#stagione Non è Pirandello
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pier-carlo-universe · 25 days ago
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Arquata Scrivia. “I Monologhi della Vagina” al Teatro della Juta: emozioni, ironia e riflessione al femminile
Venerdì 28 marzo 2025, alle ore 21:00, il Teatro della Juta di Arquata Scrivia ospiterà lo spettacolo “I Monologhi della Vagina”, messo in scena dalla Compagnia Cattivi Maestri con Maria Teresa Giachetta e Francesca Giacardi. Il testo, tratto dal celebre libro di Eve Ensler, è stato rielaborato per la scena italiana da Monica Capuani e rappresenta uno dei fenomeni teatrali più importanti e…
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personal-reporter · 2 years ago
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Verso Sud 2023 a Catona
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E il momento di Verso Sud, il Festival del cinema mediterraneo del Reggino, che quest’anno si svolgerà dal 15 luglio al 31 agosto nella bellissima cornice dell’Arena Alberto Neri di Catona, curata dalla Polis Cultura con la direzione artistica di Luciano Pensabene. Come sempre, sotto il cielo stellato della stessa struttura estiva che ospita la storica kermesse da ben 38 anni, Verso Sud continua la sua mission di proporre il meglio della cinematografia a Sud della Stagione in corso, con tante riconferme e qualche  anteprima. Anche questa edizione vede il Sud protagonista con opere presentate e premiate nelle maggiori rassegne internazionali per promuovere il cinema meridionale con una finestra importante sui Sud del mondo, dal Nord Africa all’America Latina, con una rassegna che cresce grazie alla fiducia consolidata di un pubblico alla ricerca di opere di qualità da godersi sotto le stelle delle calde serate estive. Il Sud Italia è ben rappresentato da alcune tra le opere più apprezzate, con le Sicilia in testa con tre film, La Stranezza, uno dei successi della stagione per un film che narra di come Luigi Pirandello maturò l’idea di concepire uno dei testi che avrebbe cambiato il corso del Teatro del ‘900, I sei personaggi in cerca d’autore, e lo fa seguendo per caso le peripezie di una scalcagnata compagnia di provincia, Primadonna di Marta Savina che narra la storia di Franca Viola, la prima donna che negli anni Sessanta in Sicilia si ribellò al matrimonio riparatore, con protagonista Marta Gusmano, Fabrizio Ferracane e il calabrese Francesco Colella e l’apprezzatissimo, da pubblico e critica, esordio di Beppe Fiorello alla regia con una storia di cronaca vera che arriva dagli anni Ottanta, impegnato e romantico, Stranizza d’amuri, titolo che omaggia il maestro Battiato. Ancora da quegli anni arriva Piano Piano di Nicola Prosatore, una storia di riscatto e di crescita nella Napoli del primo scudetto, con Antonia Truppo, Lello Arena e Giovanni Esposito. Il toccante Orlando di Daniele Vicari è una favola moderna con protagonisti il vecchio e la bambina, girato tra Sabina e Bruxelles, con un grande Michele Placido e dalla Puglia arriva Ti mangio il cuore di Pippo Mezzapesa con una sorprendente Elodie, al debutto in un ruolo non facile. Dai Sud del mondo arrivano opere di denuncia sociale come Il frutto della tarda estate di Erige Sehiri e Una voce fuori dal coro (la Traviata, i miei fratelli e io) di Yohan Manca. Il film di chiusura porta negli altipiani boliviani con lo splendido Utama, le terre dimenticate di Alejandro Loayza Grisi. Come sempre non mancherà il ricordo a Nicola Petrolino con il Premio a lui dedicato che quest’anno verrà assegnato, domenica 20 agosto, a Paolo Orlando, direttore della distribuzione di Medusa film, originario di Reggio Calabria. Read the full article
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gregor-samsung · 4 years ago
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“ Avevo affisso alla porta del mio studio un cartellino con questo avviso:
 Sospese da oggi le udienze a tutti i personaggi, uomini e donne, d’ogni ceto, d’ogni età, d’ogni professione, che hanno fatto domanda e presentato titoli per essere ammessi in qualche romanzo o novella. N.B. Domande e titoli sono a disposizione di quei signori personaggi che, non vergognandosi d’esporre in un momento come questo la miseria dei loro casi particolari, vorranno rivolgersi ad altri scrittori, se pure ne troveranno.
 Mi toccò la mattina appresso di sostenere un’aspra discussione con uno dei più petulanti, che da circa un anno mi s’era attaccato alle costole per persuadermi a trarre da lui e dalle sue avventure argomento per un romanzo che sarebbe riuscito – a suo credere – un capolavoro. Lo trovai, quella mattina, innanzi alla porta dello studio, che s’aiutava con gli occhiali e in punta di piedi – piccolo e mezzo cieco com’era – a decifrare l’avviso. In qualità di personaggio, cioè di creatura chiusa nella sua realtà ideale, fuori delle transitorie contingenze del tempo, egli non aveva l’obbligo, lo so, di conoscere in quale orrendo e miserando scompiglio si trovasse in quei giorni l’Europa. S’era perciò arrestato alle parole dell’avviso: «in un momento come questo», e pretendeva da me una spiegazione. Erano ancora i giorni di torbida agonia che precedettero la dichiarazione della nostra guerra all’Austria, ed entravo di furia nello studio con un fascio di giornali, ansioso di leggere le ultime notizie. Mi si parò davanti: – Scusi… permette? – Non permetto un corno! – gli gridai. – Mi si levi dai piedi! Ha letto l’avviso? – Sissignore, appunto per questo… Se mi volesse spiegare… – Non ho nulla da spiegarle! Non ho più tempo da perdere con lei! Via! Vuole le sue carte, i suoi documenti? Venga, entri, prenda e se ne vada! – Sissignore… ecco, ma se volesse dirmi almeno che cosa è accaduto?… Sperando di farlo schizzar per aria, polvere, come per una cannonata a bruciapelo, gli urlai in faccia: – La guerra! Rimase lì impassibile, come se non gli avessi detto nulla. – La guerra? Che guerra? Me lo tolsi davanti con uno strappo violento; entrai nello studio, sbattendogli la porta in faccia; e, buttandomi sul divano, corsi con gli occhi alle ultime notizie dei giornali, se finalmente la dichiarazione di guerra era avvenuta, se gli ambasciatori d’Austria e di Germania erano partiti da Roma, se c’erano già i primi fatti d’armi per mare o alla frontiera. Nulla! ancora nulla! E fremevo. «Ma come? ma come?», dicevo. «Che s’aspetta? E che aspettano ancora questi signori ambasciatori, dopo le sedute solenni della Camera e del Senato e il delirio di tutto un popolo che da tanti giorni grida per le vie di Roma guerra, guerra! Son diventati sordi? ciechi? L’albagìa tedesca, la tracotanza austriaca dove sono più? Quattro, cinque volte, nei giornali del mattino, nei giornali del pomeriggio, in quelli della sera s’è loro annunziato che i treni speciali sono pronti per essi. Niente. Sordi. Ciechi. E intanto a Trieste, a Fiume, a Pola, in tutto il Trentino si fa scempio e strazio dei nostri fratelli che ci aspettano; e noi li abbiamo lasciati partire protetti e tranquilli, i signori sudditi austriaci e tedeschi!» Mentre così pensavo, fremendo, m’avvenne di levar gli occhi dal giornale, e che vidi? Lui, quel petulante, quell’insoffribile personaggio, ch’era entrato non so come, non so donde, e se ne stava pacificamente seduto su una poltroncina presso una delle finestre che guardano sul mio giardinetto, tutto ridente e squillante, in quei giorni di maggio, di rose gialle, di rose bianche, di rose rosse e di garofani e di geranii. Guardava fuori, con faccia beata, i cipressi e i pini di Villa Torlonia dirimpetto, dorati dal sole, abbagliati sotto l’intenso azzurro del cielo e stava a udire con delizia evidente il fitto cinguettio degli uccellini felicemente nati con la stagione e il chioccolio della fontanella del mio giardinetto. La sua vista inopinata, quel suo atteggiamento di delizia mi suscitarono una rabbia che non so dire: una rabbia che avrebbe dovuto lanciarmi addosso a lui, e invece restava lì come schiacciata dal peso d’uno stupore, ch’era anche nausea e avvilimento. Gli vidi, a un tratto, voltare verso me quella beata faccia. Con l’orecchio intento e una mano appena levata: – Sente? – mi disse, – sente che bel trillo? È un merlo, questo, sicuramente. Afferrai i giornali stesi su le ginocchia con l’impeto di piombargli con essi sopra ad accopparlo, urlandogli nel furore tutte le ingiurie, tutti i vituperii che mi venivano in bocca. E poi? Sarebbe stato inutile. Scaraventai a terra i giornali, puntai i gomiti su le ginocchia, mi presi la testa tra le mani. Poco dopo, con placida voce, quegli ricominciò a dire: – E che c’entro io, scusi, se il merlo canta? se le rose ridono nel suo giardinetto? Corra a mettere la museruola a quel merlo, se le riesce, e a strappar queste rose! Non credo, sa, che se la lasceranno mettere la museruola gli uccellini; e tutte le rose di questo maggio da tutti i giardini, non le sarà mica facile strapparle… Mi vuol far saltare dalla finestra? Non mi farò male; e le rientrerò nello studio dall’altra. Che vuole che importi a me, agli uccellini, alle rose, alla fontanella della sua guerra? Cacci il merlo da quell’acacia; se ne volerà nel giardino accanto, su un altro albero, e seguiterà di lì a cantare tranquillo e felice. Noi non sappiamo di guerre, caro signore. E se lei volesse darmi ascolto e dare un calcio a tutti codesti giornali, creda che poi se ne loderebbe. Perché son tutte cose che passano, e se pur lasciano traccia, è come se non la lasciassero, perché su le stesse tracce, sempre, la primavera, guardi: tre rose più, due rose meno, è sempre la stessa; e gli uomini hanno bisogno di dormire e di mangiare, di piangere e di ridere, d’uccidere e d’amare: piangere su le risa di jeri, amare sopra i morti d’oggi. Retorica, è vero? Ma per forza, poiché lei è così, e crede per ora ingenuamente che tutto, per il fatto della guerra, debba cambiare. Che vuole che cambi? Che contano i fatti? Per enormi che siano, sempre fatti sono. Passano. Passano, con gli individui che non sono riusciti a superarli. La vita resta, con gli stessi bisogni, con le stesse passioni, per gli stessi istinti, uguale sempre, come se non fosse mai nulla: ostinazione bruta e quasi cieca, che fa pena. La terra è dura, e la vita è di terra. Un cataclisma, una catastrofe, guerre, terremoti la scacciano da un punto; vi ritorna poco dopo, uguale, come se nulla fosse stato. “
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Brano tratto da:
Luigi Pirandello, Colloquii coi personaggi.
NOTA: il racconto breve Colloquii coi personaggi fu pubblicato per la prima volta a puntate sul quotidiano palermitano Il Giornale di Sicilia (17-18 agosto e 11-12 settembre 1915; il Regno d’Italia era entrato in guerra il 24 maggio). Assieme ai racconti Personaggi e La tragedia d’un personaggio questo testo ha fornito lo spunto per l’innovativo Sei personaggi in cerca d’autore, dramma rappresentato per la prima volta il 9 maggio 1921 al teatro Valle di Roma.
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paoloxl · 5 years ago
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Il 27 aprile 1937 muore, nella clinica di Quisisana a Roma, Antonio Gramsci, dopo undici anni di detenzione nelle carceri fasciste. Da anni soffriva di diverse gravi malattie, ma le richieste per la sua liberazione vennero accolte da Mussolini soltanto sei giorni prima della sua morte, quando ormai non era più in grado di muoversi da mesi. Arrestato (nonostante fosse protetto dall'immunità parlamentare) l'8 novembre 1926 durante l'ondata repressiva che seguì un attentato a Bologna contro il duce, fu accusato di attività cospirativa, incitamento all'odio di classe, apologia di reato e istigazione alla guerra civile: tutte accuse piuttosto fondate, data la sua decennale militanza sul fronte internazionale del comunismo rivoluzionario, ma che soltanto nel mondo capovolto del dominio capitalistico possono essere fonte di persecuzione, anziché di credito e onore.
Il 27 aprile 1975, in un mondo radicalmente mutato in soli 37 anni, moriva invece Danilo Montaldi, anch'egli, come Gramsci, militante comunista, intellettuale e scrittore. Apparentemente una distanza abissale separa i due personaggi: autore di fama mondiale, inserito ufficialmente nel canone della letteratura e della storiografia italiane, il primo, sconosciuto ai più il secondo; protagonista della stagione classica del movimento comunista (dal 1917 agli anni precedenti la seconda guerra) l'uno, partecipe della crisi storica del progetto marxista-leninista tradizionale (dopo il 1945) l'altro. Gramsci visse la fase ascendente della dittatura del proletariato nell'URSS, sposando anche una rivoluzionaria bolscevica, Julia Schucht, da cui ebbe due figli; Montaldi maturò la scelta di abbandonare il PCI nel 1946, proprio a causa della consapevolezza della degenerazione burocratica che aveva interessato successivamente il socialismo sovietico, nella sua fase discendente. Nonostante queste e altre differenze biografiche, culturali e politiche, molti aspetti permettono di accostare le due figure nel segno della caratteristica più importante e tipica dell'intellettuale militante/comunista tra primo e secondo novecento: il tentativo di precisare una strategia per la distruzione della società capitalista, regolarmente in contrasto con le stesse organizzazioni ufficiali della politica socialista e comunista.
Gramsci era nato nel 1891 ad Ales, in Sardegna, e si era trasferito a Torino per motivi di studio, in estrema povertà, nel 1911. Arrivò nella città sabauda con 45 lire in tasca, avendo speso 55 lire per il viaggio delle 100 dategli dalla famiglia; negli anni successivi sarebbe sopravvissuto grazie a una delle 19 borse di studio da 70 lire mensili messe a disposizione dall'università di Torino per gli studenti poveri del Regno. Negli anni dell'università supera le posizioni sardiste, immettendole nella più ampia e globale idea socialista; presso il numero 12 dell'odierno corso Galileo Ferraris frequenta la federazione giovanile socialista e la sede dell'Avanti, dove inizierà la sua carriera di scrittore grafomane, furioso e tenace, producendo in dieci anni migliaia di pagine di riflessione politica, filosofica e di costume. In quegli anni è anche molto impegnato come critico teatrale (anche se ignorato dal mondo ufficiale dell'arte), risultando il primo critico ad aver scoperto e valorizzato il teatro di Luigi Pirandello (ben prima del più noto critico Adriano Tilgher, come lo stesso Gramsci rivendicava con orgoglio).
Nel 1917 segue gli eventi russi e diviene fervente sostenitore della rivoluzione bolscevica; nel 1919 fonda il giornale Ordine Nuovo; tra il 1919 e il 1920 definisce la linea dei giovani militanti socialisti che, a differenza del ceto politico del partito, appoggiano e promuovono le lotte operaie del biennio rosso che, con particolare forza a Torino, Milano e Genova procedono all'occupazione armata delle fabbriche e in molti casi alla loro autogestione e direzione produttiva. Dopo che l'assalto operaio al potere di fabbrica fallisce a causa dell'immobilismo/tradimento della dirigenza socialista, nel 1921 è parte del gruppo di militanti che, a Livorno, accoglie le indicazioni dell'Internazionale Comunista, proclamando la necessità di formare un'organizzazione rivoluzionaria costituita da avanguardie dedite alla promozione del conflitto operaio, per una presa del potere di tipo sovietico, fondando il Partito Comunista d'Italia e, successivamente, il giornale l'Unità. Dopo aver compiuto diversi viaggi in Unione Sovietica come rappresentante della sezione italiana dell'Internazionale, e dopo aver trascorso periodi come esule, soprattutto a Vienna, a causa delle prime repressioni fasciste dopo il 1922, torna in Italia con l'immunità parlamentare, essendo stato eletto deputato il 6 aprile 1924.
Poche settimane dopo, il 10 giugno, una banda di fascisti uccide un deputato socialista, Giacomo Matteotti, e gran parte dell'opinione pubblica è turbata e scandalizzata dall'accaduto. Per protesta tutti i gruppi d'opposizione abbandonano i lavori parlamentari, ma tra essi è solo quello comunista, capitanato da Gramsci, che chiede di fare l'unica cosa sensata, ossia proclamare lo sciopero generale. I socialisti temono che il ricorso allo sciopero favorisca il desiderio diffuso di una rivoluzione di tipo bolscevico, i liberali e i cattolici temono socialisti e comunisti molto più dei fascisti, e si appellano sterilmente al Re come supposto garante di una legalità che il delitto Matteotti avrebbe infranto. Tutto questo produce uno stallo durante il quale aumenta la tensione reale nel paese, finché, il 12 settembre, il militante comunista Giovanni Corvi uccide in un tram, per vendicare Matteotti, il deputato fascista Armando Casalini, e si scatenano le ondate della repressione più dura, con lo scioglimento di tutti i partiti d'opposizione e l'arresto di militanti e dissidenti. Lo stesso Gramsci sarà arrestato dopo due anni di sforzi nell'opposizione politica al fascismo, e si dedicherà in prigione alla scrittura della sua opera più famosa e internazionalmente conosciuta, i Quaderni del carcere.
Una delle tesi contenute nei Quaderni, quella della necessità di conquistare la direzione politica della società attraverso un'egemonia culturale antagonista, verrà riletta in modo moderato dal PCI del dopoguerra, passato nelle mani di Togliatti, interessato a bloccare, su ordine di Stalin, ogni prospettiva rivoluzionaria in Italia. Una tesi ben più complessa e articolata viene banalizzata come grimaldello ideologico volto all'annacquamento della pratica rivoluzionaria (occorre conquistare l'egemonia culturale in primo luogo, quindi la presa del potere politico è rimandata...) a tutto vantaggio della coesistenza pacifica tra due superpotenze capitaliste, l'URSS (capitalismo di stato) e gli USA (capitalismo di mercato). È in questi anni che Danilo Montaldi, nato nel 1929 a Cremona, esce dal PCI di cui era militante e si dedica ad un'attività organizzativa continua e inusuale, attraverso la frequentazione attiva di gruppi cui non aderisce formalmente (Partito Comunista Internazionalista, Gruppi Anarchici di Azione Proletaria) o la fondazione di gruppi che talvolta successivamente abbandona (Gruppo di Unità Proletaria, 1957, e Gruppo Karl Marx, 1966).
Se Gramsci concepì il suo compito come quello della fondazione del comunismo in Italia, inteso come prospettiva specifica nel panorama socialista (consistente, in base all'insegnamento di Lenin, nel rifiuto totale della guerra e nella direzione politica del conflitto sociale allo scopo di provocare una presa diretta del potere), Montaldi si mosse in un quadro dove la stessa soggettività comunista organizzata era divenuta compatibile con la società capitalista, trasformandosi in conservazione sociale burocratica dove era al potere e in involucro retorico di una sostanziale socialdemocrazia dove era all'opposizione. In particolare il compito del militante del dopoguerra è non solo costruire organizzazioni alternative (di qui le critiche di Montaldi ai trotzkisti, che a questo si limitavano), ma anzitutto indagare direttamente le condizioni di lavoro e di lotta della classe operaia. Negli anni della ricostruzione postbellica l'operaio è chiamato a vendere la sua forza lavoro al capitale in nome di uno sforzo presentato come trasversale alle classi, ma l'interesse alla ricostruzione è l'interesse del capitale, poiché l'operaio non può che trarre giovamento dalla distruzione del sistema esistente.
L'antagonismo operaio non va però, per Montaldi, imposto intellettualmente e astrattamente dall'avanguardia ai lavoratori; l'operaio non è oggetto di studio e di intervento dei comunisti, semmai soggetto, esattamente come loro. Egli si dedica quindi a una ricerca sul campo circa le reali condizioni e aspirazioni operaie e contadine, impegnandosi affinché fossero essi stessi a raccontarsi e ad esprimere la loro realtà, negli anni in cui la sinistra ufficiale maturava invece quel distacco reale dalla classe di cui ancora oggi si vedono le conseguenze. Ne saranno risultato opere come Milano Corea. Inchiesta sugli immigrati (1960, con Franco Alasia), Autobiografie alla leggera (1961) e Militanti politici di base (1971). Questo attivismo in cui l'agitazione politica e l'inchiesta diventano una cosa sola costituirà il nocciolo della pratica che verrà battezzata "con-ricerca" da Romano Alquati e, assieme alle analisi fortemente anticonformiste della soggettività operaia di Raniero Panzieri, apriranno la strada alla grande stagione dell'operaismo italiano che, mettendo al centro la classe e il suo conflitto reale contro l'accumulazione capitalistica (anche e soprattutto al di fuori dagli orizzonti del partito e del sindacato), imporrà all'attenzione delle nuove generazione il problema della conquista dell'autonomia operaia.
È qui, a ben vedere, che Gramsci e Montaldi si incontrano: entrambi hanno dovuto non soltanto vivere la contrapposizione del comunismo alle forze riformiste o democratiche – o fasciste – ma anche quella tra classe oppressa e organizzazioni esistenti della sinistra: in riferimento al tradimento del PSI durante il biennio rosso il primo, e in relazione al tradimento del PCI con la politica della coesistenza democratica il secondo. I germi dei loro scritti, come spesso accade, non hanno ancora prodotto tutta la potenza dei loro frutti (anche a causa di una loro banalizzazione scolastica, come nel caso di Gramsci, o della loro espulsione dai circuiti editoriali ed educativi, come nel caso di Montaldi) nonostante abbiano già influenzato molte generazioni; lette in prospettiva storica, restano un esempio irrinunciabile di abnegazione militante e di intelligenza rivoluzionaria. L'anticonformismo politico e l'autonomia di pensiero di entrambi è caratterizzata da ciò che il vero comunista sa di dover sempre far propria, ossia l'attitudine all'eresia, anche rispetto alla propria stessa tradizione di pensiero.
Per questo tra le righe più potenti di Gramsci resteranno sempre quelle, splendide, da lui dedicate all'Ottobre Rosso: "La rivoluzione dei bolscevichi è [...] la rivoluzione contro il Capitale di Carlo Marx. Il Capitale di Marx era, in Russia, il libro dei borghesi, più che dei proletari. Era la dimostrazione critica della fatale necessità che in Russia si formasse una borghesia, si iniziasse un'era capitalistica, si instaurasse una civiltà di tipo occidentale prima che il proletariato potesse neppure pensare alla sua riscossa, alle sue rivendicazioni di classe, alla sua rivoluzione. I fatti hanno superato le ideologie. I fatti hanno fatto scoppiare gli schemi critici entro i quali la storia della Russia avrebbe dovuto svolgersi secondo i canoni del materialismo storico [...] se i bolscevichi rinnegano alcune affermazioni del Capitale, non ne rinnegano il pensiero immanente, vivificatore. Essi non sono «marxisti», ecco tutto; non hanno compilato sulle opere del Maestro una dottrina esteriore di affermazioni dogmatiche e indiscutibili".
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pangeanews · 7 years ago
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Alessandro Carli stronca ferocemente il suo omonimo vissuto 250 anni fa. E spiattella il decalogo per far risorgere il teatro nostrano (primo: Molière guardatelo in rete e Shakespeare in lingua)
Ho avuto la conferma di avere il naso lungo. Non che ce ne fosse bisogno – il curriculum vitae è denso di menzogne amorose, di doppi giochi, di donne incollanate come fanno i veri marinai, una per porto – ma scoprire di avere più anni di quanti ne siano riportati nella carta di identità fa un certo che. Essendo nato non tanto nel 1975 (come credevo) ma nel 1740, ad oggi porto 278 primavere. Sono quindi nato a Verona il 21 febbraio “da nobile famiglia”, ho frequentato il locale liceo diretto dai padri gesuiti e ho completato poi i suoi studi a Venezia. Tra il 1766 e il 1767 ho compiuto un lungo viaggio attraverso l’Europa toccando due tappe d’obbligo per un giovane colto dell’epoca, Parigi e Ferney, la residenza di Voltaire.
Carli Alessandro. Come me. È una cosa tipo Pinco Panco e Panco Pinco, solo che devo scegliere il nome: Pinco o Panco. Una Pinca (giuro, è il suo cognome) è passata. O meglio, io sono passato. Sul suo letto, e anche sul tappeto. Malata di gialli, la sua tv tutto il giorno mandava immagini di crimini efferati e scene che avrebbero fatto ammosciare anche il più gagliardo dei maschi. Motivo in più per chiudere gli occhi e immaginare. Il rumore degli spari o dei coltelli? Smorzati con un finto regalo romantico, “I giorni” di Ludovico Einaudi. Il resto lo hanno fatto abbondantemente le sue tette anche se appartengo al gruppo dei cul_tori. Io oggi e io ieri. Carli Alessandro ha scritto di teatro, come del resto Alessandro Carli. Lui, cioè io 250 anni fa, alcune tragedie. La Treccani online mi aiuta a leggere il mio passato: Telone ed Ermelinda, andata in scena del 1769, opera, leggo, “fin troppo ligia nella vivacità dell’intreccio e nella ricchezza dell’azione al modello francese”. Modesta anche la successiva, I Longobardi (1769), dedicata a Cesare Beccaria, frettolosa nella stesura e nella realizzazione, con frequenti richiami scenografici all’Olympie di Voltaire.
Dopo cinque anni di silenzio, forse dedicati a un più meditato approfondimento della lezione di Voltaire, nel 1773 Carli Alessandro rappresentò Ariarato, dramma ricco di toni preromantici e in cui gli elementi voltairiani, come il gusto per i grandi quadri tipici dell’Olympie e le venature anticlericali, si fondono con temi e moduli desunti da Corneille. Il clamoroso fallimento dell’opera, da lui attribuito all’insufficienza di sceneggiatori e attori, lo indusse a realizzare in Verona un piccola scuola di arte drammatica.
Carli Alessandro è stato stroncato. Quello che fa, oggi, Alessandro Carli che ovviamente è andato a recuperare perlomeno un paio di testi del suo omonimo ben più famoso, Ariarato soprattutto, per via che mi reputo un preromantico nel senso più letterale e non letterario del termine: mi fermo prima del romanticismo. Non serve. Se fai il romantico con le donne di oggi passi per finocchio. Così come se ti depili (queste cose le facciamo fare a loro: quando sono lisce ti pare di farti uno dei “tagli” di Lucio Fontana, e così puoi dire di aver avuto la sindrome di Rubens), o di fai sistemare le sopracciglia.
Mi autorecensisco quindi, cosa che possono fare solamente i grandi come Salvador Dalì. E se non ho spessore artistico, mi aggrappo alla statura: unmetroeottantacinque, tutto attaccato, che così sembro più lungo. Ariarato, presentato alla reale accademia di Parma quando le belle produzioni avevano premio, ha una introduzione alla Alessandro Carli. Scrive il mio io allo specchio: “A questa tragedia forse non mancheranno i contrarj, che rimproverare le vogliono l’eccesso di eroismo, e l’ardita piattura d’un qualche carattere”.
Ovviamente me la sono letta. Mi sono letto. La storia è più o meno la seguente: siamo in Cappadocia e dopo la morte dei tre Ariarati per mano di Mitridate, c’è un periodo di anarchia con tanto di diatribe feroci tra i discendenti. Gli ingredienti ci sono tutti: l’arrivo di Silla, il carattere turbolento dei sacerdoti di Comana e il loro potere dominante e infine la salita al trono di Ariobarzane mentre l’ombra di Ariarato trafugato domina sulla vicenda. Le scene ultime formano un compimento glorioso e inaspettato: il perdono di Ariarato, la cessione del regno e il non dispiacere di Roma. Tra le notizie storico-critiche sull’opera merita attenzione il seguente passaggio: “La tragedia sarebbe bellissima se si fosse trovato il modo di punire Archelao. Costui non meritava gli ultimi sei versi d’Ariarato. L’amicizia cogli empi non fu mai utile, né esemplare. Questa lezione la dobbiamo ai saggi e al popolo che non sempre riflette sulle ignote punizioni venture”. La storia piacque a Ippolito Pindemonte. Meno a me. Se è stata poco rappresentata – non ne ho testimonianza nell’attualità dei teatri che ho battuto dalla metà degli anni Novanta ad oggi – c’è sempre un motivo. Non è come nel caso di Alberto Savinio, straordinaria penna del Novecento che ha dato la sua arte puntigliosa e pungente anche al teatro: Carli Alessandro mi sa di muffito. Forse lo è anche Alessandro Carli, che qualche giornata al teatro l’ha dedicata: un libro di recensioni del Festival di Santarcangelo (15 anni di spettacoli) e qualche testo scritto a penna su un quaderno e mai dato alle stampe per pudore o per pigrizia.
Carli Alessandro andava bene nel suo periodo: Settecento, il secolo dei drammoni. Pipponi per spettatori imbellettati con le gole arse di palcoscenico, la cipria e i pastrani. Vallo a riproporre oggi che gli spettatori sembrano abbiano il fuoco nel culo e dopo 40 minuti iniziano a spostarsi sulla sedie e a spataccare col cellulare…
Occorre quindi fare chiarezza ed essere decisi. Restaurare il teatro, imporre alla platea i testi e non far sì che le scuole e gli spettatori decidano gli autori. Serve un decalogo per una nuova stagione di Risorgimento dei teatranti, per rilanciare quel luogo che porta in sé un anagramma prezioso e risolutore: teatro e attore. Stesse parole, ma in ordine diverso.
Primo: Molière te lo vai a vedere in Rete e tu professore di francese trovi il modo di spiegarlo.
Secondo: Shakespeare va messo in scena solo in lingua (inglese o sarda).
Terzo: Goldoni va bene solo nel periodo di Carnevale purché gli spettatori si vestano in maschera altrimenti non entrano.
Quarto: Le commedie dialettali vanno viste. Sono ad oggi l’ultimo veicolo identitario di una città o una regione non può smarrirsi nella globalizzazione e negli inglesismi. Oggi tutti sanno il significato di “sold out”, “fashion”, “random”, “all inclusive”, “backstage”, “budget”, “contest”, “coupon”, “convention”, “selfie”, “brand”, “compilation”, “location”, “concept”. Usiamo i termini inglesi non perché fa figo ma piuttosto perché non amiamo né sappiamo l’italiano.
Quinto: gli attori famosi devono smettere di fare i testi recalcitrati e recalcitranti ma scommettere sui nuovi drammaturghi (bravi) e sule loro storie (belle).
Sesto: Pirandello è una benedizione. È stato il più grande poeta del teatro Novecentesco sino al periodo del “Teatro nel teatro”, il “metateatro. L’ultima fase, quella del teatro dei miti, va vista sui libri e non sul palco. Tutto quello che ha fatto prima è di assoluto valore e va messo in scena (e visto, obbligatoriamente)
Settimo: è il nome del teatro torinese nato dal trittico Gabriele Vacis, Alessandro Baricco e Gianni Vattimo.
Ottavo: l’outfit. Sei a teatro e a teatro si va vestiti da teatro. Abolite le scarpe da ginnastica e la tuta.
Nono: il teatro dell’assurdo. Beckett e Ionesco soprattutto, per capire che oggi è come ieri e che i drammi della solitudine c’erano anche 50 anni fa. Siamo in collegamento con il mondo attraverso internet e i cellulari. I telefonini combattono l’isolamento ma non la solitudine. Quindi cellulari spenti e occhi rivolti verso il palco. Lì si giuoca a fare sul serio, lì di certo ci sono personaggi che appartengono alla nostra vita.
Decimo: e Carli Alessandro? Deve essere trattato come Alessandro Carli. Quindi non deve entrare a teatro.
Sipario.
Alessandro Carli
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freedomtripitaly · 5 years ago
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Al via le riprese della quattordicesima serie del “Commissario Montalbano”, la prima diretta da Luca Zingaretti. Tre le nuove puntate. Le date di messa in onda in anteprima assoluta sono il 9, il 16 e il 23 marzo 2020. Nonostante la scomparsa dell’autore, Andrea Camilleri, e del regista, Alberto Sironi, la serie andrà quindi avanti. Per la gioia di milioni di fan del commissario Salvo Montalbano e non solo in Italia, visto che è la serie Tv italiana più esportata all’estero. La nuova stagione di Montalbano consisterà in due episodi inediti e di un terzo, che sarà basato sull’infinita storia d’amore tra Salvo e la fidanzata Livia. Il primo episodio si baserà sul racconto “La rete di protezione” di Camilleri. Il set sarà la cittadina di Vigàta, la località immaginaria che è un insieme di location prese un po’ qua e un po’ là tra la provincia di Ragusa e di Agrigento. Per la prima volta Salvo si troverà alle prese con i social network. Vedremo come se la caverà, Il secondo episodio della serie si baserà sul romanzo “Il metodo Catanalotti” che prende il nome di un impresario teatrale autore di una tecnica particolare: partendo dal testo, l’attore deve scavare i suoi lati più bui. Questa volta Salvo dovrà fare i conti con un nuovo (im)possibile amore. Come di consueto, la location scelta per ambientare la fiction è la Sicilia. Protagonista è il quartiere di Ragusa Ibla, con la famosa piazza del Duomo e la Chiesa di San Giorgio. Non mancherà il commissariato di Montelusa, anche questo un paese che non esiste nella realtà: si tratta infatti dell’edificio del Comune di Scicli, sempre vicino a Ragusa, e la stanza del Questore Luca Bonetti Alderighi è nella realtà l’ufficio del Sindaco. Molte scene di Montelusa sono state girate ad Agrigento. Come scrisse lo stesso Camilleri: “Agrigento sarebbe la Montelusa dei miei romanzi, però Montelusa non è un’invenzione mia ma di Pirandello, che ha usato questo nome molte volte nelle sue novelle: l’Agrigento di oggi la chiamava Girgenti e anche Montelusa, e io gli ho rubato il nome, tanto non può protestare”. E poi ancora Marinella ovvero la ormai celebre spiaggia di Punta Secca, una frazione del comune di Santa Croce Camerina, a 20 km da Ragusa, dove si trova la casa di Montalbano, con la sua splendida terrazza vista mare che, in realtà, è un B&B che si trova proprio nel centro storico del borgo, in via Aldo Moro 44. Un tempo aveva un altro nome, ma dopo il successo della serie televisiva ha deciso di cambiare nome in “La casa di Montalbano”. Si tratta di luoghi dove il tempo sembra essersi fermato. Ecco perché, quando oggi guardiamo una puntata della serie girata vent’anni fa, ci sembra ancora attuale. Ed è molto probabilmente questo il motivo per cui molti di questi luoghi sono stati scelti come location per le riprese della fiction dedicata a Montalbano. Sono luoghi che catturano alla perfezione l’atmosfera dei romanzi di Andrea Camilleri. Nonostante richiamino ormai un gran numero di turisti, che vengono soli o con i numerosi tour organizzati, tra cui le crociere, i paesi rimangono molto tranquilli e mantengono ancora la loro autenticità. https://ift.tt/2XSkJJR Il “Commissario Montalbano”: i set dei nuovi episodi della serie Tv Al via le riprese della quattordicesima serie del “Commissario Montalbano”, la prima diretta da Luca Zingaretti. Tre le nuove puntate. Le date di messa in onda in anteprima assoluta sono il 9, il 16 e il 23 marzo 2020. Nonostante la scomparsa dell’autore, Andrea Camilleri, e del regista, Alberto Sironi, la serie andrà quindi avanti. Per la gioia di milioni di fan del commissario Salvo Montalbano e non solo in Italia, visto che è la serie Tv italiana più esportata all’estero. La nuova stagione di Montalbano consisterà in due episodi inediti e di un terzo, che sarà basato sull’infinita storia d’amore tra Salvo e la fidanzata Livia. Il primo episodio si baserà sul racconto “La rete di protezione” di Camilleri. Il set sarà la cittadina di Vigàta, la località immaginaria che è un insieme di location prese un po’ qua e un po’ là tra la provincia di Ragusa e di Agrigento. Per la prima volta Salvo si troverà alle prese con i social network. Vedremo come se la caverà, Il secondo episodio della serie si baserà sul romanzo “Il metodo Catanalotti” che prende il nome di un impresario teatrale autore di una tecnica particolare: partendo dal testo, l’attore deve scavare i suoi lati più bui. Questa volta Salvo dovrà fare i conti con un nuovo (im)possibile amore. Come di consueto, la location scelta per ambientare la fiction è la Sicilia. Protagonista è il quartiere di Ragusa Ibla, con la famosa piazza del Duomo e la Chiesa di San Giorgio. Non mancherà il commissariato di Montelusa, anche questo un paese che non esiste nella realtà: si tratta infatti dell’edificio del Comune di Scicli, sempre vicino a Ragusa, e la stanza del Questore Luca Bonetti Alderighi è nella realtà l’ufficio del Sindaco. Molte scene di Montelusa sono state girate ad Agrigento. Come scrisse lo stesso Camilleri: “Agrigento sarebbe la Montelusa dei miei romanzi, però Montelusa non è un’invenzione mia ma di Pirandello, che ha usato questo nome molte volte nelle sue novelle: l’Agrigento di oggi la chiamava Girgenti e anche Montelusa, e io gli ho rubato il nome, tanto non può protestare”. E poi ancora Marinella ovvero la ormai celebre spiaggia di Punta Secca, una frazione del comune di Santa Croce Camerina, a 20 km da Ragusa, dove si trova la casa di Montalbano, con la sua splendida terrazza vista mare che, in realtà, è un B&B che si trova proprio nel centro storico del borgo, in via Aldo Moro 44. Un tempo aveva un altro nome, ma dopo il successo della serie televisiva ha deciso di cambiare nome in “La casa di Montalbano”. Si tratta di luoghi dove il tempo sembra essersi fermato. Ecco perché, quando oggi guardiamo una puntata della serie girata vent’anni fa, ci sembra ancora attuale. Ed è molto probabilmente questo il motivo per cui molti di questi luoghi sono stati scelti come location per le riprese della fiction dedicata a Montalbano. Sono luoghi che catturano alla perfezione l’atmosfera dei romanzi di Andrea Camilleri. Nonostante richiamino ormai un gran numero di turisti, che vengono soli o con i numerosi tour organizzati, tra cui le crociere, i paesi rimangono molto tranquilli e mantengono ancora la loro autenticità. Al via le riprese della quattordicesima serie del “Commissario Montalbano”, la prima diretta da Luca Zingaretti.
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tempi-dispari · 6 years ago
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'Mai più soli', la stagione 19/20 del Teatro Vascello
Una stagione ricca di novità quella del Teatro Vascello, frutto di un lavoro appassionato alla ricerca non solo di grandi titoli e grandi interpreti ma di sempre motivate e mai casuali scelte programmatiche. Un disegno di ampio respiro, con proposte diverse tra loro ma tutte riconducibili a un progetto culturale unitario sotto il segno della qualità.
Mai più soli è lo slogan della Stagione 2019 – 2020 che individua nel teatro il luogo ideale e privilegiato per incontrarsi, riflettere e confrontarsi con la realtà e la contemporaneità che ci circondano.
Stagione-Teatro-Vascello-2019-2020-Download
Si rinnovano relazioni già collaudate e si concretizza una nuova e inedita collaborazione con la Compagnia di Teatro di Luca De Filippo, oggi guidata da Carolina Rosi con la quale il Teatro Vascello condivide ideali e futuri progetti.
Per una più immediata leggibilità gli spettacoli sono stati raggruppati in diverse sezioni.
Il nuovo abbonamento di prosa è composto da 9 proposte di artisti diversi per sensibilità, ma accomunati dal loro indiscusso talento.
Drammaturgia contemporanea con Stefano Massini, Spiro Scimone, Enzo Moscato:
– Alessandro Preziosi è l’intenso protagonista di Vincent Van Gogh L’odore assordante del bianco, uno spettacolo prodotto da Khora.teatro con la regia di Alessandro Maggi e la drammaturgia di Massini – asciutta ma ricca di spunti poetici – che riflette sul rapporto tra le arti e sul ruolo dell’artista nella società contemporanea (26 novembre – 1° dicembre).
– Scimone e Sframeli si misurano per la prima volta con Pirandello e con i Sei personaggi in una versione calorosamente festeggiata che, dopo una lunga tournée, arriva finalmente a Roma; uno spettacolo in perfetto equilibrio tra comicità e feroce ironia diretto da Francesco Sframeli, anche in scena con un nutrito cast di giovani attori (3-8 dicembre).
– Una sanguigna e tenerissima Imma Villa diretta da Carlo Cerciello, dà voce e corpo a Scannasurice di Enzo Moscato, uno spettacolo emozionante pluripremiato che torna a Roma dopo gli unanimi consensi ottenuti dal pubblico e dalla critica e che è ormai diventato un apprezzato piccolo “cult” (10-15 marzo).
Due i classici: La tempesta di Shakespeare e La locandiera di Goldoni.
Quella che arriva dal Teatro Biondo Palermo, a firma di Roberto Andò è una Tempesta ricca di spunti visionari, di elegante fattura e densa di suggestioni; nel ruolo di Prospero un attore di talento come Renato Carpentieri affiancato, tra gli altri, da Vincenzo Pirrotta, Filippo Luna, Gaetano Bruno e Giulia Andò (10-19 gennaio).
Sorprende e fa sorridere La locandiera, nella versione della Compagnia Proxima Res di Tindaro Granata: una brillante edizione, diretta da Andrea Chiodi, fedele all’originale, ma non priva di trovate che la rendono piacevolmente attuale (28 gennaio-2 febbraio).
Teatro musicale con Moni Ovadia, artista ironico, narratore dotato di straordinaria lucidità: a 25 anni dal primo Oylem Goylem, mette in scena un nuovo spettacolo con nuove storie, umorismo yiddish, canzoni, barzellette, musica klezmer (4-9 febbraio).
Dopo aver lavorato sui testi pubblici e privati di Gadda e Pasolini Fabrizio Gifuni continua la sua lacerante antibiografia di una nazione; in Con il vostro irridente silenzio (18-23 febbraio) si confronta con alcuni degli scritti più scabri della storia d’Italia: le lettere dalla prigionia e il memoriale di Aldo Moro. Gifuni dedica inoltre con Fatalità della rima una serata a Giorgio Caproni, poeta livornese che visse una parte importante della sua vita a Monteverde, a due passi dal Teatro Vascello (17 febbraio).
Atteso ritorno a Roma è quello di Marco Paolini, straordinario affabulatore, con Filo filò, il suo più recente lavoro prodotto da Jolefilm che riflette sui cambiamenti determinati dalle nuove tecnologie sulla nostra vita quotidiana (24-29 marzo).
Rezza & Mastrella, Leone d’Oro alla carriera alla Biennale Teatro di Venezia 2018, sono di casa al Vascello che dedica quest’anno ai due artisti una piccola “personale”. Sarà l’occasione per vedere (o rivedere) Fotofinish, uno dei cavalli di battaglia della coppia, un classico della loro graffiante e surreale comicità (17-22 dicembre), Bahamuth, scatenato e spassosissimo montaggio dadaista (26-31 dicembre); Anelante (3-5 gennaio) storia di un uomo alla continua ricerca della sua dimensione.
Accanto alle proposte in abbonamento un’ampia sezione è quella dedicata ai progetti di teatro, alla danza, alla musica, al circo.
Inaugura i progetti teatrali The night writer Giornale notturno di Jan Fabre. Lo interpreta Lino Musella che diventa Fabre in questa opera autobiografica dell’artista belga in cui emergono le intriganti sfaccettature e gli affascinanti pensieri di uno dei maggiori esponenti dell’arte e del teatro contemporaneo (11-13 ottobre in collaborazione con Romaeuropa Festival).
Un focus è dedicato a Roberto Latini, regista, attore e performer di originale personalità: La delicatezza del poco e del niente è un concerto poetico di parole su alcune delle composizioni più intense di Mariangela Gualtieri (14 ottobre); Il cantico dei Cantici è un poema antico al quale Latini sa infondere nuove energie (16-17 ottobre); Sei. E dunque, perché si fa meraviglia di noi? è una rielaborazione drammaturgica del capolavoro pirandelliano interpretato da PierGiuseppe Di Tanno che, solo in scena, dà voce a tutti i personaggi (18-20 ottobre).
Una novità è Venezia a Roma, un progetto che nasce in collaborazione con la Biennale Teatro di Venezia con l’intento di sostenere il lavoro di giovani artisti. Ospite quest’anno è Giovanni Ortoleva, regista under 30, menzione speciale alla Biennale 2018 che presenta Saul liberamente tratto dall’Antico Testamento e ispirato al testo di André Gide, drammaturgia dello stesso regista e di Riccardo Favaro (24-27 ottobre).
Quattro sono gli appuntamenti con la danza:
– Il Balletto di Roma arriva con due lavori inediti: Hu_Robot su coreografie di Ariella Vidach (4-6 ottobre) e Sogno, una notte di mezza estate firmato da Davide Valrosso (25 febbraio -1 marzo).
– Ricky Bonavita con la Compagnia Excursus presenta in prima nazionale Alma Tadema (13-15 novembre);
– Dancing partners (27-28 aprile) è un progetto europeo in rete che vede coinvolti artisti di diverse nazionalità (Italia, Spagna, Svezia, Inghilterra);
– Vivaldiana è infine il titolo del nuovo lavoro della Spellbound di Mauro Astolfi ispirato al musicista veneziano (5-10 maggio).
– È uno “spettacolo per tutti” – tra danza e circo – L’uomo calamita del Circo El Grito in programma dal 12 al 15 dicembre.
Spaziano dal classico al popolare le proposte musicali:
Tre gli appuntamenti di Calendario Civile (programma che trae ispirazione dal libro di Alessandro Portelli, per non dimenticare i grandi avvenimenti che hanno segnato la storia dell’Italia e dell’umanità) realizzati in collaborazione con il Circolo Gianni Bosio:
– Moni Ovadia rilegge i grandi poeti greci in Romeosini Grecità (16 settembre);
– Dario Marconcini anche in scena con Giovanna Daddi e Emanuele Carucci Viterbi propone – in occasione della Giornata della Memoria – La mamma sta tornando, povero orfanello di Jean Claude Grumberg (27 gennaio);
– dedicato al ricordo del disastro di Chernobyl è Bob Dylan, pioggia e veleno con Alessandro Portelli, Piero Brega, Susanna Buffa, Sara Modigliani (20 aprile).
– La Scuola Popolare di musica Donna Olimpia e l’Orchestra di Villa Pamphilj arriva (dal 6 all’8 marzo) con Lucignolo e gli altri singspiel originale per soli, cori e orchestra diretto da Fabrizio Cardosa;
– Di voce in voce è la proposta di Nando Citarella, un viaggio tra musica e parola con ospiti diversi ogni sera (1-5 aprile);
– Ovidio Heroides Metamorphosis è l’incontro artistico tra Manuela Kustermann, interprete di alcune pagine del poeta latino Ovidio e Cinzia Merlin, virtuosa pianista (15-19 aprile);
– Soul è un concerto della More than Gospel diretto da Vincenzo De Filippo (26-29 maggio).
Chiusura con Maggio corsaro, due spettacoli di drammaturgia italiana contemporanea:
– La consuetudine frastagliata dell’averti accanto di Marco Andreoli diretto e interpretato da Daniele Pilli e Claudia Vismara (12-17 maggio);
– L’uomo più crudele del mondo scritto e diretto da Davide Sacco (20-22 maggio).
Numerosi gli appuntamenti in calendario in Sala Mosaico – rinnovata piccola sala del teatro – con incontri, letture, mise en espace dedicate alla poesia e alla letteratura; da novembre ad aprile si conferma inoltre la presenza di Vittorio Viviani – ogni giovedì alle ore 18.00 – con Quel copione di… che, a partire dalla novellistica italiana, riflette sulla situazione di oggi.
Come di consueto – saranno proposti nel corso dell’anno appuntamenti dedicati ai ragazzi con Il Vascello dei piccoli e si rinnoveranno le collaborazioni con il Romaeuropa Festival, Flautissimo, Roma Fringe Festival.
Sono in vendita on line e al botteghino del Teatro Vascello gli abbonamenti per la prosa Zefiro (a 9 titoli), Eolo (a 5 titoli a scelta). Ponentino è invece una card libera a 5 titoli tra le proposte di danza, musica, circo e progetti speciali di teatro.
È previsto inoltre un cambiamento negli orari della programmazione: sabato ore 19.00, domenica ore 17.00, tutti gli altri giorni alle ore 21.00.
L’Art Theatre BioBistrò è aperto tutti i giorni a partire dalla mattina.
Biglietteria:
Prosa intero € 25, ridotto over 65 € 18, ridotto under 26 € 15
Abbonamenti
ZEFIRO abbonamento fisso a 9 spettacoli (posto e turno fisso)
turno a scelta tra martedì, mercoledì, giovedì: 162,00 euro
turno a scelta tra venerdì, sabato, domenica: 180,00 euro
EOLO abbonamento a combinazione a 5 spettacoli (posto e turno fisso)
turno a scelta tra martedì, mercoledì, giovedì: 90 euro
È possibile effettuare il cambio turno con un costo supplementare di € 5,00;
esclusivamente per i nostri vecchi abbonati il cambio turno sarà possibile senza costi aggiuntivi.
Progetti Teatro intero € 25, ridotto over 65 € 18, ridotto under 26 € 15
Progetti Musica, Danza e Circo intero € 20, ridotto over 65 € 15 ridotto under 26 € 12
Flautissimo intero € 20, ridotto over 65 € 15, ridotto under 26 € 12
* per il concerto degli Avion Travel inizio spettacolo h 18: Intero € 25 ridotto over 65 € 18 ridotto under 26 € 15
Maggio corsaro posto unico € 15
Vittorio Viviani quel copione di… posto unico € 12,00 compreso di aperitivo
Ponentino card € 60,00 a 5 spettacoli a scelta tra le proposte di teatro, musica e danza, l’abbonamento non è valido per le proposte inserite negli abbonamenti EOLO e ZEFIRO.
TEATRO VASCELLO STRUTTURA DOTATA DI ARIA CONDIZIONATA
Via Giacinto Carini, 78 – 00152 Roma
Tel. 06.5881021/06.5898031
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giancarlonicoli · 6 years ago
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8 MAR 2019 15:19
PINO SECOLARE - È MORTO A 84 ANNI L'ATTORE PINO CARUSO, INTERPRETE DELLA SICILIANITÀ PIÙ AUTENTICA – NEGLI ANNI ’60 FECE PARTE DEL BAGAGLINO PER POI PASSARE ALLA TV – FU PROTAGONISTA A FIANCO DI BAUDO NEGLI ANNI ’80 E IN SEGUITO NELLE FICTION - FU UNO DEI POCHI, CON LANDO BUZZANCA E FRANCO E CICCIO, A SDOGANARE IL DIALETTO SICILIANO IN TV - VIDEO
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Maurizio Porro per corriere.it
Da bravo siciliano purosangue Pino Caruso, morto ieri a Roma a 84 anni, aveva segnato la sua carriera nel nome di Pirandello: iniziò con «Il gioco delle parti», finì con «Non si sa come» ma in mezzo ci furono altre opere dello scrittore fra cui «Il berretto a sonagli». Prima di Camilleri e di Ficarra e Picone, Pino Caruso fu uno dei pochi, con Lando Buzzanca e Franchi e Ingrassia, a sdoganare il dialetto siciliano in tv.
Fu un personaggio dalle molte vite, al cinema, in teatro, sul piccolo schermo e in letteratura con alcuni libri non solo biografici molto ben accolti, tra poesie e aforismi. E fu anche organizzatore di eventi nella stagione 95-97 quando era sindaco a Palermo Leoluca Orlando e Caruso si adoperò per rendere kolossal la Festa di Santa Rosalia, protettrice della città, e organizzò «Palermo di scena» una rassegna cui fece intervenire nomi a volte irriverenti e di gran prestigio come Sakamoto, Carmelo Bene, Dario Fo. Poi anche i rapporti ufficiali con l’amministrazione della sua città sono cambiati e il nostro attore è rientrato a fare l’attore e basta, ma con un senso di amarezza e di ingiustizia in più. Nato palermitano il 12 ottobre 34, prima di arrivare a Roma e poi a Milano col Bagaglino, fu voce recitante per Mozart al Massimo di Palermo e certo fu scritturato dallo Stabile di Catania.
La sua fama alla fine degli anni 60 è soprattutto televisiva:«Che domenica amici» (in cui tiene la rubrica «Diario siculo») e poi «Gli amici della domenica» (1970), «Teatro 10», «Dove sta Zazà» di Castellacci, Pingitore e Falqui (il suo clan artistico), «Mazzabubù» e serate musical con la Vanoni («Due di noi») e Milva («Palcoscenico»). Dirige per Raitre un film sul caso Tortora e va ospite da Baudo e la Carrà, poi a Canzonissima, Portobello, Fantastico, il supermercato della tv nazionale popolare che in seguito lo vede nella serie di Canale 5 i «Carabinieri».
Molti i film cui partecipò (debuttando nel musicarello «La coppia più bella del mondo») nessun vero protagonista, ma alcune partecipazioni che si ricordano: il don Cirillo di «Malizia» best seller di Samperi con la bomba Laura Antonelli, il commissario del giallo alla torinese «La donna della domenica» e un umanissimo sacerdote nella «Matassa» di Ficarra e Picone. Col teatro, quello vissuto sera per sera, palco per palco, Caruso ebbe un rapporto vero e vissuto, occupandosi molto anche del sindacato attori.
Recita un altro grande siciliano come Vitaliano Brancati («Don Giovanni involontario») e poi scrive egli stesso i testi di due successi in giro per l’Italia, «Conversazione di un uomo comune» e «La questione settentrionale». Non riconciliato del tutto con la cultura dominante, Caruso fu un attore eccentrico, capace di satira politica e avvolto nelle sue radici culturali, finendo col monologo «Mi chiamo Antonio Calderone» della Maraini, tratto dal libro di Arlacchi.
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destinazionialternative · 8 years ago
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"Non si vuol morire; sfido! Anche quando il cervello è annebbiato dai pensieri, il corpo trova tanta ragione di godere: nella mitezza della stagione; in un bel bagno, d'estate; accanto a un buon fuoco, d'inverno; dormendo, desinando, passeggiando. Gode, e non ce lo dice. Quando parliamo noi? quando riflettiamo? Solamente quando vi siamo costretti da cause avverse; mentre poi in quelle che ci dànno diletto il nostro spirito riposa e tace. Pare così che il mondo sia soltanto pieno di mali. Un'ora breve di dolore c'impressiona lungamente; un giorno sereno passa e non lascia traccia..."
Luigi Pirandello - L'esclusa
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pier-carlo-universe · 5 months ago
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“Romeo e Giulietta Opera Ibrida”: a Gavi la tragedia shakespeariana rivive tra smartphone e realtà virtuale
Un’esperienza teatrale innovativa dove lo spettatore è protagonista: tra streaming, emoticon e cyberbullismo.
Un’esperienza teatrale innovativa dove lo spettatore è protagonista: tra streaming, emoticon e cyberbullismo. Venerdì 22 novembre 2024, alle ore 21, presso il Teatro Civico di Gavi, la stagione teatrale “Non è Pirandello” presenta uno spettacolo unico e sorprendente: “Romeo e Giulietta Opera Ibrida”, prodotto da Cabiria Teatro. La classica tragedia shakespeariana si reinventa, catapultando i…
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tmnotizie · 6 years ago
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MACERATA – A Macerata si rinnova la proposta per le scuole dedicata al teatro di prosa  e al teatro d’opera con Teatro Giovane, oltre 10 progetti di teatro per bambini e ragazzi da 0 a 18 anni. Si tratta di un percorso  del Comune di Macerata con la collaborazione artistica del Macerata Opera Festival e di Amat – Associazione Marchigiana Attività Teatrali finalizzato all’arricchimento delle opportunità formative dei giovani in un’ottica integrata tra istituzioni, scuole e realtà associative del territorio, sempre pieno di risorse.
“TeatroGiovane” è stato presentato all’Asilo Ricci a oltre 60 rappresentanti delle scuole del Comune di Macerata,  dai nidi d’infanzia alle scuole superiori, ma anche delle scuole  dei comuni della provincia di Macerata in un’ottica di condivisione delle opportunità culturali proposte dal capoluogo, soprattutto con i piccoli comuni.
Ad aprire l’incontro è stata l’assessora alla cultura del Comune di Macerata Stefania Monteverde che ha sottolineato l’importanza di Teatro Giovane: “Lo scorso anno abbiamo portato a teatro 4.400 bambini e bambine, ragazzine e ragazze . In questo numero sta tutto il nostro impegno per un progetto culturale di grande valore: parte dai piccoli, è inclusivo, fa del teatro un’esperienza necessaria, è azione di prevenzione del disagio e di sostegno all’impegno educativo delle famiglie. Siamo in una città della cultura perché prima di tutto siamo in una città a misura di bambine e bambini.”
Il sindaco Romano Carancini nel suo saluto iniziale ha ricordato come: “Tanti progetti dedicati al teatro sono un investimento  per la crescita  dei giovani. Le scuole e gli  insegnanti ci accompagnino in un percorso di valorizzazione delle eccellenze e dei talenti della città, una città che è città della cultura anche grazie alle grandi imprese culturali.”
I progetti sono stati presentati insieme alla direttrice artistica del Macerata Opera Festival Barbara Minghetti, al sovrintendente dell’Associazione Sferisterio Luciano Messi, alla responsabile  per il teatro ragazzi di Amat Ornella Pieroni, alla responsabile progetti teatro giovani di Amat Daniela Rimei.
Barbara Minghetti ha sottolineato come “l’opera può essere un mezzo utile per parlare della nostra vita e diventare uno strumento di sensibilità nei confronti della quotidianità. E lo facciamo parlando di opera fin dal nido, perché attraverso la musica tutti in qualsiasi età possono fare esperienze positive”.
“Ormai da 20 anni a Macerata ogni anno portiamo bambini e ragazzi a teatro e le migliori compagnie di teatro ragazzi, coltivando un intessere e una passione che fa crescere meglio” sottolineano Daniela Rimei e Ornella Pieroni dell’Amat.
Oltre 10 i progetti presentati
Nella prima parte sono stati presentati i progetti per il teatro di prosa. Si parte da “Il teatro a scuola”, con sette appuntamenti al Teatro Don Bosco al mattino organizzati insieme all’Amat per le scuole dell’infanzia, elementari e medie che a Macerata ogni anno porta  a teatro oltre 3.100 bambini delle scuole di Macerata.
Presentati anche gli appuntamenti  di “Finalmente domenica” al Teatro Lauro Rossi, 4 spettacoli domenicali al pomeriggio per bambini dai 3 agli 11 anni con le famiglie, rassegna che chiuderà  i battenti il 15 marzo  con una rivisitazione del “Don Giovanni”, opera in calendario al MOF 2019 all’insegna di #biancocoraggio, dal titolo “NiNo ovvero Don Giovanni, lo scapestrato bambino”.
Altra iniziativa importante è “Scuola di platea” per le secondarie di secondo grado che vedrà gli studenti assistere a lezioni, tenute da giovani esperti, legate alle proposte culturali della Stagione di prosa 2019/2020 e partecipare ai grandi appuntamenti della stagione del Teatro Lauro Rossi. Lo scorso anno quasi 100 studenti e studentesse hanno aderito al progetto.
Novità di quest’anno, ancora al Teatro Don Bosco, è “E’ di scena l’autore” per ragazzi dagli 11 ai 18 anni, una rassegna curata dalla Uilt con quattro appuntamenti di teatro al mattino dedicati a Pirandello, Goldoni, Shakespeare e Melville.
Nella seconda parte sono stati presentati i progetti realizzati dal Macerata Opera Festival.   “Il Macerata Opera Festival  – ha detto  il sovrintendente Luciano Messi – è entrato nelle scuole 9 anni fa e non è più uscito, diventando passo dopo passo un’esperienza importante e arricchente, Ci siamo trovati contenti e soddisfatti tanto da amare questo progetto che ha sperimentato tante proposte messe a servizio con un programma che va da 0 anni in su.”
I progetti dedicati alla lirica sono  “Opera baby“, per bambini fino a 3 anni, con “Si gioca e si cresce ovvero Storia di Gilda e Rigoletto”,  “Opera Kids”, dai 3 ai 5 anni,  con “Il guardiano e  il buffone ossia Rigoletto (che ride e piange)” e “Opera domani”, dai 6 ai 14 anni,  con “Rigoletto. I misteri del Teatro”. E sempre sotto l’egida dell’Associazione Sferisterio ritorna il progetto “Incontra l’opera” per le scuole superiori che interesserà anche i teatri di Tolentino e Recanati.
La formula è la stessa  degli anni  precedenti : il Maestro Fabio Sartorelli , didatta ufficiale dell’Accademia della Scala, accompagnati da cantanti e pianista e con l’ausilio di video e immagini, accompagnerà gli studenti degli istituti superiori alla scoperta del melodramma e in particolare delle opere in cartellone al MOF 2020, in una serie di incontri/spettacoli.
Nel progetto c’è posto anche per “Opera domani”, iniziativa per bambini e ragazzi dai 6 ai 14 anni,  che presenta “Rigoletto. I misteri del teatro” e per i Laboratori, dai 6 ai 10 anni, “I mestieri dell’opera. Alla scoperta del teatro musicale” e “Alla scoperta del melodramma. Storie #biancocoraggio”  in collaborazione con l’associazione Amici dello Sferisterio il cui obiettivo è introdurre i bambini al mondo dell’opera lirica e del teatro musicale  evidenziandone la multidisciplinarietà e cercando di creare legami con il territorio e le realtà esistenti nell’ambito scolastico di appartenenza.
Contribuisce al progetto generale anche la Scuola civica di musica Stefano Scodanibbio con “Bianco Mozart, il teatro musicale nella musica strumentale di Mozart” un concerto – lezione di introduzione alle musiche mozartiane.
La sezione del  progetto “Teatro giovane” dedicata al teatro d’opera è sostenuta da TreValli Cooperlat. Nel corso dell’incontro Andrea Vallesi dell’ufficio Marketing TreValli Cooperlat ha dichiarato: ”La Trevalli è da sempre vicina al suo territorio, del quale è fiera rappresentante e orgogliosa promotrice grazie anche alle azioni di sostegno delle attività culturali e sociali per i bambini”.
A conclusione del progetto sono stati presentati anche laboratori teatrali e musicali da proporre per il pomeriggio come il laboratorio di Teatro musicale a cura dell’Istituto Salesiano di Macerata  in collaborazione con il Centro Teatrale Sangallo di Tolentino. Si tratta di un percorso laboratoriale per ragazze e ragazzi, dai 14 ai 19 anni, che integra le discipline di canto, recitazione e danza con l’opportunità di accedere anche a due corsi paralleli, il primo dedicato alle attività creative inerenti al teatro, il secondo incentrato sul canto.
Tutti i progetti sono stati raccolti in una brochure che viene inviata alle scuole per le adesioni.
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lospeakerscorner · 6 years ago
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NAPOLI – I sogno è al centro della XIX edizione di Brividi d’Estate: un uomo muore solo quando smette di sognare. con questa lungimirante riflessione, il “sogno” è declinato in tutte le sue possibili sfumature.
La rassegna Brividi d’Estate 2019 da sabato 29 giugno alle 21 tornerà ad animare, con le sue storie l’affascinante cornice del Real Orto Botanico di Napoli, per continuare a regalare brividi e grandi emozioni, in piena estate.
Nata da un’idea di Annamaria Russo, la rassegna, fra le più longeve della città, è sostenuta dalla sensibilità e la preziosa collaborazione dell’Università Federico II di Napoli, che gestisce il parco, e con il patrocinio del Comune di Napoli.
Per circa quaranta giorni, fino a domenica 4 agosto, Il Pozzo e il Pendolo Teatro di Napoli si “sposta” nel parco più bello della città per una rassegna per “trasformarlo” nel più magico dei palcoscenici immersi nel verde, con un viaggio nelle storie che abbiamo amato di più. Una scorribanda nei libri che ci hanno regalato sorrisi e lacrime, un doveroso omaggio a quegli autori che, giunti all’ultima pagina, non puoi fare a meno di ringraziare.
Divenuta per i napoletani un classico e atteso appuntamento estivo, la rassegna proporràquattordici spettacoli tra cui cinque novità assolute, ma non mancheranno Le cene con delitto, le classiche serate targate Il Pozzo e il Pendolo.
«Il sogno – ha spiegaro Annamaria Russo – è stato l’unico “re” al quale ci siamo sempre umilmente inchinati. E a questo re, abbiamo deciso di dedicare la XIX edizione di Brividi d’Estate, attraverso quindici storie, quindici spettacoli, quindici colori per provare a disegnare il volto mutevole dei sogni. Il sogno visionario di Josè Aracadio Buendìa, il sogno delirante di Masaniello, quello struggente di un innamorato, quello straziante di una madre, quello devastante di un’amicizia, quello folle di un assassino. In questi diciannove anni, abbiamo edificato, tra gli alberi secolari di quel parco, un monumento alle favole cui nessuno crede più. Abbiamo provato a trasformare questa folle avventura in un atto di fede all’incoscienza. E tutte le volte che ci hanno “accusato” di lesa maestà alla sacralità del teatro, ci siamo dichiarati colpevoli. E felici di esserlo.»
A inaugurare la programmazione di Brividi d’Estate 2019, sabato 29 giugno (in replica fino a lunedì 1 luglio), sarà, a grande richiesta di pubblico, Vipera di Maurizio de Giovanni, con Rosaria De Cicco, Marianita Carfora, Nico Ciliberti, Sonia De Rosa, Paolo Rivera, Salvatore Catanese, Alfredo Mundo, Gennaro Monti, Marco Palumbo, Zack Aldermann, adattamento e regia di Annamaria Russo.
Sinossi. È la primavera del 1932, Pasqua è alle porte e in una delle stanze del Paradiso, il bordello più famoso di Napoli, viene trovata morta Maria Rosaria Cennamo, in arte Vipera.
E’ la prostituta che fa sognare tutti gli uomini della città, ma che solo pochi possono avere. Ancora una volta Luigi Alfredo Ricciardi sarà costretto a muoversi tra i gironi infernali dell’animo umano per dare un volto e un nome all’assassino del Paradiso.
Giovedì 4 luglio andrà in scena la prima novità di questa edizione, Stanotte ho saputo che c’eri con Rosalba Di Girolamo, liberamente tratto da “Lettera a un bambino mai nato” di Oriana Fallaci.
Sinossi. È la storia di una madre capace di difendere il suo bambino da tutto e tutti, ma forse non da se stessa. E’ sul terreno scivoloso del dubbio in cui forse ogni donna è destinata ad inciampare, che tocca inoltrarsi avventurandosi nelle pagine  di questo testo che ha segnato un’epoca e continua a graffiare la coscienza.
La programmazione proseguirà, venerdì 5 luglio con Cent’anni di solitudine di Gabriel Garcìa Màrquez, con Paolo Cresta e i Ringe Ringe Raja, adattamento e regia: Annamaria Russo e Ciro Sabatino. 
Sinossi. I libri amati sono la valigia di suggestioni, di emozioni, che ci portiamo dietro, per un giorno o per una vita. I libri amati hanno il sapore di una stagione dell’esistenza, che, talvolta, restituiscono inalterata l’ingenuità stupita di un passato prossimo o remoto. I libri amati sono i brividi, le risate, le lacrime, e Cent’anni di solitudine è uno di questi.
Sabato 6 luglio la rassegna proseguirà con il primo appuntamento de La cena con delitto, il Murder Party nello scenario del Real Orto Botanico di Napoli, per giungere a domenica 7 luglio per la rappresentazione di L’amico ritrovato di Fred Uhlman, con Paolo Cresta.
Sinossi. È la storia di un’amicizia, grande come può esserlo solo a 16 anni. Assoluta, esclusiva, devastante, più violenta e coinvolgente dell’amore e tanto più capace di spezzare il cuore. Hans e Konradin, due ragazzi sedicenni, frequentano la stessa scuola esclusiva. L’uno è figlio di un medico ebreo, l’altro è di ricca famiglia aristocratica. Tra loro nasce un’amicizia del cuore, un’intesa perfetta e magica. Un anno dopo, il loro legame è spezzato. Questo accade in Germania, nel 1933.
Lunedì 8 luglio, Nico Ciliberti, Francesco Desiato e Giacinto Piracci saranno gli interpreti di Tu Mio di Erri De Luca, per la regia di Annamaria Russo.
Sinossi. È una storia d’amore straniante, sullo sfondo dell’isola d’Ischia. Il mare, la musica, le voci dei pescatori e quelle più lontane di una guerra finita da poco: l’affresco di un’epoca e un’età difficili. E’ una corsa a perdifiato verso la fine di un amore senza fine. E’ dolore stretto dentro i pugni di una vita che non lascia alternative. E’ la voglia di riscrivere una storia con l’incoscienza della giovinezza. E’ il desiderio disperato di riscattare la morte con l’amore.
Giovedì 11 luglio, Rosaria De Cicco sarà protagonista de L’ultima eclissi di Stephen King, per la regia di Annamaria Russo. Dolores Claiborne, in una notte uguale ad altre mille, seduta alla scrivania di una stazione di polizia, ripercorre la sua vita, tutta d’un fiato. Ha di fronte un commissario di polizia, un agente, una stenografa e la prospettiva di un giudizio sommario.
Sinossi. È una storia che fa aggrovigliare le viscere, strappa sorrisi inaspettati e lacrime inopportune. Una storia che reclama voce, carne, materia, che sembra scritta apposta per il teatro.
Il secondo weekend di programmazione avrà inizio, venerdì 12 luglio, con il secondo appuntamento di La Cena con Delitto, per proseguire sabato 13 luglio (in replica domenica 14) con la seconda novità della rassegna, Una pura formalità di Pascal Quignard, interpretata da Marco Palumbo e Peppe Romano, per la regia di Annamaria Russo, non solo un thriller, ma un viaggio profondo nell’essere umano.
Sinossi. Il lento e doloroso cammino alla ricerca della verità si chiude con un epilogo che stravolge tutti i presupposti iniziali. La formalità è finita e tutti i ruoli appaiono finalmente chiari, manca solo un nome da assegnare, e non è quello dell’assassino.
Lunedì 15 luglio sarà la volta di Luiz torna a casa di Maurizio de Giovanni, che vedrà in scena Paolo Cresta.
Sinossi. È una storia d’amore e di morte, di passione e di addii. E’ la storia di una vita nella quale, quando le parole non bastano a colmare le distanze, scendono in campo i sogni. Perché i sogni condivisi possono sconfiggere ogni male, perfino mettere in scacco la morte.
Giovedì 18 luglio,  Andar per fantasmi, con Marco Palumbo, Marianita Carfora, Peppe Romano e Andrea De Rosa, per una serata indimenticabile, nella suggestiva cornice del Real Orto Botanico di Napoli.
Sinossi. Le vicende dei fantasmi innamorati che popolano la nostra magica città, le note struggenti della tradizione partenopea dal ‘600 all’800
La rassegna teatrale proseguirà, venerdì 19 luglio, con il terzo appuntamento di La cena con delitto, cui farà seguito, sabato 20 luglio (in replica fino a lunedì 22) il debutto in prima assoluta di A te, Masaniello drammaturgia e regia di Annamaria Russo, con Nico Ciliberti, Marianita Carfora, Salvatore Catanese, Cristiano Di Maio, Alfredo Mundo, Rita Ingegno, Diego Guglielmelli, Massimo Corvino.
Sinossi. Aveva ventisette anni Masaniello, faceva il pescatore e vendeva il pesce al mercato. In dieci giorni riuscì a regalare un sogno ai napoletani. Un sogno bello da far paura, tanta di quella paura che i suoi concittadini decisero di distruggere il sogno e quel folle che aveva permesso loro di sognarlo.
Ancora una novità in scena, giovedì 25 e venerdì 26 luglio, con Rosalba De Girolamo in L’amante di Marguerite Duras,
Sinossi. Una storia “d’amore” ambientata nell’Indocina degli anni 30 tra una ragazzina “bianca” poco più che quindicenne, e un ricco uomo cinese che ha il doppio della sua età. Una storia d’amore, nella quale proprio l’amore sembra il grande assente. Eppure quel sentimento mai detto, esplode con una forza deflagrante, tanto da segnare per sempre le vite dei protagonisti. La regia è firmata da Annamaria Russo.
L’ultima novità programmata in questa edizione, sabato 27 luglio (repliche fino a lunedì 29) vedrà Paolo Cresta protagonista di Uno nessuno e centomila di Luigi Pirandello.
Sinossi. Da uno specchio, superficie ambigua e inquietante, emerge un giorno per Vitangelo Moscarda, un volto di sé finora ignorato: un naso in pendenza verso destra.
Quest’avvenimento provoca in lui una profonda crisi. E infine, la consapevolezza agghiacciante che la sua immagine negli occhi degli altri è lontana anni luce da quella che egli ha di se stesso. Di qui una presa d’atto ancora più inquietante: egli non è uno, come aveva creduto sino a quel momento, ma  ‘centomila’, nel riflesso delle prospettive degli altri, e quindi nessuno.
Giovedì 1 agosto la scena sarà per L’ultima notte del Principe di Sansevero di Annamaria Russo e Ciro Sabatino, con Marco Palumbo e Andrea De Rosa.
Sinossi. È la notte del 22 marzo 1771, la notte in cui il più grande studioso, filosofo e alchimista di Napoli morrà. E’ la notte delle rivelazioni, dei segreti.
L’ultimo weekend di Brividi d’Estate 2019 inizierà, venerdì 2 agosto, con il quarto appuntamento de La Cena con Delitto, cui seguirà, sabato 3 agosto (in replica domenica 4), Il giorno dei morti di Maurizio de Giovanni, con Paolo Cresta e Ramona Tripodi, per la regia di Annamaria Russo.
Sinossi. Napoli, autunno 1931, il commissario Luigi Alfredo Ricciardi avvia un’indagine non autorizzata sulla morte, apparentemente accidentale, di un orfano.
Un’indagine che parte da un ricordo e procede a dispetto di ogni ragionevole ragione, e che rischia di far precipitare il commissario Ricciardi in un abisso di follia.
  Tutti gli spettacoli di Brividi d’estate avranno inizio alle ore 21.00, ingresso euro 16
Le cene con delitto avranno un costo di euro 30, inizio ore 21.00
Informazioni ai numeri 0815422088, mob 3473607913
Prenotazioni sul sito www.ilpozzoeilpendolo.it
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Brividi d’estate e il Sogno NAPOLI – I sogno è al centro della XIX edizione di Brividi d’Estate: un uomo muore solo quando smette di sognare.
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paoloxl · 6 years ago
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27 aprile: morte di Antonio Gramsci e Danilo Montaldi
Il 27 aprile 1937 muore, nella clinica di Quisisana a Roma, Antonio Gramsci, dopo undici anni di detenzione nelle carceri fasciste.
Il 27 aprile 1975, in un mondo radicalmente mutato in soli 37 anni, moriva invece Danilo Montaldi, anch’egli, come Gramsci, militante comunista, intellettuale e scrittore. Apparentemente una distanza abissale separa i due personaggi: autore di fama mondiale, inserito ufficialmente nel canone della letteratura e della storiografia italiane, il primo, sconosciuto ai più il secondo; protagonista della stagione classica del movimento comunista (dal 1917 agli anni precedenti la seconda guerra) l’uno, partecipe della crisi storica del progetto marxista-leninista tradizionale (dopo il 1945) l’altro. Gramsci visse la fase ascendente della dittatura del proletariato nell’URSS, sposando anche una rivoluzionaria bolscevica, Julia Schucht, da cui ebbe due figli; Montaldi maturò la scelta di abbandonare il PCI nel 1946, proprio a causa della consapevolezza della degenerazione burocratica che aveva interessato successivamente il socialismo sovietico, nella sua fase discendente. Nonostante queste e altre differenze biografiche, culturali e politiche, molti aspetti permettono di accostare le due figure nel segno della caratteristica più importante e tipica dell’intellettuale militante/comunista tra primo e secondo novecento: il tentativo di precisare una strategia per la distruzione della società capitalista, regolarmente in contrasto con le stesse organizzazioni ufficiali della politica socialista e comunista.
Gramsci era nato nel 1891 ad Ales, in Sardegna, e si era trasferito a Torino per motivi di studio, in estrema povertà, nel 1911. Arrivò nella città sabauda con 45 lire in tasca, avendo speso 55 lire per il viaggio delle 100 dategli dalla famiglia; negli anni successivi sarebbe sopravvissuto grazie a una delle 19 borse di studio da 70 lire mensili messe a disposizione dall’università di Torino per gli studenti poveri del Regno. Negli anni dell’università supera le posizioni sardiste, immettendole nella più ampia e globale idea socialista; presso il numero 12 dell’odierno corso Galileo Ferraris frequenta la federazione giovanile socialista e la sede dell’Avanti, dove inizierà la sua carriera di scrittore grafomane, furioso e tenace, producendo in dieci anni migliaia di pagine di riflessione politica, filosofica e di costume. In quegli anni è anche molto impegnato come critico teatrale (anche se ignorato dal mondo ufficiale dell’arte), risultando il primo critico ad aver scoperto e valorizzato il teatro di Luigi Pirandello (ben prima del più noto critico Adriano Tilgher, come lo stesso Gramsci rivendicava con orgoglio). Nel 1917 segue gli eventi russi e diviene fervente sostenitore della rivoluzione bolscevica; nel 1919 fonda il giornale Ordine Nuovo; tra il 1919 e il 1920 definisce la linea dei giovani militanti socialisti che, a differenza del ceto politico del partito, appoggiano e promuovono le lotte operaie del biennio rosso che, con particolare forza a Torino, Milano e Genova procedono all’occupazione armata delle fabbriche e in molti casi alla loro autogestione e direzione produttiva. Dopo che l’assalto operaio al potere di fabbrica fallisce a causa dell’immobilismo/tradimento della dirigenza socialista, nel 1921 è parte del gruppo di militanti che, a Livorno, accoglie le indicazioni dell’Internazionale Comunista, proclamando la necessità di formare un’organizzazione rivoluzionaria costituita da avanguardie dedite alla promozione del conflitto operaio, per una presa del potere di tipo sovietico, fondando il Partito Comunista d’Italia e, successivamente, il giornale l’Unità. Dopo aver compiuto diversi viaggi in Unione Sovietica come rappresentante della sezione italiana dell’Internazionale, e dopo aver trascorso periodi come esule, soprattutto a Vienna, a causa delle prime repressioni fasciste dopo il 1922, torna in Italia con l’immunità parlamentare, essendo stato eletto deputato il 6 aprile 1924. Poche settimane dopo, il 10 giugno, una banda di fascisti uccide un deputato socialista, Giacomo Matteotti, e gran parte dell’opinione pubblica è turbata e scandalizzata dall’accaduto. Per protesta tutti i gruppi d’opposizione abbandonano i lavori parlamentari, ma tra essi è solo quello comunista, capitanato da Gramsci, che chiede di fare l’unica cosa sensata, ossia proclamare lo sciopero generale. I socialisti temono che il ricorso allo sciopero favorisca il desiderio diffuso di una rivoluzione di tipo bolscevico, i liberali e i cattolici temono socialisti e comunisti molto più dei fascisti, e si appellano sterilmente al Re come supposto garante di una legalità che il delitto Matteotti avrebbe infranto. Tutto questo produce uno stallo durante il quale aumenta la tensione reale nel paese, finché, il 12 settembre, il militante comunista Giovanni Corvi uccide in un tram, per vendicare Matteotti, il deputato fascista Armando Casalini, e si scatenano le ondate della repressione più dura, con lo scioglimento di tutti i partiti d’opposizione e l’arresto di militanti e dissidenti. Lo stesso Gramsci sarà arrestato dopo due anni di sforzi nell’opposizione politica al fascismo, e si dedicherà in prigione alla scrittura della sua opera più famosa e internazionalmente conosciuta, i Quaderni del carcere. Una delle tesi contenute nei Quaderni, quella della necessità di conquistare la direzione politica della società attraverso un’egemonia culturale antagonista, verrà riletta in modo moderato dal PCI del dopoguerra, passato nelle mani di Togliatti, interessato a bloccare, su ordine di Stalin, ogni prospettiva rivoluzionaria in Italia. Una tesi ben più complessa e articolata viene banalizzata come grimaldello ideologico volto all’annacquamento della pratica rivoluzionaria (occorre conquistare l’egemonia culturale in primo luogo, quindi la presa del potere politico è rimandata…) a tutto vantaggio della coesistenza pacifica tra due superpotenze capitaliste, l’URSS (capitalismo di stato) e gli USA (capitalismo di mercato). È in questi anni che Danilo Montaldi, nato nel 1929 a Cremona, esce dal PCI di cui era militante e si dedica ad un’attività organizzativa continua e inusuale, attraverso la frequentazione attiva di gruppi cui non aderisce formalmente (Partito Comunista Internazionalista, Gruppi Anarchici di Azione Proletaria) o la fondazione di gruppi che talvolta successivamente abbandona (Gruppo di Unità Proletaria, 1957, e Gruppo Karl Marx, 1966).
Se Gramsci concepì il suo compito come quello della fondazione del comunismo in Italia, inteso come prospettiva specifica nel panorama socialista (consistente, in base all’insegnamento di Lenin, nel rifiuto totale della guerra e nella direzione politica del conflitto sociale allo scopo di provocare una presa diretta del potere), Montaldi si mosse in un quadro dove la stessa soggettività comunista organizzata era divenuta compatibile con la società capitalista, trasformandosi in conservazione sociale burocratica dove era al potere e in involucro retorico di una sostanziale socialdemocrazia dove era all’opposizione. In particolare il compito del militante del dopoguerra è non solo costruire organizzazioni alternative (di qui le critiche di Montaldi ai trotzkisti, che a questo si limitavano), ma anzitutto indagare direttamente le condizioni di lavoro e di lotta della classe operaia. Negli anni della ricostruzione postbellica l’operaio è chiamato a vendere la sua forza lavoro al capitale in nome di uno sforzo presentato come trasversale alle classi, ma l’interesse alla ricostruzione è l’interesse del capitale, poiché l’operaio non può che trarre giovamento dalla distruzione del sistema esistente.
L’antagonismo operaio non va però, per Montaldi, imposto intellettualmente e astrattamente dall’avanguardia ai lavoratori; l’operaio non è oggetto di studio e di intervento dei comunisti, semmai soggetto, esattamente come loro. Egli si dedica quindi a una ricerca sul campo circa le reali condizioni e aspirazioni operaie e contadine, impegnandosi affinché fossero essi stessi a raccontarsi e ad esprimere la loro realtà, negli anni in cui la sinistra ufficiale maturava invece quel distacco reale dalla classe di cui ancora oggi si vedono le conseguenze. Ne saranno risultato opere come Milano Corea. Inchiesta sugli immigrati (1960, con Franco Alasia), Autobiografie alla leggera (1961) e Militanti politici di base (1971). Questo attivismo in cui l’agitazione politica e l’inchiesta diventano una cosa sola costituirà il nocciolo della pratica che verrà battezzata “con-ricerca” da Romano Alquati e, assieme alle analisi fortemente anticonformiste della soggettività operaia di Raniero Panzieri, apriranno la strada alla grande stagione dell’operaismo italiano che, mettendo al centro la classe e il suo conflitto reale contro l’accumulazione capitalistica (anche e soprattutto al di fuori dagli orizzonti del partito e del sindacato), imporrà all’attenzione delle nuove generazione il problema della conquista dell’autonomia operaia. È qui, a ben vedere, che Gramsci e Montaldi si incontrano: entrambi hanno dovuto non soltanto vivere la contrapposizione del comunismo alle forze riformiste o democratiche – o fasciste – ma anche quella tra classe oppressa e organizzazioni esistenti della sinistra: in riferimento al tradimento del PSI durante il biennio rosso il primo, e in relazione al tradimento del PCI con la politica della coesistenza democratica il secondo. I germi dei loro scritti, come spesso accade, non hanno ancora prodotto tutta la potenza dei loro frutti (anche a causa di una loro banalizzazione scolastica, come nel caso di Gramsci, o della loro espulsione dai circuiti editoriali ed educativi, come nel caso di Montaldi) nonostante abbiano già influenzato molte generazioni; lette in prospettiva storica, restano un esempio irrinunciabile di abnegazione militante e di intelligenza rivoluzionaria. L’anticonformismo politico e l’autonomia di pensiero di entrambi è caratterizzata da ciò che il vero comunista sa di dover sempre far propria, ossia l’attitudine all’eresia, anche rispetto alla propria stessa tradizione di pensiero.
Per questo tra le righe più potenti di Gramsci resteranno sempre quelle, splendide, da lui dedicate all’Ottobre Rosso: “La rivoluzione dei bolscevichi è […] la rivoluzione contro il Capitale di Carlo Marx. Il Capitale di Marx era, in Russia, il libro dei borghesi, più che dei proletari. Era la dimostrazione critica della fatale necessità che in Russia si formasse una borghesia, si iniziasse un’era capitalistica, si instaurasse una civiltà di tipo occidentale prima che il proletariato potesse neppure pensare alla sua riscossa, alle sue rivendicazioni di classe, alla sua rivoluzione. I fatti hanno superato le ideologie. I fatti hanno fatto scoppiare gli schemi critici entro i quali la storia della Russia avrebbe dovuto svolgersi secondo i canoni del materialismo storico […] se i bolscevichi rinnegano alcune affermazioni del Capitale, non ne rinnegano il pensiero immanente, vivificatore. Essi non sono «marxisti», ecco tutto; non hanno compilato sulle opere del Maestro una dottrina esteriore di affermazioni dogmatiche e indiscutibili”.
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qdmnotizie-blog · 7 years ago
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JESI, 10 ottobre 2018 – Domenica 14 ottobre prende il via la campagna abbonamenti del Teatro Pergolesi , un cartellone importante di sette appuntamenti da dicembre ad aprile, maestri della scena, testi classici e scritture contemporanee per una grande nuova stagione di prosa nata dalla rinnovata collaborazione tra Fondazione Pergolesi Spontini, Comune di Jesi e Amat, un viaggio che promette emozioni, momenti di riflessione ed evasione.
Per dare la possibilità di scegliere un buon posto anche a quanti nelle ultime stagioni non l’hanno potuto trovare è stato azzerato il diritto di prelazione. La vendita si svolge presso la biglietteria del teatro (0731 206888), domenica 14 ottobre dalle ore 16 alle ore 20 e da mercoledì 17 ottobre negli orari di apertura della biglietteria: dal mercoledì al sabato dalle ore 9.30 alle ore 12.30 e dalle ore 17 alle ore 19.30.
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L’apertura di stagione il 19 dicembre è con l’atteso adattamento teatrale italiano – dopo i successi londinesi – di Shakespeare in love, capolavoro vincitore di 7 premi Oscar, con Lucia Lavia e Marco De Gaudio diretti dalla regia di Giampiero Solari con la regia associata di Bruno Fornasari. Il 10 gennaio Veronica Pivetti diretta da Emanuele Gamba si cimenta in Viktor und Viktoria (foto in primo piano) commedia con musiche liberamente ispirata all’omonimo film di Reinhold Schunzel nell’insolito doppio ruolo di Viktor/Viktoria, nato sul grande schermo e per la prima volta sulle scene italiane nella sua versione originale.
Il 26 gennaio il Teatro Pergolesi accoglie Enrico IV di Luigi Pirandello, produzione di Marche Teatro, adattamento e regia di Carlo Cecchi. Il Maestro della scena italiana è sul palcoscenico nelle vesti di Enrico IV con, Angelica Ippolito, Gigio Morra, Roberto Trifirò, Federico Brugnone, Davide Giordano, Dario Iubatti, Matteo Lai, Chiara Mancuso, Remo Stella. Pesce d’Aprile – tratto dall’omonimo romanzo autobiografico, scritto da Daniela Spada e Cesare Bocci e edito da Sperling&Kupfer – in scena il 15 febbraio è il racconto di un grande amore: un’esperienza di vita reale, toccante, intima e straordinaria, vissuta da un uomo e da una donna, interpretati da Cesare Bocci – che firma anche la regia – e Tiziana Foschi.
Un affascinante incontro fra due protagonisti assoluti del teatro italiano, Massimo Ranieri e Giancarlo Sepe, per la prima volta insieme, mettono in scena l’8 marzo uno dei testi teatrali tra i più noti e rappresentati di sempre, Il Gabbiano di Anton Čechov. Una grande produzione di Diana Or.i.s. e Rama 2000, un allestimento imponente, undici attori di ottimo livello recitativo per un nuovo e rivoluzionario adattamento di Giancarlo Sepe. Un Macbeth che si esprime in sardo e, come nella più pura tradizione elisabettiana interpretato da soli uomini, è l’originale progetto di Sardegna Teatro Macbettu di Alessandro Serra, regista e fondatore della compagnia Teatropersona in scena il 16 marzo. Lo spettacolo, vincitore del prestigioso Premio Ubu 2017 e del Premio ANCT 2017 (Associazione Nazionale dei Critici di Teatro) trasporta il dramma shakespeariano in una Sardegna arcaica e senza tempo. L’idea nasce nel corso di un reportage fotografico tra i carnevali della Barbagia. La lingua sarda non limita la fruizione ma trasforma in canto ciò che in italiano rischierebbe di scadere in letteratura.
La conclusione della stagione il 6 aprile è affidata a Maria Grazia Cucinotta, Vittoria Belvedere e Michela Andreozzi, insieme sul palco per Figlie di Eva per la regia di Massimiliano Vado: tre donne sull’orlo di una crisi di nervi sono legate allo stesso uomo, un politico spregiudicato, corrotto e doppiogiochista, candidato premier delle imminenti elezioni.
Per la realizzazione della stagione di prosa un grazie particolare a Ubi Banca e tutti i Mecenati 2018 per il contributo erogato tramite Art Bonus a sostegno delle attività del Teatro Pergolesi.
Per informazioni:
Biglietteria Teatro G.B. Pergolesi 0731 206888
Amat 071 2072439
JESI / STAGIONE DI PROSA AL TEATRO PERGOLESI, DAL 14 OTTOBRE LA CAMPAGNA ABBONAMENTI JESI, 10 ottobre 2018 - Domenica 14 ottobre prende il via la campagna abbonamenti del Teatro Pergolesi , un cartellone importante di…
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redazionecultura · 8 years ago
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sede: Palazzo della Triennale (Milano); a cura di: Alberto Salvadori e Rischa Paterlini.
La collezione Giuseppe Iannaccone, nata nei primi anni Novanta, abbraccia un arco temporale che va dal 1920, anno del dipinto “L’attesa” di Ottone Rosai, al 1945, con “Il postribolo” di Alberto Ziveri. La raccolta riunisce opere di artisti che hanno sviluppato, durante il venticinquennio, visioni individuali e collettive controcorrente rispetto alle politiche culturali di ritorno all’ordine e classicità monumentale novecentista. I due estremi cronologici raccontano bene una storia di cultura innovatrice, di furori giovanili non sopiti, persino di franca opposizione contro il ritorno alla tradizione nazionale, le mitologie neoumanistiche del fascismo e le consolazioni offerte da alcune correnti formaliste e astratte. Realizzate tra il 1920 e il 1945, le opere hanno fatto i conti con una cultura figurativa europea che ha riconosciuto nella forza eversiva del segno e del colore la propria identità. Il concetto di espressione individuale fa da collante ai lavori: dalla poesia del quotidiano di Ottone Rosai e Filippo De Pisis all’espressionismo della “Scuola di via Cavour” (Mario Mafai, Scipione, Antonietta Raphaël), dal lavoro di scavo nel reale di Fausto Pirandello, Renato Guttuso e Alberto Ziveri alle correnti tonaliste degli artisti del gruppo dei “Sei di Torino” (Jessie Boswell, Gigi Chessa, Nicola Galante, Carlo Levi, Francesco Menzio) e del “Chiarismo lombardo” (Angelo Del Bon, Francesco De Rocchi, Umberto Lilloni), sino alle forze innovatrici dei pittori e scultori di “Corrente” (Ernesto Treccani, Renato Birolli, Aligi Sassu, Arnaldo Badodi, Luigi Broggini, Giuseppe Migneco, Italo Valenti, Bruno Cassinari, Ennio Morlotti). A chiudere la mostra “l’atmosfera irrespirabile” de Il Caffeuccio di Emilio Vedova che, travolto da una rabbia che sarebbe presto sfociata nella partecipazione alla Resistenza, segna un punto di non ritorno. Il quadro, esposto all’ultimo Premio Bergamo, è sembrato ai giovani del gruppo di “Corrente” un vero e proprio detonatore anticlassico: non si poteva costruire, in piena guerra, una pittura nuova, “moderna”, se non negando lo stile in voga nei vent’anni precedenti. In quei quadri, a volte disprezzati dalla cultura artistica dominante, era riposta una risorsa importante: insegnavano a guardare la realtà con uno sguardo rinnovato dagli aspetti più intriganti dell’umanità, della poesia e del colore. La raccolta di Giuseppe Iannaccone è lo specchio dell’animo umano, dei sentimenti di un’Italia in pieno fermento, di in un’epoca in cui la voglia di ricostruire il Paese incrociava la sofferenza per le violenze del regime e delle guerre. Un’originale e importante testimonianza di una stagione creativa, complessa e vitale, dell’arte italiana del Novecento.
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Italia 1920-1945. Una nuova figurazione e il racconto del sé - Collezione Giuseppe Iannaccone sede: Palazzo della Triennale (Milano); a cura di: Alberto Salvadori e Rischa Paterlini. La collezione Giuseppe Iannaccone, nata nei primi anni Novanta, abbraccia un arco temporale che va dal 1920, anno del dipinto "L'attesa" di Ottone Rosai, al 1945, con "Il postribolo" di Alberto Ziveri.
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pier-carlo-universe · 6 months ago
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La Stagione Teatrale 2024-2025 di Arquata Scrivia e Gavi Debutta con "Blasé". Il 12 ottobre 2024, al Teatro della Juta, parte la stagione "Non è Pirandello" con lo spettacolo "Blasé" di Luca Zilovich
Il Teatro della Juta di Arquata Scrivia, in collaborazione con il Teatro Civico di Gavi, inaugura la stagione teatrale 2024-2025 con lo spettacolo “Blasé”, una produzione delle Officine Gorilla e del Teatro della Juta, in scena il 12 ottobre 2024 alle ore 21:00. Questo spettacolo, scritto e diretto da Luca Zilovich e interpretato da Michele Puleio, esplora la disillusione e l’insoddisfazione che…
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