avevo iniziato a lavorare da poco. E’ stato un pomeriggio divertente, leggero, ma è valso molto di più che una normale uscita a Roma per me. La sera Mauro e i suoi amici sono andati a cena in un ristorante molto lontano dalla mia zona, e non ho potuto vederli. Il giorno dopo sono partiti, e ho chiacchierato un po’ con lui mentre era sulla strada del ritorno. Stavo impazzendo, non riuscivo a smettere di pensare a lui e a quanto mi fosse mancato. Gli ho scritto “sei un pensiero fisso,” e in tutta risposta, mi ha inviato lo screen di una pagina delle sue note in cui c’era scritta una poesia. Una poesia che parlava di me. Quando l’ho letta il mio cuore deve aver perso un paio di battiti. Non solo era bellissima perchè parlava di Roma e di me, ma perchè era la dimostrazione che non ero l’unica dei due ad avere ancora in testa l’altro. Non ci sono state molte interazioni dopo quella conversazione. Io non sono tornata nella mia città per 5 mesi causa pandemia, e tra due giorni potrò finalmente uscire.
Quando penso ad una nostra ipotetica conversazione vado in surriscaldamento, un po’ come il mio computer in questo momento. Ho anche scritto tra le mie note del telefono tutto il discorso che vorrei fargli. Vorrei dirgli che Robin Scherbatsky ci ha insegnato che servono due cose fondamentali: la chimica e il tempismo. Noi abbiamo sempre avuto la prima, ma per il secondo ci ho dovuto lavorare un po’. Penso anche che in questi tre mesi lui potrebbe aver incontrato qualcun altro, potrebbe essere impegnato, potrebbe non volermi più in quel modo. Sono solita lasciarmi scappare occasioni d’oro per la paura, ma farmi scappare lui sarebbe una cosa che rimpiangerei per sempre. Ho tanti piani per la mia vita e per il mio futuro, voglio lavorare all’estero e avere una carriera fruttuosa, il che è spesso incompatibile con una relazione stabile, specialmente con qualcuno che viene dal mio stesso paesino in Italia. Nonostante questo, però, glielo devo dire. Gli devo parlare, fargli sapere che se lui ci sta io ci sto, che ha lasciato un’impronta indelebile sulla mia vita, che non sbiadirà mai. Devo farglielo sapere e accettare qualsiasi cosa mi dirà, anche se è un rifiuto. Ma deve saperlo, solo così posso superarla e tornare ad essere serena.
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L’infatuazione
C’è un tema specifico che volevo trattare nel post precedente, ma ho deciso di far viaggiare la mia mente e far scrivere alle mie dita ciò che volevano. Non mi piace avere una struttura troppo precisa quando scrivo per diletto (in realtà neanche quando scrivo per l’università, ma lì non ci posso fare niente). Ritengo tuttavia necessario scrivere un secondo post, un po’ perchè oggi sono particolarmente propensa alla scrittura — come ho detto precedentemente, la chiave per fare qualcosa, qualsiasi cosa, sta tutta nel passo iniziale — e un po’ perchè c’è una questione che mi sta tormentando da mesi. Era latente ma sorprendentemente costante i primi tempi, ma da un paio di mesi è diventata insopportabile. Per poterla esporre, però, devo prima spiegare alcune delle numerose dinamiche del mio cervello.
Mi ritengo una persona che si invaghisce facilmente. Non ho un tipo di ragazzo che mi attira più di altri, trovo qualcosa di attraente nei più disparati “stili” di uomini là fuori. Mi piace trovare la bellezza nei dettagli; in una fossetta sulla guancia, in un naso importante o particolarmente dritto, in una barba apparentemente castana che brilla rossiccia al sole, in qualche prematuro capello bianco o nella forma delle mani e delle vene degli avambracci. Mi tremano le ginocchia quando vedo profondità in uno sguardo che si incrocia col mio. Considero gli occhi l’elemento più potente del corpo umano. Nello sguardo di un ragazzo mi piace scorgere mistero, curiosità, lussuria, divertimento e interesse. Mi attira vedere una mascella che si tende, o un sorriso imperfetto e spontaneo. Mi piace sentire una voce profonda tanto quanto una voce infantile, entrambe che si flettono attorno allo stato d’animo con cui l’uomo pronuncia le parole. Anche caratterialmente, non c’è una personalità o uno stile che mi attira più di altri. L’anima della festa cattura il mio interesse tanto quanto il timido cameriere che ti studia da dietro i suoi occhiali. Sono stata invaghita di un ragazzo atletico che predilige camicie di Ralph Lauren e che porta sempre il suo Rolex al polso, e sono impazzita per il ragazzo sciatto, con pesanti dreadlock che raggiungono la base della schiena, una bici come mezzo di trasporto e la pancetta soffice offerta gentilmente da dozzine di birre artigianali. Mi piace il ballerino di hip hop che ha sempre una canzone nella testa e una strana stretta di mano da insegnarti, e mi piace il bassista focoso che parla poco e fuma tanto. Sono stata attirata da innumerevoli esemplari di essere umano negli anni. Ma l’infatuazione che mi contraddistingue segue sempre un percorso ben preciso.
La prima fase è quella del colpo di fulmine intenzionale: conosco un ragazzo, ci scambio due parole o qualche sguardo, e realizzo di esserne interessata in seguito a una sua qualche insignificante ma sufficiente dimostrazione di interesse. Dopo aver eseguito la mia miglior performance per fargli definitivamente perdere la testa — ragazza della porta accanto o femme fatale che sia, ognuno ha i suoi punti deboli — lo faccio cuocere nel suo brodo di desiderio e attrazione mentre fingo disinteresse. Nei giorni seguenti si attiva la fase due: gli Oscar. Questa è la fase in cui sono io a cuocere nel mio brodo; iniziano film vari sul mio futuro col ragazzo di turno, con un palinsesto degno delle migliori commedie romantiche, appuntamenti al chiaro di luna, baci sotto la pioggia, dimostrazioni plateali del suo amore per me, litigi, conflitti, scopate da film erotico, ostacoli da superare per far vincere il nostro amore. Cazzate patetiche insomma. In questa fase il mio cervello dipinge il ritratto di quello che penso sia il ragazzo di cui sono interessata, e l’intensità della cotta cresce a dismisura; è il punto dell’infatuazione descritto come “stare sotto.” Ne parlo con le mie amiche, non riesco a pensare ad altro, ho le farfalle nello stomaco, clichè del genere.
Quando si arriva alla terza fase, io sono solitamente già bella che andata. Questa la chiamo fase mestruo: sbalzi d’umore cosmici dettati dal più insignificante dei gesti. Con una minima azione carina da parte del mio amato, che può essere pure comprarmi un pacco di patatine alle macchinette o prendere un pezzo di carta che mi è caduto (immagini iperboliche ma rendono l’idea), io volo sulle nuvole peggio di un Boeing 737. In questo caso i film aumentano, faccio competizione a Spielberg. Tuttavia, nel caso contrario, al minimo comportamento che non si allinea col disegno perfetto del ragazzo che ho in mente, tutti i miei castelli crollano; il mio umore si fa nero, divento scontrosa e depressa, non voglio parlare con nessuno, inizio ad odiare quel povero cristiano e mi riprometto di non parlarci mai più. Dopo queste montagne russe sentimentali e poche altre vicissitudini raggiungo la fase finale: lo scoppio del palloncino.
Ora, la storia si può sviluppare in due modi, ma il finale è solitamente lo stesso; in uno, il ragazzo continua a mostrare interesse fino a chiedermi di uscire. In base a fattori che ancora non ho identificato, accetto e usciamo da una a tre volte, oppure rimando ripetutamente a data da destinarsi, sempre per quei fattori che al momento mi sfuggono. Il risultato è che, avendo mostrato interesse in maniera così ovvia, il malcapitato viene banalizzato, diventa come tutti gli altri ragazzi che si sono mostrati volenterosi di conoscermi, e io perdo interesse troncando il “rapporto.” Nello scenario alternativo, il ragazzo non fa mai il passo ovvio che mostri il suo interesse, lasciandomi in un’insicurezza fastidiosa. In compenso, però, fa una cosa molto particolare: mostra il suo carattere. Nella maggior parte dei casi, inspiegabilmente, esso è molto diverso da come l’avevo costruito nella mia testa. E’ sempre un po’ più superficiale, un po’ meno intelligente, o un po’ meno romanzesco di come credevo. Incredibile come non sia mai un Damon Salvatore, un Mr. Darcy o un Christian Grey (per fortuna). Venendo a fare la sconcertante scoperta che il suddetto ragazzo non è un personaggio di finzione creato appositamente per una audience di donne, ma un mero essere umano con pregi, difetti e accidentali pezzi di insalata tra i denti, il tasso di interesse cala inevitabilmente.
Questo processo ha la durata media di una, due, massimo tre settimane. Avviene tutto velocemente e inspiegabilmente. Senza accorgermene inizio ad arrossire ogni volta che lo vedo, a seguirlo con gli occhi ad ogni movimento, a cercare il suo viso tra la folla. E poi, sempre senza accorgermene, mi “scade,” come si dice dalle mie parti. Il suo punteggio inizia a calare vertiginosamente fino a quando non mi diventa indifferente e supero l’esperienza di infatuazione. E’ breve, intensa ed estremamente fugace. E, per una persona come me, che non ha un tipo predefinito, accade abbastanza spesso. Sono anche consapevole che non sia una mentalità corretta, dimostra che il mio interesse è quasi sempre superficiale e dettato da una idealizzazione della persona con cui mi rapporto, e non da un interesse genuino. Tuttavia, penso che questa idealizzazione abbia origine da un romanticismo quasi disperato che alberga in me credo da sempre, ma che ho soffocato negli anni come un segreto o una cosa orribile. Non so perchè, ma ci sto lavorando.
Le mie infatuazioni sono durate più a lungo solo in due casi: il primo è stato con il mio unico effettivo fidanzato, palesemente disturbato e che sono arrivata perfino a presentare ai miei genitori. Con lui la cotta si è trasformata in amore, e siamo stati insieme quasi un anno. Quella è sempre una storia divertente da raccontare. Il secondo caso è in corso in questo preciso istante, e dato che dura da circa 10 mesi, sto iniziando a sospettare che sia un po’ più di una fugace, leggera, breve e intensa infatuazione. Ed è proprio questo che mi ha portato a scrivere. Ci sto pensando da così tanto e così intensamente che ho bisogno di buttare giù i miei pensieri, o la testa mi esploderà. Per saperne di più, beh, ne scriverò domani.
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