#sotto a chi tocca
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Nell’ultimo anno ho mandato affanculo qualche persona. Prima di tutto due dietologi da cui ero andata per perdere qualche chilo. Purtroppo tre anni fa ho dovuto iniziare a prendere un farmaco che è anche anabolizzante,così nel giro di 15 giorni ho messo cinque chili pur seguendo una dieta ipocalorica e bilanciata. Questi due medici non solo non sono riusciti a farmi perdere peso,ma con le loro diete sbagliate hanno peggiorato le mie patologie. Ora sto andando da una nutrizionista giovane,seria e onesta e finalmente,anche se molto lentamente,comincio a perdere peso e le mie condizioni di salute sono migliorate. Poi,lo scorso novembre,ho mandato affanculo la mia parrucchiera,da cui andavo da circa 17 anni e con cui avevo un rapporto amichevole. Nell’ultimo anno era molto scorbutica perché voleva che facessi il colore e il taglio che piacevano a lei e non approvava le mie scelte.Alla fine mi sono fatta convincere a tagliare i capelli come diceva lei,ma me li ha tagliati troppo corti e stavo malissimo. Ho fatto mesi a disagio quando uscivo di casa. Ora vado da un altro parrucchiere che ha tinte ottime,é molto bravo e tratta le clienti come regine.
Quindi,visto che mandare affanculo quelle persone,mi ha migliorato notevolmente la vita,sto già pensando a chi può essere il prossimo da mandare affanculo 🤣🤣
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Storia Di Musica #350 - Miles Davis Quintet, Relaxin' With The Miles Davis Quintet, 1958
Per essere stata una piccola casa editrice musicale, la Prestige di Bob Weinstock �� infarcita di leggende, come ho un po' raccontato in queste belle (per me, e spero pure per chi le ha lette) storie musicali novembrine. Che oggi toccano l'impressionante traguardo dei 350 dischi, e come tradizione vuole tocca a Miles Davis. Weinstock capì agli inizi degli anni '50 che Davis aveva un talento gigantesco sia come musicista ma forse ancora di più come band leader, tanto che fu uno dei suoi più grandi sostenitori ad intraprendere la costruzione di un suo gruppo. E Davis alla prima occasione dimostrerà il suo fiuto per la genialità musicale e nello scegliersi i musicisti, formando quello che è uno dei grandi gruppi di sempre, e apice dell'hard bop. Davis sceglie un giovane sassofonista della scuderia Prestige, John Coltrane, che in pochi anni diventerà uno dei giganti della musica del '900 e quella che è la sezione ritmica per eccellenza del genere: Red Garland al pianoforte, Paul Chambers al basso e contrabasso e Philly Joe Jones alla batteria. Siamo nel 1955: come accennato, Weinstock era uno che metteva la praticità davanti all'estetica, e spinge il quintetto a registrare. I musicisti la prendono come un'occasione per provare come suoneranno il repertorio dal vivo. Davis ha già registrato con la Prestige il suo primo disco da 12 pollici, The Musings Of Miles, nel 1955 con Oscar Pettiford al basso, e vedendo l'aura del personaggio crescere enormemente come seguito, Weinstock pubblicò in vari Lp tutte le registrazioni su disco da 10 pollici che Davis, con varie formazioni, aveva fatto agli inizi degli anni '50. Ai leggendari studi Van Gelder, Davis e il suo quintetto registrano in due date, passate alla storia del jazz: l'11 maggio e il 16 ottobre del 1956. Sono già così affiatati e coesi, la magia e la bravura a livelli così alti, che registrano moltissimo materiale, che il buon Weinstock è ben felice di avere, dato che ha notizie sicure che la Columbia vuole mettersi Davis sotto contratto, cosa che avverrà alla fine dello stessio anno, il 1956. Per questo motivo, e per la bellezza della musica, le intere quattro registrazioni vengono pubblicate come 4 dischi: Cookin' With The Miles Davis Quintet nel 1957, Relaxin' nel 1958, Workin' nel 1960 e Steamin' nel 1961. Sebbene Davis sia già passato ad altre magie stilistiche già nel 1958, quando pubblica quel capolavoro che è Milestones, i 4 dischi sono considerati insieme non solo uno dei gioielli del catalogo Prestige, ma come lo stato dell'arte del bop nella seconda parte degli anni '50.
Scelgo Relaxin' With The Miles Davis Quintet nella tetralogia perchè è unanimemente considerato il lavoro più palpitante e musicalmente ineccepibile, sebbene il repertorio scelto fosse, e da questo il titolo, il lato più intimo e dolce dei brani registrati. In questo disco la tromba di Davis, con i suoi interventi delicati e strutturati sulla ripresa di poche note caratteristiche del brano, diventerà iconica, tanto che chiunque pensi solo di avvicinarsi al suo stile verrà etichettato come "davisiano". Tra l'altro persino nelle versioni rimasterizzate più recenti, quelle del 2005 nientemeno che da Van Gelder in persona, rimangono ancora gli intermezzi di dialoghi all'inizio di ogni brano, dove Davis discute con i musicisti sul da farsi. In scaletta 6 brani, tutti standard, che in questa registrazione troveranno la loro forma definitiva: If I Were A Bell è un brano scritto da Frank Loesser per il famosissimo musical Guys And Dolls (uno dei grandi successi di Broadway, che ispirò il film Bulli E Pupe con Marlon Brando e Jean Simmons), qui è nella sua versione decisiva con gli assoli di Garlad e Coltrane e la tromba di Davis, che qui usa una sordina Harmon che diventerà una sorta di feticcio tra i trombettisti. You're My Everything è una canzone del 1931, altra canzone da un musical epocale è I Could Write A Book di Rodgers e Hart, cantata nella versione originale da Gene Kelly nel musical Pal Joey come It Could Happen To You, tratta dal film della Paramount And The Angels Sing del 1940. Due invece sono i brani scritti da jazzisti: Oleo è un brano di Sonny Rollins, il quale era molto stimato da Davis: i due spesso hanno suonato insieme, ma mai con assiduità, avendo un grande rispetto reciproco. L'altro brano è Woody 'n' You di Dizzy Gillespie, uno dei tre arrangiamenti realizzati da Gillespie per la big band di Woody Herman, anche se all'epoca non venne utilizzato; gli altri due erano Swing Shift e Down Under.
Nasce in questo disco la sintonia musicale quasi sincronica di Davis e Coltrane, che nel 1959 porteranno ai picchi inarrivabili di Kind Of Blue: la sezione ritmica diventerà lo standard, tanto è che Coltrane, che inizierà i suoi lavori solisti proprio con la Prestige, se li porterà appresso.
Il quintetto lavorerà fino al 1960, non senza dissidi e pause, primo fra tutti il fatto che Red Garland porterà Coltrane alla dipendenza dall'eroina, cosa che Davis non gli perdonerà mai (tanto è vero che Garland non suona in Kind Of Blue). Chambers, un genio, anche lui attraverserà una devastante dipendenza dalla droga e addirittura morirà per complicazioni da tubercolosi nel 1963, a 33 anni.
Nel 2006 la Concorde Records, che detiene il catalogo Prestige, pubblicherà in una scintillante confezione box da 4 cd The Legendary Quintet Sessions, che ai 4 capolavori aggiunge 'Round Midnight, presente in Miles Davis And The Modern Jazz Giants e una serie di registrazioni inedite in jazz club e show in televisione. Un tesoro per gli appassionati più accaniti, ma per un approccio genuino e affascinante al jazz basta ascoltare la bellezza del disco di oggi, una delle innumerevoli magie di Miles Davis.
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Sotto a chi tocca e non vi avvilite. Siate portatori di generosità, di gesti cortesi, di sorrisi, di cordialità, chi è di carattere solare è sempre benvenuto. Siate l'estate che domina l'inverno, siate un lampione in ogni strada scura, non siate pallosi e pesanti che poi gli altri vi schifano e vi evitano. La gente ha sempre qualche problema, qualche dolore nascosto, qualche turbamento di salute, non vi mettete anche voi ad appesantire la situazione, siate gentili con tutti che nulla vi toglie e nulla vi aggiunge, che cosa vi costa?
Usate parole di tolleranza e non vi impicciate del sesso degli altri, di chi ama chi, non sono cavoli vostri. Amate ciò che amate e non impedite agli altri di amare ciò che amano, non è l'amore che distrugge il mondo ma l'odio e l'interesse personale a scapito di quello collettivo.
Partecipate con allegria alla vita che il buio nell'anima fa male e compromette ogni rapporto umano e familiare e vi fa diventare brutti, siate la cura e mai la malattia.
@ilpianistasultetto
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TRINITY BLOOD
RAGE AGAINST THE MOONS
(Storia: Sunao Yoshida // Illustrazioni: Thores Shibamoto)
Vol.1 From the Empire
FLIGHT NIGHT - Capitolo 4
Traduzione italiana di jadarnr dai volumi inglesi editi da Tokyopop.
Sentitevi liberi di condividere, ma fatelo per piacere mantenendo i credits e il link al post originale 🙏
Grazie a @trinitybloodbr per il suo prezioso contributo alla revisione sul testo originale giapponese ✨
CRAAACK… CRIIICK… BOOM!
Il pavimento crollò.
Non c’era nulla che avrebbero potuto fare. Cercarono invano di aggrapparsi a qualcosa, ma furono risucchiati tra i condotti di aerazione della nave che stavano attraversando, cadendo da un’altezza di quasi due metri.
Si rialzarono traballanti, cercando di riprendere l’equilibrio.
“Aaaah. Padre, é tutto ok?” Chiese Jessica. Non riusciva a vedere nulla in quella stanza piccola e buia. Allungò il collo cercando di scrutare attraverso l’oscurità. “Padre?… dove… ah!”
Qualcosa si mosse sotto la sua gonna. Jessica saltò in piedi e urlò a squarciagola.
Abel, con gli occhi rivoltati verso l’alto come un morto, giaceva sotto di lei.
Sembrava ferito… eppure in qualche modo aveva un’espressione soddisfatta. Lei era finita esattamente a sedere sulla sua faccia quando erano atterrati.
“Padre? Sta bene? La prego non sia morto.”
“Fa male ma sto bene.” Mugugnò. “Ma dove mi trovo? Chi è lei?”
Jessica, felice che il prete respirasse ancora, ma temendo una commozione cerebrale, cercò di riscuoterlo prendendolo per il bavero del suo colletto: “Siamo sul ponte inferiore. I pannelli del pavimento erano arrugginiti e hanno ceduto. Si sente bene?”
“Ho fatto un sogno. C’erano degli angeli, ma erano vestiti di rosa anziché di bianco. E avevano un profumo così dolce…”
Jessica fissò il prete con uno sguardo glaciale, e mollò la presa, lasciandolo cadere nuovamente sul pavimento. Poi si sistemò il vestito con cura.
“Dovrebbe esserci un interruttore elettrico da qualche parte.” Disse, guardando ovunque tranne che verso Abel. “Ah, eccolo qui.”
“Dunque qui si trovano tutti i sistemi di comunicazione, giusto?”
Jessica ignorò il prete, che in qualche modo era riuscito ad alzarsi in piedi, si diresse verso il quadro di comando del computer ed iniziò a premere gli interruttori del pannello di controllo. Alcuni caratteri apparvero sullo schermo, ma—
“E’ come pensavo. Il computer principale è completamente tagliato fuori. Ogni comando viene rifiutato.”
“Ah è così? Mi faccia vedere.” Disse il prete.
“E’ inutile, solo un programmatore potrebbe—“ Jessica si interruppe a metà frase.
Il prete stava scrivendo freneticamente sulla tastiera della console.
“Padre! Non ha senso che digiti cose a caso…”
“Lasci fare a me.”
Lo schermo del computer si illuminò di strani caratteri - lettere e numeri verdi che scorrevano velocemente sul monitor, riflessi sulle lenti degli occhiali del prete. Abel continuò a battere sui tasti ad una velocità impressionante.
“Ecco fatto.” Disse il prete. Premette un grosso pulsante ed alzò entrambi i pugni in segno di trionfo.
La console emise un suono ed iniziò a ronzare. Un momento dopo, le luci del pannello di controllo passarono da verdi a blu. Jessica sapeva che quello voleva dire che erano passati dal pilota automatico al volo manuale.
“Ma chi siete veramente, Padre?”
“Ora è tutto a posto, vero?” Rispose sorridendo Abel, ignorando la domanda. “Adesso tocca a lei, Jessica. Deve impedire a tutti i costi che questa nave si schianti. Lei rimanga qui. Io vado a cercare il nostro amico della cabina di pilotaggio.”
“Ma non è pericoloso?” Chiese Jessica.
“E’ il mio lavoro. Lei faccia il suo dovere, io farò il mio.”
“Ma…”
“Sì, Jessica?”
Jessica non aveva idea di cosa avrebbe voluto dire. Non riusciva a dare un ordine al groviglio delle sue emozioni. Alla fine disse semplicemente: “Stia attento.”
“Grazie.”
Gli occhi azzurri del prete sorrisero guardando verso di lei. “Allora io vado. Lei si occupi della navigazione.”
“Non ce n’è bisogno, maledetti ficcanaso!” Il ghigno sottile del Duca di Meinz apparve dall’oscurità di una finestra. “Da qui in avanti me ne occuperò io.”
Il vampiro fracassò il vetro, scaraventando il corpo di Abel dall’altro lato della stanza.
#abel nightroad#sunao yoshida#trinity blood#rage against the moons#trinity blood novels#jessica lang#flight night#thores shibamoto#traduzione italiana
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Anche la notte ti somiglia,
la notte remota che piange
muta, dentro il cuore profondo,
e le stelle passano stanche.
Una guancia tocca una guancia
è un brivido freddo, qualcuno
si dibatte e t’implora, solo,
sperduto in te, nella tua febbre.
La notte soffre e anela l’alba,
povero cuore che sussulti.
O viso chiuso, buia angoscia,
febbre che rattristi le stelle,
c’è chi come te attende l’alba
scrutando il tuo viso in silenzio.
Sei distesa sotto la notte
come un chiuso orizzonte morto.
Povero cuore che sussulti,
un giorno lontano eri l’alba.
CesarePavese
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DRAGHI STA PER TORNARE - 1 Minute News
youtube
Ecco qua il personaggio che la Vondercazzen ha chiesto consiglio per farci stare senza gas e senza pace. Mi raccomando dimenticate che ha mentito spudoratamente sul COVID e sui vaccini senza aver mai chiesto scusa, d'altra parte anche il Papa l'ha fatto e di scuse non se n'è parla, spero che chi guarda il video faccia presente a come tutto il parlamento applaude alle sue castronerie (grandissime cazzate) sono sempre lì e sono pronti a dire sì a tutto pur di rivedere quei mucchi di gruzzoli che in era COVID-19 si spargevano a medici politici main stream artisti e Company se sponsorizzavano vaccini e politically correct . Avevamo solo il naso fuori dalla merda ora ci tocca ritornarci sotto un po' alla volta per ciascuna categoria.
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La realtà
Volevo fare una passeggiata ma mi hanno interrotta. La vicina ha cominciato a parlare e parlare e parlare, poi è arrivata l'amica ottantenne della nostra condomina più anziana e anche lei a parlare parlare di come si sia cresciuta quattro nipoti contemporaneamente e da sola, di come ora a ottant'anni non abbia nemmeno un dolorino, anzi, nemmeno mezzo...e io ci credo perché la vedo nell'orto, da casa dei miei genitori, dalla mattina alla sera, piegata in due come un portafoglio; non s'inginocchia lei, non si tocca la schiena, non fa pause. Lavora. Piegata in due. L'unica cosa è la sera, una grande solitudine e malinconia, ha detto, perché sono sola; per questo cerco di stare in casa il meno possibile. È già abbronzata, ha già raccolto i "bruscandoli" e li stava portando alla sua amica (sta chiusa in casa tutto il giorno, poverina, ed è un anno più giovane di me, ha detto). Ci ha parlato dei figli, delle gare di sci, del vischio e dell'uomo che glielo regala. Volevo passeggiare mezz'ora prima di andare a prende mia madre, avevo voglia di vedere il mio nuovo amico un cagnolino solo, sempre seduto sotto il portico della casa nuova. È bianco e nero; quando passo mi fissa un istante da lontano e poi balzella fino alla recinzione guardandomi attraverso tutto quel pelo che gli copre gli occhi. Mi guarda solo un istante e poi sbatte la schiena contro la rete per farsi accarezzare. Si gode le coccole e si gira come sul girarrosto; un po' sulla schiena, un po' di fianco un po' sulla testa. Ha il pelo sporco e non gli tolgono mai la pettorina da guinzaglio, mi dispiace tanto ma sono felice venga in contro al piacere di una carezza. L'ottantenne è sola, il cane è solo, anche il condomino qui affianco è solo. La moglie l' ha lasciato, all'improvviso dopo trent'anni. Era bella, bionda, elegante, leggiadra, lunatica e un po' antipatica; non la vedevo da tempo ma credevo fosse colpa del lavoro e di questi cazzo di uffici dai quali ci facciamo fagocitare e invece se n'è andata con un altro. Ci ha lasciati un po' tutti, in realtà, perché un condominio di sei unità è come una famiglia allargata. Lei era "la bella", quella da senso d'inferiorità perché con il marito, le figlie, il nipote, il lavoro, la palestra, le lavatrici sempre a girare e i capelli da asciugare, era comunque perfetta: lavava le scale, puliva ogni giorno la terrazza, lavava la macchina e ora più nulla di tutto questo. Chi se ne va è come se morisse, se ne parla al passato. Invece è viva e vegeta e ora starà di sicuro meglio, finalmente, si godrà la vita, un nuovo amore e la primavera che arriccia i pensieri. Lui, invece, è qui affianco, dimagrito, lo sguardo un po' spento. Vedovo. È sola l'ottantenne alla sera, è solo il cane tutto il giorno, è solo F. qui affianco, forse che la solitudine mi stia parlando? Non so. Ci sarà sicuramente qualcosa da capire. Ho delle amiche che scrivono poesie, a volte le capisco e a volte no, ma c'è chi dice che la poesia non si debba per forza capire, può essere anche solo un ritmo, un disegno, un colore...una volta anche io la pensavo così ora no. Preferisco capire o, perlomeno, sentire qualcosa. Le amiche oggi hanno presentato due libri, eravamo in tanti: dal soffitto della libreria scendevano testi dondolando su cartellini chiari, guardavamo tutti all'insù, era strano, sembravamo proprio esseri umani che leggono delle idee, che assaporano visioni. Bello. Gente. Parole scritte e parlate, sguardi, baci, rincorse di mani a sentire la carne con la carne, toccare. Ho bevuto un rosé, sorriso a sconosciuti, rivisto conosciuti che non vedevo da tempo. Mamma ha comprato un tailleur color inchiostro, io due libri. Mi hanno riportata a casa presto, le stelle erano appuntite, in salotto mi aspettavano cose da leggere e invece sto scrivendo. Ieri notte ho sognato te, ho sognato che dormivamo abbracciate strette, talmente strette che non c'era spazio fra noi, tutto combaciava. Eravamo una. Il sogno è la realtà, basta saperla vedere.
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Un dolore interrogato
non è piú lo stesso dolore,
una crepa si apre, si entra
nell’assenza di mondo
in punta di piedi nudi,
il male nasconde la testa
sotto le ali dei pensieri,
si vergogna delle sue parole
antiche come semi d’albero
forze potenti lontane
dai brividi delle città.
Assaggiare l’assenza,
assaporare il furore
dell’abbandono, illuminare
le gesta superbe di palazzi e strade
qui dal corale del bosco
vita che se ne infischia
delle prove di splendore.
Camminando a passo di lince
dentro il male, il dolore ruggito di leone
si fa devoto alla mano di chi
lo percorre fremendo e non gli dà nomi,
tocca tasta lecca pieghe angoli polveri da sparo.
Esplorato e spolverato con riguardo
il dolore assottiglia la discordanza scura
tra quello che senti e quello che pensi
e una tempesta di mare dolce si alza
dicendoti: «So che sei qui per me».
Io, sale nell’acqua.
Chandra Candiani - "Pane del bosco."
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QUELLO CHE TI FANNO PROVARE GLI ALTRI
“Se si imparasse che le persone sono solo la condizione che permette a ciò che abbiamo già dentro di uscire...
Si smetterebbe di dare la colpa a chi "ci fa sentire male" e di attaccarci a chi "ci fa sentire bene".
Ciò che si scatena, che sia gioia o odio, era già in te.
Non si vedeva perché mancava la condizione per farlo uscire fuori.
Non è certo il foglio a dare l'inchiostro alla penna. Ma è grazie al foglio se adesso lo vediamo quando scriviamo”.
“Lui mi fa arrabbiare.”
“Lui mi rende felice.”
“Lei mi fa stare bene.”
Ragioniamo su queste frasi.
Cosa stiamo dicendo davvero?
Occhio perché stiamo per rovesciare completamente quello che si è sempre creduto da millenni.
Stiamo dando la responsabilità del nostro mondo interiore, del nostro sentire, a qualcun altro.
Ed è così?
No, non è così.
Tutto ciò che provi dipende da te, da cosa c’è dentro di te.
La felicità, l’infelicità, il dolore, la gioia, l’amore, la sofferenza e tutto ciò che attiri nella tua vita non dipendono affatto dagli altri, ma unicamente da te stesso, da ciò che sei al tuo interno.
Curioso vero?
Ma pensa a un fiammifero.
Se lo gettassi in una tanica d’acqua, cosa accadrebbe?
Nulla, il fiammifero si spegnerebbe.
Ma se lo gettassi in una tanica di benzina, invece?
Il fiammifero era lo stesso identico, eppure sono accadute due cose totalmente opposte.
Perché, alla fine, contava ciò che c’era dentro il contenitore…
Lui dà sempre ciò che contiene, momento per momento. Ciò che si trova in superficie come prima cosa e poi strato dopo strato quello che è più in profondità.
Che tu ci creda o no, lo stesso è con noi:
Quasi tutte le tue reazioni emotive e psicologiche dipendono innanzitutto da ciò che viene toccato in te stesso e non necessariamente da chi le tocca.
Gli altri hanno una parte molto marginale in tutto questo, perché la rabbia, ad esempio, è già presente al tuo interno e non aspetta altro che un'occasione per potersi manifestare all'esterno.
Aspetta magari che una certa persona si comporti con noi in una certa maniera per poi palesarsi.
Ma la persona esterna non ne è la causa. Lei non ce l’ha messa dentro di te questa rabbia, non ha questo potere.
E cosa ha fatto? Semplice, lei è stata solo la condizione, la scusa per proiettare fuori la rabbia e il risentimento che già covavi dentro.
Senza una condizione, come ad esempio una persona, una relazione o una provocazione, il karma o le ferite non possono manifestarsi, stanno lì rannicchiate nel nostro inconscio e non si vedono. Lo vedremo meglio.
Ti basti sapere che tutta la tua vita, atteggiamenti, interpretazioni e comportamento, si muovono dal materiale accumulato nel tuo inconscio a causa di questa vita, ma anche dalle vite precedenti, mentre le situazioni esterne agiscono per lo più, come delle potenti calamite che attirano in superficie del materiale psichico interno che, in una data situazione o contesto, trova facilmente l'occasione per uscire sotto forma di rabbia, avidità, violenza, attaccamento, amore, lussuria, odio, vendetta, simpatia, felicità, ecc.
E sì hai visto bene, perché lo stesso vale anche per l'amore e per tutti i sentimenti positivi.
Essi sono già presenti al tuo interno.
Nulla esce da te se prima non si trova al tuo interno.
Non è forse vero che la stessa situazione, vissuta da più persone, verrà percepita diversamente in base proprio alla qualità e ai contenuti della loro mente e delle loro proiezioni mentali?
Oggi il sole splende, una brezza leggera ti accarezza la pelle.
Sorseggi la tua granita alla fragola e ti godi il mare cristallino sul lettino comodo della spiaggia. Ti giri per sorridere beato al tuo amico che però fissa il cellulare con occhi lucidi.
“Laura mi ha appena lasciato. Non mi ama più e me l’ha scritto su Whatsapp capito? Dopo 2 anni mi lascia per messaggio” ti dice.
Ve la state spassando allo stesso modo quella bella giornata di sole?
Vedi, nonostante la giornata sia la stessa potremo sentirci in paradiso o addirittura sperimentare l’inferno al nostro interno.
E questo dipende tutto dalla nostra mente.
Anche la qualità stessa della tua vita dipende da quella della tua mente-coscienza e dalla circolazione delle tue sottili energie psichiche.
Più le tue energie sono libere di fluire e sono integrate, tanto più vivrai in uno stato di gioia, di libertà, di amore e consapevolezza, anche in situazioni di forte attrito e difficoltà.
Più le tue energie sono bloccate, distorte e frammentate, tanto più vivrai in uno stato di sofferenza, di paura e d'impotenza, anche quando non c'è alcun tipo problema.
Noi però crediamo l’opposto e per questo il primo istinto è quello di dare la colpa all’altro.
Incolpiamo gli altri di averci fatto arrabbiare, mentre siamo felici di chi ci ha fatto innamorare.
Ma è tutto un sogno, un'illusione, un'allucinazione.
Noi incolpiamo gli altri per ciò che esce da noi.
Oppure ci attacchiamo a qualcuno sempre per ciò che esce da noi.
È ovvio che poi desideriamo così tanto cambiare gli altri, per fare in modo che, inconsciamente, possano comportarsi in modo tale da farci uscire solamente i lati positivi e non quelli negativi.
Non ci accorgiamo di questi giochi inconsci ed è qui che cadiamo nella trappola del karma e viviamo totalmente proiettati sugli altri.
“Bhè se non coltivo relazioni, se me ne sto il più possibile per i fatti miei, non soffro, non ho problemi e nemmeno devo fare lo sforzo di lavorare su me stesso, no?” potresti dirmi questo.
Bene. Ottimo.
Ma come puoi realmente isolarti da tutto e da tutti?
E come puoi pensare che negare alla tua anima certe esperienze possa essere buono per te?
Tutto ciò che si trova al tuo interno verrà puntualmente toccato ed evocato da ciò che accade all’esterno portandoti a reagire.
E questo non si può evitare, a meno che tu davvero sia da solo in una grotta sull’Himalaya ma anche lì probabilmente qualche emozione la sperimenti, non esiste che una persona non viva interazioni o eventi che non muovano il suo mondo interiore.
Comprendi che ciò che ferisce uno non ferisce l’altro.
E questo è illuminante, perché in questo modo scopriamo che si può guarire e trasformare il proprio materiale irrisolto.
ROBERTO POTOCNIAK
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“Lezione n° 1
Un uomo va sotto la doccia subito dopo la moglie e nello stesso istante suonano al
campanello di casa. La donna avvolge un asciugamano attorno al corpo, scende le
scale e correndo va ad aprire la porta: è Giovanni, il vicino. Prima che lei possa dire
qualcosa lui le dice: “ti do 800 Euro subito in contanti se fai cadere l’asciugamano!”
Riflette e in un attimo l’asciugamano cade per terra…
Lui la guarda a fondo e le da la somma pattuita. Lei, un po’ sconvolta, ma felice per la piccola fortuna guadagnata in un attimo risale in bagno. Il marito, ancora sotto la doccia le chiede chi fosse alla porta. Lei risponde: “era Giovanni”. Il marito: “perfetto, ti ha restituito gli 800 euro che gli avevo prestato?”
Morale n° 1:
Se lavorate in team, condividete sempre le informazioni!
Lezione n° 2
Al volante della sua macchina, un attempato sacerdote sta riaccompagnando una giovane monaca al convento.
Il sacerdote non riesce a togliere lo sguardo dalle sue gambe accavallate.
All’improvviso poggia la mano sulla coscia sinistra della monaca. Lei lo guarda e gli
dice: “Padre, si ricorda il salmo 129?” Il prete ritira subito la mano e si perde in
mille scuse. Poco dopo, approfittando di un cambio di marcia, lascia che la sua mano sfiori la coscia della religiosa che imperterrita ripete: “Padre, si ricorda il salmo 129?” Mortificato, ritira la mano, balbettando una scusa. Arrivati al convento, la monaca scende senza dire una parola. Il prete, preso dal rimorso dell’insano gesto si precipita sulla Bibbia alla ricerca del salmo 129.
“Salmo 129: andate avanti, sempre più in alto, troverete la gloria…”
Morale n° 2:
Al lavoro, siate sempre ben informati!
Lezione n° 3
Un rappresentante, un impiegato e un direttore del personale escono
dall’ufficio a mezzogiorno e vanno verso un ristorantino quando sopra una panca trovano una vecchia lampada ad olio. La strofinano e appare il genio della lampada.
“Generalmente esaudisco tre desideri, ma poiché siete tre, ne avrete uno ciascuno”. L’impiegato spinge gli altri e grida: “tocca a me, a me….Voglio stare su una spiaggia incontaminata delle Bahamas, sempre in vacanza, senza nessun pensiero che potrebbe disturbare la mia quiete”. Detto questo svanisce. Il rappresentante grida: “a me, a me, tocca a me!!!! Voglio gustarmi un cocktail su una spiaggia di Tahiti con la donna dei miei sogni!” E svanisce. Tocca a te, dice il genio, guardando il Direttore del personale.
“Voglio che dopo pranzo quei due tornino al lavoro!”
Morale n° 3:
Lasciate sempre che sia il capo a parlare per primo!
Lezione n° 4
In classe la maestra si rivolge a Gianni e gli chiede: ‘Ci sono cinque uccelli appollaiati su un ramo. Se spari a uno degli uccelli, quanti ne rimangono?’
Gianni risponde: “Nessuno, perché con il rumore dello sparo voleranno via tutti”.
La maestra: “Beh, la risposta giusta era quattro, ma mi piace come ragioni”.
Allora Gianni dice “Posso farle io una domanda adesso?”
La maestra: Va bene.
“Ci sono tre donne sedute su una panchina che mangiano il gelato. Una lo lecca delicatamente ai lati, la seconda lo ingoia tutto fino al cono, mentre la terza dà piccoli morsi in cima al gelato. Quale delle tre è sposata?” L’insegnante arrossisce e risponde: “Suppongo la seconda… quella che ingoia il gelato fino al cono”.
Gianni: “Beh, la risposta corretta era quella che porta la fede, ma… mi piace come ragiona”!!!
Morale n° 4: Lasciate che prevalga sempre la ragione.
Lezione n° 5
Un giorno, un non vedente era seduto sul gradino di un marciapiede con un
cappello ai suoi piedi e un pezzo di cartone con su scritto: “Sono cieco, aiutatemi per favore”. Un pubblicitario che passava di lì si fermò e notò che vi erano solo alcuni centesimi nel cappello. Si chinò e versò della moneta, poi, senza chiedere il permesso al cieco, prese il cartone, lo girò e vi scrisse sopra un’altra frase.
Al pomeriggio, il pubblicitario ripassò dal cieco e notò che il suo cappello era pieno di monete e di banconote.
Il non vedente riconobbe il passo dell’uomo e gli domandò se era stato lui che aveva scritto sul suo pezzo di cartone e soprattutto che cosa vi avesse annotato.
Il pubblicitario rispose: “Nulla che non sia vero, ho solamente riscritto la tua frase in un altro modo”.
Sorrise e se ne andò.
Il non vedente non seppe mai che sul suo pezzo di cartone vi era scritto:
“Oggi è primavera e io non posso vederla”.
Morale n° 5: Cambia la tua strategia quando le cose non vanno molto bene e vedrai che poi andrà meglio.
Se un giorno ti verrà rimproverato che il tuo lavoro non è stato fatto con professionalità, rispondi che l’Arca di Noè è stata costruita da dilettanti e il Titanic da professionisti….
Per scoprire il valore di un anno, chiedilo ad uno studente che è stato bocciato all’esame finale.
Per scoprire il valore di un mese, chiedilo ad una madre che ha messo al mondo un bambino troppo presto.
Per scoprire il valore di una settimana, chiedilo all’editore di una rivista settimanale.
Per scoprire il valore di un’ora, chiedilo agli innamorati che stanno aspettando di vedersi.
Per scoprire il valore di un minuto, chiedilo a qualcuno che ha appena perso il treno, il bus o l’aereo.
Per scoprire il valore di un secondo, chiedilo a qualcuno che è sopravvissuto a un incidente.
Per scoprire il valore di un millisecondo, chiedilo ad un atleta che alle Olimpiadi ha vinto la medaglia d’argento.
Il tempo non aspetta nessuno. Raccogli ogni momento che ti rimane, perché ha un
grande valore. Condividilo con una persona speciale e diventerà ancora più importante.
L’origine di questi racconti è sconosciuta, ma pare portino buonumore e fortuna a chi li manda e a chi li dice, quindi non tenerli per te.”
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L’estate è decadente. È un tempo sospeso tra una doccia e una sudata sul coppino. In estate tutto rallenta per sopravvivere, cambia ritmo e si ritira nell’ombra, perché sotto il sole si brucia e muore. Tocca meriggiare in estate, sopportando le cicale chiacchierone e i grilli impertinenti. Coprirsi gli occhi e, sì, bere molta acqua sennò cosa si suda? La verità è che la trovo assai volgare l’estate, con le ciabatte strascicate, gli aloni sotto le ascelle, pantaloncini ovunque, come in spiaggia. La trovo sciatta col lino stazzonato che vorrebbe essere elegante, invece è solo trascurato. Se dovessi scrivere un romanzo angosciante, lo ambienterei tra luglio e agosto e il morto ci scapperebbe verso le due del pomeriggio, col sole a picco, in quel silenzio posticcio interrotto sempre dal chiacchiericcio delle cicale. Quel silenzio di solitudine, di una domenica di fine luglio, dove chi non è al mare a divertirsi, con la premura di far sapere al mondo, che è al mare e si sta divertendo, chiude gli scuri e si ritira nel buio, e nel silenzio interrotto dalle pale del ventilatore. Perché in estate corre l’obbligo di divertirsi o di nascondersi, tra il buio e il silenzio affinché il mondo non sappia che non stai partecipando alla festa globale, almeno per metà dell’emisfero. E così è anche faticosa, l’estate, tra obblighi vari, di abbronzatura e allegria, pancia piatta e dorsale guizzante. Ma per fortuna poi torna l’autunno e con lui il riposo e la clemenza che la nebbia sa regalare. E torna il silenzio, quello vero, umido e ovattato dei nebbioni della pianura padana. Quello che non ti obbliga a niente se non a godere di un panorama magico e malinconico, accoccolato in una coperta di tranquillità .
Silvana Granato Sissi
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ALLA FINE AVEVA RAGIONE MONTALE: l’estate è decadente.
È un tempo sospeso tra una doccia e una sudata sul coppino.
In estate tutto rallenta per sopravvivere, cambia ritmo e si ritira nell’ombra, perché sotto il sole si brucia e muore. Tocca meriggiare in estate, sopportando le cicale chiacchierone e i grilli impertinenti. Coprirsi gli occhi e, sì, bere molta acqua sennò cosa si suda?
La verità è che la trovo assai volgare l’estate, con le ciabatte strascicate, gli aloni sotto le ascelle, pantaloncini ovunque, come in spiaggia.
La trovo sciatta col lino stazzonato che vorrebbe essere elegante, invece è solo trascurato.
Se dovessi scrivere un romanzo angosciante, lo ambienterei tra luglio e agosto e il morto ci scapperebbe verso le due del pomeriggio, col sole a picco, in quel silenzio posticcio interrotto sempre dal chiacchiericcio delle cicale.
Quel silenzio di solitudine, di una domenica di fine luglio, dove chi non è al mare a divertirsi, con la premura di far sapere al mondo, che è al mare e si sta divertendo, chiude gli scuri e si ritira nel buio, e nel silenzio interrotto dalle pale del ventilatore.
Perché in estate corre l’obbligo di divertirsi o di nascondersi, tra il buio e il silenzio affinché il mondo non sappia che non stai partecipando alla festa globale, almeno per metà dell’emisfero.
E così è anche faticosa, l’estate, tra obblighi vari, di abbronzatura e allegria, pancia piatta e dorsale guizzante.
Ma per fortuna poi torna l’autunno e con lui il riposo e la clemenza che la nebbia sa regalare.
E torna il silenzio, quello vero, umido e ovattato dei nebbioni della pianura padana.
Quello che non ti obbliga a niente se non a godere di un panorama magico e malinconico, accoccolato in una coperta di tranquillità.
( Silvana Granato Sissi )
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Anche la notte ti somiglia,
la notte remota che piange
muta, dentro il cuore profondo,
e le stelle passano stanche.
Una guancia tocca una guancia -
è un brivido freddo, qualcuno
si dibatte e t'implora, solo,
sperduto in te, nella tua febbre.
La notte soffre e anela l'alba,
povero cuore che sussulti.
O viso chiuso, buia angoscia,
febbre che rattristi le stelle,
c'è chi come te attende l'alba
scrutando il tuo viso in silenzio.
Sei distesa sotto la notte
come un chiuso orizzonte morto.
Povero cuore che sussulti,
un giorno lontano eri l'alba.
(Cesare Pavese) - 4 aprile 1950
Ah!Pavese Pavese🌹
Notte ❤️
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Cinco de Mayo
Non per i Chicanos di qua e di là del Rio Grande ma per tutti coloro che come me han fatto le scuole quando ancora insegnavano il Manzoni, il 5 maggio è legato al ricordo del Napoleone ei fu.
Personaggio la cui fine vien sempre collegata con l'invasione della Russia la quale, secondo la narrativa ancora corrente di origine gramscian-sovietica, fu ciò che ne stroncò l'Empeur. Bah.
La storia è un po' diversa. Napoleone é sempre giocatore d'azzardo, inseguito-inseguitore, sotto assedio come un inquilino moroso: perde e abbandona l'esercito in Egitto nel 1801 (Abukir), poi bastona fragorosamente tutti a Austerlitz nel 1805; ancora, perso tutto con la fatal ritirata di Russia nel 1812, caccia i russi dalla Germania nel 1813, rivince ancora i coalizzati europei ma infine perde a Lipsia nell'ottobre 1813 (la "battaglia delle Nazioni", noi dei russi). Non è finita: Napo risorge dall'Elba e a Waterloo, 18 giugno 1815, é a un passo dalla vittoria che va alla coalizione anglo-tedesca (senza russi).
Quindi no, la storia di Napo non insegna falsi storici tipo "chi tocca la Russia muore" (i figli di Gengis Khan se la ridono). Il punto è che per quanto geniale, con truppe eccellenti e tecniche più avanzate, prima o poi l'Europeo Continentale sarebbe stato comunque sconfitto.
Esattamente come capitò all'imbianchino austriaco: é la strategia, bellezza. Il mondo dipendeva dai mari già ai tempi dell'Impero Romano, anche se ti fai tutto il (sub-)Continente sei isolato, circondato, col tempo diventa sempre più stretto e affamato e prima o poi le prendi.
Lezione sull'isolamento strategico applicabile oggi forse, dico forse, più a Putin che alla Nato. O forse a entrambe (o tre, vale anche per la Cina): ecco perché per fortuna siamo ancora nello stallo equilibrista tipo Guerra Fredda. Meditate strateghi, meditate.
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C’è questa cosa che lei pensa che mi piaccia una sua amica, o quantomeno che provi attrazione nei suoi confronti - cosa a cui io non avevo mai minimamente pensato prima che me lo facesse notare. Sicuramente mi ricorda situazioni e persone da cui in passato sono stata attratta, ma quell’Aurora l’ho guarita, la sto guarendo, e adesso non c’è più spazio in me per quel tipo di relazioni. La accarezzo ogni giorno e la tengo “sotto controllo”, le parlo e la nutro/curo con altro perché il dolore, e il brivido, non mi interessano davvero più. Quindi insomma la questione in sé non mi preoccupa più di tanto, anche se mi dispiace che lei pensi questa cosa. Sta di fatto che, quando sono da sola, se ci ripenso, o anche quando tira fuori lei l’argomento, mi manda totalmente in crisi, perché evidentemente è una cosa che tocca punti di me ancora dolenti. È come se il mio cervello volesse darle ragione, perché da sempre, nei miei confronti, dentro me, mi auto-etichetto come bugiarda, impostora, cattiva, brutta, puzzolente, e il fatto che qualcuno mi accusi che mi piace “qualcuno che non può piacermi” dentro me avvalora questa tesi. Poi, mi rendo conto che sono interessata tantissimo (troppo) ai suoi amici, all’opinione che potrebbero avere di me, ma questa è una questione più ampia; in generale vorrei sempre piacere a tutti e baso il mio valore su questa cosa, ogni giorno, a maggior ragione quando si tratta di persone a cui tengo. Allo stesso tempo non mi vivo possibili situazioni, opportunità, vacanze, perché piuttosto che apparire strana preferisco non esserci (in senso ampio: non vivere. E tutta la mia vita si riduce a questo: piuttosto che rischiare di essere vista davvero, non vivo. Detto ciò, capisco che questo mio “andare in blackout” quando si parla di questa sua amica possa far sembrare che nasconda dell’attrazione. In realtà, faccio fatica a mostrarmi agli altri per il motivo detto prima, soprattutto con chi non fa parte della mia cerchia ristretta, con chi mi ha già vista insomma, con gli altri mi comporto da ancora più strana di quello che sono davvero perché non so come fare come muovermi come camminare sbattere gli occhi parlare respirare mi sento unica (non in senso positivo) osservata e stupida e brutta e grassa e, comunque, sempre inferiore. Ed è un loop di pensieri infinito, un cane che si morde la coda girando su sé stesso tornando sempre lì, al sentirmi bugiarda, impostora, cattiva. Poi penso al fatto che sicuramente lei sia ancora innamorata della sua ex e quindi crollo e piango e nascondo tutto. Ricomincio da capo. Ma nella mia testa è così
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Dilaniati
Quando smetterai di raccontarti frottole, Obito? Sei davvero persuaso che la tua attuale meta sia il rapporto che devi a Nagato?
Vorresti torcergli il collo, però già ti stai chiedendo come farai senza di lui, vero?
Stavolta percorri con calma il corridoio che tocca le stanze dei sottoposti. Che succede, speri d’imbatterti in lui? Già ti stai arrovellando il cervello per mascherarlo da incontro casuale, nevvero?
Sei riuscito a convincere Nagato ad attenderti fino a tarda notte, hai mentito fingendo impegni straordinari per giustificare l’ora.
Guarda in faccia la realtà, Obito. Siete caduti l’uno nelle braccia dell’altro per soffocare la vostra agonia, Itachi ha perso la verginità con te solo perché non gli è stata concessa alternativa, non può amare chi avrebbe voluto. Un mero accontentarsi. Uno sfogo, punto e basta.
Lo hai avuto perché si è lasciato prendere, Obito.
Sii sincero con te stesso, per una volta. Sei la seconda e disperata scelta di Itachi. La sua ultima spiaggia, nulla di più.
Non puoi più vivere senza questa mortificazione quotidiana, ti occorre il veleno con cui Itachi ti nutre ogni giorno.
Su, dillo che ti disprezzi per esserti fatto trascinare così in basso da un moccioso. Sei già abbastanza smidollato da non riuscire a negargli niente, almeno cerca di portare rispetto a te stesso.
È solo sesso, dall’inizio. Il bisogno di precisarlo è superfluo, le azioni di entrambi durante gli amplessi sono parecchio eloquenti.
Rapporti furiosi portati a termine come fosse ginnastica, assolutamente privi di baci e carezze, non hanno bisogno di spiegazioni. Azioni che, di solito, sono il lasciapassare delle tante temute emozioni. Le porte attraverso cui due amanti si legano. Se la diga dei sentimenti crollasse, tutto finirebbe inghiottito dallo sfacelo senza più controllo.
Il sesso li aiuta a gestire la loro miseria, a non perdere la ragione; Obito non ha il coraggio di rovinare tutto, ne ha troppo bisogno. Così lascia Itachi libero di erigere quelle inespugnabili mura a suo piacimento.
Nei tempi lontani, quando era ancora un giovane colmo di fiducia e amore, Obito avrebbe trovato abominevole penetrare un ragazzo stando in piedi sul letto e tenendolo da una gamba come un salame. Senza dubbio, non ora. È Itachi che lo vuole, egli rifiuta di legarsi.
Così Obito ha sinceramente goduto degli schiocchi sempre più intensi delle loro pelli, gli è piaciuto osservare Itachi ondeggiare sotto i suoi implacabili colpi di bacino, il copioso sudore che gli è sceso dalla fronte gli ha trasmesso un perverso e nuovo piacere.
La caviglia sinistra di Itachi stretta nella morsa della sua mano, l’altra gamba penzoloni a casaccio sul materasso. Obito lo ha alzato il necessario per portarselo davanti al cazzo, non gli è interessato altro.
Tenendo Itachi rigorosamente di spalle, Obito ha ignorato i lividi che affioravano sotto la sua mano, ha solo fatto attenzione che Itachi non si spezzasse il collo. A dire la verità, quella parte del corpo di Itachi, così elegante e candida, lo fa impazzire da sempre. Metterlo praticamente a testa in giù gli ha consentito di ammirarla senza che i lunghi capelli la celassero.
Ottenuta l’eiaculazione dentro il corpo di Itachi, Obito lo ha lasciato cadere sul letto, non si è chiesto se lui fosse venuto o no. Poi si è sdraiato per riprendersi dalla fatica.
Obito a fissare apatico il soffitto, Itachi la parete alla loro destra.
Nessuno spiccica mai una parola, non serve. Il loro sordido segreto non ha bisogno di approfondire chissà quale reciproca conoscenza. Sarebbe inutile vomitarsi addosso il rispettivo dolore all’infinito, discorrere di futili banalità meno che mai. Non sono più dell’umore adatto per entrambe le cose ormai da tempo immemore.
Obito ha paura di spezzare la fugace e ingenua armonia che si crea durante questi incontri, non ha dubbi che rivestirsi e tornare alle consuete attività senza una parola sia la soluzione migliore.
Scacciato il recente ricordo alla stregua di un insetto fastidioso, Obito è costretto ad arrestare i passi solitari nel corridoio del covo, anche il lieve rimbombare mette a dura prova la sua testa che scoppia. Deve vederci chiaro e rinfondersi fiducia prima di passare davanti a quella porta. Se Itachi lo vedesse vacillare sarebbe ancora lui la parte dominante.
Come sempre, del resto.
Obito si infila le dita sotto la maschera, preme il cranio come per impedirgli di pulsare alle venefiche ambiguità. Il dualismo si fa strada prepotente a dispetto del suo resistergli, mette davanti a Obito due immagini contrastanti e sovrapposte. Ancora quel disturbo dietro gli occhi di Rin e sotto le lacrime di Kakashi.
Itachi ha attraversato esperienze simili alle sue se non, addirittura, peggiori. Conosce la solitudine e la perdita delle poche persone davvero care, è stato lui a strapparsi tutto. Con le proprie mani.
Itachi, come lui, è finito per abbandonare qualunque tipo di interesse che esuli dai progetti da shinobi. Hanno riempito entrambi l’indicibile voragine di vuoto con piani da perseguire fino in fondo. Programmati, come macchine.
Per questo a Itachi non frega niente della sua salute, per lui la morte sarà la tranquillità che non ha mai avuto. È arduo, per Obito, trovarsi davanti un ventunenne con una tale ambizione così ardente, che neanche prova a considerare una scappatoia. Appena un ragazzo e le speranze già incenerite.
Se solo Itachi accettasse il suo aiuto, Obito farebbe di tutto per portarlo lontano e fargli cambiare vita.
Sebbene lui e Itachi siano irrimediabilmente diversi, l’ignominia li accomuna. Perché non possono arrivare a una reciproca comprensione? Ad accettarsi senza scannarsi?
Maledetta maschera che non consente di detergere le lacrime. Nessun problema, si seccheranno tra pochi minuti.
Obito scuote la testa, realizza l’autentico rammollito in cui si sta trasformando. Ma per amore può essere anche lecito diventarlo.
Amore?
Forse Obito sta confondendo afflizione, rancore e cinismo con qualcosa che ha sempre desiderato ma gli è stato precluso. Si interroga spesso su cosa prova durante le notti trascorse con Itachi, quando è dentro di lui. Ma non può che trattarsi di illazioni immotivate, ovvio.
Obito riprende il cammino, quello che desidera comunicare a Itachi è un'informazione importante e meramente tecnica. Dovrà parlarne anche a Nagato.
Gli anni trascorsi con Madara hanno formato Obito come buon chirurgo, non solo per quanto riguarda i trapianti di occhi. Non ha mai fatto sfoggio dell’ampia conoscenza sull’anatomia umana perché non se ne è mai presentato il bisogno.
Itachi non riesce più a dissimulare il deterioramento fisico che lo divora, lo sanno tutti, se lo fanno andare bene e il malcontento si è ormai sopito tra gli scarsi affiliati superstiti. Tuttavia, nessuno è mai venuto a sapere del Kotaro e della sua capacità di annullare, anche se solo momentaneamente, i sintomi di Itachi.
“Il tuo pudore è sempre più scarso, Obito.”
Anche così scarne, le parole di Itachi lo inchiodano sempre. Ora Obito è lì, ritto in mezzo al corridoio scavato nella pietra buio e puzzolente di umido, incapace di muoversi e parlare. Tutti i concetti che gli hanno invaso la testa fino a pochi secondi prima, svaniti.
L’obiettivo della spedizione notturna era proprio incappare in Itachi, ma ora, la sua improvvisa e inaspettata presenza, congela Obito in quello spoglio limbo sospeso nel tempo.
Itachi lascia perdere la porta della sua stanza, che stava per varcare, per fissare Obito. Attende una risposta, un gesto, o anche di assicurarsi dell'imbarazzo del suo superiore.
A Itachi piace provocare, riesce a farlo senza muovere un dito o cambiare espressione. Privo di scrupoli. Obito è disgustato dalla sua incapacità di impedirglielo.
Per fortuna la maschera e il collo alto nascondono il deglutire a secco. Obito si avvicina, fare la commedia con Itachi è sempre stato inutile: “Mi serve un campione del Kotaro, potrei provare a migliorarlo. Siamo rimasti in pochi, non possiamo permetterci di perdere prematuramente uno dei nostri migliori membri”. Già, un’idea coerente.
“Ossia io?” altra punzecchiata magistrale, l’assenza di strafottenza impedisce a Obito di reagire. Un suo eventuale protestare lo metterebbe nella posizione di donnicciola isterica, dominato totalmente dalle emozioni. Perciò, come al solito, a Obito non resta che ingollare il rospo “Devi smetterla di scambiarmi per Rin, Kakashi e tutti i tuoi sensi di colpa. Anche il mio sharingan rientra nello scenario, o sbaglio? Non ho la soluzione per alleggerirti i fardelli, il tuo maldestro tentativo di salvarmi non ti condurrà alla redenzione. Sei solo un pupazzo senza spina dorsale, Obito. A muoverti sono ormai solo sagome sottili e morte che non appartengono più al presente. Non hai mai avuto il coraggio di allungare il collo oltre il tuo naso per vedere cosa è cambiato intorno a te.”
Itachi lo scruta con gli occhi rossi e la faccia mezza tappata dal mantello, le ciocche di capelli nere e lucide come le ali dei suoi corvi.
Rosso anche nel foro della maschera di Obito.
La conversazione sta prendendo una brutta piega, il sentore di uscirne perdente serra Obito in una indomabile trappola. Afferra Itachi da un polso prima che possa svignarsela sciorinando un rapido commiato. Usa l’altra mano per spalancare la porta. Trascina Itachi all’interno, richiude e lo sbatacchia contro il muro. Itachi non batte ciglio, non cambia espressione neanche al tonfo sordo del suo cranio sulla parete.
Obito trattiene Itachi con la parte bassa del corpo e un avambraccio sul petto. Si disfa della maschera, fissa il sottoposto vicinissimo senza aspettarsi niente.
E niente ha.
Itachi resta impassibile con le braccia flosce lungo i fianchi, le mani nascoste sotto le maniche, sembra non averle.
Sbalordimento e rabbia agitano Obito, non si capacita ancora di quanto possa spingersi a fondo Itachi nello sviscerargli il pensiero. Eppure, il suo sharingan è spento, Obito non nota altro che la spessa cataratta grigia sempre più estesa che gli vela le pupille. Schiuma di rabbia di fronte all'indolenza con cui Itachi affronta ogni avvenimento, per Obito è uno sforzo immane fare finta di niente, rischia di crollare da un momento all’altro regalando a Itachi la vittoria.
“Non usare trucchetti mentali con me, ragazzino. Come sei giunto a queste illazioni?” Obito ormai è alterato, fuori controllo, ma la stizza che Itachi gli fomenta è davvero troppa per essere ignorata “I miei piani sono più che nobili, dettati dall’amore profondo. Cosa vuoi saperne tu freddo e privo di sentimenti come sei? Comunque, non sono affari che ti riguardano. Il tuo modo subdolo di abusare dello Tsukuyomi per carpire gli altrui pensieri mi disgusta sempre di più, ormai sei talmente vile da non riuscire più a porre una semplice domanda diretta? Ti vergogni, vero? Sei perfettamente consapevole del tuo atteggiamento spregevole. Stai attento, Itachi. Sarò anche compromesso fisicamente e con metà del potenziale oculare, ma non sono nato ieri.”
“Non sono così mostruoso, Obito. Non serve” sono talmente vicini che a Itachi basta un basso sussurro “Per capire uno come te è sufficiente riflettere.”
Niente inflessioni nella voce suadente, nessuna espressione, zero movimenti. Un campione nell’arte di far innervosire il prossimo. Obito si lascia scappare lieve ringhio, impossibile impedire all’occhio sano di assottigliarsi.
Determinato a far rimangiare a Itachi tutte le sue stronzate filosofiche del cazzo, Obito si appoggia sul braccio con cui gli schiaccia il petto aumentando al massimo la pressione.
Sotto gli automi in cui si sono trasformati per anestetizzare dolore e amarezza, sono sepolti ancora due uomini, dannazione. Itachi non può aver rimosso tutto in un batter d'occhio, l’affettuosità dimostrata per Sasuke e Shisui non è stata generata da un mucchio di circuiti e bulloni.
Obito gli strappa quel maledetto mantello senza tante cerimonie, una divisa a cui nessuno dei due appartiene davvero. Scivola lungo il corpo di Itachi per adagiarsi sul pavimento. Obito si stupisce di scoprirlo più magro ogni volta, anche a distanza di pochi giorni. Le clavicole, che ha sempre trovato irresistibili, adesso fanno impressione.
La divisa grigioazzurra gli pende addosso come un sacco moscio, Obito gli slaccia la cintura e gli sfila la maglietta per verificare quanto resta del suo corpo. Malgrado Itachi abbia perso massa muscolare, è ancora atletico.
Obito si sbarazza dei guanti, il tatto gli serve, lo vuole anche sulla mano martoriata. Accarezza i capelli di Itachi, le dita scivolano giù, assaporando tutta la lunghezza della coda. Il suo sguardo continua a monopolizzare Obito, ci affoga dentro senza rimedio. Bellissimo e sleale.
Il mantello di Obito affianca quello di Itachi sul pavimento. Piega le ginocchia, scende, con le mani segue le forme dei fianchi stretti di Itachi. Arrivato alla cintura, ci si aggrappa; poi prosegue verso il pavimento per sfilargli i pantaloni. Obito adora vedere il cazzo di Itachi così, mentre emerge dai peli pubici neri come il carbone gonfio e vellutato.
Le mani di Obito si colmano delle natiche di Itachi piccole e sode, le stringe mentre si appropinqua per baciargli la punta del sesso. Obito lo sfiora appena, quando si ritira sente Itachi esalare un sospiro tremante. I baci diventano tanti, piccoli, ritmici, Obito dà e toglie in modo strategico, ogni volta capta un sussulto nel bacino di Itachi.
Fa entrare Itachi nella sua bocca, berrebbe all’infinito le goccioline saporite del suo piacere. Itachi gli preme le dita tra i capelli, gli fa male, pare stritolargli il cranio. Gli spinge il cazzo in gola e poi lo lascia lì, Obito deve tirarsi indietro per non soffocare.
Le gambe slanciate di Itachi tremano, Obito ci si struscia rimettendosi in piedi. Guarda Itachi sudato e ansimante, riceve in cambio nient’altro che imperturbabilità. Nella foga di sfilarsi la maglietta, Obito ci s’intriga. Si cala i pantaloni in preda all’istinto irragionevole, getta le scarpe in direzioni diverse.
Itachi sempre l’immagine dell’autocontrollo.
Tiene Obito in pugno, anche stavolta ribalta il comando a suo favole.
Obito realizza che Itachi non guarda il suo corpo, forse gli fa ribrezzo. Gli tiene gli occhi ben piantati in faccia.
Obito abbranca una delle gambe affusolate di Itachi, lo costringe a posarla sul suo fianco, spinge col bacino, si fa strada tra i glutei del subalterno. Obito preme sull’entrata di Itachi, quando riesce a passare lo sorprende a contrarre la mascella. Ma il respiro di Itachi non cambia, nessun gemito, niente pelle sudata.
Obito trema persino sulle guance. È il momento di obbligare Itachi a gridare, di fargli comprendere che esiste ancora, nonostante tutto.
Di fargliela pagare per saper sempre rigirare tutti come un calzino.
Obito ghermisce entrambe le cosce di Itachi e lo solleva di peso più su della sua testa, restare al suo stesso livello di sguardo lo mette in soggezione. Con un colpo di bacino Obito lo infilza fino in fondo, i glutei di Itachi gli ricadono sul ventre mentre affonda nella sua carne bianca e bollente. Itachi non oppone resistenza alla penetrazione. Obito tuffa la faccia alla base del suo collo, ne aspira avido il profumo. Gli preme la fronte sul petto.
Obito non riesce a strappare gemiti al giovane.
Itachi inarca la schiena per strofinarsi sul corpo del superiore, Obito distingue il nervo teso del suo pene a contrasto con gli addominali. Itachi si autostimola muovendosi piano, usa Obito da manichino.
Le gambe slanciate di Itachi, avvolte alla vita di Obito, all’improvviso strizzano da togliere il fiato. Il giovane aumenta la forza, il superiore sente scricchiolare il proprio costato. L’orgasmo caldo e appiccicoso di Itachi, dal ventre di Obito, cola fino alle gambe.
Obito si è sentito tacciare di egoismo infinite volte. E Itachi cos’è? Ha fatto i cavoli suoi senza avvertirlo.
Raggiunto il piacere senza curarsi di quello di Obito, Itachi lascia andare un sospiro e si accascia sul corpo del superiore. Resta lì, con le braccia posate sulle spalle di Obito, fissa il vuoto oltre la testa del superiore senza più uno scopo.
Costretto a stringere la presa sulle cosce di Itachi per continuare a sostenerne il peso, Obito manda un’mprecazione strozzata senza staccare la fronte dalla spalla del subalterno. Si inarca per trafiggere ancora il giovane, Itachi gli rimbalza indolente tra le braccia. Silenzio, Obito si immobilizza trattenendo il fiato, poi l’orgasmo prorompe dentro Itachi e Obito si libera con un informe verso gutturale.
Obito abbassa Itachi per consentirgli di posare i piedi a terra, poi fa risalire le mani fino a stringergli la vita. Ansima con la fronte ancora appoggiata alla spalla di Itachi.
Sempre indifferente e con le mani lungo i fianchi, il giovane gli concede il favore di attendere che si calmi.
Obito solleva la faccia, guarda Itachi consumato di piacere e fatica; temporeggia asciugandosi il sudore, ma il suo sguardo indugia sulla bocca di Itachi. Non si sono mai baciati, l’occasione propizia non si è mai presentata. Un’intimità non adatta a due anime crude e logorate dall’oscenità come le loro. Ma la curiosità istiga Obito imperiosa, le labbra di Itachi hanno un aspetto vellutato. Obito non si è mai abbeverato del loro sapore, nutrito del respiro di Itachi. È un’impellenza fisica, non sentimentale.
Si accosta di nuovo al corpo di Itachi per pressarlo tra la parete e il suo petto, aspira con le labbra schiuse come se questo servisse ad attirare la bocca di Itachi verso la sua.
Obito si arresta al voltarsi della testa di Itachi, la frustrazione lo congela. Non riesce a smettere di fissare il giovane in una muta e umiliante preghiera.
Itachi esala un breve sospiro infastidito, poi si divincola dalla presa di Obito mettendo fine alla patetica postura. Recupera indolente i suoi vestiti per metterli su una sedia.
In silenzio, Itachi sparisce nel bagno.
Lo scroscio dell’acqua desta Obito dall’immobilità, crolla sulla parere sbattendoci pesantemente la fronte.
Davvero non arrivi a capire perché lo ha fatto, Obito? Continua pure a farti ingannare dall'amena bellezza di Itachi, intanto dimentichi che sotto si cela un mostro doppiogiochista macchiato di orrore e dilaniato dal dolore.
Perché continui a stupirti? Eppure siete simili, sai benissimo che la depressione rende insensibili e fa perdere interesse nei confronti del mondo circostante. Rientrano in questo anche le persone, Obito.
A Itachi non restano altro che i suoi scopi.
E tu, Obito, sei solo un sovrappiù. Fai parte di quelle attrattive a cui Itachi è diventato ermetico da un pezzo.
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