#un po' più in là
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fifteenloove · 3 months ago
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Jannik's idgafism is truly the most beautiful thing about him. Haters were screaming and crying about him getting "a free vacation with no consequences🤬👺" and he was like. "yep☺️"
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im-tryingtoloveyou · 5 months ago
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myinfinitystory · 1 year ago
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Alla fine di tutto penso che ci siano semplicemente giorni in cui si è "predisposti" a sentirsi belli.
Si, insomma, quei giorni in cui non noti tutte quelle cose che altri giorni invece ti pesano; ci sono invece quei giorni in cui sembra che nulla vada bene, le braccia un po' cicciottelle, le gambe un po' cicciottelle, la pancia che magari non è piatta se non quando sei distesa
E stesso in questi giorni guardacaso neanche i capelli che tanto ami vengono bene, in nessuna maniera eh, e il viso?
Oddio però non ho un viso così brutto, eppure se non mi trucco almeno un po' non mi sento tanto a mio agio.. dovrei uscire con questo cerchio nero sotto agli occhi? Ma perché sembra sempre che ho i baffi pure dopo averli fatti? Mettiamo un po' di correttore qua e là e magari si toglie tutto
Vabbè però il correttore mica ti toglie l'insicurezza
Eppure guardandomi, eccomi qua, mica so così brutta? In fondo no, ma ho bisogno di essere "predisposta"
E nei giorni in cui sono predisposta semplicemente tutto quello che vedo scompare, e penso: ma forse sono solo io a vedere tutte queste cose? Queste piccolezze, ma chi è che le va a guardare? Eppure alcuni giorni pesano così tanto che dopo aver messo l'armadio sottosopra passa anche la voglia di prepararsi per bene per uscire
Eh ma poi tu già ti senti brutta, poi non ti vuoi manco preparare?
Chiaro, dopo mi sento ancora peggio
Ma quando mi sento bella invece mi preparo ancora meglio e mi sento ancora più bella
Allora come funziona?
In teoria dovrei semplicemente accettarmi e basta, certo mangiare sano, ma accettare questa corporatura
Ultimamente sono ingrassata di due kili e vabbè magari leggendo, se state ancora leggendo, penserete "e che sarà mai?" E in effetti è vero, non è tanto il numero sulla bilancia il problema, ma è il fatto che a vederli su di me dopo averne persi 10 pesa così tanto che non sembrano solo 2
A volte penso che la gente se sapesse quello che penso realmente di me penserebbe che sono solo stupida e che magari "c'è gente che vorrebbe averlo il corpo come il tuo"
Ma come si fa quando vorresti essere più magra, semplicemente più piccola in generale
Allora mi auguro in futuro di sentirmi più predisposta a sentirmi bella per un periodo di tempo abbastanza lungo da superare il tempo in cui non lo sono
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falcemartello · 4 months ago
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TOZZATA DEL GIORNO
Spoiler: Quando confondi la geotermia con sparate imbarazzanti.
Si chiama Rapolano Terme perché al di sotto di quel terreno scorre acqua termale che ha una temperatura compresa tra i 35º e i 40º gradi.
Entrambe le due strutture termali vicine sfruttano tale acqua, “NATURALMENTE CALDA e che SGORGA CALDA DIRETTAMENTE DAL SOTTOSUOLO”.
Comunque, tralasciando il fatto che sappiamo tutti che la temperatura termale è più alta nel sottosuolo che in superficie, lei sta dicendo che la CO2 è un po’ qui e un po’ là?
Pezzettini di Rapolano surriscaldati dal cambiamento climatico e pezzettini ancora salvi? Patetico.
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fallendemon6000 · 4 days ago
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GOOD OMENS -STAGIONE 4
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Episodio 9 - Nessun Itinerario e Un Dolce Rientro
Quel viaggio non era stato pianificato.
Forse come tutte le cose migliori.
Nessun itinerario, nessun vincolo, nessuna firma in calce, stavolta avevano solo preso e… lasciato andare.
Si erano fidati del vento, della strada, di una Bentley nera che conosceva ogni curva anche senza mappe.
La notte era stata piena di silenzi comodi, battute scambiate senza bisogno di spiegazioni, e risate sincere che rimbalzavano tra i muri di pietra e legno del piccolo rifugio trovato lungo la costa.
Avevano mantenuto fede al patto da ubriachi, fatto secoli prima fra bicchieri mezzi vuoti e occhi pieni di sogni.
“Un giorno, solo noi due, via da tutto.”
E ora eccoli lì. Via davvero.
L’alba li sorprende da dietro la cappella. Alle spalle, un cielo che si apre in un rosa dorato, caldo come una carezza antica. Davanti, il paesaggio respira lento.
Crowley ha le mani in tasca e gli occhiali scuri addosso. Aziraphale si stringe nel suo cappotto troppo grande miracolato per caso. E la maglia dei Queen sotto a scaldargli il cuore.
A:"Pensavo che “divertirsi” volesse dire… altro."
C:" Te lo potrei insegnare io. Ma niente giostre. E niente picnic. Magari una rapina in un casinò. O rubare un gelato a un cherubino."
Aziraphale ride, quella risata luminosa e rotonda che Crowley si era dimenticato quanto gli mancasse.
Si avvicina e lo urta con la spalla, piano.
A:"Mi fido. Ma niente rapine. Forse un gelato e un picnic, però..."
Il sole comincia a sorgere davvero. Nessuno dei due parla.
Guardano.
Respirano.
E capiscono che, forse, è il momento di tornare a casa.
Forse non sanno nemmeno più cosa significhi, “casa”.
Ma forse… forse è lì, fuori da quella cappella, nella luce dell’alba, nella maglia dei Queen troppo larga, e in due risate che si rispondono da secoli.
La brezza dolce del mattino penetra nei finestrini della Bentley.
Aziraphale guarda fuori poi qualcosa cattura la sua attenzione.
Aziraphale ha gli occhi spalancati, il dito puntato verso la scogliera bassa in lontananza
A:"Crowley… guarda là."
Crowley non si volta subito. Continua ad andare avanti, come se non avesse sentito.
Ma poi ferma la macchina, una mano sul volante e l’altra a sistemarsi gli occhiali sul naso.
C:"Mh? Che c’è, un altro negozio di torte?"
Aziraphale non ride, ma sorride.
I suoi occhi son fissi su un edificio adagiato a riva, mezzo nascosto da un boschetto di alberi piegati dal vento.
Un cottage.
Un po’ scrostato dal tempo, ma solido. Le tegole sono sparse qua e là, la facciata screpolata, ma la veranda sembra grande.
Le finestre ampie.
E sembra… vuoto.
A:"È bellissimo. Ha… ha carattere. E lo spazio giusto. Per due."
Crowley segue finalmente il suo sguardo, gli occhiali neri schermavano gli occhi, ma il sorriso che si accende appena all’angolo della bocca non passa inosservato.
Aziraphale, però, non dice nulla.
C:"Carattere.” Così chiamiamo le crepe nei muri, adesso?"
Aziraphale ride piano, come chi sa che sì, lo stanno già immaginando: Un camino acceso, una teiera sul fuoco. Un posto da sistemare insieme. E Crowley, pur senza dirlo, già ci pensa.
Già ci vede le sedie storte, la musica rock a volume basso, e un angelo che sistema libri secondo un ordine tutto suo.
Aziraphale si volta ancora a guardarlo, gli occhi brillanti di speranza non detta.
A:"Non dico adesso. Ma… lo terrò a mente."
C(mormora, senza guardarlo):"Fallo pure."
Le ruote sollevano un po’ di polvere mentre l’oceano scintilla in lontananza.
Aziraphale osserva il cottage sempre più da vicino.
A(pieno di entusiasmo):"Guarda, guarda! Non è adorabile? Un po’... ruvido, ma con carattere!"
C:"Sì. "Adorabile" è la prima parola che mi viene in mente quando vedo pareti sbrecciate, vetri rotti e una cassetta delle lettere che sembra un rospo impiccato."
A:"Hei, che fine ha fatto la frase queste pareti mi ricordano noi? "
Crowley lo ignora, Aziraphale scende dalla macchina e si avvicina al portico. Prova la maniglia: la porta cigola... ma si apre.
A:"Oh, è aperto! È un segno!"
C:"Sì, il segno che qualcuno ha dimenticato di chiuderla a chiave nel 1974."
INTERNO DEL COTTAGE...
La polvere danza nei raggi di sole che filtrano dalle finestre rotte. È spoglio, ma spazioso. Una cucina antica, un salottino con camino, scale che portano a un piano superiore.
A(strofina le mani, determinato):"Io... io penso che potremmo sistemarlo. Un piccolo miracolo qui e lì... nulla di troppo vistoso."
Crowley gira su sé stesso, osserva con occhio critico. Poi nota una vecchia poltrona sfondata davanti al camino.
C(con un mezzo sorriso):"Sai che ti ci vedo, lì seduto, con una tazza di tè, un libro e due calzini spaiati ma sempre in tartan?"
A:"Davvero?"
C(alza le spalle):"Già. E poi ti vedo farmi spostare tutti i mobili per dodici ore perché "la luce non colpisce bene la copertina"."
A(ridendo):"Solo se è un’edizione rilegata."
Si scambiano uno sguardo.
È pieno di una nuova complicità, tranquilla, costruita nei piccoli atti: nel silenzio condiviso, nella polvere, nel futuro incerto.
C(sottovoce):"Pensavo ci saremmo solo... nascosti un po’."
A(serio):"E invece?"
C:"E invece forse... stiamo trovando qualcosa."
Silenzio.
Poi, lentamente, Crowley toglie gli occhiali.
Aziraphale lo guarda con sorpresa, perché quegli occhi, ora oro vivo, sono rari da vedere così a lungo, così vicini.
A(voce morbida):"Può essere casa, anche solo per un po’. Se lo vogliamo."
C(guardando fuori dalla finestra):"Va bene. Ma niente tendine a fiori."
A(serissimo):"Solo se me lo chiedi con gentilezza."
Scoppiano entrambi a ridere.
Il cottage scricchiola piano, come per approvare.
Fuori, il mare porta le sue onde a toccare la riva.
Lontano da Londra, lontani da tutto.
Comincia una pioggia leggera, Crowley e Aziraphale guardano fuori dalla finestra.
Lontano nubi dense di pioggia si avvicinano.
C:"Qualcosa mi dice che rimarremo qui per un po'."
A:"Bhe, tanto vale...mettersi comodi."
Crowley fa una risatina stupida, come se stesse pensando ad altro con quel 'mettiamoci comodi'.
Il vento soffia forte fuori.
La tempesta è iniziata da poco, il camino arde tiepido.
L'intero cottage sembra avvolto e protetto da un miracolo.
Aziraphale è seduto a leggere con una coperta addosso, Crowley è sdraiato sul divano con le gambe a penzoloni e un bicchiere mezzo pieno.
Silenzio, rotto solo dal ticchettare dell’orologio che Crowley ha miracolosamente accettato di non distruggere, per ora.
Rimangono in silenzio per ore e ore, ma è piacevole non imbarazzante. Poi Aziraphale chiude il suo libro e poggia gli occhiali sul libro.
Guarda Crowley, ha gli occhi chiusi, il bicchiere poggiato vicino, ora vuoto. Le mani dietro la testa. Tranquillo.
A(dopo un lungo silenzio):"Credo sia ora di tornare."
C(occhi chiusi):"Tornare? Dove, di preciso?
A(a bassa voce):"A Londra. Alla libreria. Alla… nostra vita."
Crowley fa un gesto teatrale con le mani indicando l'intero cottage.
C(senza aprire gli occhi):"Pensavo che questa fosse la nostra vita, ultimamente."
A(sospira):"Lo è stata. E lo è ancora. Ma non possiamo restare qui per sempre. Senza contare che questo posto non è neanche nostro, effettivamente."
C(apre un occhio, lo fissa):"No. È vero. Ma possiamo ricordare com'è stato. E sorriderci su."
A:"Ti è piaciuto?"
C(alza un sopracciglio):"Bruciare i vestiti? Sì."
A(serio):"No. Tutto il resto."
Crowley si solleva, siede accanto a lui sul divano. Non risponde subito. Guarda il fuoco crepitare.
C(sincero):"Mi è piaciuto ricordare che possiamo... fuggire. Solo noi due. Mi è piaciuto vedere te... così. Leggero."
A(sorride, timido):"E io ho amato vedere te... lasciarti andare. Per un po’."
Si poggiano la fronte uno contro l'altro, chiudendo gli occhi, mentre le mani sfiorano le spalle e la schiena. È un bellissimo conforto angelico/demoniaco.
C(dopo un sospiro):"Non sarà mai semplice, vero?"
A(scambia uno sguardo con lui):"No. Ma non è mai stato il nostro stile."
C(accenna un sorriso):"Allora torniamo. Londra ci aspetta, con i suoi semafori malfunzionanti, i piccioni arroganti e... l’odore di carta vecchia."
A(ride):"E la mia libreria."
C(scanzonato):"Che invaderò ogni giorno, ricordandoti che il tuo tè fa schifo."
A(con tono affettuoso):"E io ti preparerò comunque una tazza ogni sera."
Si sorridono.
Poi prendono la coperta e si sdraiano di fronte al camino, addormentandosi con il fruscio della pioggia, la luce dei lampi e il rumore dei tuoni
IL GIORNO DOPO...
La Bentley è di nuovo carica, più o meno. Crowley indossa di nuovo i suoi occhiali e Aziraphale ha ancora addosso la maglia nera dei Queen.
Il cielo è chiaro, l’aria salmastra.
Stanno per salire in macchina, ma si voltano un’ultima volta verso il cottage.
Il mare riflette la luce pallida del sole.
C(piano):"Un giorno potremmo tornarci. Quando il mondo ci avrà stancati di nuovo."
A(si stringe nel cappotto):"Un giorno. E magari stavolta portiamo anche del vino decente."
Salgono in auto. Il motore della Bentley romba con complicità.
A(sottovoce):"Grazie."
C(mentre ingrana la marcia):"Per cosa?"
A:"Per avermi seguito, anche quando non era facile."
C(guarda la strada):"Sempre, angelo."
Partono.
Il viaggio e lungo e silenzioso.
La Bentley si allontana tra le strade costiere, con il sole alle spalle e in direzione della loro amata e odiata Londra.
Il viaggio sta per finire.
Ma qualcosa di nuovo è appena cominciato.
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frammenti--di--cuore · 12 days ago
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le persone sane ti spingono, è come se ti dessero uno spintone in avanti e tu potresti pensare "ma guarda che maleducato, che mi spinge in questo modo" e invece non è maleducazione, è voglia di portarti fuori dal punto in cui ti sei bloccato, in cui stai soffrendo e lentamente affondando.
Le persone tossiche ti fanno oscillare, come se fossi un bambino in una culla. Ti tengono fermo, poi ti muovono un po', poi più veloce, sempre più veloce, poi di nuovo fermi. E tu sei lì che ti muovi avanti e indietro, che ti senti male per la nausea che provi.
La differenza è che la spinta ti porta avanti, ti porta fuori, ti porta altrove, la culla ti fa muovere, ti fa oscillare ma resti sempre là, nello stesso identico punto. Ti sembrerà di poter dire "che bello oggi sto bene" solo perché oggi quella culla resta ferma, ma domani ricomincerà nuovamente a toglierti il terreno sotto i piedi e ti sentirai nuovamente in una barca nel mare aperto.
Scegli la maleducazione di chi vuole vederti altrove e felice piuttosto che il finto amore di chi vorrebbe solo tenerti fermo ma accanto a lui/lei, in balia delle onde.
zoe, grazie per la tua maleducazione
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ambrenoir · 8 months ago
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LA LETTERA D'AMORE PIU BELLA CHE IO ABBIA MAI LETTO.
"Cara Francesca,
Spero che questa mia lettera ti trovi bene.
Non so quando la riceverai. Quando io me ne sarò già andato.
Ho sessantacinque anni, ormai, e ne sono passati esattamente tredici dal nostro primo incontro, quando imboccai il vialetto di casa tua in cerca di indicazioni sulla strada.
Spero con tutto me stesso che questo pacchetto non sconvolga in alcun modo la tua vita. Il fatto è che non sopporto di pensare alle mie macchine fotografiche sullo scaffale riservato all’attrezzatura di seconda mano di un negozio o nelle mani di uno sconosciuto. Saranno in pessime condizioni quando le riceverai, ma non ho nessun altro a cui lasciarle e mi scuso del rischio che forse ti costringerò a correre mandandotele.
Dal 1965 al 1975 ho viaggiato quasi ininterrottamente. Nell’intento di allontanarmi almeno parzialmente dalla tentazione di telefonarti o di venire a cercarti, tentazione che da sveglio in pratica non mi lascia mai, ho accettato tutti gli incarichi oltreoceano che sono riuscito a procurarmi. Ci sono stati momenti, molti momenti, in cui mi sono detto: << All’inferno, vado a Winterset e, costi quel che costi, porto Francesca via con me>>.
Ma non ho dimenticato le tue parole, e rispetto i tuoi sentimenti. Forse avevi ragione, non lo so. So però che uscire dal viale di casa tua, in quella arroventata mattinata di agosto, è stata la prova più ardua che abbia mai affrontato e che mai avrò occasione di affrontare. Dubito, in effetti, che molti uomini ne abbiano vissute di più dure.
Ho lasciato il National Geographic, nel 1975 e da allora mi sono dedicato soprattutto a fotografare ciò che piaceva a me, prendendo il lavoro là dove potevo, servizi locali o regionali che non mi impegnavano mai più di pochi giorni.
Finanziariamente è stata dura, ma tiro avanti.
Come ho sempre fatto.
Buona parte del mio lavoro lo svolgo nella zona di Puget Sound. Mi va bene così. Pare che invecchiando gli uomini si rivolgano sempre più spesso all’acqua.
Ah, sì, adesso ho un cane, un golden retriever.
L’ho chiamato Highway, e lo porto quasi sempre con me, quando siamo in viaggio, se ne sta con la testa fuori dal finestrino, in cerca di posti interessanti da fotografare.
Nel 1972 sono caduto da una rupe nell’Acadia National Park, nel Maine, e mi sono fratturato una caviglia.
Nella caduta ho perso la catena e la medaglia, ma fortunatamente non erano finite lontano. Le ho recuperate e un gioielliere ha provveduto ad aggiustare la catena.
Vivo con il cuore impolverato, Meglio di così non saprei metterla. C’erano state delle donne prima di te, qualcuna, ma nessuna dopo. Non mi sono votato deliberatamente alla castità: è solo che non provo alcun interesse.
Una volta ho avuto modo di osservare il comportamento di un’oca canadese la cui compagna era stata uccisa dai cacciatori. Si uniscono per la vita, sai. Dopo l’episodio, ha continuato ad aggirarsi intorno allo stagno per qualche giorno. L’ultima volta che l’ho vista, nuotava tutta sola tra il riso selvatico, ancora alla ricerca. Immagino che da un punto di vista letterario la mia analogia sia troppo scontata, ma è più o meno così che mi sento anch’io.
Con la fantasia, nelle mattine caliginose o nei pomeriggi in cui il sole riflette sull’acqua a nord-ovest, cerco di immaginare dove sei e che cosa stai facendo.
Niente di complicato…ti vedo in giardino, seduta sulla veranda, in piedi davanti al lavello della cucina. Cose così.
Ricordo tutti. Il tuo profumo e il tuo sapore, che erano come l’estate stessa. La tua pelle contro la mia, e il suono dei tuoi bisbigli mentre ti amavo.
Robert Penn Warren scrisse: << Un mondo che sembra abbandonato da Dio >>. Non male, molto vicino a quello che provo per te certe volte. Ma non posso vivere sempre coì. Quando la tensione diventa eccessiva, carico Harry e, in compagnia di Highway, ritorno sulla strada per qualche giorno.
Commiserarmi non mi piace. Non è nella mia natura. E in genere non me la passo poi tanto male.
Al contrario, sono felice di averti almeno incontrata.
Avremmo potuto sfiorarci come due frammenti di polvere cosmica, senza sapere mai nella l’uno dell’altra.
Dio o l’universo o qualunque altro nome si scelga di dare ai grandi sistemi di ordini ed equilibri, non riconosce il tempo terrestre. Per l’universo, quattro giorni non sono diversi da quattro miliardi di anni luce. Per quanto mi riguarda, cerco di tenerlo sempre a mente.
Ma, dopo tutto, sono un uomo.
E tutte le considerazioni filosofiche non bastano a impedirmi di desiderarti, ogni giorno, ogni momento, con la testa piena dello spietato gemito del tempo, del tempo che non potrò mai vivere con te.
Ti amo, di un amore profondo e totale. E così sarà sempre."
“I ponti di Madison County”, R.J.Waller
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paperometria · 10 months ago
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Come primo mese da padre, al di là delle battute che ogni tanto pubblico qui, è stato abbastanza duro.
Non che io le rimproveri nulla, ci mancherebbe. Come biasimare una persona che, dalla sera alla mattina, si ritrova un povero stronzo nella propria vita, senza aver avuto la possibilità di poter dire la sua, ed essere anche costretta suo malgrado a doverla accettare, quando nulla era dovuto a nessuno, solo perché le è andata di sfiga (certo, c'è di peggio, ma sempre di sfiga si tratta, è andata molto meglio al gatto di Ilaria, per capirci). Razionalmente l'ho sempre accettato, ma una cosa è dirla, una cosa è viverla, e io l'ho vissuta male, molto male, il suo tenermi a distanza, il suo volermi evitare a tutti i costi, quasi come a dire "so che devi essere il mio papà perché l'ha detto un burocrate qualsiasi, ma almeno non mi rompere il cazzo", e diciamo che così ho fatto, pieno di rabbia e delusione ci siam divisi, vivevamo come due studenti universitari che condividono una casa, ognuno per conto suo, e così è stato per giorni, non ci ho dormito per diverse notti, e non riuscivo a trovare una soluzione, nonostante ci provassi in tutti i modi, una via per comunicare, un modo per trovarsi, quelle robe di cui tutti sembrano capire tanto qui sopra e poi a nessuno funziona. Esausto e avvilito, mi sono arreso e ho fatto finta come se non esistesse più, se non nei miei stretti doveri, perché rompere le scatole mai, a nessuno.
Poi, non so bene cosa sia successo, un giorno si è svegliata e mi ha detto ti voglio bene, così, di botto, lasciandomi come un cretino. E non perché le servisse qualcosa o avesse un po' di melassa da smaltire, era sincera, si sentiva dal suo abbraccio. E da allora sembra come se stessimo insieme da sempre, la mia scrivania è piena di disegni che mi dedica, mi tira via dai meeting, ci tiene a dire davanti a tutti che passare il tempo con me è tutta un'altra cosa, e che vi devo dire, io ho ritrovato il sorriso, il sonno e la gioia di vivere. Non saprò mai perché, e non lo voglio manco sapere.
Personalmente sono contrario a mostrare foto che non sono mie, quindi qui non ci sarà mai, e pur se volessi legalmente parlando non potrei. Questi racconti sono le mie foto con lei, perché chissà, se non schiattiamo tutti forse riuscirà a leggerle queste parole un domani, e ci faremo insieme una bella risata e un bel pianto su.
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anchesetuttinoino · 9 months ago
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Il vizio della parola
Il vizio della parola
Il divieto per le donne di usare la voce in pubblico nell’Afghanistan dei talebani. E noi ammutoliti da un diluvio di neologismi assurdi (vedi alla voce “maranza” o ���sunshine guilt”)
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Se togli loro la parola, scompariranno. I talebani hanno recentemente emanato una serie di leggi inerenti la propagazione della virtù e la prevenzione del vizio. Già questo proietta lo sguardo su un mondo che appartiene a una galassia lontanissima. E quando mai dalle nostre parti si parla più di vizi e virtù? In ambito legislativo, oltretutto.
In ogni caso, queste leggi sono state approvate dal leader supremo dei talebani, Hibatullah Akhundzada, e tra i provvedimenti ne spicca uno: «La voce di una donna è considerata intima e quindi non dovrebbe essere ascoltata mentre canta, recita o legge ad alta voce in pubblico». Per promuovere la virtù e scacciare il vizio, le donne non potranno esprimersi a voce alta nei contesti pubblici. Le imbavagliano, anzi le ammutoliscono, ma per il loro bene s’intende.
La scena è agghiacciante, ci costringe a una doccia terribilmente fredda. I talebani hanno chiaro chi sia una donna, a differenza della nostra situazione un po’ più aperta, cioè confusa. Abbiamo trascorso l’estate – ma è stata la ciliegina su una torta sfornata da tempo – a interrogarci su livelli di testosterone, Dna, intenzioni d’anima. Magari, al prossimo caso mediatico, potrebbe essere utile cambiare sfondo e ambientare tutti i nostri dubbi per le vie di Kabul e «vedere l’effetto che fa».
Se dai loro in pasto tantissime parole, scompariranno. Aggiungere vocaboli non è per forza segno di progresso, si può diventare muti per eccesso terminologico. L’aggiornamento dello Zingarelli per il 2025 prevede che il dizionario si arricchisca di nuovi termini, “maranza” e – udite udite – “gieffino” si conquistano un posto nell’Olimpo delle parole validate da definizione. Ma questo è solo un ritocco brutalmente onesto al nostro ritratto umano.
Il crimine terminologico è altrove, là dove spuntano espressioni che ci ritroviamo sotto gli occhi scrollando le notizie. “Coolcation” è la tendenza in crescita per trovare mete di viaggio al fresco. “Workation” è la scelta di lavorare da remoto scegliendo luoghi che offrano svago e servizi per il tempo libero. Una medaglia d’oro per l’assurdo spetta all’espressione “sunshine guilt”, il senso di colpa per aver sprecato una giornata di sole.
C’è, nel nostro intimo, un ribollimento senza nome. Sono scampoli di paura mescolati a slanci di affetto, pulsioni cattive e lacrime struggenti. È questa fucina scabrosa, feconda e indicibile che alimenta la libertà nel tumulto di gesti, scelte, responsabilità. Sono poche, devono essere poche e vertiginose, le parole a cui ricondurre il senso del nostro travaglio. Sillabe scottanti come “amore” o “invidia”. Frantumare il quadro in un mucchio di nuovi pezzettini lo riduce a un puzzle che resta scombinato.
Finiamo per scomparire ed essere muti se l’impegno di affrontare la novità di ogni nuova alba – l’ignavia che fa a pugni con la rabbia, i desideri che bevono sorsi di fiducia – viene sgonfiato dalla bugia che tutto affondi in un senso di colpa per il timore di perdere un giorno di sole.
via tempi.it
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angelap3 · 3 months ago
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La città vecchia
Nei quartieri dove il sole del buon Dio non da i suoi raggi
Ha già troppi impegni per scaldar la gente d'altri paraggi
Una bimba canta la canzone antica della donnaccia
Quel che ancor non sai tu lo imparerai solo qui fra le mie braccia
E se alla sua età le difetterà la competenza
Presto affinerà le capacità con l'esperienza
Dove sono andati i tempi d'una volta, per Giunone
Quando ci voleva per fare il mestiere anche un po' di vocazione?
Una gamba qua, una gamba là, gonfi di vino
Quattro pensionati mezzo avvelenati al tavolino
Li troverai là col tempo che fa estate inverno
A stratracannare a strameledir le donne il tempo ed il governo
Loro cercan là la felicità dentro a un bicchiere
Per dimenticare d'esser stati presi per il sedere
Ci sarà allegria anche in agonia col vino forte
Porteran sul viso l'ombra di un sorriso fra le braccia della morte
Vecchio professore cosa vai cercando in quel portone?
Forse quella che sola ti può dare una lezione
Quella che di giorno chiami con disprezzo "pubblica moglie"
Quella che di notte stabilisce il prezzo alle tue voglie
Tu la cercherai tu la invocherai più d'una notte
Ti alzerai disfatto rimandando tutto al ventisette
Quando incasserai delapiderai mezza pensione
Diecimila lire per sentirti dire: "micio bello e bamboccione"
Se ti inoltrerai lungo le calate dei vecchi moli
In quell'aria spessa carica di sale gonfia di odori
Lì ci troverai i ladri gli assassini e il tipo strano
Quello che ha venduto per tremila lire sua madre a un nano
Se tu penserai e giudicherai sa buon borghese
Li condannerai a cinquemila anni più le spese
Ma se capirai se li cercherai fino in fondo
Se non sono gigli son pur sempre figli vittime di questo mondo
(Faber)
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i-am-a-polpetta · 4 months ago
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piccola riflessione personale post adrenalina manco mi fossi fatta di cocaina, in attesa che lo xanax mi annienti. Olly non è un cattivo ragazzo diciamo che da quando aveva 16 anni che faceva parte della gang dell'underground genovese (quella da cui viene pure Alfa per capirci) è cresciuto tanto e le sue produzioni sono diventate più bella da quando ha iniziato a collaborare con Yanomi. È un po' il tananai della situazione, passato dal 26esimo posto del 2023 al primo del 2025. nel complesso questo festival è stato moooolto lento, difficile, facilmente dimenticabile, se non fosse stato per un Lucio Corsi, che quando a dicembre Conti l'ha annunciato come partecipante tutti mi hanno domandato "ma chi minchia è questo?". Lucio è nella scene indipendente da tanto tempo, è sempre stato un patatino e l'ho conosciuto per caso ascoltando radio zeta alla tv che quel giorno d'estate del 2020, quando ero depressa, triste, con la testa spaccata a metà e non facevo altro che piangere, lui era là, alla tele, vestito di bianco con anche la faccia bianca che suonava un pianoforte bianco in una stanza bianca. Lucio ci siamo intravisti una volta, ma sei parte del mio cuore per esserci stato in quel momento in cui ero distrutta e per esserci ancora adesso, adesso che ti conoscono tutti. Sei quanto di più bello, assieme a Brunori, che io ricorderò di questo Festival con il tuo duetto con topo gigio che mi ha ricordato tanto la mia nonna ♥️
tu sei il mattino, una porta su marte e come mi hai detto quel giorno del 2020 guardandoti alla tele: da quel giorno nei palazzi di trieste, vive gente convinta che il vento no, non era un freno ma una spinta ❤️‍🩹
bravo Olly, bravo Lucio, bravo Dario. Non siete stati scontati e sarete i miei 3 buoni motivi per ricordare anche quest'anno ♥️
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raffaeleitlodeo · 7 months ago
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Discorso tenuto da Daniele Leppe davanti al papa nella Basilica San Giovanni in Laterano, in data 25 ottobre 2024.
Ringrazio Sua Santità e ringrazio il Vicariato di Roma per questa opportunità unica. Nel ringraziarLa Le rappresento una realtà invisibile, quella di una trincea dove anche Dio ha abbandonato tutti.
Credo di essere la persona meno adatta a raccontare il disagio che vivono le nostre periferie.
Nella vita di tutti i giorni faccio l’avvocato. Sono nato in un quartiere popolare di Roma, figlio di un impiegato e di una casalinga, una famiglia semplice che mi ha dato la possibilità, con molto sacrificio, di studiare. Per questo ho deciso di restituire ai quartieri dove sono nato e cresciuto un po’ della fortuna che ho avuto. Ho messo a disposizione la mia professionalità per aiutare le persone più semplici, gli ultimi quei dannati che non sanno di esserlo, gli abitanti dei quartieri popolari di questa città, troppo spesso dimenticati, che troppo spesso tornano ad essere cittadini come gli altri solo in occasione delle campagne elettorali.
Al di fuori della mia attività lavorativa, esercito il mio volontariato professionale in due quartieri difficili di Roma: Tor bella monaca e il Quarticciolo.
Il primo, nato nei primi anni ‘80, rappresenta l’ultimo intervento di edilizia pubblica fatto nella capitale, che doveva essere un quartiere modello e che, invece, è diventato il terzo carcere a cielo aperto della capitale: ci vivono ben 800 persone agli arresti domiciliari.
Il secondo, il Quarticciolo, anch’esso ultimo quartiere popolare edificato, ma questa volta durante il fascismo, negli anni 40, che è rimasto tale e quale a 80 anni fa.
A Tor bella monaca collaboro con l’associazione Tor Più Bella di Tiziana Ronzio; una donna che da sola combatte una lotta senza sconti, e per questo paga lo scotto dell’isolamento umano, contro gli spacciatori, che dispensano la vita e la morte in quel quartiere. Tiziana è riuscita, da sola, a liberare dal controllo della criminalità organizzata il suo palazzo, in via santa Rita da Cascia, con un effetto domino su tutto il comprensorio di case che costeggiano la via.
Ha lottato per i suoi figli e per le persone che vivono nel suo palazzo, e per questo paga un prezzo altissimo.
Vive sotto scorta ogni ora della sua giornata perché la sua vita è in pericolo. Non può uscire da sola nel quartiere. Riceve continue minacce da parte della criminalità organizzata mentre le Istituzioni non riescono ad andare al di là di una solidarietà formale.
Non sappiamo nemmeno quante persone abitino in quel quartiere.
Le statistiche parlano di 28000 persone, ma poiché molti degli immobili pubblici sono occupati, i dati non corrispondono alla situazione reale. Nel quartiere ci sono 14 piazze di spaccio. Gli spacciatori, il primo datore di lavoro del quartiere, pagano le vedette, i pusher; le famiglie che nascondono la droga nel proprio appartamento, corrompono l’anima dei giovani e privano le persone di un futuro dignitoso.
C’è una presenza altissima di ragazze madri con figli nati da relazioni diverse, con mariti ristretti in carcere. Di anziani disabili. Di povertà, educativa e alimentare. Accanto a un tessuto sociale straordinario colpisce, nell’anno giubilare, l’assenza delle Istituzioni, che intervengono nel quartiere solo come forza repressiva e per questo sono viste come nemiche, incapaci di comprendere il disagio e le difficoltà di chi vive nella povertà.
Sembra di assistere ad una sorta di tacito patto sociale in questa città.
Nei quartieri poveri della capitale viene lasciata vita facile alla criminalità organizzata più invadente, per consentire agli abitanti della Roma bene di vivere in tranquillità.
La mia attività, in realtà, non è tanto giuridica: il più delle volte mi occupo di collegare i fili immaginari fra i poveri diseredati e le Istituzioni, per risolvere problemi che altrove sarebbero semplici, ma che in condizioni di povertà diventano insormontabili.
Le condizioni di degrado umano, abiezione, povertà, sono indicibili.
Donne che vendono il proprio corpo per comprare la droga, genitori in mano ad usurai per pagare i debiti contratti dai figli, bambini che crescono con i nonni, famiglie distrutte dalla droga e dalla povertà.
Quattro mesi fa ho partecipato ad una messa tenutasi in ricordo di un bimbo morto nel quartiere a causa dei ritardi nei soccorsi provocati dalla rottura di un ascensore e di una ragazza morta investita lungo via di Torbellamonaca.
La messa si teneva di domenica mattina, dietro la famigerata R5, un complesso popolare situato in via dell’Archeologia attualmente in ristrutturazione. Per entrare nel complesso ho contato 4 ingressi. Ognuno di questi ingressi era presidiato da spacciatori che, come in una sorta di confine immaginario, segnano l’ingresso fra il dentro e il fuori. Questo accadeva in pieno giorno, senza alcun imbarazzo, a pochi chilometri da qui.
Quando iniziai a lavorare nel quartiere ho conosciuto una donna che viveva prigioniera degli spacciatori. Il figlio aveva contratto un debito con uno di essi. Non riuscendo a pagarlo, è fuggito. Alla madre hanno bruciato l’attività imprenditoriale per vendetta. Non sa dove è andato a vivere il figlio e non vuole saperlo. Lo fa per proteggerlo. Lo sente solo con telefoni usa e getta. Lei continua a vivere nello stesso quartiere dove è cresciuto il figlio e dove riceve le minacce dei criminali per il debito contratto del figlio. Sembra un altro mondo. Siamo a 10 km da San Giovanni. Non sembra di essere in un paese ricco, in una democrazia liberale.
Il Quarticciolo, invece, è l’esempio dell’abbandono pubblico - né più né meno come Tor bella monaca - e della capacità delle persone di reagire, costruendo una speranza concreta per i più poveri.
Li collaboro con un’associazione; Quarticciolo ribelle, composta da ragazzi e ragazze che, finita l’università, hanno deciso di andare a vivere in quel quartiere, cui si dedicano giorno e notte.
Anche il Quarticciolo è una nota piazza di spaccio di Roma.
Come tutti i quartieri di edilizia popolare, la povertà economica e sociale e l’abbandono del patrimonio pubblico da parte delle Istituzioni costituiscono l’humus ideale per la proliferazione della criminalità.
In quel quartiere gli spacciatori smerciano la loro roba seduti su comode sedie agli angoli delle strade, in particolare vendono crack, che trasforma i ragazzi che ne fanno uso, in zombie che girano come morti per il quartiere. È un quartiere dove la polizia di Roma capitale ha paura ad entrare e ha bisogno di un parcheggio privato per i propri poliziotti per evitare che le macchine siano vandalizzate, dove gli spacciatori minacciano gli operai delle ditte dell’Ater in occasione dei interventi per la manutenzione degli stabili, e tanto altro ancora.
I ragazzi di Quarticciolo Ribelle costruiscono, invece, giorno per giorno, un’alternativa possibile, con il loro esempio e con le loro attività.
Nel quartiere hanno realizzato una palestra popolare dove i bambini e le bambine sono seguiti, direi accuditi, e tenuti fuori da ambienti malsani.
I familiari i che non possono permetterselo, non pagano rette. Questi ragazzi, che come detto si sono soprannominati Quarticciolo Ribelle, hanno organizzato il doposcuola per i bambini.
Hanno creato, nel deserto, un ambulatorio sociale che interviene laddove lo Stato arretra.
Cercano di creare lavori, fornendo un’alternativa concreta, con un birrificio, una stamperia.
Come dicono loro, dove tutto chiude, noi apriamo.
Supportano le famiglie nei colloqui con i servizi sociali e nei colloqui scolastici.
Collaborano con l’università nell’immaginare un possibile alternativa.
Coprono buchi.
Danno ovviamente fastidio. Innanzitutto alla criminalità, che prospera laddove è maggiore il bisogno. Ma anche alle Istituzioni. Sono sentinelle attive che denunciano, senza sconti, le loro mancanze, le loro lacune.
Raccontano di come i prezzi delle case, sempre più insostenibili, allontano i poveri dalla loro città, trasformata in una Disneyland per ricchi e turisti.
Collaboro con associazioni scomode con problematiche insostenibili.
Perché la povertà e l’abbandono sono scomode.
È più facile costruire una cancellata, un recinto, un ghetto, per occultare la realtà che dare risposte concrete ai bisogni dei poveri.
Con tristezza infinita sono costretto a constatare che gran parte degli interventi pubblici delle Istituzioni per onorare il giubileo, nato anche per la promozione della dignità di ogni persona e per il rispetto del creato, non siano stati investiti e utilizzati per dare dignità agli abitanti più sfortunati della nostra città ma per rendere più comodi, belli e sicuri i quartieri bene della Città Santa che santa non può essere se non apre gli occhi sulle povertà diffuse che la popolano.
#roma
#giubileo
#periferie
#realtà_vs_belleparole
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fallendemon6000 · 4 days ago
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GOOD OMENS - STAGIONE 4
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Episodio 8 - La Scelta Dell'Angelo
A:"Bruciamoli."
Crowley guarda Aziraphale, sbalordito.
Non crede di aver capito a fondo.
C:"Ripetilo."
A:"Bruciamo i miei vestiti."
C:"Aziraphale, stai scherzando?"
A:"No, affatto. Sono serissimo. Ma lontano da qui però. Non voglio turbare la quiete di questo posto."
Si rimettono in macchina e partono, di nuovo. Vanno in cerca di qualcosa di più desolato, qualcosa che sia perfetto per quel tipo di evento.
Aziraphale guarda il paesaggio davanti a sé e poi ha una illuminazione.
Il posto giusto.
Perfetto.
Una vecchia cappella abbandonata.
A:"Crowley, là. Laggiù"
C:"Ma è una chiesa, Aziraphale."
A:"Lo so, lo vedo. Non capisco."
Crowley lo guarda accigliato e poi fa un gesto indicando tutto se stesso.
C:"Demone, ricordi?"
Aziraphale ancora non comprende. Crowley glielo mima con gesti e parole.
C:"Demone. Chiesa. Uguale. Discorporazione immediata."
Aziraphale gli mette giù le mani. E sorride
A:"È sconsacrata. Niente paura."
Il cielo è limpido sopra di loro e la luna piena illumina l’asfalto incrinato.
La Bentley è parcheggiata lì, con il bagagliaio semiaperto. Aziraphale si spoglia dei suoi abiti angelici, rimane in canottiera bianca e calzoni in tartan beige. Crowley lo guarda, appoggiato a un fanale, mentre si toglie i suoi indumenti e li piega con accurata precisione.
C:"Sotto allo scomparto."
A:"Come?"
C:"Guarda sotto allo scomparto, quello con il gancio rovinato."
Quando Aziraphale alza lo sportello dello scomparto indicato da Crowley, dentro trova una maglia nera dei Queen e dei pantaloni un po' troppo larghi per la costituzione fisica del demone.
A:"Questi sono tuoi?'
C:"Mi sembra evidente."
A:"Capisco la maglia, tu ami i Queen. Ma questi pantaloni...non sembrano il tuo stile."
C:"Guarda che anche a me piace indossare abbigliamento comodo qualche volta. Non sono sempre tutto pantaloni stretti e gilet in pelle come pensi tu."
Aziraphale guarda Crowley e poi guarda i vestiti.
A:"Grazie, Crowley."
Crowley sparisce poco dopo sul retro della cappella.
Una volta cambiato, Aziraphale guarda quei vestiti, i suoi abiti celestiali, perfettamente stirati, quasi immacolati, come se non li avesse mai usati. Li prende e sospira.
Una volta tra le mani li porta sul retro dove Crowley ha messo su un cerchio di pietre con bastoni pronti per prendere fuoco.
Aziraphale arriva in modo solenne, come se stesse organizzando una veglia funebre.
Crowley lo osserva.
Braccia conserte pronto a incendiare al solo cenno dell'angelo.
C:"Sicuro di volerlo fare?"
A:"Accendi."
Crowley arde il legno con del Fuoco Infernale, caldo e rovente.
Aziraphale ammira le fiamme per un attimo, poi guarda i suoi abiti, li osserva.
Li stringe.
Insieme a Crowley lasciano cadere il primo strato di stoffa tra le fiamme. Poi il secondo.
Il tessuto prende fuoco lentamente.
Un odore acre si solleva, ma viene portato via dal vento.
Restano lì.
In piedi, uno accanto all'altro, le mani che si cercano e si trovano. Il silenzio è denso, sacro. Le scintille salgono come piccole anime leggere verso il cielo.
Aziraphale guarda quelle braci danzare, e all’improvviso si sente libero.
Crowley rompe il silenzio.
C:"Sai se bruciassi anch'io ogni abito che puzza di Paradiso o Inferno, sarei nudo da millenni."
Aziraphale scoppia a ridere. Ma non è la sua risata contenuta, educata.
È una risata piena, che scuote le spalle, che lo piega quasi in due. È una risata vera. Crowley lo guarda, sorpreso.
E piano, sorride anche lui. Gli occhi non sono più solo stanchi: sono vivi.
Aziraphale, ancora con un mezzo sorriso sulle labbra, si gira verso di lui. Lo abbraccia. Forte. Senza esitazione. Crowley ricambia, stringendolo con un braccio alla vita, l’altro sulla nuca, tra i riccioli biondi che ora profumano di fumo e libertà.
C:"Adesso si che odori di buono."
Aziraphale ride.
Restano così, abbracciati davanti al fuoco che lentamente si spegne.
Le ceneri si sollevano in volo come promesse spezzate che non fanno più male.
A:"Grazie per avermi aspettato."
C:"Stavolta, almeno, non ci metterai millenni."
Il fuoco si fa più basso.
I lembi di tessuto sono ormai diventati carbone fragile.
Ogni piega, ogni cucitura scompare in cenere.
Crowley e Aziraphale restano immobili, fianco a fianco, come statue di carne e anima.
Il vento si alza piano, sollevando le prime scie leggere di grigio. Le ceneri si staccano dal cerchio di pietre e danzano nell’aria notturna, salendo verso il cielo o fuggendo nell’erba alta.
È come se anche il passato stesse trovando finalmente un modo per andarsene.
Aziraphale le guarda dissolversi con occhi lucidi ma sereni. Crowley non dice nulla, ma tiene la sua mano salda nella sua, come se quella stretta fosse una promessa.
O un nuovo inizio.
A:"Non credevo… che bruciare qualcosa potesse essere così… soddisfacente"
C:"È che stavolta, stai lasciando andare da solo. Non te lo sta chiedendo nessuno. Né Paradiso. Né Inferno. Nemmeno io. Lo stai facendo da solo per la prima volta. Stai decidendo tu. Stai scegliendo."
Aziraphale gli lancia uno sguardo grato. Le ultime braci si afflosciano nel cerchio, ormai spente. Solo la luna rimane a illuminare il silenzio.
Il vento porta via anche le ultime tracce.
Nessuna cenere resta a terra.
C:"Addio, nauseabonda purezza."
Aziraphale ride di nuovo, ma questa volta è solo un respiro.
Puro sollievo.
Si gira verso Crowley, gli si avvicina.
Si abbracciano ancora, stavolta in silenzio.
E non serve altro.
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orotrasparente · 6 months ago
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sinceramente a volte mi sento tipo un animale randagio, sto sempre lì sul chi va là, anche quando le persone mi fanno intendere che gli fa piacere la mia presenza non riesco a scoprirmi emotivamente, mi blocco e la maggior parte delle volte mi sento comunque di troppo, quindi sto lì, scherzo perché non so fare altro ma dentro di me mi sento costantemente a disagio e poi dopo un po’ di tempo mi allontano e ricomincio daccapo con nuove persone
sono tre in croce le uniche persone che sono riuscite a farmi restare perché poi ci metto un sacco di tempo, ma quando riesco a sbloccarmi e decido di volerti nella mia vita non ti lascio più
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dinonfissatoaffetto · 1 year ago
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Un po’ più in là della tua solitudine, c'è la persona che ami.
- Dino Buzzati
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ah-un-due-tre-stella · 10 days ago
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Confesso che mi è difficile pubblicare questo post perché mentre ci lavoravo è venuto a mancare mio padre e riprenderne le redini in mano è stato come pungersi con le spine di un cespuglio di rose. Per un paio di minuti ho persino contemplato l'idea di eliminarlo, ma non mi piace farmi bloccare da questo genere di meccanismi mentali per cui eccoci qui.
Ci tengo in primo luogo a specificare che il personaggio di Kagura (la quale, come potrete intuire dalle immagini di presentazione, sarà co-protagonista del post) non appartiene allo spazio di questa pagina per una semplice ragione economica, perché infilare una quinta figura qui dentro rischierebbe di far perdere di vista la rotta della pagina stessa, senza contare poi il lavoro in più che ciò implicherebbe, ma sia chiaro che per me tanto lei quanto Kohaku sono "parte della famiglia", diciamo pure "membri onorari", perché un pezzo significativo di strada con la Sessgang lo hanno condiviso, nel bene e nel male, di conseguenza non è escluso che qualche volta possano anche saltare fuori nei miei post.
Dunque. Qui, oggi, mi andava di raccontare un po' cosa c'entra Kagura con Sesshōmaru.
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Fotogramma dalla opening 6, Angelus, di Hitomi Shimatani
È importante? Non è importante? Quanto è importante? Kagura ama Sesshōmaru? Sesshōmaru ama Kagura? Domande, domande, domande.
Lasciando fuori la mia idea post-canon per cui Kagura anni dopo la conclusione dei fatti di Inuyasha acquisisce un nuovo corpo e ha una relazione tira-e-molla con Sesshōmaru che porta entrambi a dover rinegoziare i termini della loro indipendenza in un processo decisamente NON indolore che li porta spesso a cozzare violentemente l'uno contro l'altra come due lame in un duello, ecco, tolto ciò, vediamo invece di capire con cosa abbiamo a che fare quando camminiamo entro l'area di ciò che è canon.
Partiamo subito con uno spoiler: sì, Kagura è un tassello importante per il personaggio di Sesshōmaru. Non perché condividano una grande storia d'amore o che so io, ma questo non vuole dire un bel niente. L'amore romantico non è l'unica forza al mondo in grado di smuovere le persone, quindi ribadisco: sì, Kagura è importante. Troverete migliaia di persone, alcune in buona fede altre molto meno, che vi diranno il contrario ma il manga e l'anime sono esplicitamente chiari su questo punto.
Manga, capitolo 409. Anime, episodio 170 (03x07). Una persona chiave, Tōtōsai, che arriva come suo solito non annunciato rispondendo al richiamo di una inquieta Tenseiga. Cosa ci fa il vecchio fabbro lì? Cosa è accaduto?
È una faccenda strana e complicata. Faccenda strana e complicata che porta Tōtōsai ad affermare queste esatte parole: "A quanto pare nel tuo cuore è nato ciò che un tempo mancava", ossia "aver imparato a provare rabbia e tristezza per qualcun altro".
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Questo "qualcun altro" di cui si parla chi sarà mai? Kagura. No, veramente? Kagura? Sì, Kagura, Kagura.
Detto per inciso: se guardando l'anime questo pezzo l'avete mezzo dimenticato, be', confesso che non mi sento di biasimarvi, l'episodio è piuttosto mal bilanciato per cui tenderete più a ricordarlo come "quella volta che Shippō ha dovuto superare degli esami di magia" che non per altro.
E invece c'è dell'altro, accidenti, eccome se c'è. Perché l'ultima volta che Sesshōmaru ha subito un mutamento di questa portata, un mutamento DAVVERO significativo, di tipo radicale, è stato per la precisione 279 capitoli fa (135 episodi fa), quando il suo cuore è stato toccato per la prima volta. Un moto dell'animo nuovo e vago, ancora informe, sufficiente però a far sì che il suo spirito fosse allineato con Tenseiga e i suoi occhi atti finalmente a cogliere l'invisibile linea che separa il piano dei vivi da quello dei morti.
E allora? Com'è la storia? Non era già cambiato Sesshōmaru? Sì e no. Il fatto è che il cambiamento è divenire, non essere, è un processo, non un punto d'arrivo. E quasi mai è dettato da un unico fattore o un'unica persona.
Rin dà il là. È l'innesco. Su questo non vi è alcun dubbio possibile. Rin è e resta fondamentale, ma non è tutto. Se tutto si riducesse a Rin sola in realtà il rapporto tra lei e Sesshōmaru forse non sarebbe neanche questo qualcosa di così bello e commovente. Le cose che si possono ricondurre a uno schema semplice, vi dico la verità, non mi sono molto simpatiche.
Invece il fatto che il percorso di Sesshōmaru sia il risultato di una trama fitta e intricata e complessa, in cui più elementi si scontrano e si incontrano, in cui Rin gioca un ruolo che è centrale pur restando al contempo una figura "defilata", "periferica", è esattamente ciò che fa di lui un personaggio così ricco, vivido, mai noioso. Ed è proprio grazie a questa struttura complessa in cui va a inserirsi che il suo legame con la bambina ci appare così autentico, reale. Senza questa struttura Rin e Sesshōmaru sarebbero semplicemente una cosuccia carina sì ma del tutto priva di profondità, di tridimensionalità.
E Kagura? Quando e come entra in gioco?
Sostanzialmente Kagura è come una falena che non può fare a meno di lasciarsi attrarre da una fonte di luce, per quanto artificiale. Anche a costo di sbatterci contro. Con Sesshōmaru per lei va così. Inizia col cercarlo per il proprio tornaconto per poi ritrovarsi probabilmente a realizzare che lui è l'unica persona disposta a tollerarla e che viceversa Sesshōmaru è una delle poche persone che a lei non dispiacciano. Insomma, a un certo punto si trovano ad essere dei mezzi alleati che hanno concordato tacitamente un patto reciproco di non aggressione. Sesshōmaru ottiene in questo modo informazioni preziose. Kagura ottiene... Eh già, cosa ottiene Kagura? Un bel niente. O be', proprio niente non direi, perché conquistarsi il privilegio di poter dire in faccia a Sesshōmaru cosa pensi di lui senza subire ritorsioni è più di quanto sia riuscito a molti. Sono pur sempre soddisfazioni, no?, e Kagura è una ragazza che sa divertirsi con poco.
I problemi sorgono quando Kagura inizia a provare qualcosa di più. Chi glielo fa fare a ronzare intorno a Sesshōmaru quando lui non le mostra alcun interesse, di tipo romantico e/o sessuale meno che mai? Ti fai solo spezzare il cuore così. Eh... È triste a dirsi ma è che un mezzo alleato è comunque meglio di nessun alleato. È che la falena continuerà sempre ad essere attratta dalla luce. È che (permettetemi di essere un pochino smielata) forse quando non hai un cuore non puoi fare a meno di cercare il posto in cui il tuo cuore vorrebbe stare. Quando non sei integro, quando sei prigioniero, cerchi un modello di integrità e libertà a cui guardare.
Non che Sesshōmaru da parte sua sia davvero libero, l'abbiamo già sottolineato in passato, ma la gabbia di Sesshōmaru è di un tipo molto diverso, è una gabbia mentale forgiata dalla sua stessa testardaggine, dal suo stesso orgoglio.
Ma allora come fa un tizio così superbo e regale a tollerare una tizia dai modi così rozzi? Riceve informazioni gratis, okay, ma a ben vedere la pazienza che richiede la gestione delle trattative con Kagura è già un costo in sé per un essere così poco incline a concedere il proprio tempo ad altri. Tanto per dire, la pazienza che ha con lei non la riserva ad esempio a Tōtōsai che ha anche lui il fastidioso vizio di trattare il daiyōkai con troppa famigliarità. È vero però che Kagura, a differenza di Tōtōsai, non ha il potere di toccare corde che tocchino Sesshōmaru davvero nel vivo. Non finché lei è in vita perlomeno.
Le cose cambiano completamente DOPO. Nello specifico nei capitoli 406-407 del manga (=/= episodio 169 dell'anime). Vale a dire quando Sesshōmaru, che fino a un secondo prima non era riuscito a fare un graffio al suo avversario, Mōryōmaru, lo manda a gambe all'aria dopo che quest'ultimo ha avuto l'ardire di insultare la memoria di Kagura con parole vili.
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Quando Sesshōmaru sacrifica la sua stessa spada Tōkijin in presenza di Jaken e della Inugang che restano a contemplare la scena attoniti.
Ora. Capiamoci bene. Non è che Sesshōmaru non agisca mai d'impulso e per rabbia. Nei suoi scontri passati con Inuyasha è avvenuto spesso che perdesse la sua proverbiale tempra, accecato dal rancore e dall'invidia. Ma il carattere di eccezionalità qui è dato neanche tanto dall'entità della sua furia quanto dalle motivazioni che vi stanno dietro. Dal fatto che questa volta Sesshōmaru non è mosso dal proprio egoismo, tutto il contrario, è mosso da quella che potremmo chiamare a buon diritto "ira divina". È l'ira dei giusti. Di chi odia la viltà. Sesshōmaru che normalmente è un osservatore silenzioso, un giudice che tiene il proprio verdetto per sé, si erge in questo capitolo come un giudice implacabile. Un giustiziere forse più ancora che un giudice, ma nella lingua di Sesshōmaru probabilmente non c'è differenza tra i due termini. Se c'è da far giustizia è la spada a decidere.
Però c'è qualcosa che non va, è incontestabile. Perché questo a ben vedere è il ruolo di Inuyasha, non di Sesshōmaru. Vendicare le offese recate ad altri è un modo di operare totalmente non da Sesshōmaru.
C'è stato un tempo, è vero, in cui anche a Inuyasha come a suo fratello non piaceva immischiarsi nelle faccende altrui, ma le sue ragioni erano molto diverse. Inuyasha, prima di Kagome, pensava che non fosse possibile cambiare il mondo, che fosse uno sforzo inutile cercare di adoperarsi per il prossimo e che quindi tanto valesse voltarsi dall'altra parte.
Sesshōmaru è un'altra storia: a lui NON INTERESSA cambiare il mondo.
Anche quando compie una buona azione questa ha sempre un retrogusto ambiguo. A volte è realmente difficile capire quanto ci sia di genuinamente buono nelle sue "buone azioni" e quanto sia da imputare a circostanze fortuite. È questo il caso ad esempio della prima volta che salva la vita di Kagome dalle grinfie di Mukotsu che stava per commettere violenza su di lei nel capitolo 239 = episodio 104 (mentre molto diversa sarà la seconda volta, quando proteggerà la giovane miko, priva di sensi, dagli attacchi nemici all'interno dell'immenso corpo di Naraku nel capitolo 535 = episodio 189).
Sesshōmaru, non dimentichiamolo, è colui che (nel manga) mentre è accovacciato a terra con una Rin strappata alla morte tra le braccia medita su come Tenseiga potrebbe servirlo nella sua vendetta contro Inuyasha.
Quest'uomo, più che un enigma, certe volte è una contraddizione incarnata. Ed è sorprendente come gli basti indossare quella sua maschera di fredda dignità per farti credere che non ci sia niente di strano nel suo modo di agire, che ogni sua azione sia perfettamente coerente, scrupolosamente calcolata, prevista, logica.
NULLA DI PIÙ LONTANO DALLA REALTÀ. La verità è che le convinzioni di Sesshōmaru sono sempre più incerte, e sebbene per larga parte della storia ha potuto rimandare il confronto con questa verità, a partire dal capitolo 406 le crepe iniziano a diventare visibili. Gli avversari sempre più ostici che incontrerà lungo il suo cammino sono in qualche modo simbolici, a mio modo di vedere, di questa sua crisi. Sesshōmaru d'un tratto scopriamo che può essere ammaccato, che anche lui ha dei nervi scoperti, che anche lui è fatto di carne e sangue. Non è un caso se Magatsuhi lo definirà più di una volta "debole" (capitoli 513 e 517 = episodio 184). Quando il tuo animo è diviso, quando non sai più decidere chi sei... Sei esposto, sei vulnerabile. Debole.
E Sesshōmaru che nega di nutrire il ben che minimo sentimento di compassione per Kagura in faccia a Mōryōmaru (capitolo 407; nessuna corrispondenza nell'episodio 169) è debole. Perché non è credibile. Perché le sue azioni lo contraddicono. Può affermare quanto vuole che non gli importa, il suo sconvolgimento interiore lo sbugiarda in modo plateale.
No, va bene, ho appena detto una colossale stupidaggine. Perché ovviamente col cavolo che lo stiamo scoprendo ora che Sesshōmaru ha i suoi punti deboli. Lo so io e lo sapete voi che Rin che lo accompagna ne è letteralmente la prova vivente! E però il fatto è questo: fin qui a Sesshōmaru è stato possibile mantenere intatta l'illusione di fronte a se stesso e ai suoi nemici di avere un certo controllo su questa situazione anomala. L'avrete notato, immagino, il sangue freddo che esibisce magnificamente ogni volta che Rin viene rapita. Così, per quanto inspiegabile, a occhi esterni Rin può rimanere un'innocua stranezza, un capriccio. D'altronde solo creature che abbiano una sottile comprensione dell'animo umano (come Naraku) potrebbero mai capire cosa realmente significa la bambina per Sesshōmaru e per sua fortuna pochi yōkai in giro rispondono a questo pericoloso profilo.
Farsi avanti pubblicamente in nome di Kagura invece, perdere la compostezza, lasciarsi dominare dalla rabbia (parola che non a caso dà il titolo al capitolo 406), sacrificare Tōkijin... Be', questo è qualcosa. Questo non può passare inosservato.
Perché mai Sesshōmaru dovrebbe esporsi così? Perché non riesce a farne a meno?
Guardiamo in faccia i fatti. Lui non ha alcun debito verso Kagura. Non è stato lui a chiederle di agire come sua spia dopotutto. Non era neppure suo dovere salvarla da Naraku, perché non è così che funziona tra gli yōkai. Scrupoli di coscienza dell'ultimo minuto? Forse, ma in ogni caso... Sesshōmaru non si lascerebbe tormentare così dal rimorso per chiunque. L'anime in questo senso un po' ti fa credere il contrario con la coppia di episodi filler 133-134 in cui l'immagine di Sara Asano nella sua fine è quasi perfettamente sovrapponibile a quella di Kagura morente cosicché l'ovvio risultato è che in questo modo la scena dell'episodio 169 è non dico vuota, ma perlomeno ridondante. Ti lascia addosso come un effetto di déjà vu, non dà nulla di davvero nuovo. In breve: è depotenziata, depauperata. Ed ecco allora che cogliere la centralità del momento per lo sviluppo di Sesshōmaru diventa effettivamente poco immediato.
Non mi spingerò fino a dire come ha detto qualcuno qui su Tumblr che se ci pensi "I knew it was you" è praticamente a un passo dall'ammettere "I knew you were the one", perché anche se personalmente abbraccio al 100% questa teoria abbiamo detto che l'obiettivo qui era restare con i piedi ancorati a terra seguendo il canone e dunque così sia. E alla fine per quanto a una parte di me dispiaccia davvero che non sia stata esplorata la succosissima possibilità di una relazione più stretta tra Sesshōmaru e Kagura la verità è che forse preferisco che le cose siano rimaste così, senza grandi fanfare, solo con questo qualcosa di non definibile che sembra niente e invece è più che abbastanza, è tutto.
Sesshōmaru (non molto diversamente da Naraku tra l'altro) ha sempre creduto che avere un cuore è ciò che rende deboli gli individui. Ma è semplicemente falso. La debolezza sta nel non essere in grado di accettare di avere un cuore. Come Kagura insegna, sapere dov'è che risiede il proprio cuore, riconoscerlo, possederlo, sentirlo battere nel petto... è la sola cosa che possa darci un senso, un significato, una direzione, uno scopo. Essere liberi significa essere integri. Non c'è libertà senza integrità e non c'è integrità senza libertà. Sesshōmaru con quel "Sapevo che eri tu" da un lato permette a se stesso di avere un cuore e dall'altro riconosce l'integrità di Kagura come individuo libero e indipendente. Riuscite a vedere la bellezza della cosa? È come se... Come se in quel momento entrambi avessero il cuore al posto giusto.
Non a caso è in quell'occasione che Sesshōmaru posa per la prima volta la mano sull'elsa di Tenseiga guidato esclusivamente dalla compassione. È quella la prima volta che lo vediamo pienamente consapevole, maturo, ma anche vulnerabile. Al suo primo tentativo, con Rin, sappiamo che almeno in parte c'era la curiosità di mettere alla prova Tenseiga (benché in un certo senso anche Tenseiga dal suo canto lo stava mettendo alla prova).
Non basta ancora però.
Perché poi giunge l'ora in cui Sesshōmaru deve fare i conti con ciò che è accaduto durante la morte di Kagura, con ciò che è scaturito dal suo cuore in quella circostanza. In questo senso i capitoli 374 e 406 si possono definire gemelli o complementari.
Nel 406, se mai ci fossero stati dubbi, quanto mai diviene chiaro che Kagura agli occhi di Sesshōmaru non è una figura penosa e patetica, no, è un'anima nobile, fiera, che in quanto tale merita rispetto. Non avrebbe levato la sua spada per lei altrimenti (davanti a Inuyasha per di più, questo non è un dettaglio da prendere alla leggera). E poi c'è la spada, Tōkijin, eh già, da cui è singolare che Sesshōmaru si separi proprio in questa circostanza, perché se ricordate è Tōkijin che in un certo senso ha fatto incontrare lui e Kagura. C'è come una chiusura di un cerchio in questo.
Oh be' insomma, si è capito, se mi date carta bianca io qui posso continuare a trovare simbologie e collegamenti finché volete.
L'unico vero rimpianto che ho è che nessuno alla fine l'abbia ricordata Kagura. Sesshōmaru aveva giurato che la parola finale sul sacrificio di lei sarebbe spettata a lui (capitolo 410 = episodio 170).
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Inuyasha aveva dato a intendere che avrebbe fatto sua la battaglia di Kagura. E tuttavia ahimè l'ultima volta che sentiamo soffiare il vento di Kagura, il vento della ribellione, è al risveglio della coscienza di Kanna (capitolo 475 = episodio 178). Sarebbe stato bello poter percepire quella presenza invisibile ancora un'ultimissima volta durante la battaglia finale contro Naraku.
Bonus per noi delusional girls di sesskagu:
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