#tutto così out of context
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belteppismo · 9 months ago
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La cugina di mio padre proprio la persona più inconsapevolmente divertente sul pianeta. Oggi se ne è uscita con una storia assurda su un paio di ciabatte del Dottor Scholl che voleva comprare su Amazon ma risultavano in consegna a settembre. Ad eccezione del modello color "oro pitonato/coccodrillato" che però "faceva schifo"
Tutto ciò perché un controllore del treno (?) le aveva rubato (??) le birkenstock, insieme a due ombrelloni e due stuoie da spiaggia. Però le stuoie erano da buttare, quindi da quel punto di vista le aveva fatto un piacere
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blogitalianissimo · 3 months ago
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X: "Come fa a vincere la Meloni! È omofoba e fascita! La Sinistra non riesce a fare opposizione?"
Idee media della sinistra italiana:
Geronimo Stilton è un borghese e un nemico del popolo!
Dovremmo permettere alla gente di occupare le case!
Perché non mettiamo una bella patrimoniale?
*inserire commento assolutamente irrilevante sul fascismo, come se gli italiani non sapessero che la Meloni è fascista"
Togliamo i ferri da stiro giocattolo dai supermercati!
Quando una sinistra non riesce a portare in campo neanche mezza frase coerente alla fine ti becchi Sangiuliano ministro della cultura con la 4a elementare e Salvini che pur di non lavorare spande disinformazione su atlete algerine. Che tristezza. Almeno in America (che pure non sono santi) si fanno venire qualche idea sull'economia sul sociale. Qui abbiamo il nulla cosmico. Abbiamo avuto una rotazione di almeno 6 partiti negli ultimi 10 anni, di tutto lo spettro politico. E neanche uno che abbia fatto qualcosa, ma un cosa qualunque, tipo fare delle strade in Puglia. Boh. Costruire un Acquedotto in Sicilia. Fare un spaventapasseri in Calabria, uno zoo ad Abbiategrasso.
Aiuto molto out of context questo ask
Lamentarsi della sinistra italiana e poi avere da ridire sulla patrimoniale e sulle case occupate non è molto coerente, anzi forse queste sono 2 delle pochissime cose DA SINISTRA che vorrebbero fare (ma che non faranno mai)
Lo spiego meglio, perché pure su twitter tempo fa vidi molta gente impanicata sulla questione case occupate, state tranquilli la nostra sinistra non è così a sinistra, e nessuno vuole togliervi la casa al mare o la casa ereditata da nonna. Quando si parla di case vuote nello specifico si sta indicando le NUMEROSE case in mano allo STATO ITALIANO, le suddette "case popolari", che sono appunto inutilizzate, altre andrebbero ristrutturate, ma devono essere assegnate. C'è molta gente che ne ha urgentemente bisogno (ad esempio i senza dimora, ma anche chi vive strutture che non garantiscono una vita dignitosa o sono addirittura pericolose -vedi la recente tragedia a Scampia) perciò se per te "dare un tetto ai poveri" è una cosa che non riguarda il sociale, non so.
Stesso si può dire sulla patrimoniale, tassare di più i ricchi per far respirare i poveri. Ci sarebbero più entrate, e quindi anche più investimenti per le infrastrutture che sono carenti, soprattutto nel mezzogiorno come hai fatto notare.
Poi ti prego, menzionami tutti i paesi del mondo ma non uno in cui 1. la sinistra non esiste 2. non hanno manco una sanità pubblica, cioè noi siamo la merda della merda ma mai al livello di quelli là, grazie.
Per il resto mi trovi d'accordo sul fatto che la sinistra fa poco la sinistra (a parte le 2 cose che mi hai menzionato, che ripeto, sono le uniche cose DA SINISTRA che vorrebbero fare), ormai il PD è la nuova DC
E mi trovi pure d'accordo sull'approccio della "sinistra" che fa schifo, e non tanto per il memino scemo di Geronimo Stilton, è proprio imbarazzante la puzza sotto al naso, come se stessero parlando ad una sorta di élite, e se vuoi essere di sinistra non puoi fare l'elitario, quella è roba da destra (che difende i ricchi), la sinistra deve guardare ai poveri, punto.
Quindi io più che cringiare per Geronimo Stilton, mi preoccuperei più di gente che senza ironia alcuna se ne esce con roba tipo "aboliamo il suffragio universale", questo è un atteggiamento sbagliato e anche classista.
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laferocia · 1 year ago
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ITALIAN
Con il progetto di Fantomas sono molto contento, è molto piacevole perché son brava gente* e molto professionisti* rispetto di* altra gente con cui ho lavorato, non so se mi capisci... non lo so, lavorano bene e proprio son simpatici e con questa musica un pochino difficile è strano, è proprio un lavoraccio, è un(a) rottura di palle proprio.
Questa è la musica che sento, che ho dentro, e devo farlo(a) uscire.
Volevo fare un video, qua in Italia volevo farlo... Volevo fare io che guido un'Ape nelle strad(ine)*... in una città come Genova con tanti vicoli, però veloce perché la musica è proprio "aaaaeehhh", veloce no? E io che guido e tutto il gruppo che suona(no) dietro, sai, tutto sull'Ape con le stradine piene di gente che fa "aaaaahhhhh", così, proprio "gneeeee". Siamo lì* per fargli vivere questa musica. Spero che alla gente piaccia però, se no, non è che mi sparo in testa, capito?
brava gente: Not a mistake, but we use it in other kinds of contexts. 'Son bravi ragazzi' is what he means here. I'm amazed by the fact that he used the shortened form of 'sono.' Very native and mostly used in the north of Italy.
molto professionisti: A little imprecision. In Italian, you can say 'molto professionali' or just 'professionisti' without 'molto'.
rispetto di: Prepositions can be a problem even for Italian native speakers. The correct preposition here is 'a'.
Un(a) rottura di palle: Mike forgot the 'a' in the article, not a big deal. It makes me laugh hard every time because 'rottura di palle' is absolutely an informal Italian way of speaking (and it's a bit gross LOL).
Devo farlo uscire: a little imprecision, italian has genres and "musica" is feminine so he should have said "farla uscire". Again, not a big deal.
Strad(ine): it was correct I dunno why he interrupted himself LOL. BTW, "vicoli" is likely more native. Bravo Michele!
Il gruppo che suonano: "il gruppo che suona" is the correct form, it is a common mistake among foreign speakers. 'Gruppo' is a collective noun, and it is singular.
Siamo lì: "lì" means "there". Mike wanted to say "siamo qui"= we are here.
What I really dig about Mike's Italian is how it's super chatty, no teacher or textbook stuff. In this interview, he's rocking that 'imperfetto ipotetico' thing, a grammar move that's mostly spoken language. And he's nailing the subjunctive, a tricky verb mood even for native speakers.
TRANSLATION
I'm very happy about Fantomas project, and I'm enjoying it because they are cool guys, very professional compared to other people I've worked with, if you know what I mean... I don't know, they work very well, they are likable, and with this somewhat harsh and weird music, it's a tough job... it's a pain in the a**. This is the music that I feel, the one that I have inside and I want to let it out.
I'd like to make a music video here in Italy: me driving the Ape car, in a place like Genoa, full of alleys... but very fast 'cause the music is 'Aeeehhh' - it is fast, you know. So me driving and the band that plays behind, you know, all on the Ape with the little streets full of people who scream 'aaaaaahhhhh'... in this way... just like that.
We are here to make them truly live this music. I hope they will like it; otherwise, I wouldn't shoot myself in the head, you know.
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arte-miss7 · 2 years ago
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Così out of context ho scoperto che domenica vado in Puglia per una settimana
In tutto ciò farò un esame il 14 aiuto (per fortuna l’unico online)
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m0rgan-sims · 4 years ago
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Prima di tutto è necessario fare una premessa: non difendo James Dashner in quanto persona - sono perfettamente consapevole delle accuse che sono state mosse nei suoi confronti e, per tal ragione, non parlo dell'uomo; certo è che la situazione non si è più mossa, non sono stati presi altri provvedimenti, né la questione è finita in tribunale. Prendo tutto con le pinze, perché internet - twitter in particolare - è un posto strano and I have trust issues, quindi niente. Ribadisco: mi riferisco al Dashner-autore, non alla persona.
TW: si parlerà di suicidio, quindi be careful guys. 
Ora, io non so voi cosa vi aspettiate dalla rappresentazione lgbt+ nei libri, nei film, nelle serie tv e in qualsiasi altra forma di intrattenimento. Pensate che i personaggi queer debbano essere esclusivamente buoni, carini e coccolosi, tenuti sotto una campana di vetro per proteggerli dai mali del mondo? Fatemelo dire: non funziona così. E' VERISSIMO che abbiamo un serio problema di rappresentazione - basta citare il fenomeno del "bury your gays", secondo il quale i personaggi lgbt+ sono inevitabilmente destinati, come dice il nome, ad essere seppelliti - e che spesso i personaggi queer siano relegati ad essere a. semplici comparse; b. personaggi secondari, spesso la spalla comica o stuff like that. E' il caso di Newt e di The Maze Runner? NO. Seguo la trilogia da molti anni, so come si evoluta la cosa e come, di conseguenza, si sia evoluto Newt: Newt non nasce per essere gay, non muore perché è gay. Dashner ha sempre detto, citando quasi testuali parole: il mio personaggio è questo, leggo i commenti dei fan e se vedete Newt in questo modo non c'è assolutamente nessun problema; evidentemente c'è qualcosa e va bene così. Come potete vedere, nessuna erasure alla J. Terf Rowling, né si è mai strappato i capelli dalla disperazione perché NeWt NoN è GaY, nOn PoTeTe VeDeRlO cOsI'. No, anzi. E' un autore che si è reso conto che i personaggi diventano inevitabilmente dei fan. La sua morte rientra nel trope "bury your gays"? Di nuovo: no. Dato che Dashner, per l'appunto, ha dichiarato solamente l'altro giorno che Newt è gay e che non era stato concepito così, non è morto in quanto tale. La sua morte, per quanto mi abbia fatto male, è inevitabile: è coerente con la trama - perché era altamente improbabile che un personaggio del gruppo non fosse immune al virus -,  ed è coerente col personaggio stesso. Non è una morte a cazzo di cane come Lexa in The100, uccisa tanto per; non è una morte simile a quella di Castiel - l'ultima, per intenderci - in cui è stato fatto fuori dopo essersi dichiarato e spedito nel megainferno. No, signori. Newt, anche se morto, è stato trattato benissimo da Dashner: era un personaggio principale, il ( testuali parole ) collante del gruppo che li teneva tutti insieme; la sua morte è ben scritta, così come il suo character development che non lo riduce a semplice spalla di Thomas, ma è il suo migliore amico e la persona che lo comprende meglio di chiunque altro. Dunque: un personaggio fondamentale per lo sviluppo non solo della trama, ma dello stesso protagonista. Dashner avrebbe potuto uccidere qualcun altro? Sì. Avrebbe avuto lo stesso effetto? Diciamocelo: no, affatto. Newt è sempre stato il preferito del pubblico. C'era Thomas, c'era Minho, c'era persino Gally che col suo essere insopportabile alla fine ha avuto il suo development, ma avrebbero avuto lo stesso effetto? Nah. Con Newt si era creata empatia, le persone lo amavano, ragion per cui il totomorte era puntato su di lui sin dall'inizio. Inoltre, la sua morte non solo non è improvvisa, ma frutto di tanti fattori che si protraggono per 250 pagine di libro, e viene addirittura anticipata: Newt ha provato a suicidarsi in passato, prima ancora dell'arrivo di Thomas. Perché era gay e quindi cadiamo nel "gayngst-induced suicide" (ovvero: spingere un personaggio lgbt+ al suicidio perché è, per l'appunto, lgbt+ )? Per carità, no. Siamo in un mondo distopico e Newt è chiuso in un maledetto labirinto da quando ne ha memoria, senza sapere che al di fuori di quelle mura c'è un mondo completamente diverso da quello che ha davanti. 
«You wanna know why I have this limp, Tommy? [ ... ] I tried to kill myself in the maze. Climbed halfway up one of those bloody walls and jumped right off. Alby found me and dragged me back to the Glade before the doors closed. I hated that place, Tommy. I hated every second of every day.»
C'è la spiegazione direttamente dalle sue parole, quindi non posso aggiungere altro.
Anche quando riesce a scappare dalla Radura e dal Labirinto, si ritrova in un mondo completamente devastato, che mai si sarebbe immaginato. Ci stupiamo, quindi, se chiede al suo migliore amico, la persona di cui si fida di più al mondo, di ucciderlo prima di diventare un mostro ed entrare a far parte del "sistema" malato da cui vorrebbe scappare? No. 
Ora, la dichiarazione di Dashner è stata una paraculata? Forse sì, forse no. Penso che se fosse stata una paraculata allora l'avrebbe messa molto più in mostra, un po' alla Rowling, e invece ha semplicemente risposto al tweet di un* fan dicendo che sì, crede che Newt sia gay. E' rivoluzionario? Tecnicamente no, ma che vi aspettate? Non può semplicemente esistere, ma deve fare chissà quale grande impresa legato all'essere queer per essere validato? Ma vi sentite? State letteralmente relegando Newt all'essere gay, quando è un aspetto più che secondario del suo personaggio. Dashner non ha mai messo al centro della propria narrazione le coppie e le relazioni romantiche: è vero che c'è la cosa di Thomas / Teresa / Brenda, ma anche questa è solo accennata; non ci sono dichiarazioni eclatanti, non c'è mai stata conferma e, inoltre, è un finale aperto anche da quel punto di vista. Non sappiamo se Thomas abbia deciso di intraprendere una relazione o meno. Non sappiamo nulla. 
Newt è un personaggio meraviglioso, l'essere gay o meno non influisce su nulla della sua caratterizzazione. Sembra un po' the word of god visto che è detto fuori dal canon? Un po', sì, ma ciò non significa che in tutti - e dico tutti - i libri dedicati alla storia di Newt - quindi, oltre alla trilogia, anche The Fever Code e Crank Palace - non ci siano dei segnali che ti possano far pensare: oh, però questa dichiarazione non è poi così out of context, specialmente nel rapporto tra Newt e Thomas. Noi li abbiamo sempre shippati, Dashner non ci ha mai detto "NO NON FATELO AIUTO AAAAA", anzi, ci ha detto di fare quel che ci pare. Anche perché, insomma, scrivere una lettera solo e soltanto al tuo bff per dirgli che stai morendo e chiedergli di spararti, supplicandolo con l'iconico «Please, Tommy, please...» ( dove, sottolineo, Newt è l'unico a chiamarlo Tommy ) non può non essere considerato un hint di un eventuale interesse romantico. Però, onestamente, l'essere gay e le relazioni che ne conseguono non sono sicuramente la principale preoccupazione di Newt, visto che ha già molto, troppo, a cui pensare.
Quindi, riprendendo un quesito che ho visto girare su twitter e tumblr: la canonizzazione di Newt come un personaggio lgbt+ è rivoluzionario per la comunità? Beh, no. E' rivoluzionario per i fan? Fanculo, sì, per me lo è, perché Newt è sempre stato un mio comfort character, così come di tanti altri, e sapere che è più simile a me di quanto lo sia mai stato in precedenza mi rende non felice, di più. Non cambierà il mondo, né il modo di vedere i personaggi lgbt+ in qualsiasi prodotto mediatico e d'intrattenimento ( anche se secondo me un po' potrebbe farlo ), ma onestamente ne avevo bisogno. E va bene così, quindi smettetela di far sentire in colpa le persone che sono felici di questa scelta, soprattutto se non sapete cosa e quanto abbia rappresentato Newt per loro. 
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gazemoil · 5 years ago
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RECENSIONE: Lana Del Rey - Norman Fucking Rockwell! (Polydor / Interscope)
di Viviana Bonura
Sin dal primo momento l’ascesa alla fama di Lana Del Rey è sembrata una specie di miraggio in un panorama musicale che ci offriva ormai da troppo tempo lo stesso modello di stella del pop. Nel 2013 due eventi fortunati - un posto nella colonna sonora di uno dei film di Hollywood più attesi dell’anno e un remix di una sua canzone che diventa il cavallo di battaglia dell’estate - fanno in modo che il suo primo disco Born To Die, contenente già un paio dei brani più virali su internet di quell’anno, riceva tantissime attenzioni fino a confermare la misteriosa e delicata Lana nuova promessa del pop alternativo. Il fascino del suo suono pomposo fuori dal tempo, distinto da storie noir ambientate in una California sognante e popolata da giovani donne tristi e cattivi ragazzi, malinconia e glamour, continua nel secondo disco Ultraviolence, in cui ripropone la stessa formula compresa di difetti, quali un generale senso di artificiosità nell’estetica che a momenti appare forzata e statica e l’aver incarnato una fantasia che promuove la dinamica in cui la donna debole rincorre l’uomo ricco, bello e manipolatore che finisce per incasinarla ancora di più. Il tempo passa e la fama non manca, ma Lana diventa sempre meno interessante. Nel terzo disco Honeymoon il suo personaggio continua a non evolversi e stavolta neanche la parte sonora sembra aver nulla di nuovo da dire. Per tutta risposta Lust For Life tenta di rifilare modernizzazioni hip-hop con la mera presenza di alcuni feature e di proporre una protagonista meno tragica e più stabile, ma invece di far ricredere i più scettici finisce per ledere ad una credibilità artistica che già nel tempo aveva mostrato segni di cedimento e di darla a bere solo ai fedelissimi fan. 
Proprio quando la speranza sembrava perduta il quinto attesissimo album, Norman Fucking Rockwell!, si rivela una sorpresa collettiva, la svolta che avrebbe dovuto prendere la sua musica tempo fa e l’evoluzione artistica di un personaggio che il nostro tempo - giustamente - richiede. NFR! è composto da quattordici tracce per ben un’ora di durata, forse un pò tirato per le lunghe e non sempre al massimo della forma, ma con qualche innegabile perla musicale che si posiziona direttamente in cima nella discografia dell’artista. Ad iniziare dai primi due singoli le promesse sembrano più che buone, non solo in quanto a produzione dove la vediamo co-produttrice insieme all’ormai quasi infallibile Jack Antonoff, ma anche sotto il punto di vista del testo che ci svela finalmente una Lana psicologicamente meno dipendente da una figura maschile, pronta a fare forza non solo a sè stessa, ma anche al partner che lotta contro le stesse difficoltà che lei ha dovuto affrontare in passato. “You lose your way, just take my hand / You're lost at sea, then I'll command your boat to me again / Don't look too far, right where you are, that's where I am / I'm your man” dice nel ritornello di Mariners Apartment Complex invocando l’immagine di una donna guida, autoritaria e dolce allo stesso tempo. La traccia è piena di bellissime frasi poetiche cantate con fascinosa e calda fermezza che non lasciano spazio a dubbi: questa è una Lana Del Rey come non l’abbiamo mai sentita. “You took my sadness out of context / At the Mariners Apartment Complex / I ain't no candle in the wind / I'm the board, the lightning, the thunder / Kind of girl who's gonna make you wonder / Who you are and who you've been”. Anche la strumentale è un grande punto a favore e presenta gli elementi chiave della sua musica come viole e violini che però non sono esagerati e rendono la giusta idea di maestosità che un testo del genere suggerisce, un pianoforte e una chitarra acustica che reggono in piedi la parte melodica, qualche strascico di synth crepuscolari e una bellissima chiusura elettrica da crooner. 
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Il testimone passa a Venice Bitch che probabilmente diventa la più grande impresa della Del Rey coi suoi nove minuti complessivi. Esegue bene il compito e tra numerosi riferimenti popolari ci accompagna in un viaggio americano estremamente nostalgico fatto di frammenti felicemente tristi trascorsi in compagnia del suo uomo, momenti che piano piano scivolano via così come l’estate, ma che ricorda con affetto. Se prima si presenta come una traccia acustica col solito pathos orchestrale a corde, presto monta una batteria sommessa che va ingrandendosi piano ed una chitarra elettrica dal sapore psichedelico con elementi soft-rock, alla quale Lana favorisce spazio minimizzando il testo e giocando con gli elementi strutturali in modo da dare respiro agli strumenti e al lungo assolo, decorato da synth magnetici ed inebrianti. Il dialogo tra questi strumenti, su cui Lana interagisce tutto sommato poco, continua fino alla fine in maniera piuttosto tranquilla e rilassante, il che potrebbe muovere il primo appunto alla sezione strumentale non sfruttata al meglio per dare profondità ad un brano che tuttavia si può sempre apprezzare per l’ambizione. Fuck it i love you vede sicuramente ritornare la Del Rey su terreni già battuti e se non fosse per il testo più consapevole rispetto al passato in cui ripercorre il trasferimento in California per inseguire il sogno di fare musica, i problemi di dipendenze e una relazione finita male a causa della sua instabilità emotiva a lungo discussa, sarebbe la solita traccia poco interessante in cui finisce per impastare le medesime frasi mormorate. Di simile natura, ma dalla riuscita differente è la ballata romantica Love song che con una struttura semplicissima in cui prevale il pianoforte riprende ancora le tematiche principali della sua musica - l’essere famosi, la bellezza, il sentirsi innamorati ed i simbolismi visivi delle auto su cui si viaggia per posti magici - ma la genuinità della voce che perfettamente esprime quel senso di bisogno disperato di avere accanto quella persona di cui si è innamorati e della composizione strumentale la rendono vincente, anche se già sentita. L’ammiccante cover dei Sublime Doin’ Time, adattata all’estetica della Del Rey e modernizzata con una sezione ritmica sintetica, è un altro highlight. Cinnamon girl giustappone ancora la dolcezza dell’amore con l’amarezza di cose più cupe come le droghe e il dolore aggiungendo una svolta elettronica alla fine, mentre How to disappear vede appunto il “dissolvimento” di quel rapporto romantico che semplicemente si esaurisce, lasciando spazio alla guarigione e per quanto possa essere strumentalmente mite è liricamente apprezzabile.
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Durante il disco vediamo una Lana che si ricorda veramente speranzosa e coinvolta nei confronti di questa relazione, ma d’altra parte diventa consapevole di non essere stata psicologicamente stabile e piuttosto disfunzionale, a volte anche emotivamente aggressiva, e soprattutto sa che il partner era altrettanto problematico. D’esempio è la frase d’esordio della title-track: “Goddamn, man-child / You fucked me so good that I almost said "I love you"”. California è un’altra dimostrazione dell’evoluzione emotiva dell’artista, espressa in un testo ben scritto dove dopo aver messo distanza tra sé e l’altra persona, riflette sulla loro relazione ripercorrendo i ricordi che le provocano nostalgia e un senso di pentimento per non essere stata capace di supportare quella persona come doveva, cosa che adesso sarebbe capace di fare. “You don't ever have to be stronger than you really are / When you're lying in my arms, and, honey / You don't ever have to act cooler than you think you should / You're brighter than the brightest stars”. 
Da questo momento in poi si susseguono un paio delle tracce qualitativamente più deboli del disco come The Next Best American Record, nel cassetto da un paio di anni ed originariamente destinata Lust For Life, dove sarebbe stata più consona dato l’imbarazzo della strumentale e la performance vocale che non si dimostra matura come lo è stata fino ad ora. Evitabili anche le successive tre tracce che non aggiungono granché al disco, mentre fortunatamente la chiusura hope is a dangerous thing for a woman like me to have - but i have it ne risolleva l’intensità. E’ una traccia spontanea, imperfetta, minimale ed emotiva che parla delle difficoltà nel raggiungere la felicità, ma anche del ritrovarsi in un devastante stato di sofferenza in cui si compiono decisioni irrazionali, tutto perde d’importanza e fidarsi degli sconosciuti diventa difficile, ma apre anche uno spiraglio di speranza attraverso il quale si intravede un miglioramento, una speranza pericolosa, nel senso che se non soddisfatta potrebbe provocare una discesa ancora più brusca nel senso di abbandono, ma comunque posseduta.“There's a new revolution, a loud evolution that I saw / Born of confusion and quiet collusion of which mostly I've known / A modern day woman with a weak constitution, 'cause I've got / Monsters still under my bed that I could never fight off / A gatekeeper carelessly dropping the keys on my nights off”. La traccia riesce a catturare molti dei tratti distintivi - soprattutto dei difetti - di Lana e del suo testamento artistico.
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TRACCE MIGLIORI: Mariners Apartment Complex; Venice Bitch; hope is a dangerous thing for a woman like me to have - but i have it
TRACCE PEGGIORI: The Next Best American Record
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subtext-bycalvinklein · 6 years ago
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On parallel universes and the last men on Earth
[This Is a short analisys I wrote for my facebook friends a few nights ago. I'm not a regular on the skam Italia tag, but since I've been asked to make it public, I thought this might be the best place to make it shareable.
Keep in mind that this was first and foremost written with a specific audience in mind, that of my italian facebook friends (*blows a kiss* ily guys) so there might be weird turn of phrases in the translation to english. Let me know and I'll try to make it clearer! (As for those of you that already know italian: I'm putting the original post after the english translation, in case you're interested.)]
Let's talk about 'parallel universes' vs 'last men on earth' and why this change was so important and tells us a lot about the characters of each skam.
But first, let me make a short premise: when writing the remakes, Ludovico as well as -I hope- the authors of the others, had to keep in mind both the dynamics of traditional storytelling, as well as the less mainstream metanarrative level of fanfiction, because their works are by all means aus of the Norvegian skam. This means that they not only had to think about the mechanics of storytelling in the usual sense, they also had to make a not indifferent metanarrative work on the original story, that incorporates both understanding why some symbols and devices were used, what is their impact to the narrative and to the characters, and then how to adapt those symbols and devices to the new context while keeping the core meaning of them. The work on characters is similar: they had to understand the core traits of each one and the core of their journey in the og, and which points they could or should highlight in the new work. In my humble opinion, it is absolutely similar to how a fanwriter would operate in plotting an au: you cannot keep all of the traits of the character, because a new context requires changes in the character. And no other symbol, no other narrative device -and, believe this storytelling enthusiast who has poured hours studying literature and storytelling, there are FAR TOO MANY- shows how well SKAM Italia was in adapting the og as much as the “last men on earth”.
It would have been far too easy to make Martino and Niccolò have the same conversation as Isak and Even about parallel universes, but they chose not to. Because that is the key to understanding the characters and the way the face the world -you might even say their coping mechanism, althought a faulty one imho. The very first thing to inquire into, then, is what the parallel universes mean to Isak -and what they'll come to mean to Even, too.
Well, parallel universes are nothing other than a comforting fantasy: it doesn't matter that it's rooted in scientific basis, what matters is the fact that it makes Isak feel better. And why is it so comforting to him? Because if he lives in one of the possibile worlds, if each action that could happen is already happening, his path is already decided in the grand scheme of things, he is just doing his part in the huge multiverse machine. It's a way to take the responsibilities off himself: even if he himself hadn't taken that particular course of action, some other parallel Isak would have done it in his stead. It refers once again to something many people before me have pointed out: Isak's struggle with his identity is completely internal. He is struggling to justify his actions to himself -which, we will see, it's very different to how Martino operates.
Even uses the same method of deresponsibilizzation -even if at first he feels like parallel universes undermine his agency, which is his own big struggle, the fear of having control stripped off of him- because he needs it to take the blame off himself in regards to his behaviour towards Isak -in one of the universes he gets this right, he does what he should, that's the ultimate meaning of the drawings.
There was no other possible ending than them realising that it's no use thinking about the parallel universes, but that they had, instead, to focus on the one they're living in, and nurture their relationship in this 'verse -which ties back to the "life is now" monologue at the end of the season.
That said: was it possible to apply the same symbolism to Martino and Niccolò? I think so, but it would have been wasted, as it wouldn't have held the same weight, as the struggle of the italian characters differ quite a lot.
While we have a deresponsabilizing fantasy from Martino as well, it's a very different one: if Isak had next to no interest in the world around him, to Martino, whose main concern is other people's judgement, the Ideal fantasy is the one where he and Niccolò are alone, hence the last men on Earth. It's not a fantasy born out of not liking people -Martino is clearly people-oriented, he thrives when he's with his friends and it becomes even more clear once he talks to Spera (which I might cover in another meta if anyone is interested), and I will repeat this until I die- but as long as there will be someone out there ready to judge him for what he does, for who he is, he won't feel comfortable acting like he so desperately wants to. Clearly, Martino's journey -like Isak's- takes him to a place where he doesn't need the comfort fantasy anymore: as much as I dream of Martino and Niccolò using the "we're the last men on earth" as a coping fantasy from time to time, truth is that Martino doesn't need to be the last man on Earth with Niccolò to feel free to act like he always wanted, because he has discovered that the people he cares about accept him as he is and are ready to have his back. Martino doesn't need to hide and hope for the end of the world to find some peace anymore.
It's also interesting how Niccolò views the matter, as -just like parallel universes did with Even- at first the idea scares him since it touches his most profound fear, but he uses it as a fast track to Martino's heart. Imho while Even used the excuse of parallel universes to take the blame for his actions off himself (in another universe Even got It right), for Niccolò is slightly different, as his notes are almost always asking Martino to wait for him, for the right time to come (aka: the end of the world). It's still a deresponsabilizing action, as procrastinating is ("I'll do this later" is placing the responsibility on your future self instead of your actual self), but it acts on a different plane imho, because in Niccolò's notes there's always the subtextual promise of "sometime in the future". Part of Niccolò's journey this season is about confronting his fear: he reaches a point where he has to accept that he is alone, he is the last man on earth. And then, as it happens in almost every narrative of this type, the hero who thought had lost everything gains it all back, as his journey wasn't in vain: his acceptance of his mistakes (lying by omission to Martino, which we all agree he had a reason to do, but it still caused miscommunication and made the both of them run headfirst into danger in Milan) and the resulting loneliness makes him find out, through the figure of Marti (who, after all, we had just seen move stealthily to Adeste Fideles, the song that announces the arrival of Christ on Earth, a song that invites all the people to rejoice for the good news) that he is not alone, and he probably won't ever be.
Parliamo del discorso 'universi paralleli' vs 'ultimi uomini al mondo' e perché la modifica è così importante e cosa ci dice dei personaggi. Fondamentale premessa: nella scrittura dei remake, Ludobesse come -ci si auspica- tutti gli altri autori, hanno dovuto incorporare sia i dettami della narrativa tradizionale riguardo il raccontare storie, sia quelli della narrativa meno mainstream delle fanfiction, in quanto il loro è un prodotto che a tutti gli effetti risulta come un au della serie norvegese. Questo implica che, oltre a preoccuparsi della meccanica della scrittura nel senso classico, hanno dovuto compiere un lavoro metanarrativo non indifferente, che comprende il capire perché sono stati usati determinati espedienti e simboli, qual è il loro impatto sulla narrazione, ma soprattutto sul personaggio, e in seguito come adattarli al nuovo contesto. Il lavoro sui personaggi è simile: capire quale sia il nocciolo del personaggio del suo percorso nell'originale, e quali punti si possono e devono evidenziare all'interno della nuova opera. In tutto questo, la modalità è molto vicina a come si approccia un* fanwriter nell'elaborare un qualsiasi au, a mia modesta opinione. E nessun altro simbolo dà miglior prova dell'eccellenza di SKAM Italia nell'adattare come l'elemento degli ultimi uomini sulla terra.
Sarebbe stato facile far ripetere a Martino e Niccolò le stesse parole di Isak ed Even, ma non è stato fatto. Perché gli universi paralleli sono una chiave di volta per comprendere i due personaggi e il loro modo di affrontare il mondo. Il primo passo, dunque, è comprendere cosa rappresentassero gli universi paralleli per Isak -e cosa poi diventeranno anche per Even.
Ebbene, gli universi paralleli sono una fantasia: non importa la loro base più o meno scientifica, quello che conta è il fatto che per Isak è un'idea di conforto. Perché gli è di conforto? Perché se viviamo in uno dei tanti mondi possibili, se ognuna delle azioni che si possono compiere stanno accadendo, lui sta solo facendo la sua parte nella grande macchina del multiverso. È, a suo modo, una strategia di deresponsabilizzazione nei confronti di sé stesso: tanto, se lui non avesse compiuto quel gesto, un altro Isak lo avrebbe fatto. Richiama, ancora una volta, l'idea che il conflitto di Isak nei confronti della sua identità è completamente interiore, non ha legami con l'esterno.
Even riutilizza questa stessa tecnica, nonostante all'inizio vivesse l'idea come una perdita di agency -che è la sua struggle principale- perché gli è effettivamente utile nel deresponsabilizzarsi a sua volta nei confronti di Isak. Non era possibile altro finale, dunque, se non la realizzazione che non si può vivere pensando al multiverso ma bisogna, invece, concentrarsi sull'universo in cui si sta vivendo -e, per certi versi, si ricollega anche al "life is now". Detto questo, era possibile riportare la stessa simbologia all'interno della relazione di Martino e Niccolò? Sì, ma sarebbe andata inesorabilmente sprecata, perché le problematiche dei personaggi italiani sono drasticamente differenti.
Quindi, anche per Martino abbiamo una fantasia deresponsabilizzante, ma è completamente diversa: se per Isak il mondo esterno era completamente ininfluente, per Martino, il cui problema principe è la paura del giudizio altrui, lo scenario ideale è quello in cui lui e Niccolò sono soli. Non perché non gli piacciano le persone -Martino è chiaramente people-oriented e lo ripeterò fino alla morte- ma perché finché ci sarà qualcuno disposto a giudicarlo, finché dovrà rispondere alle pressioni esterne, non sentirà la libertà di agire come meglio crede. Ovviamente, il percorso di Martino va proprio a negare la necessità di questa fantasia di conforto: per quanto una parte di me sogna che la usino come fantasia di coping di tanto in tanto, la realtà dei fatti è che Martino non ha più bisogno di essere l'ultimo uomo al mondo con Niccolò per sentirsi libero di fare ciò che ha sempre saputo di voler fare, perché ha scoperto che il nucleo delle persone di cui gli importa lo accetta per come è, è disposto a difenderlo contro tutto e tutti. Martino non ha più, dunque, bisogno di nascondersi e di sperare nella fine del mondo per poter ottenere un po' di pace.
È interessante pure il punto di vista di Niccolò, che -similmente ad Even- è all'inizio spaventato da questa possibilità, perché va a toccare una delle sue paure più recondite, ma usa l'idea come una corsia preferenziale per arrivare dritto al cuore di Martino. Imho mentre Even usava direttamente la scusa dell'universo parallelo per non prendersi direttamente responsabilità delle sue azioni (in un altro universo Even l'ha fatta giusta), per Niccolò è un discorso lievemente diverso, in quanto i suoi sono quasi sempre una richiesta di aspettarlo. È comunque una deresponsabilizzazione, come lo è per certi versi la procrastinazione ("lo farò dopo" è consegnare la responsabilità nelle mani del sé futuro), ma agisce su piani diversi, ché nei biglietti di Niccolò compare sempre una sottesa promessa di "in futuro". Parte del percorso del nostro Colino riguarda il guardare in faccia la sua paura: accettare di essere solo, di essere l'ultimo uomo sulla terra. E poi, come in ogni narrazione che si rispetti, scoprire che il proprio percorso non è stato vano: l'accettazione dell'ipotesi della solitudine lo porta a scoprire, nella figura di Martino (che dopotutto abbiamo visto muoversi furtivamente al canto di Adeste Fideles, l'annuncio della buona novella dell'arrivo del Salvatore sulla terra), che solo non lo è, e forse non lo sarà mai.
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gabbiani-ipotetici · 2 years ago
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Giorgio Gaber was a man of many talents: an actor, composer, singer, playwright, with cutting, clever texts. He often satirized current events but was also capable of doing stuff like creating a song based on the experience of shampooing one's hair (and have it be relatable and make sense).
In this famous piece, Qualcuno era comunista (Someone was communist) he talks about widespread reasons why Italian people were communist in the past and current years (current being the early 90s). It's a spoken piece, the quality isn't great, my translation, as usual, is way less effective than the original, but I think it offers a very good perspective about why so many Italian people believed in this ideal, while also pointing out its many flaws. It's a bit long, but I think the ending absolutely hits the nail on the head. Look at his face while he's saying the last few lines, look at these emotions. That's the face of someone who truly believed in that dream.
(This song is also the origin of this Tumblr's name, for context)
Original text
No, non è vero io, non ho niente da rimproverarmi, voglio dire, non mi sembra di aver fatto delle cose gravi. La mia vita? Una vita normale, non ho mai rubato, neanche in casa da piccolo. Non ho ammazzato nessuno figuriamoci. Lavoro, ho una famiglia, pago le tasse, non mi sembra di avere delle colpe. Non ho fatto neanche l’assessore, per dire.
Aaah voi parlavate di prima… prima, prima mi sono comportato come tutti. Come mi vestivo? Mi vestivo… mi vestivo come ora. Magari non proprio come ora... sì, jeans maglione… l’eskimo. Perché? Non va bene? Ma era comodo. Cosa cantavo? Questa poi, volete sapere cosa cantavo, ma sì certo, anche canzoni popolari sì, Ciao bella ciao, devo parlare più forte? Sì Ciao bella ciao l’ho cantata, e anche l’Internazionale, però in coro eh.
Sì quello sì lo ammetto, ci sono andato sì. Li ho visti anch’io gli Intillimani. Però non ho pianto. Come? Se in camera ho delle foto? Che discorsi, certo, le foto dei miei genitori, mia moglie, mia f… manifesti? Non ricordo… forse uno, piccolo... Che Guevara. Ma cos’è un processo questo qui? Noooo quello no, io il pugno non l’ho mai fatto, il pugno no, mai. Forse una volta,  ma un pugnettino piccolo, proprio. Come? Se ero comunista? Mi piacciono le domande dirette eh. No no finalmente, perché adesso non ne parla più nessuno, tutti fanno finta di niente, e invece è giusto chiarirle queste cose, una volta per tutte. Oooh, se ero comunista? Mah! In che senso? No voglio dire…
Qualcuno era comunista perché era nato in Emilia.
Qualcuno era comunista perché il nonno, lo zio, il papà. .. la mamma no.
Qualcuno era comunista perché vedeva la Russia come una promessa, la Cina come una poesia, il comunismo come il paradiso terrestre.
Qualcuno era comunista perché si sentiva solo.
Qualcuno era comunista perché aveva avuto un’educazione troppo cattolica.
Qualcuno era comunista, perché il cinema lo esigeva, il teatro lo esigeva, la pittura lo esigeva, la letteratura anche, lo esigevano tutti.
Qualcuno era comunista perché “la storia è dalla nostra parte”.
Qualcuno era comunista perché glielo avevano detto.
Qualcuno era comunista perché non gli avevano detto tutto.
Qualcuno era comunista perché prima, prima-prima, era fascista.
Qualcuno era comunista perché aveva capito che la Russia andava piano, ma lontano.
Qualcuno era comunista perché Berlinguer era una brava persona.
Qualcuno era comunista perché Andreotti non era una brava persona.
Qualcuno era comunista perché era ricco, ma amava il popolo.
Qualcuno era comunista perché beveva il vino, e si commuoveva alle feste popolari.
Qualcuno era comunista perché era così ateo, che aveva bisogno di un altro Dio.
Qualcuno era comunista perché era talmente affascinato dagli operai, che voleva essere uno di loro.
Qualcuno era comunista perché non ne poteva più di fare l'operaio.
Qualcuno era comunista perché voleva l'aumento di stipendio.
Qualcuno era comunista perché la rivoluzione, oggi no, domani forse, ma dopodomani sicuramente.
Qualcuno era comunista perché la borghesia il proletariato la lotta di classe, cazzo.
Qualcuno era comunista per fare rabbia a suo padre.
Qualcuno era comunista perché guardava solo Rai Tre.
Qualcuno era comunista per moda, qualcuno per principio, qualcuno per frustrazione.
Qualcuno era comunista perché voleva statalizzare tutto.
Qualcuno era comunista perché non conosceva gli impiegati statali, parastatali e affini.
Qualcuno era comunista perché aveva scambiato il materialismo dialettico, per il vangelo secondo Lenin.
Qualcuno era comunista perché era convinto di avere dietro di sé la classe operaia.
Qualcuno era comunista perché era più comunista degli altri.
Qualcuno era comunista perché c'era il grande Partito Comunista.
Qualcuno era comunista malgrado ci fosse il grande Partito Comunista.
Qualcuno era comunista perché non c'era niente di meglio.
Qualcuno era comunista perché abbiamo il peggiore partito socialista d'Europa.
Qualcuno era comunista perché lo stato peggio che da noi, solo l’Uganda.
Qualcuno era comunista perché non ne poteva più di quarant'anni di governi democristiani, incapaci e mafiosi.
Qualcuno era comunista perché Piazza Fontana, Brescia, la stazione di Bologna, l'Italicus, Ustica eccetera eccetera eccetera
Qualcuno era comunista perché chi era contro era comunista.
Qualcuno era comunista perché non sopportava più quella cosa sporca che ci ostiniamo a chiamare democrazia.
Qualcuno credeva di essere comunista, e forse era qualcos'altro.
Qualcuno era comunista perché sognava una libertà diversa da quella americana.
Qualcuno era comunista perché credeva di poter essere vivo e felice solo se lo erano anche gli altri.
Qualcuno era comunista perché aveva bisogno di una spinta verso qualcosa di nuovo, perché era disposto a cambiare ogni giorno, perché sentiva la necessità di una morale diversa.
Perché forse era solo una forza, un volo, un sogno. Era solo uno slancio, un desiderio di cambiare le cose, di cambiare la vita.
Qualcuno era comunista perché, con accanto questo slancio, ognuno era... come più di sé stesso. Era come due persone in una. Da una parte, la personale fatica quotidiana, e dall'altra il senso di appartenenza a una razza, che voleva spiccare il volo, per cambiare veramente la vita.
No, niente rimpianti. Forse anche allora molti avevano aperto le ali, senza essere capaci di volare, come dei gabbiani ipotetici.
E ora? Anche ora, ci si sente come in due. Da una parte l'uomo inserito, che attraversa ossequiosamente lo squallore della propria sopravvivenza quotidiana, e dall'altra il gabbiano senza più neanche l'intenzione del volo, perché ormai il sogno si è rattrappito.
Due miserie in un corpo solo.
Translation
My notes between []
[In the introduction, Gaber lists a series of stereotypes associated with Italian communists in the form of a fake dialogue: what they wore, listening to folk Resistance songs, raising the fist, etc.]
No, that’s not true, I have nothing to be ashamed of, I mean, I haven't done anything really bad. My life? A normal one, I never stole, not even at home as a kid. I never killed anyone, of course. I work, I have a family, I pay taxes, I don’t think I’m guilty of anything. Say, I’ve never been an assessor, even.
Aaah, you’re talking about the past... in the past, in the past I behaved like anyone else. What I wore? I wore… I wore what I wear now. Well, maybe not exactly the same… jeans, sweaters… an eskimo. [“eskimo” in Italian is synonym with parka, and in the 70s was strongly associated with young communists, especially students] Why? It’s not ok? Well, it was comfy! What songs I sang? Well, you want to know what I sang, of course I sang folk songs, Ciao bella ciao, I need to speak louder? Yes, I sang Ciao bella ciao, and The Internationale too, but in a group.
Yes, I admit it, I went. Yes, I saw the Inti-Illimani. But I didn’t cry! What? If I have pictures in my room? But of course I do, my parents’, my wife, my d… Posters? I don’t remember… maybe a small one.. Che Guevara. But, what’s this, a trial? Nooo, I didn’t do that, I never raised my fist, ever. Ok, maybe once, but it was a small one, really. What? Was I a communist? I like direct questions! No, no, finally, nowadays no one talks about it, but it’s right to make things clear, once and for all. Oh, if I was a communist? What do you mean?!, No, I mean…
Someone ["qualcuno" in this text could be translated as both someone/some people] was a communist because they were born in Emilia.
Someone was a communist because their grandpa, uncle, dad were… Not mom. [women were often underrepresented because of a strong societal pressure to conform to Christian values and roles, and also because many leftist groups were very quite misogynist]
Someone was a communist because they saw Russia as a promise, China as a poem, and Communism as Heaven on Earth.
Someone was a communist because they felt alone.
Someone was a communist because their upbringing was too much Catholic.
Someone was a communist because cinema required it, theatre required it, art required it, literature too, everyone required it. [a critique of how, especially during the 70s, art criticism/studies were almost a Communist monopoly so you had to “fit in” politically if you wanted to take part in them]
Someone was a communist because “history’s on our side!” He facepalms
Someone was a communist because they were told so.
Someone was a communist because they weren’t told everything. [aka, they wouldn’t have been, hat they known about communist regimes’ crimes]
Someone was a communist because earlier, waaay earlier, they were fascists.
Someone was a communist because they understood that Russia was slow, but would go a long way. [this piece is from a few years after the URSS collapse, so it's deliberately sarcastic]
Someone was a communist because Berlinguer was a good person. [Enrico Berlinguer probably was the most popular leader ever of the Italian Communist Party https://en.wikipedia.org/wiki/Enrico_Berlinguer ]
Someone was a communist because Andreotti wasn’t a good person. [Giulio Andreotti, politician, ex Prime Minister, famous for corruption and Cosa Nostra associations https://en.wikipedia.org/wiki/Giulio_Andreotti ]
Someone was a communist because they were rich, but they loooved the common folk.
Someone was a communist because they got drunk and got emotional at town festivals. [probably talking about Festa de l’Unità, where older folks tend to get drunk and reminisce]
Someone was a communist because they were so much of an atheist, they needed another God.
Someone was a communist because they were so fascinated by factory workers, they wanted to be one.
Someone was a communist because they were fed up with being a factory worker.
Someone was a communist because they wanted a raise.
Someone was a communist because we won’t have the revolution today, tomorrow… maybe, the day past tomorrow for sure!
Someone was a communist because “bourgeoises, proletariat, class struggle, fuuuck!” [here Gaber is parodying a kind of superficial intellectual approach to communist theory that’s way too common]
Someone was a communist because they wanted to anger their father
Someone was a communist because they watched exclusively Rai Tre. [one of the once more left leaning public TV channels]
Someone was a communist because it was trendy, someone because of ideals, someone because they were frustrated.
Someone was a communist because they wanted to nationalize everything.
Someone was a communist because hadn’t met any government employee [here Gaber criticizes the enormous Italian bureaucratic nightmare that is the world of government employment, rife with nepotism and people doing their best to work as little as possible]
Someone was a communist because they took dialectical materialism for the Lenin’s Gospel.
Someone was a communist because they were sure they had the working class behind them.
Someone was a communist because they were more communist than everyone else.
Someone was a communist because there was the great Communist Party.
Someone was a communist despite the great Communist Party.
Someone was a communist because there wasn’t anything better.
Someone was a communist because we had the worst socialist party in all of Europe.
Someone was a communist because the only state worse than ours is Uganda’s.
Someone was a communist because they were fed up after forty years of governments that were Christian Democratic, incompetent, and colluded with the mafia.
Someone was a communist because of Piazza Fontana, Brescia, Bologna railway station, Italicus, Ustica, etcetera etcetera etcetera [a list of domestic terrorist attacks and the Ustica massacre https://en.wikipedia.org/wiki/Itavia_Flight_870 I will have posts about them down the line]
Someone was a communist because to be against meant being communist.
Someone was a communist because they could no longer endure that dirty thing we call democracy.
Someone was a communist because they thought they were one, but maybe they were something else.
Someone was a communist because they dreamed of a freedom different from the American one.
Someone was a communist because they thought they could be free and happy only if everyone else was, too.
Someone was a communist because they needed a drive towards something new, because they were willing to change every day, because they felt a need for different morals.
Because maybe it was only energy, a flight, a dream. It was only a surge, a desire to change things, to change life for real.
Someone was a communist because, with this drive beside them, everyone was… more than themselves. Like two people in one. On one side, your personal daily struggle, on the other, the sense of belonging to a specie that wanted to take flight, to truly change life itself.
No, no regrets. Maybe even then many opened their wings without knowing how to fly, like some hypothetical seagulls.
And now? Even now, you feel like two people. On one side the fitting-in person that obsequiously walks across the bleakness of their everyday survival, and on the other that seagull, deprived even of the purpose of flight because the dream became numb.
Two miseries in one body.
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sayitaliano · 7 years ago
Note
I have just started learning italian and I've seen "che" a lot and I'm not sure of its meaning. What does it means?
“Che” can be translated in different ways according on the context in which is used (at least 7 situations). I’ll write down a few examples and add all I can think about, + I’ll leave you also some links to check at the end.
1- it works as a relative pronoun (generally translated as: that, who, which): it substitutes a noun (maculine, feminine, singular, plural, subject or object of the sentence). You might find also the forms “il quale, la quale, i quali, le quali” (according on the gender and number of the subject/object). Remember that is generally introduces a relative sentence in this situation, no matter if it refers to a person or a thing, and if that person or thing is the subject or object of the sentence (see here).Ho incontrato un ragazzo che ti conosce. = I met a guy that/who knows you.Il colore che mi piace di più è il verde. = The color that/which I like the most is the color green.
2- it works as a interrogative/question pronoun (generally translated as: what): it only refers to stuff/things, never to people (to refer to people we use “chi”). You might find it also as “che cosa”:Che cosa è successo? / Che è successo? = What happened?Che ore sono? = What time is it?
3-  ofc, you can find it also as an interrogative/question adjective (generally translated as: what): it means you can find “che” near a noun, not alone as in the examples before. You might find “quale” instead of “che” on occasion.Che lavoro fai? = What is your job?Che colore ti piace? = What color do you like?
4- in the same ways, you can find it both as an exclamation pronoun or adjective (generally translated as: so, very, what…; but you cna find it left implied). The only difference, as above, is that when it works as an adjective, you find it near a noun, while as a pronoun, it is alone.As a pronoun, you can find it also as “che cosa”, but not so very often imo.Che bello! (Che cosa bella!) = So nice! (What a nice thing/news!)As an adjective you can probably find it more often instead of the English “what” or “how”.Che brutta giornata! = What an awful day!Che (bella) notizia! = What a (beautiful) news!Che ansia! = How stressful! (So much anxiety)
5- it can be used as an undefined pronoun only for masculine nouns, that refers to undefined stuff or quantities. It can be found especially in fixed expressions as: un che, un certo non so che…(an example of translation is “a certain something, something”)Il tuo viso ha un che di famigliare = Your face looks familiar to me / your face has something familiar to me.
6- “che” can introduce also many different subordinate sentences, not only the relative ones as I wrote in #1. For example:- in a declarative sentence it means “that”: sono sicuro che andrà tutto bene = I’m sure that everything will be okay- in a causal sentence it means “that, because”: sono felice che tu stia meglio= I’m happy that you’re feeling better- in a final sentence it means “that”: fai in modo che nessuno si faccia male = be careful that nobody gets hurt- in a temporal sentence it means “when”*: sono arrivata che già erano ai saluti = I arrived when they were already saying goodbye- in a consecutive sentence it means “that”: è stato così impegnato che si è dimenticato di comprare i fiori = he was so busy that he forgot to buy flowers- in a conditional sentence it means “(provided) that”: puoi andare alla festa a patto che prima tu faccia i compiti = you can go to the party provided thatyou’ll finish your homework fist- in a comparative sentence it means “than”: Luca è più bello che simpatico = Luca is taller more than funny; meglio tardi che mai = better late than sorry- in a preventative sentence means “whether”: io esco con Luca, che tu sia d’accordo o no = I’m going out with Luca, whether you agree/like it or not
*probably the implied forms are more used in these situations - no need to write “che” that way: “di”, “quando” or other conjunction can be found more easily. Take a look at the link at the end of this post.
7- it generally introduces the subjunctive mood conjugations: Che io sia = 1st singular person subjunctive mood tense simple present. The whole conjugation of the verb to be at the present tense is:che io sia, che tu sia, che egli sia, che noi siamo, che voi siate, che essi siano.
8- far sì che, fare in modo che (to make it as, to see that, to make sure that), considerato che (provided that), a patto che (on condition that), alla luce del fatto che (in the light of the fact that) …. => are fixed expressions in which you can find “che”. Plus, there are also many sayings/idiomatic sentences that use it.
9- with comparatives (translated as than): especially among the same group of things or about different characteristics of the same subjetcs. Luca è più bello che simpatico = Luca is more beautiful than funny.Ci sono più cani che gatti = There are more dogs than cats
I suggest you to take a look here, especially at the verbs/coniugazioni verbali (subjunctive=congiuntivo mood and congiuntivo e frasi relative = the first link I left you in #1), the complementi section, the aggettivi section (last post, about comparatives). And most of all take your time because it is a tough stuff to learn.BTW as always feel free to write again if something isn’t clear!
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maddalenafragnito · 4 years ago
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A wetlab in every neighbourhood!
Despite everything, the first phase of our #Obot project has begun thanks to #Biofriction residency (we talked about it here and here). On the wall of our new studio there is a poster that welcomes us and explains: the "wetlab" is a humid, wet, fluid, sticky, greasy, soaked, dirty laboratory; in short, a place where liquids pour. If we were in another context we would talk about squirting but we are in an (unconventional) biology laboratory. Yet there is an analogy. Closed inside the spaces of @Hangar.org we are learning to move between test tubes, pipettes, reagents, slides, forceps and centrifuge machines, and we discover that looking at us under the microscope is literally an orgasm. From this perspective, it is not only our gaze that is transformed but the very questions that build it, provoking new paths and other imaginations.
In this first phase of experimentation with tears, blood, saliva and vaginal fluids we ask ourselves what is found and inferred within and through the micro perspective of a good microscope - such encounters that at a 1:1 scale are so difficult to identify. 
We found out how looking at the same slide with different eyes leads to multiple stories, sometimes divergent, because who we are shifts our every gaze towards different angles and focuses. "Science with conscience" says Edgar Morin, or namely the scientific gaze aware of its role, of its situatedness many feminists would say.
Perhaps #Obot begins to take shape in this attempt to break the rhetoric of the biology laboratory as an untouchable, complex and inaccessible place.
Risking the hypothesis of open local research spaces: a #wetlab in every neighborhood! Between open and shared protocols, enhance and disseminate knowledge and autonomy on bodies’ understanding: from making visible the multi-species interdependence that keeps us alive to identifying the "external" entities that live there, a practice of radical optical consensus at 100 and 250x.
Speaking of opening research spaces, we decided to create an Instagram account where to share experiments, visions and microworlds. @_Obot_  will be a place where to ask questions. In fact, many of the millions of entities met on a slide we do not yet know who they are and this common process of mapping the relationship between "inside" and "outside" intrigues us greatly.
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Un wetlab in ogni quartiere
Novembre 2020, Barcellona. 
Nonostante tutto, la prima fase di residenza #Biofriction del progetto #Obot è iniziata (ne abbiamo parlato qui e qui). Alla parete del nostro nuovo studio c’è un poster che ci accoglie e spiega: il “wetlab” è un laboratorio umido, bagnato, di fluidi, appiccicoso, unto, inzuppato, sconcio; insomma, un luogo dove si riversano dei liquidi. Fossimo in un altro contesto si parlerebbe di squirting ma ci troviamo in un laboratorio (non convenzionale) di biologia. Eppure un’analogia c’è. Chiuse dentro gli spazi di Hangar.org impariamo a muoverci tra provette, pipette, reagenti, vetrini, pinze e centrifughe e scopriamo che guardar-ci al microscopio è letteralmente un orgasmo. Da questa prospettiva, non è solo il nostro sguardo che si trasforma ma le stesse domande che lo costruiscono, provocando nuove strade e altre immaginazioni. 
In questa prima fase di sperimentazione con lacrime, sangue, saliva e fluidi vaginali ci chiediamo cosa si trova e si deduce dentro e attraverso la prospettiva micro di un buon microscopio – incontri che in scala 1:1 sono così difficili da identificare. Scopriamo come guardare con occhi diversi lo stesso vetrino porta a racconti multipli, talvolta divergenti, perché chi siamo sposta ogni nostro sguardo verso angolature e messe a fuoco differenti. “Scienza con coscienza” dice Edgar Morin, ovvero dello sguardo scientifico consapevole del proprio ruolo, del proprio posizionamento direbbero tante altre. 
Forse #Obot comincia a delinearsi in questo tentativo di rompere la retorica del laboratorio di biologia come un luogo intoccabile, complesso e inaccessibile. Azzardando l’ipotesi di spazi di ricerca aperti e territoriali: un #wetlab in ogni quartiere! Tra protocolli aperti e condivisi, potenziare e diffondere conoscenze e autonomia sul sapere dei corpi: dal rendere visibile l’interdipendenza multi-specie che ci tiene vive fino a individuare le entità “esterne” che ci abitano, una pratica di consenso radicale ottico a 100 e 250x.
A proposito di apertura degli spazi di ricerca abbiamo deciso di fare un Instagram dove condividere sperimentazioni, visioni e micromondi. @_Obot_ vuole anche essere un canale attraverso cui farsi domande. Infatti, molte delle milioni di entità che incontriamo in un vetrino non sappiamo ancora chi siano e questo processo comune di mappatura della relazione tra “dentro” e “fuori” ci intriga assai.
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wevuxmag · 6 years ago
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EDIT Napoli is an innovative design fair created to support, promote and celebrate a new generation of designers. It focuses on the rise of the designer-maker who is at the forefront of a movement that is challenging the traditional chain of production and distribution. EDIT Napoli selects a specific group of international, independent producers, craftsmen and enlightened manufacturers, emerging as an autonomous force in contemporary design.
    Hi Domitilla, we are glad to talk about this new project and we have some questions for you about it.
– How did it start? What led you and Emilia Petruccelli to initiate this project?
Due also to my experience as curator for the design section of Miart, Milano, Emilia Petruccelli proposed me to create a design fair. Together we understood that design for galleries has already its market channel as well as industrial design. What we are more interested in is the “middle-level”, the mix between entrepreneurs and research, which hasn’t an exclusive fair dedicated to. This how EDIT Napoli was born, a design fair with a service: the exhibitors can create direct contact with the retailers and buyers will be able to choose between a selection of quality and authenticity.
Insieme abbiamo capito che il design da collezione delle gallerie ha già i suoi canali, così come quello industriale. Ma il design che più ci interessa, quello di fascia media che crea il mix tra imprenditoria e ricerca, ancora non aveva una fiera esclusiva e specificamente dedicata. Allora è nata EDIT Napoli, una fiera che offre un servizio: a chi espone nel creare contatti reali con il mondo retail; ai compratori nell’avere una selezione di qualità e affidabile.
  – “Editorial design” is one of the keywords. What does this term mean? How does it relate to the contemporary world of design?
Editorial comes from “edition”, which means to have quality and the choice of a style to follow, with accessible products and not limited edition. Editors were the first great entrepreneurs in the design world and continue to be those who have a clear vision of what they want to produce. This is why sometimes editors are the designers themselves, or the artisans who produce by choosing their own reference authors, or even entrepreneurs with a recognizable product idea.
che significa avere come punto fermo la qualità e la scelta di una propria linea da seguire, con prodotti accessibili e non in tiratura limitata. Editori sono stati i primi grandi imprenditori del mondo del design e continuano ad essere coloro che hanno una visione precisa di quello che vogliono produrre. Per questo a volte gli editori sono i progettisti stessi, oppure gli artigiani che producono scegliendo i propri autori di riferimento, o anche gli imprenditori con una riconoscibile idea di prodotto.
  – Why Naples?
Naples has always been a cosmopolitan and international city, but also a deeply human place, where relationships between people have value. We want to take this energy from the city and make it a new context for doing business, without giving up the pleasure of all that an extraordinary city can offer.
Napoli è una città cosmopolita e internazionale da sempre. Ma anche un luogo profondamente umano, dove le relazioni tra le persone hanno un valore. Vogliamo prendere questa energia dalla città e farla diventare un nuovo contesto dove fare affari, senza rinunciare alla piacevolezza di tutto quello che una città straordinaria può offrire.
  – Edit Napoli looks like an innovative event, with a brand new format. What is the role of the residency program?
Once a year in September we will do a residency program, inviting foreign authors to work with Italian artisans, possibly from the South of Italy. It is the first time that a fair produces and sells the result of the collections as a real product. The result makes us understand the desire to give new life to the project and to the craft production, putting them in synergy. The result is research, but also a real product; a story of great fascination inside beautiful and functional objects
Una volta l’anno a settembre faremo un programma di residenza, invitando autori stranieri a lavorare con artigiani italiani, possibilmente del Sud d’Italia. E’ la prima volta che una fiera produce e mette in vendita il risultato delle collezioni come prodotto reale. Il risultato fa ben capire il desiderio di dare nuova linfa vitale al progetto e alla produzione artigianale, mettendole in sinergia. Il risultato è ricerca, ma anche prodotto reale; una storia di grande fascino dentro a oggetti belli e funzionali
  – What does Edit Napoli want to communicate to the world of design?
It is possible to make, sell and buy quality designs. For us today what makes the difference are original and non-homologated, thought-out pieces, rich in a unique story that must be told with the right timing and in the right context. This is what EDIT is working for. Because true luxury lies in ideas, not in an old concept of “preciousness”.
Che è possibile fare, vendere e comprare design di qualità. Per noi oggi quello che fa la differenza sono pezzi originali e non omologati, pensati, ricchi di una storia unica che va raccontata con i giusti tempi e nel contesto adeguato.  Questo è quello per cui EDIT sta lavorando. Perché il vero lusso sta nelle idee, non in una vecchia concezione di “preziosità”.
    – With Edit Napoli, there is also the desire to approach the client, the people, raise awareness about materials and production methods. Why did you feel this need?
Because too often we are distracted and do not allow ourselves the time to really know what then enters our homes and maybe will accompany us for a lifetime. The story of a project, of an idea, but also of a particular material, of how it was treated and worked, are not irrelevant details. Otherwise our inhabited landscapes will always be populated by numbers and codes, without a story and a soul.
Perché troppo spesso siamo distratti e non ci concediamo il tempo per conoscere davvero quello che poi entra nelle nostre case e magari ci accompagnerà per una vita intera. La storia di un progetto, di un’idea, ma anche di un materiale particolare, di come è stato trattato e lavorato, non sono dettagli irrilevanti. Altrimenti i nostri paesaggi abitati saranno sempre popolati da numeri e codici, senza una storia e un’anima.
  All Rights reserved to EDIT Napoli
Images by Claudio Bonoldi
EDIT NAPOLI #artigianato #artist #craft #crafts #craftsmen #creativity #design #editnapoli #event #exhibition EDIT Napoli is an innovative design fair created to support, promote and celebrate a new generation of designers.
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radicaltransfeminismzine · 7 years ago
Text
Sciopero! Strike! A statement from the transfeminist strikers of the CIRQUE conf (bilingual version)
Riceviamo & pubblichiamo da* scioperanti della conferenza CIRQUE
[Questo comunicato nasce come testo bilingue, ma per facilitare la lettura trovate la versione solo italiano qui e la versione solo inglese qui]
[this statement was born as a bilingual text but to make the reading easier we have a only-english version here and a only-italian version here]
Bilingual version:
Siamo trans*, lesbiche, camioniste, ricchioni, femministe, persone trans-queer nere. Siamo ricercatrici senza stipendio o con stipendi intermittenti, attivist*, performer, traduttrici, professori a tempo indeterminato cui l’accademia neoliberale rende la vita impossibe perchè troppo critici, troppo emotiv*, troppo soggettiv* o troppo “di nicchia”. Proveniamo da contesti geografici e culturali diversi.
We are trans, lesbians, butches, femmes, queers, feminists, trans-queers of color. We are wageless scholars or with intermittent wages, activists, performers, translators, tenured professors whose lives are made miserable by neoliberal academia for being too critical, too emotional, too subjective or too “niche”. We come from and live in different geographical and cultural contexts.
Sentiamo l’urgenza e il bisogno di condividere il racconto di come, all’interno di una conferenza accademica politicamente problematica come ce ne sono tante, ma forse un tantino peggio delle altre, ha preso corpo quella che per noi è stata una forma di SCIOPERO dal lavoro accademico precario, ma anche dal surplus di sfruttamento e alienazione che subiamo in quanto lavoratrici/-tori trans, lesbiche, froce, razializzate dell’industria accademica e della produzione culturale. Uno sciopero che vediamo in profonda connessione con lo sciopero internazionale delle donne dell’8 marzo.
We feel the need and the urge to share how, during a conference politically problematic as many others, but maybe a little bit worse than others, something emerged that we came to see as a form of STRIKE from precarious academic work, but also from the additional exploitation and alienation that we suffer as trans, queer, lesbian, racialized workers in the academic industrial complex and in the cultural production industrial complex. We see this STRIKE deeply connected to the 8th march women’s global strike.
Di tentativi di depoliticizzazione e appropriazione del queer ne abbiamo visti e ne vediamo tanti. Bisogna dire però che quello portato avanti nella conferenza organizzata a L’Aquila dal CIRQUE (Centro Interuniversitario di Ricerca Queer) dal 31 marzo al 2 aprile scorsi si è distinto per la sfacciataggine, la pretesa di legittimità, la violenza e la particolare rozzezza dell’operazione.
We witnessed many times people trying to depoliticize and appropriate “queer”, but we have to say that the way this was done in the conference in L’Aquila by the CIRQUE (Interuniversity Centre for Queer Research), from the 31st March till the 2nd April was worse than usual, in terms of sense of entitlement, violence and lack of sensitivity.
Così l’ultimo giorno della conferenza, esasperat* e stanch*, abbiamo scioperato dai panel ufficiali nei quali eravamo attes* chi come speaker, chi come pubblico: abbiamo occupato un’aula, e ci siamo pres* il tempo e lo spazio fisico e simbolico per una sessione di discussione transfemminista autonoma e autogestita.
The last day of the conference, we were drained and we had had enough. We striked from the official panel were we were supposed to be, some of us as audience, some of us as speakers, and we carved out the time and the physical and discursive space for a self-managed, autonomous transfeminist session.
Uno spazio in cui discutere fra soggettività diverse ma unite dal mutuo riconoscimento e dalla pratica politica del posizionamento. Uno spazio per far avanzare il nostro pensiero e con esso le nostre lotte. Uno spazio in cui non essere sempre riportat* indietro dall’ignoranza del privilegio dei gruppi dominanti.
We created a space in which we could discuss among different subjectivies, united by mutual recognition and the practice of politics of positioning. A space where we could advance our thoughts and therefore our struggles. A space where we could not be pushed back again and again by the ingnorance stemming from the privilege of dominants groups.
In questo modo, abbiamo scioperato dal lavoro pedagogico e di cura delle classi dominanti, quel lavoro non riconosciuto e non pagato che ci viene richiesto come dovuto ogni volta che subiamo violenza fuori e dentro l’università: ogni volta che ci si aspetta che spieghiamo con pazienza al povero etero pieno di buone intenzioni (o gay-cis bianco, o qualunque altra posizione di privilegio si dia nella specifica situazione) perché un certo comportamento ci offende ed è politicamente problematico; ogni volta che dobbiamo supplire all’ignoranza o soddisfare la curiosità delle persone “normali” come condizione per farci “accettare” – una situazione in cui la conferenza CIRQUE ci ha messo innumerevoli e insopportabili volte.
We interrupted the pedagogic labour, the emotional labour and the educational labour toward the dominant classes, that unrecognized and unpaid labour that is expected from us each time we suffer violence in and outside university, each time people expect us to explain carefully and patiently to the poor straight white male full of good intentions (or the white cis gay male, or any other subject in a position of privilege in the specific situation) why this or that behaviour of his hurts us and is politically problematic; each time we have to remedy the ignorance or satisfy the curiosity of the “normal” people as a condition to be “accepted”. The cirque conference put us in this situation many, too many and unbearable times.
Abbiamo scioperato interrompendo l’estenuante lavoro di cura delle pubbliche relazioni che dovrebbe servire a farci avere un domani l’ennesimo contratto sottopagato (forse). Ci siamo pres* invece il tempo e lo spazio per prenderci cura collettivamente di noi e dei nostri bisogni (e ne avevamo bisogno, dopo tutto quello che avevamo dovuto subire!).
We interrupted the exhausting work of networking that is supposed to be important in maybe getting us a job one day, maybe just another underpaid job. Instead we took the space and time to collectively take care of ourselves and OUR needs (and we needed it, after all the shit we went through).
Ci siamo sottratt* al dovere di “farci vedere”, dando invece consistenza e visibilità a tutto il lavoro invisibile che in continuazione dobbiamo ri-produrre.
We refused to comply with the imperative of “being visible”, instead we gave visibility to the invisible work that we re-produce all the time.
Abbiamo smesso di competere e sgomitare per ottenere il riconoscimento del nostro lavoro e ci siamo pres* uno spazio in cui scambiarci orizzontalmente riconoscimento e conoscenze basate sui nostri vissuti.
We stopped competing with each other to get the recognition of our work and we made space to exchange/share recognition among peers in a horizontal way, and to share knowledges embodied in our lives.
Questo spazio ce lo siamo preso e lo abbiamo difeso. Alcuni organizzatori della conferenza si sono presentati nella candida convinzione che anche quel tempo e quello spazio fossero destinati a interagire con loro; per loro era impossibile immaginare che lì, in quel momento, i privilegi potessero essere nominati, le relazioni di potere sfidate, la pedagogia interrotta, fino a farli sentire a disagio, fuori luogo, insopportabili, espulsi e farli uscire dalla stanza.
We un-occupied this space (we took this space ourselves) and we defended it. Some of the organizers showed up, naively convinced as they were, that even this time and this space were devoted to adressing them; for them it was impossible to imagine that in this space privileges could be named, power relationships challenged, pedagogy interrupted to the point that they would feel uncomfortable, in the wrong place, unwelcome, expelled, so that they had to get out the room.
Chiediamo migliori condizioni per il lavoro produttivo, affettivo e di cura non riconosciuto che svolgiamo per l’accademia. Già dobbiamo combattere quotidianamente contro le molteplici forme di oppressione che subiamo nella società: non abbiamo più intenzione di doverci ritagliare faticosamente il nostro spazio e svolgere questo lavoro di pedagogia continua anche in un ambiente che si proclama ‘friendly’ e ‘progressista’, e che invece si rivela ostile e violento.
We demand better conditions for this unrecognized, economic, affective and care labour that we produce for the academy. Given that we already have to resist multiple oppressions  in society, we refuse to have to make space and perform with difficulty unpaid labour in a supposedly “friendly” and “progressive” academic environment which proves instead to be hostile and violent.
Il nostro sciopero è uno sciopero contro la violenza epistemologica, contro il lavoro gratuito di spiegazione di sé e di educazione delle classi dominanti che ci viene estorto, contro la precarietà, lo sfruttamento e l’oppressione imposta alle lavoratrici/lavoratori della conoscenza, contro il razzismo, l’islamofobia e il pinkwashing. Ma se scioperiamo contro queste cose è perché hanno delle conseguenze materiali sulle nostre vite di persone queer, trans, precarie ben oltre l’università.
Our strike  is against the epistemic violence, against the unpaid and unrecognized labour, that is extracted from us, the labour of explaining oneself and educating dominant classes; against precarization, exploitation and oppression that academic workers suffer. Against racism and slamophobia and pinkwashing. We strike against these things because they have material consequences on our lives of queers, trans, precarious folks far beyond university.
Grazie alla solidarietà e alla creatività che ci hanno permesso di trasformare almeno in parte l’esasperazione, la rabbia e il dolore in un momento di resistenza, le nostre ferite stanno guarendo. Noi stiamo guarendo, ma perché chi ci ha ferito non sente il bisogno di mettersi in discussione e non viene messo di fronte alla responsabilità delle proprie azioni? Noi non staremo zitt*.
Thanks to the solidarity and creativity that allowed us to partially transform our irritation, anger and pain into a tool for resistance, friction is healing. We heal, but why do those who hurt us not see the need to question themselves or face accountability for their actions? We won’t shut up.
Il pensiero queer (o frocio, lesbico, ricchione..) e trans dentro e fuori dall’accademia è radicato nelle vite froce, nasce dai movimenti, e deve essere a supporto delle nostre vite e delle nostre lotte.
Queer and trans thought in and outside the academy is experience based and must support our lives and our struggles.
Non possono fermarci, resistiamo, scioperiamo, cospiriamo. Il patriarcato cis-sessista-abilista-capitalista-bianco-maschio-eterosessuale cadrà a pezzi e morirà e al suo posto sorgerà un meraviglioso mondo transfemminista queer.
Utimately, they can’t hold us down, we resist, we strike, we fight back. The cissexistableistcapitalistwhitemaleheteroptriarchy will crumble and die and a more beautiful transfeminist queer world will arise.
***
Per saperne di più: alcune “perle” dalla conferenza CIRQUE…
To know more: “the best of” the CIRQUE
Queer? L a qualunque (tanto va bene tutto) /
QUEER?: WHATEVER, ANYTHING GOES
Nell’intervento di apertura della conferenza, l’idea che il queer dovrebbe sganciarsi dalle soggettività e dai corpi lgbt per diventare uno strumento di decostruzione astratto, utilizzabile da chiunque per qualunque cosa, ci è stata spacciata come il nuovo orizzonte degli studi queer.
The conference’s opening speech proposed the idea that queer theory should be detached from queer bodies and queer subjectivites to become an abstract tool of deconstruction that can be used by anyone and for any purpose.
Mettiamo le cose in chiaro: come transfemministe siamo le prime a fare attivismo in gruppi composti da soggettività diverse, e pensiamo che il queer, come pratica politica e di conoscenza, può essere praticato da chiunque, a patto però di posizionarsi e di sapersi assumere la responsabilità e la parzialità del proprio posizionamento e del sapere che da lì si produce; a patto di saper riconoscere i privilegi, i punti ciechi, le complicità che derivano – anche tuo malgrado e a dispetto della tua grande buona volontà – da quel posizionamento. E a patto di riconoscere una genealogia che parte dalle esperienze incarnate di lesbiche razializzate, froce, camioniste, checche, travestite e trans*.
Tutto il contrario di ciò che è stato fatto, ed esplicitamente rivendicato dagli organizzatori della conferenza dell’Aquila.
Bisogna essere chiari sugli interessi che ci spingono a studiare determinate esperienze che non sono la nostra. Rifiutiamo ogni tentativo di ricodificare la neutralità sotto falso nome. Chi può parlare per chi? A beneficio di quali interessi? Il punto, evidentemente, non è che puoi studiare le/i trans solo se sei trans, ma che senza politica del posizionamento anche il sapere più critico e apparentemente sovversivo torna ad essere uno strumento nelle mani delle classi dominanti. La conferenza CIRQUE ce ne ha dato innumerevoli esempi.
We want to make it clear: as transfeminists we are doing activism in groups in which different subjectivities are present, and we think that queer, as a political and epistemic practice, although generating from the embodied experiences of racialised lesbians, queers, butches, queens, trasvestites and trans people, can be practiced by anyone at one condition – that you position yourself and recognize the privileges, the blind spots, the collusions that stem from your position despite your good will.
The opposite of what has been done and explicity claimed by the conference organizers.
You have to be clear about the interests that move you to study certain experiences that are not yours. We have had enough of all these attempts to recodify neutrality under false names. Who can speak for whom? For the benefit of which interests? The point is clearly not that you have to be trans to study trans people, gay to study gay people etc. but that without politics of positioning even the most subversive and critical knowledge becomes again a tool in the hands of dominant classes. Cirque gave us plenty of examples in this direction.
Durante la conferenza, abbiamo visto utilizzare il termine “queer” per designare qualunque cosa vagamente non normativa, qualunque pratica che apparisse “trasgressiva” agli occhi del ricercatore, qualunque prospettiva critica su questo o quell’argomento (del tipo, “queerizzare questo e quello”), senza nessuna svolta queer nella metodologia, così che qualunque cosa potesse essere legittimata fintanto che “scientificamente” accreditabile.
Throughout the conference, we have witnessed the term “queer” being used as a signifier to characterize anything vaguely non-normative, any critical perspectives on x or y field or topic (queering this, queering that…), and in particular, practices that seemed “transgressive” (whatever that means) to the researcher’s eyes. But their conservative and still straight epistemological framing and methods were never adressed. All the contrary: they were kept in place in order to pass as “scientific”.
“Queer” è ritornato a significare ciò che è scioccante, strano, ciò che la moralità vede come raccapricciante. Questo uso manipolatorio del termine “queer” mostra il pericolo di scivolare verso atteggiamenti queerfobici o anti-queer. Ma non è esattamente un atteggiamento anti-queer che informa questo tipo di interpretazione del queer? È chiaro che la ragione più ovvia per questo tipo di scorciatoie è il fatto che per l’occhio etero accademico, “queer” rappresenta un concetto di nicchia ricercato da pochi, che lo rende “intrigante” e “figo”.
“Queer” went full circle, essentially going back to a shocking word for the “strange” and “what morality sees as creepy”. This kind of tokenistic and manipulative use of “queer” shows the danger of slipping back into queerphobic or anti-queer attitudes. Or isn’t it precisely an anti-queer attitude that informs that kind of interpretation of queer? It’s clear that the most obvious reason for such smokescreens and shortcuts is that to the straight academic eye, “queer” is another obscure niche that no one’s looking at, which makes it “edgy” and “cool”.
Per esempio, alcune presentazioni alla conferenza hanno utilizzato il termine “queer” per accreditare indirettamente motivazioni per il sesso intergenerazionale non consensuale. Mentre studiare la pedofilia può essere una cosa legittima, in questi casi specifici era davvero poco chiaro perché ci si appellasse a questa accezione di queer come significante di qualsiasi cosa. Per di più senza riguardo per le implicazioni etiche di tale prospettiva, e nella completa non considerazione dell’esperienza delle persone che avevano subito abusi da piccol* presenti nel pubblico, tutto ciò anche dopo che queste sono intervenut* nel dibattito.
For instance, some presentations in the conference used “queer” to indirectly or tacitly bring in arguments about non-consensual, intergenerational sex. While studying paedophilia can be a legitimate endeavour, it was unclear, in these specific cases, why the talks would be conflated with queer anything. This, of course, without regard for the ethical implications of such an outlook, and with contempt for the complete erasure of survivors in the audience, even *after* they have spoken out.
Il titolo della conferenza era “Cosa c’è di nuovo negli studi queer?”. Ma niente di nuovo può arrivare da chi non sa nemmeno di cosa sta parlando. Eppure, cosa ci dice questo titolo a proposito del significato di “queer”? Chi è legittimato a chiamare la propria ricerca queer? Chi ha improvvisamente interesse a strombazzare di fare “ricerca queer”? Queste sono le vere domande dietro “cosa c’è di nuovo nei queer studies”.
“What’s new in Queer Studies?” was the title of the conference. It was but a lure: nothing is new from those who have no idea what they’re even talking about! But what does that say about the meaning of “queer”? Who is legitimate to call their research queer and who is now claiming queer studies? These are the real question behind “what’s new in queer studies”.
Conosciamo bene il desiderio dell’accademia di capitalizzare il queer, le esperienze e i corpi trans*- e in particolare le trans povere e nere. Abbiamo conosciuto e viviamo ancora sulla nostra pelle cosa significhi diventare oggetti di studio spersonalizzati, abbiamo visto in tutti questi anni le nostre pratiche di lotta e resistenza ridotte a pura estetica depoliticizzata, continuiamo a vedere come i pensieri che produciamo insieme alle nostre comunità ci vengano sottratti per diventare materiale e dati per speculazioni teoriche che saranno poi rivendute come “produzioni scientifiche”.
In Italia, in particolare, in questo momento è in atto un vero e proprio tentativo di imperialismo epistemologico: cancellate le esperienze di dissidenza dai generi ed eccentricità in cui cui siamo cresciut* come attivist* e pensator.ici queer (o froce, o ricchione) oggi l’accademia italiana si affanna a dimostrare di essere all’altezza degli standard anglofoni, producendo una norma di ciò che il “queer” dovrebbe essere e riproducendo le proprie gerarchie anche in questo spazio.
We know too well the desire of accademia to capitalize on queer and the experiences and the bodies of trans* people – in particular of poor trans women and trans women of colour. We know through our own skin how it feels to be treated like dehumanised objects of study. Our practices of struggle and resistance are reduced to mere depoliticized aesthetics. The thought we produce in our communities are stolen and become raw material and data for theoretical speculations that will be marketed as “scientific productions”.
In Italy in particular, in this moment there is an attempt to carry on epistemic imperialism: italian academia is trying to erase the experiences of gender dissidence and eccentric sexuality in which we grew up as queer activists and scholars, and to demostrate that it can catch up with the anglophone standards, thus producing a norm of what queer is or should be and reproducing its own hierarchies in this space.
Il paradigma indiscusso della bianchezza: razzismo culturale a 360 gradi / WHITENESS UNQUESTIONED, CULTURAL APPROPRIATION, RACISM ALL OVER
La conferenza era satura di bianchezza, appropriazione culturale e appropriazione della produzione intellettuale del femminismo nero e postcoloniale.
Relatori bianchi si sono appropriati del concetto di razza (“trans-race”) semplicemente perché fa figo, spesso grossolanamente travisando argomenti o usando citazioni selettive per manipolare i testi per i loro fini, in contrasto con gli scopi esplicitamente sostenuti dalle/dai scrittrici/scrittori nere/i e postcoloniali. Perché non c’erano persone nere alla conferenza, mentre le persone bianche che reclamano un’identità nera sono viste come l’avanguardia della sovversione anti-identitaria?
The conference was saturated with whiteness, cultural appropriation, and the appropriation of the academic work of women of colour.
White panellists appropriated race to look “cool” (‘trans-race’), often grossly misrepresenting arguments, or using selective quotation to make texts work for their own means contrary to the arguments of the writers of colour they were citing. Why were there no Black people in the conference, while people who have appropriated Blackness are said to be transgressive?
Allo stesso tempo è stato affermato che l’atto di performare le altre culture è radicale perché (citando un professore cis etero bianco alla conferenza) “queer è performatività per cui anche la razza puo essere performata”. La sola persona evidentemente non bianca presente alla conferenza, una donna trans, ha dovuto spiegargli perché la performance sull’indian face (due ragazze bianche che perfomavano un’immaginaria quanto orientalista India) fosse un’appropriazione culturale estremamente offensiva e razzista. Nononstante ciò lui non ha voluto ascoltarla e ha continuato a interromperla.
Meanwhile it was claimed that performing Othered cultures is radical because (quoting a cis straight white man at the conference) “queer is about performance so race too can be performed”. The only visible person of colour, a trans woman of colour, in the conference had to explain imperialism/colonialism to him – to explain why an “indian face” performance (two white women performing an imaginary and orientalist India) is a cultural appropriation extremely offensive and racist. And he would not listen, kept interrupting her; he simply would not hear.
E ovviamente non poteva mancare un tocco di islamofobia, nel momento in cui, con l’intento falsamente neutro di “problematizzare” e “riflettere”, in nome della libertà di parola si tendeva a legittimare il discorso islamofobico e a delegittimare l’attivismo queer anti-islamofobico, facendo passare per innocente il meccanismo per cui la figura di una persona lgbt ex-musulmana viene usata per mettere a tacere voci musulmane e queer, e voci queer mussulmane. L’islamofobia ha preso corpo nelle parole di uomini bianchi che hanno usato la presunta “oppressione delle donne e delle/dei froci/e” nell’Islam a supporto del proprio privilegio.
The conference was rife with islamophobia, with the trope of the ‘former muslim’ lgbt person being used to silence queer and muslim and queer muslim voices. ‘Freedom of speech’ was used to ‘pinkwash’ Islamophobic hate speech and muslim-bashing. Pink Islamophobia manifested in white males using Islam’s supposed ‘oppression of women and queers’ to bolster their own privilege.”
Fenomeni da baraccone: patologizzazione e sessualizzazione delle/dei trans* / FREAKS IN THE CIRCUS: PATHOLOGIZING AND SEXUALIZING TRANS* FOLKS
Le presentazioni su tematiche trans* italiane o da parte di panelist trans italian* (nello specifico, si trattava solo di persone che si identificavano nello spettro del maschile) sono state per lo più collocate nelle sessioni intitolate “Sessualità”. Come noto, l’etichetta “sessualità” è molto problematica per molte persone trans, si rifà al linguaggio medico e mostra una non comprensione delle soggettività ed esperienze trans.
Presentations about Italian trans issues and/or by Italian trans panelists – in the specific case we had only people who self-identified as transmales – were mostly placed in the “Sexualities” panels. The label “sexuality” is very problematic and triggering for many trans people: it shows a miscomprehension of trans experiences and bodies stemming from a medicalised frame of reference.
Inoltre, vogliamo sottolineare la totale assenza di donne trans italiane alla conferenza, mentre abbiamo assistito alla presentazione di una ricerca su una comunità di donne trans da parte di una ricercatrice cisgender che si è distinta per la quantità di transmisoginia, classismo, puttanofobia e paternalismo che ha espresso, e per la corrispondente quantità di rabbia che ha causato alle persone trans, queer e femministe alleate presenti nel pubblico.
We also want to remark the complete absence at the conference of trans women and transfeminine people from Italy  contrasting it with the presence of a paper on trans women (by a cis female researcher) that was incredibly transmisoginist, whorephobic, classist and paternalist and raised the rage of the trans queer and feminist people in the audience.
Quando le è stato esplicitamente chiesto di situarsi rispetto all’oggetto della sua ricerca, la ricercatrice ha addirittura argomentato il suo senso di legittimità e di competenza in materia dicendo che “sono una delle poche non apparteneti alla comunità LGBT che stanno studiando queste persone” e che uno sguardo esterno è necessario per fare ricerca, mentre la chair del panel chiedeva alle persone trans* presenti in aula di portare pazienza e di “insegnarle”.
When we asked the presenter to position herself with respect to the subject of her research, the panelist affirmed her sense of entitlement and ‘objective’ expertise on the subject by saying “I’m one of the few non LGBT persons that is studying ‘these people'”. She went on saying that an external gaze is necessary for carrying on research. In the meanwhile the chair of the panel was asking trans women in the room to be patient and to educate the panelist.
Il sapere prodotto e legittimato dalla conferenza CIRQUE, nel contenuto come nelle modalità, lungi dal contribuire a contrastare o a criticare l’oppressione delle soggettività trans*, ne ha riprodotto alla perfezione i meccanismi: le femminilità trans sono state ipervisibilizzate, ridotte a feticcio e a mero oggetto di studio e di discorso altrui; le mascolinità trans sono state per lo più neutralizzate e invisibilizzate; le une e gli altri vengono esclus* e espuls* dalla scuola e dall’università, o inclus* a prezzo di sofferenza, marginalizione.
The knowledge produced and legitimized by the CIRQUE conference, the content and the practices dysplayed within it, did not contribute to contrast oppression toward trans* subjectivities in general, and Italian ones more specifically. On the contrary, mechanisms pushing trans oppression and specific to the Italian context were reinforced: transfemininities were fetishized, they were made supervisible as non trans people’s “object” of study, as objects of a speech not centered on their words; transmasculinities were erased and invisibilized. This happens in a cultural context (the Italian one) were all trans people are erased, excluded from educational settings or included but with a high price to pay: microaggressions, marginalizations, overworking and liability to be blackmailed.
NO ID, NO WI-FI ! : ADMINISTRATIVE VIOLENCE /Niente carta d’identità, niente WI-FI. La violenza amministrativa
Il cosiddetto comitato organizzatore della conferenza CIRQUE è arrivato perfino a chiedere ai/le partecipanti di fornire in anticipo una copia della loro carta di identità (ebbene sì!) per ottenere l’ accesso alla rete wi-fi durante la conferenza. Invece di vantarsi di aver scelto l’Aquila come sede della conferenza, forse gli organizzatori si sarebbero dovuti ricordare della violenza amministrativa che viene esercitata attraverso le carte di identità, sia sulle persone trans* sia sulle vittime del terremoto del 2009, confinate in campi gestiti da militari, sottoposte a coprifuoco e costrette a mostrare i propri documenti per entrare e uscire dai campi.
The so called organizing committee dare asking participant to provide beforehand with a copy of their ID (yes ID!) to get wifi access during the conference. Instead of showing off with the picking of L’Aquila as a location for the conference, maybe the organizers should have remembered about the administrative violence that comes with ID papers – be it for trans folks, or the victims/survivors of the L’Aquila earthquake in 2009, who ended up confined in camps ran by the military, subject to curfew and having show their papers to get in and out of the camp and at military checkpoints around the city.
Problemi di traduzione. Accesso negato ai non-anglofoni?
La traduzione non è mai stata menzionata né prevista durante tutta la conferenza. La traduzione è per noi una questione non solo linguistica, ma politica. Attraverso la barriera linguistica si sono messe a tacere ulteriormente le voci dissidenti. Così l’accademia italiana si affanna a dimostrare di essere all’altezza degli standard internazionali anglofoni, e nell’organizzare una conferenza in Italia – rivendicando la scelta dell’Aquila, la città che rinasce dal terremoto ecc. – ha più a cuore l’accessibilità delle presentazioni ad un pubblico anglofono rispetto a quello locale, in un’ottica colonialista/monolingue succube dell’imperialismo linguistico inglese.
La traduzione andrebbe vista in un’ottica di scambio più profondo fra lingue, culture e contesti intellettuali diversi, e non come un orpello aggiuntivo non necessario e non degno di essere retribuito, che ha portato gli organizzatori a dire che “non ci sono soldi per la traduzione” senza interrogarsi su altre possibilità. Perché la necessità della traduzione non è considerata, per esempio, al pari del catering o della cartellina da distribuire a inizio conferenza?
Translation issues were never mentioned and translation was not provided during the conference. The question of translation is not only a matter of linguistics but also of politics. Through the language barrier dissident voices were further silenced. The Italian Academy strives to prove to be up to international Anglophone standards, so that in organising a Conference in Italy is more concerned with the accessibility of the presentations to an English speaking audience rather than to a local one, in a colonialist and monolingual perspective, influenced by English linguistic imperialism. All this despite the fact that the choice of l’Aquila as location bears a strong focus on local history and hinted at notions such as rebirth from the ruins of the earthquake.
The translation should be seen in the perspective of a deeper exchange between languages, cultures and intellectual contexts, and not like an additional unnecessary frill not worthy to be paid for, that made the organizers say that there was no money for the translation without interrogating themselves on alternative possibilities. Why is the issue of translation not considered at the same level of catering or the conference pack distributed at the beginning of the conference?
La violenza del sistema / SYSTEMIC VIOLENCE
Questa conferenza è stata un’ulteriore manifestazione della violenza che subiamo tutti i giorni, dei colpi che riceviamo fuori e dentro l’università. Gli organizzatori hanno riprodotto ogni tipo di gerarchia, ignorando il fatto che siamo (più) precarie proprio a causa delle oppressioni del sistema e delle gerarchie accademiche. L’essere queer e trans ci relega al fondo della catena alimentare. Il fondo della catena alimentare ha bisogno di mangiare. Vogliamo essere pagat* per il lavoro che facciamo. Renderemo visibile il lavoro invisibile. Sciopereremo ancora.
This conference was another manifestation of the violence levelled at us everyday, of the hurt we experience in the world, in the academy too. The organisers reproduced every kind of hierarchy, ignoring the fact that we are precarious because of systemic oppressions and academic heirarchies. Our queer and transness puts us towards the bottom of the food chain. The bottom of the food chain needs to eat. We want money for the work we have undertaken. We will make visible the invisible work. We will strike again, whenever it is necessary.
Transfemministe in sciopero dalla conferenza CIRQUE (L’Aquila, 31 marzo- 2 aprile 2017)
Transfeminist strykers from the CIRQUE Conference (L’Aquila, 31st march – 2nd april 2017)
contatti: andystrikes2[ a t ]gmail[punto]com
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martinamaccianti · 7 years ago
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KNOCK DOWN THE BODY 
 (eng) 
 In the common opinion and speech, the concept of “feminism” has always been held, crushed and belittled, erroneously defined like a movement whose sole aim is the complete elimination of the man in its whole being and the consequent universal supremacy of the woman. Denying this concept might seem obvious, but, unfortunately, I am more than sure that it is not even in 2017. 
It is worth reminding that the feminist ideological manifesto focuses its attention on a whole series of criticism of the traditional vision and condition of the woman from the dawn of time and another series of proposals regarding new relations between genders, whether in private or public life. So the answer is no, feminism and machismo are not simply two sides of the same coin, in which machismo shall mean all those attitudes and beliefs of male superiority towards women in every context. 
Ascertained and confirmed this, I just wish we could go beyond all together. To imagine something else. To overcome the usual stereotypes of past feminist fight (which they have not been wrong, but in my opinion, they do not represent the current situation) and to find a new way, a new fight model, a new future aim. Against our will, we realize that in this phallocentric and patriarchal society, to take to the streets with massive papier-mâché vaginas does not work. To found and base the feminist speech solely and exclusively on sexual front, trying to define one’s freedom in this context through a more libertine and shameless language do not work either. This view is a successful attempt to make men happy in a phallocentric thinking, in which their ideal world see the woman in the kitchen or with her head in front of his pelvis. 
I believe we should go beyond. 
In 1992 Donna Haraway wrote in his A Cyborg Manifesto how western culture has always been marked by a redundant dualism like men/woman, body/mind and so forth, firmly answering with the figure of the cyborg, representing a hybrid which breaks down all these preconceived beliefs. The cyborg represent a figure that goes beyond every gender and sexual differentiation. What Haraway does is trying to destroy and strike out every theory ready-made by a purely patriarchal society; she flusters and cuts off any beliefs proposing to excess a futurist horizon populated by cyborgs. 
 “Yesterday vagina was a symbol of difference and common features at the same time - difference from men and common feature between women. Today it is hard to condense myself in this view. That is to say that I need to declare that my difference is not situated only between Fallopian tubes and outer lips.” Collettiva XXX 
 Knock down the body, do not consider it as a symbol that distinguish us; knock down the identity concept. 
For these reasons, I believe we have to fight, now, rationally, working and thinking big, wisely, being smart and clever. Writing, doing something, making art and yes, even taking to the streets, but in a more incisive, clever and well pondered way not just aesthetically, but above all, conceptually. Actually working to set genital difference to zero, to nothing. This cannot be achieved if we continue to raise feminism like a flag, and a barrier therefore. 
Borrowing the words of Shulamith Firestone, in short, the single aim of the current feminism should be “not just the elimination of male privilege but of the sex distinction itself: genital differences between human beings would no longer matter culturally.” 
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ABBATTERE IL CORPO 
 (ita)
Da sempre nel pensiero e nel parlato comune viene racchiuso, schiacciato e sminuito il “femminismo” definendolo erroneamente come un movimento che vede come unico fine delle femministe in questione la totale eliminazione del maschio in tutto il suo essere e la conseguente supremazia universale della donna; smentire ciò sembrerà una banalità, ma purtroppo sono più che convinta che non lo sia neanche nel 2017.
Il femminismo, fa bene ricordarlo, vede al centro del suo manifesto ideologico un insieme di critiche verso la visione e la condizione tradizionale della donna dall’alba dei tempi e un altrettanto insieme di proposte riguardanti nuove relazioni tra i generi, che si tratti di sfera privata o pubblica. Quindi no, il femminismo e il maschilismo non sono semplicisticamente due facce della stessa medaglia, dove infatti con maschilismo si intendono tutti quegli atteggiamenti e convinzioni di superiorità maschile nei confronti delle donne su ogni piano.
Appurato e riconfermato questo, vorrei che unitariamente riuscissimo ad andare oltre. Immaginare altro. Superare i soliti stereotipi di lotta femminista passata (che attenzione, non sono stati sbagliati, ma sono a mio parere poco attuali) e cercare un nuovo modo, un nuovo modello di lotta, un nuovo obiettivo futuro. Abbiamo a nostro malgrado capito che in questa società patriarcale e fallocentrica non funziona scendere in piazza con gigantesche vagine di cartapesta. Non funziona neanche fondare e basare il discorso femminista solo ed esclusivamente sul fronte sessuale, cercando di definire la propria libertà a riguardo solamente attraverso ad un linguaggio più libertino e sfrontato. Questo agli occhi di un pensiero fallocentrico è solo un tentativo ben riuscito di farlo felice, nel suo mondo ideale in cui la donna è quel qualcosa che sta bene ai fornelli e con la testa davanti al suo bacino.
Credo per questo che dovremmo andare oltre.
Nel 1991 Donna Haraway scriveva nel suo Manifesto Cyborg di come la cultura occidentale sia da sempre stata contraddistinta da un dualismo ridondante quale uomo/donna, corpo/mente e così via, rispondendo fermamente con la figura del cyborg, in quanto ibrido che rompe tutti questi preconcetti. Il cyborg rappresenta una figura che va oltre ogni diversificazione di genere e sessualità. Quello che Haraway fa è cercare di distruggere e stralciare ogni teoria confezionata da una società prettamente patriarcale; confonde e stronca qualsiasi convinzione proponendo all’eccesso un orizzonte futurista fatto di tecnomostri.
“Ieri la vagina era segno di differenza e al tempo stesso di tratto comune - differenza dall’uomo e tratto comune tra donne. Oggi farei un po’ fatica a riassumermi tutta lì. Vale a dire che ho bisogno di affermare che la mia differenza non sta solo tra le tube di falloppio e le grandi labbra.” Collettiva XXX
      Abbattere il corpo, non considerarlo segno che ci contraddistingue; abbattere il concetto di identità.
Credo per questo che si debba lottare, adesso, razionalmente, lavorando in grande e saggiamente, agire d’astuzia e di testa. Scrivere, fare azioni, fare arte, e sì, scendere anche in piazza, ma farlo in maniera ponderata, intelligente, impattante non solo dal punto di vista estetico, ma sopratutto concettuale. Lavorare davvero per fare sì che la differenza a livello genitale sia niente, zero, e questo non si otterrà fino a che la si innalzerà come bandiera, e conseguentemente barriera.
Quello che deve essere, in sintesi, l’obiettivo unico del femminismo attuale, prendendo le parole di Shulamith Firestone, è “non solo l’eliminazione del privilegio maschile, ma della stessa distinzione dei sessi: le differenze genitali tra gli esseri umani non avranno più nessuna importanza culturale”.
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