#storia cultura
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" Secondo un dato riferito nel rapporto annuale del Censis (dicembre del 2019), gli italiani sono affetti da una sindrome inquietante: la scomparsa del futuro. E questo provoca una sorta di “stress post-traumatico” collettivo. Assenza di futuro significa cose molto precise. La grande maggioranza vede che la mobilità sociale è bloccata, che l’ascensore sociale è rotto, che l’offerta di lavoro è scarsa; gli operai non sperano in avanzamenti; imprenditori e professionisti temono perfino una brusca scivolata in basso. Grave appare specialmente la condizione dei giovani in età lavorativa. Qui secondo una statistica del 2017 abbiamo il record europeo della cosiddetta generazione «neet» («neither in employment nor in education or training»): giovani tra i 18 e i 24 anni che non studiano, non hanno un lavoro e non lo cercano*. La perdita della memoria e l’ignoranza della storia si sommano all'assenza di futuro. O forse è proprio l’assenza di futuro che provoca una distorsione profonda nel senso del passato. La memoria sociale, detta anche memoria storica, è frutto di una continua rielaborazione di fatti e idee. Ed è qui che ci si imbatte nel ritorno d’attualità di relitti di nazismo e fascismo nelle idee e nei comportamenti collettivi. Ma intanto bisognerà tenere presente il nesso tra memoria del passato e speranza di futuro. "
*La ricerca Il silenzio dei NEET. Giovani in bilico tra rinuncia e desiderio è stata redatta da Annarita Sacco e rivista dallo staff del Comitato Italiano dell'Unicef.
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Adriano Prosperi, Un tempo senza storia. La distruzione del passato, Giulio Einaudi editore (collana Vele); prima edizione: 19 gennaio 2021. [Libro elettronico]
#Adriano Prosperi#letture#leggere#saggistica#saggi#storia#Un tempo senza storia#tempo#Unicef#Censis#futuro#conoscenza storica#cambiamento#umanità#eredità culturale#intellettuali contemporanei#mobilità sociale#Annarita Sacco#politica#società contemporanea#scuola#antifascismo#cultura#pandemia#memoria storica#dibattito culturale#NEET#ascensore sociale#distruzione del passato#generazioni
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DEVO. VEDERLO. DI. PERSONA.
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Civitella del Tronto
L'unico e ultimo baluardo del Regno delle Due Sicilie rimasto al momento della proclamazione del Regno d'Italia era nella Civitella del Tronto che era il punto fortificato più a Nord del Regno di Napoli e delle Due Sicilie.
Prima di arrivare alla Fortezza di Civitella in caso di necessità si doveva combattere casa per casa a partire da Porta Napoli, motivo per cui le stradine sono in salita ma si snodano in angoli retti, passaggi stretti e a punta e le case erano strutturate come case-forti.
Tant'è che qui c'è la "ruetta", la via più stretta d'Italia.
La Fortezza di Civitella è una fortezza imprendibile, infatti non è mai stata presa con le armi, piuttosto si è arresa ai Savoia e in quell'occasione alcuni soldati vennero fucilati, tra i quali vi era il parroco del paese, mentre gli altri furono spediti nelle prigioni nel Nord Italia, ma pian piano si cominciò a favorire la loro fuga in massa verso l'estero, dando così via al fenomeno dell'emigrazione, contrapposto alla creazione del Regno d'Italia, trovando proprio all'estero quel "Nuovo Mondo" migliore che promettevano invece i Savoia con la realizzazione del Regno d'Italia.
Questa immensa disillusione dopo il Regno d'Italia porta, dopo un periodo solare che è stato il Romanticismo, all'affermarsi del Decadentismo perché la delusione è tanta e non c'è più speranza, tant'è che perfino Garibaldi decide di isolarsi andando a Caprera.
Venne fatto saltare solo il primo ingresso della Fortezza, causando povertà nel paese, così in un primo momento si pensò di trasformarla in un carcere, ma alla fine ogni progetto venne abbandonato rendendola di fatto una cava a cielo aperto per gli abitanti che lì cavavano i mattoni necessari per sistemare le proprie abitazioni.
Ma nel 1975 arrivano dei professori universitari che vogliono celebrare nella chiesa della Fortezza una messa ai caduti di Civitella e questo riaccende l'interesse per ristrutturare la Fortezza e farla rinascere!
Il terzo camminamento ha una parte coperta che veniva chiusa con dei portoni da sfondare su entrambi i lati rendendola una vera e propria trappola mortale perché i proiettili sparati dalle grate delle porte rimbalzando all'interno ferivano più soldati.
Si tratta di una Fortezza spagnola che è stata costruita con gli stessi criteri delle altre Fortezze spagnole, quindi con la presenza di cisterne d'acqua piovana, in particolare quella di Civitella presenta 5 grandi cisterne, tre delle quali situate sotto le piazze d'armi, una nella casa del governatore e l'altra nella parte più remota che doveva resistere all'assedio, Civitella del Tronto è stata assediata tre volte e la campana situata al suo interno è in onore ai caduti di tutti e tre gli assedi.
#pensieri per la testa#persa tra i miei pensieri#reportage#reportage fotografico#reporter#compagni di avventura#visita guidata#alla scoperta del territorio#Abruzzo#abruzzese#Civitella del Tronto#fortezza#storia#architettura#cultura#assedio#decadentismo#regno d'Italia#ruetta#nebbia#guerra#armi#museo delle armi#campana#cisterna
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Il capovolgimento di tutti i valori vigenti si manifestò persino nella lingua, quale totale cambiamento di significati. Vocaboli che avevano indicato ab antiquo valori sommi, decaddero nell'uso parlato quotidiano a qualifiche di intenti e condotta spregevoli, ed altri, che sino allora significavano biasimo, fecero carriera e assursero a predicati laudativi. L'insensata irruenza passò ora per genuino valore e cameratismo, l'attesa previdente per viltà che si cela dietro sonanti parole. Il senno parve mera maschera della fiacchezza; la riflessiva cautela, mancanza d'energia ed inerzia. Si tenne la furia frenetica per segno di vera virilità, la ponderazione per atteggiamento da scansafatiche. Quanto più uno denigrava e insultava, tanto più era ritenuto fidato, e chi lo contraddiceva era sospetto. Persino i giuramenti che tenevano unito il proprio partito, vincolavano non tanto per la loro santità, quanto per la consapevolezza dei delitti commessi in comune.
Tucidite (Storie - V sec. a.C.)
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One hour away from Naples, there's a little Athens.
Paestum (SA), Italy~
#greek culture#greek ruins#greek mythology#poseidonia was the greek name of the city#Paestum#roman ruis#Italy#roman history#Roman history#Roman empire#roman culture#ruins#Italia#storia romana#rovine romane#cultura greca
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Quando l'asino non vuol camminare, raglia!
La disinformazione neotemplarista su San Giorgio Martire.
Care lettrici e cari lettori, come alcuni di voi sapranno, in questo lungo periodo ho ben altre cose serie a cui pensare, però sapete bene anche, quanto io mi fomenti nel momento in cui dei complottisti o negazionisti, imperversanti nel mondo "storico", si mettono ad emanar sentenze su argomenti che non dovrebbero toccare nemmeno con un bastone da rabdomante.
Questa volta tocca alla splendida chiesa di San Giorgio Martire, nel centro urbano di Petrella Tifernina in alto Molise, una cittadella che, tutta intorno, si sviluppa a guisa di quella veglia basilica, in cui, per molto tempo, ho passato periodi della mia adolescenza, quando mio padre, circa 16 anni fa, svolse numerosi sopralluoghi e studi di ricerca in compresenza del parroco Don Domenico, della sua associazione e di tanti accademici, archeologi, storici dell'arte e dell'architettura, molisani e d'oltre Regione.
Ora, come da tempo accade, è presa di mira anche da alcuni neo-templaristi, che purtroppo hanno visto troppi film d'azione sul medioevo, e soprattutto, troppi sulle leggende dei cavalieri Templari e delle crociate nella fattispecie, che vedono l'ordine come fautore di cose con le quali mai era stato legato, in tal caso, l'arrivo del culto per San Giorgio Martire nella penisola italiana, che a detta di talune pagine ed "eruditi", sarebbe sopraggiunto solo nel basso medioevo, al seguito delle crociate.
Vogliate concedermi una riflessione a riguardo, poiché affermazioni di questo tipo, ricopiate e ricalcate dalle pagine sensazionalistiche ed esoteriste, ed anche da parte di alcuni storici "non addetti ai lavori", sono assolutamente false e in evidente contrasto con la storia del nostro paese, seguendo un'ottica primitiva, oggi superata ampiamente dal mondo universitario e più propriamente storiografico.
Passerò pertanto a discutere su due punti salienti di questa lunga riflessione:
1) l'icona di San Giorgio
2) la lunetta del Magister Alferio.
Nel primo caso, viene asserita da taluni individui, la datazione della formella di San Giorgio Martire, al XIII secolo inoltrato, una cosa che assolutamente stride con qualsiasi nozione di storia dell'arte esistente, soprattutto per l'inesistente plasticità e tridimensionalità del bassorilievo, che nelle proporzioni ed irregolarità delle forme, nonché staticità dei corpi, si accosta al gran numero di produzioni di scalpellini di ambito centromeridionale tra la fine del X e la prima metà del XII secolo, con una netta evoluzione graduale tra gli stilemi arcaici preromanici di epoca longobarda/bizantina, e quelli romanici d'epoca normanna/sveva, che con la seconda fase sfocieranno nel protogotico svevo-angioino, seguendo una ripresa sempre più marcata di elementi classici, elaborazione nelle proporzioni, espressività e plasticità degli elementi, che si noterà principalmente in cantieri come quello di Santa Maria Maggiore a Monte Sant'Angelo, Santa Maria della Purificazione a Termoli, San Giovanni in Venere a Fossacesia, Santa Maria e San Leonardo a Siponto, San Clemente a Casauria e tante altre località tra Abruzzo, Lazio, Campania, Molise, Puglia ed anche Basilicata e nord della Calabria.
Per delucidazioni aggiuntive consiglio vivamente la lettura del libro: Molise medievale cristiano, Edilizia religiosa e territorio (secoli IV - XIII),di Federico Marazzi, Manuela Gianandrea, Francesco Gangemi, Daniele Ferraiuolo, Paola Quaranta, and Alessandra Tronelli.
Sulla rarità di icone preromaniche occidentali, che raffigurino il santo nell'atto di uccidere il drago, vorrei preventivamente chiarificare non sia esattamente così, la rarità è circoscritta quasi unicamente per il territorio italiano, e rarità non è sinonimo di inesistenza se il vocabolario me lo consente.
Si rammenti che nella penisola, già nel VI e nel secolo successivo si attesta la presenza del culto di San Giorgio Martire, escludendo in toto la teoria di una giunta dell'agiografia georgiana solo al seguito della sua Legenda Aurea, ma già attestata da fonti indirette ed apocrife, precedenti di molto ai secoli delle crociate, che vedrebbero la componente del mostro o drago, giungere nei territori dell'Est Europa e dell'Occidente, a cavallo tra il X e l'XI secolo, ed addirittura, essere postulata proprio in "territorio europeo" con una evoluzione graduale, che vede l'aggiunta, nella sua agiografia, del salvataggio della principessa dal drago, simbolo del demonio, una dicotomia tra bene e male che incarna tutta la storia della teologia stessa e dei santi martiri, che null'ha a che fare con le crociate, se non essere parte di esse, tanto che nel corso della prima crociata, troviamo informazioni che ci fanno capire in Occidente fosse già ben nota l'iconografia cavalleresca di Giorgio, tanto che più tardivamente, addirittura, sarebbe sviluppatasi in Oriente, adottando il mostro dall'icona di San Teodoro.
L'imago del cavaliere che sconfigge il maligno in realtà, ivi si riferiva all'imperatore Costantino, come ci riporta il biografo Eusebio da Cesarea, una icona imperiale diffusa in molte aree mediorientali, ma che principalmente era posta sulla facciata del suo palazzo imperiale, tanto da ipotizzare che in realtà i crociati furono indotti ad indentificarla come icona del santo, solo tramite una loro conoscenza di essa, già appurata e radicalizzata tra l'est Europa, l'area costantinopolitana, e naturalmente altre regioni e nazioni dell'Europa occidentale, in cui non poteva mancare certamente l'Italia, cuore pulsante delle vie pellegrinali, di commercio ed anche delle crociate stesse ed ancor prima, delle milizie d'ogni tipo, la storia della Longobardia Minor dovrebbe aver già insegnato molto.
Tornando al San Giorgio di Petrella, la sua figura trova un riscontro iconografico, molto vicino a quello delle icone ancora primitive, che precedono lo sviluppo pieno del suo programma simbologico-agiografico, fiorito in maniera solida dopo la Legenda Aurea di Jacopo da Varagine.
Che però già esisteva tra il X e l'XI secolo.In special modo, queste icone sono caratterizzate dalla assenza di elementi come la principessa, dove gli unici individui sono Giorgio, il cavallo e il drago/mostro-serpente alato, trafitto dalla lancia del soldato.
Questi elementi iconografici sono diffusissimi nelle pitture rupestri della Cappadocia (XI sec.), ed anche negli affreschi di San Marzano in provincia di Taranto (X-XI sec.), e nel bassorilievo della Cattedrale di San Paolo ad Aversa (X-XI sec.), e l'elenco di esempi su San Giorgio ed il drago possono proseguire per molto, ma mi fermerò a questi per il momento.
A fare da contorno in tutto ciò, vi è lo stile che caratterizza la scultura petrellese, una formella con caratteri iconografici bizantini, ma dalle proporzioni incoerenti e scarsa plasticità, una costante delle produzioni lapidarie che hanno toccato vari insediamenti come Santa Maria della Strada a Matrice, Ma anche altri come a Guardialfiera, Roccavivara, Guglionesi, Petacciato, Cercemaggiore e così via, tutti edifici integri alternati a resti erratici o di reimpiego, databili tra una più antica manualità dell'VIII e IX secolo, ed una lieve evoluzione tra X ed XI, con un cambiamento ulteriore nel XII ed infine un distacco abissale con le produzioni dei secoli XII-XIII e XIII-XIV, che agli antipodi posseggono la Fraterna di Isernia da un lato, e la Cattedrale di Larino dall'altro.
L'arretratezza negli attributi e nello stile figurativo, fanno retrocedere presumibilmente la datazione come di consueto, tra il termine del decimo secolo e l'anno mille, come parte di uno dei primi cantieri che videro l'evolversi dell'impianto basilicale tra stadio pre-romanico e romanico "normanno", una doppia fase che si sposerebbe bene con la successiva ulteriore trasformazione del complesso, al seguito di un cataclisma, forse uno smottamento del terreno di fondazione o un sisma, che comportò un drastico cambiamento nell'assetto impiantistico, ed un enorme riuso dei resti del precedente tempio, per approfondimenti in merito, consiglio la lettura del volume: "Medioevo in Molise: Il cantiere della chiesa di San Giorgio Martire a Petrella Tifernina" dello storico dell'arte Francesco Gandolfo, che a suo tempo avemmo il piacere di conoscere nel corso delle ricerche sul campo.
Da qui ci si sposta alla questione invece di altri elementi, come il portale maggiore, che si mostra con uno pseudoprotiro e facciata che rientra nelle caratteristiche del pre-romanico e romanico locale (vedi Matrice), con una lunetta che presenta un evidente caso di rimontaggio, come in altri punti dell'edificio, forse proprio nel corso della trasformazione dell'intero orientamento della struttura, pur presentandosi nel complesso, al suo stato originale, con stilemi a girale, fitomorfi, scene apocalittiche e creature zoomorfe inscritte dentro cornici tipiche dei cantieri, specialmente benedettini, dell'XI-XII secolo, come appunto chiarisce un ulteriore dettaglio della lunetta maggiore, la firma dell'esecutore, tal "ALFERIO DISC(IP)OLO GEO(RGI)", come si può leggere tramite una attenta analisi ravvicinata dell'incisione (e non da fotografie sbiadite, tra l'altro, che permettono egualmente di leggervi quanto detto poc'anzi).
La tradizione locale (che tradizione non è), vuole attribuire la lunetta ad un tale MAG(ISTER) EPIDIDIVS, che in realtà nasce da una approssimativa lettura dei pochi caratteri esistenti, da parte del Carandente, presa per buona da alcuni eruditi ma priva di fondamento, specie se si considera che il nome Epididio sia quasi totalmente inesistente persino per alto e basso medioevo, e per trovarvi una spiegazione, dovrebbe quantomeno essere posto in teoria come una abbreviazione, ma al momento resta una fantasiosa ricostruzione del secolo scorso, già accantonata dalla comunità accademica.
Altro strafalcione del Carandente si riporta nella data incisa al lato destro della lunetta, "MDECIM", per il quale, secondo una idea di attribuzione tarda, doveva leggersi (Anno Domini) Millesimo Duecentesimo Undicesimo (1211), non potendo però constatare per l'epoca, che nessuno dei fregi e bassorilievi della basilica, potesse essere avvicinabile a questi anni, privi di ogni caratteristica sopracitata.
Il suo errore è da contestualizzarsi nella mentalità locale di almeno uno o due secoli fa, dove il territorio molisano venne circoscritto, dal punto di vista artistico e culturale, ad una terra con "produzioni di ambito locale, o minore", con delle eccezioni senza alcun nesso, prima dei contributi che hanno permesso, da 30-40 anni, ad oggi, di sfatare tutto ciò, ed anzi, di riscoprire l'alveo culturale quale era il Molise, un territorio tra Abruzzo Citeriore, Terralaboris, Capitanata e così via, più comunemente territorio che possiamo definire proprio centro della Longobardia Minor, e successivamente, parte del Regno di Sicilia settentrionale.
Un cuore pulsante di "scuole", botteghe e cantieri ecclesiastici ed anche nobiliari, che hanno permesso l'evoluzione e il proliferare, di queste componenti artistiche, esattamente come dei movimenti, ove era cruciale il ruolo delle vie di comunicazione, per esempio la Via Francigena, le sue arterie meridionali, i tratturi e così via, che hanno permesso soprattutto, di capire negli anni passati, il motivo di una espansione di medesimi archetipi, stilemi e caratteristiche culturali riscontrabili nello stesso tempo in più parti dell'Europa, dall'Italia all'Est, al Medio-Oriente fino ad arrivare in Francia, Spagna e naturalmente Regno Unito, tante realtà che, ovviamente, si sono fuse con quanto era già presente in questi paesi.
Le componenti estere sono sempre state il fondamento base della storia dell'arte, sia in età longobarda, con influenze bizantine, occidentali ed arabe, sia con i normanni, ed ovviamente sotto Federico II di Svevia, dove si può dire fosse nata l'architettura gotica italiana (e non solo), ereditata ed espansa sotto il dominio angioino e perfezionata dai motivi orientaleggianti catalani con gli aragonesi, mentre non va trascurata la parentesi di ambito veneziano trecentesco/quattrocentesco, e anche quella del gotico abruzzese (XIII-XIV sec.).
Dopo aver riportato questo grande aneddoto sul conto del Molise, per il quale ampiamente ha dibattuto e pubblicato la professoressa Maria Stella Calò Mariani, seguita da Francesco Aceto e da Giuseppe Basile, ma anche dallo stesso Bertaux e molti prima e dopo di loro, ritorniamo alla epigrafe di Petrella.
Più semplicemente, questa attestazione in caratteri latini, di per sé in contrasto con quelli evidenziati in tutto il territorio centro-italiano del '200, (vedi la data sul campanile di Santa Maria della Strada), non si riferirebbe affatto al 1211, bensì al 1010, (AD) M(illesimo)DECIM(o), semanticamente più accurata e meno costrittoria della versione del Carandente, avvicinandosi perciò alle scene cavalleresche del campanile di Petacciato, forse ascrivibili per stile ai medesimi fregi della lunetta, che troverebbe riferimento nella vicenda della Battaglia di Canne del 1018, con la presenza forse della più antica immagine di un cavaliere normanno e di due cavalieri bizantini in lotta.
Questa lettura non solo trova riscontro nei caratteri, ma anche nello stile arcaico che compone interamente la basilica ed i suoi bassorilievi, taluni di epoca precedente, ed altri del cantiere d'appartenenza, al quale sarebbe dovuto seguire un altro cantiere come si può evincere da un unico elemento duecentesco (o trecentesco) presente nella navata destra della chiesa, un semicapitello piatto, con motivo di foglie di acanto molto plastiche ed estruse, poggiato su un’acquasantiera in disuso, mai impiegato, ma che nel suo stile sembra essere ascrivibile ai cantieri di Santa Maria e San Pardo a Larino e di Sant'Emidio ad Agnone, ma per quanto riguarda il complesso, pare in realtà esserci una totale assonanza con i cantieri delle basiliche di San Giorgio, San Bartolomeo e San Mercurio a Campobasso (IX-X-XI sec.), alcuni elementi di Sant'Andrea a Jelsi (XI sec.), San Giovanni Rotobonis a Oratino (La Rocca) (IX-X sec.), e così via.
Senza contare che, per rievocare momentaneamente le questioni del culto per San Giorgio, nella Longobardia Minor e nei territori circostanti, sono attestate molteplici ecclesie dedicate al Santo Martire, tutte tra VII-VIII e IX secolo, che farebbero già intendere quanto non sia assolutamente fondata la supposizione sul suo culto giunto solamente dopo i risvolti della prima crociata, alla fine dell'XI secolo, ricordando ulteriormente a chi legge, che stessa sorte capitò per il vescovo di Myra, Nicola, detto anche San Nicola di Bari almeno dal 1087 in poi, ma che già era ampiamente venerato dal VI secolo, persino nella nostra regione, con chiese e badie risalenti al X secolo, la più vicina alla mia posizione proprio a Petacciato, presso il luogo di sepoltura dell'abate Adamo di Tremiti, poi Sant'Adamo confessore.
La verità di tutto ciò è molto diversa, spesso dei gruppi neotemplaristi, pur di mettere i Templari al di sopra di ogni argomento storico, finiscono per affidargli la paternità di cose che non gli sono appartenute, o meglio, che non hanno creato loro ma che essi possono solo aver sposato successivamente alla loro nascita.
Quest'anno per esempio sono già dovuto intervenire dopo un convegno neotemplarista al Cinema Sant'Antonio di Termoli, in cui si sono susseguiti una marea di sproloqui nei confronti dell'Agnus Dei (Agnello di Dio, o Agnello Crucifero), presente in una moltitudine di forme nelle facciate delle nostre chiese antiche, che un "meneghino" ha definito come simbolo templare, e che queste chiese fossero state costruite perciò dai Templari, nonostante questi stesse mostrando dei fregi dell'VIII e del IX-X secolo, ed uno della prima metà dell'XI, tutti elementi che sono antecedenti sia all'ordine di San Giovanni Gerosolimitano (Ospitalieri), sia ai cavalieri Templari, con una forte affinità di carattere evangelico invece, ispirazione ancestrale di tutte le maestranze che che hanno costruito "i pilastri della terra" in cui noi veneriamo i nostri idoli.
Ecco perché non smetterò mai di ripetere una sola cosa:Studiate, studiate e STUDIATE!!!
Bibliografie di riferimento.
•San Giorgio e il Mediterraneo, in Atti del II Colloquio internazionale per il XVII Centenario (Roma, 28-30 novembre 2003), a cura di G. De' Giovanni-Centelles, Città del Vaticano, 2004.
•La Storia di Varzi, Vol. II, di Fiorenzo Debattisti, 2001.
•Jacopo da Varazze, Legenda Aurea, Einaudi, Torino 1995.
•Eduardo Ciampi, Mino Freda, Paolo Palliccia, Paolo Velonà, San Giorgio e il Drago: l'indispensabile mito. Storia, Metastoria, Arte e Letteratura, Roma, Ed. Discendo Agitur, 2023.
•Medioevo in Molise, il cantiere della Chiesa di San Giorgio Martire a Petrella Tifernina, Di Walter Angelelli, Manuela Gianandrea, Francesco Gandolfo, Francesca Pomarici, 2012.
•Bianca Maria Margarucci Italiani, San Giorgio Martire fra Oriente e Occidente, 1987.
•Pagani e Cristiani. Forme e attestazioni di religiosità del mondo antico in Emilia, XI, 2012.
•San Giorgio e il drago riflessioni lungo un percorso d'arte, Di Sebastiano Giordano, 2005.
•Il Molise medievale e moderno, storia di uno spazio regionale, Giovanni Brancaccio, 2005.
•Italian Romanesque Sculpture, An Annotated Bibliography, Di Dorothy F. Glass, 1983.
•Gycklarmotiv i romansk konst och en tolkning av portalrelieferna på Härja kyrka, Di Jan Svanberg, 1970.
•Molise, appunti per una storia dell'arte, Luisa Mortari, 1984.
•Carlo Ebanista, Alessio Monciatti, Il Molise medievale, archeologia e arte, 2010.
•Federico Marazzi, Molise medievale cristiano, edilizia religiosa e territorio (secoli IV-XIII), 2018.
•L'arte georgiana dal IX al XIV secolo, A cura di Maria Stella Calo' Mariani, Volume 1, 1986.
•L'arte del duecento in puglia di maria stella calo mariani. fotografie di paolo monti u.a, Di Maria Stella Calò Mariani, 1984
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Calabria: Il tuo prossimo viaggio tra mare e montagna
La Calabria, situata nell’Italia meridionale, è un paradiso per chi cerca avventure. Offre entroterra montuoso e spiagge bellissime. È l’ideale per chi vuole esplorare entrambi i mondi, garantendo un viaggio memorabile. La sua posizione e le sue caratteristiche naturali fanno della Calabria un luogo speciale. Qui, mare e montagna si fondono in un’esperienza di viaggio unica. I visitatori…
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Ricordiamoci chi siamo e da dove veniamo, la nostra identità, la nostra cultura e la nostra storia.
Via francesca Totolo
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La storia del Foro Romano
Il cuore della vita sociale e politica della Roma antica… Intorno al VIII secolo a.C., la valle dove sarebbe stato edificato il Foro Romano era paludosa e inospitale, inadatta a insediamenti, e la parte alta delle colline vicine era abitata da etnie di origine sabine e latine. Continue reading La storia del Foro Romano
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Un minuto di silenzio per contemplare ogni singolo dettaglio. Da perderci la testa
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Il signore delle formiche (Gianni Amelio, 2022)
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Fiorella Mannoia - Mariposa
La lirica presentata al 74° Festival della canzone italiana dall’artista e attivista Fiorella Mannoia mi porta ad approfondire l’immagine da lei evocata; sono presenti nel testo molti echi all’Inno di Inanna già trattato in queste pagine telematiche composto dalla principessa, poetessa e sacerdotessa Enheduanna La Donna-Farfalla è una realtà bellissima, simbolo di trasformazione, rinascita e…
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Chi l'avrebbe mai pensato che per vivere un po' di magia celtica sarebbe bastato andare ai colli della mia città in questa notte di San Giovanni e seguire la tradizione di questa festa nella versione cristiana che non si discosta di molto dalla Beltane celtica, anche qui fanno da protagonisti il legame della vita contadina con i quattro elementi e i balli "attorno" al fuoco, oltre che l'acqua come purificazione e il salto del fuoco come prova per suggellare una promessa ed anche l'acqua-rugiada da tenere in un barattolo di vetro sul davanzale della finestra durante una notte di luna piena, il che somiglia davvero molto al rituale dell'acqua lunare, tant'è che anche in questo caso al mattino bisogna lavarsi il viso con quest'acqua caricata di energia spirituale; inoltre entrambe le feste segnano l'inizio dell'estate.
La festa di San Giovanni
La notte di San Giovanni tra il 23 e il 24 giugno si celebra una festa antichissima probabilmente risalente all'epoca italica, è la festa dei fuochi tant'è che dopo 6 mesi da questa festa ci troviamo nel periodo natalizio con un fuoco che contiene il sole che si fa via via più debole e con le giornate sempre più corte, mentre durante questa festa che corrisponde al giorno più lungo dell'anno abbiamo il fuoco di San Giovanni che purifica e che segna l'inizio del periodo più importante del ciclo calendariale agrario cioè il tempo del raccolto. Altro elemento purificatore è l'acqua, infatti il rituale del ramajietto prevede due prove quella dell'acqua e quella del fuoco da fare insieme alla persona che si sceglie come compare o commare a fiure.
In questa notte magica fiorisce la felce e quindi è la notte perfetta per scambiarsi dei mazzi di erbe aromatiche, i ramajietti, in cui ogni pianta ha la sua simbologia. Come ad esempio l'iberico, l'erba di San Giovanni i cui fiori gialli ricordano il sole e dai quali se vengono strofinati esce un succo rosso che richiama il sangue versato da San Giovanni, e attraverso questo scambio si rafforza il legame di solidarietà e d'amore tra le due persone che diventano più che parenti, appunto compare quindi come un padre e commare come una madre.
Un tempo questa festa avveniva nelle buie campagne dove a illuminare c'erano tanti fuochi accesi in ogni contrada, e si aspettava l'alba danzando la quadriglia intorno al fuoco e andando in spiaggia ad attendere il sorgere del sole e dentro al sole si doveva riuscire a vedere la testa di San Giovanni che si bagna per tre volte nell'acqua, inoltre una volta arrivata l'alba ci si bagnava nella rugiada come ad iniziare una nuova vita purificati, oppure si raccoglieva la rugiada in dei barattoli di vetro e dopo averla lasciata sul davanzale della finestra per tutta la notte ci si lavava il viso purificando così anima e mente oppure ancora si rompeva un uovo e si conservava l'albume dentro un bicchiere d'acqua tenendolo sul davanzale della finestra, al mattino l'albume aveva preso una forma particolare e la tradizione vuole che la forma di un grande e maestoso veliero simboleggi un anno meraviglioso, mentre quella di una barchetta più piccola un anno un po' così così in cui bisogna darsi da fare e remare per renderlo migliore.
Questa quindi è una festa contadina legata al ciclo calendariale agrario motivo per cui il simbolo del ramajietto è proprio un mazzetto di nove erbe aromatiche e medicinali legate quindi alla natura e ai suoi elementi: il sole e quindi il Fuoco, l'Acqua, l'Aria e la Terra che si ritrovano insieme in questo simbolo. Queste erbe rappresentano le sensibilità come la vista, l'olfatto e la meraviglia della natura, motivo per cui la civiltà contadina ricorreva a queste piante nel momento del bisogno.
Il rituale del ramajietto:
Viene prima di tutto pronunciata la promessa di volersi sempre bene davanti alla fontana:
Cumpare e cumparozz facemc ste nozz
Se ci vulem bene a lu paradise c'artruvem
Se male ci purtem a l'infern ci niem
Dopo aver pronunciato insieme questa promessa per sugellarla ci si abbraccia.
Dopodiché tenendosi per mano si fa il salto del fuoco e infine se questo vincolo viene accettato con impegno si conferma riconsegnandosi il ramajietto il giorno di San Pietro e Paolo, quindi dopo una settimana di riflessione.
Costumi tradizionali:
Per quanto riguarda le dame, queste indossavano abiti tradizionali del paese in cui vivevano, perché ci sono differenze tra i paesi sulla costa e quelli dell'entroterra in particolare i colori vivaci e il corpetto più alto e robusto per la costa e più basso ad esempio nel chietino, inoltre il costume della costa poteva venire arricchito di seta, frutto del commercio marittimo dell'epoca. Entrambe impreziosite con la classica presentosa abruzzese, anch'essa con le sue varianti in base alla zona, si tratta di un gioiello con intarsi in filigrana a riccioli o ad altre forme, dorata e a forma di stella con molteplici punte e uno o più cuori al centro. Inoltre l'abito cambiava nel momento in cui sposandosi si andava a vivere in un paese differente, indossando quindi quello del posto.
Invece gli uomini indossavano tutti delle vesti molto simili tra loro perché non volevano essere riconosciuti.
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στρατός (esercito)
Jaques Louis David -Leonida alle Termopili
La parola "στρατός" che vuol dire esercito, ha anche nei tempi più antichi (e in poesia spesso anche nel V sec.) il significato di "gente" "popolo", e in tal modo mantiene una traccia apprezzabile dell'origine di quel che noi chiamiamo "le libere istituzioni": i diritti politici dei cittadini di un'antica polis originariamente derivavano dalla loro attività nella difesa della loro patria.
-Werner Jaeger (Paideia La formazione dell'uomo greco)
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L'ISOLA DEI DIVULGOSI
Canale Ventordici, diretta TV.
Comincia la prima puntata dell'Isola dei Divulgosi.
Inquadratura a tutto campo della spiaggia deserta, il rumore del mare è il sottofondo naturale di questo paesaggio, dove finisce la spiaggia inizia una foresta tropicale.
All'improvviso, con una posa da "cucù" sbuca dalla vegetazione Alberto Angela: - Buonasera e benvenuti a questa puntata. Faremo un lungo viaggio nella sopravvivenza con la cultura.
Mario Tozzi: - Ciao Alberto, hai notato come in alcune zona della costa ci siano depositi antropici? Senza i bagnanti antipatici? Che poi siamo in anticipo? Sull'orario, dico
Roberto Giacobbo: - Salve colleghi, avete mica visto Omar?
Alberto Angela: - No, Roberto. Mario ed è proprio qui - rivolgendosi a Tozzi e allargando le mani con il palmo rivolto in basso - che l'esercito romano sbarcò per conquistare Cartagine.
Roberto Giacobbo: - Omar! Omaaaar! Dove sei?
Mario Tozzi: - Roberto, Omar, Omar... vide 'Omar quant'è bello!
Roberto Giacobbo: - Mario mica si scherza qui, è pieno di gradini. Ma tu hai il permesso speciale per stare qui?
Alessandro Barbero: - Orsù saluto tutti voi cari vassalli, valvassori e valvassini - sorridendo a denti stretti - caro Alberto qui ci fu un massacroH, neh vero?!
Roberto Giacobbo: - Secondo me fu opera degli "aglieni", extraterrestri provenienti dal pianeta Aglio in una dimensione parallela
Alberto Angela: - Roberto, non fidarti di tutto quello che vedi. Anche l'aglio nella padella sembra una patata al forno
Mario Tozzi comincia a scrivere con un pennarello usando la mano sinistra, e al contrario, su una lastra di vetro: "ilucarap id oizaps onu ni onoviv itlom olellarap ehc ùiP"
Avete detto dimensione? - da una nuvola in cielo appare Barbara Gallavotti - la dimensione giusta è la quinta dimensione
Roberto Giacobbo, guardando Barbara Gallavotti: - Una dea, Omar falle una ripresa da qui che la inquadriamo bene
Alessandro Barbero: - La spranga colpisce et non s'arresta una hora, hehehehe
Mario Tozzi: - Alessandro, tutto bene? Ti vedo un po' su di giri
Alessandro Barbero: - Mario, ci sono terre da conquistare. Orsù andiamo a bruciargli le caseH!
Alberto Angela, nel frattempo che i suoi colleghi stavano confabulando, scopre una necropoli e dei reperti paleontologici di eccezionale portata. Cosa? Probabilmente non lo sapremo mai.
Roberto Giacobbo: - Ragazzi ho una notizia in anteprima, tra poco ci raggiungerà Zahi Hawass, che parerà in inglese ma con il doppiaggio in italiano
Alberto Angela: - Zahi, lo conosco!
Roberto Giacobbo: - Co-come lo conosci...
Mario Tozzi: - In realtà lo conobbi anche io, durante un convegno sulla famosa frase trovata incisa nella piramide di Cheope, quella che citava "Si te vede la morte, se gratta"
Roberto Giacobbo: - Ma... ma Zahi aveva detto che ero il suo più grande amico!
Alessandro Barbero: - E beh, Dio hatti dato due gambe e due spalle da omone, che lo Rubeus Hagrid de potteriana memoria, uno gnometto sembri!
Roberto Giacobbo: - Ma è una frase misteriosa?
Mario Tozzi scrive sul vetro "ossorg e ednarg ies ehc odnecid ats iT"
Roberto Giacobbo che legge a testa in giù: - Ah, ho capito! Omar sono l'amico più grosso di Zahi, non è magnifico?
Giunta la sera la comitiva divulgosa si ritrova davanti a un falò, dove a turno si raccontano di bighe e gladi scintillanti, di misteri irrisolti e di irrisolti cervelli, di leggende e di gradini schivati.
Ma sarà in un'altra puntata.
Arrivederci.
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Volti dei tre anziani della Cattedrale di Termoli
Nel lato sinistro del capitello, il consigliere e giurista di Federico II, Pier delle Vigne, mentre nel lato destro abbiamo il secondo giurista più vicino all'imperatore, Taddeo da Sessa, e nel centro, un anziano dalla lunga barba ed il volto malinconico o dolente, identificabile come il pontefice Onorio III, magister regis dell'infante Federico, oppure il terzo più importante consigliere di quest'ultimo, il gran maestro teutonico Ermanno de Salza.
Cattedrale di Santa Maria della Purificazione, Termoli (CB), prima metà del XIII secolo (1225-1235), secondo capitello del lato sinistro della facciata principale.
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