#Facce bianche
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“ Era il 1973, c'era la guerra, la gente faceva capannello attorno alla radio. Ascoltavano Radio Cairo, ancora increduli che l'esercito egiziano potesse attraversare il canale di Suez, che gli arabi potessero vincere contro Israele. Stava in piedi assieme ad altre persone, Zayn 'Alúl, davanti alla bottega di Abu Khalíl, sorseggiando tè e facendo quattro chiacchiére. A un certo punto le chiacchiere avevano preso un'altra piega, si erano trasformate in una discussione a proposito dei fatti della Bank of America. Era successo che alcuni elementi della polizia libanese avevano fatto irruzione nella banca, ucciso due degli uomini che l'avevano occupata, arrestato gli altri due e liberato gli ostaggi. Con il risultato che la banca non aveva scucito un petacchino per lo sforzo bellico arabo, scopo ultimo dell'operazione, stando alle condizioni dettate dal capo del commando, poi abbattuto. - È stato un errore, - diceva Abu Khalíl, - la guerra è in Israele, a che pro occupare una banca qui? - La banca è americana, gli americani sono Israele. Sí insomma, lí e qui è la stessa identica guerra, - aveva ribattuto uno dei ragazzi che facevano ressa attorno alla bottega.
Abu Khalíl aveva preso in mano il giornale e si era avvicinato alla luce che usciva da dentro il negozio. - Date retta a me, ragazzi, è stato un errore. 'Ali Shu'ayb ha preso in ostaggio e poi ammazzato un americano che non c'entrava niente. Leggeva, Abu Khalíl: - «L'americano John Conrad Maxwell è stato assassinato da 'Ali Shu'ayb. Quest'ultimo, ricorrendo a uno degli ostaggi perché non in grado di esprimersi in inglese, ha comunicato a Maxwell di aver deciso di ucciderlo poiché la dilazione concessa alle autorità era scaduta. L'americano ha implorato per la propria vita, ma 'Ali Shu'ayb gli ha sparato alla schiena. L'americano, supino al suolo, ha urlato e supplicato, ma 'Ali Shu'ayb, coadiuvato da un altro componente del commando, presumibilmente Jihàd As'ad, lo ha preso a calci e ha nuovamente fatto fuoco, colpendolo al ventre e togliendogli la vita». - Ma vi sembra possibile, ragazzi? Non son cose che si fanno, - aveva concluso Abu Khalíl: - E poi il problema è con Israele, la guerra è li. È stato un errore. - Tutte balle, - aveva esclamato Zayn 'Alúl, - sono tutte balle. “
Elias Khuri, Facce bianche, traduzione dall'arabo di Elisabetta Bartuli, Einaudi (collana L'Arcipelago n° 126), 2007¹; pp. 133-134.
[1ª Edizione originale: الوجوه البيضاء, (Wujuh al-bayda), editore Dar Al Adab, Beirut, 1981]
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«Tutto facevo con la massima perfezione e con la massima calma, tanto c'era un vuoto completo, quasi piacevole, nella mia anima. E le giornate passavano. Quando veniva notte e non potevo più lavorare, mi coricavo subito, ma anche allora non nasceva nessun pensiero preciso, tante immagini si facevano e si disfacevano da sole come dentro le nuvole bianche che, mosse dal vento di scirocco, disegnano facce, cavalli, cuscini, fiori, che poi muoiono nel cielo.»
Maria Corti, L'ora di tutti
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il 27 gennaio del 1967 viene ritrovato il corpo senza vita di Luigi Tenco il suo amico Fabrizio De Andre scrisse in sua memoria la canzone "Preghiera in gennaio"
Lascia che sia fiorito
Signore, il suo sentiero
quando a te la sua anima
e al mondo la sua pelle
dovrà riconsegnare
quando verrà al tuo cielo
là dove in pieno giorno
risplendono le stelle.
Quando attraverserà
l'ultimo vecchio ponte
ai suicidi dirà
baciandoli alla fronte
venite in Paradiso
là dove vado anch'io
perché non c'è l'inferno
nel mondo del buon Dio.
Fate che giunga a Voi
con le sue ossa stanche
seguito da migliaia
di quelle facce bianche
fate che a voi ritorni
fra i morti per oltraggio
che al cielo ed alla terra
mostrarono il coraggio.
Signori benpensanti
spero non vi dispiaccia
se in cielo, in mezzo ai Santi
Dio, fra le sue braccia
soffocherà il singhiozzo
di quelle labbra smorte
che all'odio e all'ignoranza
preferirono la morte.
Dio di misericordia
il tuo bel Paradiso
lo hai fatto soprattutto
per chi non ha sorriso
per quelli che han vissuto
con la coscienza pura
l'inferno esiste solo
per chi ne ha paura.
Meglio di lui nessuno
mai ti potrà indicare
gli errori di noi tutti
che puoi e vuoi salvare.
Ascolta la sua voce
che ormai canta nel vento
Dio di misericordia
vedrai, sarai contento.
Dio di misericordia
Vedrai sarai contento
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Guarda "Fabrizio de André, Preghiera in Gennaio" su YouTube
youtube
Lascia che sia fiorito
Signore, il suo sentiero
Quando a te la sua anima
E al mondo la sua pelle
Dovrà riconsegnare
Quando verrà al tuo cielo
Là dove in pieno giorno
Risplendono le stelle
Quando attraverserà
L'ultimo vecchio ponte
Ai suicidi dirà
Baciandoli alla fronte
Venite in Paradiso
Là dove vado anch'io
Perché non c'è l'inferno
Nel mondo del buon Dio
Fate che giunga a Voi
Con le sue ossa stanche
Seguito da migliaia
Di quelle facce bianche
Fate che a voi ritorni
Fra i morti per oltraggio
Che al cielo ed alla terra
Mostrarono il coraggio
Signori benpensanti
Spero non vi dispiaccia
Se in cielo, in mezzo ai Santi
Dio, fra le sue braccia
Soffocherà il singhiozzo
Di quelle labbra smorte
Che all'odio e all'ignoranza
Preferirono la morte
Dio di misericordia
Il tuo bel Paradiso
L'hai fatto soprattutto
Per chi non ha sorriso
Per quelli che han vissuto
Con la coscienza pura
L'inferno esiste solo
Per chi ne ha paura
Meglio di lui nessuno
Mai ti potrà indicare
Gli errori di noi tutti
Che puoi e vuoi salvare
Ascolta la sua voce
Che ormai canta nel vento
Dio di misericordia
Vedrai, sarai contento
Dio di misericordia
Vedrai, sarai contento
27 Gennaio 1967. Luigi Tenco 🖤
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FEEL: Rubik Cube Braille https://www.design-miss.com/feel-rubik-cube-braille/ Konstantin Datz ha realizzato questo speciale Cubo di Rubik per non vedenti: al posto dei colori delle facce (tutte bianche) ci sono scritti i colori in Braille. Ora è davvero […]
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AGGIORNIAMO LA SCENEGGIATURA
Faccio un lavoro del cazzo, mi fermo a volte e guardo il materiale, ripenso a come parlo con sicurezza e CAZZO QUANTO FA RIDERE: il mio lavoro è far ridere la gente. Io. Fare ridere.
Vabè però faccio le magie, facce con stupore e l'attimo dopo taste chine sul tavolo a pippare. Amo la luce dei led, casa ne è una centrale elettrica e l'auto fa luci verdi piuttosto che gialle o bianche. Se una jeep verde ti sfanala col verde sono io. Quindi? Che fine hai fatto? Non ti smentisci mai; sei sempre la stessa crema, parole, parole, parole e fatti zero. Ho capito crescendo che preferisco valere che prevalere, capire piuttosto che spiegare, essere libero piuttosto che furbo. Ho capito che non voglio più nulla di inutilmente complesso, nulla che non sia pari ad un movimento di un vettore A verso un vettore B, una linea dritta senza utilizzare mezzi e strumenti a caso.
Scivolare la penna da A a B. Fine.
San Valentino l'hai passato bene? Io da solo,
i messaggi cancellati sono la novità che denuncerei, hanno sputtanato queste cose come "VOCE DELLA DIFFICOLTÀ DI ESSERE DONNA"
Ahahahahahaha, quante stronzate.
VABE COMUNQUE ti ho pensata, ho sognato mi parlassero di te come una te messa male all'angolo e ho pregato a chi mi stava parlando di non scoparti. Ti diceva di doverti innamorare in fretta, di sbrigarti, di smetterla di uscire senza mai concludere niente. Ho comprato dei giocattoli simpatici da usare in due, che ne dici di provarli?
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Preghiera in gennaio
Lascia che sia fiorito Signore, il suo sentiero Quando a te la sua anima E al mondo la sua pelle Dovrà riconsegnare Quando verrà al tuo cielo Là dove in pieno giorno Risplendono le stelle
Quando attraverserà L'ultimo vecchio ponte Ai suicidi dirà Baciandoli alla fronte Venite in Paradiso Là dove vado anch'io Perché non c'è l'inferno Nel mondo del buon Dio
Fate che giunga a Voi Con le sue ossa stanche Seguito da migliaia Di quelle facce bianche Fate che a voi ritorni Fra i morti per oltraggio Che al cielo ed alla terra Mostrarono il coraggio
Signori benpensanti Spero non vi dispiaccia Se in cielo, in mezzo ai Santi Dio, fra le sue braccia Soffocherà il singhiozzo Di quelle labbra smorte Che all'odio e all'ignoranza Preferirono la morte
Dio di misericordia Il tuo bel Paradiso L'hai fatto soprattutto Per chi non ha sorriso Per quelli che han vissuto Con la coscienza pura L'inferno esiste solo Per chi ne ha paura
Meglio di lui nessuno Mai ti potrà indicare Gli errori di noi tutti Che puoi e vuoi salvare
Ascolta la sua voce Che ormai canta nel vento Dio di misericordia Vedrai, sarai contento
Dio di misericordia Vedrai, sarai contento
Fabrizio De Andre / Gian Piero Reverberi
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Case e periferia
Fumo che non va via
Copre ogni voglia che ho
Di rialzarmi e andar giù
Facce in attesa di un tram
Lunghe
Quanto la notte che ormai
Non c'è più
Son donne appese a finestre
Le ombre che guardano in su
L'alba è qui già da un po'
Ma dove sei tu?
Là dove si sta
Li-, liberi di non aver paura
Di dir la verità
Di vivere la vita
E tra queste strade bianche
Un uomo, con parole stanche
Ammira, come fosse d'oro
Quest'alba che sa di nuovo
Là dove si sta
Li-, liberi di non aver paura
Di vivere la vita
Come si fa?
Li. -liberi di non aver paura
Di dir la verità
Di far la verità
Per vivere la vita
Di dir la verità
Per vivere la vita
Fonte: Musixmatch
Compositori: Giuliano Sangiorgi / Remo Anzovino
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24 giu 2023 19:22
“SONO IL PRESIDENTE SANDRO PERTINI”; “SEMPRE ‘STI SCHERZI DE MERDA. IO SONO FELICE GIMONDI, VA’ A DAR VIA IL CUL…” - ENRICO BERTOLINO RACCONTA LA TELEFONATA DELL'EX PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA (E LA MITOLOGICA RISPOSTA DI UN AVIERE BRESCIANO) NEGLI ANNI IN CUI HA PRESTATO SERVIZIO MILITARE NELLA BASE NATO DEL MONTE VENDA - “C'ERA UN TENENTE CON IL CAPPELLO DA NAZISTA CHE DICEVA: 'OGGI LA GUERRA NON C’È MA, SE ARRIVASSE, VI FARÒ PISCIARE CHEROSENE'” - IL NONNISMO: “A UNA RECLUTA GLI DIEDERO FUOCO DOPO AVERLO COSPARSO DI ALCOOL...". E LA NOTTE DELLA STRAGE DI USTICA... -
Estratto dell’articolo di Luca Bottura per “OGGI”
Il 27 giugno 1980, alle 20.59, un missile abbatteva sui cieli di Ustica il Dc9 Itavia I-TIGI in volo da Bologna a Palermo, uccidendo 81 persone. Sparato da chi? Un Mirage francese oppure da chi altro? Il bersaglio era un Mig libico ritrovato settimane dopo in Calabria? Lo Stato italiano non collaborò, diciamo così, alle indagini.
La verità, emersa a frammenti subito dopo lo schianto, è solo in parte stabilita da decenni di processi. Nella base Nato del Monte Venda (Padova) era in servizio Enrico Bertolino: comico, attore, formatore. Soprattutto amico mio. Questo è il suo racconto.
Come mai eri lì?
«Mio padre aveva corrotto un maresciallo per farmi fare la leva in Aeronautica. Roba da poco, allora si mandavano le piante. Ma mi sa che avesse sbagliato pianta, magari era una graminacea. Così diventai controllore di volo nelle viscere del Monte Venda, dalle parti di Vo’ Euganeo. La base è stata smantellata a fine anni Novanta, anche per un piccolo problema». […]
Come si esplicitava il nonnismo?
«Ricordo un certo Barbero, di Torino: un nonno gli diede fuoco dopo averlo cosparso di alcool perché insisteva a voler finire una partita a Pacman. Altri aspettavano le reclute truccati come i Kiss, quel gruppo musicale con le facce bianche e nere, di notte. Gli facevano fare delle flessioni sulle turche, rompendo delle bottiglie e facendogli mettere le mani sui vetri e con la faccia dentro alla turca».
Lo segnalavi?
«Lo segnalavo. Gli ufficiali mi rispondevano: “Va bene, ne prendiamo atto”. E basta: usavano gli anziani della caserma per sbrigare le incombenze noiose». […]
Com’era strutturata la base?
«Era un luogo nevralgico con centinaia di addetti, aveva la responsabilità della difesa aerea fino a Roma. Fu anche il primo focolaio di ribellione dei controllori di volo militari che volevano essere “civilizzati”. Per far rientrare lo sciopero telefonò anche Pertini, ma al centralino c’era un aviere bresciano che si esprimeva a suoni gutturali, spesso vittima di scherzi da parte dei “nonni”. Alzò la cornetta: “Sono il presidente Sandro Pertini, voglio parlare con il generale Vittoriano Cecchini”. E lui: “Sempre ‘sti scherzi de merda. Io sono Felice Gimondi, va’ a dar via il cü”. Prese venti giorni di consegna».
Chi eri a vent’anni?
«Ero senza arte né parte. Lasciai una fidanzata, come tutti. Ma ero contento di non fare la coda al telefono a gettoni. Uno che fu abbandonato a distanza, Pedrazzini, tornò in camerata e bevve una bottiglia di Vecchia Romagna. Andò in coma etilico».
Sembra il bar di Guerre Stellari.
«Era il disagio degli anni Ottanta. C’era uno di Bologna che fumava canne a ripetizione. C’era l’eroina… A Macerata, durante l’addestramento, incontrai un tenente che portava il cappello da nazista: “Oggi purtroppo la guerra non c’è ma, se arrivasse, vi farò pisciare cherosene”». […]
Quella sera dov’eri?
«Nel tunnel, pronto per montare in servizio. All’improvviso gli ufficiali si chiudono dentro e comunicano: “Ragazzi, stasera qua sotto non entra nessuno”. C’era un tenente colonnello che si esprimeva a monosillabi e buttava giù il telefono. Fibrillazione. Dopo un po’ ci dicono: “Prendete il pullman e portatevi giù alla base”. E io: “Ma come, devo fare il mio turno”. E loro: “Tutti via, tutti via”».
Reazione?
«“Che culo, stanotte si dorme”. Però poi, sapendo che quel che era successo, ci dicemmo che qualcosa non quadrava». […]
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TAO, il cantautore rock insegue il profumo della libertà
TAO, il cantautore rock insegue il profumo della libertà. Fuori il singolo "The Scent of Freedom", e il nuovo Album "Freedhome". L’instancabile cantauto-rocker e polistrumentista TAO, a distanza di quattro anni dal precedente episodio discografico, pubblica il singolo ‘The Scent of Freedom’ e il nuovo album ‘Freedhome’, entrambi in uscita Venerdì 9 Dicembre su tutte le piattaforme digitali, in formato CD e Vinile. Momentaneamente spenti i motori del suo Love Bus, dopo un interminabile tour fatto di 1.100 shows tra festival e piazze, toccando oltre 800 località italiane ed europee, percorrendo la bellezza di 160.000 km (guarda qui: shorturl.at/isCDN), TAO si è dedicato alla produzione del nuovo album suonando ogni strumento presente nelle incisioni: voci, chitarre elettriche ed acustiche, basso, banjo, bouzouki, mandolino, batteria, percussioni, piano e arrangiamenti archi, accompagnato da ANA, sua musa ispiratrice nonché voce in tutte le canzoni e banjo player in alcune tracce del disco. THE SCENT OF FREEDOM È con il singolo ‘The Scent of Freedom’, accompagnato dal videoclip, che TAO canta l'infanzia di ANA, vissuta in un villaggio sperduto nelle campagne "ad Est dell'Eden". Una vita semplice ma troppo dura per essere sopportata. Ne seguirà la sua partenza da casa per inseguire il profumo della libertà - The Scent of Freedom appunto – con davanti agli occhi lo sguardo struggente di sua madre che la lascia andare, consapevole che non si sarebbero viste mai più. Impara che la libertà non vale nulla senza l'Amore. Disperata per non poter più riabbracciare sua madre, sa che il profumo d'aprile di quei campi lontani ad Est dell'Eden rimarrà per sempre l'unico vero ‘profumo della sua libertà’. TAO dichiara: «“Tra i 15 brani dell’album “Freedhome” ho scelto “The Scent of Freedom” per amore, perché è una storia vera, la storia della mia compagna di vita da venti anni, Ana. Ho voluto dare voce ai sentimenti di chi, come lei, ha dovuto lasciare la casa e gli affetti per uscire da una vita piena di difficoltà e di privazioni. Sono quest’ultime, come le affronti e le superi, a determinare la persona che sei. Del resto Ana in soli due anni - durante la pandemia - ha imparato a cantare, suonare il banjo e a registrarlo su disco. E' proprio una tosta!” https://www.youtube.com/watch?v=vjF6eiqPmLI ‘Freedhome‘ è l’ottavo album di TAO, è interamente cantato in lingua inglese e contiene ben 15 canzoni. Con sonorità che si muovono agilmente tra pop, folk, country, rock e americana, è in larga parte ispirato a "Little House on the Prairie", una serie di libri scritti nei primi del Novecento da Laura Ingalls Wilder, dai quali è stata poi tratta la serie tv omonima ‘La Casa nella Prateria’. Un viaggio dove realtà e immaginazione si incontrano dando vita a musiche profonde e a testi personali e potenti. ‘Freedhome’, già dal titolo esprime il concetto: ‘Freedom’ e ‘Home’ sono solo due facce della stessa medaglia. CHI È TAO TAO è un “cantauto-rocker”, polistrumentista e produttore. Da 15 anni è noto per essere l’ideatore della TAO Love Bus Experience, ovvero il primo rock‘n��roll tour itinerante a bordo del TAO Love Bus - il fantastico pulmino Volkswagen del 1974 decorato graficamente ‘hippie style’ e attrezzato come un palco viaggiante. Questo scrigno magico su quattro ruote ha permesso a TAO di suonare al suo interno con l'intera band nonché di diffondere in movimento la sua musica lungo le strade d’Italia e d’Europa. Con 1.100 shows, 800 città toccate, 160.000 km percorsi, tantissimi festivals, rassegne, notti bianche ed eventi prestigiosi, collaborazioni con brand importanti come Volkswagen, Diesel, Benetton TAO e il suo originale tour sono stati immortalati su tutti i canali nazionali - X-Factor, Tg1, Tg3, Tg La7, Blob, Easy Driver, Striscia la Notizia, La vita in Diretta, Italia allo Specchio - e su tantissimi quotidiani nazionali. TAO ha all’attivo otto album: ‘Forlìverpool’ (2005), ‘L’Ultimo James Dean’ (2007), ‘Love Bus / Love Burns’ (2010), ‘Spirit of Rock’ (2012), ‘Between Hope and Desperation’ (2014), ‘Devil in Eden’ (2017), ‘Angel in Hell’ (2018) e con oggi ‘Freedhome’ (2022), oltre ad un film-documentario biografico ‘TAO – Spirit of Rock’. Links: Wikipedia: https://it.wikipedia.org/wiki/TAO_(cantante) Facebook: www.facebook.com/taovox Instagram: www.instagram.com/taovox YouTube: www.youtube.com/taovox TikTok: www.tiktok.com/@taovox Spotify: https://open.spotify.com/artist/2cfREDy0hkhufnuiaXsRQx?si=zJH3q-zDQfWAeN7F54sWZg Sito Web: www.taovox.com... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Ma dove vanno i marinai
con le loro giubbe bianche
sempre in cerca di una rissa o di un bazar
Ma dove vanno i marinai
con le loro facce stanche
sempre in cerca di una bimba da baciar .
Ma cosa fanno i marinai quando arrivano nel porto
vanno a prendersi l'amore dentro al bar
qualcuno è vivo per fortuna
qualcuno è morto c'è una vedova da andare a visitar.
Ma come fanno i marinai a riconoscersi sempre uguali sempre quelli
all'Equatore e al Polo Nord
ma come fanno i marinai a baciarsi tra di loro
a rimanere veri uomini però.
Intorno al mondo senza amore
come un pacco postale senza nessuno che gli chiede
come va col cuore appresso a una donna
una donna senza cuore chissà
se ci pensano ancora, chissà.
Ma dove vanno i marinai mascalzoni e imprudenti
con la vita nei calzoni
col destino in mezzo ai denti
sotto la luna puttana e il cielo che sorride
come fanno i marinai con questa noia che li uccide
addormentati sopra un ponte
in fondo a malincuore
sognano un ritorno smaltiscono un liquore
affaticati dalla vita piena di zanzare
che cosa gliene frega
di trovarsi in mezzo al mare
a un mare che più passa il tempo
e più non sa di niente su questa rotta inconcludente
da Genova a New York
ma come fanno i marinai
a fare a meno della gente
e a rimanere veri uomini però.
Intorno al mondo senza amore
come un pacco postale
senza nessuno che gli chiede come
va col cuore appresso a una donna
una donna senza cuore
chissà se ci pensano ancora,
chissà.
Lucio Dalla
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“ Samar continuava a parlare con quel suo strano fervore: - Ascolta, tu non ascolti, dobbiamo spiegare che la nostra causa è giusta, bisogna che rendiamo pubbliche le pratiche dei fascisti, gli omicidi, gli stupri, le ruberie, i transfert, le case distrutte. Il cinema di denuncia, è questo il suo ruolo. Rendere di pubblico dominio. Bisogna... - Ma anche noi... Le ho detto che anche noi commettiamo degli errori, che anche noi ammazziamo, anche noi... - Non è vero, quel che dici non è vero. - Giuro che è vero! Damour. Noi a Damour... - Non parlare di Damour! Ti sei dimenticato del quartiere dei mattatoi, di Karantina, di Na'aba, di Tell al-Za'atar? - Compagna, non parlarmi con questo tono! Sta' calma, sto solo dicendo la verità! - No, non è la verità, la verità dev'essere al servizio della rivoluzione, questi sono discorsi che turbano i nostri militanti. - La verità è al servizio della verità. Ascolta. - Ascolta tu. La guerra è guerra. - Lo so, giuro che lo so, si fanno errori in tutte le guerre, la cosa fondamentale è la questione politica, però commettiamo anche noi degli errori. - No, tu la fai troppo grossa, come fa un combattente come te a parlare in questo modo? - Giuro, sorella, io queste cose le, so. Eppure combatto e continuerò a combattere. Sí insomma, tutto questo non c'entra. Però è la verità. Io rimango, dove vuoi che vada? Alla fine di quella conversazione, Samar mi ha consigliato di tornare all'università. Ma che università e università, come faccio a studiare? L'occhio sano non è mica sano, quando leggo per un po' mi diventa rosso e mi piglia un dolore insopportabile, all'università non posso tornare e un altro mestiere non lo so fare. E poi non voglio. Come posso dimenticare? Metà dei miei amici sono morti martiri, come faccio? Li lascio nella tomba e scappo via, come ho fatto con Samíh? No. Si è alzata, il cameriere ha portato il conto. Voleva pagare lei, non gliel'ho permesso. “
Elias Khuri, Facce bianche, traduzione dall'arabo di Elisabetta Bartuli, Einaudi (collana L'Arcipelago n° 126), 2007¹; pp. 185-186.
[1ª Edizione originale: الوجوه البيضاء, (Wujuh al-bayda), editore Dar Al Adab, Beirut, 1981]
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canto d'amore di J. Alfred Prufrock - Thomas Stearns Eliot
S’io credesse che mia risposta fosse
A persona che mai tornasse al mondo,
Questa fiamma staria senza più scosse.
Ma perciocché giammai di questa fondo
Non tornò vivo alcun, s’i’ odo il vero,
Senza tema d’infamia ti rispondo.
I
Allora andiamo, tu ed io,
Quando la sera si stende contro il cielo
Come un paziente eterizzato disteso su una tavola;
Andiamo, per certe strade semideserte,
Mormoranti ricoveri
Di notti senza riposo in alberghi di passo a poco prezzo
E ristoranti pieni di segatura e gusci d’ostriche;
Strade che si succedono come un tedioso argomento
Con l’insidioso proposito
Di condurti a domande che opprimono…
Oh, non chiedere « Cosa? »
Andiamo a fare la nostra visita.
Nella stanza le donne vanno e vengono
Parlando di Michelangelo.
La nebbia gialla che strofina la schiena contro i vetri,
Il fumo giallo che strofina il suo muso contro i vetri
Lambì con la sua lingua gli angoli della sera,
Indugiò sulle pozze stagnanti negli scoli,
Lasciò che gli cadesse sulla schiena la fuliggine che cade dai camini,
Scivolò sul terrazzo, spiccò un balzo improvviso,
E vedendo che era una soffice sera d’ottobre
S’arricciolò attorno alla casa, e si assopì.
E di sicuro ci sarà tempo
Per il fumo giallo che scivola lungo la strada
Strofinando la schiena contro i vetri;
Ci sarà tempo, ci sarà tempo
Per prepararti una faccia per incontrare le facce che incontri;
Ci sarà tempo per uccidere e creare,
E tempo per tutte le opere e i giorni delle mani
Che sollevano e lasciano cadere una domanda sul tuo piatto;
Tempo per te e tempo per me,
E tempo anche per cento indecisioni,
E per cento visioni e revisioni,
Prima di prendere un tè col pane abbrustolito
Nella stanza le donne vanno e vengono
Parlando di Michelangelo.
E di sicuro ci sarà tempo
Di chiedere, « Posso osare? » e, « Posso osare? »
Tempo di volgere il capo e scendere la scala,
Con una zona calva in mezzo ai miei capelli –
(Diranno: « Come diventano radi i suoi capelli! »)
Con il mio abito per la mattina, con il colletto solido che arriva fino al mento, Con la cravatta ricca e modesta, ma asseríta da un semplice spillo –
(Diranno: « Come gli son diventate sottili le gambe e le braccia! »)
Oserò
Turbare l’universo?
In un attimo solo c’è tempo
Per decisioni e revisioni che un attimo solo invertirà
Perché già tutte le ho conosciute, conosciute tutte: –
Ho conosciuto le sere, le mattine, i pomeriggi,
Ho misurato la mia vita con cucchiaini da caffè;
Conosco le voci che muoiono con un morente declino
Sotto la musica giunta da una stanza più lontana.
Così, come potrei rischiare?
E ho conosciuto tutti gli occhi, conosciuti tutti –
Gli occhi che ti fissano in una frase formulata,
E quando sono formulato, appuntato a uno spillo,
Quando sono trafitto da uno spillo e mi dibatto sul muro
Come potrei allora cominciare
A sputar fuori tutti i mozziconi dei miei giorni e delle mie abitudini? .
Come potrei rischiare?
E ho già conosciuto le braccia, conosciute tutte –
Le braccia ingioiellate e bianche e nude
(Ma alla luce di una lampada avvilite da una leggera peluria bruna!)
E’ il profumo che viene da un vestito
Che mi fa divagare a questo modo?
Braccia appoggiate a un tavolo, o avvolte in uno scialle.
Potrei rischiare, allora?-
Come potrei cominciare?
Direi, ho camminato al crepuscolo per strade strette
Ed ho osservato il fumo che sale dalle pipe
D’uomini solitari in maniche di camicia affacciati alle finestre?…
Avrei potuto essere un paio di ruvidi artigli
Che corrono sul fondo di mari silenziosi
E il pomeriggio, la sera, dorme così tranquillamente!
Lisciata da lunghe dita,
Addormentata… stanca… o gioca a fare la malata,
Sdraiata sul pavimento, qui fra te e me.
Potrei, dopo il tè e le paste e i gelati,
Aver la forza di forzare il momento alla sua crisi?
Ma sebbene abbia pianto e digiunato, pianto e pregato,
Sebbene abbia visto il mio capo (che comincia un po’ a perdere i capelli)
Portato su un vassoio,
lo non sono un profeta – e non ha molta importanza;
Ho visto vacillare il momento della mia grandezza,
E ho visto l’eterno Lacchè reggere il mio soprabito ghignando,
E a farla breve, ne ho avuto paura.
E ne sarebbe valsa la pena, dopo tutto,
Dopo le tazze, la marmellata e il tè,
E fra la porcellana e qualche chiacchiera
Fra te e me, ne sarebbe valsa la pena
D’affrontare il problema sorridendo,
Di comprimere tutto l’universo in una palla
E di farlo rotolare verso una domanda che opprime,
Di dire: « lo sono Lazzaro, vengo dal regno dei morti,
Torno per dirvi tutto, vi dirò tutto » –
Se una, mettendole un cuscino accanto al capo,
Dicesse: « Non è per niente questo che volevo dire.
Non è questo, per niente. »
E ne sarebbe valsa la pena, dopo tutto,
Ne sarebbe valsa la pena,
Dopo i tramonti e i cortili e le strade spruzzate di pioggia,
Dopo i romanzi, dopo le tazze da tè, dopo le gonne strascicate sul pavimento
E questo, e tante altre cose? –
E’ impossibile dire ciò che intendo!
Ma come se una lanterna magica proiettasse il disegno dei nervi su uno schermo:
Ne sarebbe valsa la pena
Se una, accomodandosi un cuscino o togliendosi uno scialle,
E volgendosi verso la finestra, dicesse:
« Non è per niente questo,
Non è per niente questo che volevo dire. »
No! lo non sono il Principe Amleto, né ero destinato ad esserlo;
Io sono un cortigiano, sono uno
Utile forse a ingrossare un corteo, a dar l’avvio a una scena o due,
Ad avvisare il principe; uno strumento facile, di certo,
Deferente, felice di mostrarsi utile,
Prudente, cauto, meticoloso;
Pieno di nobili sentenze, ma un po’ ottuso;
Talvolta, in verità, quasi ridicolo –
E quasi, a volte, il Buffone.
Divento vecchio… divento vecchio…
Porterò i pantaloni arrotolati in fondo.
Dividerò i miei capelli sulla nuca? Avrò il coraggio di mangiare una pesca?
Porterò pantaloni di flanella bianca, e camminerò sulla spiaggia.
Ho udito le sirene cantare l’una all’altra.
Non credo che canteranno per me.
Le ho viste al largo cavalcare l’onde
Pettinare la candida chioma dell’onde risospinte:
Quando il vento rigonfia l’acqua bianca e nera.
Ci siamo troppo attardati nelle camere del mare
Con le figlie del mare incoronate d’alghe rosse e brune
Finché le voci umane ci svegliano, e anneghiamo.
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Sabato notte non dormivo e ho scritto una cosa sui concerti e su quanto manca il rock'n'roll.
La trovate qua sotto, dopo la foto.
Oggi è il 25 Gennaio ed è un anno esatto che non vedo un live. Non succedeva da tanti anni.
Il ragazzo volante in foto l'ho immortalato un anno fa al Bloom di Mezzago alla festa di compleanno di To Lose La Track, ultima mina dal vivo prima che il Virus si fottesse il mondo e le nostre normalitá. Quella fu una gran serata: chiusero i Gazebo Penguins, che ormai da alcuni anni sono a mani basse la band italiana col live piú intenso nel nostro paese. Suonavano anche il giorno dopo Codogno e il "paziente uno" ma a quella serata non ci andammo e tutto si fermò lí.
Sarebbe epico riprendere come si era interrotto, con la speranza che il 2021 riporti a riaccendere le luci, a far fischiare gli amplificatori sui palchi, a salvare i nostri locali preferiti, i nostri cuori, a riaccendere la vita nostra e di chi con l'arte ci vive.
Figa siamo sempre i primi. Speriamo di non essere in 20, lo sai che quella volta lá ero io, le due band e i loro amici! Ma vá non vengono da un botto di tempo in Italia, non vedi che ci son giá almeno 30 persone?!
Cazzo di freddo. Dovevo portare giú il giubbotto! Ma vá 3 euro di guardaroba col cazzo glieli do. Si, pensa dopo quando usciamo bagnati in felpa all'una di notte a Gennaio AHAH!
Oh vá c'è quello lí di...[radio random/programma alternativo MTV primi 2000 chessò, tipo Brand:New] chissá che cazzo fa adesso...
Il timbro me lo faccio fare all'interno del polso tipo Gesú, che sulla mano non va mai via e al lavoro domani poi sembro un minchione. Il trick domani in ufficio è coprirlo con l'orologio, ascoltami io sono un genio in queste cose.
Beviamo?
Beviamo.
Spè che guardo il merch, tanto poi non compro niente.
[Odore di chiuso, borotalco dalla macchina del fumo]
We davanti ma non troppo sennò non si sente un cazzo. Occhio alla canalina! Èh? (inciampo inevitabile).
Oh io prendo un altro gin tonic...ma si fanculo dai!
Palpebre pesanti, mal di schiena.
Mi sa che vado al cesso adesso che poi si riempie. Sísí.
Figa se si è riempito! Secondo te è sold-out? Eh non so però bello pienotto!
Cazzo di mal di schiena oh ma si devono muovere! Che brutta la vecchiaia. Stare in piedi fermo è una merda per la schiena.
Lascia stare figa io non so come facevamo a stare sempre davanti sotto il palco una volta.
Eh ma adesso la paghi guarda me che ho la cervicale a coriandoli! 2000 € di fisioterapisti puttana la belva...
Cazzo di caldo figa tieni il bicchiere un attimo. Ma come cazzo fanno a stare col giubbotto dentro? Mai capito cazzo! Termosifoni umani, irradiano calore solo a guardarli.
Figa ma uno alto 2 metri coi capelli di Branduardi proprio davanti a me ogni volta oh!
Ma quando cazzo salgono quelli che aprono?
...[In netto ritardo sale la band "spalla", come si diceva una volta]...
Bravi si, non male ma dopo 4 pezzi basta dai, cosí iniziano LORO, hanno sforato giá di mezz'ora, io domani lavoro!!
OOOH ECCOLI!
[Urletti dal pubblico, sale LA BAND]
DAIIIII CAZZOOOO!
Fammi allacciare bene le scarpe, che nel 2004 al Forum con gli Offspring ne ho persa una e l'ho arpionata al volo per miracolo! Ah, se ci perdiamo, alla fine ci ritroviamo lí (indica un posto X).
Calca, sudore, puzza di sigarette scannate e scaldate, birra calda, gente addosso a gente, piedi schiacciati da altri piedi, bacilli volanti, sorridi a sconosciuti e fingi di capire quando ti dicono qualcosa. Èh? OH URLA CHE NON SENTO UN CAZZO! (Ripete inutilmente, rispondi con sorrisi). C'è sempre qualche veneto con l'alcool nella bottiglia della San Benedetto che: "Fratello noi veniamo da Treviso per vederli, da voi a Milano vengono tutte le band della terra che culo che avete noi ci facciamo sempre i chilometri cazzo fratellooo!" Seguono altre parole molto etiliche e poco comprensibili ma si comunica lo stesso a pacche sulle spalle e urla isteriche animalesche, tipo le scimmie urlatrici. È un linguaggio universale, funziona anche con gli stranieri/e in Erasmus che vengono a sentire la band.
Attacca la prima canzone, volumi sballati che qualcuno lá al mixer domerá in un paio di pezzi EEEEEEE VAI CAZZOOOOO!
PIM. PUM. PAM. SBABAM! ENERGIA SONICA.
Sganci il cervello ed entri nel flusso.
L'attacco lo conosci, è quella canzone che hai ascoltato almeno 600 volte fremendo e adesso te la sparano in faccia. La Grancassa la senti nel petto, il basso nel ventre. Il suono ti entra dentro, ti invade le sinapsi, diventa fisico. L'onda sonora muove l'aria che hai nella cassa toracica, la senti uscire fin su nella gola, ti massaggia anche il cuore, lo puoi sentire.
Guarda quella tipella lí tutta sudata cazzo! Io una cosí che viene a sentire i [band] me la sposerei domani.
I giovani lá davanti volano, gente sopra altra gente. Si tritano nel pogo e li si guarda invidiosi per i loro 15 anni in meno dei tuoi. Contusioni, urla, braccia che indicano il soffitto, energia viva. Mi sono sempre chiesto che rumore farebbe il pogo se si togliesse la musica d'un tratto, credo lo stesso rumore di un ballo tribale.
Ricordi quando ci stavi tu lá a 16, 18, 22, 25...Poi si retrocede, è fisiologico. Li guardavamo sempre quelli lí dietro, chiedendoci se prima o poi saremmo diventati come loro, come quelli che ci guardavano col risolino evitando di toccarci mentre uscivamo dal MUCCHIO per respirare, bagnati fradici dei nostri e altrui sudori. In quella fila retrostante, quella degli over 30, che adesso è la nostra fila, ci vedi pose da esperti concertari navigati, facce che giudicano ma godono, sorrisi-applausi-apprezzamenti, tanto il muro sonoro ti investe e ti porta via lo stesso come nei tuoi 16 anni e TANTI SALUTI A TUTTI I CAZZI DELLA VITA ALMENO PER DUE ORE BUONE!
Si esce pezzati ma felici. Guarda ste scarpe, erano bianche prima! Menomale che non facciamo piú la macedonia sotto al palco! A sto giro mi sa che tocca buttarle...
Verso casa per inerzia ma col sorriso stampato in faccia. In strada, alle 2 di un lunedí notte di Gennaio, solo una macchina: la nostra. Oh il prossimo guido io.
Ok zio ciao buon sonno e buon lavoro per domani! AHAH VAFFANCULOOOO!
Acufene, 4 ore di sonno, anche meno se il concerto ti ha acceso dentro.
QUANTO CAZZO MANCA IL ROCK'N'ROLL.
💔
#senzamusica#ancorasenzamusica#bauliinpiazza#unannosenzamusica#live#concerti#gig#musica#musicadalvivo#livemusic#spettacolo
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Gli inviti superflui
Vorrei che tu venissi da me in una sera d’inverno e, stretti insieme dietro i vetri, guardando la solitudine delle strade buie e gelate, ricordassimo gli inverni delle favole, dove si visse insieme senza saperlo. Per gli stessi sentieri fatati passammo infatti tu ed io, con passi timidi, insieme andammo attraverso le foreste piene di lupi, e i medesimi genii ci spiavano dai ciuffi di muschio sospesi alle torri, tra svolazzare di corvi. Insieme, senza saperlo, di là forse guardammo entrambi verso la vita misteriosa, che ci aspettava. Ivi palpitarono in noi per la prima volta pazzi e teneri desideri. “Ti ricordi?” ci diremo l’un l’altro, stringendoci dolcemente, nella calda stanza, e tu mi sorriderai fiduciosa mentre fuori daran tetro suono le lamiere scosse dal vento.
Ma tu – ora mi ricordo – non conosci le favole antiche dei re senza nome, degli orchi e dei giardini stregati. Mai passasti, rapita, sotto gli alberi magici che parlano con voce umana, né battesti mai alla porta del castello deserto, né camminasti nella notte verso il lume lontano lontano, né ti addormentasti sotto le stelle d’Oriente, cullata da piroga sacra. Dietro i vetri, nella sera d’inverno, probabilmente noi rimarremo muti, io perdendomi nelle favole morte, tu in altre cure a me ignote. Io chiederei “Ti ricordi?”, ma tu non ricorderesti.
Vorrei con te passeggiare, un giorno di primavera, col cielo di color grigio e ancora qualche vecchia foglia dell’anno prima trascinata per le strade dal vento, nei quartieri della periferia; e che fosse domenica. In tali contrade sorgono spesso pensieri malinconici e grandi, e in date ore vaga la poesia congiungendo i cuori di quelli che si vogliono bene. Nascono inoltre speranze che non si sanno dire, favorite dagli orizzonti sterminati dietro le case, dai treni fuggenti, dalle nuvole del settentrione. Ci terremo semplicemente per mano e andremo con passo leggero, dicendo cose insensate, stupide e care. Fino a che si accenderanno i lampioni e dai casamenti squallidi usciranno le storie sinistre delle città, le avventure, i vagheggiati romanzi. E allora noi taceremo, sempre tenendoci per mano, poiché le anime si parleranno senza parola.
Ma tu – adesso mi ricordo – mai mi dicesti cose insensate, stupide e care. Né puoi quindi amare quelle domeniche che dico, né l’anima tua sa parlare alla mia in silenzio, né riconosci all’ora giusta l’incantesimo delle città, né le speranze che scendono dal settentrione. Tu preferisci le luci, la folla, gli uomini che ti guardano, le vie dove dicono si possa incontrar la fortuna. Tu sei diversa da me e se venissi quel giorno a passeggiare, ti lamenteresti di essere stanca; solo questo e nient’altro.
Vorrei anche andare con te d’estate in una valle solitaria, continuamente ridendo per le cose più semplici, ad esplorare i segreti dei boschi, delle strade bianche, di certe case abbandonate. Fermarci sul ponte di legno a guardare l’acqua che passa, ascoltare nei pali del telegrafo quella lunga storia senza fine che viene da un capo del mondo e chissà dove andrà mai. E strappare i fiori dei prati e qui, distesi sull’erba, nel silenzio del sole, contemplare gli abissi del cielo e le bianche nuvolette che passano e le cime delle montagne. Tu diresti “Che bello!”. Niente altro diresti perché noi saremmo felici; avendo il nostro corpo perduto il peso degli anni, le anime divenute fresche, come se fossero nate allora.
Ma tu – ora che ci penso – tu ti guarderesti attorno senza capire, ho paura, e ti fermeresti preoccupata a esaminare una calza, mi chiederesti un’altra sigaretta, impaziente di fare ritorno. E non diresti “Che bello! “, ma altre povere cose che a me non importano. Perché purtroppo sei fatta così. E non saremmo neppure per un istante felici.
Vorrei pure – lasciami dire – vorrei con te sottobraccio attraversare le grandi vie della città in un tramonto di novembre, quando il cielo è di puro cristallo. Quando i fantasmi della vita corrono sopra le cupole e sfiorano la gente nera, in fondo alla fossa delle strade, già colme di inquietudini. Quando memorie di età beate e nuovi presagi passano sopra la terra, lasciando dietro di sé una specie di musica. Con la candida superbia dei bambini guarderemo le facce degli altri, migliaia e migliaia, che a fiumi ci trascorrono accanto. Noi manderemo senza saperlo luce di gioia e tutti saran costretti a guardarci, non per invidia e malanimo; bensì sorridendo un poco, con sentimento di bontà, per via della sera che guarisce le debolezze dell’uomo.
Ma tu – lo capisco bene – invece di guardare il cielo di cristallo e gli aerei colonnati battuti dall’estremo sole, vorrai fermarti a guardare le vetrine, gli ori, le ricchezze, le sete, quelle cose meschine. E non ti accorgerai quindi dei fantasmi, né dei presentimenti che passano, né ti sentirai, come me, chiamata a sorte orgogliosa. Né udresti quella specie di musica, né capiresti perché la gente ci guardi con occhi buoni.Tu penseresti al tuo povero domani e inutilmente sopra di te le statue d’oro sulle guglie alzeranno le spade agli ultimi raggi.
Ed io sarei solo. È inutile. Forse tutte queste sono sciocchezze, e tu migliore di me, non presumendo tanto dalla vita. Forse hai ragione tu e sarebbe stupido tentare. Ma almeno, questo sì almeno, vorrei rivederti. Sia quel che sia, noi staremo insieme in qualche modo, e troveremo la gioia. Non importa se di giorno o di notte, d’estate o d’autunno, in un paese sconosciuto, in una casa disadorna, in una squallida locanda. Mi basterà averti vicina.
Io non starò qui ad ascoltare – ti prometto – gli scricchiolii misteriosi del tetto, né guarderò le nubi, né darò retta alle musiche o al vento. Rinuncerò a queste cose inutili, che pure io amo. Avrò pazienza se non capirai ciò che ti dico, se parlerai di fatti a me strani, se ti lamenterai dei vestiti vecchi e dei soldi. Non ci saranno la cosiddetta poesia, le comuni speranze, le mestizie così amiche all’amore. Ma io ti avrò vicina. E riusciremo, vedrai, a essere abbastanza felici, con molta semplicità, uomo con donna solamente, come suole accadere in ogni parte del mondo.
Ma tu – adesso ci penso – sei troppo lontana, centinaia e centinaia di chilometri difficili a valicare. Tu sei dentro a una vita che ignoro, e gli altri uomini ti sono accanto, a cui probabilmente sorridi, come a me nei tempi passati. Ed è bastato poco tempo perché ti dimenticassi di me. Probabilmente non riesci più a ricordare il mio nome. Io sono ormai uscito da te, confuso fra le innumerevoli ombre.
Eppure non so pensare che a te, e mi piace dirti queste cose.
Dino Buzzati
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Fotografia d’una crisi
L’esistenza di un dato di fatto come un ponte edificato a cavallo tra la colpa e la fantasia: quello era il punto d’incontro. Chissà se siamo davvero aiutati dal rumore delle onde che ancora persiste, come nel passato trasparente e occasionale, rispettivamente mio e suo, e di tutte le facce bianche che incontriamo e che non sfioriamo. Il dubbio è annidato dietro ad un rincorrersi di lucciole con lanterne, è il fiore all’occhiello dei miei desideri individuabile nella banalità d’una rosa spinata, di cui oramai ogni tonalità è un colore comune. Poi ho accettato l’insofferenza dei suoi occhi al cielo - quale, quale cielo nemmeno lo sappiamo - che è credere in un Dio da non pregare, un Dio grafico che inizia in alto e si stabilizza al centro, e più giù non scende mai e poi mai: l’abisso è una responsabilità che quasi mai qualcuno vuole caricarsi in spalla, perché l’abisso è liquido per eccellenza e ti entra immediatamente nei pori, si moltiplica dentro al tuo corpo. Ognuno ha già la sua lista di disgrazie annotata sul corpo, e la gente deve lavorare: caricarsi un albero in macchina, piuttosto, ché tronco e chioma basteranno a scaldarci l’inverno che se ne va, e le radici siano radici, arginino le frane e scavino la terra tappandola dall’ossigeno, così sia: come in cielo certamente non sia sottoterra.
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