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#vicino oriente
gregor-samsung · 1 year
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“ Era il 1973, c'era la guerra, la gente faceva capannello attorno alla radio. Ascoltavano Radio Cairo, ancora increduli che l'esercito egiziano potesse attraversare il canale di Suez, che gli arabi potessero vincere contro Israele. Stava in piedi assieme ad altre persone, Zayn 'Alúl, davanti alla bottega di Abu Khalíl, sorseggiando tè e facendo quattro chiacchiére. A un certo punto le chiacchiere avevano preso un'altra piega, si erano trasformate in una discussione a proposito dei fatti della Bank of America. Era successo che alcuni elementi della polizia libanese avevano fatto irruzione nella banca, ucciso due degli uomini che l'avevano occupata, arrestato gli altri due e liberato gli ostaggi. Con il risultato che la banca non aveva scucito un petacchino per lo sforzo bellico arabo, scopo ultimo dell'operazione, stando alle condizioni dettate dal capo del commando, poi abbattuto. - È stato un errore, - diceva Abu Khalíl, - la guerra è in Israele, a che pro occupare una banca qui? - La banca è americana, gli americani sono Israele. Sí insomma, lí e qui è la stessa identica guerra, - aveva ribattuto uno dei ragazzi che facevano ressa attorno alla bottega.
Abu Khalíl aveva preso in mano il giornale e si era avvicinato alla luce che usciva da dentro il negozio. - Date retta a me, ragazzi, è stato un errore. 'Ali Shu'ayb ha preso in ostaggio e poi ammazzato un americano che non c'entrava niente. Leggeva, Abu Khalíl: - «L'americano John Conrad Maxwell è stato assassinato da 'Ali Shu'ayb. Quest'ultimo, ricorrendo a uno degli ostaggi perché non in grado di esprimersi in inglese, ha comunicato a Maxwell di aver deciso di ucciderlo poiché la dilazione concessa alle autorità era scaduta. L'americano ha implorato per la propria vita, ma 'Ali Shu'ayb gli ha sparato alla schiena. L'americano, supino al suolo, ha urlato e supplicato, ma 'Ali Shu'ayb, coadiuvato da un altro componente del commando, presumibilmente Jihàd As'ad, lo ha preso a calci e ha nuovamente fatto fuoco, colpendolo al ventre e togliendogli la vita». - Ma vi sembra possibile, ragazzi? Non son cose che si fanno, - aveva concluso Abu Khalíl: - E poi il problema è con Israele, la guerra è li. È stato un errore. - Tutte balle, - aveva esclamato Zayn 'Alúl, - sono tutte balle. “
Elias Khuri, Facce bianche, traduzione dall'arabo di Elisabetta Bartuli, Einaudi (collana L'Arcipelago n° 126), 2007¹; pp. 133-134.
[1ª Edizione originale: الوجوه البيضاء, (Wujuh al-bayda), editore Dar Al Adab, Beirut, 1981]
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storiearcheostorie · 1 year
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ARCHEOSCOPERTE / Straordinario ritrovamento in Israele: da una grotta riemergono quattro spade romane (con fodero) e la punta di un giavellotto [FOTO, VIDEO]
#ARCHEOLOGIA #SCOPERTE / Straordinario ritrovamento in #Israele: da una grotta riemergono quattro spade romane (con fodero) e la punta di un giavellotto [FOTO, VIDEO] Tutti i dettagli su Storie & Archeostorie
Le spade dopo il ritrovamento (foto: ©Israel Antiquities Authority) Quattro spade romane e la punta di un giavellotto (pilum), tutti risalenti a circa 1900 anni fa, sono stati rinvenuti in perfetto stato di conservazione in Israele a Seliq, all’interno di una grotta nella riserva naturale di En Gedi (o Ein Gedi), un’oasi sulla sponda occidentale del mar Morto. Il ritrovamento, annunciato a…
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ross-nekochan · 1 year
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Una cosa che sto imparando tramite gli indiani e i film che mi fanno vedere è che in Medio Oriente/Asia Occidentale gli attriti tra nazioni e le guerre non sono per niente un ricordo lontano. Ora tutti parlano di Israele e Palestina ma vi assicuro che India e Pakistan si odiano come non ho mai visto odiare nessuno. Non è come dire che gli italiani schifano i francesi, è proprio un odio profondo e viscerale senza nessuna base ragionevole se non motivi storici e religiosi. Vivono ancora in società intrise di onore, orgoglio, valore e patriottismo viscerale. Nessuno pare sia cosciente del fatto che la nazione è una costruzione culturale e che non esisterebbe alcuna bandiera e alcun confine se nessun uomo si fosse messo a dire che quelle sono le linee entro i quali il proprio gruppo si stanzierà negli anni a venire.
Non voglio dire che in Europa i confini nazionali non siano importanti, ma sono solo muri di aria che puoi attraversare a tuo piacimento, scoprendo che il tuo vicino può essere stronzo ma anche interessante.
Sono sempre più convinta che l'Europa è il posto migliore per nascere, crescere e vivere. Ma soprattutto, è talmente all'avanguardia da poter essere decisamente il futuro del pianeta terra.
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crazy-so-na-sega · 2 months
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------------Pfizer---> Rezifp-----------
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Reshef (a destra) raffigurato sulla stele di Qadesh.
Il termine è presente come etimo in lingua ebraica con il significato di "fiamma, fulmine" (Salmi 78:48), da cui derivano significati figurativi, come "freccia" (Libro di Giobbe 5:7) e "febbre che infiamma" (Deuteronomio 32:24)
Per la sua capacità di controllare e scatenare malattie e pestilenze, presso i greci venne accostato ad Apollo ed al vedico Rudra, mentre le caratteristiche marziali e belligeranti di Reshef ne hanno spesso favorito l'occasionale paragone con le figure di Marte e del dio babilonese della morte Nergal. I fenici si riferirono a lui come Resheph Gen (‘Reshep del Giardino’) e Baal Chtz (‘Signore delle frecce’), mentre gli ittiti lo hanno descritto come il dio cervo o il dio gazzella. A Larnaca, Cipro, Reshef aveva l'epitteto di ḥṣ, inteso come "arco" da Javier Teixidor, che, di conseguenza, interpretava Resheph come dio delle malattie, comparabile ad Apollo, le cui frecce portarono la peste contro gli Achei (Iliade I.42-55). Reshef compare anche in testi mitologici ugaritici come il poema epico di Kirta.
il testo di un'antica formula apotropaica invoca il nome di Reshef, insieme a quello di Astarte, come rimedio all'azione del demone cui si attribuiva la causa dei dolori addominali. Nel suo duplice aspetto di divinità guerriera e guaritrice, capace di coniugare in sé le opposte polarità di vita e morte, Reshef era conosciuto in Egitto e nel vicino Oriente.
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scateniamo l'immaginazione...;-)
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vintagebiker43 · 25 days
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Pensate a cosa sarebbe il medio oriente se, negli ultimi trent'anni, i palestinesi (e non parlo di Hamas) avessero avuto lo stesso potenziale bellico di Israele e avessero applicato le stesse modalità di vendetta per ogni aggressione dei coloni israeliani.
E adesso datemi dell'antisemita.
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abr · 11 months
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MUNICH, di Steven Spielberg con Daniel Craig, 2005.
Il prologo: «Nel 1972 il mondo è testimone dell'assassinio di 11 atleti israeliani alle Olimpiadi di Monaco, questa è la storia di quanto accadde dopo».
Racconta l'operazione "Ira di Dio": eliminare fisicamente - nelle principali città d'Europa e del Vicino Oriente - 11 esponenti del terrorismo palestinese implicati nell'attentato come esecutori, organizzatori e mandanti. Trovandosi contro anche la Cia e il Kgb. Fatti realmente avvenuti, ovviamente resi come si può (da Spielberg ...).
Uno dei miei film preferiti.
Per nulla trionfalistico né tantomeno chiagnone vittimista propagandistico, il sentiment prevalente nella squadra del Mossad incaricata è quello dei becchini: a ogni "successo", nessun evvai o dammi cinque all'americana; il comandante in particolare vive il peso morale devastante del portatore di morte, anche dei suoi, oltre all'ambiguità del giustiziere che non può sapere davvero chi stia eliminando.
Se Spielberg fosse cristiano, da uomo di cultura riconoscerebbe l'approccio di Bernardo di Chiaravalle, teorico della regola dell'ordine monastico guerriero dei Templari: punire il Male e difendere i deboli non è omicidio, lo chiama "malicidio" ma è un pur sempre costoso sacrificio di cui si porta il peso morale.
Il finale del film, con le Torri Gemelle ai tempi in piedi sullo sfondo, par suggerire l'inutilità di tutto: morto un papa ne fanno un altro ...
Al che sovviene la fine di "The Untouchables", quando all'obiezione che, eliminato Al Capone, la Mafia andrà avanti con nuovi capi e nulla cambierà, come faremo, Kevin Costner risponde: "LI ANDREMO A PRENDERE. UNO ALLA VOLTA". Altrimenti Hitler sarebbe ancora là.
Che altro vuoi fare, eradicare il male? Edificare il paradiso in terra? Viviamo in mondo di dinamiche costanti, per fortuna nulla è eterno; si fa la giustizia che si può e lapacenelmondo la lasciamo ai desideri delle miss.
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Albero di Giuda
L'albero di Giuda o di Giudea o siliquastro
Il nome è riferito alla regione della Giudea, nel Vicino Oriente, in cui ebbe origine, diffondendosi in tutto il Bacino del Mediterraneo.
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giuseppelaporta · 9 months
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Il Cristo Santissimo Salvatore, della Cattedrale di Termoli
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Come ho già potuto enunciare in varie occasioni, la storia dei nostri beni comuni è pregna di quegli accadimenti inaspettati, benefici e talvolta catastrofici, che plasmano le fondazioni della nostra cultura e della tradizione, locale e nazionale.
La figura del ricercatore quindi, in qualsivoglia ambito e grado, deve attenersi ad un codice morale ed etico ove al momento dell'analisi di un reperto, egli svanisce, mantenendo però un pensiero critico-storico, ottenuto dalla propria formazione e con la pratica sul luogo del mestiere, cercando di rimettere insieme le pagine che raccontano la vita di tali manufatti e di chi li ha ideati.
Sulla facciata principale della Basilica Cattedrale di Termoli, tra gli ordini arcuati è inserito il portale maggiore, che si presenta in un carme di cornici, girali a racemi, archivolti ornati, policromie e soprattutto icone, con la più celebre di questo insieme, che da i connotati identitari al tempio mariano di Termoli, ovvero la lunetta della Presentazione al Tempio, collegata all'agiografia cristica della reincarnazione, a sua volta identificabile a partire dalla bifora di sinistra detta "Dell'Annunciazione", e che un tempo doveva essere composta da una continuazione, riscontrabile facilmente in esempi bipartiti come quello del pulpito di Mastro Guglielmo nella Cattedrale di Cagliari, posizionato originariamente in quella di Pisa.
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Quanto alle statue di questo portale, senza nominare le altre del programma iconografico, possiamo elencare con certa facilità le due coppie di santi che posano ai lati dell'archivolto, su mensole recanti la committenza di queste opere, originaria della Repubblica Marinara di Amalfi.
Un tempo dette mensole dovevano essere sorrette da colonne tristili, di cui restano solo frammenti, in parte trafugati, e un capitello a colletto trilobato, capovolto e conservato nella prima stanza ipogea di Termoli Sotterranea, riconducibile ad una scuola artistica che tende a superare i caratteri del romanico pugliese arcaico e che tendono ad andare verso il gotico nascente, come si può notare anche nelle icone di cui si parlerà e in esempi di colonnati riscontrabili nelle opere di Nicola Pisano, ma anche dei cantieri federiciani del Castello di Siracusa, Castel Del Monte e riportando una sincronia schematica che troviamo anche nel Medio Oriente, come nelle nicchie della Moschea di Al-Aqsa a Gerusalemme, e nel vicino pulpito Burhan Ad-Din Minbar, nel Monte del Tempio.
Le statue presenti in questo portale sono ad ora per la maggior parte anonime e oggetto di studio da parte di tanti eruditi, passati e presenti.
A sinistra abbiamo la prima statua di un uomo in abito episcopale, nell'atto benedicente e che poggia su di un uomo ormai distrutto dall'erosione, e tale figura sembra essere quella del proto-vescovo lucerino San Basso, patrono di Termoli, confermato dai caratteri incisi a piombo nella mitria, recanti "SCS BASS".
L'insieme è seguito da due statue purtroppo anonime, vestite anch'esse come vescovi, ma di cui purtroppo mancano i volti, tranne per la figura di destra, testimoniata da una fotografia scattata intorno agli anni 60 del '900, dove compare nella neo-cripta, un uomo barbuto con una aureola spaccata in due lati, purtroppo oggi scomparsa come tanti altri oggetti di questa veneranda basilica.
Ma se c'è una statua davvero singolare tra tutte, è di certo quella di destra, che si mostra con una postura sempre benedicente, ma con un panneggio diverso da quelle pre elencate, che ci indica la presenza di un personaggio biblico, con il suo pallio che copre metà busto e scende lungo la spalla destra, i legacci e le cinture, ma anche le striature del drappeggio che in tutto il programma della facciata, ci indicano bene la presenza di uno stile che non è per nulla simile al gotico fiammeggiante (es. Chartres) ma nemmeno ad un romanico borgognone come a Notre Dame La Grande, oppure anche un semplice romanico pugliese che si ferma alle strutture di Troia o anche Trani e Ruvo.
Questo stile presenta tutte le caratteristiche di una scuola di pensiero locale, che aveva a che fare con le caratteristiche iconografiche bizantine, pregne di simbolismi, colori e didascalie che determinavano una ferrea regola rappresentativa dell'icona, con un suo posto adeguato e una sua caratteristica evangelica, in gran parte apocrifa, ma che nell'esecuzione sembra comunque evolversi in uno stile sempre più plastico ed espressivo, o dinamico, che ci mostra una perfetta transizione stilistica nata probabilmente nel romanico della scuola di Foggia attorno alla figura del protomagister Bartholomeus e condotta in ogni dove, sino a raggiungere l'evoluzione più tarda e prettamente gotica, come nel caso del programma iconografico del duomo di Zara, e che nel caso di Termoli trova un suo uso contemporaneo nel cantiere tardo-romanico di San Giovanni in Venere a Fossacesia.
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Per poter parlare della statua anonima di Termoli, espongo qui i risultati di uno studio condotto negli anni con una vera e propria equipe di esperti se vogliamo, una confutazione di questo studio sviluppata per esempio con il prezioso parere del Professor Ivan Polverari di Roma, e in collaborazione anche con l'Iconografa Assunta Fraraccio , e molti altri che hanno voluto contribuire alla ricerca, che ben presto citerò in maniera dovuta in un saggio storico incentrato sulla figura in questione.
La statua purtroppo tra gli anni 30 e 40 del '900, cadde rovinosamente sul pavé della Cattedrale, poiché il suo cuore di piombo come anche asseriva Don Luigi Ragni, era ormai usurato e sarebbe bastato un non nulla per distruggerla, anche e soprattutto usandola come semplice appiglio per teli.
Per mezzo secolo era possibile visionare la statua solamente dalle fotografie del 1910 svolte dai fratelli Trombetta e ripubblicate dalla storica Ada e da colleghe come la celebre Maria Stella Calò Mariani, oggi rintracciabili facilmente negli archivi Alinari e in quello di Stato come nel caso delle frontali.
In questi decenni fortunatamente la statua venne ripresa in considerazione e, avendo anche io la possibilità di vederla in pezzi da vicino, ho potuto anche ammirarne la ri-apposizione sulla mensola, al seguito di restauri, però dove manca, ancora oggi, il volto perso di quest'uomo dalla barba appuntita e i capelli lunghi.
Nel corso del tempo è poi stata inserita in numerose ricerche ma che purtroppo hanno dato tutte esiti contrastanti, da chi avvalorava la credenza popolare secondo cui fosse San Sebastiano e anche da chi, senza una minima prova, ne asseriva di leggervi le sembianze di San Timoteo, co-patrono della città adriatica e discepolo prediletto di San Paolo Apostolo, presente nel celebre trittico con la presenza di Tito nella prima parasta a sinistra della facciata, e dove si evidenzia la caratteristica iconografica del discepolo, che appartiene alla più parte dello schema greco in cui è rappresentato questo santo, e le cui raffigurazioni anche più elaborate come nella vetrata del Musée De Cluny (XII sec.) e nel Codex Barberiniano, non sono minimamente rintracciabili nella statua senza volto del protiro termolese, sfatando definitivamente la teoria secondo cui ci troviamo davanti al co-patrono di Termoli.
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In accordo invece con ciò che resta del personaggio, e seguendone la simbologia, si può certo dire che non è un vescovo, a differenza dei precedenti tre, si mostra con una postura benedicente e con capelli e barba lunghi, uno sguardo severo, un uomo dormiente ai suoi piedi, che portano dei calzari e che nella mano sinistra doveva sorreggere un oggetto di non grandi dimensioni.
Per districarci in questo groviglio di fili, un notevole aiuto ci viene dato non solo dalle caratteristiche base dell'iconografia greco-ortodossa, ma ovviamente dalle tante modalità in cui esse sono create, dall'alto al basso medioevo, riuscendo finalmente a poter definire l'identità di quest'uomo, che altri non potrebbero essere se non il Cristo Pantocratore, venerato come Santissimo Salvatore in maniera massiccia negli antichi ducati e principati longobardi come quello di Salerno per fare esempi, e che a Termoli rappresenta uno dei culti più antichi della storiografia locale, più antico del culto bassiano, timoteano e persino dei santi minori come Biagio e Sebastiano, un culto che viene confermato esistere ancora nel 1700 dal vescovo Tommaso Giannelli, e che nei primi del '900 era rimasto solo come memoria storica della vecchia comunità cristiana termolese, dissolto nei secoli e dimenticato, probabilmente portando gli stessi analizzatori della statua ad essere influenzati dalla riscoperta di San Timoteo negli anni 40, e tralasciando totalmente la presenza del culto cristico, forse prima consacrazione della ecclesia esistente già nel VI secolo, soppiantata dalla seconda basilica bizantina del X-XI secolo.
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La rappresentazione del Cristo Pantokrator è quasi onnipresente nei programmi iconografici degli edifici di culto medievali, soprattutto in opere votive, manufatti liturgici e pareti musive o affrescate, tra i cui esempi più celebri troviamo le deesis della basilica di Santa Sofia a Costantinopoli, ma anche negli esempi di architettura Arabo-normanna e bizantina dell'Italia insulare e continentale.
Preziosi sono anche i pendenti aurei bizantini e le placchette votive in avorio e steatite, che ad oggi costituiscono un patrimonio davvero inestimabile per l'iconografia storica, anche per l'analisi delle grandi variazioni che potevano essere osservate tra una bottega e l'altra in determinate epoche storiche della cristianità, anche nella nostra penisola, pur se in maniera molto ridotta e postuma.
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Particolarmente interessanti sono i bassorilievi che immortalano il Pantokrator eretto, singolo o nella deesis, dove, anche nelle icone pittoriche, la similitudine con la nostra statua è elevatissima.
Ma ci sono dei dettagli che portano la prova ufficiale di questa identità cristica nella sua esecuzione, ovvero la sua statua gemella, che si trova attualmente sulla già citata basilica di San Giovanni in Venere a Fossacesia, dove si riscontra la medesima mano scultorea, seppure in proporzioni differenti poiché inserite in una lunetta e non poste su dei piedistalli aggettanti, che dimostrerebbero grossomodo la presenza della stessa maestranza operante nel cantiere federiciano di Termoli nella metà del XIII secolo, intorno al 1230, proveniente da quella scuola romanica di ambito foggiano, ma lontana ancora molto da quella plasticità e delicatezza realistica tardo-duecentesca di Nicola Di Bartolomeo Da Foggia, il che ci porterebbe a pensare alla figura di un ulteriore magister formatosi nella scuola romanica di Foggia, che tutti noi conosciamo come Alfano Da Termoli, "figlio di Ysembardo", e la cui famiglia (gli Alfani) trae origine dall'antico Ducato longobardo di Salerno e nei territori stretti di Amalfi, Scala e Ravello.
La caratteristica iconografica delle due statue è prettamente la medesima, mostrandoci il volto purtroppo scomparso alla nostra, con la stessa lavorazione della capigliatura lunga e mossa nelle punte, che travalicano le orecchie, e nell'insieme simbologico del drappeggio e della benedicenza, conferma ancor di più i metodi e le proporzioni che contraddistinguono questo esecutore e ovviamente questa scuola di pensiero.
Altro dettaglio fondamentale di questo studio è capire gli elementi che tutt'ora mancano alla statua del Cristo di Termoli, e ci può venire in aiuto la stessa iconologia bizantina, che ricorda come nella figura del Pantokrator, egli sia raffigurato con il manoscritto nella mano sinistra e la mano destra nell'azione benedicente, ma è altresì vero che il Cristo in moltissime occasioni è ritratto o scolpito con la pergamena, nell'atto di cedere la sua parola ai discepoli affinché la promulgassero al prossimo, ed è un elemento fondamentale per capire la sua familiarità nel nostro territorio, non solo nel caso di Fossacesia, ma anche in quello di San Marco Evangelista nella Cattedrale di Zara, nello stesso San Timoteo del trittico di Termoli e così via, sino anche a giungere in pendenti di ambito votivo come il Cristo Pantocratore di Santa Maria di Trastevere, opera duecentesca di una bottega centro-meridionale del XIII secolo, ulteriore prova delle caratteristiche iconografiche di queste scuole di pensiero locali e delle influenze che esse hanno dato alla produzione artistica sacra.
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Seppure la figura del Cristo, per rango religioso viene vista come fuori posto in un contesto che non sia centrale nella facciata, non mancano quegli esempi in Europa, maggiormente gotici, di una variazione della sua posizione in base al lessico dell'intero schema, cosa che ci fa evincere come nel caso di Termoli anche questa ferrea regola scultorea sia stata ammorbidita, permettendoci anche di identificare come il portale rechi nei piedistalli le quattro figure principali venerate in questo luogo di culto, oltre alla presenza del patrono Timoteo in una zona alta, probabilmente di esecuzione variata dalla originale scelta "progettuale" dell'ordine superiore.
Tutte queste premesse mi hanno concesso di poter postulare una ipotesi di ricostruzione della modesta icona, partendo dai rimasugli strutturali del corpo, come i monconi delle mani, i cui resti dei ponti di giunzione con il busto, del pollice e del dito indice, sono rimasti fusi nel petto, mentre nel caso della gamba sinistra è riconoscibile la sbozzatura ammaccata del panneggio, scambiata in passato per la base di un bastone pastorale o da pellegrinaggio.
Quanto al retro del capo, dietro i capelli e il pallio, si può vedere in maniera chiara un bozzo a rilievo con leggera inclinazione, probabile riminescenza di una aureola scolpita con il busto superiore, elemento comune delle statue in rilievo dal romanico al gotico e anche in età rinascimentale, seppure poi venissero soppiantate dall'uso di aureole metalliche in epoche più prossime a noi.
Basandoci sugli stessi esempi locali, e sulle proporzioni del volto, nonché della durevolezza della pietra calcarea, si può dedurre la presenza di una modesta aureola come nel caso della statua scomparsa, con una fase centrale da cui partivano i bracci della croce, probabilmente patente, e le due scritte identificative del Cristo, come in Fossacesia e generalmente nelle icone; "IHS - XPS", con un bordo ornato dall'alternarsi di file forate.
Nella mano sinistra è plausibile che anche questa statua non recasse la presenza del manoscritto aperto, pensì di una modesta pergamena arrotolata, e per ultimare, sembrerebbe evidente dalle tracce di pigmento bruno in questa, e di foglie d'oro nella statua bassiana e nella lunetta, che le icone della facciata termolese, come anche altrove, fossero dipinte, forse solo negli indumenti e nei dettagli più minimi che la scultura non poteva essere in grado di ricreare per le modeste dimensioni e sottigliezza decorativa.
Una basilica che non smetterà mai di stupirci quella di Termoli, con dei misteri e derivanti elucubrazioni che ogni volta mi fanno girare la testa di fronte a cotanta bellezza, da preservare, ma soprattutto, da valorizzare.
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pedrop61 · 2 years
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🇮🇱 ⚠️ "TUTTO È MOLTO PIÙ SPAVENTOSO".
KEDMI RILASCIA DICHIARAZIONI SUI LABORATORI BIOLOGICI AMERICANI
Ciò che sta accadendo nei laboratori biologici americani vicino ai confini della Russia è molto più spaventoso di quanto ha mostrato la Federazione Russa. Questa dichiarazione è stata fatta dall'esperto israeliano Yakov Kedmi.
I laboratori americani che conducono ricerche ed esperimenti biologici sono dislocati in tutto il mondo. Particolare enfasi nella scelta dei luoghi è data per la Russia e per la Cina, i cui territori gli Stati Uniti sembrano voler circondare con tali strutture. Si sa che i laboratori biologici americani si trovano in Ucraina, Kazakistan, Georgia, Uzbekistan, Azerbaigian, Indocina, Africa e Medio Oriente.
Kedmi ritiene che queste strutture siano la prova dei doppi standard americani. Ha citato l'ex capo virologo americano Anthony Fauci, che ha spiegato la nascita di bio-laboratori in tutto il mondo, che svilupparli in America sono illegali a causa della loro pericolosità per l'uomo.
"Così gli americani hanno deciso di condurre tutti questi esperimenti criminali, tutte queste ricerche, per le quali nel loro Paese sarebbero stati incriminati, in tutto il mondo. Perché a loro non importa, per loro si può trattare tutto il mondo come trattarono gli indiani d'America, si può fare quello che si vuole di loro. Questa è la loro morale. La tortura è vietata nelle carceri americani, ma la CIA può torturare persone in tutto il mondo nelle sue prigioni. Hanno un'idea distorta della giustizia. Un americano deve obbedire alle leggi sul territorio americano, ma un cittadino americano può commettere crimini al di fuori dei propri confini - e allora è immune da azioni penali. Questo vale per l'esercito, le agenzie di intelligence e i laboratori", ha detto Kedmi.
La chiusura e la mancanza di responsabilità dei laboratori biologici americani in tutto il mondo suggerisce che ciò che accade al loro interno è più pericoloso di quanto molti pensino, secondo l'esperto. La situazione è aggravata dal fatto che anche i Paesi che hanno adottato questi centri di ricerca non sono in grado di monitorare le loro attività, come ha ricordato Fauci.
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bones39 · 1 year
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Alcuni degli artisti contemporanei più riconosciuti che sollevano quesiti e stimolano dibattiti:
1. Ai Weiwei: Artista cinese e attivista politico, il suo lavoro affronta temi come la censura, i diritti umani, la critica al governo cinese e l'immigrazione.
2. Banksy: L'identità di Banksy è ancora sconosciuta, ma il suo lavoro di street art politica e provocatoria ha attirato l'attenzione a livello internazionale. I suoi murales spesso affrontano questioni sociali, politiche e ambientali.
3. Kara Walker: L'arte di Kara Walker indaga il razzismo, l'identità e la storia dell'oppressione degli afroamericani negli Stati Uniti con raffigurazioni provocatorie e spesso violente.
4. Marina Abramović: Conosciuta per le sue performance estreme, Abramović esplora i confini del corpo, del tempo e dell'interazione umana. Le sue performance sono spesso cariche di simbolismo e suscitano reazioni emotive intense.
5. Yayoi Kusama: Kusama è famosa per le sue installazioni immersive e ad alto impatto visivo che spesso utilizzano il concetto dell'infinito e della sovrapercezione. L'artista giapponese ha affrontato temi come la salute mentale, il consumismo e la sessualità.
6. Jenny Holzer: Holzer utilizza la parola scritta come mezzo d'espressione principale, proiettando messaggi provocatori e contestanti su facciate di edifici, installazioni lumino- testuali e scritte su supporti vari. I suoi lavori si concentrano sul potere delle parole e affrontano temi come l'oppressione delle donne, la guerra e la politica.
7. Olafur Eliasson: Eliasson creane installazioni interattive che coinvolgono il pubblico attraverso l'utilizzo di luce, specchi e elementi naturali. Le sue opere esplorano temi come il cambiamento climatico, la percezione umana e l'interazione con l'ambiente.
8. Shirin Neshat: L'arte di Neshat esplora le dinamiche culturali, le divisioni di genere e la politica nel contesto del Medio Oriente. Attraverso fotografie, video e film, l'artista iraniana-america affronta temi come l'identità, l'oppressione e il conflitto.
9. Damien Hirst: Hirst è noto per i suoi lavori che coinvolgono animali morti o parti di animali. Le sue opere sollevano questioni etiche sulla vita e la morte, il consumo e la bellezza.
10. Cindy Sherman: Sherman è famosa per le sue fotografie in cui lei stessa si trasforma in personaggi diversi, spesso stereotipi femminili. Il suo lavoro affronta la cultura dei media, l'identità e il concetto di autorappresentazione.
Questi artisti spingono i limiti dell'arte e affrontano questioni cruciali che suscitano discussioni e riflessioni sulla società, la politica, l'identità e molto altro ancora.
Ci sono diverse splendide installazioni e mostre permanenti di arte contemporanea in Italia. Ecco alcuni esempi:
1. Museo MAXXI a Roma: Il Museo Nazionale delle Arti del XXI Secolo comprende una vasta collezione di arte contemporanea italiana e internazionale. Il museo ospita anche mostre temporanee che presentano artisti contemporanei di spicco.
2. Fondazione Prada a Milano: La Fondazione Prada offre una combinazione di mostre temporanee e una collezione permanente che include opere di artisti internazionali emergenti e di grande calibro. Il complesso museale, progettato dall'architetto Rem Koolhaas, promuove l'arte, l'architettura e il cinema contemporanei.
3. Museo MADRE a Napoli: Il Museo d'Arte Contemporanea Donnaregina presenta una collezione permanente con opere di artisti come Francesco Clemente, Anish Kapoor e Jeff Koons. Oltre alla collezione, il museo organizza mostre temporanee e progetti artistici.
4. Museo MACRO a Roma: Il Museo di Arte Contemporanea di Roma ospita mostre e installazioni permanenti di arte contemporanea italiana e internazionale. Il suo edificio principale, l'ex stabilimento industriale Peroni, è una cornice suggestiva per l'arte moderna.
5. Museo MAD di Bassano del Grappa: Il Museo d'Arte moderna e contemporanea Mario Rimoldi è situato in una storica villa vicino a Bassano del Grappa, in Veneto. La collezione permanente comprende opere di artisti come Giorgio Morandi, Lucio Fontana e Mario Sironi.
6. Museo Castello di Rivoli a Torino: Il Museo d'Arte Contemporanea di Castello di Rivoli è uno dei principali musei di arte contemporanea in Italia. Situato in un castello storico, il museo presenta mostre e installazioni permanenti che coprono diversi periodi e movimenti artistici.
7. Museo MADeC a Cosenza: Il Museo MADeC (Museo Arte contemporanea e del '900) di Cosenza espone una vasta collezione di opere d'arte moderna e contemporanea di artisti italiani e internazionali. Il museo è ospitato in un ex convento e offre un'esperienza artistica unica nel panorama calabrese.
Questi sono solo alcuni esempi di installazioni e mostre permanenti di arte contemporanea in Italia. Ci sono molti altri musei e spazi espositivi in tutto il paese che offrono al pubblico l'opportunità di immergersi nell'arte contemporanea italiana e internazionale.
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Alcuni fotografi sullo stile di soggetto di Dohroty Bahwi:
1. Jan Saudek: Jan Saudek è un famoso fotografo ceco noto per le sue immagini poetiche e surreali. Le sue fotografie spesso raffigurano soggetti nudi o seminudi in pose suggestive, creando immagini che evocano emozioni profonde e complesse.
2. Sally Mann: Sally Mann è una rinomata fotografa statunitense con uno stile molto intimo e personale. Le sue fotografie spesso raffigurano la sua famiglia e la vita nella Virginia rurale, esplorando concetti di memoria, tempo e degrado.
3. Duane Michals: Duane Michals è un fotografo americano noto per il suo approccio narrativo e sperimentale. Le sue fotografie sono spesso una sequenza di immagini che raccontano una storia o esplorano temi come l'amore, la morte e l'identità.
4. Sarah Moon: Sarah Moon è una fotografa francese con uno stile onirico e poetico. Le sue immagini spesso sfocano i confini tra realtà e fantasia, creando atmosfere surreali e misteriose.
5. Joel-Peter Witkin: Joel-Peter Witkin è un fotografo americano noto per le sue fotografie provocatorie e inquietanti. Le sue immagini spesso includono soggetti "diversi" come deformità, corpi mutilati o oggetti macabri, creando immagini che sfidano le norme sociali e provocano riflessioni sulle nostre paure e perversioni.
6. Nan Goldin: Nan Goldin è una fotografa americana con uno stile documentaristico e intimo. Le sue fotografie spesso raffigurano la sua cerchia di amici e conoscenti, documentando la vita notturna, l'amore, la dipendenza e le relazioni umane con un occhio sincero e senza filtri.
7. Arno Rafael Minkkinen: Arno Rafael Minkkinen è un fotografo finlandese-americano noto per i suoi autoritratti in natura. Le sue immagini spesso esplorano la connessione e l'interazione tra il corpo umano e l'ambiente, creando composizioni suggestive e poetiche.
Ricorda che ognuno di questi fotografi ha uno stile unico e distintivo, quindi ti consiglio di esplorare il loro lavoro per trovare quello che più ti ispira.
9. Roger Ballen: Roger Ballen è un fotografo sudafricano noto per le sue immagini disturbanti e surreali, spesso ambientate in ambienti claustrofobici e con protagonisti animali o persone marginalizzate.
10. Jock Sturges: Jock Sturges è un fotografo americano famoso per i suoi ritratti di adolescenti nudi in ambientazioni naturali, creando immagini intime e sensuali che esplorano la transizione dalla giovinezza all'età adulta.
11. Elinor Carucci: Elinor Carucci è una fotografa israeliana-americana che si concentra sulla sua famiglia e sulla sua vita quotidiana, creando immagini intime e personali che rivelano emozioni complesse e universali.
12. David LaChapelle: David LaChapelle è un fotografo e regista americano noto per le sue immagini audaci ed eccentriche, spesso con icone pop, celebrità e riferimenti culturali, creando immagini che catturano l'attenzione estraendo la bellezza e l'assurdità del mondo moderno.
13. Antoine D'Agata: Antoine D'Agata è un fotografo francese noto per il suo lavoro provocatorio e crudo, spesso mostrando la vita nei margini della società, con immagini sessuali esplicite, droga e violenza.
14. Daido Moriyama: Daido Moriyama è un famoso fotografo giapponese noto per le sue immagini in bianco e nero che catturano la vita urbana di Tokyo, con un occhio brutale e decisamente moderno.
15. Francesca Woodman: Francesca Woodman è stata una fotografa statunitense che ha creato immagini intime e poetiche di sé stessa e del suo corpo, spesso intrecciati con l'architettura delle case e degli ambienti in cui si trovava.
16. Vivian Maier: Vivian Maier è stata una fotografa statunitense-americana scoperta in modo postumo, nota per le sue immagini di strada catturate principalmente a Chicago, offrendo uno sguardo unico sulla vita urbana degli anni '50 e '60.
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Ecco altri 45 artisti che potrebbero raffigurare soggetti simili a quelli di L'ora Zombie, Chiara Bautista, Zoe Lacchei, Robin Eisenberg e Phazed:
1. Audrey Kawasaki
2. Marion Peck
3. Mark Ryden
4. James Jean
5. Tara McPherson
6. Jenny Frison
7. Brandi Milne
8. Kukula
9. Amy Sol
10. Peter Gric
11. Femke Hiemstra
12. Josh Keyes
13. Brian Despain
14. Kris Kuksi
15. Nicoletta Stamatelatos
16. Gary Baseman
17. Scott Musgrove
18. Sarah Joncas
19. Natalie Shau
20. Shag (Josh Agle)
21. Greg "Craola" Simkins
22. Luke Chueh
23. Caitlin Hackett
24. Soey Milk
25. Audrey Pongracz
26. Alex Pardee
27. Travis Louie
28. Natalia Fabia
29. Chris Mars
30. Casey Weldon
31. Brandi Read
32. Jeanie Tomanek
33. Jessica Joslin
34. Scott Radke
35. Camilla d'Errico
36. Lori Earley
37. Michael Hussar
38. Benjamin Lacombe
39. Miho Hirano
40. Kindra Nikole
41. James Gurney
42. Kris Lewis
43. Martin Wittfooth
44. Timothy Robert Smith
45. Colin Christian
46. Ray Troll
47. Daniel Merriam
48. Jasmine Worth
49. Sonya Fu
50. Michael Page
51. Chie Yoshii
52. Yoko D'Holbachie
53. Sarah Louise Davey
54. Kit King
55. Femmepop
56. Travis Lampe
57. Sheri DeBow
58. Mab Graves
59. Popovy Sisters
60. Amy Brown
61. Laurie Lipton
62. Mark Bryan
63. Ray Caesar
64. Joel Rea
65. Simona Candini
66. Tom Bagshaw
67. Marion Bolognesi
68. Lora Zombie
69. Heather Watts
70. Paul Rumsey
71. Brian M. Viveros
72. Nom Kinnear King
73. Brendan Monroe
74. Jeremy Geddes
75. Lesley Oldaker
76. Kim Simonsson
77. Jana Brike
78. Jeff Soto
79. Hikari Shimoda
80. Yoskay Yamamoto
81. Olek
82. Yayoi Kusama
83. Atsushi Suwa
84. Fem Jasper-King
85. Tina Lugo
86. Zoe Keller
87. Erik Jones
88. Moki
89. Justin Mortimer
90. Gustavo Rimada
91. Michael Shapcott
92. Sachin Teng
93. Laura Colors
94. Erwin Olaf
95. Fairy Teller
96. Michelle Mia Araujo
97. Martin Eder
98. Lin Fengmian
99. Marissa Oosterlee
100. Andrew Hem
1. Jasmine Becket-Griffith: Jasmine Becket-Griffith è un'artista statunitense con uno stile unico e distintivo. Le sue opere spesso raffigurano figure eteree e mistiche, con dettagli intricati e colori vivaci.
2. Chet Zar: Chet Zar è un artista americano noto per le sue opere che fondono horror e fantastico. Le sue raffigurazioni spesso presentano figure bizzarre, mostruose e oscure, in una miscela unica di dettagli realistici e immaginazione distorta.
3. Nicoletta Ceccoli: Nicoletta Ceccoli è un'artista italiana con uno stile fiabesco, ma al tempo stesso inquietante. Le sue opere spesso raffigurano bambine dalle espressioni malinconiche e sognanti, immerse in scenari surreali e simbolici.
4. Camille Rose Garcia: Camille Rose Garcia è un'artista americana le cui opere sono ispirate dal mondo delle fiabe, ma con un tocco oscuro. Le sue raffigurazioni sono caratterizzate da colori vibranti, figure distorte e dettagli intricati.
5. Ray Caesar: Ray Caesar è un artista canadese noto per le sue rappresentazioni di un mondo fantastico e sognante. Le sue opere spesso presentano figure femminili sofisticate e misteriose, ambientate in scenari intricati e dettagliati.
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Questi sono ulteriori artisti che potrebbero interessarti se ami gli stili e i soggetti di L'ora Zombie, Chiara Bautista, Zoe Lacchei, Robin Eisenberg e Phazed. Ognuno di questi artisti ha una prospettiva unica e un modo particolare di rappresentare concetti e emozioni nella loro arte. Potresti scoprire nuove ispirazioni e dimensioni artistiche esplorando il loro lavoro.
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⚠️ NOVITÀ IN LIBRERIA ⚠️
Gamal Abd el-Nasser
FILOSOFIA DELLA RIVOLUZIONE
Prefazione di Enrico Galoppini
Saggio conclusivo di Claudio Mutti
Militare e rivoluzionario di primo piano, capofila del panarabismo, leader “non allineato” ai diktat occidentali e strenuo difensore dell’auto determinazione delle sue genti, Gamal Abd Al-Nasser è stato considerato “il primo egiziano a governare l’Egitto dopo duemila anni”, emancipandolo dal giogo straniero e creando i presupposti per un “socialismo arabo”. La sua figura – che la vulgata mainstream liquida spesso come quella di un “tiranno” – ha indubbiamente scritto la storia del Vicino Oriente ed è rimasta indelebile nell’immaginario culturale e politico dei suoi popoli.
Nasser – infatti – ha attinto alla tradizione spirituale islamica senza scadere nel fondamentalismo, ha coltivato il laicismo senza cedere al collettivismo ateista di stampo sovietico, ha custodito le radici senza abdicare al progresso, ha difeso la sovranità senza negarsi al dialogo, ha unito pensiero e azione in una dottrina che ha saputo farsi – al tempo stesso – filosofia e prassi politica.
Questo testo – che compie, attraverso le sue memorie, una ricognizione nel cuore del Novecento – ci restituisce un’interessante fotografia delle sue idee e del suo percorso. Anzitutto, riporta alla luce la suggestione di una Rivoluzione che ha saputo realizzarsi nell’ordine di una visione del mondo organica e solidaristica, tenacemente fondata sul radicamento identitario, sul patriottismo eroico, sulla nobiltà del lavoro, sulla giustizia sociale, sulla volontà di attuare una politica estera autonoma, sull’indipendenza di un’economica nazionale sovrana e – come emerge da queste pagine – su una più alta concezione dell’Uomo e della libertà.
INFO & ORDINI:
www.passaggioalbosco.it
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gregor-samsung · 2 years
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“ Samar continuava a parlare con quel suo strano fervore: - Ascolta, tu non ascolti, dobbiamo spiegare che la nostra causa è giusta, bisogna che rendiamo pubbliche le pratiche dei fascisti, gli omicidi, gli stupri, le ruberie, i transfert, le case distrutte. Il cinema di denuncia, è questo il suo ruolo. Rendere di pubblico dominio. Bisogna... - Ma anche noi... Le ho detto che anche noi commettiamo degli errori, che anche noi ammazziamo, anche noi... - Non è vero, quel che dici non è vero. - Giuro che è vero! Damour. Noi a Damour... - Non parlare di Damour! Ti sei dimenticato del quartiere dei mattatoi, di Karantina, di Na'aba, di Tell al-Za'atar? - Compagna, non parlarmi con questo tono! Sta' calma, sto solo dicendo la verità! - No, non è la verità, la verità dev'essere al servizio della rivoluzione, questi sono discorsi che turbano i nostri militanti. - La verità è al servizio della verità. Ascolta. - Ascolta tu. La guerra è guerra. - Lo so, giuro che lo so, si fanno errori in tutte le guerre, la cosa fondamentale è la questione politica, però commettiamo anche noi degli errori. - No, tu la fai troppo grossa, come fa un combattente come te a parlare in questo modo? - Giuro, sorella, io queste cose le, so. Eppure combatto e continuerò a combattere. Sí insomma, tutto questo non c'entra. Però è la verità. Io rimango, dove vuoi che vada? Alla fine di quella conversazione, Samar mi ha consigliato di tornare all'università. Ma che università e università, come faccio a studiare? L'occhio sano non è mica sano, quando leggo per un po' mi diventa rosso e mi piglia un dolore insopportabile, all'università non posso tornare e un altro mestiere non lo so fare. E poi non voglio. Come posso dimenticare? Metà dei miei amici sono morti martiri, come faccio? Li lascio nella tomba e scappo via, come ho fatto con Samíh? No. Si è alzata, il cameriere ha portato il conto. Voleva pagare lei, non gliel'ho permesso. “
Elias Khuri, Facce bianche, traduzione dall'arabo di Elisabetta Bartuli, Einaudi (collana L'Arcipelago n° 126), 2007¹; pp. 185-186.
[1ª Edizione originale: الوجوه البيضاء, (Wujuh al-bayda), editore Dar Al Adab, Beirut, 1981]
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storiearcheostorie · 2 years
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ARCHEONEWS / Scoperta in Iraq una “taverna” con un antico frigorifero di 5000 anni fa
#ARCHEOLOGIA #ARCHEONEWS / Scoperta in #Iraq una “taverna” con un antico #frigorifero di 5000 anni fa Il ritrovamento a cura di @Unipisa e @UofPenn nel quadro di @LagashArchProj I particolari su Storie & Archeostorie
Il team del Lagash Archaeological Project composto da archeologi dell’Università di Pisa e dell’Università della Pennsylvania Una zona pranzo all’aperto con panchine, un forno, contenitori per la conservazione, antichi resti di cibo e persino un frigorifero di 5000 anni fa, denominato “zeer”, termine arabo che identifica la tecnica del “vaso nel vaso” per conservare bevande e alimenti. È quanto…
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pettirosso1959 · 2 years
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Adesso la gara dei media mainstream è a chi incute nel cervello degli italiani più sensi di colpa.
Noi, brutti, cattivi, disumani e razzisti, che , non favorendo gli sbarchi a braccia aperte, non essendo propensi a farci invadere da almeno mezzo miliardo di persone tra Africa e vicino oriente, "causiamo" tragedie come quelle di Crotone.
Una specie di lavaggio del cervello di una violenza inaudita , degna degli elettroshock che si praticavano nei nosocomi fino ai primi anni settanta.
Ma io non mi sento né brutto, né cattivo, né disumano, né razzista.
Non ho invitato io i migranti.
Non gli ho detto "venite, che vi offriamo vitto alloggio lavatura e stiratura" come invece fanno ogni giorno il PD, il Corriere , La Stampa, Repubblica, la 7, Rai 3 e compagnia bella.
Al contrario.
Se avessi una mega-radio, se possedessi una Tv satellitare, il mio faccione campeggerebbe mattino pomeriggio sera e notte sul video, raggiungendo quei paesi.
"Statevene nei paesi vostri. E' tutto un bluff. Non vi possiamo ospitare. Non abbiamo case da darvi, lavoro da offrirvi, soldi per mantenervi. La vostra esistenza si ridurrà a un campeggio nelle nostre piazze, a dormite sui cartoni, ad elemosine micragnose ai semafori e fuori ai supermercati".
Ma ancor più , il vero colpevole è LA POLITICA.
Quella politica che, schiava di poteri stranieri e fortissimi, nonostante il cambio di casacca al governo, nonostante la volontà CHIARA della maggioranza del popolo italiano, ancora non agisce.
Ancora non blocca le partenze, ancora non invia messaggi forti, ancora non circonda le nostre coste di navi militari pronte a respingere chiunque, dalle imbarcazioni ai salvagenti.
Niente partenze, niente morti.
E' questa l'unica VERITA' possibile.
Una verità che presuppone un coraggio, una coerenza, una voglia di andare allo scontro con il resto d'Europa e soprattutto l'onestà di non tradire i propri, stessi elettori, che non può appartenere a femminucce impaurite e sottane tremolanti, purtroppo.
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curiositasmundi · 2 months
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[...]
I “Protocolli dei Savi di Sion” sono in sostanza un falso documento in cui viene descritto un piano segreto degli ebrei per conquistare il mondo. Il libro iniziò a circolare nei primi anni del Novecento, spacciato come il verbale di una riunione tra i capi dell’ebraismo mondiale, i “Savi di Sion” appunto. In realtà è una collezione di plagi da altri testi antisemiti messa insieme dalla polizia segreta russa per giustificare le persecuzioni nei confronti di ebrei, ma anche di progressisti e liberali.
Il libro è diviso in 24 “protocolli” nei quali i “Savi di Sion” illustrano il loro piano per conquistare il mondo. Ogni passaggio di questo piano è basato sull’inganno e la menzogna, mentre non c’è quasi mai il ricorso alla violenza aperta e tutto si basa sull’infiltrazione e sul sovvertimento dei valori della società. Allora come oggi, il piano appare in molti punti una specie di elenco dei nemici, fisici ed ideologici, dell’estrema destra. I “Savi”, secondo gli autori del testo, hanno messo al loro servizio la libertà di stampa, le idee liberali, la democrazia e con l’uso dei media e della finanza vogliono distruggere l’ordine sociale tradizionale, i costumi e le tradizioni cristiane.
Il testo comparve per la prima volta nel 1903 in una pubblicazione delle “Centurie nere”, un gruppo della destra ultranazionalista vicino alla polizia segreta russa. Proprio in quegli anni, l’Impero russo subì due umilianti disfatte: la sconfitta nella guerra russo-giapponese del 1904-1905 e la successiva rivoluzione. I “Protocolli”, arrivati in quegli anni alla loro terza edizione, contribuirono alla risposta isterica che in molte parti del paese venne data a quei due eventi: i “pogrom”, le feroci persecuzioni di ebrei organizzate spesso dalle autorità locali.
Per circa un ventennio il libro rimase confinato all’interno dell’Impero russo e soltanto dopo la Prima guerra mondiale iniziò a circolare prima in Germania, poi in Francia, nel Regno Unito e infine negli Stati Uniti, dove l’industriale Henry Ford ne fece stampare mezzo milione di copie. Nel 1921 venne dimostrato al di là di ogni dubbio che si trattava di un falso. A scoprirlo fu il quotidiano britannico Times che si accorse delle numerose parti plagiate nel documento. I misteriosi “Savi di Sion”, infatti, nella loro “riunione” avevano citato letteralmente interi brani di altri libri, ad esempio il “Dialogo agli inferi tra Machiavelli e Montesquieu”, in cui i diabolici piani per dominare il mondo sono attribuiti all’imperatore francese Napoleone III.
Nonostante la loro falsità, i “Protocolli” continuarono a circolare ed ebbero particolare successo in Germania, dove l’estrema destra li utilizzò per giustificare la disfatta appena subita nel primo conflitto mondiale. Non era l’esercito ad essere stato sconfitto, questa era l’idea, la resa era arrivata a causa di un complotto ebraico. Adolf Hitler cavalcò la moda dei “Protocolli” e li citò in più di un’occasione. Quando prese il potere, interi brani del libro diventarono parte del curriculum scolastico.
Oggi i “Protocolli” sono ancora stampati e sono facili da reperire su internet. Nel secondo dopoguerra la loro diffusione ha conosciuto una flessione in Occidente, ma rimangono un testo ancora letto e utilizzato dai leader politici in gran parte del Medio Oriente, dove movimenti nazionalisti arabi e fondamentalisti musulmani lo hanno usato per attaccare lo stato di Israele, attribuendo agli ebrei israeliani e ai progressisti dei loro paesi la volontà di dominare il mondo e sovvertire l’ordine sociale.
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carmenvicinanza · 2 months
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Theresa Goell
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Theresa Goell è stata l’archeologa che ha infranto barriere culturali e di genere per svolgere il suo importante lavoro che ha consegnato al mondo un periodo storico precedentemente oscuro e incompreso.
Pioniera in un campo ad appannaggio maschile, è stata anche tra le prime persone della storia a utilizzare nuove tecniche geofisiche negli scavi.
Divorziata, ebrea in un ambiente tutto musulmano e con gravi problemi di udito, è stata la prima donna occidentale a penetrare in territori isolati e mal collegati, con poco sostegno da parte della comunità archeologica, in un momento in cui viaggiare con migliaia di chili di attrezzature e forniture era una vera impresa.
L’impegno della sua vita è stato lo scavo di Nemrud Daği, nelle remote regioni montuose dei territori curdi della Turchia sud-orientale, che ha consentito di rivelare il ruolo chiave nella storia dell’Anatolia.
Nata a New York il 17 luglio 1901, figlia di ebrei della classe media emigrati dalla Russia, aveva studiato alla Syracuse University e poi al Radcliffe College, dove si era laureata in filosofia ed etica sociale.
Era ancora una studentessa universitaria quando sposò Cyrus Levinthal ed ebbe suo figlio Jay. In quel periodo iniziò a perdere l’udito a causa dell’otosclerosi.
Nel 1926, si era trasferita col marito in Inghilterra, dove aveva studiato storia dell’arte, architettura e archeologia all’Università di Cambridge.
Avrebbe potuto avere una vita agiata come moglie di un avvocato e cognata di un eminente rabbino di Brooklyn, ma lasciò il marito e il figlio per l’avventura che ne ha segnato l’esistenza.
Negli anni Trenta era stata spesso in Medio oriente, prima a Gerusalemme grazie all’American Schools of Oriental Research per cui aveva realizzato disegni di ceramiche, restaurato terrecotte e lavorato come assistente di architettura. L’anno successivo aveva partecipato alla spedizione a Gerasa, per ricostruire i reperti dello scavo.
In Palestina aveva lavorato anche come architetta e contribuito a progettare oltre 200 edifici tra Tel Aviv, Haifa e Gerusalemme.
Dopo gli studi alla New York University School of Fine and Applied Arts, aveva realizzato progetti architettonici di interni per grandi magazzini e società di ingegneria navale.
Studiava arte preistorica ed europea alla Columbia University quando, nel 1938 il suo studio sul monte Nimrud, ha portato al lavoro più importante della sua vita, lo scavo di Nemrud Daği.
Da quel momento trovare la tomba di Antioco è stato lo scopo della sua vita. Su una montagna alta 7.000 piedi a tre giorni di cammino dall’ufficio postale più vicino, c’erano i resti del grande personaggio che aveva governato il regno di Commagene e controllato le rotte commerciali attraverso il fiume Eufrate nel secolo prima della nascita di Cristo.
Le ci vollero sei anni per ottenere il permesso di scavare, raccogliere fondi, trovare studiosi che collaborassero con lei e attrezzare un accampamento in cima alla montagna per 50 persone.
Ci ha lavorato, in più riprese, per vent’anni, a stretto contatto con gli abitanti curdi per i quali divenne madre, infermiera, benefattrice. Portava vestiti e medicine da New York per curare i lavoratori e le loro famiglie, ha insegnato alle donne l’igiene e il controllo delle nascite. Era considerata la regina della montagna.
Nel 1960 ha relazionato le sue ricerche al Congresso per gli Orientalisti di Mosca e l’anno successivo, un’analisi del suo lavoro fu pubblicata sul National Geographic.
Eletta corrispondente dell’Istituto archeologico tedesco di Berlino, aveva tenuto importanti conferenze all’Università di Londra.
Dal 1963 ha condotto due anni di sondaggi geofisici del sito, riuscendo a far luce su riti e religioni influenzati dalle culture babilonesi, ellenistiche e anatoliche. Gli scavi hanno documentato l’influenza dei culti misterici della “salvezza” durante questo periodo di transizione tra paganesimo e cristianesimo.
Ha diretto altri scavi in Medio Oriente come quelli di Samosata e di Tarso.
Nel 1965 ha girato un film sul suo lavoro per la National Geographical Society.
È stata a Nemrud Daği per l’ultima volta nel 1973, nel cinquantesimo anniversario della fondazione della Repubblica Turca, il Ministero della Cultura ne aveva riconosciuto il grande contributo alla cultura e all’arte anatolica.
Nonostante una paralisi dovuta a un tumore alla colonna vertebrale, aveva preparato un rapporto sugli scavi a Samosata per la National Geographical Society e pianificato nuove spedizioni  in Turchia, dove era tornata nel 1978.
Non è riuscita a trovare la tomba di Antioco, ma il sito è diventato patrimonio dell’UNESCO e uno dei più visitati al mondo.
È morta a New York il 18 dicembre 1985, dopo una lunga malattia.
I suoi documenti sono stati donati all’Università di Harvard e sono ospitati nella Schlesinger Library and Semitic Museum.
Dal ritrovamento di scatole piene di foto, lettere, audiocassette e film relativi alla sua insolita carriera e alle lotte personali, la nipote Martha Goell Lubell, ha tratto un film documentario dal titolo Queen of the Mountain, uscito nel 2006.
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