#se vuoi puoi essere la sola che resta
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L’unica persona che vorrei in questo momento

Ho un viavai
Di idee in testa:
Se vuoi puoi essere
La sola che resta 🧠❤️
#ho un viavai in testa#se vuoi puoi essere la sola che resta#scrivilosuimuri#poeta della serra#poetadellaserra#ultimiromantici#romantic crew#romanticismo#romanticrew#figli di un disperato amore#disperato amore
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Da giorni combatto con la seducente nullità del vuoto. Non scrivo, non sto scrivendo. Ho consegnato intorno al 20 dicembre le seconde bozze di un libro corretto ricorretto leccato e smaltato come nevrosi vuole. Ho scritto un po’ per riviste e giornali. Un bel trattatello sul sesso fra vecchi (Lucy), un accorato rimpianto a vent’anni dalla morte di Susan Sontag ( La Stampa) una sentita recensione per il bel saggio femminista di Vanessa Roghi ( Elle) Una presentazione ricordo di Vincenzo Cerami a dieci anni dalla morte ( Spazio7) e via intrattenendo il mio super-io. Vorace, nutrito di malinconia, repressivo come una vecchia zia malevola. Da giorni cerco di buttare nel secchio i regolamenti occulti che costituiscono la spina dorsale della mia vita da quando ho memoria…sessant’anni? Sessantacinque?quando ho smesso di essere bambina? Un esempio: non si leggono libri inutili ( solo capolavori o saggi illuminanti), i libri inutili se proprio vuoi, li puoi leggere la sera prima di addormantarti. Magari in lingua originale, così fai esercizio , limitatamente al francese e all’inglese, che altre lingue, colpa tua, non ne sai. Altro esempio: non si guardano film o serie nel corso della giornata. La giornata è fatta per lavorare. La mattina devi inserire nel tuo programma di lavoro mentale anche un’ora di lavoro fisico: diecimila passi veloci o 6 kilometri di corsa lenta ( ma non troppo), d’estate una nuotata, d’inverno un po’ di pesi. Dopo pranzo puoi dormire, ma non più di 20 minuti. Dopo pranzo puoi dormire soltanto se la mattina hai corso.
La pigrizia è il cancro dell’anima, l’unica terapia è lo sforzo produttivo.
Da giorni cerco di smettere di sentirmi una parassita soltanto perchè la mia vita è , ed è sempre stata, meno faticosa di quella di un minatore o di una operaia metalmeccanica. Ho fatto sempre, da quando, a 20 anni, ho incominciato a mantenermi da sola, quello che volevo fare: scrivere, raccontare, evocare. Da giorni cerco di assolvermi per il piacere che ho provato scrivendo, come se fosse un lusso da bambina viziata e non il mio lavoro. Anche difficile, in fondo. Una forma di artigianato rischioso.Ti affacci su un baratro che contiene anche te, non soltanto i tuoi personaggi: la condizione umana. Se ti consegni alla scrittura con onestà, puoi scoprire verità difficili da gestire. Resta il fatto che non sto scrivendo e il super io, che non sono riuscita a depotenziare, mi impone risvegli complicati. Accendo radio3 e il GR , invece di aprirmi una finestra sul mondo mi riversa addosso una quota intollerabile d’angoscia. Il conto vertiginoso delle vittime dei conflitti in corso, le farneticazioni di un vecchio manigoldo che non ha orror di se stesso, il costante censimento dei bambini morti, per colpa di un altro vecchio pazzo che autorizza un genocidio per vendetta …tutti e due condannati dalla legge…tutti e due inamovibili, ben insediati nei posti di comando…
Di che cosa posso scrivere al cospetto di tanta strage, di tanta dolorosa personale impotenza? Il mio prossimo romanzo forse sarà composto di 200 pagine bianche. Morirò pigra, dopo aver vissuto sotto sforzo
Lidia Ravera
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Lettera ad una nuova me.
15.09.2024 ore 13.47
Cara Anna, quanto è bello il mare? Come è rilassante il suo suono. Quanto è piacevole il suo odore.
Cara Anna, non demoralizzarti, non buttarti giù, non aver paura, ma soprattutto non piangere, non disperarti. Sii sempre coraggiosa e orgogliosa di te stessa, della donna che sei.
Cara Anna, non so cosa ti prospetterà la vita, non so quali sorprese ha in serbo per te, ma non mollare. Non mollare mai. Lo so, non è facile cara Annina, niente è facile quando tutto ti crolla addosso e vorresti spronfondare anche tu. Ma non farlo, non aver paura, ci sarò io a sorrergerti. Devi essere forte e coraggiosa e A M A R T I. AMARTI ogni singolo giorno della vita. AMARTI DA SOLA. SOLO TU STESSA, puoi darti quell'amore viscerale che cerchi e che ti ostini a regalare a chi non se lo merita affatto. Quello stesso amore viscerale che tanto desideri. Non devi soffrire, non puoi permettertelo, non te lo meriti. Non devi piangere... Non puoi rovinare questo fantastico trucco. Non spegnerti per nessuno. Brilla, brilla più che puoi, più che mai. Accecali con la tua luminosità. Non dimenticarti mai dei tuoi valori, non dimenticarti mai quello che vuoi realmente. V I V I. VIVI sognando, VIVI aspettando che qualcosa di bello posso accadere. L'amore esiste Annarè, non dimenticarlo. Non ti meriti un amore qualunque. Ti meriti l'amore con la A MAIUSCOLA, capace di perdonare ogni errore. L'amore che non scappa via quando tutto si fa difficile e che non ti lascia MAI SOLA. L'amore che RESTA. Che ti resta vicino per affrontare ogni sorta di problema. Ti meriti un amore che ti desidera per davvero. Quell'amore la cui priorità S E I S O L O T U.
Cara Anna, hai solo 31 anni, non avere fretta, sei giovane. Se pensi, però, che questo amore non dovesse arrivare, non temere. Lo hai già trovato, ma in realtà non lo sai. Ed è proprio l'amore per te stessa. E' l'amore che TU STESSA, con tanto sforzo, hai donato a chi non ha saputo apprezzarlo. E' ora, Annarè, che st'ammor lo doni un po' a te stessa. E ricordati di camminare sempre a testa alta e non vergognarti di nulla. Sii coraggiosa come lo sei sempre stata. Abbiamo una sola vita e dobbiamo goderne ogni singolo momento, ogni singolo giorno.
Cara Anna, non credo che nessuno di noi merita di essere scacciato, cambiato, eclissato, lasciato da solo. Meritiamo di essere portati su un palmo della mano, meritiamo di essere accettati per quello che siamo. Mia cara e piccola Annarella, devi essere forte come il mare. Quello stesso mare che ami più di ogni altra cosa. Quel mare che, inquieto, rappresenta il tuo stato d'animo e ti aggiusta sempre il cuore. E ti aggiusta sempre l'anima. Tutto muore nel mare e rivive. Forza Annarella mia. Ce la possiamo fare, supereremo anche questa. Tornerai ad essere più forte, ancora più bella e più felice di prima. Lo sei già stata da sola e sono certa che la sarai di nuovo. Devi crederci, devi credere di più in te stessa. Tira fuori quel bel caratterino che hai e inizia a V I V E R E. Inizia di nuovo a R E S P I R A R E e a G U S T A R E il sapore della libertà e della leggerezza. La vita non è fatta SOLO di pesantezza, ansia, continui litigi, spazi invasi. La vita è ben altro. E' forza, coraggio, è tanto, tanto amore, che è in continua crescita. Non sentirti in colpa per i tuoi errori, perché nessuno si sentirà mai in colpa per i propri. Nessuno ti verrà a chiedere scusa se ha sbagliato con te. Nessuno ti verrà a chiedere scusa se ti ha trattato male. Nessuno ti verrà a chiedere scusa se ti ha ferito. A nessuno interessa di averti ferito e fatto del male. A nessuno interessa come stai. Pensano solo al loro STUPIDO orgoglio e a tutto quello che ne vien da se. Tutti buoni a puntare il dito, N E S S U N O, capace di farsi un esame di coscienza. Basta così Annarella mia, lo sai bene, non serve che divento ripetitiva. Ce lo siamo detto tante volte nelle pagine di questo diario. Non accontentarti mai e allontana tutto ciò che ti fa star male. Tutte le negatività, tutta la finzione e la falsità.
Mia cara Anna, SEI BELLA, sei una donna con le palle che ha carattere. Lascia andare via tutto. Non è destinato a te, non è per te, non è compatibile con la tua vita. Con i tuoi valori. Basta, è giunto il momento di mettere un bel punto dove spesso hai messo delle virgole. Lì fuori c'è qualcosa di più bello e di più grande e di più VERO che aspetta solo te. Quando sarai pronta, nel momento più inaspettato, arriverà a bussarti alla porta del tuo cuoricino. Intanto vivi e goditi tutto. Il bene, il male, il dolore e la felicità che la vita ti presenta in ogni momento della giornata.
#vita#sentimenti#rottura#forza#coraggio#amore#amaresestessi#vivere#felicità#dolore#bene#male#bellezza
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A GIORGIO PECORINI - MILANO.
Barbiana, 7.4.1967.
Caro Giorgio, stiamo ora correggendo le bozze della Lettera a una professoressa. L’autore è Scuola di Barbiana. L’editore Libreria Editrice Fiorentina. Il prezzo circa 500 lire. Te ne mando una copia dattiloscritta perché tu la legga se puoi e tu la faccia leggere a chiunque ti possa parere utile per il lancio pubblicitario. La destinataria è all’apparenza una professoressa, ma il libro è inteso per i genitori dei ragazzi bocciati e vuol essere un invito a organizzarsi. […] Mi ero fatto fare una prefazione dall’architetto Michelucci (stazione di Firenze, chiesa dell’Autostrada ecc.) che è come me un maniaco dell’arte anonima e del lavoro d’équipe. Parlava per es. dei maestri comacini, dei mosaicisti cristiani, delle cattedrali gotiche, delle ferrovie e dell’Autostrada (ponti ecc.), tutte opere di scuola e non di autore. E poi del cinema in cui tutti sono abituati a vedere decine e decine di nomi di cui nessuno riesce esattamente a scindere cosa ha fatto ognuno (registi, soggettisti, dialogo, fotografia, musica, costumi, attori…): in conclusione si ricorda forse il nome del regista, ma è per esempio pacifico che il soggetto cioè il contenuto cioè talvolta il più non è suo. Ora la prefazione di Michelucci è risultata troppo difficile per i lettori che noi vogliamo e così ho chiesto a quel sant’uomo se potevo non metterla. Resta però il problema che per me è fondamentale. Io sono in pessime condizioni. Non solo sono a letto da un anno, ma da mesi sono disteso orizzontale e dormicchiante. Stamani colgo un raro momento in cui riesco a star su per scriverti. Se i lettori maliziosi potessero vedermi capirebbero subito che anche in letteratura si può lavorare in équipe come in cinema e in architettura. Ma non possiamo insistere sul patetico. Mi occorre dunque che un giornale o due diano per scontato che questo è un lavoro dei ragazzi. Che è un modo nuovo di scrivere e che è l’unico vero e serio. Quello che sembra lo stile personalissimo di don Milani è solo lo stare per mesi su una frase sola togliendo via via tutto quello che si può togliere. Tutti sanno scrivere così purché lo vogliano. È solo un problema di non pigrizia. Su questo libro potevamo stare ancora dei mesi e farlo diventare opera d’arte fino in fondo, ma son cose che invecchiano troppo presto e così abbiamo deciso di buttarlo fuori così. Se vuoi maggiori chiarimenti sulle tecniche del lavoro d’équipe dimmelo. Ma devi far qualcosa per me. Prima di tutto perché è vero quello che ti dico cioè che il lavoro è tutto dei ragazzi salvo la mia regia (ma regia da povero vecchio moribondo). Poi perché non voglio morire signore cioè autore di libro, ma con la gioia che qualcuno ha capito che per scrivere non occorre né genio né personalità perché ci sono regole oggettive che valgono per tutti e per sempre e l’opera è tanto più arte quanto più le segue e s’avvicina al vero. Così la classe operaia saprà scrivere meglio di quella borghese. È per questo che io ho speso la mia vita e non per farmi incensare dai borghesi come uno di loro. O peggio per far dire ai maliziosi che ho fatto firmare ai ragazzi per evitare le complicazioni dell‘imprimatur. Insomma io non so se son riuscito a spiegarti cosa voglio perché come ti dicevo sono addormentato dalla mattina alla mattina, ma se puoi fare qualcosa per me in questo senso te ne sarò grato. Se non hai capito bene vieni per piacere a rifartelo spiegare a voce. Ci tengo sopra a ogni cosa. È un dovere che ho verso i ragazzi. Un abbraccio, tuo
Lorenzo
[Il libro esce i primi di maggio o poco dopo.]
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Testo tratto da:
Lettere di don Lorenzo Milani priore di Barbiana, a cura di Michele Gesualdi, Milano, A. Mondadori (collana Oscar n° 431), 1976 [1ª Edizione: 1970]; pp. 273-275. (Corsivi dell’Autore)
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Alle persone più importanti della mia vita, io ho associato una canzone. Non sempre gliel’ho detto, non sempre gliel’ho dedicata davvero. Alle volte è solo un ritornello che avevo in testa in un momento condiviso. Il mio migliore amico, ad esempio, per me è Those nights degli Skillet; mio fratello True love di P!nk. Beh ecco, tu non lo sai, ma per te io ho fatto una playlist intera. Ho ritrovato te, noi in troppe canzoni. Non me ne sono neppure accorta, l’ho fatta inconsciamente; senza cercarle, senza sforzarmi. Dapprima erano solamente due (Superclassico e Ferma a guardare), che ho ascoltato a ripetizione per settimane; poi se ne sono aggiunte altre, nuove, che volevo sentire subito dopo quelle. Così, in un battito di ciglia, si è creata una vera e propria raccolta. E sai, non sono canzoni inglesi, nonostante io ami i testi stranieri, ne cerchi il significato quando mi sfugge e poi le impari a memoria per saperle cantare correttamente. Sono tutte canzoni italiane; di nuovo, è stato probabilmente il mio subconscio ad agire per me, pensando che avresti colto la bellezza e i riferimenti di quei testi solo se li avessi compresi. E visto che tanto non avrò mai modo di dedicartele, ascoltarle con te sottolineando una frase particolare o cantarle assieme, ho deciso che raccoglierò qui le strofe più belle. Ma anche quelle che sono un pugno nello stomaco ogni volta.
Superclassico, Ernia “Ora che fai? Mi hai fregato, così non si era mai sentito. Io dentro la mia testa non ti ho mai invitata. Vorrei scappare che sei bella incasinata... Ma poi ti metti sopra me e mi metti giù di forza, Sembra che balli ad occhi chiusi, sì, sotto alla pioggia. Poi stai zitta improvvisamente... Ti chiedo, «Che ti prende?» Tu mi rispondi, «Niente» Dio, che fastidio.”
Ferma a guardare, Ernia ft. Pinguini Tattici Nucleari “Poi lo facevamo forte, in piedi sulle porte Dici: «Non ti fermare» Però io guardo le altre E so che d'altra parte Non lo puoi perdonare. Sotto il tuo portone tu m'hai chiesto se ci sto A salire ed era solo il primo appuntamento. Nello stesso punto dopo mesi io ti do Dispiaceri e tu mi stai mandando via dicendo «Non mi fare mai più del male. Ora non voglio più parlare Perché non so restare Ferma a guardare Te che scendi giù dalle scale e te ne vai»”
Pastello bianco, Pinguini Tattici Nucleari “Ti chiedo come stai e non me lo dirai, Io con la Coca-Cola, tu con la tisana thai Perché un addio suona troppo serio E allora ti dirò bye bye. Seduti dentro un bar poi si litigherà Per ogni cosa, pure per il conto da pagare. Lo sai mi mancherà, na-na-na-na.”
Ridere, Pinguini Tattici Nucleari “E non ho voglia di cambiarmi, Uscire a socializzare... Questa stasera voglio essere una nave in fondo al mare. Sei stata come Tiger: Non mi mancava niente E poi dentro m'hai distrutto Perché mi sono accorto che mi mancava tutto. Però tu fammi una promessa Che un giorno quando sarai persa Ripenserai ogni tanto a cosa siamo stati noi.”
Nonono, Pinguini Tattici Nucleari “E spettinata resti qua Perché la più grande libertà È quella che ti tiene in catene. I pugni in faccia che mi dai Li conservo nell'anima Accanto a tutti i "ti voglio bene". Ieri mi sono svegliato (no, no, no) Erano circa le tre. Quando il telefono non ha squillato, Io l'ho capito che eri te. Hai detto: «Impara a vivere da solo» (No, no, no) Ma solo ci sapevo stare. La mia solitudine era un mondo magico Che io ti volevo mostrare.”
L’odore del sesso, Ligabue “Si fa presto a cantare che il tempo sistema le cose, Si fa un po' meno presto a convincersi che sia così. Io non so se è proprio amore Faccio ancora confusione. So che sei la più brava a non andarsene via. Forse ti ricordi... ero roba tua. Non va più via L'odore del sesso, che hai addosso. Si attacca qui All'amore che posso, che io posso... E ci siamo mischiati la pelle, le anime e le ossa Ed appena finito ognuno ha ripreso le sue. Tu che dentro sei perfetta Mentre io mi vado stretto. Tu che sei la più brava a rimanere, Maria, Forse ti ricordi, sono roba tua.”
Andrà tutto bene, 883 “Io e te chi l'avrebbe mai detto. Io che avevo giurato che non avrei fatto Mai più il mio errore di prendere e via Buttarmi subito a capofitto In un'altra storia impazzire per la gloria, Io no. Mi spiace ho già dato E l'ho pagato. Però sta di fatto che adesso son seduto con te In un'auto a dirti all'orecchio che Andrà tutto bene non può succedere Niente di male mai a due come noi.”
Ad occhi chiusi, Marco Mengoni “Da quando ci sei tu Non sento neanche i piccoli dolori. Ed oggi non penso più A quanto ho camminato per trovarti. Resto solo adesso, mentre sorridi e te ne vai Quanta forza che mi hai dato non lo sai e spiegarlo non è facile. Anche se non puoi tu sorridimi; Sono pochi, sai, i miracoli Riconoscerei le tue mani in un istante. Ti vedo ad occhi chiusi e sai perché Fra miliardi di persone ad occhi chiusi hai scelto me.” Sai che, Marco Mengoni “Eravamo davvero felici con poco, Non aveva importanza né come né il luogo. Senza fare i giganti E giurarsi per sempre... Ma in un modo o in un altro Sperarlo nel mentre.” Sembro matto, Max Pezzali “Il tempo si ferma quando siamo assieme Perché è con te che io mi sento bene. Voglio quei pomeriggi sul divano In cui mi stringevi e respiravi piano. Ho perso te e la mia armatura di vibranio. Sembro strano... Sembro matto, matto. Come un tornado hai scompigliato tutto, Mentre dormivo lì tranquillo a letto Hai fatto il botto, dopo l'impatto.” La paura che, Tiziano Ferro “La lacerante distanza Tra fiducia e illudersi È una porta aperta E una che non sa chiudersi. E sbaglierà le parole Ma ti dirà ciò che vuole. C'è differenza tra amare Ed ogni sua dipendenza. "Ti chiamo se posso" O "Non riesco a stare senza". Soffrendo di un amore raro Che più lo vivo e meno imparo. Ricorderò la paura che Che bagnava i miei occhi Ma dimenticarti non era possibile e Ricorderai la paura che Ho sperato provassi, provandola io Che tutto veloce nasca e veloce finisca.”
Vivendo adesso, Francesco Renga “A te che cerchi di capire E che provi a respirare aria nuova. E non sai bene dove sei. E non ti importa anche se in fondo lo sai che ti manca qualcosa. Amami ora come mai, Tanto non lo dirai. È un segreto tra di noi. Tu ed io in questa stanza d'albergo A dirci che stiamo solo vivendo adesso.”
Duemila volte, Marco Mengoni “Vorrei provare a disegnare la tua faccia Ma è come togliere una spada da una roccia. Vorrei provare ad abitare nei tuoi occhi Per poi sognare finchè siamo stanchi. Vorrei trovare l'alba dentro questo letto, Quando torniamo alle sei, mi guardi e mi dici che Vuoi un'altra sigaretta, una vita perfetta Che vuoi la mia maglietta. Che vuoi la mia maglietta. Ho bisogno di perderti, per venirti a cercare Altre duemila volte, Anche se ora sei distante. Ho bisogno di perdonarti, per poterti toccare Anche una sola notte.”
Ma stasera, Marco Mengoni “Senza di te nei locali la notte io non mi diverto. A casa c'è sempre un sacco di gente ma sembra un deserto. Tu ci hai provato a cercarmi persino negli occhi di un altro, Ma resti qui con me.”
Dove si vola, Marco Mengoni “Cosa mi aspetto da te? Cosa ti aspetti da me? Cosa sarà ora di noi? Cosa faremo domani? Potremmo andarcene via, dimenticarci Oppure giocarci il cuore, rischiare. Fammi respirare ancora, Portami dove si vola, Dove non si cade mai. Lasciami lo spazio e il tempo E cerca di capirmi dentro. Dimmi ogni momento che ci sei. Che ci sei, che ci sei.”
Venere e Marte, Marco Mengoni “Certe storie brilleranno sempre ed altre le dimenticherai. Ci sono cose che una volta che le hai perse poi non tornano mai. E se già ti dico porta le tue cose da me Non dirmi è troppo presto perché Io ti prometto che staremo insieme, senza cadere, E ogni mio giorno ti appartiene. Ti prometto che inganneremo anche gli anni Come polvere di stelle filanti. E sarà scritto in ogni testo Che niente può cambiare tutto questo. Incancellabile... ogni volta che mi guardi. Posso farti mille promesse o ingoiarle come compresse E mandare giù queste parole senza neanche sentirne il sapore. Questo mondo da soli non è un granch��; sì ma neanche in due. Però con te è un po' meno buio anche quando il cielo è coperto di nuvole. E aspettavi smettesse di piovere, ma sei rimasta tutto il giorno, Io speravo piovesse più forte perché è bello riaverti qui intorno. Certe storie diventano polvere, non ti resta nemmeno un ricordo. Altre invece nonostante il tempo ti restano addosso.”
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Tutto cambia, sempre.
Nulla resta mai uguale a se stesso.
Cambiamo noi e cambia la realtà intorno a noi. Per questo motivo, la vita è un fiume. Scorre in una sola direzione, in avanti, e non c’è modo di far scorrere la sua acqua indietro.
Il fiume è il simbolo del continuo mutamento, perché non resta mai uguale. In ogni attimo, è diverso. Il fiume non si può fermare, qualunque cosa tu faccia, esso continuerà a scorrere. Se pensi di poterlo fermare, ti stai semplicemente illudendo.
Quello che tu puoi fare è scegliere: vuoi essere una roccia che prova a opporsi al suo scorrere, oltretutto senza alcuna possibilità di farcela? Oppure vuoi scorrere con il fiume? Se scegli la prima opzione, sei destinato a soffrire. Se scegli la seconda, diventi parte del fiume. Diventi tu stesso Vita.
- Gianluca Gotto, Succede sempre qualcosa di meraviglioso
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Episodio 10 - Right here right now
Comes out that some of you knows me better than I know myself. Let me explain, it’s not that I know who I am and so no one does as what you see is what I show of my life, so it's just that some of you knows me in the way I wanna you to know me, some of you gets me for who I am when I wanna you to know me. Si capisce?
Eravamo in macchina and we were meant to talk about us, that was the idea, so Fabio went like: let’s talk serious. And we went serious. About us. (I find it so painful like if someone tries to take out my flesh directly from my chest I end up crying)
Se tu potessi scegliere dove andare e cosa fare senza nessun limite al desiderio e a cosa essere tu dove te ne andresti, dove vorresti essere e io, you know, io non voglio niente. My life is pretty fine as it is but there’s always something, and that’s me, not anyone else me and no one else bothering. Io non scherzavo mica quando mi accollavo al tuo progetto dell’isola io vorrei andarmene su un’isola tutta mia, voglio andare via, lontana. Dove vuoi andare? Via. Da sola, lontano, voglio la pace.
Non voglio avere nessun problema, nessuna paura, nessun domani da affrontare, nessun fratello da riportare indietro a Natale, nessun morto a cui pensare o da prevedere, un venerdì tutto mio e anche il lunedì successivo, vorrei i miei fantasmi spariti e i mostri tutti battuti, la mia doccia infinita e il cuscino sempre fresco e profumato, un’isola con le mie debolezza affogate, io vorrei essere come Nietzsche che se ne va su una montagna alla faccia di tutto e tutti perchè il mondo dei vivi è troppo e al contempo troppo poco che voi non capite e io non so spiegare, solo che io me ne andrei al mare, non voglio montagna, mi manca il mare, portatemi al mare, cosa aspettate? Novembre è il posto al mondo più lontano dal mare. Pensa un po’ se avessi deciso di fare figli, io non mi sarei tenuta in piedi le colonne della mente. non ne sono capace, se vedi che compro due tipi di dessert diversi perchè non so decidermi e poi una volta a casa so che non mi piace nessuno dei due come faccio a decidere anche per un essere innocente?
Quindi puoi dirmi di conoscermi? Me ne andrei come Grenouille che si scava un buco e ci resta per tutto il tempo che gli serve a diventare un mostro perfetto. Tornare e donare al mondo la super donna. Sapete non è tanto la fama quanto la sicurezza che mi conosciate per come sono e mi amiate infinitamente, chiedo troppo? Am I asking too much? Conoscere, che parole abusata e sopravvalutata, dovremmo eliminarla dal dizionario, nessuno conosce. Vorrei andarmene su un’isola e poi resterei con la mia più grande debolezza, me stessa, lontana da tutti, ma non da me, io che non mi capisco e riverso la mia bulimia nei vostri riguardi, vi cancello, allontano e poi vi cerco ancora e vi vomito e dall’isola tornerei per chiedervi se vi sono mancata, mi amate? Mi adorate? Vi direi ho capito tutto miei sudditi, non c’è niente da capire, si dorme, si ride, si piange, si mangia, si ama, si odia, si soffre, si corre e suda, si nuota, si aspetta, si arriva, si balla, we do life, that’s it. Conoscetemi, consacratemi per i miei difetti e nutritevi delle mie debolezze, usatemi. Riconoscetele, accettatele, non lasciatemi. If you don’t know me I’ll promise I’ll vanish, if you know me and don’t forgive me for my flaws I’ll kill you. If you adore me kill me for I wanna be the last one and we both know that’s the only way I’ll be free.
#episodio 10#isola#zarathustra#nietzsche#il profumo#vita#capire#cose mie#atarassia#episodi di vita#di nuova me#di vecchi tumulti#macchina
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Back to home
Mi ha fatto uno strano effetto tornare a casa dopo che me n’ero andata in fretta e furia 15 giorni fa a bordo di un’ambulanza, diretta verso il pronto soccorso. E’ stato un po’ come riprendere in mano un filo lasciato cadere e perso per strada, e riavvolgere il gomitolo per recuperare il tempo perso, e allo stesso tempo mi son sentita quasi estranea nel guardare gli oggetti rimasti esattamente la’ dove li avevo lasciati, la coperta sul divano, la borsa dell’acqua calda, i cuscini sul tappeto, la pentola col brodo rimasto ad ammuffire sul fornello. Uno strano senso di smarrimento, di quanto siamo di passaggio, di come le cose possono cambiare cosi’ tanto e cosi’ rapidamente.
E questo forse e’ stato il senso di tutto quello che ho passato in questi ultimi 15 giorni.
Certo, c’e’ stato il dolore, tanto, tantissimo, forte, fortissimo, indescrivibile, prolungato, estenuante, infinito.
Certo, ho conosciuto l’ospedale, che devo dire non avevo mai vissuto e che tutt’a un tratto e’ diventato casa mia per due settimane.
Certo, c’erano le infermiere, le OSS, i medici, il personale delle pulizie, che ho imparato a conoscere e a riconoscere, ognuno con il proprio carattere, il proprio modo di fare, il proprio approccio nei confronti dei pazienti; ho imparato la cadenza dei turni, i ritmi, i riti, i do e i don’t, le piccole accortezze che si possono adottare per alleggerire, anche in minima parte, il loro lavoro. Con molte infermiere e OSS alla fine ci davamo del tu e scherzosamente mi dicevano “ma che sei ancora qui?” mentre mi mettevano l’ennesima flebo, perche’ quello era un reparto di chirurgia d’urgenza e non erano tanti i pazienti che stazionavano cosi’ a lungo. Nelle sere in cui sono stata male male, quando il giro letti finiva e spengevano le luci e i corridoi erano illuminati solo dalle deboli luci notturne, il chiacchiericio delle infermiere nella loro stanza era rassicurante. A volte mi arrivava il profumo del caffe’, e io, un po’ frastornata dal dolore e dalle medicine, chiudevo gli occhi e tornavo bambina, quando andavo a dormire tranquilla la sera sentendo i miei genitori in cucina chiacchierare con la televisione accesa,e mi sentivo al sicuro pensando che, se mi fosse successo qualcosa, c’era qualcuno che avrebbe potuto preoccuparsi per me.
E poi c’erano i pazienti. Ho fatto amicizia con molti, di qualcuno so un pezzetto di storia, con qualcuno ho condiviso paure e fazzoletti, a qualcuno ho tenuto la mano e ho regalato qualche sorriso e a mia volta ne ho ricevuti. Tutti arrivavano, stavano tre, massimo quattro giorni, e poi se ne andavano, e io rimanevo li’ in pigiama, a invidiarli nei loro abiti civili e a domandarmi quando me ne sarei andata, e chi avrei avuto come compagna di stanza per i prossimi tre o quattro giorni.
La piu’ simpatica di tutte e’ stata la Valeria, una donna di 85 anni con un cervello che ne aveva comodamente 20 di meno. La Valeria ha avuto una vita complicata fatta di tanto ospedale per il marito, poi deceduto, per una figlia, poi deceduta anche lei, e poi per se’ stessa, e tutta quella esperienza di ospedale si era trasformata in un pragmatismo e in un’organizzazione che un po’, ve lo devo dire, le ho anche invidiato. La Vale aveva tutto: dalla radiolina a batteria alla mini torcia (”eh perche’ di notte, se mi sveglio e mi serve qualcosa, qua non si vede mica niente eh se non hai la torcia!”), dalla fascia per i capelli allo specchietto da borsetta (“penseranno che sono vanitosa ma se mi devo sistemare l’ossigeno nel naso senza specchio non sono mica capace!”), fino a una valigia piena di camicie da notte di tutte le consistenze (”perche’ dicono che all’ospedale fa sempre caldo ma non e’ mica vero, a volte fa freddo!”). A chiunque le si approcciasse, a qualsiasi titolo, che fossero medici o personale delle pulizie, o OSS o infermieri, lei raccontava la sua storia, sempre nello stesso modo; dopo due giorni la sapevo a memoria anche io, eppure la capivo, quella sua necessita’ di raccontarla sempre, era un modo per esorcizzarla almeno un po’. La Valeria era diventata un po’ come una nonna, per me: quando portavano i pasti lei puntualmente borbottava che quello che portavano non era mai quello che lei pensava che sarebbe stato giusto mangiare; allora mi alzavo, trascinavo i miei tubi e le mie flebo fino al suo letto e le preparavo i piatti, le sistemavo il tavolo a un’altezza giusta, l’aiutavo quel tanto che bastava perche’ lei smettesse di borbottare e suo malgrado cominciasse a mangiare, rigorosamente da se’, perche’ l’aiuto non doveva essere mai troppo, quasi a sottolineare che non ce la facesse. Allora mi guardava con quel suo sguardo un po’ annacquato e si acquietava, e mi mettevo a mangiare anche io (che poi mangiare e’ un parolone, ho campato di brodino vegetale filtrato per 10 giorni). Quando alla fine anche lei e’ tornata a casa, stesa sulla lettiga del trasporto perche’ troppo debole anche per la sedia a rotelle, tutta incartata in quei teli oro/argento, le ho detto “Ciao Valeria, guarda come t’hanno sistemata, tu mi sembri un uovo di Pasqua!” e s’e’ riso tutte e due, perche’ alla fine impari anche a ridere di queste cose, per provare a superarle senza farti schiacciare dal peso del non riuscire ad essere indipendente.
Non riuscire ad essere indipendente. Questa e’ la cosa che mi ha fatto in assoluto piu’ paura di tutto il resto. Piu’ del dolore, piu’ degli interventi, piu’ dell’ospedale, ho avuto paura quando ho realizzato che, se pur per qualche giorno, anche solo prendere una bottiglia d’acqua dal comodino era complicato, e poteva darsi che avessi bisogno di aiuto.
Quando sei solo, e puoi contare solo sulle tue forze, che hai imparato a conoscere, a misurare, a dosare, a spendere come vuoi per andare, tornare, fare, disfare, senza mai dover chiedere, senza mai nemmeno pensare che un giorno potrebbe darsi che non ce la farai ad andare, tornare, fare e disfare, ecco, trovarmi tutt’a un tratto a fare i conti che non ce la stavo facendo, per me e’ stato un colpo. Mi ha costretta a rimettere tutto in discussione, a fare i conti con il tempo che passa, con il fatto che arrivera’ un momento in cui, inevitabilmente, nel quotidiano, nello spicciolo, potro’ non farcela, e non avro’ nessuno al mio fianco al quale appoggiarmi, non solo nel pratico ma soprattutto a livello psicologico.
Quanta forza serve, quando si e’ soli, per non sentirsi soli?
E non parlo di famiglia, amici, o qualunque altro tipo di supporto ognuno di noi possa avere intorno a se’. Parlo del fatto che arriva sempre, prima o poi, il momento in cui ti chiudi la porta di casa alle spalle, ti volti, e sei solo. Ho dovuto fare un grosso sforzo per prendere coscienza di questa cosa, che a livello inconscio ho sempre saputo ma che non avevo mai affrontato cosi’ da vicino. Del resto quando si sta bene ci si sente un po’ invincibili e tutto sembra sempre molto di la’ da venire, e le rare volte in cui questo pensiero si e’ affacciato alla mia mente ho sempre liquidato il discorso con un “ci pensero’ quando sara’ il momento”, che poi e’ da sempre il mio approccio per tutto, cerco sempre di non infilarmi in inutili arzigogoli mentali su questioni che sono solo eventualita’ non ancora reali.
Solo che quel momento, anche se per pochi, brevi giorni, e’ arrivato, e mi ha devastata piu’ di quanto vorrei ammettere. Mi sono scoperta fragile, insicura, incerta sul futuro, tremendamente sola. Ho dovuto fare un grosso, grossissimo sforzo per elaborare, razionalizzare, masticare e digerire questa sensazione. E anche ora, che tutto sommato sto bene, che il peggio e’ passato e quasi dimenticato e sono gia’ proiettata in avanti verso quello che potenzialmente potro’ fare nei prossimi giorni o nei prossimi mesi, mentre piano piano riprendo confidenza e familiarita’ con la mia casa, pure mi resta una punta di amaro in fondo in fondo, come una cicatrice, a ricordarmi che arrivera’ prima o poi il momento in cui questa sensazione tanto sgradevole si riproporra’, probabilmente non per qualche giorno ma come nuova condizione di una vita che dovro’ aver imparato ad accettare e a vivere come nuova realta’.
Mi guardo di nuovo intorno: la coperta sul divano, la borsa dell’acqua calda, i cuscini sul tappeto, la pentola col brodo rimasto ad ammuffire sul fornello. Scuoto la testa mentre prendo la pentola e lentamente rovescio il brodo ammuffito nel lavandino, e nello stesso modo lascio che questi pensieri lo seguano nel mulinello di liquami che lentamente viene inghiottito dallo scarico. Ci saranno altri momenti in cui dovro' riaffrontare questo discorso. Ora basta.
Back to home. Ricominciamo da qui.
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L'amore toglie il fiato, toglie parole.
L'amore non è mai doversi vergognare, è mostrarsi come si è. E’ ridere insieme dei fallimenti o di una pasta poco cotta. Non è mai vergognarsi per una parola spinta, per una fantasia nascosta. L'amore non è mai doversi vergognare, è sapere che non sono perfetta ma esserlo ai tuoi occhi. A volte ho paura di non essere capace di viverti, di non cogliere quei dettagli senza i quali non saresti tu, quei dettagli come strofinarti gli occhi quando hai sonno, come un bambino. Dettagli che se fossi stata meno attenta forse avrei perso e ricordato poi quando tra le mie braccia non ci saresti stato più. Ma tu resta. Resta anche quando non me lo merito.Tu non lasciarmi andare. Rincorrimi quando scappo, stringimi quando mentre dormo ho gli incubi.Tienimi. Conoscimi. Sai che quando sono nervosa mi mordo il labbro inferiore, e piango e che quando litighiamo mi sento morire. Sei l'amore che mi riempie il cuore. Sei l'amore che resta invece di scappare. Sei bellissimo quando mi chiedi di darti un bacio, bellissimo quando mi dici che sono speciale. Sei bellissimo perchè esisti.
Tu resta, resta sempre, che io non vado da nessuna parte senza te. Che io non sono nessuno senza te, che se non mi tocchi, non mi respiri, non mi ami sono invisibile persino a me. Sei bellissimo perchè ti sceglierei sempre. Non ho bisogno di pensarci sù per sapere che sceglierei sempre e solo te. Tu non lo sai, ma io ti scelgo anche mentre dormi e sei indifeso contro il mondo ma protetto da me. Io ti ho amato già altre mille volte almeno, io ti ho riconosciuto subito, io mi innamorerò di te ogni volta che respiri, che mi scegli.Ma tu, ti prego, il brutto scherzo di andar via non farmelo. Ho imparato a camminare da sola ma non ho imparato a camminare senza di te. Lasciami il tempo di esplorarti, conoscerti dentro, viziarti, coccolarti, amarti, respirarti, assemblarti e modellarti sotto le mie mani, datti lo stesso tempo. Datti il tempo di farmi diventare indispensabile. Non per solitudine, non per avere qualcuno da chiamare, non per avere un corpo caldo invece del posto freddo nel vuoto del letto. Non per finzione ma per avermi. Non per confusione ma per certezza. L'amore quando c'è è una certezza, non puoi rispondere diversamente dal “non ho bisogno di capirlo, io lo sò che ti amo”. Prendimi le mani e andiamo, chiudi i pugni introno alle mie dita e andiamocene via. Dove vuoi oppure qui. Io e te esistiamo ovunque.
Io esisto nello spazio di passo dove posso ancora sentire il tuo profumo.
Io esisto nello spazio di battito dove posso ancora sentire il tuo cuore pulsare.
Io esisto ovunque fino a te. Ferirsi è inevitabile anche per chi si ama tantissimo, anche per chi fa l’amore solo guardandosi negli occhi. È inevitabile, capita di litigare violentemente, di aver voglia di lanciarsi uno schiaffo, una parola di troppo. Ferirsi non è una conseguenza al non amore, anzi, molto spesso chi si ama si ferisce spesso e con violenza. Basta pensare a tutti quegli amori che non hanno il coraggio di ammettere di essere tali. Basta pensare a tutte le volte in cui invece di rispondere con una carezza ad un complimento si risponda con una parola cattiva perché è difficile credere ai complimenti. È difficile credere che qualcuno ti possa guardare con occhi così innamorati e dirti che sei la donna più bella che abbia mai visto. Quando passi una vita a credere di essere invisibile è difficile convincersi che lui possa vederti davvero e amarti per quella che sei. È inevitabile ferirsi quando sembra di parlare due lingue opposte. Quando io ti aspetto e tu non arrivi. Quando dimentichi di dirmi che sono bella. Quando ti volti dall’altra parte e non ritorni a stringermi. Quando ti arrabbi e mi dici che sono una bambina. Siamo persone, siamo due vite che vivono una storia sola, siamo deboli in fatto d’amore. Ci offendiamo quando non sappiamo cosa dire. Ci urliamo “è colpa tua” ed aspettiamo che sia l’altro a correre da noi. Io ti ho amato anche in quei momenti, anche quando avrei voluto mandarti via, anche quando urlavo di lasciarmi sola io ti ho amato.
Amarti è un’altra cosa inevitabile. Una cosa che non posso smettere di fare.
E ti amo perché quando vai via mi si chiude il cuore e sento l’abbandono gelarmi il cuore. Perché mi guardi dormire, perché mi premi le labbra forte sulle mie per svegliarmi. Perché se ti dico di non farmi il solletico tu me lo fai più forte per farmi ridere di più. Ci vuole coraggio per restare, un coraggio che si trova quando si capisce che si ha molto da perdere, forse tutto da perdere.
Il primo amore faceva male, ma a ripensarci adesso era bellissimo. Soffrire per amore,per la prima volta. Tutti dicono che il primo amore non si scorda mai, ma della prima volta in cui si perde un amore non si parla mai. Si parla tanto dei primi baci, ma si parla troppo poco di quel dolore assoluto che non lascia spazio ad altro. All'inizio andavo a letto e pensavo a lui. Mi svegliavo e pensavo a lui. Scrivevo il suo nome ovunque. Scrivevo che lo amavo ovunque. Mi accendevo solo se si trattava d'amore. Solo per quello. Non avevo mai provato niente del genere prima e a scuola non t'insegnano che di sopravvive.Ti tocca capirlo da sola. Ti tocca andare avanti terrorizzata da un'idea che si fa sempre più ingombrante: ‘probabilmente, senza di lui, morirò’. Invece non si muore, anche se fa piuttosto male. Ed è assurdo da dire adesso, forse, ma era meraviglioso. Tutto quel dolore, tutta quella dolce fiducia riposta in un unico essere umano. Tradita, certo, ma incondizionata. Tutte quelle lacrime, tutte quelle speranze. Infrante, certo, ma belle vive. Non si muore, dicevo, ma qualcosa cambia irrimediabilmente. Cambia il nostro modo d'amare. Come la prima volta non si ama più: è vero, ma non è proprio un discorso troppo romantico. Dopo la prima volta non si ha più paura che possa finire, perché siamo quasi sicuri che lo farà. Lo mettiamo in conto fin dall'inizio. E tutto ci sembra un pochino meno importante. Una telefonata non ricevuta, ma che vuoi che sia? E un bacio in meno, che importa? S'impara a soffrire con dignità. Con moderazione. A me piaceva tanto segnare sul diario con un cuoricino blu ogni bacio che mi dava. Dare un peso spropositato a qualcosa di estremamente leggero. Mi piaceva credere che fosse per sempre, devo essere onesta. Mi piaceva pensare in grande. Illudermi, anche. Adesso, invece, non c'è più spazio per un sentimento così ingombrante. Non c'è più tempo. Non ha poi tanta importanza, l'amore, da un certo punto in poi. Anche per una come me, che l'amore lo vede ovunque. Anche per me, lo devo ammettere, è difficile ricordare che in realtà è tutto quello che conta. Che lasciarsi morire un po’ per via di un addio non è poi così ridicolo. Che le canzoni d'amore non sono ridicole. Che si può costruire il castello più bello del mondo, alto e lucente, ma se mancano le fondamenta con il primo soffio di vento crolla tutto. Se mancano i baci. Era bellissima quella dolce ossessione. Contare i minuti. Si continua a fare tutto anche dopo, ma non è la stessa cosa. Si contano i minuti e ci si lascia distrarre dal lavoro, da altri pensieri. Era bello, così bello, quando l'amore era l'unico pensiero. Luminoso o devastante che fosse, era bello. Riuscire a parlare di una carezza per giornate intere. Saper scendere dal nostro personalissimo piedistallo per cederlo a qualcun altro. Dimenticarsi di esistere finché non arrivava al bar e non ci offriva un gelato. Essere felici per un gelato. Essere immensamente tristi per dieci minuti in meno da passare insieme. Pensare di essere gli unici, insostituibili. Non credere alle nostre orecchie sentendo pronunciare le parole 'non ti amo più’, perché l'amore non finisce. Così si pensava. Ed era grande. Era super. Era un errore, ma era incantevole.
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Ho un viavai
Di idee in testa
Se vuoi puoi essere
La sola che resta
#scrivilosuimuri#poeta della serra#frasi#poetadellaserra#scritte#frasi italiane#aforismi#poesiadistrada#pensieri#frasi belle
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Non hai capito il nocciolo della questione. Certo che può allearsi, ma quello di fedez è lo stesso comportamento dei cosiddetti White Saviours, che con la scusa di appoggiare il movimento Black Lives Matter finiscono per scavalcare le stesse persone nere e a far sì che siano i bianchi, ancora una volta, sempre un passo avanti a loro, a far parlare di sé. 'Alleato' vuol dire un passo indietro, o al massimo, 'accanto' alle persone direttamente coinvolte. Non vuol dire diventare idolo delle folle.
Ovvio che abbia il diritto di dire quello che vuole, nei giusti contesti, ma dall'esprimere le sue - giustissime - opinioni, a diventare improvvisamente martire e paladino di una causa che non lo tocca neanche direttamente, non è rispettoso nei confronti di chi queste battaglie le porta avanti da anni, e che ha subito davvero censura, e ha rischiato, e ha sofferto. Lui non è nessuna di queste cose. E non mi sento affatto rappresentata da lui, io come tantissimi altri, capisci che voglio dire?
Maturazione, dici? Tutte frasi fatte, le sue, dette palesemente per convenienza, o per moda. Sai chi sono le persone veramente coraggiose? Quelle che oggi come in tempi non sospetti prima di potersi baciare o stringere la mano con il proprio partner dello stesso sesso devono guardarsi intorno dieci volte, perché corrono il rischio reale di essere aggrediti. Non uno che si sente un illuminato per il semplice fatto d'aver ribadito delle assolute ovvietà (tipo far giocare un bimbo con una bambola).
E che concezione hai tu dei leoni da tastiera? Credevo che fossero quelli che insultassero chiunque a vanvera indistintamente, non chi osa sbattere in faccia l'altro lato dei fatti, che la massa non riesce a distinguere perché ha i prosciutti sugli occhi. Risultato? ecco, proprio quello a cui ambiva fedez: lui al centro dell'attenzione, martire poverello, e io - persona gay, invisibile - liquidata così e definita una semplice leone da tastiera. Bravissimi tutti, complimenti!
Quando dici 'volete rompere i coglioni e basta', sappi che stai offendendo i tuoi compagni della community LGBT, di cui tu stessa hai ammesso di far parte. Sarà che sei una newcomer ma, boh, dalle mie parti le persone LGBT si sostengono a vicenda, non vengono definiti rompicoglioni, sai? Cosa credi, che io sia veramente l'unica scema a vedere il marcio nel caso Fedez, o forse che c'è un motivo più che valido se siamo in tantissimi (e per fortuna direi)? 😂
Ma poi vorrei capire: la mia faccia non la vedrai mica mai, quindi se negli ask che ti arrivano c'è scritto che il mittente è Anonimo anziché pincopallino93, ti cambia veramente qualcosa? O ne fai una mezza scusa per rendere meno valide le mie ragioni? Il tuo blog è impostato per ricevere domande in anonimo, quindi perché non dovrei usufruirne? Ti sto parlando sì animatamente, ma pur sempre civilmente, a differenza dei leoni da tastiera senza cervello a cui ti riferisci.
Concludo ponendomi una legittima domanda che rivolgo anche a te se vorrai darci la tua opinione: quindi la morale della favola è che, siccome io sono e sarò per sempre povera e invisibile, in futuro dovrò persino ringraziare Fedez per essersi esposto per far approvare il DDL Zan? ... Oddio che cieca sono stata, ma grazie fedez, paladino della giustizia sociale, che hai dato voce a me a cui non verrà mai dato diritto di parlare perché non sono una influencer. Ti sono debitore a vita 😂😂😂
----------------------------------------------------------Hai scritto un sacco di cose quindi andrò per punti per evitare di dimenticare qualcosa.
1) Nessuno dice che bisogna fare diventare Fedez l'idolo delle folle. Idolatrare una persona è sbagliato in qualsiasi caso, per quanto mi riguarda. Ma questo non è un problema di Fedez, è un problema di chi lo pone su un piedistallo. A me non risulta di averlo farlo.
Ho semplicemente detto di essere d'accordo con lui e di aver apprezzato molto il suo intervento, cosa di cui secondo me l'Italia aveva bisogno perché lui, in quanto influencer, ha sicuramente più probabilità di farsi ascoltare. Questo non significa farlo diventare un idolo, ma anche se fosse sicuramente il problema non sarebbe di Fedez ma di chi lo idolatra, quindi esattamente perché te la prendi con lui quando invece dovresti prendertela con chi lo tratta come un dio sceso in terra?
Poi che non ti senti rappresentata da lui va benissimo, ma da qua a dire che non ha il diritto di dire certe cose (perché questo hai detto negli ask precedenti) c'è un po' di differenza.
2) Maturazione, sì. Non si tratta di frasi fatte. Poi se tu vuoi credere che siano cose dette per moda, problemi tuoi. Capisci che però c'è un problema di fondo nel tuo modo di ragionare?
Se tu pensi che Fedez - in questo caso - abbia detto determinate cose per moda e non perché le pensa davvero stai in un certo senso sminuendo dei diritti che in teoria per te dovrebbero essere importanti, se addirittura arrivi a pensare che la gente ne parli per moda e non perché ci crede sul serio.
E, tra le altre cose, perché mi fai la morale sull'essere coraggiosi? Non ho mai detto che Fedez è stato coraggioso a fare quell'intervento. Ho semplicemente detto che lui, a differenza di una persona comune, poteva permettersi di farlo perché prima di tutto sarebbe stato ascoltato molto di più e soprattutto perché se qualcuno lo trascina in tribunale può permettersi di pagare le spese legali. Non ho mai parlato di coraggio, ho parlato semplicemente del potersi permettere di fare un discorso del genere in diretta nazionale.
3) La mia concezione dei leoni da tastiera è più o meno quella che hai detto tu: persone che, attraverso uno schermo, insultano gli altri sentendosi grandi e potenti solo perché hanno uno schermo che li protegge. E tu esattamente cosa hai fatto prima? Hai definito Fedez rivoltante, Chiara Ferragni un'ochetta (se non erro)... Questo non è insultare? Senza motivo poi, perché bastava dire che non ti era piaciuto il suo intervento e spiegare perché senza cadere nella banalità di insultare le persone solo perché non ti piacciono.
E non giocarti la carta del vittimismo con la frase: "lui al centro dell'attenzione e io liquidata e definita leone da tastiera", perché obiettivamente è la verità. Ovvio che lui sta al centro dell'attenzione, stiamo parlando di un influencer! E tu non è che sei invisibile perché sei gay, ma lo sei perché sei una persona comune! E sì, ti ho definita leone da tastiera perché è ciò che penso delle persone che insultano senza motivo gli altri.
Anche perché hai ammesso che il problema non era tanto il discorso di Fedez quanto il fatto che fosse stato idolatrato dalla massa... E hai ragione su questo, ma allora prenditela con la massa!
4) Non ti azzardare a dire che non posso dire alla gente di non rompere i coglioni perché devo sostenere la comunità. Io le persone della comunità LGBT+ le sostengo, lo facevo anche prima di rendermi conto di farne parte, ma sostenere non significa lasciar passare tutto.
Se un determinato atteggiamento mi rompe le palle e mi fa perdere le staffe, a me non frega nulla che si tratti di una persona gay, bi, pan, etero, o qualsiasi altro orientamento, non frega nulla che faccia parte della comunità o meno. Sostenere le persone della comunità non vuole giustificare ogni cosa perché si tratta comunque di esseri umani e come tali sbagliano e come tali possono dire e fare cose con cui non mi trovo d'accordo, come quelle dette da te. E se non sono d'accordo lo dico, anche con modi bruschi perché è il mio carattere. Non è che solo perché siamo parte della stessa comunità allora devo stare zitta e farmi andare bene tutto perché devo sostenerti.
E il fatto che io sia una newcomer non cambia le cose. Però grazie per aver rimarcato il fatto che io in questa situazione ci sia dentro da meno tempo di te, da sola non ci sarei mai arrivata!
5) Premetto che il mio blog non è impostato per ricevere domande in anonimo. È impostato per ricevere domande, punto. Purtroppo se tolgo l'opzione impedisco l'arrivo di qualsiasi domanda, non solo le anonime.
Detto ciò, non sono le domande in anonimo in sé a turbarmi. Sono le domande in anonimo fatte in un certo modo. E ti spiego subito il perché.
Se una persona mi parla scattando come un cane a cui hanno pestato la coda, io scatto a mia volta. Sono fatta così, non dico di essere fatta bene, ma è il mio carattere. Il punto è che io, rispondendo con il mio nickname (e non solo, perché chi mi segue qui tende a seguirmi anche su altri social in cui ci metto la faccia quindi tutti sanno chi sono) mi espongo, mentre l'altra persona - in questo caso tu - resta nascosta dietro l'anonimo, che funge da scudo.
In pratica in una discussione, tu ne esci pulita perché ti sei nascosta dietro l'anonimo, mentre io sono quella brutta e cattiva che risponde male. Non che mi freghi qualcosa del passare per brutta e cattiva, ma non vedo perché sta figura me la devo fare solo io quando siamo in due.
6) Non ho mai detto che dovremo ringraziare Fedez nel caso in cui il ddl Zan venga approvato. Ho semplicemente detto che Fedez si esposto in merito a questa questione e che, per quel che ne so, è stato l'unico personaggio famoso a esporsi così tanto. O meglio, in tanti a modo loro si sono esposti, ma lui lo ha fatto più di altri per quello che ho potuto vedere.
Questo non significa doverlo ringraziare, significa semplicemente riconoscere che ha portato sotto i riflettori una questione che altrimenti forse in pochi conoscerebbero.
Molti ddl o proposte di legge arrivano agli occhi delle persone comuni tramite i social o tramite "propaganda" da parte di influencer o personaggi famosi. Può essere vista come una cosa giusta o sbagliata, non mi interessa e non sono qua per parlare di questo, ma è quello che succede. Ed è un dato di fatto che molte persone si siano informate sul ddl Zan perché Fedez ne ha parlato. E qua si torna al punto di partenza: Fedez ha una voce più "grossa" di quella che posso avere io o di quella che puoi avere tu, per il semplice fatto che è un personaggio pubblico seguito da tantissime persone.
Quindi nessuno dice che in futuro bisognerà ringraziarlo, ma riconosciamo che almeno in parte è stato lui a portare l'attenzione - soprattutto delle persone che non sono toccate direttamente dal ddl Zan - su questo argomento.
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Voglio essere me, ma è impossibile (Cucine, 10 ottobre, terzo anno)
M | «Ehi! Allora? Che ti ci vuole?» la Loghain si avvicina non vedendo la crup tornare, ma cogliendo solo un agitato scodinzolio di quella coppia di code «Ophelia, torna!» - «Ophelia!» - «Guarda che niente bacon!» quella è la parola magica, perché la crup desiste, dimentica persino della pallina, tornando indietro con una corsa esaltata, condita d’uggiolii felici. Peccato che ora la Grifondoro sia arrivata a metà corridoio, individuando quella felpa gialla nella penombra che non aveva notato all’inizio «Oh, scusa.» nemmeno sa chi sia, non notando il volto dello studente, però insomma, Ophelia sa essere molesta, ecco.
Mac | Chloe, da sotto il cappuccio, solleva appena lo sguardo e gli occhi chiari osservano Ophelia in silenzio mentre Ophelia osserva Chloe e poi, più nello specifico, Acrobata. Chloe solleva appena le braccia portando il topo fino sotto al capo in un gesto quasi istintivo [...] «Nulla.»

H | [...] Che poi cosa ci faccia in prossimità di un vicolo cieco sarebbe pure una buona domanda, se non fosse che chiaramente è in piedi, ma definirla sveglia è un parolone. « oh » - « hai visto tuo fratello? »
M | [...] «Vuoi..» osserva il topo enfatico e la posa completa d’atteggiamento disagiato dell’altra «Che ti lasci sola?» [...] Peccato che oda una voce alle sue spalle, che chiede d’un ipotetico fratello che di sicuro non è rivolta a lei «MacNamara!» sussurra in eureka [...] «Se cerchi l’altro MacNamara probabilmente starà dando fuoco alle serre. Ti consiglio d’affrettarti per non perderti lo spettacolo.»
Mac | «Non lo so.» [...] «Sebastian dorme, prima di pranzo.»
H | Lo sguardo resta puntato su Merrow « mi sembri molto tranquilla visto che Grifondoro sta per perdere cinquanta punti » e quel mezzo sorriso si trasforma ben presto in un ghigno beffardo. Ma la sua attenzione si sposta ben presto Chloe quando le dà l’informazione che cercava e che si limita a commentare con « peccato! »
[...]
Mac | «A Seb non piace che lo si chiami MacNamara.» non si volta nel dirlo ma lo pronuncia chiaramente e in un tono serio «Chiamalo Seb o Sebastian.» - «Per favore.»
[...]
M | «Potremmo andare in Sala Grande, sgraffignare qualcosa dalla tarda colazione e farci un tè a parte, in un posto magari tranquillo, come una delle aulette dismesse del primo piano.» la butta lì, principalmente a Chloe ma, udite udite, pare includere anche l’altra lingua tagliente «Così magari ci rilassiamo tutte e la finiamo di sparare commenti.»
H | « perché non vai a svegliare suo fratello? » M | «Non sono il tuo gufo.» Mac | «Meglio che non lo svegli che poi si arrabbia con te.» H | « Sebastian non si arrabbierebbe mai con me »
Mac | «Ma la colazione non la sparecchiano già alle 9 tipo?» chiede alla grifondoro «Però cioè se ce n’è va bene. Altrimenti io conos...»
M | Coglie perfettamente quella frase che muore tra le labbra della Tassorosso, ed un sorriso un poco più gentile le si dipinge sui tratti aguzzi, trasformandoli brevemente «Potremmo andare lì allora.» nel posto che conosci tu «Me ne parlava Eleanor, ma se conosci già dov’è, non devo infrangere nessuna promessa.» - «Fai strada?»
« ma quindi dov’è che stiamo andando? » «Alle Cucine di Hogwarts, Hazaar.»
[...]

Mac | «Prendete quello che vi pare.» dice alle altre due prima di allontanarsi per conto suo, verso il tavolo più lontano.
H | Solo dopo si accorgerebbe di Chloe ormai allontanatasi da loro due « non cucini con noi? » mica ci fidiamo di quello che hanno preparato gli elfi!
M | «Hazaar.» ora siamo conoscenti, no? «Se vuoi bene a Sebastian dai a sua sorella una tregua.» - «Non sta bene, è palese, ed ha bisogno di calma e di distrarsi, probabilmente.» - «Quindi splendore» le sorride in maniera affilata e sorniona «Fai un bel sorriso e diventa la versione migliore della fatina che sei, almeno per un’ora, ok?» o ti butto nel forno con le mie mani, sottotitolo appena percepibile.
[...]
M | «Ehi..» il tono di voce s’abbassa, così calmo e caldo da sembrare una coperta messa sulle spalle in una mattina di neve.
Mac | «Non devi rimanere.» dice ora mentre porta le braccia sulle proprie gambe e li le appoggia. «Puoi andare a bere il tè e mangiare, come dicevi.» una breve pausa prima di prendere Acrobata con una mano e portarlo in grembo «Ora hai quello che ti serve. Non devi rimanere qui.» - «Io - io però non vengo. »
M | «E` sabato, MacNamara.» mormora tranquilla «Non ho fretta.» - «Ma se preferisci stare da sola, posso accontentarti.»
Mac | «No.» borbotta sottovoce «Puoi restare.» - «A me piace, quando mi chiamano MacNamara.»
M | «Allora ti ci chiamerò tutte le volte.» - «E per quanto non sia una grande fan di ciò che comporta il mio cognome,
puoi chiamarmi Loghain.»
Mac | «Tu come preferisci che ti chiamino? Perché così ti chiamo.»
M | «Va bene Merrow, va bene Loghain, va bene Generale...Merr mi ci chiamano solo gli amici stretti, quindi per il momento eviterei.»
«Tu? C’è un modo in cui ti piace che gli altri ti chiamino?»
Mac | «Io, non lo so. Beh, il mio cognome mi piace... e il mio nome mi piaceva, un tempo. Ora no.» - «E credo di sapere perché non mi piace.» a voce più bassa «E’ un nome da femmina.»
M | «Ah» - «Cambialo, no? Fatti chiamare come ti piacerebbe che gli altri ti definissero.»
«Oppure non farlo. Rendi il tuo nome qualcosa che abbia un altro significato. Io mi chiamo Merrow, ti pare normale?»
«Eppure è il mio nome. Sono io e non sono io allo stesso tempo no?» agita la destra in aria «Mi ci chiamano tutti o quasi, eppure sono solo un’insieme di consonanti e vocali che creano il significato di questo» si indica con la stessa mano fluttuante, dalla testa ai piedi «Può non piacere a me, può non piacere agli altri, ma alla fine che importa? Sei tu, no?»
«Dimostra al mondo che sei tu. Non importa quali consonanti e vocali usino per definirti. Tu sei tu.»
e sono discorsi forse profondi, che lasciano trasparire un’amarezza nascosta e mascherata da maturità, che a quasi quindici anni, si permette per la prima volta di passare a qualcun altro «Quindi...chi vuoi essere?»
Mac | «Voglio essere me.» - «ma è impossibile»
si indica «tutti vedono quello che c’è fuori.» - «E io fuori non sono… non sono come sono /dentro/.» e una mano indica distrattamente la testa «Io, dentro, non sono una ragazza.» è il modo più diretto per spiegarlo. E aggiunge qualcosa a quella affermazione, che esprime ora ad alta voce per la prima volta «Io sono un ragazzo.»
«Non so perché, sono così. La mia testa dice una cosa e il mio corpo ne dice un altra e io, io impazzisco.»
M | «Hm» unico piccolo commento alla cosa. La osserva, come se la vedesse per la prima volta ed al contempo l’altra le cambiasse dinnanzi allo sguardo più veloce d’un Molliccio con più d’un singolo obiettivo «Io vedo una persona, davanti a me.» pronuncia con voce bassa e leggermente graffiante «Quindi direi che già è qualcosa, no?» almeno una in tutto il castello, non pare aver intenzione di definirla «Senti» - «Credo che tu stia impazzendo perché ancora non hai fatto una scelta a riguardo.» - «Si tratta di scelte. Tutta la vita si basa solo su queste: non dovrebbe essere importante come ti chiami, di chi sei figlio, se sei alto, basso, magro, grasso, stupido, intelligente, timido, l’anima della festa. Quello che secondo me è importante è che tu smetta di stare male con te.»
«Essere impossibilitati ad avere qualcosa che desideriamo da morire, ci rende vulnerabili, miseri e non noi stessi.»
«Prendi la tua decisione, MacNamara. Smettila di vederti con gli occhi degli altri.»
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28.11.76 Sala Comune Grifondoro -Hogwarts
«Senti un po`...» «Lo so che mi sono comportato da str*nzo» «... è tutto okay?»
«Mi dispiace, Tris.» «Non volevo offenderti» «Puoi perdonarmi?»
«Mi sei mancato.» schiettezza per schiettezza «Sto bene quando passiamo tempo assieme» spallucce, mentre l`unghia laccata di nero dell`indice destro va a grattare la copertina del libro con fare distratto e lo sguardo un po` basso «Se vuoi la verità, speravo che quel regalo ci aiutasse ad avere un po` più di privacy. Mi mette a disagio che gli altri sappiano con chi passo il tempo ed in che modo..» ecco qui, è riservata, chi l`avrebbe mai detto «Non stiamo assieme, ed in generale, finchè non avrò un ragazzo, non mi piace che gli "altri" sappiano...» inspira e scuote il capo «Non è che mi vergogno di te» sia chiaro «piuttosto di me.»
Dopodiché la mano sale a sistemarsi i capelli dietro un orecchio sfumacchiante, accogliendo grato ma un po` a disagio, quasi timidamente, le prime parole della ragazza «Pure io, Merrow» sta bene con lei. Gli preme sottolinearlo, serio in volto, prima di umettarsi le labbra come se fosse in procinto di aggiungere altro. Ma non lo fa, colto di sorpresa dalle successive dichiarazioni della Grifondoro che ascolta sino alla fine, oscillando di continuo tra sollievo e dubbio «Mpf. Ma guarda te...» borbotta ironicamente tra sé e sé, come se d`improvviso gli fosse tutto più chiaro. Si risistema a sedere sul tappeto più comodamente, ravviandosi i capelli in un gesto rilassato «Sì, boh, in verità pensavo ti vergognassi di me, eh» schietto e diretto ma senza l`ombra di dispiacere, almeno in apparenza, al di là d`una risata che sa di serafica rassegnazione «Ma allora non capisco cosa c`è di cui vergognarsi»
«Ma no, Merlino cane, no!» «E` che... io...» e come glielo spiega? (...) Scuote il capo, scende dal divano e si mette in ginocchio dinnanzi a lui, con fare circospetto e sguardo un po` basso e vagamente laterale «Io ho ...» comincia esitando «ho paura che ti allontani, Tris» il labbro si mordicchia per la fatica, mentre gli occhi s`alternano dalle proprie mani alla punta dei piedi di lui, senza andare oltre «Se la gente sa che passi del tempo con me in quel modo, cercherà di dirti le peggiori cose sul mio conto.» smorfia delle labbra «Ed io lo so che tu non ascolteresti queste cose eh» ne è sicura, mette le mani avanti però «eppure mi... io non..» sbuffa dal naso, con un battito cardiaco che non le concilia una serenità di pensiero «Non sono benvoluta come te. O in generale.» lo sa, ne è consapevole «Non volevo che qualcuno ti dicesse che non valgo la pena del tuo tempo.» come si sente stupida ora, raramente in vita sua. Le labbra si stringono, portate verso l`interno della bocca come a bloccarsi, ma poi semplicemente continua «E non volevo fare la pesante con te, perchè l`ho capito che preferisci cose leggere, senza impegno.» si stringe nelle spalle, sempre senza essere in grado di guardarlo in volto se non per brevissimi istanti, e mai a ricercarne lo sguardo «E quindi ora che ti voglio ..» ma si blocca, perchè era una volta sola, no? Si passa nervosamente la destra a spostare la direzione della riga dei capelli, mentre lo stomaco le si stringe e lei fissa il tappeto sotto di loro «Non volevo che cambiassero le cose. E se proprio devono, non in peggio.»
Nonostante gli sforzi che sta compiendo per evitare di rendere il proprio scetticismo troppo palese, infatti, il suo viso accigliato è abbastanza rivelatorio. Esala un sospiro, e scuote il capo per farle capire di non essere d`accordo con ciò che ha detto «Allora. A parte che, secondo me, fare `ste cose di nascosto lo fa sembrare ancora più losco» solleva i palmi in un gesto di resa «Poi boh, eh!» magari non è davvero così, quello è soltanto il suo punto di vista da svergognato «E quindi vuoi dirmi che a te andava bene com`era prima?» le domanda, l`intonazione retorica «A me... no. Cioè» si affretta ad aggiungere «A me piace che stiamo insieme, e anche che ci baciamo e tutte le altre cose» lo pensa davvero, solo che poi gli tocca stringersi nelle spalle «Ma, boh, non voglio che ci chiudiamo» aggrotta la fronte, non molto sicuro di essere riuscito a spiegarsi «E questa forse è l`unica cosa che mi manda ai matti. Lo vedo, che te e altri della squadra non andate d`accordo» gli sfugge un verso sprezzante dalle narici, cominciando a riversarle addosso qualcosa che per la verità non riguarda soltanto lei «... e `sta cosa sta iniziando a starmi sul c*zzo»
«Non mi credi...?» perchè ora il dubbio viene a lei, ma non continua, forse presa in contropiede dal dire successivo di Tristan che la getta nella confusione più totale. Apre e chiude la bocca un paio di volte, stile pesce rosso contro il vetro della boccia, lasciandolo però finire quel discorso che davvero la stupisce, forse perchè mai aveva considerato come lui potesse vederla. Sospira, ora con le mani che cercano le sue ginocchia per poterglisi posare a contatto, leggera ma in un moto un pochino necessario «Ok, aspetta. Non me ne hai mai parlato.» eh, lei non è che può immaginarsi le cose «Non capisco cosa intendi per chiuderci. Mi pare d`averti lasciato il più libero possibile...» è confusa, sbatte un paio di volte le palpebre «Non ..» vabbè, non è nemmeno mai stata gelosa, non apertamente almeno «Non capisco cosa vorresti allora. Come vorresti che ci comportassimo?» perchè non è chiaro evidentemente «Io non posso costringere nessuno a farmi piacere. Non obbligo nessuno a starmi accanto» proprio no «e capisco se non vogliono farlo.» scuote il capo, sbuffando nervosa dal naso «Però con te, con Cadel quando c`era in squadra, poi con le novellini.. cioè va un po` meglio.» rispetto a come andava prima «Io non cerco lo scontro, Tris. E` solo... reagire» scrolla le spalle, in un pallido tentativo di spiegarsi, d`aprirsi a qualcuno, a lui, prima di pigolare un infantile «Anche a me piace se stiamo assieme e... tutte le altre cose» e gli tirerebbe appena il tessuto del pantalone ad altezza del ginocchio, in un richiamarlo piuttosto dolcino ed infantile, lo sguardo basso.
Segue lo spostamento delle sue mani sulle proprie ginocchia, che non scosta, ma a parte questo non asseconda il contatto fisico come magari avrebbe fatto in un altro contesto. Lo vive come una forzatura, al punto da risultare probabilmente un po` rigido nella postura o al tatto, ma si impone di non cedere. Restando sulle sue posizioni «Chiudere nel senso... mmh...» passa la mano tra i capelli, ravviandoli in un movimento che trasuda incertezza. Ci impiega qualche istante a trovare le parole giuste, dopo aver errato per un po` con lo sguardo su Ophelia che gioca lontano «E` che a volte mi sembra tipo di dover scegliere. Se stare con te, oppure se stare insieme agli altri» conclude, ricercando di nuovo gli occhi della ragazza per sincerarsi della sua reazione «Ma lo so, comunque, mica te ne faccio una colpa. Non del tutto, almeno» soggiunge rapidamente, stringendosi di nuovo nelle spalle in un moto di rassegnazione «Pure io c`ho avuto qualche screzio con Sinclair, eh. Ma vabè, roba passata» che liquida di nuovo sventolando una mano nell`aria «Mentre voi... non mi pare che facciate uno sforzo, per andare d`accordo» e magari sbaglia, magari è lui ad avere un esagerato concetto di Casa, sta di fatto che non riesce a evitarsi una smorfia. Si libera il petto di un basso sospiro, poi resta in silenzio per qualche istante «Niente più assalti dopo le lezioni, magari» le consiglia in tono casuale, scostando il ginocchio che lei gli sta tirando «Poi è chiaro è ti sgamano» sbuffa una mezza risata, levando una mano per cercare di pizzicarle una caviglia «E poi devo tipo studiare»
Lo sente irrigidirsi nella posa a quel contatto, e spiazzata torna a guardarlo, ritirando le mani, ascoltandolo e via via incupendosi mano a mano che il discorso prosegue. Tace per tutto il tempo, in un silenzio che si fa più chiuso e scuro, più intimo e confuso, almeno finchè lui non conclude con quella botta finale che è una mazzata che davvero, davvero, davvero non si aspettava. Gli occhi cercano i suoi un breve momento, in un panico che non riesce a sopire prima che gli rivolga l`attenzione «Quindi...» la voce roca, di chi ha un groppo in gola e se la deve schiarire, per poter tornare ad un timbro normale «Non capisco.» ci rinuncia, scuote il capo, il respiro un poco affannato e l`espressione che da neutra passa a vagamente smarrita «Tu pensi che io non faccia sforzi per andare d`accordo.» scuote il capo, le spalle che si fanno vagamente spioventi «Ho parlato con Sebbie dopo la litigata negli spogliatoi con Ciaran, cercando di fargli capire che non ci si comporta così in una squadra ed in una famiglia, e lui è andato a chiarire poco dopo.» true story «L`anno scorso ho solo cercato d`aiutare Alyce, e sai bene com`è finita. Ora, io non sarò la persona più facile con cui andare d`accordo, ma credimi che sono state molte possibilità da parte mia. Ho difeso Aurora non perchè fosse la fidanzata di Ciaran, ma perchè si è sempre comportata bene con me. Ho cercato di sedare le discussioni quando e se ce ne sono state. Non sono una che fa le cose alla luce del sole, Tristan, ma non per questo non è vero che io non contribuisca. Aiuto i più piccoli come posso, te con quel "progetto"» e sanno di cosa parlano «Sebbie con la voglia di spaccare le cose, Emma che voi isolate.» si voi, ora lo dice, in un tono che trasuda dolore «Non ho mai giudicato nessuno, o meglio, cerco di non farlo mai.» scuote il capo
«Perchè non ti basto così? Non... ti vado bene se non sono amica di tutti?» non capisce, portando le mani a contatto con le proprie cosce, in un paio di pugni morbidi «Devi studiare» ripete, beccandosi quel pizzicottino a cui un poco si irrigidisce, palesemente sfinita «Cioè la finiamo qui?»
Sussulta sul posto, inorridito e ancora più a disagio quando si rende conto dell`effetto che le sue parole hanno avuto sulla Grifondoro. Ma resta ancora zitto, in qualche modo costretto da quel lungo discorso che viene portato alla sua attenzione, e che lì per lì non sa bene come prendere. In parte con disagio, e un`espressione di colpevolezza che di tanto in tanto affiora dai suoi occhi, ma anche con il dubbio di non star ascoltando proprio tutta la verità. O almeno, soltanto una parte di essa. I suoi buoni propositi di attendere pazientemente sino alla fine vengono però meno, al suono del nome di Emma «Ma è lei, che si isola» gli scappa con veemenza «E comunque, da quando mi hai chiesto di non disturbarla, non le sto più rompendo le palle» la avverte, lanciandole un`occhiata che vorrebbe essere eloquente. Tutta la sua sicurezza subisce tuttavia un`improvvisa battuta d`arresto mentre lei gli pone la fatidica domanda: non ti basto così? «Non...» esordisce, salvo poi richiudere la bocca a doppia mandata, rifiutandosi di dare voce alla confusione che alberga nella sua testa. Diversamente, rischierebbe di fare ancora più danni, dal momento che per ora dà ancora molto valore a ciò che pensano i suoi amici. Forse troppo «No» risponde, il tono quasi interrogativo di chi non ha ben chiaro come si sia finito a darsi un ultimatum «Ma poi mica c`è qualcosa da chiudere...» borbotta piano tra sé e sé, prima di avere un improvviso moto risolutivo
«Senti, lasciamo perdere, vedo che sto peggiorando le cose e non voglio che litighi pure con me» tendendo bene l`orecchio è possibile cogliere una nota di supplica, oltre al fastidio adolescenziale che ha preso a colmarlo «Almeno possiamo essere amici?» le chiede, alzando lo sguardo alla ricerca del suo.
Non c`è niente da fare, perchè è evidente che lui non sia minimamente pronto ad un discorso cominciato da lui stesso, e lei davvero ha cercato al massimo di tenere tutto in stretti bordi sicuri, ma quel dire sullo scegliere, e sul non impegnarsi per andare d`accordo, l`hanno completamente sfondata. Lui risponde su Emma e lei abbassa lo sguardo, maledicendosi anche solo d`aver tirato fuori quella faccenda, dal momento in cui lei davvero non fa una colpa a nessuno. Respira un po` affannata, fissandosi con una rabbia silenziosa e crescente, le ginocchia, in uno stringere di pugni che subiscono scatti alterni ad un rilassarsi forzato. Non chiudere. Non ti chiudere. E boccheggia nascosta da quei capelli che scivolano in avanti, alla ricerca d`un sollievo fatto d`ossigeno che davvero non pare bastarle. A quel "no" alza appena lo sguardo, forse con una nota di speranza che lui taglia di netto con ciò che dice successivamente, e quella supplica di chiudere là la questione per non avere ulteriori disagi. Però quell`ultima richiesta, è letteralmente una cannonata in centro petto, nemmeno l`avesse appena colpita con un bolide ad altissima velocità: apre la bocca, lo sguardo che precipita e la posa che si richiude e stringe, più che in maniera palese, in modo sottile e percepibile in maniera istintiva, non visiva «A-amici...?» le sembra di morire, lì, pietrificata su quel tappeto da cui non riesce minimamente a scollarsi, con il rossore che le ha raggiunto le guance e le labbra, in un luccichio d`iridi che tiene molto ben occultato «Certo.» lo dice, in un moto di auto-violenza che risulta involontariamente palese, da come ne risente il tono. Stava andando tutto bene, poi tutto male, poi peggio ancora. Ed in tutto ciò, non è nemmeno riuscita a capire cos`abbia fatto per meritarselo. E` con uno sforzo titanico che con calma, cerca di rimettersi in piedi, in uno scrocchiare di ginocchia che precede il suo rizzarsi in piedi. I palmi che sudano freddo a portarsi nervosamente ai lati delle cosce in un asciugarsi veloce che spera non venga notato «Tranquillo. Va tutto bene...» non sa nemmeno chi sta più rassicurando, mentre torna ad agguantare il libro e ad infilarsi gli anfibi con gesti da automa «Mi dispiace se..» se cosa? Scrolla le spalle, incapace d`aggiungere altro, alzando solo ora lo sguardo a lui, con un sorriso sghembo ma che viene cesellato in perfetta foggia, come se fosse uno dei suoi soliti «Ci si vede dopo, hm? » alla festa, se non vomita l`anima prima. Niente dramah, non protesta nemmeno un secondo, aggirando il divanetto per poter andare a recuperare Ophelia con atteggiamento apparentemente disinvolto.

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Entro in enormi stanze vuote, vedo il paziente in lontananza nel suo letto, attraverso metri cubi di niente, gonfiati di follia, dove infiniti mondi coesistono, e, dopo prolungato viaggio nel silenzio, giungo nell’isola della disperazione, mentre il padrone ha già svegliato i cani e sguainato il coltello. Quando arrivo sono stanco e indifeso. Non so più cosa dire, né cosa fare. Mi conviene indietreggiare verso terra sicura, abbandonando questa scialuppa nel mare infinito. _______________ Se non hai mai provato il dolore psichiatrico, non dire che non esiste. Ringrazia il Signore e taci. _______________ Filippo, non trovi le parole per spiegarmi cosa ti succede e mi guardi con rabbia, attesa e rincrescimento, io, non trovo le parole per spiegarmi cosa ti succede, e non trovo le parole per tranquillizzarti. Filippo, sinceramente, tu sei qui, io sono qui, stiamo andando benissimo. _______________ Psichiatria è urla e pianto muto. Una volta nei reparti i pazienti urlavano di continuo, per anni. Ora urlano il primo giorno, il secondo un poco, il terzo tacciono. I farmaci – siano benedetti – hanno calato il silenzio sul mondo. _______________ io guardo l’abisso con gli occhi degli altri. _______________ Per diventare psichiatri basta avere un genitore, un nonno, un po’ matto, anche un pochino, e volergli abbastanza bene. I matti sono nostri fratelli. La differenza tra noi e loro è un tiro di dadi riuscito bene - l'ultimo dopo un milione di uguali - _______________ Penso che vada bene per te, Gina. Tu taci. Più silenziosa della lampada che sfrigola e del termosifone che singhiozza. Mi chiedo se vieni qui da tre mesi solo per il sorriso che hai intravisto la prima volta, quando sei entrata come una lenta folata d’aria, e hai alzato lo sguardo su di me. Non vuoi nulla di più di quel sorriso, Gina? Lo farai bastare per sempre? D’altronde anch’io sono qui solo per il sorriso che ho intravisto, la prima volta, quando sei entrata come una lenta folata d’aria, e hai alzato lo sguardo su di me. Cosa ci siamo detti in quell’istante, cosa ci siamo promessi, che ora ci accontentiamo del silenzio? _______________ I primi anni pensavo che la Vespa si guidasse con le braccia, poi ho imparato, come tutti, che la Vespa si guida col culo. Semplicemente si spinge di lato la sella, in orizzontale, e la Vespa segue istantaneamente il movimento. I primi anni pensavo anche che la vita si guidasse con la testa. _______________ Il mugugno ha i suoi canoni, è musica popolare. È un blues laico, che parla della fatica dell’uomo ma non cerca nessuna salvezza. È un blues interessato, perché dice: le cose mi vanno male, non posso darti nulla. È un blues bugiardo: quando un genovese si lamenta di qualcosa vuol dire che ha già in tasca la risposta. Lamentarsi è un modo frugale di cantar vittoria. Se un genovese sta veramente male, non si lamenta, tace. Il lamento del depresso è una battuta unica, ripetuta, greve. Dice: tu non c’entri, ma in qualche modo è colpa tua. Il mugugno è liberatorio: siamo uniti contro qualcuno, siamo sulla stessa barca. La musicalità è diversa, si riconosce alla prima sillaba. _______________ Ti hanno vista in una chiesa deserta, la mattina presto, su una panca a guardare in giro. Allora ti chiedo, Lucrezia: tu credi in Dio? Mi guardi sgomenta. Ogni crocifisso per te sanguina davvero, se guardi san Sebastiano senti le frecce entrare nella carne, non puoi pregare perché lo sguardo di Dio è reale e ti atterrisce. Io vorrei dirti: Lucrezia, prima guarisci e poi credi. Ma a te, che non guarisci mai, non resta che tentare di credere, tra il bisogno e la paura. Facile credere per i sani, che non credono a nulla. _______________ Luciano, per essere più forte del dolore, più forte della paura, più forte del rancore, ti sei fatto vento. _______________ Ieri ho sentito un corrispondente di guerra dire che noi europei viviamo in una bomboniera inconsapevoli dei drammi del mondo. Io conosco persone che passano la notte sotto i bombardamenti in vico Untoria, persone che la mattina scendono in trincea in via Venti Settembre, persone chiuse in prigioni senza alcun diritto in salita del Carmine, persone smarrite nel deserto a duecento metri dalla stazione Principe. _______________ Grave è la terra e grave è il tuo corpo, Giuseppina. Non scendi mai dal letto. Dal matrimonio di Piero non apri l’armadio dove dormono nel buio le scarpe buone. Per farti infilare le ciabatte ci vuole mezz’ora, un’altra mezz’ora per farti alzare, poi trascini i piedi, passo passo, e ci metti mezz’ora a circumnavigare il letto. Stai attaccata a quel letto come un naufrago all’isola in mezzo al mare. Davanti al letto sta l’armadio grande. Nella stanza ci sei tu, il letto e l’armadio grande. Nell’armadio dorme l’abito da sposa di tua madre col cappello del rinfresco e il vestito verde, viaggio di nozze sul lago di Como. Nell’armadio dorme la divisa da ferroviere di tuo padre, capostazione a Levanto. Dormono le foto in bianco e nero dei nonni contadini appoggiati alla vigna e le facce da fame dei genitori ai tempi di guerra. Dormono le foto della tua cresima al Lagaccio, cocktail al Righi, un compagno di scuola fa le boccacce. Dorme il tuo diploma di Magistrali e la firma della tua prima supplenza: alla D’Annunzio, parlavi di Pascoli, ricordi? La classe rumoreggiava, volavano aeroplanini, meglio sfuocare. Dorme il bustino con le stecche che un ortopedico maligno voleva farti indossare. Dorme una finta lettera d’amore che ti sei scritta da sola, e quella vera che hai scritto a Piero e non hai mai imbucato. Dorme la bomboniera del matrimonio di Piero, che ha avuto tre figli dalla Giusi. Dalla tua pancia sono usciti dieci figli immaginari che il Serenase non riesce a far rientrare. Sei stanca di queste gravidanze, senza padri, festa e battesimi. Giuseppina, dormi di fronte alla tua vita chiusa nell’armadio. _______________ Essere trascinati fuori dall’isola, alla luce, dopo vent’anni, non è cosa da poco, è un’esperienza terrificante, come essere spellati vivi. Ma c’è qualcosa che alla fine è più forte del terrore: la curiosità. In Reparto 77, finalmente in mezzo ad altre persone, per quanto strane, i Robinson Crusoe, dopo pochi giorni – senza farsene accorgere – spiano, osservano, scrutano, ascoltano. Non lo ammetteranno mai, continueranno ad accusarci di avergli rovinato la vita ma, appena ci allontaniamo, si divertono. Poi un giorno li troviamo a chiacchierare tranquillamente con un altro paziente. Dopo vent’anni. Noi facciamo finta di nulla, e anche loro. _______________ I pavimenti di marmo, i mobili antichi, il pianoforte: la tua mente vacilla ma il mondo intorno a te non si sbriciola, misteriosamente permane a sguardo alto. Pudicizia, pulizia, contegno, rispettabilità. Il decoro borghese, insgretolabile, è la tua salvezza, Lia. _______________ La sala d’attesa è un mondo, ed è già clinica: c’è molto da imparare. Lì l’aggressivo è aggressivo, l’ansioso è ansioso, quella è la realtà: la visita è una rappresentazione. _______________ Odi le donne, forse da giovane qualcuna ti ha respinto, e ora che hai l’eroina migliore della città e loro fanno la fila per soddisfare le tue voglie puoi ben goderti la vendetta. Perché almeno non ti lavi un po’? Più fai schifo, più loro si umiliano e più tu godi. _______________ Ma questa è la cosa bella del nostro mestiere: si passa dalla tauromachia a distendere la mano perché una farfalla in volo vi si posi leggera. _______________ Sulla soglia i miei occhi, senza che io volessi, ti hanno chiesto: chi sei? I tuoi, senza che tu volessi, hanno indicato la pioggia ai vetri. Ci siamo poi presentati l’un l’altra con parole di circostanza. Non servivano. Eravamo già complici, io e la tua tristezza. _______________ Andrea, stai nudo e immobile, senza difesa, alla gogna del lavoro, alla gogna degli altri, per portare alla famiglia i soldi del mangiare. Dov’è finito il tuo amor proprio? e il pudore, la tenerezza e il pianto? Giace in laghi sotterranei, di cui nessuno conosce la strada, in cui talvolta tu, badando di esser solo, scendi piano la sera a bagnarti con movimenti lenti e silenziosi. Non cercherò di conoscere i tuoi sentieri segreti, non cercherò di vedere come rinasce il rapporto con te stesso, ma quanto vorrei conoscere la fonte del sacro da cui sgorga l’acqua che spandendosi fa sacro il bosco e la montagna e il cielo, e ciascuno di noi. _______________ Filippo, tu hai bisogno di confini più che di ossigeno, perché l’identità è un confine. E così io, che sono anarchico per natura, sono costretto a costruire pareti. Prima dentro di te, come stanze in una casa. Poi tra te e fuori di te. E che siano muri spessi, belli alti. La libertà di abbattere i muri, la cerchiamo dopo. _______________ Anna, a colazione apri il frigo e urli: non c’è il latte! Io poi vado in ospedale e non riesco a capire le persone che si vogliono ammazzare, tanto sono turbato dalla tua rabbia perché non sono passato dal lattaio. _______________ Chiara, tu ti senti sola. È agosto, la vallata è tutta in amore. Non serve a nulla chiudere gli occhi, turarti il naso, tapparti le orecchie. Abbagliante è l’estate. Non sai dove andare. La voglia di vita del mondo ti uccide. _______________ A ogni delusione della vita ti ritiri nel tuo giardino segreto, costruito in anni di pena e di attenzioni. Brutta è la vita, mille rose ha il tuo giardino: c’è un frutteto seminato l’anno che ti ha lasciata tuo marito, c’è un orto di aromatiche coltivato la primavera che hai perso il lavoro e c’è un limoneto piantato quando tua sorella è partita, fuori stagione, è venuto bene lo stesso. Del tuo giardino segreto non hai mai detto parola a nessuno. Neanche a me. Ma è lí che vai quando non mi ascolti. Sono sicuro: ne sento il profumo. Come mi piacerebbe entrare e vedere, Chiara. E infatti mi avvicino, ma tu mi tieni fuori dal cancello, mi tiri i sassi. _______________ So tutto di te, Chiara. Ma non so che biscotti mangi la mattina e come ti lavi i denti, non so come russi la notte e come ti muovi nel letto, non so come ti puzza l’alito e come stropicci i piedi, non so cosa dici quando fai l’amore e come morsichi la lingua, non so come cammini sotto la pioggia, come accarezzi i gatti, non so che sguardo hai quando ti fermi davanti alle vetrine. Chiara, di te so solo cose senza importanza. _______________ Svegliami, prima di partire. Non farmi destare dal rumore della porta che si chiude alle tue spalle. Dal rumore dei tuoi passi mentre scendi le scale e dal colpo del portone che si chiude per strada. _______________ Resta una scarpa sul davanzale, una cicca ai piedi della ringhiera, un paio di occhiali sul terrazzino. _______________ Forse non è stato agire, ma cessare di resistere. _______________ Chi è triste esce poco di casa, e spende meno di chi è allegro. L’ideale per la società dei consumi è tutti allegri e nessuno triste. La tristezza è uno stato mentale eversivo. _______________ Temi che le medicine si impossessino della tua mente e per questo le rifiuti. Sbagli, Livia: è la depressione che si impossessa della mente, le medicine restituiscono la chiave al proprietario. _______________ Torno dal Pronto con una ragazza legata alla barella, Giulia la vede, le vengono gli occhi lucidi e protesta: la contenzione è un atto violento, toglie la libertà, va abolita e basta. Giulia, hai ragione. Ma la violenza e la libertà sono tematiche psicologiche, non psichiatriche. Il paziente psichiatrico in acuto non concepisce il significato di violenza e libertà. Per lui è più rilevante la tematica esistere o non esistere. Talvolta ha bisogno di essere contenuto per ricomporsi nella sua unità, percepirsi, vivere. _______________ Se mi chiedete un’immagine simbolica della Psichiatria d’urgenza è proprio il contenere, il riunire frammenti spezzati tra loro, mettere insieme mente e corpo, riunificare la persona, come un gesso rinsalda le ossa. Far di pezzi, uno. _______________ Io ho passato la vita a convincere migliaia di persone del fatto che erano malate ed era meglio che si curassero. Altri colleghi hanno passato la vita a convincere incliti pubblici teatrali del fatto che le malattie mentali non esistono. Facciamo lo stesso mestiere? _______________ Non bisogna dire che siamo tutti uguali, bisogna conoscere le differenze. _______________ Marcello, anche oggi passiamo davanti a Oncologia, guarda la piccola folla di pazienti: ogni giorno si rinnova. Che occhi, e che sguardi di attesa. Perché qui non ci chiamano quasi mai? Perché il male che noi combattiamo non è il dolore, la paura, la speranza che vacilla. Non è perdere la vita, ma perdere se stessi. Chi piange ha chiaro chi è. Solo chi è cieco e mostra gli occhi spersi vede fermarsi il nostro passo: è lui quello presso cui sediamo. _______________ Il desiderio nulla conta di fronte all’umore, è la banderuola sbattuta dal vento. _______________ La ragione non fa che ammantare di spiegazioni razionali ciò che l’umore ha già deciso. _______________ E dopo tanti anni mi ritrovo ancora qui, alle prese col dolore inutile. Dolore che non insegna, non rigenera, non rinnova. Non dolore di crescita ma di prigione. Non dolore di potatura ma di morte. Dolore che non finisce per guarigione, non finisce per necrosi e amputazione: non finisce mai.
Paolo Milone, L’arte di legare le persone
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Gli slip sono sopravvalutati, non trovate?
28.10.76 [...]
T:«Schiopodo sparacoda.Vermicolo marcio» Le guance delle ragazze sono accese di rosso per via della corsa attraverso i sotterranei e gli occhi grigi sono lucidi di rabbia. Senza tanti preamboli né delicatezza, la serpeverde spalanca la porta del dormitorio maschile del terzo anno e comincia a parlare anche prima di aver individuato il proprio obiettivo «Vichingo!Sei un cafone!» N: « Gnn. Dimmi tutto » esclama.
T: «Ridammi le mie mutande!». Alla faccia della timidezza. «Ho parlato con Wesley» gli spiega. N: « Quindi? » T: «Parlavamo dei vestiti di Halloween.» N:« Eh »
T:« E mi ha detto una certa cosa» N:« E... »
T:«E tu hai detto a Wes che hai qualcosa di mio» Lo osserva mentre quello si alza per mettersi addosso una maglia. Pecca...cioè meglio così. «E che potevi prestarglielo per Halloween » Gli lancia un’occhiataccia, come se potesse veramente fulminarlo sul posto. « Mi sembra chiaro che cosa di preciso volevi dargli. E,beh, non sta a te decidere a chi dare le mie mutande. Spetta a me» Eh? «Cioè, intendevo dire che non puoi tenerle» Ah ecco. «Rivorrei i miei indumenti indietro»
Questa chiacchierata ha dell’incredibile, e infatti Niall è talmente confuso che potrebbe colpirsi da solo con quella bacchetta che non viene di certo mossa con far minaccioso. Sembra quasi un antistress, mentre appunto batte piano sul palmo che non la impugna.« Potevi venire a chiedermele prima, gnn? »
T: «Non te le ho chieste prima perché,beh..»Embè? Te la vedi una tredicenne che senza imbarazzo se ne va dal compagno a chiedergli le mutande indietro? «Sono mie. Non dovrei chiederle indietro. Avresti dovuto portarmele tu»
N:« Sì certo »
T:«Anzi, non avresti dovuto prenderle».
N: « Non hai fatto nulla quando te l’ho prese.. sisi » e sembra un po’ sfotterla in effetti, anche se non con cattiveria. «Cosa mi fai per riaverle?Sono tutte pulite, nemmeno le ho toccate » commenta aggiungendo anche che « non puoi negare che ti piacerebbe vedere Wesley in mutande da femmina » e non sembra scherzare. Ma chi lo capisce è bravo
T: «E ci mancherebbe. Non le hai usate per quel giornaletto,vero?» E poi,beh,scoppia a ridere. Una risata sincera e divertita «No»esclama mentre ancora ride «Non con le mie mutande». Ma non era arrabbiata? Si morde il labbro inferiore per cercare di trattenere le risa e riassumente un’espressione seria «Cosa vorresti che facessi in cambio?» N:« L’ho chiesto io a te » afferma, guardandola dritta negli occhi, dall’alto verso il basso, visto che lui è in piedi.
Tasha sospira e si alza lentamente in piedi per cercare di mettersi al suo livello,sebbene sia comunque più bassa di qualche centimetro «La vera domanda è perché tu te le sei tenute. Che te ne sei fatto?Le indossavi e ti guardavi allo specchio?» Niall la osserva senza mai distogliere lo sguardo, arrivando ad altre domande, alle quali sbuffa solo aria dalle narici. Non risponde, ovviamente. E poi ecco tutta quella pappardella di parole, con lui che se ne frega altamente. Ma c’è pure quello sfottò finale, con lei che si alza pure. « Mi sa che non le rivuoi » commenta ora « quando le rivorrai, sai come trovarmi eh » commenta, muovendosi, andando verso il bagno. Passi lenti, cadenzati e da soldatino, al solito.
T:«No,Niall!» Lo chiama quasi con voce supplicante. Scatta in avanti per tentare di afferrargli una mano e impedirgli di allontanarsi mentre cerca di superarlo «Cosa vuoi?Un abbonamento per il Playwizard?» chiede mentre gli si para davanti per bloccargli la strada. La mano destra tenta di afferrargli il polso della mano sinistra mentre la sinistra della ragazza va a posarsi sul petto di lui,come per impedirgli di muoversi ulteriormente «Ti lascio un paio di mutande?O vuoi forse un reggiseno?» Ecco,visto quanto disperatamente ha bisogno dei suoi slip?Si sta praticamente svendendo. Se ne pente immediatamente «Oppure posso dire in giro che hai le mutande infuocate» Eh? «Cioè, con fuochi animati disegnati sopra» Nemmeno avesse i pupazzetti.
A Niall il contatto non da noia, solo che va ad osservare con gli occhi chiari quel polso stretto e quella mano ferma in mezzo al suo petto. La lascia parlare, e torna quindi piano piano ai suoi occhi. « Troppe proposte » esclama ora, arricciando le labbra e la punta del naso. « Rinuncia al posto da titolare » le dice, sorridendo sghembo, lasciando che passino attimi, silenziosi, prima di nuove parole. E continua a fissarla. « A te la scelta » esclama ora, cercando però di porre le sue mani sui suoi fianchi, come a non farla andar via.
La ragazzetta molla immediatamente il polso del compagno,come se scottasse; ma la destra resta ferma sul suo petto e altrettanto paralizzata resta Tasha. Questa trattiene il fiato bruscamente e il cuore nella sua gabbia toracica ha uno scatto non di poco conto. Se al suo arrivo le guance erano rosse,ora perdono gran parte del colore mettendo ancora più in risalto le lentiggini sul naso. Sta praticamente in trance con l’espressione seria di chi sta riflettendo, almeno finché lui non le posa le mani sui fianchi. Lei si riscuote sbattendo le palpebre più volte e accennando un sorrisetto sul volto. «Avrei quasi preferito baciarti» osserva, ma la voce le esce fuori piano, in un sussurro. La lingua fa capolino dalla bocca per andare ad umettare le labbra secche. Il collo si stende verso l’alto nel tentativo di annullare i pochi centimetri che la separano dal concasato. Gli occhi grigi sono fissi sulle labbra di lui e il naso arriva a sfiorare il suo. Socchiude appena le labbra e resta così per qualche istante. Si prende del tempo, prima di rialzare lo sguardo e fissare le iridi grigie in quelle azzurre di lui «Ti ci puoi appendere al Platano con le mie mutande». Eccoti l’elegante risposta. Quindi il ghigno è sulla sua faccia ,adesso, mentre il volto torna ad allontanarsi dal suo. Niall la osserva lasciando che si avvicini e che le punte dei nasi si tocchino. La ascolta, e lascia che un sospiro esca dalle sua labbra. « Ma non lo fai » dice, guardandola fissa negli occhi. E per fortuna,Tasha si ribella, ma Niall cercherebbe di non farla scappare, tenendola per i fianchi. « Sei venuta qui, presa dall’ira e non hai nemmeno provato ad aprire il mio baule » ecco sì, ecco che la prende un po’ in giro, seppur lui sia del tutto serio. « Ora Odinsbane… puoi andar a pensare che puoi fare veramente per me, e le mutande saranno tue »
T:«Fai prima a dirmi che cosa vuoi tu,perché io non ti leggo nella mente» Purtroppo e per fortuna. «Il posto da titolare te lo scordi,perciò lasciami andare così mi apro il baule da sola» Appoggia le mani sulle sue,come a ricordargli che sono ancora lì. «O forse non vuoi lasciarmi andare?» E lo guarda di nuovo sollevando il mento, tornando a usare un tono più calmo, con voce bassa e pacata «Se ti baciassi adesso?» E si mette in punta di piedi per raggiungere la sua stessa altezza, il naso che sfiora nuovamente il suo e la labbra socchiuse che gli alitano addosso. Ma poi si sposta di nuovo,mirando ad una guancia e tentando di schiocchiare lì un bacio veloce.
Niall ricerca il suo collo, per darle un bacio lì. Un bacio abbastanza passionale, con la punta del naso che carezza la pelle, e il fiato caldo che si palesa. Tasha resta immobile mentre Niall le sfiora il collo con il naso e dei brividi le risalgono dalla schiena. Sulla pelle compare la pelle d’oca e per lei è una sensazione così strana,così nuova... Sente il fiato caldo e poi le labbra. Trattiene il respiro e resta immobile in quella posizione.
N:« Non hai il coraggio di baciarmi » le dice, poi, ricercando l’orecchio per un sussurro. E la lascerebbe andare, andando verso il baule. « Toh, prendile »
E quelle sono le paroline magiche, quella frase di sfida sul suo essere codarda. E lei dimentica finalmente ‘ste benedette mutande, perché è una che non accetta la sconfitta. E questa lo sembra. Aggrotta le sopracciglia mentre si trova a seguire i movimenti del ragazzo. La mano torna ad allungarsi verso il suo polso,per fermarlo come ha fatto prima «Aspetta» sussurra. Lo aggira di nuovo per fronteggiarlo nuovamente. Questa volta, però si muove in fretta,decisa. Tenterebbe di appoggiare le mani sulle sue spalle larghe,per aiutarsi a mantenere l’equilibrio mentre si alza in punta di piedi. Avvicinerebbe il viso al suo, socchiuderebbe le labbra e si fermerebbe a pochi centimetri dalle sue «Grazie»Gli soffia,prima di colmare la distanza che li separa e appoggiare le labbra alle sue. Un semplice bacio stampo,che per una tredicenne però è tanto. Se la lasciasse fare, premerebbe la bocca sulla sua per qualche secondo quindi si allontanerebbe di nuovo,riabbassare e i talloni, toglierebbe le mani dalle spalle e,senza dire una parola, gli volterebbe la schiena. Nasconderebbe così il rossore che le pervade le guance e andrebbe diretta verso il baule,dando per scontato che lui le restituisca davvero ciò che le appartiene.
Niall aspetta sì, anche perché quel sussurro lo sente. E sono di nuovo uno di fronte all’altro, col vichingo che la fissa dritta negli occhi con i suoi chiari che risentono delle sfumature di quella stanza. E si aggrappa, lei, e lui la lascia anche se gira il capo per osservar una delle due mani. Quel “grazie” lo porta ad alzare il sopracciglio, e poi ecco quelle labbra che si toccano. Non si oppone, non si scalza, ma non apre le sue labbra, lasciando casto quel bacetto, quell’incontro di due labbra che non si conoscono proprio. « C’hai messo di tempo eh?» domanda retorico, sorridendole, e andando appunto verso il baule, lasciando che lei si prenda le sue mutande.
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Capitolo 57 - Numeri di telefono e vacanze di primavera
Nel capitolo precedente: Eddie e Angie si appartano in un posto isolato e romantico in riva al mare, ma vengono sorpresi da due poliziotti, che li sottopongono a un fuoco incrociato di domande, a metà tra l'interrogatorio e il gossip. Durante questa conversazione Angie riesce inaspettatamente ad aprirsi e a rivelare che non vuole rendere partecipi gli amici della sua storia con Eddie anche per paura di perderli se le cose dovessero andare male. Angie fa pace con le sue insicurezze e, riaccompagnando Eddie a casa, gli propone di dire tutto ai loro amici in occasione del prossimo concerto dei Pearl Jam all'Ok Hotel. I due hanno anche una piccola scaramuccia causata dalla gelosia di Eddie nell'apprendere che Angie era stata nello stesso posto romantico e appartato anche con Jerry. Eddie scopre, grazie al poliziotto che leggeva la patente di Angie ad alta voce, che la sua ragazza ha un secondo nome che inizia per W, ma lei non ha la minima intenzione di dirgli qual è. Nel frattempo Stone e Grace sono di ritorno dal loro ennesimo appuntamento eccentrico, lei ha portato una cassetta con dei pezzi che le piacciono da ascoltare e lui critica la selezione e l'accostamento dei brani. Una volta a casa di lei, dopo una parentesi di passione, Stone è deciso ad affrontare di petto Grace e la sua difficoltà a condividere il letto e l'intimità con un'altra persona, sapendo benissimo che c'è qualcos'altro sotto. Tuttavia resta scioccato quando scopre la vera origine delle insicurezze di Grace: anni prima, a causa di una forma aggressiva di tumore alle ossa, la ragazza ha subito l'amputazione di un piede. La reazione di Stone alla notizia e di totale confusione, non sa che fare o che dire e, pur rassicurando Grace, se ne va dicendo di dover metabolizzare la notizia.
**
Io giuro che non l'ho fatto apposta. Cioè, non so se sia il caso di giurare, perché comunque se non l'ho fatto volutamente sarà pur sempre stato il mio inconscio a metterci lo zampino. Oppure uno di quegli automatismi mentali del cazzo, come quando sei abituato a fare sempre la stessa strada e arrivato all'incrocio sotto casa giri a sinistra come sempre, ma invece dovevi andare da tutta un'altra parte e te ne accorgi quando sei già arrivato alla meta sbagliata. Che poi a me non era mai successo, ma è una cosa che capita a tutti, cioè, se ne sente parlare spesso. Beh, stavolta deve essere capitato anche a me perché sono uscito dalla Music Bank, mi sono messo al volante e, non so come, mi ritrovato nel fottuto parcheggio di Roxy. Rimango fermo senza fare un cazzo per chissà quanto, indeciso sul da farsi. Che ci faccio qui? Che dovrei fare? Passo dentro per un saluto? Certo, la prima cosa che vuoi vedere dopo una giornata di lavoro è la faccia di merda del tuo ex che ti viene a trovare, no? Beh, in fondo, magari non se lo ricorda neanche più che sono il suo ex, basta vedere come mi tratta, come mi ha trattato a San Diego. Come un amico qualunque. Non è nemmeno più incazzata con me, anzi, ci sta che mi sia anche grata. Dopotutto se non avessi sabotato la nostra relazione lei non starebbe con Eddie adesso. Perché è ovvio che stanno insieme. Non lo so, ma me lo immagino. Lui ci avrà provato e lei ci sarà stata. C'è stata con me che sono uno stronzo. Chiunque venga dopo di me in confronto sembrerà il Principe Azzurro. In tutto questo, la macchina ha ancora il motore acceso. La spengo quando vedo Angie assieme a Brian e a un'altra ragazza uscire dal locale, precedendo di pochi secondi Roxy stessa, che li saluta e chiude la saracinesca. Angie ha un sacco della spazzatura in mano e si dirige verso i bidoni al lato del ristorante, mentre gli altri si allontanano a piedi o in macchina. Scendo dall'auto e corro dall'altra parte del ristorante, nascondendomi, non so perché, e affacciandomi di tanto in tanto aspettando la prossima mossa di Angie. La vedo spuntare dopo qualche minuto, ha ancora la divisa, entrambe le mani infilate nella tasca della sua giacca di pelle, il viso nascosto per metà da una sciarpa voluminosa, la sua solita borsa colorata a tracolla. Attraversa il parcheggio e raggiunge la strada, seguita a debita distanza da me. Mi guardo attorno per vedere se qualcuno mi ha notato perché a un osservatore esterno potrei sembrare un malintenzionato che sta seguendo una ragazza indifesa. Ma io non sono un malintenzionato, onestamente non so neanche che intenzioni ho, non so nemmeno perché cazzo la sto seguendo. Un paio di volte rischio di farmi sgamare, quando si ferma a guardare delle vetrine e, a sorpresa, si gira. La prima volta mi sono salvato infilandomi in una cabina del telefono, la seconda ho fatto dietro front al volo unendomi a un piccolo pubblico di un busker. Continuo a seguirla e vorrei tanto sapere dove cazzo sta andando, visto che abbiamo già superato due fermate dell'autobus. Siamo alla terza quando si ferma e si guarda attorno, mentre io mi tuffo nel primo vicolo per non farmi notare. Ma poi perché non mi faccio notare? Non posso semplicemente andare lì a dirle ciao? Mi sporgo e la vedo accendersi una sigaretta, iniziando a camminare avanti e indietro e io mi nascondo ogni volta che viene verso di me. Mi affaccio di nuovo e non la vedo più. Esco dal nascondiglio e presumo sia andata alla fermata più in là, forse è presto e non vuole aspettare ferma al freddo. Oppure qualcuno è venuto a prenderla, magari il suo ragazzo... No, sta ancora camminando per la strada, tutta sola, letteralmente, perché man mano che ci allontaniamo dai negozi la via si fa più deserta. Cammino muro muro, praticamente in punta di piedi perché ho paura che possa sentire il rumore delle mie scarpe. Ed è a questo punto che capisco che non ha un cazzo di senso quello che sto facendo. Mi do del coglione da solo e faccio una corsetta per raggiungere Angie, le metto una mano sulla spalla e sento uno dei dolori più forti che un uomo possa provare nella sua vita nel momento in cui lei si gira di scatto e mi molla un'epica ginocchiata nelle palle.
“CRISTO, ANGIE!” urlo non so se più per il dolore o per chiamarla, visto che accenna a scappare.
“Jerry??” si blocca e mi guarda incredula mentre mi contorco, prima di riavvicinarsi “Ma eri tu che mi seguivi?”
“Sì”
“Ma sei scemo? Perché?”
“Volevo... beh, volevo farti uno scherzo” non ho perso il mio talento nell'improvvisazione.
“Bello scherzo del cazzo, mi hai fatto prendere un colpo!”
“Scusa”
“Beh, scusami tu. Ti ho fatto male?”
“Noooo sto una favola” commento quando torno a vedere ciò che mi circonda e non più le stelle.
“Anche tu però... mi hai spaventata”
“E sono stato punito direi”
“Pensavo fossi uno che mi voleva aggredire”
“Eheh e invece sono stato aggredito io.” a quanto pare è destino, mi devo fare male ogni volta che ci vediamo, fisicamente o no. Noto la sua mano e la indico “E quelle?”
“E' un trucco che mi ha insegnato Meg” risponde rimettendo in borsa le chiavi che aveva piazzato tra le dita nel pugno chiuso.
“Sai che ti puoi fare male se non le tieni bene quando colpisci? E' un trucco pericoloso”
“Cos'è, ti offri volontario per allenarmi?” riprende le chiavi e le fa tintinnare mentre mi sorride diabolica e io mi rassegno al fatto che amerò sempre questa ragazza. A modo mio, sbagliatissimo, senza senso. Ma non posso farne a meno.
“No, grazie. Non che non me lo meriti, ma avrei altri programmi per la serata”
“Del tipo?”
“Del tipo... riascoltare i demo che ho appena registrato e capire perché cazzo non funzionano”
“Demo? Dell'album nuovo?” Angie passa dallo scherzo a essere interessatissima e io non aspettavo altro che soddisfare la sua curiosità. Forse è proprio per questo che sono venuto fin qui.
“Sì... ma è roba mia, cioè, che ho buttato giù da solo, non l'ho ancora fatta sentire agli altri”
“Beh, magari devi lavorarci un po' sopra, anche assieme al gruppo. E poi Layne può cantare qualsiasi cosa e renderlo perfetto, perciò non ti preoccupare” Angie alza le spalle e mi sorride e io penso di stare impazzendo perché mi prenderei un altro calcio nei coglioni pur di farmi toccare da lei.
“Ti va di sentirle?”
“Magari! Hai una copia da passarmi?”
“No, però ho il nastro in macchina... potremmo ascoltarlo lì, che dici?”
“Beh, non lo so, è un po' tardi” anche se dura un secondo, la sento tutta l'esitazione nella sua risposta. E' ovvio che l'idea non le vada tanto a genio, però non sa nemmeno come dirmi di no senza levarsi quella maschera di totale indifferenza nei miei confronti dalla faccia. Ammettere di essere a disagio da sola con me sarebbe come ammettere che ci siano ancora sentimenti in sospeso tra noi e questo lei non lo farebbe mai.
“Sono tre pezzi di numero. Li ascolti, mi dai il tuo parere e io in cambio ti do un passaggio a casa. Ti va?”
“E va bene, andiamo!” fa di nuovo spallucce e mi segue come niente fosse.
“Allora?” le chiedo dopo il primo brano.
“Jerry è... cosa credi che non funzioni esattamente in questa canzone? E' spettacolare”
“Lo credi davvero?”
“Sì”
“Non lo dici solo perché non vuoi tornare a casa in autobus?”
“Ovviamente no, non scherzare!”
“Con la voce di Layne guadagnerebbe qualche punto sicuramente”
“Nel ritornello sicuramente, ma mi piace la tua voce nella strofa” far ascoltare le mie canzoni nuove ad Angie non è solo una scusa per passare del tempo con lei, mi piace perché è sincera, le sue opinioni sono oneste, non ti dice che un pezzo è una figata solo per farti contento.
“Grazie”
“Ha un titolo?”
“Would. Un gioco di parole, con Wood”
“Andy?”
“Sì, è per lui. Ho pensato tanto a lui in questo periodo. Beh, non ho mai smesso di pensarci. Ma ultimamente ci penso sempre più spesso. Il nostro primo album è andato bene, suoniamo in giro, Stone e Jeff ce la stanno facendo, tante altre band stanno venendo fuori e-”
“E lui non è qui”
“Esatto. Lui non c'è. E mi manca. Andy era un amico, ma non uno con cui fai discorsi seri sul senso della vita o cose del genere. Era solo divertimento, ci divertivamo un sacco, io, Andy, Xana e Chris. Era una persona eccezionale, piena di energia e di vita”
“Le scelte che ha fatto raccontano una storia diversa però...”
“Ha fatto delle scelte del cazzo, ma non significa che fosse una cattiva persona. Ha sbagliato. Io non lo giudico però. Quelli che giudicano mi fanno solo incazzare”
“Scusa, non era mia intenzione”
“Nah, tu che c'entri, non mi riferivo a te. Tu non sei così” Angie non ha bisogno di giudicarti, le basta parlarti sinceramente o guardarti negli occhi per farti sentire una merda per tutte le cazzate che combini.
“Meg mi ha detto che è morto in questo periodo l'anno scorso, giusto?”
“Sì, tra poco sarà un anno. E mi sembra passato un decennio”
“Mi fai sentire un'altra canzone?” Angie sa quando cambiare argomento, ma non sa che il tono della conversazione non si alzerà nemmeno col secondo pezzo.
“Rooster era il soprannome che mio nonno aveva dato a mio padre quando era piccolo,” precedo la sua domanda prima di premere stop sull'autoradio “perché faceva il galletto. E perché aveva i capelli che gli sparavano in aria, come una cresta”
“Hai scritto una canzone su tuo padre?” Angie sa benissimo tutta la storia incasinata della mia famiglia e sa anche quanto sia difficile per me parlarne, anche se con lei è stato molto meno difficile.
“Ho scritto una canzone cercando di immedesimarmi in lui, provando a immaginare cosa potesse pensare o provare in quei momenti un soldato americano in Vietnam. Come sai, lui non ci ha mai raccontato niente”
“Dovresti fargliela sentire”
“Vedremo. Se ne verrà fuori una canzone vera e propria, potrebbe succedere, chissà”
“Potrebbe essere un modo per riavvicinarvi”
“Non l'ho scritta per questo”
“Lo so”
“Non l'ho scritta per nessun motivo in particolare”
“Ok”
“E' venuta fuori così e basta”
“Si vede che doveva venire fuori”
“Ti piace?”
“Sì, mi piace anche questa. Mi fai sentire l'ultima?”
“Era questa l'ultima” mento sfacciatamente.
“Ma se hai detto che erano tre canzoni...”
“Sì beh, era per dire. Sono tre tracce, ma due canzoni complete. La terza è solo una roba strumentale” dire cazzate ad Angie mi riesce ancora facile, come ai vecchi tempi, però bisogna vedere se anche lei è ancora brava a crederci.
“Voglio sentire anche quella” incrocia le braccia e mi guarda storto.
“Ti porto a casa, va” faccio finta di niente e accendo la macchina, ma Angie ha un'altra idea e allunga la mano per premere di nuovo play sull'autoradio.
Partono i primi accordi di un pezzo troppo lento e troppo moscio che non entrerà mai nemmeno in un lato B di un singolo del cazzo della band e che non farei ascoltare agli altri nemmeno sotto tortura, anche perché è talmente personale che mi prenderebbero per il culo per decenni e mi sembra che di motivi per farlo ne abbiano già parecchi. Per fortuna, nella prima parte della canzone, mi è venuta la brillante idea di intonare la melodia con un po' di 'mmm mmm', così posso cavalcare la balla del pezzo strumentale.
“Vedi? E' solo un abbozzo. Solo un coglione che strimpella e mugugna una melodia improvvisata” alzo le spalle e stoppo il nastro, per poi tirarlo fuori e farmelo scivolare nella tasca della giacca. Perché sono così stronzo? Io non ci dovevo nemmeno andare da Angie. Poi quando l'ho vista e le ho proposto di venire a sentire il demo ho cercato di raccontarmela come una mossa per poter passare del tempo con lei. Invece è chiaro che volevo farle sentire anche questo pezzo. Beh, soprattutto questo. E adesso? Me la faccio sotto oppure ho capito che era un'idea di merda in partenza? Cosa volevo ottenere? Farle sapere che mentre lei va avanti con la sua vita io sono ancora impantanato nelle mie stronzate?
“Beh mi sembrava un bell'abbozzo”
“Troppo lenta, troppo deprimente, non lo so”
“Jerry?”
“Sì?”
“Va tutto bene?”
“Certo, perché?”
“Non lo so, chiedo” perché chiedo io. E' ovvio che si faccia delle domande, spunto così dal nulla, mi presento dove lavora, la convinco ad ascoltare dei pezzi, poi il tutto si trasforma in una cazzo di seduta di psicoterapia sotto mentite spoglie.
“E' tutto ok, sono... sono solo le solite cose, ecco”
“Le solite cose continueranno ad essere sempre le stesse se non le affronti, Jerry”
“Lo so. Infatti le sto affrontando. La musica è pefetta per questo, non l'hai detto anche tu?”
“Sì, ma non basta”
“Già. Oh e scusa se sono venuto a romperti le palle, non era programmato, insomma, mi sono trovato lì. Cioè, non è che sono capitato da Roxy per caso, diciamo, che fino a un certo punto non avevo idea che stavo venendo da te, poi, diciamo, l'ultimo kilometro...”
“Ok, Jerry, ho capito”
“Scusa”
“Non ti scusare, non ce n'è motivo”
“E' solo che, beh, è più facile con te. Mi viene più facile parlare con te, nonostante tutto. Assurdo, vero?” Angie sa già tutto, a lei non devo spiegazioni, e ora che non stiamo più insieme, non le devo nulla. Però, allo stesso tempo, lei non deve nulla a me. Non è tenuta ad ascoltarmi.
“Beh, un po' sì, ma non troppo strano. La gente ama confidarsi con me, si vede che ispiro fiducia. O che sembro innocua” Angie scuote la testa e io penso che non è innocua per niente dato che il (troppo) poco tempo in cui le nostre strade si sono incrociate mi hanno lasciato un segno bello grosso e profondo.
“Innocua? Con le chiavi tirapugni? No, non direi proprio”
Il viaggio fino a casa di Angie dura più del dovuto, perché scelgo deliberatamente il percorso più lento e trafficato, ma lei è così gentile da non farmelo notare. Oppure neanche se n'è accorta.
“Allora buona notte. E grazie per il passaggio” mi dice con la mano sulla portiera già mezza aperta.
“Grazie a te per aver accettato di farmi da cavia. E grazie per i pareri”
“Figurati. E comunque quando vuoi parlare o farmi ascoltare altre cose... sappi che io ci sono, ok?”
“Davvero?” le chiedo non perché io sia incredulo, ma perché so perfettamente che sta dicendo sul serio, che è davvero sincera e pronta a sorbirsi le pare di uno che non riesce ad aprirsi emotivamente se non con la sua ex, che sta pure con un altro.
“Certo. Solo perché sei stato una merda non significa che, boh, non ti salverei da un incendio o non ti darei una mano mentre dondoli in bilico sull'orlo di un precipizio per tirarti su. Per le cose serie, se posso, una mano te la darò sempre” Angie fa spallucce mentre mi dice una cosa stupenda e invece di soffermarmi ad ammirare la bontà e l'altruismo di lei, di farmi ispirare dal suo concetto di amicizia, di imparare qualcosa dalla sua totale mancanza di rancore... io vado in fissa sui suoi occhi prima e sulle sue labbra poi e stavolta non credo proprio che non si sia accorta che ho tutta l'intenzione di baciarla. Infatti nel giro di due secondi mi da di nuovo la buona notte e schizza fuori dalla macchina, alla volta del portone di casa.
“Notte!” le urlo dal finestrino guadagnando un suo frettoloso ciao-ciao con la mano.
Si può sapere che cazzo mi sono messo in testa?
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Si può sapere che cazzo mi sono messa in testa? Che faccio, prometto cose che non sono sicura di poter mantenere? Certo, le mie sono state delle gran belle parole, non c'è che dire, suonavano benissimo, ma sarò poi in grado di farle seguire dalle azioni? Ci sarò davvero sempre per Jerry, anche se è stato uno stronzo? E' bello aspirare ad essere persone migliori, ma credo che nel mio caso spesso sia più una sorta di autocompiacimento masochistico. Insomma, c'è che a me piace un sacco essere buona, comportarmi da tale e far sì che tutti mi vedano così, come una ragazza gentile e comprensiva. Tutti, anche quelli che non si meriterebbero nessun riguardo, anzi, specialmente quelli. Tu hai fatto il bastardo con me? E ora ti aspetteresti che, come minimo, cambiassi strada quando ti vedo, giusto? Invece no, io sono qui ad ascoltare i tuoi sfoghi emotivi, a tenerti la mano e a incoraggiarti, dicendoti che andrà tutto bene. Tiè, beccati questa! Non voglio dire che lo faccio proprio apposta, però non posso negare che esista questa componente di soddisfazione nell'essere quella che fa la cosa giusta, o meglio, che fa la cosa buona che nessuno farebbe. Ora lo so che quando racconterò a Meg cosa è successo, lei scuoterà la testa e mi dirà che sono stupida e che avrei dovuto semplicemente mandare Jerry a fare in culo come si meriterebbe, ma il suo vero pensiero sarà che sono troppo buona o una cosa del genere. Ecco, io adoro essere troppo buona, mi fa stare bene, in pace con me stessa e con gli altri, perché è uno dei pochi ruoli sociali esistenti a risultarmi facili da ricoprire e in cui mi sento a mio agio. Almeno per un po'. Perché il problema è che, se ti comporti da buona, poi lo devi essere fino in fondo, senza dubbi, ripensamenti o scazzi vari. Cioè, se io ho appena detto a Jerry che per lui ci sarò sempre come amica, la prossima volta che lo vedo non posso prenderlo a calci in culo perché mi sono improvvisamente ricordata che mi ha tradita e mi ha mancato totalmente di rispetto, non solo come ragazza, ma prima di tutto come persona. Funziona così con Jerry: ci parlo e mi sembra di interagire con una persona del tutto diversa da quella con cui sono stata, ma non per modo di dire, è proprio come se fosse un altro tizio, non mi suscita nessun turbamento, non c'è nessuna tensione. Almeno finché non succede qualcosa, un rumore, una parola, una cazzo di battuta, che mi fa tornare in mente chi diavolo ho di fronte, e lì giuro che lo prenderei a sassate, così, dal nulla. Però no, non si può. Perché se hai la Sindrome di Gesù devi essere Cristo fino in fondo, col porgere l'altra guancia e tutto il resto. Non puoi solo goderti la fama di messia, devi anche farti crocifiggere o, più spesso, metterti in croce da sola.
Il mio rimuginare prende una piega mistica proprio quando entro in casa, forse il tutto è collegato al fatto che appena sono dentro mi levo le scarpe e alle sensazioni di estasi provate dalle mie estremità dopo una giornata in piedi. Agguanto il telefono senza neanche accendere la luce, noto qualcosa scritto sul blocchetto lì accanto, ma non lo prendo neanche in considerazione perché immagino sia un appunto di Meg che mi dice che Eddie mi ha cercata. Dopotutto avevamo un appuntamento telefonico circa... beh, un'oretta fa. Mi lascio cadere sul divano, anche se so che non è la cosa ideale da fare e sarebbe meglio raggiungere il letto, e compongo il numero a memoria sul tastierino, praticamente alla cieca.
“Pronto”
“Ciao Eddie, stavi dormendo?”
“Ovviamente no mia cara... Wallflower?”
“Eheh acqua, mi spiace!”
“Cazzo”
“Tanto non te lo dico”
“Tanto lo scoprirò lo stesso”
“Ah sì, e come?”
“Ho i miei metodi di convincimento, non lo sai?” sì, lo so eccome, ecco perché cambio argomento.
“Comunque stai diventando più imprevedibile, ero convinta che avresti risposto con 'E' già venerdì?' invece del pronto”
“Mi piace sorprenderti, micetta. A proposito, per caso è già venerdì?” domanda ridendo sotto i baffi, mentre io faccio per alzarmi di scatto dal divano e finisco invece per rotolare giù, sul tappeto.
“COME CA- AHI!”
“Tutto ok? Cosa è stato?”
“Niente niente. Scusa Eddie, come stracazzo mi hai chiamata?” gli chiedo mentre mi raddrizzo sul fianco, tenendomi la chiappa dolorante.
“Micetta, perché?”
“Perché, dice lui!”
“Stai parlando con qualcuno o è sempre il tuo solito pubblico immaginario?”
“Non farlo mai più”
“Dai, è carino”
“Questo lo dici tu”
“E poi a te piacciono i gatti”
“Mi piacciono tante cose, mi piacciono anche gli horror, ma non per questo mi farei chiamare Poltergeist... Anche se, pensandoci...”
“Non è male, ma preferisco micetta”
“Io preferirei qualsiasi cosa rispetto a micetta”
“Attenta a ciò che desideri”
“Ugh vuoi dire che potresti venirtene fuori con qualcosa di peggio?”
“Mettimi alla prova”
“Ma poi micetta non ha senso”
“Sì che ne ha”
“Perché mi piacciono i gatti?”
“Perché hai gli occhioni da gatta, sei dolce e tenera, ma sai tirare fuori le unghie quando serve... anche letteralmente. La mia schiena ringrazia eheh” è mezzanotte passata, io sono ancora stesa sul tappeto di casa mia e sto arrossendo.
“E' che non mi piacciono i nomignoli in generale” il meccanismo diversivo di difesa si inserisce da solo mentre cerco di rialzarmi.
“Regina ti piace però”
“Che c'entra, quello non è un nomignolo di coppia”
“Che cazzo dici, è il nomignolo di coppia per eccellenza!”
“Sì, ma nel nostro caso era una cosa tra amici” finalmente mi risiedo sul divano e d'istinto mi avvinghio a uno dei cuscini.
“Ahah amici un cazzo, fosse stato solo per amicizia il nomignolo sarebbe nato e morto quella sera”
“Ok, ma tecnicamente è nato in amicizia, quindi va bene” mi concentro sull'aspetto tecnico perché faccio ancora fatica a realizzare che Eddie abbia avuto questa... cotta (?) per me già da tempo. Cioè, razionalmente capisco che non ha ricevuto un'improvvisa illuminazione quella mattina alla stazione dei pullman di San Diego e che doveva per forza averci pensato anche prima. Ma la mia parte irrazionale ancora non si capacita del fatto che Eddie stia con la sottoscritta, figuriamoci concepire che possa aver covato il suo interesse per me per mesi.
“Va beh, va beh, cosa c'è che non va in micetta?”
“E' troppo... è troppo zuccheroso”
“E' un nomignolo, deve essere dolce, o meglio, tendenzialmente è così”
“E' stupido”
“Che ti aspettavi da uno stupido come me, micetta?”
“Uff ti sei proprio fissato eh?” alzo gli occhi al cielo e so già che questa non la vincerò neanche per sbaglio.
“Secondo me non è che non ti piace, è solo che ti imbarazza, per non so quale strano motivo a me sconosciuto”
“Non è vero” ribatto strizzando il cuscino.
“Invece sì”
“Invece no”
“Lo sai che ti cambia il tono della voce quando colpisco nel segno?”
“Ahah cosa... di che diavolo stai parlando?”
“Niente. Se mi lasci usare micetta, ti permetto di chiamarmi come vuoi”
“Ahahah cioè, vuoi introdurlo proprio come vezzeggiativo ufficiale! Dì la verità, ci stavi lavorando già da tempo, ammettilo”
“No, mi è uscito così senza pensarci. E magari me ne sarei dimenticato un secondo dopo, se tu non avessi avuto quella reazione stupenda”
“In pratica, è colpa mia”
“Come sempre, mia regina”
“Regina o micetta, deciditi”
“E perché mai? Puoi essere tutt'e due. Anzi, lo sei”
“Se per sbaglio quella parola esce dalla tua bocca in presenza di uno dei nostri amici sei-”
“HA! Allora è quello che ti terrorizza? Che possa arrivare alle orecchie dei ragazzi?”
“Se succede una cosa del genere sei morto, sappilo”
“Sei troppo preoccupata dell'opinione degli altri, lasciatelo dire”
“Ma non morto nel senso che ti faccio il culo, ti meno o ti uccido letteralmente. Semplicemente da quel momento in poi cesserai di esistere per me, celebrerò mentalmente il tuo funerale, piangerò un pochino, dopodiché non ti rivolgerò mai più la parola né riconoscerò più la tua presenza in alcun modo”
“Ti ho mai detto che ti adoro quando sei così teatrale?”
“Ti ho mai detto che le mie minacce sono sempre reali?”
“Ok, ok, prometto che non userò mai quel nome se non quando siamo soli soletti. Così va meglio?”
“Sì” lo dicevo che questa non l'avrei vinta.
“Grazie, micetta. Tu come mi vuoi chiamare invece?”
“Io ti chiamo Eddie, punto”
“Guarda che mi va bene anche un nomignolo non zuccheroso”
“Ed?” ebbene sì, è il massimo che riesco a fare.
“Ahahahahah”
“Che cazzo ridi?” in realtà adoro quando ride, specialmente quando mi prende per il culo, ma non è necessario che lui lo sappia.
“Wow, non sarà troppo intimo? Non so se me la sento di permetterti di chiamarmi Ed”
“Vaffanculo, Ed”
“Specialmente davanti agli altri”
“Non è una cosa che puoi decidere a tavolino, ti viene spontaneo chiamare una persona in un altro modo, anche tu l'hai detto, no? Quando mi verrà di chiamarti con un vezzeggiativo idiota, lo saprai”
“Va bene. Allora, è già venerdì?”
“No, mancano ancora due giorni”
“Tecnicamente uno, la mezzanotte è passata da un pezzo”
“Allora se lo sai già, perché me lo chiedi?”
“Volevo vedere se eri attenta”
“Comunque vedi che succede a furia di sparare cazzate al telefono? Finisce che il tempo passa in fretta”
“Era il mio obiettivo fin dall'inizio. Comunque avremmo potuto spararne anche di più se non te la fossi presa comoda, io ero qui ad aspettarti dalle undici e mezza”
“Non me la sono presa comoda, sono arrivata a casa adesso. Cioè, neanche un minuto prima di chiamarti”
“Roxy ti fa fare gli straordinari? Questa cosa che ti fa fare sempre la chiusura però non la capisco, si chiamano turni per un motivo, no?”
“Non la faccio sempre. E questi orari li ho chiesti io perché per me sono più comodi per una serie di motivi. Comunque stavolta sono uscita quasi puntuale, ho perso tempo dopo, anche se non lo definirei tempo perso, visto che ho avuto un'anteprima esclusiva!”
“Ah sì? Che hai fatto?”
“Ho ascoltato un paio di demo degli Alice che andranno nel prossimo disco. Cioè, questo lo dico io, perché sono una bomba, anche se Jerry non è del tutto convinto. Ma quello è normale, perché lui non capisce un cazzo” altro autore perfezionista del cavolo come Eddie, tra di loro dovrebbero intendersi in questo senso.
“Jerry? L'hai visto? E' venuto alla tavola calda?” in barba all'intesa da me supposta, l'adorabile e giocoso Eddie scompare all'istante e nel momento stesso in cui pronuncia il nome di Jerry capisco che sta per incazzarsi esattamente come l'altra sera.
“No, l'ho beccato dopo il lavoro”
“Beccato dove? Sei andata da qualche parte dopo il lavoro e-”
“Oh no, l'ho incontrato per strada”
“Per strada?”
“Sì”
“Per strada davanti a Roxy's alle undici di sera di un mercoledì?”
“Sì” la conversazione sta lentamente scivolando nell'interrogatorio.
“E che ci faceva lì?”
“Non lo so, era in giro, non gliel'ho chiesto”
“Chiedilo a me”
“Eheh cosa?” non sono scema, non è che mi metto a ridere sapendo che Eddie avrà il fumo che gli esce dalle orecchie a questo punto. E' più un ghigno nervoso che non riesco a trattenere.
“Chiedilo pure a me, te la do io la risposta”
“Eddie io-”
“Chiedimelo” Eddie sa convincermi, anche se preferisco gli altri suoi metodi, quelli più piacevoli.
“Ok, che ci faceva lì Jerry?”
“E' venuto apposta per vederti, mi pare ovvio”
“Non è venuto apposta” sì che è venuto apposta, ma quello che voglio dire è che non è venuto apposta con l'idea di riconquistarmi, come crede Eddie. E' solo venuto a cercarmi perchè non sapeva da chi altro andare.
“Va beh, e poi?”
“E poi cosa?”
“E poi cosa è successo, che avete fatto, dove siete andati? Dove te l'ha fatto sentire QUESTO CAZZO DI DEMO?” le grida di Eddie attraverso la cornetta mi fanno sobbalzare sul divano.
“Sì, ma stai calmo, perché alzi la voce?”
“PERCHE' MI VA”
“Eddie”
“Perché io ero qui ad aspettare di parlare almeno al telefono con la mia ragazza, visto che non potevamo vederci di persona, mentre lei era in giro col suo ex”
“Non ero in giro”
“Sei andata direttamente a casa sua?”
“No”
“E' venuto lui da te? Magari gli hai fatto anche il caffè”
“Siamo stati in macchina il tempo di sentire due canzoni di numero e poi mi ha portata a casa” ignoro il suo sarcasmo perché se non lo facessi finirei per rispondere col mio e non ne usciremmo vivi.
“In macchina”
“Sì, dove me la faceva sentire la cassetta secondo te? Nessuno è andato a casa di nessuno e Jerry non va mica in giro con il boombox sulla spalla” eccolo, il mio sarcasmo non ha resistito, questa discussione non può finire bene.
“In macchina” ripete con lo stesso tono sprezzante.
“Sì, in macchina”
“E dove vi siete imboscati? Visto che il vecchio parcheggio è off limits...”
“Non ci siamo imboscati da nessuna parte, eravamo lì, sulla strada. E' finito l'interrogatorio?”
“No. Vi siete baciati?”
“MA FIGURATI, SECONDO TE??” mi viene da urlare, ma allo stesso tempo non voglio reagire con troppa veemenza e dargli l'impressione di essere stata punta nel vivo e che sia successo davvero qualcosa con Jerry.
“Non lo so, se no non te l'avrei chiesto”
“Davvero non lo sai? Cioè, tu seriamente pensi che io potrei baciare Jerry? E che soprattutto, dopo averlo fatto, ti chiamerei e mi metterei a parlare di gatti, poltergeist, nomi e nomignoli come se niente fosse?”
“Non lo so, Angie, so solo che il tuo ex si è fatto vivo con la scusa del demo e tu non hai resistito. E a giudicare dalle tempistiche, non penso proprio che tu abbia ascoltato due canzoni e poi sia filata dritta a casa, a meno che gli Alice in Chains non si siano dati a pezzi prog da 15 minuti l'uno”
“Abbiamo parlato”
“Di cosa?”
“Di cose personali”
“Ah beh allora! Perfetto, non ho assolutamente motivo di arrabbiarmi! Hai visto il tuo ex e avete parlato dei vostri segreti, ora sì che sono tranquillo!”
“Cose personali sue, che non riguardano me”
“Oh perché ora tu sei la confidente preferita di Jerry, giusto. Perché non va a raccontare i cazzi suoi alle tipe che si scopava alle tue spalle?” beh, wow, complimenti per il tatto, Eddie... Resto interdetta per alcuni secondi prima di rispondere.
“E io che ne so? Magari lo fa già, magari no. Perché lo chiedi a me, io cosa c'entro, scusa?”
“C'entri perché sei la mia ragazza, non la sua, se te lo fossi dimenticato”
“Non me lo sono dimenticato, ma forse tu sì, visto come mi stai trattando” va bene mantenere la calma, ma io non ho fatto niente, perché dovrei stare sulla difensiva? Non mi piace per niente quando fa così.
“Vero, sono io che faccio lo stronzo, dopotutto ti sei solo vista da sola con Jerry, mica mi dovrei incazzare”
“Senti, te l'ho detto io che ho visto Jerry, di mia iniziativa, senza che tu sapessi un cazzo. Se non ti avessi detto niente non l'avresti mai saputo. E invece io te l'ho detto, perché non ho niente da nascondere e non ho fatto niente di male” litigare è una delle cose che odio di più e che rifuggo come la peste. Non mi piace litigare, mi mette ansia, anche quando ho ragione, ed è per questo che spesso faccio finta di niente e chiudo gli occhi e le orecchie anche quando non dovrei, anche quando avrei qualcosa da ribattere, perché semplicemente non ho voglia di casini e voglio stare tranquilla. In questo caso, però, non riesco proprio a stare zitta, quindi cerco di farlo ragionare.
“Ok, ascolta, io ci credo che non hai fatto niente, che non è successo niente, mi fido di te. Ma non mi fido di lui? Non lo capisci che lo fa apposta? Era un pretesto del cazzo per vederti” Eddie smette di trattarmi di merda per un attimo, ma questo non è che mi faccia sentire poi tanto meglio.
“Non era assolutamente così, ma anche se lo fosse, io non c'entro nulla. Mi ha chiesto di ascoltare un paio di pezzi e dargli un parere, morta lì”
“Potevi dirgli di no. Potevi dirgli che dovevi andare a casa, che avevi un impegno. Che poi ce l'avevi davvero l'impegno, con me”
“Onestamente non ci vedo nulla di male nell'ascoltare due canzoni e un mezzo sfogo di un amico, quindi non vedo perché avrei dovuto dirgli di no” l'impegno che avevo con te era una telefonata, non casca certo il mondo se ti chiamo un po' più tardi, no?
“Forse perché non è un amico, ma è il tuo fottuto ex?”
“Proprio perché è il mio ex, non vedo perché devi essere geloso. E' acqua passata, una storia chiusa con un sacco di pietre messe sopra. Se sei geloso, il problema è tuo” se c'è una cosa che non sopporto è la gelosia, non la tollero, è stupida, è-
“Se non vedi qual è il problema, sei tu il problema. Buona notte” c'è bisogno che il segnale di occupato vada avanti per un po' prima che io capisca che Eddie mi ha letteralmente attaccato il telefono in faccia. Sono incredula, non solo per questo gesto, ma per tutta la situazione. Che cazzo è successo? Come siamo passati da una tranquilla telefonata a una lite accesa nel giro di un minuto? Perché si è arrabbiato così tanto? Non so cosa fare, aspetto qualche minuto, poi provo a richiamarlo, ma il telefono squilla a vuoto, senza risposta.
“CHE CAZZO! Angie, che diavolo ci fai lì?” la luce della sala si accende di colpo e l'improvvisa vista della mia sagoma sul divano terrorizza la mia amica.
“Ciao, Meg, scusa”
“Scusa un cazzo! Ok, dichiaro ufficialmente terminato il campionato di Spaventa a morte la tua coinquilina. Hai vinto tu e stop, mi arrendo” si avvicina tenendosi una mano sul cuore e io so già che ora si siederà con me, capirà in un nanosecondo che c'è qualcosa che non va, io inizialmente non le dirò un cazzo, poi, inevitabilmente, le spiattellerò tutto, lei mi consolerà, insulterà Eddie, poi Jerry, poi mi dirà che non è niente di irreparabile, mi darà dei consigli che mi sembreranno senza senso, ma che alla fine risulteranno azzeccati e tutto si sistemerà. Forse.
“Scusami, stavo telefonando”
“Ah, hai richiamato la tua amica, allora?” mi chiede Meg, disorientandomi totalmente. Come se non fossi già abbastanza confusa.
“La mia amica?”
“Sì, Jane, la tua ex compagna di scuola. Ti avevo lasciato un appunto...” Meg si allontana saltellando e torna da me con il blocchetto che avevo notato accanto alla base del cordless. Mi basta quel nome, prima pronunciato da lei e poi scritto a chiare lettere sul foglio giallo, per tornare immediatamente padrona di me stessa.
“Sì sì, infatti, l'ho appena richiamata, grazie” mi alzo dal divano e prendo il blocco delicatamente, ma con fermezza, dalle mani di Meg, prima di staccare la pagina incriminata.
“E' tutto ok? Mi sembrava una cosa urgente”
“Ahahah per Jane è sempre tutto urgente! Nah, voleva solo darmi la notizia che finalmente ha trovato lavoro. E darmi il suo nuovo numero, ora che si è sistemata” prendo la borsa e infilo il foglio di carta nella mia agenda, per non perderlo. O almeno, questa è l'idea che voglio dare a Meg. Io questo numero ce l'ho già, ma sotto sotto, mi piacerebbe tanto perderlo.
“718... uhm... che prefisso è, Texas?”
“New York”
“Hai un'amica nella Grande Mela? Che figata! E che fa di bello?”
“Fa la modella. Il suo sogno è fare l'attrice” sarebbe più corretto dire che il suo sogno è essere famosa, anzi, essere adorata. Da tutti, possibilmente. Ma non mi sembra necessario aggiungere questo dettaglio, non so neanche perché ne sto parlando con Meg.
“Un giorno sarai tu a dirigerla allora? Un'attrice e una regista: la squadra perfetta!” la mia coinquilina manifesta un entusiasmo che cozza un po' col mio umore, ma non posso darlo a vedere.
“A parte che preferirei scrivere e non dirigere, tranquilla che ne ho di panini da servire ancora prima di arrivare a quel punto” chiudo la borsa, me la rimetto a tracolla.
“Come mai non mi hai mai parlato di questa Jane? E' la prima volta che la sento nominare, pensavo avessi solo tre amici in croce” non demorde e mi segue fino in corridoio.
“Infatti, confermo i mitici tre. Jane non è proprio un'amica, è più... è una conoscenza più superficiale”
“Però è carina a mantenere i contatti, dai” sì, certo, carinissima.
“Sì, è una brava ragazza” credo che vomiterebbe se mi sentisse dire questo di lei.
“Che fai? Esci?” Meg mi blocca quando, anziché andare verso la mia camera, come si aspettava, faccio per aprire la porta di casa.
“Sì, ho finito le sigarette. Me ne ero dimenticata, cazzo. Mi tocca uscire di nuovo, ma ci metto un attimo”
“E non puoi stare senza fumare?”
“No, decisamente no, Meg, fidati”
Esco invitandola a tornare a dormire, dicendole che ho con me le chiavi e che non serve aspettarmi. Scendo le scale in un lampo e quando sono fuori dal condominio, do un'occhiata alle finestre del quarto piano. Le luci sono di nuovo tutte spente. Meglio così, non è necessario fare il giro dell'isolato. Mi infilo nella cabina sotto casa, inserisco una ad una le monete nel telefono a gettoni come se pesassero una tonnellata ciascuna e compongo il numero che è chiuso nella mia agenda, ma che non mi serve tirare fuori, perché lo so a memoria da anni ormai.
“Pronto”
“Che ti serve?”
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“E' ancora presto, cazzo” dico tra me e me guardando l'orologio, che segna le otto meno un quarto. Che poi, dovrei buttarlo questo cazzo di orologio. O rivenderlo. L'avevo detto anche ad Angie, chiedendole se le dava fastidio, ma lei mi aveva guardato come se fossi matto e mi aveva chiesto perché. Non le importa che io abbia al polso ogni santo giorno l'orologio che mi ha regalato una che aveva una cotta per me, una ragazza che ho persino baciato. Angie non sa cosa sia la gelosia, quell'angoscia che nasce dalla pancia e ti arriva subito alla testa, che ti fa vedere tutto nero, che ti toglie il respiro, come un mostro marino che emerge dall'oceano e ti sorprende mentre stai nuotando, ti avvolge e ti immobilizza con i suoi tentacoli, che ti convince che ormai è tutto perduto. Angie non ci pensa nemmeno, non ci ha pensato ieri sera, quando ha incontrato Jerry, e neanche quando me l'ha detto, candidamente, come se fosse una cosa normale. Perché per lei è normale. Perché è probabile che sia normale per tutti tranne che per me, lo stronzo instabile, che è qui sotto casa della sua ragazza dalle sei del mattino, in attesa che venga fuori per poterle chiedere scusa e salvare la situazione. Non avevo intenzione di svegliarla così presto e sapevo che non sarebbe uscita a quell'ora, ma non ce la facevo più a stare a casa, dopo una nottata insonne in cui sono passato, anche piuttosto velocemente, dalla rabbia alla realizzazione della cazzata appena fatta. Esco di nuovo dal pick up. Sarò sceso e salito cinque o sei volte in un paio d'ore e ci saranno i mozziconi di un intero pacchetto di sigarette su questa merda di marciapiede. Non piove, ma l'aria è fresca, io però sto sudando. Allungo la mano attraverso il finestrino lasciato aperto per metà, recupero il mio cappellino dal sedile e lo indosso. Mentre sono impegnato a raccogliere tutti i capelli alla bene e meglio sotto il berretto, sento il portone aprirsi e la vedo uscire, intenta a sistemarsi la sciarpa voluminosa attorno al collo per proteggersi dal vento. Non mi guarda, ma viene verso di me, e io non mi devo neanche impegnare a fare la faccia contrita, perché solo rivederla per me è un tuffo al cuore e sono sicuro che la mia espressione naturale sia già quella giusta. Sto quasi per chiamarla per nome quando, anziché proseguire dritta nella mia direzione, gira alla sua destra e se ne va chissà dove. Non mi ha visto? Mi ha visto e mi ha ignorato apposta, poco importa. Butto l'ennesima cicca a terra e la seguo.
“Angie” si inchioda di colpo, segno che no, forse non mi aveva visto. Si volta verso di me e letteralmente mi squadra da capo a piedi, prima di fermarsi sui miei occhi e rispondere con un cenno.
“Ciao Eddie” si volta di nuovo e riprende a camminare, stavolta più lentamente.
“Lo so che sei arrabbiata, hai tutte le ragioni per esserlo” la raggiungo e cammino accanto a lei, che affonda la faccia nella sciarpa, quasi a volersi nascondere.
“Io non sono arrabbiata. Eri tu quello incazzato, mi pare”
“Mi sono incazzato per niente, Angie, scusami. Ti chiedo perdono”
“Eri una furia”
“Lo so, lo so, sono stato uno stronzo”
“Mi hai attaccato il telefono in faccia e non mi hai neanche risposto quando ti ho richiamato”
“Meglio così! Credimi! Ero fuori di me, chissà cosa avrei potuto dire” ecco forse questo era meglio non dirlo.
“Ok, allora meglio così” Angie alza le spalle e accelera impercettibilmente il passo.
“Angie, possiamo fermarci un secondo, ho bisogno di parlarti per bene, non così, mentre camminiamo”
“Ho delle cose da fare, devo passare in banca e fare altre commissioni prima di andare in facoltà”
“Ci vorranno solo due minuti, Angie, per favore. Fammi parlare, non ci ho dormito tutta la notte” le circondo le spalle con un braccio, delicatamente, indirizzandola verso la prima panchina che mi capita a tiro.
“E dov'è la novità?” mi chiede con un sorriso un po' spento. Mi sa che non ha dormito neanche lei granché.
“La novità è che stavolta è colpa mia.” faccio un cenno verso la panchina “Ti prego”
“Ok, solo due minuti però” alza gli occhi al cielo e si arrende, sedendosi con me.
“Allora... beh, come avrai intuito, ho un piccolo problema con la gelosia” inizio a confessare.
“No! Davvero?” mi rivolge il suo solito sorrisetto sarcastico e mi sento un pochino meglio perché forse c'è la possibilità che io non abbia mandato tutto a puttane.
“Sono geloso. Ed è un mio problema, come hai detto tu ieri, avevi ragione, hai ragione. Nel senso che tu non hai fatto niente, tu non fai mai niente, è una cosa mia, non c'entrano le cose che fai o come ti comporti o cazzate del genere. Potresti non uscire mai di casa e io sarei geloso del fattorino che ti porta la pizza perché, che cazzo ne so, ti sorride un po' troppo quando gli lasci il resto di mancia”
“Beh, sì, visti i guadagni da fame, qualcuno potrebbe anche innamorarsi per una mancia, ci posso credere” Angie continua a prendermi per il culo e ammetto che la cosa mi fa sentire sempre più a mio agio.
“Il fatto è che nove volte su dieci il pensiero arriva, mi genera fastidio per quei due secondi, e poi se ne va e non ci penso più. Insomma, il più delle volte lo tengo a bada, ignoro le voci nella mia testa, e continuo con la mia vita come se niente fosse”
“Non stiamo parlando di vere voci, giusto?”
“Eheh no, voci della coscienza”
“Ah ok. E invece che capita nell'unica volta su dieci?”
“Capita che perdo la testa e dico cose che non penso”
“Sicuro che non le pensi?”
“Angie, no, non le penso. Perdonami, non succederà più, te lo prometto” provo a prenderle le mani, un po' timidamente, ma lei mi lascia fare e non si allontana da me.
“Come fai a prometterlo? Se perdi il controllo, come dici, come puoi evitarlo?”
“Posso evitarlo perché voglio evitarlo, perché tu sei più importante, di tutto”
“Eddie, ascoltami,” Angie si gira un po' di più verso di me, sempre tenendo le mani nelle mie “posso capire la tua gelosia. Cioè, non la accetto, non la giustifico, ma posso capire come funziona, ne intuisco il meccanismo e i motivi scatenanti. So che devi sentirti insicuro, anche se non ho la più pallida idea di come sia possibile, visto che sei un ragazzo eccezionale e che non ti lascerei mai”
“Magari c'è qualcuno più eccezionale di me...”
“Chi? Jerry Cantrell?” Angie non perde tempo e va dritta al punto.
“Deve pur avere qualcosa di buono se ti ci sei messa assieme. E se gli sei ancora amica, dopo che... beh, dopo il male che ti ha fatto”
“Certo che c'è del buono in lui, ma nulla di un potenziale fidanzato. Non più. E non so più come dirtelo per fartelo capire”
“E allora perché ci parli ancora? Non voglio dire che non devi parlargli, non sono quel tipo di ragazzo, che ti proibisce cose o ti dice chi devi frequentare o dove puoi andare o stronzate del genere. Solo, non capisco davvero come tu possa farlo, cioè, se Beth saltasse fuori dal nulla e mi cercasse dicendomi che ha bisogno di parlare con qualcuno, le risponderei con un bel dito medio”
“Io non sono te” la risposta è tanto immediata quanto semplice.
“Eheh lo so. E meno male, aggiungerei”
“Non so che altra spiegazione darti, per me è così. Prima di provarci era un amico e quello che è successo tra noi come coppia non ha cambiato le cose. Cioè, detto onestamente, io pensavo di sì, che le avrebbe cambiate, ma poi col passare del tempo mi sono resa conto che per me Jerry è tornato ad essere né più né meno quello che era prima: un amico”
“Mi sembra incredibile, è come se scindessi le due cose”
“Non è come se, è esattamente così. Io divido le due cose, i due rapporti, i due Jerry. C'è Jerry il mio ex e Jerry l'amico, il primo non c'è più, è rimasto l'altro” Angie fa spallucce come se spiegasse la cosa più ovvia del mondo, io non ci provo neanche a capire e non so se crederci o meno. Ma devo sforzarmi se voglio che questa cosa funzioni e non naufraghi quando è praticamente appena cominciata.
“E' un concetto molto lontano dal mio modo di vedere, ma... posso capirlo”
“Stessa cosa per me con la tua gelosia. E' un concetto molto, molto lontano da me, ma lo capisco. Quello che non ammetto è il modo in cui mi hai trattata perché eri geloso”
“Lo so, Angie, scusami”
“Mi hai detto delle cose bruttissime. E con un tono... il tono era davvero cattivo, come se cercassi di farmi male il più possibile”
“Te l'ho detto, sono scattato per una cazzata”
“Secondo me il tuo problema non è la gelosia, ma la rabbia. Appena tii senti in pericolo attacchi, alla cieca. Non è la prima volta che lo fai, ma a questi livelli no, non era mai successo” colpito e affondato. Angie mi conosce da nemmeno sei mesi, sta con me da qualche settimana e mi ha già inquadrato in tutto e per tutto.
“Lo so, è un casino. Io sono un casino.” mi lascio andare, appoggiando la testa sul suo grembo, senza mollarle le mani “Speravo non vedessi mai questo lato del mio carattere” illuso, era ovvio che saltasse fuori subito, con una maggiore intimità.
“Anch'io sono un casino, tutti lo siamo. Ma quando si tratta di ferire deliberatamente una persona, con cattiveria beh, io lì tiro una riga e segno il mio limite. Cosa me ne faccio dei nomignoli zuccherosi se poi sfoghi le tue frustrazioni su di me?” lo sapevo, mi sta lasciando. Mi ha sopportato anche troppo in fondo.
“E' finita, vero?”
“COSA? Di che stai parlando?” Angie libera le sue mani dalle mie e mi prende la testa, girandola e obbligandomi a guardarla.
“Non vuoi mollarmi?”
“Eheheh chi è quello teatrale adesso?” mi spinge di nuovo la testa in basso, mi leva il cappello, se lo mette in testa e inizia a spettinarmi per gioco.
“Hai detto che quello è il tuo limite...”
“Secondo te ti mollo per una lite del cazzo?”
“No?” sono salvo?
“La prossima volta, quando ti incazzi per qualcosa, prima di insultarmi, fai un bel respiro profondo e parlane francamente, dimmi cosa non va, di cosa hai paura e come posso aiutarti. Oppure insultami, ma solo se me lo merito o se pensi ci sia una valida ragione. Insomma, ci sta discutere, cazzo, ci sta anche litigare, anche se io detesto litigare e farei qualsiasi cosa pur di evitarlo, ma ammetto che ci sta, se c'è un motivo. Ecco, io voglio avere la libertà di litigare con te senza rischiare un crollo emotivo ogni volta, ok? Perché, come ti ho già detto, anch'io sono un casino, proprio come te, anch'io ho i miei problemi, che credi. Non vedi quanto ci metto a esternare un cazzo di sentimento che sia uno? Da un lato ti invidio, sai?” quello che dice mi lascia inizialmente senza parole perché è così... maturo. Io sono qui a piagnucolare, mentre lei ha analizzato la situazione razionalmente e sta semplicemente dicendo le cose come stanno.
“Mi invidi? Pensi che essere schiavo delle proprie emozioni sia meglio? Ogni volta è come lanciare in aria una cazzo di monetina, fai un tiro e non sai che cosa verrà fuori: come sto oggi? Sto bene? Sto male? Sono felice? Sono incazzato? Jeff e Stone potrebbero scommetterci su” mi rimetto a sedere come una persona normale e mi accorgo di avere una stringa semi-slacciata.
“Beh, le mie monetine non vengono mai lanciate, le infilo nel salvadanaio, una dopo l'altra, e lì rimangono. Almeno finché non arriva Natale e bisogna rompere il salvadanaio e allora BAM! Escono fuori tutte assieme” faccio per allacciarmi la scarpa, quando Angie si intromette, le allaccia per me mentre parla, e poi mi riprende le mani nelle sue.
“Mi presti il tuo salvadanaio?” le chiedo prima di ricevere quel bacio che temevo di non avere più.
“Sì, solo se mi fai lanciare le tue monetine ogni tanto” mi sorride e ora ne ho la certezza: sono salvo.
“Scusami, Angie, davvero”
“Non mi serve che ti scusi, mi serve che non fai più lo stronzo”
“Va bene”
“E che se qualcosa non va me lo dici e ne parliamo, come due persone adulte”
“Ok”
“Perché non sono il tuo pungiball”
“No, sei la mia...” aspetto che capisca cosa voglio dire e risponda alla provocazione. Finalmente si gira di scatto e mi guarda malissimo, proprio come piace a me.
“Non ci provare”
“Perché? Hai detto che potevo”
“Non in pubblico”
“Ma se non c'è nessuno” mi guardo attorno e c'è giusto qualche passante che non ci calcola minimamente.
“Pensi che se non ti ho mollato per la piazzata di ieri non ti mollerò se mi chiami micetta? Potrei stupirti”
“HA! L'hai detto tu. Dicendolo l'hai automaticamente accettato come nomignolo ufficiale”
“E chi lo dice?”
“Io, micetta” le rispondo nell'orecchio, perché va beh rischiare, ma non voglio neanche tirare troppo la corda.
“In cosa mi sono andata a cacciare” Angie alza gli occhi al cielo per l'ennesima volta e credo che con me diventerà un'abitudine.
“Non ne hai idea, credimi”
“Non voglio più litigare con te”
“Io invece non vedo l'ora”
“Ahah che?”
“Solo con te un litigio può trasformarsi in un confronto a cuore aperto sulle emozioni, i sentimenti e la maniera di gestirli. Mi piace parlare di queste cose con te, mi piace parlare con te, mi piaci tu”
“Anche tu mi piaci,” Angie mi stampa un bacio sul naso e poi si alza “però adesso devo proprio andare”
“Ah allora non era una scusa per evitarmi? Hai da fare sul serio?” mi alzo anch'io e scherzo, facendo finta di non badare al fatto che mi ha appena detto che le piaccio, senza imbarazzarsi, senza che glielo abbia chiesto o che abbia cercato di estorcerle questa confessione con la tortura.
“Sì e mi devo muovere”
“Ma quando finiscono le lezioni?” sbuffo recuperando il mio cappello dalla sua testa e rimettendolo sulla mia.
“Domani è l'ultimo giorno”
“Finalmente! Cos'hai di vacanza, una settimana?”
“Dieci giorni”
“Ancora meglio... senti, stavo pensando... cioè, in realtà non ci avevo pensato prima, ci sto pensando adesso. Che ne dici se andassimo via qualche giorno, io e te?” le prendo di nuovo le mani, o meglio, i polsi, e ne accarezzo l'interno. Lo so che le piace.
“Via dove?”
“Dove vuoi tu. Per staccare e stare un po' da soli, ti andrebbe?”
“Non so, non sarai preso col film e la registrazione dell'album?”
“Appunto, potremmo fare questo weekend, che ne dici? Mi girano le palle che sarò impegnato proprio quando tu sarai a casa e potremmo vederci di più”
“Non lo so, Eddie. In realtà avevo già dato la disponibilità sia a Roxy che ad Hannigan per fare qualche ora in più sia nel weekend che in settimana, sai, per mettere da parte qualcosa” il suo sguardo si abbassa troppo spesso perché non ci sia qualcosa che non va.
“Oh ok... ma va tutto bene?” la scuoto un po' invitandola a guardarmi, oltre che a parlare sinceramente.
“Certo, perché?”
“Non so, non è che hai bisogno di soldi?”
“Ahahah e chi non ne ha bisogno?” Angie si stacca da me e mi fa cenno di riavviarmi assieme a lei.
“Eheh no, intendo, che magari hai qualche problema e ti servono i soldi”
“Il mio problema è il solito: pagare le bollette, l'affitto, il college e i libri. O le fotocopie dei libri, anche quelle costano” camminiamo vicini mentre Angie conta le sue spese sulle dita della mano.
“Beh, ma ti aiutano i tuoi, no? Tuo padre non mi da l'idea di essere il tipo che s'incazza se non gli mandi la tua parte all'inizio del semestre, ma un po' più tardi”
“Non c'entra, è una questione di principio, se prendo un impegno lo mantengo”
“Certo e questo è bellissimo. Ma non c'è niente di male nel chiedere aiuto quando si ha bisogno” proseguo e non mi accorgo subito che Angie si è fermata poco più indietro.
“Ecco, questo me lo dovrei tatuare, così magari inizierei anche a farlo prima o poi” mi giro e la vedo ferma sul primo gradino della scalinata della banca.
“Tutti vengono da te quando hanno bisogno, tu invece?” la raggiungo e l'abbraccio.
“Io invece chiamo te se ho un ragno in casa”
“Puoi chiamarmi anche per il resto, lo sai vero?”
“Grazie.” mi bacia ancora e stavolta non può fare a meno di guardarsi attorno per controllare che non ci sia nessuno di nostra conoscenza nei paraggi “Comunque è tutto ok, solo necessità di tutti i giorni, non ti fare strane idee, davvero”
“Ok”
“Ora devo andare sul serio però. Ti posso chiamare a pranzo?”
“Non me lo devi chiedere”
“Correggo la mia domanda: ti trovo a casa a pranzo?”
“Sì”
“Ci sentiamo dopo allora, buona giornata” mi stampa un altro bacio troppo veloce e se ne va troppo in fretta.
“A dopo... Whirpool??”
“Acqua!”
'Se qualcosa non va me lo dici e ne parliamo' così mi hai detto. Spero tu lo sappia che vale anche per te.
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