#solvibilità
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A partire dagli ultimi bilanci o dai dati patrimoniali delle persone è possibile stabilirne la propria capacità odierna di investimento e prevederne la medesima negli anni a venire, nonostante i continui mutamenti.
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🇺🇦 💸 L'AGENZIA DI RATING FITCH HA ANNUNCIATO IL DEFAULT DELL'UCRAINA
🔴Gli analisti hanno abbassato il rating creditizio del Paese da CC (probabilità di default) a C. Quest'ultimo significa un alto livello di rischio di credito e un imminente default delle obbligazioni statali.
⚫️Lo stato dell'economia ucraina è stato valutato in anticipo a causa degli eventi che si sono verificati nel Paese. In genere, gli Stati sovrani non ricevono un rating così basso, ha osservato Fitch.
⚫️Il rating è stato abbassato dopo che l'Ucraina ha concordato con i creditori di ristrutturare il proprio debito estero.
Per capirne la portata.
✅ Grado d'investimento:
⚡️AAA - il massimo livello di solvibilità
⚡️AA - livello di solvibilità molto elevato
⚡️A - elevato livello di solvibilità
⚡️BBB- livello sufficiente di solvibilità
⚡️ Classe speculativa:
⚡️BB - livello di solvibilità inferiore al sufficiente
⚡️B - livello di solvibilità significativamente insufficiente
⚡️CCC - possibile default
⚡️CC - alta probabilità di default
⚡️C - Il default è inevitabile
⚡️RD - default limitato
⚡️D - default.
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Milano, la Bari Multiservizi spa riceve il Premio Industria Felix.
Milano, la Bari Multiservizi spa riceve il Premio Industria Felix. Oggi, a Milano, la Bari Multiservizi spa ha ricevuto il Premio Industria Felix durante la cerimonia di premiazione in corso nella Fiera digitale per Business matching. L’azienda municipale barese, nell’ambito dell’inchiesta giornalistica realizzata in collaborazione con Cerved su 700mila bilanci di società di capitali con sede legale in Italia, è risultata competitiva e affidabile in quanto idonea rispetto a un oggettivo algoritmo di competitività estratto dal conto economico e convalidato dal Comitato scientifico coordinato dal prof. Cesare Pozzi, docente di Economia industriale all’Università Luiss Guido Carli e dall’ing. Vito Grassi, vicepresidente nazionale di Confindustria, e rispetto al livello di solvibilità o sicurezza finanziaria dal Cerved Group Score. A ritirare il premio a Milano, il presidente Francesco Biga, i consiglieri Massimo Maiorano e Maria Santoro e il direttore aziendale Francesco Schiraldi. La Bari Multiservizi spa, azienda controllata dal Comune di Bari che, in virtù delle ottime performance gestionali registrate nell’esercizio 2020, è stata insignita dell’Alta Onorificenza di Bilancio durante l’edizione nazionale 2022 del Premio Industria Felix, conquistando persino il primo posto nella categoria Partecipate a maggioranza pubblica tra le imprese di dimensioni affini e classificandosi nella top 10 generale della categoria, quest’anno riceve il prestigioso riconoscimento per i risultati virtuosi emersi dal bilancio 2021, che confermano il trend di crescita intrapreso negli ultimi anni e permettono alla società di raggiungere, per la seconda volta consecutiva, un traguardo encomiabile tra le partecipate pubbliche nazionali. Oggi la Bari Multiservizi è un’azienda attiva che raggiunge i livelli quantitativi e qualitativi richiesti dal committente in tutti e tre i settori produttivi. L’azienda vanta un organico stabile di circa 130 persone. Notevole è l’impegno in atto per la transizione ecologica, vista non solo come opportunità di abbattimento dei costi e delle emissioni inquinanti, ma anche come volano per incrementare la produttività e la sicurezza sul lavoro. Circa metà del parco veicoli della Bari Multiservizi è stata sostituita con nuovi mezzi a trazione elettrica, mentre la quasi totalità delle attrezzature per la manutenzione del verde è alimentata a batterie. Due impianti fotovoltaici installati presso la sede operativa assicurano poi all’azienda un’autonomia energetica pressoché totale. Le innovazioni in campo ambientale, accompagnate dalle misure di welfare rivolte ai lavoratori e dai solidi princìpi etici su cui si fonda il governo d’impresa, hanno migliorato sensibilmente i parametri ESG della Bari Multiservizi elevandola a modello di sostenibilità. È stato inoltre attuato un importante piano di digitalizzazione, che ha permesso di ridurre ulteriormente i costi operativi e di ottimizzare i processi interni. Esemplare, infine, è l’impegno che dipendenti dimostrano nei confronti della società, che si traduce, a sua volta, in veri e propri gesti d’amore verso la città di Bari. Con risorse frutto delle economie gestionali, senza gravare in alcun modo sulla collettività, la Bari Multiservizi ha riqualificato e adottato cinque aree verdi di valenza identitaria per il capoluogo (giardino adiacente al park&ride di Pane e Pomodoro, giardino Fabrizio De André, aiuole di Corso Cavour, giardino di Viale Papa Pio XII, rotatoria nord del Ponte Adriatico) e valorizzato i quattro storici “Telamoni” (sculture scampate alla demolizione del vecchio palazzo della Gazzetta, oggi esposte nell’atrio di Palazzo di Città), oltre ad eseguire attività aggiuntive di decoro urbano e di custodia al di fuori degli obblighi contrattuali. Altre iniziative di riqualificazione sono state realizzate direttamente in favore dei cittadini più fragili, tra cui il completo rifacimento del campetto sportivo della scuola “Iqbal Masih” nel quartiere San Pio.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Borse europee deboli, a Hong Kong crolla Evergrande
L’ennesimo crollo di Evergrande, invischiata da oltre due anni in una crisi di solvibilità che fatica a trovare soluzione, trascina tutto il comparto immobiliare cinese e la Borsa di Hong Kong in netto ribasso. Il titolo perde quasi il 21% dopo che il gruppo ha ufficialmente dichiarato di non poter emettere nuove obbligazioni – ovvero titoli di debito – a causa di un’indagine in corso su una…
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Come rimpinguare la finanza personale con un prestito personale
Il prestito personale è una forma di credito al consumo che consente all’utente di acquistare immediatamente ciò di cui ha bisogno, senza dover attendere di aver accumulato sufficienti risparmi. Trattandosi di una formula non finalizzata, non vincola il consumatore all’acquisto di un determinato prodotto o servizio, consentendogli di spendere immediatamente il denaro ricevuto o di tenerlo da parte per bisogni futuri. Quando si decide di richiedere questo tipo di prestito, è molto importante valutare con attenzione tutte le condizioni, al fine di individuare quelle più vantaggiose; con un po’ di attenzione, si riuscirà a individuare un prestito personale con un tasso conveniente, che consenta di ottenere la somma di cui si ha bisogno, elevata o contenuta che sia. In questo articolo vi spiegheremo quali aspetti valutare per individuare il prestito personale più conveniente per le vostre esigenze. Capire che cos’è il prestito personale Prima ancora di iniziare a valutare i vari prestiti personali disponibili, è necessario capire se si tratta della soluzione che fa al caso proprio. Quando si parla di prestito personale si fa riferimento a un prodotto finanziario erogato da banche o finanziarie in possesso di autorizzazione, il quale consente al consumatore di ottenere sul proprio conto corrente l’accredito di una somma di importo variabile, in genere non superiore agli 80.000 euro, da utilizzare liberamente. Il soggetto che riceve il denaro si impegna a restituire la somma, maggiorata degli interessi, entro i tempi stabiliti, in genere attraverso il pagamento di rate mensili, le quali vengono addebitate direttamente sul conto corrente. Quando può essere utile Questo tipo di prestito risulta la scelta giusta per tutti quei soggetti che: - desiderano acquistare prodotti, articoli o servizi per uso personale, dunque non per scopi lavorativi; - devono sostenere spese impreviste, anche in questo caso non relative all’ambito lavorativo; - desiderano avere a disposizione una somma di denaro da utilizzare immediatamente in caso di imprevisti. Naturalmente, chi desidera richiedere un prestito personale deve possedere tutti i requisiti richiesti; in particolare, è necessario essere in grado di offrire alla banca sufficienti garanzie di solvibilità. Come individuare il prestito personale più conveniente Una volta stabilito che è proprio il prestito personale il prodotto finanziario giusto per far fronte alle proprie necessità economiche, è necessario mettere a confronto varie offerte al fine di individuare quella più conveniente. Gli elementi da prendere in considerazione sono: - il TAN e il TAEG, ossia il Tasso Annuo Nominale e il Tasso Annuo Effettivo Globale; - la presenza di spese accessorie obbligatorie e l’importo aggiuntivo da esse richiesto; - la possibilità di sottoscrivere un’assicurazione; - il numero massimo e minimo di rate ottenibili; - la possibilità di effettuare la richiesta online. In aggiunta è fondamentale verificare la presenza di limiti d’età e gli importi massimi e minimi che è possibile ottenere. Richiedere il prestito personale Quando si è certi di aver trovato il prestito personale giusto, non resta altro da fare che preparare tutta la documentazione richiesta, la quale consiste nei documenti identificativi del richiedente e in quelli attestanti la presenza di un reddito stabile e dimostrabile, compilare la domanda online oppure, previo appuntamento, presso una filiale di zone, e attendere la risposta della banca. Read the full article
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Agenzia investigativa Cuneo investigatore privato ISIDA
Agenzia investigativa Cuneo investigatore privato ISIDA L'agenzia investigativa lavora su investigazioni a Alba, Bra, Fossano, Cuneo, Savigliano, Saluzzo, Mondovì
Agenzia investigativa Cuneo investigatore privato ISIDA. L'agenzia investigativa lavora su investigazioni a Alba, Bra, Fossano, Cuneo, Savigliano, Saluzzo, Mondovì.
Investigazioni a Cuneo e provincia su: infedeltà coniugale, indagini affidabilità colf badanti baby sitter, bonifiche ambientali, ricerca prove, attività investigativa per risalire ad informazioni, spionaggio industriale ..
investigatore privato ISIDA operativo anche a Cuneo e provincia, autorizzato con regolare licenza governativa, titolare dell'Agenzia Investigativa ISIDA INVESTIGAZIONI, opera in ambito privato e aziendale e copre tutto il territorio nazionale con possibilità di estendere le sue indagini all'estero. L'agenzia investigativa diretta dall'investigatore privato esegue indagini personalmente, accurate e sicure per garantire il miglior servizio a tutti quei clienti che nutrano dei sospetti su familiari o dipendenti.
L'agenzia applica tariffe competitive ed oneste che agevolano il cliente con preventivi gratuiti. Collaboriamo con noti studi legali e note aziende. Siamo in grado di fornire prove testimoniali scritte con video e foto valide legalmente, così da poter essere impiegate in sede giudiziaria. Ci avvaliamo, per indagini ed investigazioni, di competenti detective, sempre preparati e dotati di tutte le caratteristiche e capacità necessarie per svolgere questo difficile lavoro, oltre che equipaggiati sempre delle migliori e più innovative tecnologie investigative presenti sul mercato.
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· Servizio anti-sette religiose in Cuneo e in tutto il Piemonte
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· Indagini su affidabilità di colf badanti baby sitter
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· Bonifiche ambientali a Cuneo e tutto Piemonte· Investigazioni e ricerche speciali all’estero (Vedi sito)
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Le nostre indagini e ricerche riguardano:
Concorrenza sleale interna ed esterna
Indagini su infedeltà di collaboratori, soci e dirigenti
Fuga di formule, processi produttivi e piani strategici
Prove su casi di assenteismo in aziende di Cuneo e di tutto il Piemonte
Controspionaggio industriale a Cuneo, in Piemonte ed in tutta Italia
Difesa marchi e brevetti
Contraffazione di prodotti
Informazioni commerciali Alba, Cuneo, Bra, Fossano, Saluzzo, Savigliano, Mondovì, in Piemonte e in tutta l'Italia ed Estero
Rintraccio debitori, indagini patrimoniali e societari, solvibilità in Piemonte, Italia ed estero
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Monitoraggio periodico per eventuali variazioni sulla situazione patrimoniale e affidabilità clienti e fornitori
Ricerca e localizzazioni patrimoni all’estero
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Covid, governare la barca nella tempesta non basta: serve coraggio per un’alternativa Voglio partire dalla coda chilometrica che si è creata quattro giorni fa a Milano per poter avere un pasto caldo, dopo ore di fila, a pochi passi dallo shopping sfrenato che si stava consumando in centro, un segno tangibile della crisi prodotta dalla quarantena per contenere la pandemia. Sono aumentate le difficoltà delle persone e le persone in difficoltà. Per capire la portata di questa crisi occorre leggere il contesto globale, fatto di diverse realtà socioeconomiche. L’impronta che accomuna tutte queste realtà è il consumo, un’economia basata sul consumo, che rende disponibili a tutti e a prezzi accessibili una miriade di oggetti dall’uso più disparato. Il fatto è che stiamo divorando la Terra, nel senso letterale del termine. Inoltre il sistema economico che regola tutto l’apparato è costruito in maniera tale da produrre una disparità economico-sociale enorme, se si pensa che l’1% della popolazione possiede quanto il restante 99% della popolazione. La crisi pandemica non ha fatto altro che acuire questa disparità perché ha arricchito i 2153 Paperoni e contemporaneamente impoverito tutti gli altri. Un giusto sistema dovrebbe ricompensare il lavoro e non la ricchezza, invece tutte le persone sono letteralmente schiavizzate dal mercato del lavoro. I principali azionisti di un qualunque settore, solitamente non più di 5 o 6, percepiscono dividendi così alti che un terzo di questa cifra sarebbe sufficiente a garantire un salario dignitoso a milioni di persone, sufficiente a evitare l’umiliazione di fare ore di fila solo per avere un tozzo di pane e una minestra. Quello che si è distrutto è il lavoro, non la ricchezza, che è rimasta intatta. Passata la pandemia, siamo sicuri che tutto andrà meglio? Ci ributteremo nel lavoro per guadagnare due soldi e comprare oggetti superflui, senza svoltare nella nostra vita, ma soprattutto danneggiando il pianeta e la nostra futura esistenza. L’insegnamento che il Covid dà è che non basta il buonsenso, ma occorrono disposizioni di legge per evitare tanti morti e per avere un comportamento adeguato, di protezione e salvaguardia del prossimo. Il semplice buonsenso sfocia nell’anarchia decisionale, quindi non mi aspetto il buonsenso da questo 1%. Inoltre, se la crisi si dovesse prolungare per un periodo di tempo indefinito, anche questo 1% incontrerebbe difficoltà arrivando a favorire un cambio di paradigma come fu al tempo della peste nera del 1348 che ha determinato un cambio dei modelli culturali, con la differenza che nel ‘300 sono stati i morti per malattia e oggi potrebbero essere i morti economici per mancanza di lavoro a determinare questo cambio. I primi segni di una crisi di solvibilità che potrebbe diventare inarrestabile sono stati denunciati da Mario Draghi che ha affermato che le autorità devono agire prontamente. Voglio dire che ora bisogna studiare per trovare nuovi modelli socioeconomici, rispettosi dell’ambiente e della popolazione, senza aspettare i morti di una crisi senza ritorno. Si sta tamponando la situazione con le associazioni di volontariato che danno un sostegno alle persone bisognose. L’aiuto arriva anche con il reddito di cittadinanza. E meno male che esistono queste possibilità, ma sono strumenti incapaci di raddrizzare la stortura economica che stiamo vivendo trasformandosi in palliativi. È ora che la politica prenda coraggio e cominci a pensare di costruire alternative tracciando una nuova rotta e non semplicemente governando la barca nella tempesta. Gli strumenti per il cambiamento li abbiamo: abbiamo computer, cellulari, la moneta elettronica, mezzi, voglia di lavorare e di migliorare, siamo tutti connessi. Abbiamo contro chi vuole difendere i propri interessi e il proprio potere economico costituito dal denaro accumulato sul lavoro e sulla pelle degli altri. Occorre solo tracciare una via, avere la volontà di cercarla e la capacità di trovarla e farla accettare a tutti, per un mondo migliore. Blog Sostenitore "Il Fatto"
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Il recente fallimento della Hertz (autonoleggio) è avvenuto in concomitanza con l’acquisto da parte della FED di corporates Bonds che rientravano nel piano Secondary Market Corporate Credit Facilities e ora la FED è creditore nel fallimento Hertz che, appunto grazie a tale piano, non avrebbe dovuto fallire. Ma allora a cosa servono questi interventi se poi i default avvengono comunque? Servono a mantenere i soldi degli investitori nel sistema, facendo credere che la liquidità e la solvibilità siano la stessa cosa. Questo meccanismo psicologico induce a non vendere e in questo modo sono gli stessi investitori che, mantenendo la loro liquidità investita, sostengono un sistema che diversamente andrebbe in default in un colpo solo. In pratica la strategia consiste nel cercare di mantenere il più possibile tutti investiti, perché la vostra liquidità è molto maggiore di quella della FED e in realtà non è la liquidità della FED che sostiene il sistema ma la vostra.
Dall’articolo "La crisi? Inizierà a settembre. E assomiglia purtoppo al 1929" di Maurizio Novelli
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Trasparenza Ed Buona Contrattuale
AVVISO RELATIVO ALLA TRASPARENZA ED ALLA BUONA FEDE CONTRATTUALE DELLA CSC COMPAGNIA SVIZZERA CAUZIONI SA. domiciliata presso la propria direzione in Chiasso, 6830, Via Livio, 14 – Palazzo Grassi (in appresso denominata anche brevemente “la compagnia” oppure “la società”) indirizzato all’organizzazione commerciale della Compagnia, alla clientela che chiede o già usufruisce dei servizi di consulenza, ai contraenti ed ai beneficiari delle fidejussioni emesse o da emettere dalla Compagnia, alle imprese potenzialmente interessate a richiedere i servizi offerti dalla Compagnia, ai professionisti che assistono i contraenti ed i beneficiari delle fidejussioni emesse o da emettere dalla Compagnia ed inerente esclusivamente lo stampato denominato “atto di fidejussione” con codice Mod. 041/PR/19.
Il presente avviso riveste carattere di estremo rilievo sia sotto il profilo legale che sotto il profilo di immagine, di professionalità e reputazionale e viene pubblicato sul sito intenet della Compagnia dal 30 settembre 2020.
Il presente avviso fà parte integrante e sostanziale della fidejussione ai sensi del primo comma dell’art. 14 delle CONDIZIONI GENERALI DI GARANZIA riportate sul retro della fidejussione con codice Mod. 041/PR/19.
Premesso che la CSC COMPAGNIA SVIZZERA CAUZIONI S.A.:
A. può svolgere tutte le attività di consulenza commerciale, industriale, immobiliare, edilizia inerenti nuovi investimenti imprenditoriali posti in essere o da porre in essere, studi, ricerche ed analisi in materia economica, statistica, commerciale, industriale, immobiliare ed edilizia, redazione di piani industriali, controllo quanti-qualitativo di produzione e dei relativi costi industriali con applicazione di metodologie proprie e di terzi, ricerche di mercato per la definizione di strategie commerciali e di marketing, informazione commerciale e valutazione della solvibilità di specifici investimenti commerciali, industriali, immobiliari ed edilizi posti in essere da imprese, valutazione della ragionevolezza di nuovi progetti industriali, immobiliari ed edilizi, gestione di servizi informatici e di elaborazione dati di natura economica e statistica, consulenza in materia di struttura e di strategie industriali e commerciali, studio, ricerca e fornitura di tecnologie atte alla realizzazione dell’insediamento di opifici industriali, stabilimenti e unità produttive chiavi in mano, predisposizioni di studi di fattibilità, determinazione dei fabbisogni finanziari e individuazione degli strumenti di copertura anche agevolata, analisi dei ritorni economici, analisi e valutazioni di cespiti, brevetti e marchi, reperimento, consolidamento, trasferimento del know how aziendale, la ricerca e la promozione di joint-ventures, la fornitura di servizi logistici ed organizzativi, la assistenza in operazioni di delocalizzazione produttiva sia dell’intero processo produttivo che di alcune fasi delle lavorazioni, la concessione di fideiussioni semplici oppure sottoposte a condizione sospensiva a garanzia di operazioni commerciali, industriali, immobiliari, edilizie e quindi di obbligazioni di terzi, la concessione di dichiarazioni volte a valutare la ragionevolezza economica, sostenibilità finanziaria e redditività di nuovi progetti commerciali, industriali, immobiliari ed edilizi e la capacità tecnica e solvibilità limitatamente a tali operazioni delle imprese promotrici;
B. è una società commerciale e pertanto le fidejussioni da essa rilasciate non possono essere equiparate nè sotto il profilo sostanziale, né sotto il profilo formale a quelle rilasciate da banche, assicurazioni, finanziarie, nè sotto il profilo della solvibilità, nè sotto il profilo dei controlli (non essendo la Compagnia vigilata da alcuna Autorità del settore bancario, assicurativo, finanziario) e neppure sotto il profilo legale (in quanto le leggi svizzere e di tutti i paesi europei prevedono che la garanzia da prestare in base alle leggi sia rilasciata da banche, assicurazioni ed in alcuni casi da finanziarie ed abbia determinati requisiti anche per la pronta escutibilità);
C. non è iscritta in alcun albo o elenco di autorità di vigilanza bancaria, assicurativa, finanziaria, né in Svizzera né in altri Paesi;
D. svolge la propria attività esclusivamente presso i propri uffici in Svizzera e non ha in altri Paesi una stabile organizzazione né uffici propri per cui non ha l’obbligo di assoggettarsi a normative straniere;
con il presente avviso diretto all’organizzazione commerciale, alla clientela che chiede o già usufruisce dei servizi di consulenza, ai contraenti ed ai beneficiari delle fidejussioni emesse o da emettere dalla Compagnia, alle imprese potenzialmente interessate a richiedere i servizi offerti dalla Compagnia, ai professionisti che assistono i contraenti ed i beneficiari delle fidejussioni emesse o da emettere dalla Compagnia, si evidenzia l’importanza sia delle condizioni sospensive previste nella fidejussione sia degli obblighi previsti a carico del contraente, del garante solidale, del coobbligato e del beneficiario sanzionati a secondo dei casi dalla nullità, dalla decadenza o dalla inefficacia della fidejussione; a tal fine si consiglia di farsi assistere da un avvocato o fiduciario o commercialista di fiducia in modo da comprendere perfettamente le caratteristiche ed i limiti sia della Compagnia che delle fidejussioni da essa rilasciate.
Procedendo all’esame della fidejussione avente codice Mod. 041/PR/19 occorre premettere che in frontespizio dell’atto di fidejussione è evidenziato che la Compagnia, in base alla proposta del contraente ed alle informazioni del beneficiario, relativamente ad un nuovo investimento imprenditoriale di natura industriale o commerciale o immobiliare posto in essere o che il Contraente ed il Beneficiario intendono porre in essere, a seguito di approfondita istruttoria effettuata sulla documentazione fornita dal Contraente e dai suoi coobbligati e garanti solidali e sulla ragionevolezza e sostenibilità del nuovo investimento imprenditoriale di natura industriale o commerciale o immobiliare oggetto della fidejussione semplice, documentazione facente parte integrante e sostanziale della fidejussione e che quindi costituisce il presupposto essenziale per la concessione della fidejussione, si costituisce fideiussore semplice del Contraente ed a favore del Beneficiario, alle condizioni generali di seguito estese, per il risarcimento delle perdite definitive che gli derivassero dall’inadempimento delle sotto indicate obbligazioni contrattuali relative al nuovo investimento imprenditoriale di natura industriale o commerciale o immobiliare posto in essere o che il Contraente ed il Beneficiario intendono porre in essere;
quindi estrema importanza riveste la documentazione fornita alla Compagnia dal contraente, dal coobbligato e/o dal garante solidale, documentazione sulla quale la Compagnia effettua le proprie valutazioni; ciò comporta che la presentazione alla Compagnia da parte del contraente o da parte del suoi coobbligati o garanti solidali di documentazione contraffata o carente, finalizzata ad occultare aspetti essenziali ai fini valutativi, può comportare la nullità della fidejussione emessa; il beneficiario ha il diritto di richiedere in qualsiasi momento alla Compagnia l’elenco della documentazione fornita dal contraente, dal coobbligato e/o dal garante solidale alla Compagnia e di far visionare, presso gli uffici della Compagnia, da professionista appositamente delegato, il fascicolo contenente l’istruzione della pratica.
Adesso si evidenziano tutte le clausole contenute nelle condizioni generali di garanzia effettuandone un breve commento ove ritenuto opportuno; notasi che una copia integrale della fidejussione Mod. 041/PR/19 si trova pubblicata sul sito internet alla sezione prodotti e servizi alla voce “facsimile fidejussione clientela Italia”.
Art. 1 – Oggetto della garanzia.
La garanzia prestata con la presente fidejussione semplice è operante soltanto dopo il pagamento del relativo corrispettivo dovuto ed indicato nel frontespizio della fidejussione nonché esclusivamente per il risarcimento delle perdite scaturenti dalle inadempienze contrattuali verificatesi successivamente al perfezionamento della medesima ed entro il periodo di durata e validità indicato in frontespizio.
La garanzia prestata è limitata alle obbligazioni contrattuali con espressa esclusione dei debiti di valuta e delle penalità contrattuali e degli interessi di mora ed al periodo di validità e durata fissato in frontespizio decorso il quale la presente garanzia non avrà più alcuna efficacia; quanto sopra anche nel caso in cui l’originale della presente fidejussione in possesso del Beneficiario non venga restituito alla Compagnia dopo il termine del detto suo periodo di validità. Il periodo di validità ed efficacia della presente fidejussione semplice si intende comunque ed in ogni caso limitato solo fino al termine dell’obbligazione principale cui la presente fidejussione si riferisce; ciò vale anche nel caso in cui tale scadenza, ovvero la scadenza dell’obbligazione principale, risulti antecedente alla data del termine indicato dalla presente fidejussione nel frontespizio. Il pagamento del corrispettivo indicato in frontespizio dovrà essere effettuato esclusivamente a mezzo bonifico bancario inviato alla Compagnia. Le inadempienze contrattuali dovranno essere comunicate alla Compagnia esclusivamente entro il periodo di durata della fidejussione indicato nel frontespizio.
Si evince una generica esclusione delle obbligazioni di pagamento (debiti di valuta), delle penalità contrattuali ed interessi di mora, si ribadisce che trattasi di fidejussione semplice e dato che il periodo di validità della fidejussione è limitato comunque al termine dell’obbligazione principale, ai sensi dell’art. 1957 cod. civ. italiano, il beneficiario deve agire giudizialmente contro il contraente entro due mese dalla scadenza dell’obbligazione principale, pena la decadenza della garanzia fidejussoria; appare opportuno evidenziare come sia essenziale che il pagamento del corrispettivo avvenga a mezzo bonifico bancario inviato alla Compagnia; qualora tale bonifico sia stato eseguito dal contraente, è essenziale che il beneficiario si faccia consegnare dal contraente la copia originale della contabile bancaria attestante l’esecuzione di tale bonifico. Il mancato pagamento del corrispettivo nella forma sopra indicata o il pagamento di tale corrispettivo ad un terzo determina la nullità della fidejussione prestata.
Art. 2 – Sussistenza di altre garanzie.
Qualora altre garanzie, sia personali, quali quelle prestate da terzi obbligati solidali del Contraente, che reali, garantissero il Beneficiario o l’oggetto garantito dalla presente fidejussione semplice, le suddette eventuali altre garanzie prevarranno sulla presente fidejussione che avrà efficacia solo per la parte residua del credito non garantita da tali eventuali altre garanzie. I coobbligati ed i garanti solidali, solidalmente fra loro, sono responsabili dell’adempimento del Contraente verso il Beneficiario.
La eventuale presenza di terzi garanti solidali, generalmente indicati in frontespizio della fidejussione, comporta che il beneficiario debba prima soddisfarsi anche sul loro patrimonio (oltre che chiaramente sul patrimonio del contraente) e in caso di definitiva loro incapienza rivolgersi alla compagnia.
Art. 3 – Valutazione e risarcimento delle perdite subite.
La valutazione delle perdite subite dal Beneficiario a causa dell’inadempimento del Contraente alle obbligazioni contrattuali cui la presente fidejussione semplice si riferisce, sarà stilata in un apposito atto di liquidazione che verrà in ogni caso redatto in accordo fra il Beneficiario e la Compagnia e trasmesso per raccomandata al Contraente per ottenerne l’assenso; la Compagnia darà quindi luogo al pagamento di quanto concordato entro 30 giorni. Il Beneficiario dichiara di rinunciare sin da ora a domandare interessi legali e rivalutazioni monetarie sulle somme dovutegli.
Premesso che non si prevede alcuna solidarietà fra la compagnia ed il contraente, né alcuna rinuncia al benefico della preventiva escussione del contraente, non sussiste alcun automatismo fra la denunzia d’inadempienza da parte del beneficiario e l’eventuale obbligo di pagamento da parte della Compagnia; si evidenzia che la perdita si materializza nel momento in cui il beneficiario non ha piu’ alcuna possibilità di recuperare il proprio credito sia nei confronti del contraente che nei confronti dei coobbligati e/o garanti solidali.
Nel caso si tratti di soggetti fallibili, la perdita si materializza al momento di chiusura definitiva del fallimento o della procedura concorsuale; nel caso di soggetti non fallibili, nel momento in cui essi non possiedono piu’ beni o crediti aggredibili o tutte le procedure esecutive hanno dato esito negativo.
Art. 4 – Forma delle comunicazioni alla Compagnia.
Tutte le comunicazioni o notifiche alla Compagnia, per essere valide, dovranno essere effettuate esclusivamente con lettera raccomandata o telegramma indirizzata alla Sede Legale della Compagnia indicata in frontespizio. La Compagnia si riserva il diritto, in caso di richieste di escussione, di incaricare professionisti o società di professionisti allocate nella nazione ove ha sede il Beneficiario per la trattazione e definizione della pratica; in tal caso la Compagnia comunicherà al Beneficiario a mezzo raccomandata i dati di tali professionisti presso cui verrà definita la pratica. Gli oneri di tale servizio aggiuntivo saranno a carico esclusivo della Compagnia.
Art. 5 – Notizie sullo stato delle obbligazioni contrattuali garantite e obblighi del Beneficiario.
CSC Compagnia Svizzera Cauzioni: La Compagnia ha facoltà di chiedere in qualsiasi momento al Beneficiario notizie sullo stato delle obbligazioni garantite ovvero sul puntuale adempimento da parte del Contraente agli obblighi a suo carico. Il Beneficiario, pena la decadenza della presente fidejussione semplice, dovrà avvisare la Compagnia mediante lettera raccomandata o telegramma inviato alla Sede Legale di ogni inadempienza, ritardo, inosservanza o comunque qualsiasi evento di cui venga a conoscenza che sia indice di diminuita capacità patrimoniale o solvibilità del Contraente e quindi di ogni fatto che possa riguardare la fidejussione prestata e ciò entro il termine perentorio di sette giorni dalla conoscenza del fatto. Permanendo comunque gli obblighi di legge a capo del Beneficiario, la Compagnia ha la facoltà, ove ritenuto, di indicare al Beneficiario eventuali iniziative da svolgere anche in sede giudiziaria, ed anche di natura penale, e lo stesso Beneficiario dovrà in tal caso seguire le istruzioni in questione, sempre ove ricevute.
Si evidenzia l’enorme importanza di rispettare gli obblighi di informazione verso la Compagnia, pena la decadenza della fidejussione prestata.
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“E allora se i vivi si rassegnano, i morti perdono sempre?”. Paolo Di Stefano ha scritto uno dei romanzi italiani più belli degli ultimi anni, “Noi”
È proibito piangere senza imparare, svegliarti la mattina senza sapere che fare avere paura dei tuoi ricordi.
(Pablo Neruda)
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Cosa c’è di conforme, di analogo, tra l’imponente romanzo autobiografico dal tono privato e universale e dalla formula della saga familiare di Paolo Di Stefano, Noi (Bompiani 2020), noto scrittore siciliano di nascita (Avola), con il movimento letterario della seconda metà dell’Ottocento, cioè il Verismo? Non possiamo non intravedere, leggendo i capitoli, la coesione specchiata alla realtà sociale di un tempo difficile, che in questo caso si protrae dal secondo conflitto mondiale fino ai giorni d’oggi. Ma non è questo l’unico aspetto da menzionare come svelamento di una comune verità. Il Verismo si è connotato per delle vicende composte di povertà e di un destino trasfigurato nel linguaggio chiaro e spesso documentabile. I personaggi sono prelevati da un’umile Italia che sembra “staccata” non solo geograficamente dal continente (gli eroi sono inventati, afferma l’autore). Non possiamo non accostare al Verismo anche la ruralità del romanzo di Di Stefano, ma solo in parte, specie nel suo archetipo, perché questa lunga narrazione contiene anche elementi solidi di esistenzialismo afferenti ad una dinastia familiare attraversata, nei decenni, da tre generazioni. Di certo se pensiamo a Giovanni Verga, Luigi Capuana e Federico De Roberto, non ci si esime dal rintracciare temi rinnovati nella psicologia inquieta dei personaggi, nelle abitudini e nei riti, nella coscienza e nella suggestione, nei turbamenti, nella rabbia, nella tenacia, nella resilienza di nonni, zii, cugini, vicini ecc. Se ovviamente è diversa la cifra stilistica, resta la componente fatalista, cromatica, la rivelazione iniziatica, la naturalezza che attinge ad uno stigma secolare nei tanti soggetti scolpiti dalla memoria del romanziere in una civiltà che il tempo ha svelato in tutti suoi effetti, più collettivi che singoli, a partire dalla guerra, dalla fuga nei luoghi impervi, dall’emigrazione, per concludere con una certa irresolutezza da intendere come carenza nel presente, come sottrazione di beni non solo materiali: in Sicilia, in Svizzera, a Milano ecc. Una voce imperiosa, diremmo pure imperitura, quella di Claudio, fratellino dell’io narrante morto prematuramente durante l’infanzia, distilla la parola poetica in suggerimenti terreni e metafisici, risultando un amorino, un putto straordinariamente pungolante: vivo tra i vivi, nel suo di qua dell’aldilà che contamina la storia di osservazioni, analisi, immaginazioni, ricordi, nutrendo la reciprocità della vita di due famiglie che ne hanno pianto la scomparsa improvvisa a seguito di una leucemia acuta. Paolo Di Stefano non vuole lasciare lacune, dispersioni affettive: intende tramandare qualcosa di prezioso. Ed è già questo un processo creativo per non rimuovere, per non spazzare via alcunché dei suoi personaggi realmente esistiti. Un controcanto singolare lontano dal frastuono dei nostri giorni, dalla civiltà delle immagini, dal pluralismo della notizia lampo. Un blues da riscoprire, che permetta di ricostruire la funzionalità del tempo e una promessa di futuro nel milieu di una letteratura che vive la sua morsure du réel. L’impronta del reale è dunque una cartina di tornasole ineguagliabile che conduce verso la scoperta della verità impersonale.
Il Novecento italiano e i primi due decenni del terzo millennio rispondono ad un panorama formale, linguistico e organico molto frastagliato. La storia è solo la sponda, un argine, non l’impronta tangibile alla quale affidare una metodologia di studio. L’autore opta per il segreto della coscienza che si riversa nel moto delle cose, in un sentimento dominante. La narrazione esplode quando si canalizza nelle impressioni e nelle sollecitazioni, perché non ci sono altri linguaggi che possano somigliarle, che possano sostituirla. Noi è un romanzo liberatorio, energico: Di Stefano diventa il tramite di un tempo mai interrotto, che non passa. La salvazione sta nel rievocare le gesta di uomini e donne sopravvissuti perché custoditi nel comun denominatore degli affetti familiari.
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Ha scritto Carlo Bo in Letteratura come vita (saggio pubblicato sulla rivista “Il Frontespizio” nel 1938): “Noi crediamo alla vita nella stretta misura della letteratura, cioè sotto quell’angolo di luce concesso da un’attenzione decisiva per una spiegazione, per una condizione di reperibilità”.
La fanciullezza, in particolare, coagula il passato e il futuro che si incarnano in una funzione di mitogenesi affondando le radici nella saga familiare. Nel coro a più voci di Paolo Di Stefano, la luce del tempo (“il ragionamento sul tempo”, direbbe l’autore) è attraversata dai luoghi e il suono di un fondamento ideale spazia in ogni ambito, in un viaggio verso la verità contro ogni stagione in via di dissolvimento. La nudità di questa esperienza è insita nella sobrietà del rapporto con le cose, con lo spirito che inizialmente dialoga con la terra. L’evocazione si staglia nell’orizzonte per lo più siciliano, nello spazio di una difesa umana, in un ambiente più amato che radicato, nella vibrazione di un afflato casalingo, senza che sia possibile, tuttavia, trovare l’uscita di sicurezza da un’eclissi dove tutto è instabile meno che la partecipazione al senso di finitudine umana.
“Eppure a diciott’anni nostro padre aveva già vissuto parecchio, e doveva ringraziare (si fa per dire) il pecoraio di Avola, suo padre, il ricottaio don Giovanni di nome e di fatto, don Giovanni detto il Crocifisso”. Un moschettiere, un femminaro (“forsennato fedifrago senza vergogna”), che vedeva donne e pecore, che si vantava di frequentare una marchesa, come racconta il padre dell’io narrante, ad ottantatré anni, nell’appartamento di Lugano, in Svizzera. Parte da qui la saga delle famiglie di Avola, Di Stefano e Confalonieri, di Giovanni e Mariannina da un lato, di Paolino e Carmelina dall’altro. Proseguendo con Giovanni, il figlio con lo stesso nome del padre, e la moglie Dinuzza, per arrivare a Paolo Di Stefano e ai suoi fratelli. Il figlio Giovanni e il padre si fronteggiano, si minacciano, si temono. L’altro nonno, Paolino, che diventerà maresciallo di finanza, si batte al fronte, e durante la guerra i paesani non capiscono chi è amico e chi nemico, chi butta le bombe, da che parte stanno tedeschi, inglesi, americani, canadesi. Con i paracadute degli alleati si costruiscono camicie, gonne e pantaloni dal colore mimetico in un mondo ancora in bianco e nero (come nota Maria, figlia di Paolo Di Stefano mentre viene rievocato l’anno 1943): fasi concitate che costringono le famiglie a rifugiarsi negli insediamenti rupestri scavati nel tufo, sfuggendo così ai bombardamenti e alle rappresaglie.
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Di Stefano ci offre immediatamente una traccia di senso nelle vite e nelle morti senza eroismo. In una lingua tachicardica la dimensione cartesiana è concentrata spesso nella parola “sciarra”, litigio, zuffa, tanto che i morti farebbero visita di notte per indispettire, per ridestare dal sonno i coniugi ancora in vita. Tra le altre figure magistralmente descritte, la rugosa zia ‘Nzula, sorella di Mariannina, alta un metro e quaranta, l’unica capace di controbattere Giovanni il femminaro, affrontandolo di petto per urlargli la “sbriogna”, la vergogna, facendosi sentire da tutta la strada (Di Stefano ama la parola impura, dialettale, insostituibile ricettore di uno stato d’animo, di un gesto impulsivo che è proprio la ripercussione di una pluralità parlata, di un “noi” estratto da uno spartito comunitario).
Giovanni figlio, occupa gran parte dei primi capitoli del romanzo: iscritto all’università, è un giovane telescriventista innamorato, disilluso, che raggiungerà Lodi per dare ripetizioni in un collegio, raccomandato da un prete, che visiterà a più riprese Milano. Un uomo sempre in piedi, “avanti e indietro”. “Non si stanca di muoversi, saltare su un tram, scendere e risalire, camminare ancora, misurare la città in lungo e in largo”. Lavorerà anche come rappresentante di targhe in ottone, in alluminio, di timbri e biglietti da visita e come agente informatore indagando sulle infedeltà coniugali, investigando sui commerci e sulla solvibilità delle aziende.
La vita procede in un percorso che l’emotività dipana nella geografia personale tra le strade di Milano abitate da operai meridionali, tra miniappartamenti con doccia e stufa a legno, con l’aria ombrosa dei siciliani che della smorfia di scherno fanno una caricatura, un “mussiare” che la dice lunga sul bene e sul male, sull’insofferenza. La resistenza delle famiglie ha ragioni che sanciscono una spinta elettiva: la figura umana, per Paolo Di Stefano, vuol dire prima di tutto padronanza della propria condizione in un posto qualunque, ma Avola si cristallizza come il luogo elegiaco di odori e sapori, delle cerimonie e funzioni sacre, come nella domenica di Pasqua con la Madonna portata sulle spalle, coperta di nero, circondata da bandiere e che dietro il manto nasconde una decina di colombe e di quaglie che volano. La Madonna si agita verso il centro della piazza dedicata al Re Umberto e abbraccia il figlio risorto circondato dai sacerdoti, tra fuochi, musiche e trombe.
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A Paolo Di Stefano interessa la civiltà e la sua conservazione. Una conservazione intessuta di circostanze irresolute, in una cornice che riporta al centro, immancabilmente, Avola, la cui dimensione culturale e antropologica rende sconfinata la provincia siciliana prima e dopo la guerra, nella cadenza e nella folgorazione descrittiva. Intenerita effusione ed esistenza vibratile si trasformano in memoria reale e figurata. I luoghi, nel tempo, assumono rilievo antropomorfico nelle scene mai vagheggiate, piuttosto riepilogate con esattezza cronologica. Il microcosmo struggente è suggellato da una sopportazione della “odiosamata” terra che si muove intorno a soggetti e oggetti avviluppanti. Di Stefano riesuma con efficacia la memoria inviolata, ritrovata come risonanza acustica tra parenti e coetanei, nel padre che “non è mai riuscito a misurare la distanza dalla sua famiglia”: un tormento, il suo, oscillante tra il va e vieni. Si avverte il privilegio del possesso delle cose imperfette, di una storia più grande e di una più piccola che si replica nella fedeltà al proprio e all’altrui monito, fino all’incrocio dello sguardo di una ragazza minuta, “chiusa dentro un elegante colletto zebrato, che attraversava lo stradone in compagnia di un’amica e di una cugina”. Il giorno del matrimonio Giovanni indossa un doppiopetto, Dinuzza un tailleur verde e scarpe verdi rialzate dai tacchetti. Tre figli in tre anni e poi un quarto, per quel marito e padre che riprende gli studi universitari dopo dieci ore di lezioni private per guadagnare ciò che serve al mantenimento della famiglia. Sarà docente incaricato nelle scuole medie di Mandello del Lario sul lago di Como e finalmente con la laurea guadagnerà il prestigio presso la parentela, compresa quella acquisita. Successivamente Giovanni Di Stefano si trasferirà a Lugano, in Svizzera. La casa sarà ubicata in un quartiere grigio, “del colore delle periferie”, dove i ragazzini cresceranno lungo le scale delle palazzine. Paolo, a partire dalla metà del libro, diviene egli stesso il raccontatore della saga, ritagliandosi un ruolo esterno correlato al proprio spazio di giovane figlio.
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La madre pensa alla morte, ai morti, a chi non c’è più per disgrazia e a chi rimane e deve mangiare per stare bene. Il figlio Paolo da bambino sognava di fare il vigile: “Avrei voluto fare il vigile per non lasciarmi sorprendere disarmato dalla terza guerra mondiale. Era un tempo in cui i bambini avevano paura delle bombe atomiche e della guerra che sarebbe scoppiata di lì a poco secondo le previsioni del governo federale che aveva disposto appositi finanziamenti per le installazioni militari e i bunker mimetizzati nei verdi e ridenti paesaggi alpini”. Ma le bombe, sarebbero arrivate dal cielo o dalla terra? Continuano i ritorni in Sicilia della famiglia Di Stefano: le case hanno i mattoni sfarinati, si gioca con le biglie o con le trottole, si mangiano il pane caldo sfornato all’alba e le polpette, si bevono bicchieri di ginger, di spuma e chinotto.
Con la crescita dei figli, si fa insistente la voce fuori campo del bambino poeta, Claudio, che da mentore alleggerisce la presa di coscienza degli accadimenti con opinioni secche, senza peli sulla lingua: “Sai quante volte / ho avuto la curiosità, / la curiosità di godermi in silenzio / la terribilità di ogni vostra vita casalinga / dall’angolo più nascosto del tinello, da sotto una poltrona / o da dietro una tenda, dallo spazio minimo / tra il tappetto e il pavimento…”. Perché anche chi è venuto a mancare si annoia, si stanca dei vivi, come i vivi rimpiangono i morti o li dimenticano.
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Il sentimento di Paolo Di Stefano, nel suo intreccio fonico, lievita da una voce che esprime il dolore, la malinconia come un lampo ad intermittenza. Ma la forza del narratore rimane soprattutto nel retroscena della famiglia metabolizzato in ogni aspetto agglutinante, in un ideale che rafforza la stessa biografia togliendone la patina di autoreferenzialità. Ogni apparizione è un’affermazione rinvenibile nei fenomeni italiani degli anni Cinquanta e Sessanta, e l’io stesso tende ad essere scansato in un umanesimo intriso di buona e cattiva sorte. Di Stefano allude spesso ad una verità inscalfibile dettata dal destino, che costituisce il nucleo omogeneo dell’intero romanzo. I dialoghi appaiono autoritari, seppure slanciati verso un’attenzione all’innocenza, ad una grazia che si scoglie dentro la sofferenza, così come nelle intense relazioni infantili e adolescenziali. Una grazia benefica rigenera la quotidianità dimessa in cui emerge un senso misterico in comunione con la morte. Un passaggio interscambiabile, dove i morti sono indaffarati, hanno un ruolo, un’immagine, i loro oggetti (il pupazzo di gomma Brontolo nominato ripetutamente e forse recuperato in un negozio vintage), gli amori, i dissapori, i dubbi sul passato posteriore, visto di spalle, a bilanciare il “futuro anteriore”.
Il linguaggio è filtrato, tutto sommato, in un’aura di purezza, in una stagione dove le età non contano più nulla. In effetti il vivere è fermentato in una nostalgia per un tempo inarrivabile, o meglio imprendibile, passato e presente, e la condizione più ricorrente è quella di chi si muove in una topografia sentimentale con la sensazione che niente si possa stratificare per sempre nel rimbalzo della memoria. L’innesto dell’affaccendarsi di Claudio, che reagisce come gli altri, sigla la forza ineguagliabile, l’invenzione strardinaria di Noi: un ragazzino deceduto nel 1967 è il legittimo detentore del diritto di parola. Il significato della morte riappare in tutto il suo emblematico segreto, ma il distacco dalla vita è presto colmato. Il canzoniere di Paolo Di Stefano è un modo per appellarsi ad un orizzonte che congiunge due estremi, ad un’associazione di idee in un travaso da un territorio all’altro, ad una metamorfosi che intrattiene simbolicamente il tempo catalogandolo, enumerandolo in una successione scomposta dai lari, Claudio in testa, vera e propria divinità domestica.
L’amore è un nodo al quale legarsi indissolubilmente, per cui ogni malessere ristagnante è spazzato via nel bisbiglio tra pensiero e inventiva. Il pegno di sincerità di Di Stefano conferma un mondo proliferante di fedi e affetti che si situano a metà tra l’immagine impressionista e un’atmosfera di redenzione, perché la felicità la conosciamo senza saperlo. La memoria di chi è cresciuto diventa un sigillo per attingere ad un appagante apprendistato. Si innerva un dialogo frontale con il discernimento di domande assolute, coraggiose, una boccata d’ossigeno nel fragore tra memoria e sogno, con l’attrazione per ciò che si dissolve e il dubbio di un dopo, di un’immortalità possibile. La riflessione biografica è una continua scoperta vocazionale, sacrificale, ma finisce per infondere fiducia nel prossimo.
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Noi è anche un romanzo sulle morti bianche, sullo sfruttamento nel mondo del lavoro. Nel 1959 la SINCAT produceva energia elettrica a vapore della quale se ne serviva l’Enel. Ancora oggi è un polo petrolchimico siracusano per la raffineria di petrolio e dei suoi derivati e per la produzione energetica. Gli incidenti erano all’ordine del giorno e le misure di sicurezza, per il lavoratore, pressoché assenti. La crisi economica imponeva l’urgenza di un reddito per far fronte alle difficoltà crescenti di una regione che economicamente non cresceva. Se diminuiva la percentuale di disoccupazione al nord, la ricerca di un impiego al sud diventava sempre più infruttuosa, demotivante. Il precariato accompagnò le generazioni ad un futuro senza punti di riferimento nella flessibilità forzata, nello smarrimento di una visione strategica e nell’esaltazione del pragmatismo per far di conto. Il solo aprire e chiudere le valvole e controllare le manovre di pressione poteva essere un esercizio pericoloso. Quando un operaio sbagliò e invece di mandare aria azionò la leva dell’azoto, la morte per asfissia non si poteva evitare. Peppino fu investito da una fiammata e venne ridotto ad una torcia umana. Non si sa come ma riuscì a scamparla, una volta trasferito in elicottero al Niguarda di Milano, accompagnato dai parenti che costituirono un vero e proprio mutuo soccorso.
Quindi il risalto del contro altare, del riscatto sociale, della rivincita, nonostante i conti non tornassero mai tra addizioni e sottrazioni: Fontane Bianche, un arenile di sabbia bianca, con sorgenti di acqua dolce, dove i Di Stefano costruiscono il sogno proibito di una casa sul mare, “inarrivabile per un avolese non professionista”. La natura risplende come in un paradiso terrestre allietato da eucalipti, tamerici, cormorani, sterne, germani reali, martin pescatori, fenicotteri. Una villetta perduta e lontana costa mesi di lavori con zappe, carriole, pennelli, cazzuole, secchi, vernice per risparmiare sui muratori. Paolo Di Stefano scrive con un sismografo interiore sul patimento dell’uomo in un decennio che si evolve, suo malgrado, nella dicotomia di stampo pasoliniano tra progresso e sviluppo, tra necessario e futile, in un meandro oscuro dove i ricordi della gente svaniscono nel giro di pochi anni insieme agli usi, ai costumi, agli utensili e alle auto sportive da esibire davanti alle pizzerie e ai bungalow allineati di fronte alla scogliera. Un pensiero non incandescente si allinea, però, ad un incanto pudico che incombe nella zona più profonda dei componenti della famiglia, riservata con gli altri quanto turbolenta al suo interno.
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Di Stefano appare un antimodernista che guarda le categorie dello spirito tra le presenze mutanti, anonime, svincolate, per una breve stagione, dal perpetuo disinganno. “Liberatosi delle incombenze mattutine, nostro padre ci raggiungeva al mare: molto più volentieri se c’erano i suoi cognati”. Erano i giorni delle risate, delle chiacchierate, dell’allegria, dei giochi con il pallone o con i tamburelli, con gli edifici, le torrette, architettati sulla sabbia. Nonno Giovanni faceva i solitari a casa con le carte, mentre nascevano i primi languori e i primi approcci erotici con le ragazze che il femminaro definiva “carni bianche”, come fossero i suoi animali, “lisciandosi la punta del baffo destro e poi quello sinistro e lasciando cadere ovunque occhiate furtive”. Sono queste le pagine più dotate di trasporto e coinvolgimento emotivo, quasi sussurrate al lettore, confidenzialmente, con una poeticità narrativa intrinseca, che si fonda sul senso espressivo dell’incontro. Non emerge una tensione sociale, ma si eleva un dialogo carezzevole, un input confessionale come parametro d’interpretazione nella dimestichezza tra soggetto e soggetto, in un’affabilità tra giovani e adulti che vortica nell’aria estiva non più urticante, ma riempita di mandorli, ulivi e fichi d’India. Lo scrittore sceglie una soluzione tersa in cui il testo mantiene una misura variabile e permeata da un’intensità breve, tra barlumi di cose viste teneramente: il mondo che cambia è un’incognita, un ideogramma sempre più complesso da decifrare. Il fondamento intimista attraverserà un fraseggio ancora più lieve, nel privilegio del sentimento immerso in un’adempienza autobiografica specie con la morte inaspettata del piccolo Claudio.
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Claudio se ne va proprio mentre Tarcisio Burgnich, il roccioso difensore dell’Inter di Helenio Herrera, sale in alto e colpisce la palla di testa all’ottantatreesimo minuto, decretando la vittoria dei nerazzurri contro il temibile Bologna di Luis Carniglia (“Burgnich segnava / e io volavo via / alle 16.20, / più o meno”). Per il “Corriere della Sera” è stata “un’aspra battaglia sul campo”. Claudio la perderà il 9 aprile del 1967 e il fratello Paolo non risparmia la descrizione più dolorosa dell’intero libro: “All’obitorio dell’Ospedale Civico che aveva un accesso dalla strada, dove oggi c’è l’Università della Svizzera italiana con il suo bel prato, ti abbiamo trovato immobile, disteso, indossavi la stessa tunica bianca che avevamo usato per la prima comunione, con il cappuccio, la corda e il crocifisso di legno, e ricordo il grosso fazzoletto piegato sotto il mento”. La parola leucemia fa paura anche a sentirla e si è manifestata per chissà quale maleficio, per il malocchio, asserisce la madre del piccolo, oltre a dire che “il dolore nessuno lo fa sentire davvero”, né nei libri, né nei film. Di Claudio rimane il suo racconto affilato, le notti, le punture che chiamavano trasfusioni, il dottor Porcello che sosteneva che il sangue andava lavato, il colore della pelle di cera lucente, le macchie aghiformi, Brontolo, la fotografia della cuginetta Carmen, l’amore di una certa Elisa, la Lotus a pedali regalata dal nonno paterno, verde, la stessa macchina di Jim Clark. Il colore dei ricordi erompe dai disegni e dalle parole superlative, in particolare dal colore degli occhi, azzurri, e dei capelli, biondi. Il decorso della saga familiare sfugge alla fredda, cinica razionalità.
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Di Stefano propaga un incantesimo, una specie di ipertempo remoto. Il contenitore sapienziale si indirizza non solo verso il tu, ma verso un immaginifico altrove dilatando l’orizzonte dell’esperienza. La compartecipazione dello scrittore è incastonata nella totalità delle cose, custode di un mistero mercuriale tra spazio e tempo. Il dire si prolunga, sincopato e ritmato in un corto circuito di frasi che restituisce l’implacabile incedere degli anni. La parola sottintende uno sguardo mesto, offre una visionarietà, un’instabilità emotiva nella consistenza del discorso sulla dualità vita/morte protratto da Claudio, che sembra crescere e diventare uomo, nonostante la morte. “Loro non potevano saperlo, ma avevo le orecchie fini e li sentivo, li sentivo da vicino o da lontano, li sentivo”. E ancora: “Stanotte ho sognato la mamma in quei giorni. In quei giorni che nella vita era nata per stancarsi e che stare in ospedale ad aspettare la stancava ancora di più”. Claudio sogna il futuro, il passato, il presente fino a pronunciare un quesito assoluto, a plasmare un calco spiazzante: “E allora se i vivi si rassegnano, / i morti perdono sempre? / Vince chi resta in campo, / come nel gioco della palla prigioniera”. L’interrogativo pressa, si ramifica in una traccia incrinata, in una vulnerabilità recepita dai familiari in un lento smorire: “Strane idee: come si fa a diventare di colpo un angioletto con i superpoteri nelle ali? Strane idee e bella pretesa”. Il morire è un momento in cui ci si accorge di non potersi opporre, in cui nessuno può intervenire, fa capire Claudio. Ma c’è una colpa, un rimorso, un ravvedimento, un discrimine, in questa inevitabile parabola? La trama di Paolo Di Stefano è implacabile dall’asserzione al quesito, nella domanda primordiale sull’esserci, sulla fine prematura, in una crescita di senso e di valore che Noi si porta appresso nelle ultime pagine. La scrittura si trasforma in un esercizio di ascensione verso le contraddizioni tra materia e anima, in un mixage di respiri profondi e immensi silenzi quando verrà meno anche il padre. “Lì, sistemato finalmente in alto, sopra di te, nostro padre ha preso il primo sole della primavera come per farsi trovare preparato per la canicola d’agosto, poi sarebbe arrivato il tepore dell’autunno, il freddo dell’inverno e di nuovo il ritorno confortante del primo sole di primavera”.
La varietà ritmica del romanzo non è mai paga di sé e una malinconia anche irrelata fa parte di un quadro nitido. Paolo Di Stefano trova una pace semplice in una vulgata visionaria. È l’amore l’implicazione che distoglie dal male, che soppesa un sentimento di viscerale dolcezza. Il tema è ripreso con costanza e stupore. “Nostra madre avrebbe trovato la scappatoia in una forma di personale agiografia; e suo marito, sia pure con qualche difetto, sarebbe diventato da quel giorno l’uomo più desiderabile e affettuoso che una donna avesse mai avuto”.
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Il romanzo non è più un modello classico e ricorrente. Dovrebbe essere, oggi più che mai, qualcosa di scevro completamente da un’invenzione. Coinciderebbe allora, come in Noi, con una condizione umana captata dalla testimonianza. Cioè, si può essere romanzieri quando un’esistenza è già di per sé oggetto letterario e quando i fatti, per come si sono svolti, valgono un libro. Basta scoprirne l’evidenza.
“Il ricordo è un modo d’incontrarsi”, diceva Kalhil Gibran: se non ricordiamo non possiamo capire, in una temporalità declinata al passato. La stessa ricordanza leopardiana, illusione o sogno che sia, unisce piacere e dolore in un unico sentimento che per il poeta recanatese fonda il carattere dell’individuo. Il senso di continuità tra passato e presente, o meglio di un passato al presente, suggella l’inestricabile aggancio tra “era” ed “è”. Il poeta Alfonso Gatto aveva congiunto il filo rosso della sua opera alle pieghe del tempo. Si era addentrato nel regno delle anime, aveva consacrato un dialogo con i morti che ricorda l’eco di Noi, in questo caso sotto forma romanzesca.
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La saga familiare rimanda, per restare in Italia e al Novecento, a Maria Bellonci, Natalia Ginzburg, Lalla Romano, Dacia Maraini, ma non possiamo non pensare, allargando i confini, a John Cheever, Philip Roth, Gerald Durrel, Jonathan Franzen, Isabelle Allende, solo per citare alcuni tra gli scrittori più noti nel panorama internazionale. La mediazione del narratore trasferisce temporaneamente le generazioni familiari nella storia, per cui il particolare viene distribuito lungo l’asse orizzontale di epoche che si avvicendano. La collocazione dei personaggi si realizza tra sequenze che assomigliano a quelle di un film sviluppato lentamente. Il montaggio e la ricomposizione di descrizioni proiettano la visuale d’intorno che fissa i tempi, che crea la sospensione della memoria nella dimensione esterna. Il flash back è una tecnica che permette di entrare e uscire da una datazione all’altra. Paolo Di Stefano muove una formula che richiama il metaracconto, la fantasia premonitoria dei narratori orali, elementi caratteristici appunto della saga familiare. L’autore reperta, non solo ricorda. Accoglie una selezione più che un’interpretazione, una ripresa di ambienti e non solo di stanze private, di luoghi eletti. Questa è la forza e la lucidità di chi si muove in uno spazio di riprese, di descrizioni non camuffate. Di Stefano è un segugio che fa primeggiare spesso l’insignificante oggetto che diventa significativo (Brontolo, la Lotus, il mobile, l’altalena, la pizza, la mozzarella ecc.). E lo stesso Claudio dà l’idea, felice, di qualcuno che ancora c’è, che non è mai scomparso, che si è solo assentato e che continua a far parlare gli altri di sé senza farsi accorgere del suo andare e venire, proprio come quello, remoto, del padre dalla Sicilia al nord dell’Italia, alla Svizzera. Non si tratta di una morte definitiva, ma di un meccanismo di sopravvivenza incasellato in blocchi di scrittura autonomi, poematici, in brandelli di verità rivelate, in un’unità riconducibile a ombre che parlano miracolosamente. Il ricordo procede per ritmi sincopati, con lividezza e lumi incandescenti. Sguardo e cuore si fondono: non più sguardo e compostezza, ma un messaggio che arriva direttamente là dove nulla può essere più taciuto. La creazione poetica ascende verso un camminamento verticale, nell’impresa della congiunzione con un mondo, purtroppo inconoscibile (quello di Claudio).
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La percezione del tempo, nella saga familiare, è come di un prosciugamento. Non esiste una dimensione allargata, protratta, ma invece immobile. Ecco quindi che le immagini del padre e del figlio possono riprodurre il sangue, il corpo, il procedimento gradevole perfino dell’immedesimazione. Il trasferimento di sé proiettato sul padre (e viceversa) si fa elemento consapevole, razionale. Siamo di fronte ad una realtà-pensiero incisiva, raffinata, che risucchia e consente la riproduzione ideale della vita. È questo il realismo più innovativo, qualcosa che è sì impossibile da qualificare, ma che costituisce la mitologia familiare. Il padre acquista via via una connotazione sempre più sentimentale, ma non di un sentimento dolciastro, vanesio. Come da una forza oracolare questa figura si staglia nel dolore ricucito perché sfociato in un dire inderogabile, misurato nel filo tenace che tiene in piedi tutta la storia. “Ho sempre avuta impressa nel cervello la sproporzione tra nostro padre, minuto e fragile, e la solenne maestosità di nonno Giovanni, e ora mi stupisco a constatare che in realtà la differenza era ridotta a un paio di centimetri: in fondo nostro padre vantava da giovane un decoroso metro e sessantadue. E mi sorprendo a fantasticare che forse nessuno, nella memora di sé che ha lasciato agli altri, è quel che era: forse è una fissazione mentale, una fotografia involontariamente ritoccata che non ha nulla a che vedere con la realtà”.
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Una legge superiore preme sui comuni mortali, si incardina nelle vicende, determina ogni porzione di vita e realtà nel transfert affettivo. Sono punti fermi i sensi di Paolo Di Stefano, sorgenti nella capacità di eludere il male e le lacerazioni. Le tante considerazioni contenute in Noi forgiano una piattaforma, un’elezione a valori primari, nonché, in fondo, un diario dei personaggi. L’inquadratura della saga familiare a largo raggio permette un bilancio della vita dei protagonisti, alcuni tra i tanti, interlocutori che Di Stefano ha coinvolto per smantellare il convincimento di una narrazione propriamente personale. L’io, in effetti, si moltiplica in un vero e proprio repertorio. La materia stessa è una molteplicità che ruota su sé stessa. Il senso della perdita è uno dei tanti riferimenti, come il senso di ciò che poteva essere e non è stato per pura casualità. Il contro bilanciamento si consolida nel travaso da un’esperienza all’altra, da un particolare al generale. Nella sua centrifuga il romanziere ha messo al centro un acume percettivo privo di intellettualismi e riassuntivo di un’evocazione non ordinata da un soggetto imperante. La letteratura resuscita, non distrugge, non uccide. Noi prosegue senza fine. Di Stefano torna indietro e mette a fuoco per rivivere una seconda volta ciò che è successo, ciò che è andato perduto. La letteratura si muove in un tempo che ci riguarda tutti, perché è un’esperienza che ci abita. È luce e ombra, non oblio. Riempie il grande vuoto dell’esistenza e pertanto decifra l’uomo limpidamente. Paolo Di Stefano reclama in quasi seicento pagine la pienezza paritetica, impareggiabile di nonni, padri, madri, fratelli, zii, cugini: anche per questo ha scritto uno dei più bei romanzi italiani degli ultimi anni.
Alessandro Moscè
L'articolo “E allora se i vivi si rassegnano, i morti perdono sempre?”. Paolo Di Stefano ha scritto uno dei romanzi italiani più belli degli ultimi anni, “Noi” proviene da Pangea.
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ma voi, voi fanti sbrindellati della manifattura, voi che vi sentite formiche ignote e anonime, voi che siete grati al padrone se vi fa lavorare, voi che vi percepite come sommatoria di debolezze e solitudini, ma vi rendete conto, benedetti colleghi o compagni (o quel cazzo che siete), vi rendete conto che la ricchezza, oggi, ora, adesso, la state producendo voi? Ma lo capite che senza le vostre mani, la vostra testa, i vostri saperi professionali ricchi o standardizzati, senza la vostra attitudine a sgobbare per poco, senza la vostra perdurante buona condotta (che in fabbrica, a differenza della galera, non porta sconti di pena, semmai il contrario), lo capite o no che senza di voi non ci sarebbe produzione, non ci sarebbe Pil, non ci sarebbe Def, non ci sarebbero acronimi puntigliosi, statistiche, dividendi agli azionisti e compensi ai manager, niente di niente di niente? Senza la vostra ineluttabile fedeltà fiscale non esisterebbero risorse per pagare ospedali e scuole e ponti (che crollano), perché pagate tutto voi, con i mille prelievi tentacolari che avvolgono le vostre pidocchiose buste paga – lo sapete o no? E l’export, il Made in Italy, l’eccellenza italiana, le fiere a Pechino, gli scaffali stracolmi di merci che traboccano minacciose e ci sommergono? Ma chi la produce tutta questa roba? E non solo voi, anche i ragazzi che adesso stanno nell’ufficio progettazione e non possono venire giù, e forse non parteciperanno mai ad un’assemblea con voi; e le “signorine della contabilità” (i vecchi le chiamano ancora così le impiegate), e anche quelle che puliscono i cessi, che sono le più strategiche di tutti – vorrei vedere a lavorare senza di loro (cessi e cooperazione produttiva: buona traccia d’indagine neo-operaista). E anche i vostri colleghi in Cina o in Germania, anche loro sono come voi (ma qua bisogna fermarsi, la rivelazione completa del Segreto sarebbe troppo destabilizzante). Ma lo capite o no che siete voi ad avere in mano le chiavi del negozio, che ogni mattina tirate su la serranda e tenete in piedi questo baraccone, con generosa munificenza verso parassiti e imboscati che risiedono nell’attico? Lo capite che stringete in pugno questo paese, senza neanche sospettarlo? Vi rendete conto che siete ridotti come un elefante che ha paura dei topolini? Vi terrorizzano con le liste di cassintegrazione, le lettere di contestazioni, le rate del mutuo, gli sfratti, le minacce di delocalizzare, le bugie della pubblicità che serve a farvi sentire esattamente come vi sentite – dei roditori che girano sulla ruota inafferrabile del consumista perfetto, raggiungendo solo più alti gradi di frustrazione; e vi costringono a indebitarvi, per poi farvi sentire in colpa per i vostri irredimibili debiti, così da poter spremere da voi ogni residuo pezzettino di solvibilità. Non siete deboli. Non lo siete mai stati. È incredibile, ma è così, ragazzi. (*)
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CSC Compagnia Svizzera Cauzioni
CSC Compagnia Svizzera Cauzioni e Fidejussioni supporta la crescita delle imprese, fornendo loro supporto gestionale ed economico, attraverso il rilascio di cauzioni e fidejussioni.
Tutto questo per dar modo loro di ottimizzare la loro produzione, seguendole in ogni procedura che incrementi la loro solvibilità nel pieno rispetto della normativa vigente.
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Un po' già il tono e alcuni contenuti mi puzzavano, poi sono andato a informarmi e a chiedere a qualcuno di più esperto di me in finanza, prima di rebloggare e scrivere quanto segue.
Intanto bisogna dire che avevo dubbi sulla reputazione del sito in generale. Contiene articoli basati su una certa quantità analisi, quindi non è da buttare via a prescindere. Però molti di questi hanno la tendenza a non riportare semplicemente i fatti ma sono usati per andare a dimostrare qualcos'altro, come se le analisi fossero solo un pretesto per fare affermazioni di tipo politico. E questo ovviamente mina alle basi l'attendibilità e la qualità delle analisi.
Non sorprende purtroppo come poi ci possano essere articoli su argomenti non di economia (parliamo di un sito che ha la parola "money" nel nome), ma approfittando della guerra di una potenza nucleare scrivano articoli che si domandano in caso di sgancio di una bomba "Fino a quale distanza dai luoghi colpiti si sarebbe a rischio di vita? È davvero possibile l’estinzione umana in caso di guerra atomica?". Perché i click e la pubblicità piacciono a tutti.
Nel caso particolare di questo articolo linkato ci sono un po' cose da specificare.
Il problema dei 170 milioni di debito da pagare per evitare il default non era assolutamente legato alla capacità o meno della Russia di pagare, come insinua l'autore, anche perché si stima che ne spenda circa 30 al giorno per la guerra... ehm, l'operazione militare speciale. In molti semplicemente avevano paura che non avesse più la volontà di onorare i debiti o che li avrebbe ripagati in rubli, così come minacciato dallo stesso governo russo, a ulteriore rappresaglia alle sanzioni occidentali.
Invece, il fatto che abbia pagato dimostra proprio l'esatto contrario di quanto scrive l'articolo, ovvero che la Russia vuole rimanere nel sistema economico mondiale perché, anche per lei, ha un peso troppo importante. E quindi continueranno a pagare i futuri interessi: altro che "Mosca si è garantita un grace period perenne e automatico rispetto a tutte le altre scadenze a rischio".
Mosca pagherà, se potrà, tutte le prossime scadenze (ad esempio quelle di fine marzo e inizio aprile) anche se più corpose, perché le conseguenze sarebbero ancora peggiori. Salvo usare la propaganda per spaventare il più possibile le nazioni e le economie di cui ha bisogno.
Da cui l'affermazione "il mondo intero avrebbe la prova provata dell’inutilità concreta e sostanziale del regime di sanzioni e dell’estromissione da SWIFT" risulta senza senso, perché le sanzioni economiche non hanno come obiettivo il default -non è certo la prima nazione colpita da sanzioni, non facciamo finta di non sapere quali siano le conseguenze- e l'esclusione da SWIFT non è stata, come sappiamo, tanto vasta da impedire a Mosca addirittura di fare un bonifico per ripagare una tranche di debito.
È inoltre chiaro che qualsiasi intoppo a valle dell'invio di un pagamento di un debito (che sia dovuto a sanzioni, guasti ai server, dipendenti in malattia o chissà che altro) non pregiudica mai la solvibilità del debitore, altrimenti sarebbe il caos totale.
Infine vorrei sottolineare come i due grafici finali siano accompagnati dal commento "una simbolica Guernica delle macerie rimaste della propaganda fuori luogo messa in campo negli ultimi dieci giorni da Usa e Ue" che forse più di altri dimostra la malafede di chi scrive. Almeno un ignobile riferimento al bombardamento nazi-fascista nel corso di un'altra guerra, lo si poteva tranquillamente evitare. Così come si sarebbe potuto dire chiaramente che non sappiamo da che Paese provengano coloro che hanno comprato i bond e che ne hanno fatto alzare il prezzo. Paesi occidentali -violando le sanzioni- o alleati della Russia, la Russia stessa, Paesi neutrali? Chi?
Di sicuro qualcuno che ha approfittato del precedente crollo causato da chi ha venduto col timore del default. Una classica speculazione, insomma.
Per cui il finale "L’Occidente guardi quei due grafici, poi si guardi allo specchio. E tragga le sue conclusioni, prima che sia tardi. E al danno si unisca anche la beffa." suona come un pistolotto filorusso, più che un'analisi finanziaria.
L'occidente l'autocritica, anche pesante, deve farsela ormai da parecchio tempo e per responsabilità anche più grandi. Ma dire "Il prezzo è aumentato! Via le sanzioni!!1!" sembra, nella migliore delle ipotesi, solo il pianto infantile di chi ha investito nell'economia russa e ci sta perdendo. Sarebbe forse la spiegazione più onorevole.
Ricapitolando Mosca ha pagato gli interessi sui debito, dì fatto sbugiardando la narrazione che la vogliono in default a causa delle dure sanzioni, ma chi doveva prendere le cedole non le può incassare per colpa delle sanzioni …..
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La Ue: sì alla proroga degli aiuti di Stato fino a giugno
La proposta della Commissione Ue inviata agli Stati. Le misure di sostegno agli investimenti e alla solvibilità source https://www.corriere.it/economia/aziende/21_settembre_30/ue-si-proroga-aiuti-stato-fino-giugno-d99e6356-2222-11ec-bc6c-99e19555fe91.shtml
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