#regno di napoli
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roehenstart · 6 months ago
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Portrait of Maria Carolina of Austria (1752-1814), Queen consort of Naples. After Élisabeth Louise Vigeé Le Brun.
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dreamconsumer · 1 month ago
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René d'Anjou (1409-1480). Unknown artist.
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gregor-samsung · 1 year ago
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“ Attilio ed Emilio Bandiera erano figlioli di un contrammiraglio della marina austriaca, di cui essi stessi facevano parte, l'uno come alfiere di vascello e l'altro come alfiere di fregata. Non volendo servire l'Austria, dopo aver preso parte ad alcuni moti rivoluzionari, essi si erano ricoverati a Corfù. E in quel contatto con altri esuli in terra straniera; in quel comunicarsi continuo di aspirazioni e di speranze, più rincresceva loro l'inedia che l'esilio. Ond'è che decisero una spedizione arditissima, quasi folle per ardimento. Insieme a Ricciotti, a Moro e a pochi audacissimi, pensarono di compiere uno sbarco sulle coste di Calabria. Ivi avrebbero cercato di far rivoltare le popolazioni calabresi e, se fossero riesciti, di mettere in fiamme tutto il regno di Napoli. Nel 1844, nella notte dal 12 al 13 giugno, i due fratelli Bandiera partirono per la spiaggia calabrese. Era in essi presentimento di morte. Quasi al momento di partire Nicola Ricciotti ed Emilio Bandiera così scrivevano a Garibaldi: « Se soccomberemo, dite ai nostri concittadini che imitino l'esempio, poiché la vita ci venne data per utilmente impiegarla; e la causa per la quale avremo combattuto e saremo morti, è la più pura, la più santa che mai abbia scaldato i petti degli uomini; essa è quella della libertà, della eguaglianza, della umanità, dell'indipendenza, dell'unità d'Italia ». Erano buoni e sinceri: aveano soprattutto la giovanile ingenuità senza di che non è possibile compiere né tentare imprese come quella cui essi si avventuravano. La sera del 16 giugno il piccolo drappello sbarcò sulla costa calabrese, alla foce del fiume Nebo. Il luogo dello sbarco era tristissimo: ma la terra d'Italia parve a essi sacra e la baciarono all'arrivo. Il piccolo drappello, mal guidato, inesperto dei luoghi, aveva anche nel suo seno chi dovea tradirlo. Gli esuli speravano di trovare al loro arrivo popolazioni desiderose di rivolte: e trovarono l'ostilità e la indifferenza. Nella valle di San Giovanni in Fiore — paese già sacro alla leggenda religiosa — circuiti da soldati del re, dopo disperata lotta in cui parecchi morirono, dovettero arrendersi. Un mese dopo, i due fratelli Bandiera furono fucilati, il 25 luglio, in quella stessa terra da cui avevano sperato partisse il segnale della rivolta. Mai nessuna morte fu più compianta della loro. Erano giovani, ricchi, di alto casato: avevano rinunziato con serenità superumana a tutte le gioie della vita. Aveano tutte le qualità per destare negli animi il compianto, e la loro morte fu una delle cose che più nocquero a Ferdinando II. “
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Brano tratto dal saggio breve Eroi (1898) raccolto in:
Francesco Saverio Nitti, Eroi e briganti, Edizioni Osanna (collana Biblioteca Federiciana n° 3), Venosa (PZ), 1987¹; pp. 18-19.
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ross-nekochan · 2 years ago
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Capodimonte Museum - Naples, Italy
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giuseppelaporta · 17 years ago
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Gli stemmi del Portale di San Gregorio a Pietracupa
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Forse in questo studio, la parte più difficile, la si è trovata nel tentativo di date una connotazione alle due insegne gentilizie, che si pongono ai due lati dell'Agnus Dei, nell'architrave trecentesca della chiesa si San Gregorio, alle porte di Pietracupa.
Uno scudo liscio, tipico del basso medioevo, con tre caprioli sormontati da due rosette, in campo rosso, apparentemente dalle tracce di pigmento purpureo, in tutto il pezzo.
Nonostante si siano consultati tutti gli armoirali, codici araldici ed eventuali compendi delle nobili famiglie del Regno di Napoli, non si è riusciti a trovare assolutamente nulla che possa chiarirci le idee sulla loro origine, se non alcune idee di carattere empirico, e da trattare con le pinze volendo.
Già mesi fa, si era discusso di una probabile appartenenza al committente Roberto di Pietracupa, feudatario di questa terra, al tempo.
Nulla si sa di certo sul suo conto, delle informazioni frammentarie, che non danno neppure possibilità di conoscere il suo casato di appartenenza, di origine verosimilmente francese.
Però, gli attributi di questi blasoni non sono estranei al contesto della Regione, visto che tra le signorie feudali, vi era quella dei "de Ligny" o "d'Alagno", signori di Campochiaro, e muniti di uno stemma con tre caprioli in campo rosso.
Questa peculiarità, ha permesso di ipotizzare, che Roberto di Pietracupa, potrebbe essere appartenuto al casato francese di Ligny, oppure esser parte di una signoria collaterale, con caratteristiche araldiche, davvero simili, come si può vedere nello stemma del palazzo Ruffo di Napoli, in basso a destra.
Un'altra informazione ci era giunta tramite una chiacchierata, diversi mesi fa, con il parroco don Orlando Di Tella, che rammentava di aver visto, alcuni anni addietro, l'insegna di una famiglia che ebbe a che fare con Venafro.
Egli non aveva torto in effetti, perché tra i principi di Venafro, risultano essere annoverati gli Spinelli, del cui ramo, quello di Giovinazzo, era in origine composto da una spina di pesce, sormontata da due rosette, in campo rosso, molto simile, ma totalmente diverso dal contesto precedente, facendoci restare fermi, al momento, sulla nostra prima ipotesi.
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jo-from-saturn · 1 year ago
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Da Saturno vi comunico che ho trovato il Barbiere del Re, film del lontano 2002 comprato assieme all'altrettanto lontano e vintage Sorrisi e Canzoni, ambientato su quella che sembra l'Isola di Corona (il regno di Rapunzel) azzardo entrambe basate sull'île de Ré (Francia), e subito mi ha riportato in mente Sara Simoni e la duologia di Ys, che consiglio calorosamente agli amanti del fantasy italiano. Non lasciatevi ingannare dalla copertina stupenda o dal fatto che è stata concepita su Wattpad, andate oltre e scoprirete un mondo pieno di magia celtica, per nulla utopico, dove i Druidi devono farsi valere. La consiglio a chi ama particolarmente gli enemy to lovers, poiché la parte romantica è del tutto piena di suspense e di colpi di scena.
Ritrovare Il Barbiere del Re è stato come ritrovare un pezzo di me, e immediatamente mi si è accesa la lampadina in testa colma di idee. Devo dire la verità, già sto lavorando ad una storia che è da tempo che ci voglio mettere mano. Detto ciò da Saturno è tutto, a rileggerci, la vostra amata Jo.
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crazy-so-na-sega · 4 months ago
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primis quella che garantisce il diritto all’autodeterminazione dei popoli. Nessuna nazione intervenne, nonostante le Cancellerie ne fossero informate, questo fa capire che vi fossero accordi e una rete di relazioni segrete. L’unificazione italiana fu la distruzione voluta,
programmata e sistematica, che ridusse il più florido Stato della penisola nella miseria e nel degrado. Le fabbriche furono chiuse, in alcuni casi distrutte, i giovani coscritti o deportati, furono inviati i soldati piemontesi a reprimere il dissenso e compiute stragi indescrivibili. È ora di smontare il “falso storico” che ha generato il luogo comune più deleterio che il Paese abbia conosciuto: il Nord industriale ed evoluto, il Sud agricolo e arretrato. In realtà questo è stato l’obiettivo di casa Savoia e del suo padrone Cavour.
Scorrettamente chiamata dalla storiografia “questione meridionale”, essa emerse dopo l’unità, non prima. Quando l’opera di distruzione del tessuto sociale e produttivo del Sud, diede i suoi amarissimi frutti. Il Regno delle Due Sicilie era lo Stato più industrializzato d'Italia e il terzo in Europa, dopo Inghilterra e Francia, così risultò dalla Esposizione Internazionale di Parigi del 1856. I settori principali erano: cantieristica navale, industria siderurgica, tessile, cartiera, estrattiva e chimica, conciaria, del corallo, vetraria, alimentare.
Nel periodo borbonico (1734-1860) la popolazione si era triplicata, determinando lo Stato preunitario più esteso e popolato. Per la sua politica di sviluppo Ferdinando II formò grandi aziende statali, e incentivò anche il sorgere di aziende con capitale suddiviso in azioni di piccolo taglio, per attrarre nella proprietà anche i ceti medi. Nel 1851 fu istituita la "Commissione di Statistica generale pe' reali domini continentali" con lo scopo di guidare la politica economica del Paese, cui si affiancavano le Giunte Statistiche costituite in ogni provincia e circondario. Molti imprenditori nazionali ed esteri accorsero nel Regno. L’economia ferdinandea privilegiava lo sviluppo occupazionale senza spostare masse dai luoghi di origine. Fu uno sviluppo guidato dallo Stato. La propaganda liberale si scagliò con tutte le sue forze contro tale modello e mise in moto una macchina da guerra che distrusse tutte le industrie del Sud e rubò tutto persino i beni personali dei Borbone: con un decreto del 23 ottobre vennero confiscati alla Casa reale 6 milioni di ducati, anche i depositi che Francesco II
aveva lasciato a Napoli, dopo averli ripresi dal Banco d’Inghilterra, a dimostrazione di quanto fosse legato al suo popolo, lui che napoletano lo era per davvero. Cominciò così, dopo il saccheggio del 31 maggio 1860 del Banco di Sicilia da parte di Garibaldi (80 milioni di euro, 150 miliardi di vecchie lire, quasi la metà delle spese per la guerra franco-piemontese contro l’Austria dell’anno precedente), la corsa alla spogliazione e all’arricchimento. Il Regno delle Due Sicilie, nel settore dell’industria, contava 2 milioni di occupati a fronte dei 400.000 della Lombardia, possedendo 443 milioni di moneta in oro, ovvero l’85% delle riserve auree di tutte le province. Oltre 80 milioni furono prelevati, in una anno, da Torino dalle casse dell’ex Regno delle Due Sicilie. Pochissimi investimenti al Sud ma tante ruberie. La boria e lo sprezzo verso le città del Sud, caratterizzava chiunque arrivasse da Torino. Il luogotenente Farini (in seguito Presidente del Consiglio dei ministri del Regno d'Italia tra il 1862 e il 1863), il dittatore che entrò a Modena il 19 giugno come vincitore di un guerra che non aveva combattuto (gli Estensi fuggirono prima dell’arrivo delle truppe francesi e piemontesi), così si espresse riferendosi a Napoli: “Altro che Italia! Questa è Africa, i beduini a riscontro di questi caffoni, son fior di virtù civile”. Va da sé che il controllo delle ex Due Sicilie fu difficile, regnò la precarietà e l’insicurezza, così cominciò l’atroce guerra civile del brigantaggio. Uno Stato così imposto non poté che generare solo ingiustizie e latrocini. Fu messo in opera un preciso disegno della politica vessatoria di Torino: il Nord
si sviluppò ai danni del Sud. Il primo doveva avere il monopolio dell’industria italiana, al secondo invece fu destinato un ruolo agricolo e di fornitore di mano d’opera per l’industria del Settentrione. “Il dissidio tra la Lombardia e molta altra parte d’Italia ha origini in una serie di fatti: soprattutto il sacrificio continuo che si è fatto degli interessi meridionali”(dalla lettera di Nitti del 5 luglio 1898 a Giuseppe Colombo, direttore del Politecnico di Milano). Carlo Bombrini (banchiere, imprenditore, fondatore della banca di Genova) uomo di fiducia di Cavour e redattore del piano di “riequilibrio” economico post-Unità, disse: “Il Sud Italia non dovrà essere più in grado di intraprendere”. A questo punto riporto uno dei casi più eclatanti di distruzione industriale: l’Officina di Pietrarsa. A Pietrarsa, località posta nella zona orientale della città di Napoli, era attiva la più grande industria metalmeccanica d'Italia, estesa su una superficie di oltre tre ettari. Era l'unica fabbrica italiana in grado di costruire motrici a vapore per uso navale. A Pietrarsa fu istituita anche la
[continua su X]
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Lo ricordiamo a tutti, in modo che tutti possano di nuovo far finta di dimenticarselo.
-Castrese
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iphisesque · 1 year ago
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persa-tra-i-miei-pensieri · 16 days ago
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Civitella del Tronto
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L'unico e ultimo baluardo del Regno delle Due Sicilie rimasto al momento della proclamazione del Regno d'Italia era nella Civitella del Tronto che era il punto fortificato più a Nord del Regno di Napoli e delle Due Sicilie.
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Prima di arrivare alla Fortezza di Civitella in caso di necessità si doveva combattere casa per casa a partire da Porta Napoli, motivo per cui le stradine sono in salita ma si snodano in angoli retti, passaggi stretti e a punta e le case erano strutturate come case-forti.
Tant'è che qui c'è la "ruetta", la via più stretta d'Italia.
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La Fortezza di Civitella è una fortezza imprendibile, infatti non è mai stata presa con le armi, piuttosto si è arresa ai Savoia e in quell'occasione alcuni soldati vennero fucilati, tra i quali vi era il parroco del paese, mentre gli altri furono spediti nelle prigioni nel Nord Italia, ma pian piano si cominciò a favorire la loro fuga in massa verso l'estero, dando così via al fenomeno dell'emigrazione, contrapposto alla creazione del Regno d'Italia, trovando proprio all'estero quel "Nuovo Mondo" migliore che promettevano invece i Savoia con la realizzazione del Regno d'Italia.
Questa immensa disillusione dopo il Regno d'Italia porta, dopo un periodo solare che è stato il Romanticismo, all'affermarsi del Decadentismo perché la delusione è tanta e non c'è più speranza, tant'è che perfino Garibaldi decide di isolarsi andando a Caprera.
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Venne fatto saltare solo il primo ingresso della Fortezza, causando povertà nel paese, così in un primo momento si pensò di trasformarla in un carcere, ma alla fine ogni progetto venne abbandonato rendendola di fatto una cava a cielo aperto per gli abitanti che lì cavavano i mattoni necessari per sistemare le proprie abitazioni.
Ma nel 1975 arrivano dei professori universitari che vogliono celebrare nella chiesa della Fortezza una messa ai caduti di Civitella e questo riaccende l'interesse per ristrutturare la Fortezza e farla rinascere!
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Il terzo camminamento ha una parte coperta che veniva chiusa con dei portoni da sfondare su entrambi i lati rendendola una vera e propria trappola mortale perché i proiettili sparati dalle grate delle porte rimbalzando all'interno ferivano più soldati.
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Si tratta di una Fortezza spagnola che è stata costruita con gli stessi criteri delle altre Fortezze spagnole, quindi con la presenza di cisterne d'acqua piovana, in particolare quella di Civitella presenta 5 grandi cisterne, tre delle quali situate sotto le piazze d'armi, una nella casa del governatore e l'altra nella parte più remota che doveva resistere all'assedio, Civitella del Tronto è stata assediata tre volte e la campana situata al suo interno è in onore ai caduti di tutti e tre gli assedi.
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roehenstart · 2 months ago
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Bernardetto de' Medici (1520-1576). By Giorgio Vasari.
His descendants, by virtue of the papal bull given to Cosimo I for the grand ducal investiture over Tuscany, claimed the crown on the death of Gian Gastone de' Medici in 1737.
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dreamconsumer · 1 month ago
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Saint Louis of Toulouse or Saint Louis of Anjou (1274-1297). Little nephew of Saint Louis IX, he was bishop of Toulouse. Engraving of 1830.
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sciatu · 2 months ago
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LA BATTAGLIA DI LEPANTO - Nel 1500 la distribuzione della popolazione siciliana era molto diversa dall’attuale. I grandi paesini presenti lungo la costa con la loro caotico agglomerato di case e palazzi, non esistevano a causa delle terribili scorrerie dei pirati turchi. I paesi e paesini fortificati, sorgevano nell’entroterra, spesso su colline o in luoghi ben difendibili. Lungo la costa vi era un sistema di sorveglianza con circa 600 torri che monitoravano il mare a scoprire per tempo la presenza dei temuti pirati. Nei grandi porti e presso i villaggi più grossi, vi erano forze d’intervento che dovevano attaccare le navi dei pirati appena avvistate o i turchi sbarcati che iniziavano una scorreria verso l’interno. I temuti pirati e le loro scorrerie erano una minaccia costante e imprevedibile.
Per questo motivo, quando papa Pio V chiamò alla Guerra Santa contro la flotta turca di Alì Pascià, per soccorrere la guarnigione Veneziana assediata a Cipro, l’adesione da parte dei siciliani fu immediata. Subito fu armata una flotta con i soldi delle città e dei nobili siciliani. Armare una galera all’epoca, non era una cosa semplice ed immediata. I turchi ed i veneziani avevano non solo enormi arsenali ma flotte già pronte conservate in enormi magazzini. Inoltre avevano un sistema di arruolamento collaudato e sicuro per cui non avevano problemi a trovare i rematori (che solo in piccola parte erano galeotti o prigionieri di guerra), gli equipaggi ed i soldati. È da notare quindi la velocità con cui la flotta siciliana (circa una decina di galee) fu allestita e armata, mentre quella spagnola dovette approntarsi con difficoltà recuperando dagli stati italiani materiale per le armi e gli scafi, rematori e marinai.
A Messina si riunì quindi nel luglio del 1571, la grande flotta di poco più di 200 galere formate da veneziani, pisani e genovesi sotto le insegne papali, quindi i cavalieri di Malta, gli spagnoli da Barcellona, quelli del regno di Napoli e la flotta siciliana guidata dall’ammiraglia, la Capitana di Sicilia. La flotta turca, conquistata Cipro nell’agosto di quell’anno, dopo aver messo a ferro e fuoco il basso Adriatico attaccando e conquistando le roccaforti veneziane nella Dalmazia e in Albania, si stava ritirando verso Lepanto, stanca e corto di munizioni, pronta a ricevere l’ordine di ritorno a Istanbul per porre le galere in darsena dato che non potevano affrontare le tempeste autunnali.
Quell’ordine però non arrivò mai.
La flotta della Lega Santa si diresse verso settembre contro la flotta nemica cercando di ingaggiar battaglia prima che il tempo peggiorasse. Le due flotte si ritrovarono a Lepanto, in una insenatura riparata, base dei turchi ma adatta al movimento delle duecento navi della Lega Santa che dovevano affrontare le circa trecento degli avversari. Disposti gli schieramenti gli uni di fronte agli altri, Alì Pascià prese l’iniziativa e puntò la prua direttamente contro la nave di Giovanni d’Austria. La flotta turca lo seguì muovendosi velocemente con il vento a favore. La sua ala destra, guidata dall’esperto capitano Shoraq detto Scirocco, si scontrò contro le navi veneziane e spagnole agli ordini del veneziano Barbarigo che in un primo tempo sembrò soccombere all’urto. Dopo l’arrivo delle navi di riserva venute in soccorso, i veneziani riuscirono a capovolgere la situazione e a catturare e uccidere il comandante avversario.
Sull’ala sinistra i turchi erano principalmente pirati algerini, astuti ed esperti che cercarono di circondare le navi dell’ammiraglio Doria che invece si defilò andando verso il mare aperto inseguito dai pirati che catturarono solo qualche nave rimasta indietro.
Ali Pascià notò che molto avanti rispetto alla linea su cui si era distribuita la flotta nemica erano state disposte sei grosse navi da trasporto chiamate galeazze, lente e tozze, con la murata tanto alta che ne impediva l’abbordaggio. Le galeazze erano scortate dalle galee con le vele rosse della flotta siciliana quasi che quel pugno di navi volesse fermare l’avanzata della potente flotta turca.
Alì Pascià, decise di ignorare quel che considerò un diversivo e si diresse prontamente contro l’ammiraglia della flotta nemica. Le navi che lo seguirono approcciarono le galeazze scoprendo che, contrariamente all’uso di allora, quelle grosse e goffe navi erano dotate di cannoni disposte lungo tutto il loro perimetro. Con una potenza di fuoco superiore di sei o sette volte quella di una normale galera, le galeazze incominciarono a bombardare dall’alto i vascelli nemici, distruggendo e affondando navi su navi e scompigliando la flotta turca che perse slancio e forza. A bordo delle galeazze Giovanni d’Austria aveva fatto collocare gli archibugieri che decimarono gli equipaggi di ogni nave nemica che si avvicinava a loro.
Le galeazze, seguite dalla flotta siciliana, incominciarono a girare in tondo rendendo il tratto di mare vicino a loro, un inferno. La Sultana, l’ammiraglia turca raggiunse velocemente Giovanni d’Austria che vedendo arrivare i nemici, lanciò la sua nave contro quella di Alì Pascia così che la sua guardia personale, il Tercio de Cerdena, una compagnia formata da veterani di Castiglia ed Estremadura di base in Sardegna, andò all’arrembaggio della nave avversaria. I castigliani si trovarono di fronte gli giannizzeri turchi, un corpo scelto formato da slavi cresciuti ed addestrati ad Instabul.
Lo scontro fu durissimo.
Per tre volte gli spagnoli andarono all’arrembaggio e furono cacciati indietro, Giovanni d’Austria fu ferito e spesso sul punto di soccombere. Le navi nemiche si concentrarono intorno alla loro ammiraglia, lo stesso fecero quelle della Lega Santa. Ormai era una lotta all’ultimo sangue.
Gli esperti soldati combattevano ormai all’arma bianca, i marinai, i rematori che spesso erano uomini della strada o gente di campagna arruolata a forza o per debiti, si erano uniti a loro e lottarono con rabbia e determinazione. Ormai tutti combattevano per sopravvivere tra i morti e i feriti, in un intreccio di legni rotti, carni tranciate, sangue e fumo di polvere da sparo.
La grande santa battaglia diventò una caotica, sanguinosa, terribile carneficina.
Le navi dell’ala sinistra turca, vedendo l’inutilità di inseguire l’ammiraglio Doria tornarono su i loro passi e veleggiarono verso l’ammiraglia a darle manforte. Se avessero raggiunto il groviglio di navi nel centro della formazione, le truppe spagnole avrebbero avuto la peggio. Fu questo quello che pensò Giovanni Cardona, capitano dell’ammiraglia siciliana, che subito lasciò le terribili galeazze e incrociò con la sua Capitana, le navi nemiche attaccandole, incurante della superiorità numerica, del mitragliare delle archibugiate e del fuoco delle cannonate. Ferito più volte con i suoi uomini riuscì a fermarle spingendole lontano dalla mischia.
In quel momento, le navi pisane, vittoriose sull’ala destra dei turchi, riuscirono a farsi largo tra il groviglio di remi rotti e alberi maestri tranciati dai cannoni ed arrivarono nella mischia delle ammiraglie, buttandosi all’arrembaggio di quella. Ebbero la meglio sui giannizzeri sopravvissuti agli scontri con i castigliani e catturarono, uccidendolo, Alì Pascià. Alla vista della testa del loro ammiraglio che dondolava sul pennone della sua ammiraglia, le navi turche superstiti (ormai poche e malconce) si dileguarono, o almeno ci provarono a causa delle galeazze che le aspettavano al varco, lasciando dietro di loro un mare di relitti e di sangue.
La vittoria fu una di quelle più pubblicizzata dei suoi tempi. Libri, poesie, grandi quadri, narrazioni epistolari si sparsero per tutta Europa a raccontare la grandiosa vittoria e l’immensa carneficina. I turchi rallentarono la loro pressione via mare ed aumentarono quella via terra dirigendo le loro truppe alla volta di Vienna.
In Sicilia l’evento ebbe una grande risonanza. Prova ne è la descrizione della battaglia rappresentata negli stucchi di Santa Cita e persino nelle carceri dello Speri dove un giovane condannato disegnò la battaglia su indicazione di un veterano. Messina, che era una porta del mediterraneo orientale, grata a Giovanni d’Austria, fece fondere una statua in bronzo che lo ricordasse e celebrasse. Le galeazze cambiarono il modo di concepire la guerra per mare. Presto vascelli dalle alte murate e con un gran numero di cannoni sostituirono le galere ed i pirati turchi furono pian piano eliminati, cosa che permise lo sviluppo dei paesi costieri siciliani e, ai Principi di Palermo, di iniziare a costruire le bellissime ville di Bagheria.
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mezzopieno-news · 5 months ago
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ITALIA PRIMA IN UE E SECONDA AL MONDO PER CONGRESSI
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L’Italia negli ultimi cinque anni è passata dal sesto al primo posto in Europa per numero di congressi ospitati.
Nella classifica pubblicata dall’International Congress and Convention Association l’Italia si classifica inoltre seconda nel mondo, dietro solamente agli Stati Uniti. Il nostro Paese precede la Spagna, davanti a Francia, Germania e Regno Unito. L’Italia registra il maggior numero di città (7) nella top 100 mondiale: Roma al 7° posto, 29° posto per Milano, 47° Bologna, 60° Firenze, 66° Napoli, 78° Torino, 84° Venezia. Queste città sono conosciute in tutto il mondo non solo per le loro bellezze artistiche e storiche ma anche per il forte tessuto universitario e scientifico che permette loro di essere scelte come destinazioni di interesse da tutte le parti del mondo.
“È un risultato storico per il settore e per il Paese. Con un progetto che abbina i poli accademici, scientifici e professionali alla presenza diffusa di convention bureau e infrastrutture idonee come il Italian Knowledge Leaders … Dieci anni fa si è scelto di valorizzare uno degli asset più significativi del nostro Paese” spiega Carlotta Ferrari, presidente di Convention Bureau Italia. Divenuta leader nell’industria congressuale globale, l’Italia è riuscita a sviluppare la capacità di adattarsi e innovare, mantenendo al contempo un legame saldo con il patrimonio culturale e storico. “Quello congressuale è un turismo di alta qualità che porta grandi benefici all’Italia, sia materiali che immateriali, dall’occupazione alla promozione del territorio, dalla destagionalizzazione all’incremento del prestigio” racconta Tobia Salvadori, direttore di Convention Bureau Italia.
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Fonte: International Congress and Convention Association; Ministero del turismo; foto di Caleb Oquendo
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giuseppelaporta · 17 years ago
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Analisi dei fregi ed epigrafi di San Gregorio a Pietracupa
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Lo studio di ricerca sul caso insolito, del portale antico di San Gregorio a Pietracupa, procede, e non senza intoppi purtroppo.
Rimane enigmatico il casato al quale appartenga lo stemma, della committenza che commissionò l'intera opera al magister Riccardo di Simone, anche se per questa circostanza, ci sembra opportuno avanzare l'ipotesi possa trattarsi di una personalità del posto, che ebbe a che fare con questo feudo e con il luogo di culto stesso, forse il signore Roberto di Pietracupa, al quale stiamo cercando di collegare i due blasoni muniti di tre caprioli, due rosette ed uno sfondo apparentemente rosso, in base ai residui che si trovano su tutta l'architrave.
Nel rettangolo sottostante, ecco evidenziata meglio l'intera epigrafe che attesta il lavoro di Riccardo, con alcune ipotesi di completamento:
"+ AD • M•C•C•C•L•X • MAGIST(er) • RICCARD(us) (filius) • SYMONI • ME • FECIT "
tradotto:
"nell'Anno del Signore 1360, il magister Riccardo di Simone mi fece"
più ardua è invece la ricerca per trovare un completamento nell'epigrafe dello spigolo destro, abbreviata all'osso.
Dalle lettere evidenziate, grazie ad un calco in carboncino, si è potuta solo identificare la forma e un probabile significato alfabetico.
Dalla nostra ricostruzione, leggesi l'acrostico:
" R • I • TR • I • TR • C^ • G "
Dove le R con annessa dobbiamo lineetta, sono facilmente distinguibili come T ed R consecutive nelle due parole.
Un vero rompicapo!
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aki1975 · 8 months ago
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Napoli - Francesco Laurana - Maschio Angioino - Arco trionfale - 1479
Fondata dai Greci di Cuma, i sovrani che nei secoli si sono susseguiti sul trono di Napoli sono stati:
i Normanni:
- Ruggero I d’Altavilla conquistò la Sicilia nel 1091;
- Ruggero II (1130 - 1154): fu il primo re di una Sicilia multietnica e multireligiosa avendo accorpato in un unico regno tutti i possedimenti normanni nell’Italia Meridionale conquistando Napoli nel 1137;
- Guglielmo I (1154 - 1166)
- Guglielmo II (1166 - 1189): eresse il Duomo di Monreale;
- Tancredi (1189 - 1194)
- Guglielmo III (1194)
- Costanza d’Altavilla (1194 - 1197)
gli Svevi:
- Federico II (1198 - 1250) Stupor Mundi: a Napoli istituì l’università nel 1224;
- Corrado (1250 - 1254): dovette confrontarsi con il potere del fratellastro Manfredi;
- Corradino (1254 - 1258): fu sconfitto nella battaglia di Tagliacozzo e fatto imprigionare a Castel dell’Ovo e decapitare da Carlo d’Angiò nella piazza del mercato a Napoli, poi sepolto nella vicina Chiesa del Carmine. La dinastia degli Svevi scomparve con la morte di Manfredi nel 1266.
gli Angioini:
- Carlo I (1266 - 1285): fratello di Luigi IX il Re Santo, Conte d’Anjou, ricevette in vassallaggio la Sicilia e Napoli dal Papa che difese dagli Hohenstaufen. Edificò il Maschio Angioino, con uno stile che richiama il castello di Avignone, nel 1282;
- Carlo II (1285 - 1309): dovette rinunciare al trono di Sicilia dopo la rivolta dei Vespri Siciliani nel 1302;
- Roberto I (1309 - 1343): figlio di Maria d’Ungheria sepolta nella Chiesa di Donnaregina, fu apprezzato da Petrarca e amante della cultura e delle lettere;
- Giovanna I (1343 - 1382): fu fatta assassinare dal ramo di Durazzo degli angioini e le succedette
- Carlo (1382 - 1386)
- Ladislao (1386 - 1414)
- Giovanna II (1414 - 1435)
- Renato I (1435 - 1442)
gli Aragonesi:
- Alfonso I d’Aragona (1442 - 1458): sconfisse Renato d’Angiò e unì il tono di Napoli a quello di Sicilia e ai possedimenti della Sardegna e della Spagna occidentale. Combattè contro Milano e Genova e dotò il Maschio Angioino dell’attuale arco di trionfo;
- Ferdinando I detto Ferrante (1458 - 1494): all’inizio del suo regno dovette fronteggiare la rivolta angioina e successivamente sedò la rivolta dei baroni e si alleò con gli Sforza contro il re di Francia Carlo VIII d’Angiò. Del suo tempo la Chiesa del Gesù Nuovo;
- Alfonso II: sposò Ippolita Maria Sforza, ma dovette abdicare a causa della calata di Carlo VIII;
- Ferrandino (1494 - 1496)
- Federico I (1496 - 1503) durante il cui regno vi fu la conquista e poi la cacciata di Luigi XII re di Francia;
- Ferdinando III (1504 - 1516) dopo il quale il Regno di Napoli fu incluso in quello di Spagna prima sotto la casata degli Asburgo (con la breve parentesi della Repubblica di Masaniello fra il 1647 e il 1648) poi sotto quella dei Borbone (1700 - 1713) ed ancora sotto quella degli Asburgo d’Austria (1713 - 1734).
i Borboni:
- Carlo I (1734 - 1759): già Duca di Parma, conquistò e riunificò il Regno delle Due Sicilie anche grazie alla madre Elisabetta Farnese, seconda moglie del re di Spagna, che da Madrid influenzò la prima parte del suo regno. Riformò con Bernardo Tanucci l’amministrazione, promosse la musica (fondò il Teatro di San Carlo nella patria di Paisiello e Pergolesi), l’arte (promosse la ceramica di Capodimonte, fece costruire al Vanvitelli la reggia di Caserta del 1751 e quella che oggi è Piazza Dante oltre alla Reggia di Capodimonte dove installò la collezione Farnese) e sostenne gli scavi a Pompei ed Ercolano che iniziarono nel 1738);
- Ferdinando (1759 - 1799 e 1816 - 1825): sposò una figlia di Maria Teresa d’Austria, Maria Carolina che lo allontanò dall’influenza spagnola di Bernardo Tanucci, promosse la Marina Militare (nel 1787 fu fondata la Nunziatella), ma dovette subire una rivoluzione filo-francese (Eleonora Fonseca Pimentel, Mario Pagano, …) nel 1799 contrastata dal Cardinale Ruffo e da Fra Diavolo e la conquista napoleonica che insediò Giuseppe Bonaparte dal 1806 al 1808 e Gioacchino Murat dal 1808 al 1815 prima di diventare, con il Congresso di Vienna, Re delle Due Sicilie ed essere sepolto al Monastero di Santa Chiara;
- Francesco (1825 - 1830)
- Ferdinando II (1830 - 1859): fondò la prima ferrovia d’Italia (1839), ma fu reazionario e soprannominato il Re Bomba per come represse i moti rivoluzionari del 1848 a Messina;
- Francesco II (1859 - 1861): era figlio di Ferdinando II e di Maria Cristina di Savoia e sposò la sorella di Sissi, Maria Sofia di Baviera.
Con l’Unità, Napoli confluì nel Regno d’Italia: ecco perché la statua di Vittorio Emanuele II è presente a Palazzo Reale.
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canesenzafissadimora · 9 months ago
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Innanzitutto Geolier ha cantato una canzone non semplice. Se qualcuno ha capito il testo, lì si tratta di “ognuno va per la sua strada perchè pur amandoci non ci capiamo”, e non è un tema proprio facile, è un tema importante, sono cose notevoli.
Un po’ di avversità verso il sud e verso Napoli c’è. Secondo me c’è dell’invidia, perchè Napoli è un regno dal 1200, quando altrove si pascolavano le capre. Napoli è una delle città più immense del mondo, lì hanno inventato la musica. Napoli è una città provvisoria, è sotto un vulcano, ogni giorno è una vita perchè può succedere di tutto, ha avuto tutte le dominazioni possibili e immaginabili, potevano morire da un giorno all’altro. Invece, sono diventati fortissimi, eccezionali, fantasiosi, meravigliosi e in più fanno conoscere l’Italia. Io amo Napoli. Io sono figlio di napoletani, ma anche se non lo fossi direi le stesse cose. Tutti conoscono l’arte di Roma, ma andate a vedere cose c’è a Napoli e nelle sue chiese.
Roberto Vecchioni
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