#elettroshock
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lostdeviantartfilm · 10 months ago
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this mess we're in
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gregor-samsung · 7 months ago
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Il signore delle formiche (Gianni Amelio, 2022)
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primepaginequotidiani · 1 month ago
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PRIMA PAGINA Secolo Italia di Oggi giovedì, 12 dicembre 2024
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pier-carlo-universe · 2 months ago
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Sognava e piangeva: il grido di Ada nel buio della psichiatria del passato. Un racconto intenso e struggente di Cinzia Perrone, che esplora il dolore umano dimenticato. Recensione di Alessandria today
Recensionedel racconto “Sognava e piangeva” di Cinzia Perrone
Recensionedel racconto “Sognava e piangeva” di Cinzia Perrone Nel racconto “Sognava e piangeva”, Cinzia Perrone, valida collaboratrice di Alessandria today, ci conduce in un viaggio nella vita spezzata di Ada, una quindicenne destinata a scontrarsi con la brutalità della psichiatria di un’epoca che considerava il dolore e la sofferenza emotiva come anomalie da curare con metodi spesso disumani.…
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rei-the-head-shaker · 1 year ago
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Feeling a bit of nostalgia towards this manga...
It is one of my favourites since the first time I read it years ago! I've already re-read it a bunch of times, and I keep coming back to it! 🥹❤️
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anchesetuttinoino · 6 months ago
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Vannacci commenta la rielezione della Bordeliner
Ho capito di aver qualcosa che non va ascoltando Vannacci. Mi sembra l'unico che dica cose sensate e abbia le palle per dirle, in mezzo ad un accatastamento di individui di merda. Eppure so che è lui il nemico, lo han scritto su tutti i giornali, lo dicono i satirici, lo scrivono esimi giornalisti, quindi è vero.
Io ci provo a convincermi che sia lui e gente come lui, il problema, ma non ci riesco. Forse ci sono dei posti, tipo la AAA alcolisti anonimi, che possano aiutarmi ad uscire dal mio delirio personale, dalla mia pericolosa allucinazione? Se conoscete qualcuno che anche con psicofarmaci ed elettroshock possa aiutarmi a capire che è Vannacci la merdaccia, contattatemi in privato, grazie. Voglio diventare normale pure io.
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angelap3 · 10 months ago
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Questa giovane ragazza che vedete in foto ha passato molto tempo rinchiusa in ospedale, rintontita da dosi eccessive e spropositate di Serenase, un potente antipsicotico, somministratole per anni e anni. Valium, in endovena, in dosi massicce, anche fino a sei iniezioni al giorno, elettroshock. Legata mani e piedi al letto di un un' ospedale, lasciata per giorni tra feci e urina a marcire tra le lenzuola di una stanza, dimenticata da tutti.
Ha amato solo un uomo, più della scrittura, Dino Campana. È stata la più grande Poetessa del Novecento.
Il suo nome era Alda.
Il suo cognome, Merini...❤️
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diceriadelluntore · 18 days ago
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Storia Di Musica #356 - Lou Reed, Berlin, 1973
L'ultimo libro del 2024 è stato lo strepitoso Kairos di Jenny Erpebeck, ambientato nella Berlino Est a fine anni '80, tra gli ultimi anni della DDR e la transizione verso la riunificazione. Quel libro mi ha ispirato per la prima serie di dischi della Rubrica del 2025, che sarà dedicata a dischi che hanno a che fare con Berlino. Due tra i più famosi, Heroes di Bowie, fulcro della cosiddetta Trilogia Berlinese (insieme a Low e Lodger, in verità in primo solo in parte registrato lì, il terzo pensato a Berlino ma finito fuori dalla Germania) e Achtung Baby! degli U2 sono stati già protagonisti delle storie di musica. Ma fortunatamente la città tedesca è stata fonte ispirativa per altri grandiosi capolavori musicali.
Il disco di oggi parte da un assunto: dopo che ci aveva quasi rinunciato, e proprio grazie a Bowie era diventato di nuovo leggenda, Lou Reed è ormai un artista di successo oltre la leggenda che lo accompagnava dai tempi dei Velvet Underground. Dopo Trasformer, ha una necessità particolare di fare un disco particolare, personale, ardito. Lo spunto glielo dà il giovane produttore, che diventerà uno dei più grandi di sempre, Bob Ezrin, chiamato dalla RCA a districare le idee di Reed. Ezrin chiede a Reed: tu scrivi grandi canzoni, che però non hanno mai una fine. Che fine hanno fatto per esempio i protagonisti di Berlin (canzone del primo disco solista, Lou Reed, 1972?). Reed fa sua questa osservazione e costruisce un concept album che racconta la storia dei due protagonisti di quella canzone, Jim e Caroline, coppia di americani che vive a Berlino. Una coppia che vive una vita drammatica, oscura, terribile tra droghe, abusi, maltrattamenti, figli non accuditi. Un viaggio nelle tenebre, nella disperazione, nel caos psicologico (con molti accenni autobiografici) di uno dei maestri narratori di questi viaggi, ricordo a tutti che Reed si laureò cum laude alla Syracuse University in Letteratura Americana.
Musicalmente, Reed in Berlin, che esce nel 1973, registrato tra Londra e New York, ripesca nel suo archivio di bozze, scritte anche per i Velvet Underground, e costruisce con Erzin canzoni dai grandi arrangiamenti, con archi, fiati, accompagnato da un gruppo di musicisti eccezionale: l'ex Cream Jack Bruce, Tony Levin mago del basso, Ainsley Dunbar che fu nel gruppo di Frank Zappa, Steve Hunter e Dick Wagner chitarristi di Alice Cooper, e i fratelli Brecker ai fiati. Berlin, che apre il disco, ha perfino un Happy Birthday, sciorina poi nel suo pianoforte quella sensazione di tristezza e angoscia che, volutamente, permea la storia di Jim e Caroline. Lady Day, un omaggio a Billie Holiday, morta prematuramente per abuso di droghe e alcol, è metafora di ciò che caroline va alla ricerca. Men Of Good Fortune (Men of good fortune often wish that they could die. While men of poor beginnings want what they have and to get it they'll die) è l'amara constatazione della loro condizione materiale. How Do You Think If Feels è il brano più autobiografico di tutto l'album: c'è la drammatica paura di Reed di dormire, dovuta alle serie di elettroshock a cui i suoi genitori lo obbligarono a sottoporsi da adolescente, per curarlo da una latente omosessualità. Oh Jim, è la versione di "autoanalisi" che Jim fa a sè stesso, cosa che Reed fa fare a Caroline in due brani, Caroline Says e Caroline Says II, che partono da una canzone pensata per i Velvet, Stephanie Says: soprattutto la seconda è un pugno nello stomaco per ciò che racconta Caroline: Caroline says\as she gets up off the floor\Why is it that you beat me\it isn't any fun (...) But she's not afraid to die\all her friends call her "Alaska"\When she takes speed, they laugh and ask her (...) as she gets up from the floor\You can hit me all you want to\but I don't love you anymore. Da un lato l'umiliazione sociale (La Gelide Alaska, così la chiamiavano gli amici), dall'altro l'abuso fisico. The Kids, così straziante per il pianto dei bambini, ci descrive la squallida situazione familiare in cui vive la coppia, con i bambini che vengono portati via alla coppia. Il finale è potentissimo: The Bed parte dal suicidio di Caroline, Jim prova una struggente nostalgia per lei e la "racconta" elencando tutti i suoi oggetti rimasti: la cronaca ci dice che in quelle stesse settimane la prima moglie di Reed, Bettye Kronstad, tentò un suicidio tagliandosi le vene. Il disco si chiude con Sad Song, che è tra il dolore e l'assoluzione (I'm gonna stop wasting time, somebody else would have broken both of her arms).
Il disco all'epoca fu osteggiato dalla RCA, che si convinse a produrlo solo perchè Reed firmò un contratto per altri due dischi (che furono un live, il fantasmagorico Rock'N'Roll Animal del 1973, e il glam rock sbiadito di Sally Can't Dance nel 1974), e snobbato da pubblico e critica, che lo bollò come un disastro. Con il tempo, le continue trasformazioni di Reed e nella generale riscoperta della sua musica (che ha una data precisa, cioè quando gli U2 lo chiamano a cantare Satellite Of Love durante gli show dello Zoo Tv Tour) il disco viene riconsiderato uno dei suoi grandi capolavori, nonostante la sua dolorosa e tragica natura. Che tra l'altro fece una vittima illustre: Bob Ezrin ebbe un esaurimento nervoso dopo le registrazioni, probabilmente per aver osservato troppo tempo quella oscurità, ma avrà comunque una carriera stellare, a fine decennio produrrà un altro concept leggendario, The Wall dei Pink Floyd. E un verso di The Kids, Oh, I am the water boy, the real game's not over yet\Oh, but my heart is overflowin' each and everyday, arriva fino ad un ragazzo scozzese, Mike Scott, che chiamerà la sua band The Waterboys.
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Ecco perché non ti vedevo più 😅
Ciao 😈
Domanda : hai mai giocato con toys elettroshock?
Oh mamma, no
Mi sa che non apprezzerei, il dolore eccessivo non mi stuzzica per niente, mi smonta la libido
Qualche frustatina, strizzatine ai capezzoli, tirate di capelli, robe così
Sono piuttosto basica 😁
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vividiste · 1 year ago
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Nel Manicomio in cui fui ricoverata esistevano gli orrori degli elettroshock. Ogni tanto ci assiepavano dentro una stanza e ci facevano quelle orribili "fatture".
Io le chiamo fatture perché non servivano che ad abbrutire il nostro spirito e le nostre menti.
Più di una volta il dottor G. venne a prendermi per un braccio e a portarmi via da quel supplizio. Io cominciavo a piangere e poi finivo col pisciarmi addosso, tanta era stata la paura.
Per il resto le altre ammalate cominciarono ad odiarmi.
Le cure che mi prodigava il dottor G. a loro sembravano eccessive.
Non riuscivano a capire chi fossi, e in fondo mi disprezzavano. E invece io le ripagavo di grande, infinito Amore perché ancora oggi amo i malati di mente. E c'era una vecchia che quando mi passava davanti mi mollava dei sonori ceffoni.
Ma io quella mano gliela prendevo e gliela baciavo perché poteva essere la mano di mia madre che persi in tenera età.
Alda Merini 🌻
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Fonte fb
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alceme · 11 months ago
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è un elettroshock metaforico
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gregor-samsung · 3 months ago
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Il signore delle formiche (Gianni Amelio, 2022)
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fridagentileschi · 2 years ago
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RICORDANDO ALDA...E L'INUMANITA' DI MOLTISSIMI MEDICI..
"In quel manicomio esistevano gli orrori degli elettroschock Ogni tanto ci assiepavano dentro una stanza e ci facevano quelle orribili fatture. Io le chiamavo fatture perché non servivano che ad abbrutire il nostro spirito e le nostre menti. La stanzetta degli elettroshock era una stanzetta quanto mai angusta e terribile; e più terribile ancora era l’anticamera, dove ci preparavano per il triste evento.
Ci facevano una premorfina, e poi ci davano del curaro perché gli arti non prendessero ad agitarsi in modo sproporzionato durante la scarica elettrica. L’attesa era angosciosa. Molte piangevano. Qualcuna orinava per terra."
Alda dirà con fierezza di essere la poetessa della vita, e non la poetessa della pazzia. Descriverà minuziosamente quegli anni senza rimpiangersi o piangersi addosso. Ci fa conoscere le umiliazioni ed i maltrattamenti inferti da parte di medici ed infermieri ledendo la libertà e l’umanità dei soggetti internati. Ciò avverrà nel libro ”L’altra verità. Diario di una diversa”
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ambrenoir · 1 year ago
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VERGOGNOSO QUANTO ABBIA SOFFERTO
Ero una sposa e una madre felice
«Quando venni ricoverata per la prima volta in manicomio, ero poco più di una bambina, avevo sì due figlie e qualche esperienza alle spalle, ma il mio animo era rimasto semplice, pulito, in attesa che qualche cosa di bello si configurasse al mio orizzonte; del resto, ero poeta e trascorrevo il mio tempo tra le cure delle mie figlie e il dare ripetizione a qualche alunno, e molti ne avevo che venivano e rallegravano la mia casa con la loro presenza e le loro grida gioiose.
Insomma, ero una sposa e una madre felice, anche se talvolta davo segni di stanchezza e mi si intorpidiva la mente. Provai a parlare di queste cose a mio marito, ma lui non fece cenno di comprenderle e così il mio esaurimento si aggravò e, morendo mia madre, alla quale io tenevo sommamente, le cose andarono di male in peggio, tanto che un giorno, esasperata dall’immenso lavoro e dalla continua povertà e poi, chissà, in preda ai fumi del male, diedi in escandescenze e mio marito non trovò di meglio che chiamare un’ambulanza, non prevedendo certo che mi avrebbero portata in manicomio.
Fu lì che credetti di impazzire
Ma allora le leggi erano precise e stava di fatto che ancora nel 1965 la donna era soggetta all’uomo e che l’uomo poteva prendere delle decisioni per ciò che riguardava il suo avvenire.
Fui quindi internata a mia insaputa, e io nemmeno sapevo dell’esistenza degli ospedali psichiatrici perché non li avevo mai veduti, ma quando mi ci trovai nel mezzo credo che impazzii sul momento stesso: mi resi conto di essere entrata in un labirinto dal quale avrei fatto molta fatica a uscire.
Mi ribellai. E fu molto peggio
La sera vennero abbassate le sbarre di protezione e si produsse un caos infernale. Dai miei visceri partì un urlo lancinante, una invocazione spasmodica diretta ai miei figli e mi misi a urlare e a calciare con tutta la forza che avevo dentro, con il risultato che fui legata e martellata di iniezioni calmanti.
Non era forse la mia una ribellione umana? Non chiedevo io di entrare nel mondo che mi apparteneva? Perché quella ribellione fu scambiata per un atto di insubordinazione? Un po’ per l’effetto delle medicine e un po’ per il grave shock che avevo subito, rimasi in istato di coma per tre giorni e avvertivo solo qualche voce, ma la paura era scomparsa e mi sentivo rassegnata alla morte.
Quella scarica senza anestesia
Dopo qualche giorno, mio marito venne a prendermi, ma io non volli seguirlo. Avevo imparato a risconoscere in lui un nemico e poi ero così debole e confusa che a casa non avrei potuto far nulla.
E quella dissero che era stata una mia seconda scelta, scelta che pagai con dieci anni di coercitiva punizione. Il manicomio era sempre saturo di fortissimi odori. Molta gente addirittura orinava e defecava per terra. Dappertutto era il finimondo. Gente che si strappava i capelli, gente che si lacerava le vesti o che cantava sconce canzoni.
Noi sole, io e la Z., sedevamo su di una pancaccia bassa, con le mani raccolte in grembo, gli occhi fissi e rassegnati e in cuore una folle paura di diventare come quelle là.
In quel manicomio esistevano gli orrori degli elettroshock. Ogni tanto ci assiepavano dentro una stanza e ci facevano quelle orribili fatture. Io le chiamavo fatture perché non servivano che ad abbrutire il nostro spirito e le nostre menti. La stanzetta degli elettroshock era una stanzetta quanto mai angusta e terribile; e più terribile ancora era l’anticamera, dove ci preparavano per il triste evento.
Ci facevano una premorfina, e poi ci davano del curaro, perché gli arti non prendessero ad agitarsi in modo sproporzionato durante la scarica elettrica. L’attesa era angosciosa. Molte piangevano. Qualcuna orinava per terra.
Una volta arrivai a prendere la caposala per la gola, a nome di tutte le mie compagne. Il risultato fu che fui sottoposta all’elettroshock per prima, e senza anestesia preliminare, di modo che sentii ogni cosa. E ancora ne conservo l’atroce ricordo».
Alda Merini
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pedrop61 · 2 years ago
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“The Phoenix Program”
“Inserivamo un tassello nel canale delle orecchie dei detenuti e la battitura attraverso il cervello li portava anche alla morte”.
Il Programma Phoenix fu operativo dal 1968 al 1972 nel corso della guerra in Vietnam, voluto da Per de Silva, capo della CIA a Saigon.
Per gli americani la vera spina nel fianco di quel conflitto fu l’appoggio incondizionato della popolazione rurale con l’Esercito popolare del Vietnam del Nord.
La CIA aveva compreso che la capacità di infiltrazione del nemico dipendeva dal sostegno della popolazione e agì colpendo coloro che collaboravano.
Si cercò di contrastare la connivenza con metodi raccapriccianti come gli stupri di gruppo, cani poliziotto addestrati per sbranare, elettroshock ottenuto collegando fili ai genitali o sulla lingua, l’annegamento simulato.
Ma la sevizia più tremenda era l’aeroplano, in cui le braccia del prigioniero erano legate dietro la schiena e la corda veniva fatta passare sopra un gancio sul soffitto, sospendendo il prigioniero a mezz’aria.
Entro il 1972 erano stati neutralizzati 82mila sospetti vietcong, la metà soppressi, mentre l’altra fetta aveva cessato di collaborare con i guerriglieri.
Per approfondire: “The Phoenix Program” di Douglas Valentine.
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rei-the-head-shaker · 3 months ago
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28.04.2024
I was on the train back home when the announcements from the last anime con started coming out! To the amusement of my friends and family I started crying out of pure joy!
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